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Scatta il 6 dicembre la fiera “Più libri, più liberi”

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Si terrà a Roma dal 6 al 10 dicembre “Più libri, più liberi”, tra i più importanti eventi dedicati all’editoria indipendente. La kermesse, giunta alla sedicesima edizione, si trasferisce al Roma Convention Center La Nuvola, centro congressuale progettato da Massimiliano e Doriana Fuksas e gestito da Roma Convention Group. Soddisfatta Annamaria Malato, presidente della manifestazione, per il cambio di sede: “Essere qui nella Nuvola, ha detto, sancisce una crescita attesa da anni”. Molteplici saranno gli autori italiani e internazionali a disposizione di giornalisti e pubblico. Tra gli italiani ci saranno, tra gli altri, Giancarlo De Cataldo, Andrea Camilleri, Alessandro Baricco e Roberto Saviano. Tra gli scrittori internazionali i più attesi sono Luis Sepulveda, Agnes Heller e Fernando Aramburu. L’evento si aprirà con la diretta della trasmissione Rai “Quante storie”, condotta da Corrado Augias. Ospite speciale del programma sarà il presidente del Senato Pietro Grasso. Quest’ultimo avrà anche un confronto con Lirio Abbate, sul tema degli intrecci tra politica e mafia. Chiuderanno l’evento, il 10 dicembre, Gigi Proietti e Walter Veltroni. La fiera raggrupperà 500 editori da ogni angolo di Italia. Nell’ambito della promozione della lettura è stato confermato il progetto “Più libri più grandi”, che permette ai giovani di incontrare scrittori ed editori all’interno di laboratori creativi. Temi centrali della kermesse saranno la legalità e il rispetto dei diritti umani. A tal proposito uno dei momenti più importanti sarà l’intervento di Sergio Maldonado, fratello di Santiago, attivista rinvenuto morto nello scorso ottobre in Argentina. Degno di nota anche l’incontro con Asil Erdogan, scrittrice turca dissidente.


L’Oréal e Condé Nast lanciano il corso per diventare influencer. A rischio la professione di giornalista?

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«Da grande voglio fare l’influencer». È questa una delle professioni che stanno diffondendosi tra i giovani. Condé Nast con Sda Bocconi e la partnership di L’Oréal Italia (lusso) ha appena lanciato la prima academy gratuita in Europa rivolta proprio agli operatori dell’influencing marketing.  L’obiettivo del programma didattico è proprio quello di formare i primi influencer certificati Condé Nast e SDA Bocconi attraverso lo sviluppo di una serie di competenze teoriche del mondo della comunicazione, del social marketing e dei digital media e una formazione pratica per l’applicazione diretta e il riscontro concreto delle nozioni acquisite.E i giornalisti che fine faranno? Marina Macelloni (presidente di Inpgi): “All’Ordine dei giornalisti si chiede di prendere finalmente atto che le forme di attività giornalistica non sono più quelle del 1963 e che sempre di più comunicazione e informazione sono due mondi che si sovrappongono e si parlano”. Franco Abruzzo (Cnog): “Che vuol dire? Che i pubblicitari e gli attori del marketing entreranno negli Albi dell’Ordine? Se cadono le regole deontologiche, cadrà la professione. L’Inpgi si può salvare chiedendo al Parlamento di farlo tornare pubblico come era fino al 1994 senza stravolgere la professione giornalistica inseguendo un allargamento effimero e avvilente della base contributiva”.

Rassegna Stampa del 22/11/2017

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Indice Articoli

Rallenta la corsa dei domini globali

Tra Vivendi e Mediaset prove di pace sui contenuti a Telecom

Sole 24 Ore, chiusa in anticipo l’ offerta dei diritti inoptati

La scalata italiana a internet

Fabio Fazio attende Berlusconi per incrementare l’ audience

Ascolti, Canale 5 traina Mediaset

Chessidice in viale dell’ Editoria

Gabanelli torna in video per il Corsera

Cairo prende la Gabanelli

Mobilitazione di Fnsi e Ordine dei Giornalisti a tutela dell’ informazione

Giornalisti in piazza

Oggi alla Camera per difendere l’ informazione

Caccia alle fonti dei cronisti. Libertà di stampa in pericolo

Direttore di giornale condannato a 3 anni per un Tweet “gulenista”

La Gabanelli sbarca sul Corriere.it

Fake e non solo, il network di 160 siti gestito in famiglia

Milena Gabanelli riparte al Corriere «La mia sfida per un web d’ inchiesta»

Nuova vita per le edicole: saranno anche info point

Lunedì alle 11 cerimonia di consegna del Premio di giornalismo Francesco Landolfo, all’ Istituto …

Rallenta la corsa dei domini globali

Il Sole 24 Ore
– Gu. Ro.
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Il web è maturo. Arrivato a 312 milioni di domini registrati a livello globale nel secondo trimestre 2017, il suo tasso di crescita tende allo zero. I dati del Centr, il consiglio europeo dei domini nazionali, mostrano però un’ Asia che corre forte, con il .cn che continua a macinare record (+7,8% su base annua nel trimestre). A poca distanza il .ru con un + 5%, mentre l’ Africa si conferma la prima regione per crescita con un +19,4% seguita a distanza dal Nord America (+11%). Nonostante la crescita modesta (appena 1,5%) l’ Europa resta la prima regione in assoluto con 70 milioni di domini. La forza europea sembra proprio la stabilità visto che, nell’ 83% dei casi, un dominio in scadenza viene rinnovato. Dal canto suo il .it continua a crescere. Negli ultimi tre anni è cresciuto del 4,5% arrivando a superare i tre milioni di domini. Non male visto che nel resto dell’ Unione le principale “targhe” nazionali, a stento salgono sopra all’ 1% annuo o, addirittura, scivolano nel quadrante negativo. Non è quindi un caso se oggi il .it è al nono posto tra i domini nazionali a livello mondiale e il quinto nella Ue per domini registrati. Ma la crescita non è l’ unico dato confortante: la probabilità di rinnovo di un dominio .it si attesta all’ 87%, tre punti in più rispetto alla media del Vecchio Continente. Una peculiarità italiana è il quasi pareggio tra il .it e i domini generici – .com, . net e i nuovi il .top, .xyz, .club che a livello mondiale segnano un +10% -, rispettivamente 47% e 45%. Una posizione di metà classifica, mentre in Spagna e Francia il .es e il .fr rappresentano circa il 35% di tutti i domini e in Europa i domini nazionali arrivano al 60 per cento. In rete però non mancano le controversie. Se sul fronte dei domini legati a brand .bmw e .sky hanno visto un’ impennata negli ultimi anni il .amazon è al centro di una battaglia perché Perù e Bolivia hanno posto il veto alla possibilità di concedere il dominio in uso esclusivo al colosso di Jeff Bezos. Dal canto suo Amazon rivendica il diritto di proteggere il proprio brand. La questione è ancor più intricata perché non vi sono, a livello internazionale, leggi o regolamenti che impediscano l’ uso di .amazon, ma il lobbying di boliviani e peruviani sull’ Icann, l’ organizzazione internazionale che sovrintende all’ assegnazione dei domini, si basa proprio sull’ interpretazione di cosa sia nel migliore interesse pubblico. In questo caso quello degli abitanti della regione amazzonica. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tra Vivendi e Mediaset prove di pace sui contenuti a Telecom

Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Non solo Sky. Anche con Mediaset ci sono ragionamenti in corso che riguardano la joint 60% Tim-40% Vivendi e coinvolgono il piano del contenzioso sorto su Premium, al quale i legali delle due parti stanno cercando di porre rimedio (Giuseppe Scassellati, partner dello studio Cleary Gottlieb, per i francesi e l’ avvocato Sergio Erede per il Biscione). Il campo è quello dell’ acquisto di contenuti all’ ingrosso da trasmettere sulla piattaforma Internet di Telecom. In particolare sul tavolo ci sarebbe l’ ipotesi che la joint rilevi i contenuti free to air di Mediaset, cioè i canali in chiaro dell’ azienda di Cologno che sono sul digitale terrestre, non più su Sky e sostanzialmente non in streaming. Il rapporto di fornitura dovrebbe avere la durata di sei anni e, nelle richieste di parte Mediaset, sufficientemente ampio da poter compensare il valore economico del mancato rispetto del contratto su Premium che Vivendi dall’ estate del 2016 non ha più voluto onorare. Una posizione negoziale, evidentemente, visto che non ci sono segnali concreti che si sia raggiunto un accordo. Da Parigi si continua a ripetere che l’ obiettivo è quello di chiudere prima dell’ udienza del 19 dicembre davanti al Tribunale civile di Milano. Da Cologno si continua a ripetere che i legali sono al lavoro, ma che finora non è arrivata nessuna proposta definitiva. Un mese fa aveva provato Erede a mettere nero su bianco le linee guida di un possibile accordo. Una bozza che era uscita stravolta dal confronto con la controparte e che alla fine era stata accantonata. Quello che filtra ora da dietro le quinte è probabilmente solo la punta dell’ iceberg di una trattativa comunque complessa. Mediaset, pur senza essere in lite con Tim, ha lamentato per iscritto il mancato rispetto dei minimi garantiti sul contratto esistente. Con Sky è invece in corso una causa che è stata avviata dalla stessa Tim per chiedere di ristabilire “equità” su minimi garantiti che non sono stati raggiunti, ma che evidentemente il nuovo management teme di perdere, visto che nell’ ultima trimestrale sarebbero stati accantonati altri 100 milioni a riserva (rispetto ai 37 iniziali) per il relativo rischio. L’ interesse di Tim a evitare risarcimenti, acquisendo invece contenuti, ci sarebbe. Quel che non torna è che, col vincolo di restare in maggioranza nella joint, Telecom dovrebbe contribuire in proporzione agli esborsi che si prefigurano nell’ ordine delle centinaia di milioni, pur spalmati negli anni, quando la dotazione di capitale è limitata a 50 milioni. Nel caso di Mediaset, inoltre, il piccolo particolare è che il “convenuto” è Vivendi e non Telecom. Tutti tasselli da far combaciare rapidamente se davvero si vuole trovare un accordo prima di Natale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sole 24 Ore, chiusa in anticipo l’ offerta dei diritti inoptati

Il Sole 24 Ore

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Il Sole 24 Ore, facendo seguito all’ avviso di offerta in Borsa dei diritti d’ opzione non esercitati, ha reso noto ieri che nel corso della prima seduta di Borsa tenutasi ieri risultano venduti, per un ammontare complessivo pari a 233,82 euro, tutti i 1.169.076 diritti di opzione non esercitati nel periodo di offerta, relativi alla sottoscrizione di 4.676.304 azioni speciali di nuova emissione rivenienti dall’ aumento di capitale a pagamento e in forma inscindibile deliberato dall’ assemblea straordinaria del 28 giugno 2017. L’ esercizio dei diritti inoptati acquistati nell’ ambito dell’ offerta in Borsa e conseguentemente la sottoscrizione delle relative azioni dovranno essere effettuati, a pena di decadenza, entro e non oltre il terzo giorno di Borsa aperta successivo a quello della chiusura anticipata e quindi entro il 24 novembre 2017. I diritti inoptati saranno messi a disposizione degli acquirenti tramite gli intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata di Monte Titoli e potranno essere utilizzati per la sottoscrizione delle azioni – aventi le stesse caratteristiche di quelle in circolazione e godimento regolare – al prezzo di 0,961 euro per azione, sulla base del rapporto di 4 azioni ogni diritto inoptato. Le azioni rivenienti dall’ esercizio dei diritti inoptati saranno accreditate sui conti degli intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata di Monte Titoli al termine della giornata contabile dell’ ultimo giorno di esercizio dei diritti inoptati, e saranno pertanto disponibili dal giorno di liquidazione successivo. Si ricorda che durante il periodo di offerta in opzione sono stati esercitati 11.834.043 diritti di opzione e quindi già sottoscritte 47.336.172 azioni, pari al 91,01% delle azioni, per un controvalore complessivo pari a 45.490.061,30 euro. Si ricorda infine che l’ offerta è assistita dalla garanzia di un consorzio composto da Banca IMI S.p.A. e Banca Akros S.p.A. che si sono impegnate a sottoscrivere ai termini del contratto di garanzia, disgiuntamente tra loro e senza vincolo di solidarietà, le azioni eventualmente rimaste inoptate al termine dell’ offerta in Borsa dei diritti i noptati, per un ammontare massimo pari a circa Euro 20 milioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La scalata italiana a internet

Il Sole 24 Ore
Giampaolo Colletti
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Ha un nome italiano l’ ultima lavoratrice sulla terra in un mondo dominato da robot intelligenti e reti di connessioni digitali. Si chiama Alice e a immaginarla e disegnarla ci ha pensato la redazione del Guardian, in un corto apocalittico rilanciato in rete lo scorso anno. Nell’ animazione dall’ eloquente titolo «The Last Job» si vede Alice che di fatto perde il lavoro. Costringendoci a riflettere sull’ avanzata delle tecnologie. Che il mondo connesso faccia anche paura è cosa ormai consolidata, soprattutto nel giornalismo anglosassone: viviamo di fatto in anni segnati dalla Data Economy, come ha riportato l’ Economist in una copertina della primavera di quest’ anno. Argomentando come il vero petrolio dei nostri giorni sia rappresentato dai dati e soprattutto dal loro possesso, oggi ad appannaggio di pochi grandi player. La testata inglese se la prende con i colossi mondiali delle tecnologie, questa volta immaginati “seduti” sopra piattaforme petrolifere. Dove però, al posto delle vecchie trivelle spuntano grattacieli avveniristici sulle cui facciate campeggiano i loghi di Facebook, Amazon, Google, Uber, Microsoft. Dagli assetti mondiali alle formule di casa nostra, le similitudini non mancano. Accanto al predominio dei big tech globali, però, si fanno strada alcune specificità: si prova, in particolare, a declinare la presenza in rete, ad esempio con una via tutta italiana a internet grazie alla nota estensione del dominio «.it»: estensione che oggi conta più di 3 milioni di nomi a dominio registrati (si veda anche l’ infografica sotto) e che quest’ anno compie trent’ anni di vita. Oggi, la presenza su internet coinvolge grandi e piccoli attori. E il lavoro cambia paradigmi, accelera trasformazioni, offre nuovi scenari, consente ai “global microbrand” di combattere nello stesso agone digitale delle grandi multinazionali e di scalare in modo esponenziale e in un tempo limitato interesse e fatturato. Succede per esempio a San Floro, paese con forte vocazione agricola e con poco meno di settecento anime nel cuore della Calabria, dove un giovane calabrese ha deciso di riaprire il vecchio mulino in pietra, l’ ultimo della zona. E per farlo ha puntato tutto sulla rete, intercettando centinaia di sottoscrittori. «Questo mulino lo abbiamo amato dal primo giorno, lo abbiamo ricostruito e restaurato ed ora è operativo. Produce farina integrale biologica macinata ordinabile anche online», racconta Stefano Caccavari, ventottenne con in tasca una laurea in economia aziendale all’ università di Catanzaro. Caccavari ha impastato saperi e sapori del passato declinandoli con le nuove tecnologie e oggi è a capo di una importante filiera di grano antico Senatore Cappelli: su Mulinum.it è possibile acquistare prodotti,ma anche visitare virtualmente il mulino. Molti chilometri più a nord un panificatore da una vita ha deciso di osare l’ impossibile, vendendo il proprio pane fresco sul web e spedendolo in ogni angolo d’ Italia nel giro di poche ore. Antonio Follador, 49enne di Prata di Pordenone – paese di quasi novemila abitanti nel friulano, ai confini con il Veneto – è orgoglioso del suo lavoro e di come lo sta trasformando grazie al digitale. Con una squadra di sedici collaboratori da alcuni mesi è possibile ordinare su Internet il pane preparato con farine vive e ricette naturali e riceverlo direttamente a casa, pur abitando a centinaia di chilometri di distanza dal panificio. Tutto è partito con Botteghedigitali.it. «Grazie a questo progetto, ci siamo aperti ad un mercato globale e oggi riusciamo ad esaudire le richieste che arrivano dalle piazze di Milano, Torino, addirittura Palermo», racconta Follador. Anche Livia Carchella e Bruna Pietropaoli, entrambe 58enne romane e vicine di casa, hanno deciso di puntare su internet. E addirittura nel 1999 hanno aperto il loro sito Leartigiane.it, decidendo di coinvolgere altre professioniste. «Siamo state delle pioniere del web, a tal punto che ci siamo aggregate prima online e poi dal vivo», precisa Carchella. Poi sette anni fa l’ apertura del punto vendita fisico per i clienti nel cuore di Roma, a due passi da Largo Argentina. Quattrocento metri quadrati che trasudano passione, competenza, voglia di fare. Oggi lo spazio è molto più che un negozio, con corsi di decorazione, presentazioni di libri, mostre di pittura. Competenti, pionieri, digitalizzati: ecco la nuova generazione di artigiani e imprenditori, tale perché in grado di adottare le tecnologie con maggiore consapevolezza. Una generazione in espansione. A fotografare questa generazione di aziende che abbracciano la rete ci ha pensato «Future of business», ricerca promossa da Facebook, Censis, Ocse e Banca Mondiale. L’ indagine ha coinvolto più di 280mila imprese in 42 Paesi (in Italia hanno già partecipato più di 11mila piccole e medie imprese). Lo studio racconta che la dotazione digitale delle imprese con meno di cinquanta addetti continua a migliorare, e che si sta colmando il divario rispetto alle aziende più grandi e strutturate. Le piccole realtà in possesso di un proprio sito internet sono passate dal 62,2% del 2012 al 69,5% del 2016. Mentre la quasi totalità delle imprese con più di cinquanta addetti ha attualmente una presenza strutturata sul web. Nello stesso tempo, le Pmi iniziano ad adottare linguaggi digitali in modo più pervasivo sul fronte pubblicità, marketing, comunicazione. Pur osservando un divario rispetto ai principali Paesi europei, le percentuali di utilizzo iniziano a essere elevate e significative. Anche se il cammino verso una matura alfabetizzazione tecnologica è ancora lungo. @gpcolletti © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fabio Fazio attende Berlusconi per incrementare l’ audience

Italia Oggi
GIORGIO PONZIANO
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Fabio Fazio tenta la risalita e domenica (salvo sorprese) ospiterà Silvio Berlusconi, alla ricerca di qualche punto in più di audience. Infatti Che tempo che fa (Rai1) è sceso nell’ ultima puntata a 3,4 milioni (13,2%) lasciando campo libero alla concorrenza di Canale5 che con Rosy Abate ottiene 4,4 milioni (19,1%). La succursale del lunedì (Che fuori tempo che fa) è una débâcle con un ascolto di 1,3 milioni (10,3%), ben al di sotto della media che raggiunge nelle altre serate, nello stesso orario, Bruno Vespa con Porta a Porta. La Rai, comunque, ha diffuso un (insolito) comunicato per difendere (per ora) Fazio: «I dati di ascolto di Che tempo che fa sono assolutamente in linea con le previsioni, anche quelle degli inserzionisti pubblicitari Il costo di 410 mila euro a puntata è un terzo di un episodio di una fiction». Vanessa Incontrada, protagonista della fiction Scomparsa (Rai1) e Ilary Blasi, conduttrice del Grande Fratello Vip (Canale5) pareggiano la gara. La prima riesce ad avere più telespettatori (6,2 milioni contro 5,5 milioni), la seconda spalma il programma su tutta la serata e ottiene così più share (29,1% contro 24,4%). Comunque una nota di merito alla Incontrada: non era facile tenere testa alla macchina da guerra della Blasi. Bianca Berlinguer (Cartabianca, Rai3) ha scippato Asia Argento a Bruno Vespa (Porta a Porta, Rai1). L’ attrice è molto gettonata dalle tv dopo che si è inserita nel cosiddetto scandalo Weinstein, il produttore accusato di violenze sessuali. Vespa la voleva nel suo programma, lei ha preferito la Berlinguer. Questa volta le vespiane porte sono rimaste chiuse. Gerry Scotti ha debuttato col nuovo gioco The Wall (tutti i giorni alle 18.45 su Canale5) e ha stracciato Carlo Conti e la sua Eredità (Rai1): 5 milioni (23,8%) contro 3,4 milioni (19,3%). Per Conti, finora incontrastato leader di quella fascia oraria, sembrano incominciati i guai. Tra l’ altro sarà proprio Conti a riportare su Rai1 La Corrida, programma storico che era condotto da Scotti, il quale lancia una stoccata: «La Corrida torna su Rai1? Sono felice ma il linguaggio di quel programma è superato. Se io dovessi scegliere un revival preferirei La ruota della fortuna o Chi vuol essere milionario». Massimo Giletti e l’ assestamento della sua Non è l’ arena (La7). La seconda puntata s’ è fermata a 1,3 milioni (6,3%) perdendo circa tre punti di share rispetto all’ esordio. Adesso il conduttore è col fiato sospeso in vista della terza puntata di domenica. Vittorio Sgarbi e i battibecchi in tv che i conduttori sperano facciano aumentare l’ audience. Perciò invitano Sgarbi che questa volta se la prende con il vignettista Vauro Senesi. La lite avviene a L’ aria che tira, condotta su La7 da Myrta Merlino. «Sei una testa di cazzo, un idiota, un imbecille», inveisce Sgarbi contro Vauro, reo di avere detto che: «Sull’ origine della fortuna economica di Silvio Berlusconi non mi pare sia stata fatta ancora chiarezza». Penelope Cruz è Donatella Versace nella serie The assassination of Gianni Versace che quasi contemporaneamente alla messa in onda negli Usa (il 17 gennaio) arriverà in Italia su FoxCrime. Si tratta di nove episodi che raccontano l’ ultimo periodo della vita dello stilista italiano, fino al tragico epilogo nella sua villa di Miami. Tra gli altri interpreti: Édgar Ramírez, Ricky Martin, Darren Criss, Max Greenfield. Igino Massari è The Sweetman, ogni giorno (dal lunedì al venerdì) all’ ora di pranzo su SkyUno e dal 27 novembre anche sul web con rds.it, lastampa.it e mixerplanet.com. Un esperimento di sinergia tra la rete e la tv. 40 puntate di 5 minuti ciascuna, in cui pasticcieri amatoriali di tutta Italia si fanno giudicare dal maestro pasticciere Massari. La cooking tv non ha più confini. Silvia Toffanin e l’ imprevisto, gestito al meglio ma con un dubbio. Sviene una signora tra il pubblico nello studio di Verissimo (Canale5), lei interrompe l’ intervista all’ ospite Jeremias Rodriguez: «Aspettate che c’ è una signora che è svenuta, ragazzi chiamiamo un medico eh, non scherziamo». Tutto è poi finito bene. Brava la conduttrice a intervenire ma la trasmissione è registrata e il dubbio è: l’ episodio è stato lasciato per movimentare la messa in onda? Rita Dalla Chiesa, ospite di Quarto Grado, condotto da Gianluigi Nuzzi su Rete4, dice la sua sulla morte di Totò Riina, tra dolorosi ricordi familiari: «Riina pensava di aver raggiunto un grande potere, un impero, in realtà era un poveraccio, un poveraccio che faceva ammazzare la gente senza nemmeno probabilmente capire perché. Se lui avesse capito il senso della vita». Francesco Facchinetti e Bianca Balti condurranno su Netflix, Ultimate Beastmaster2, una sorta di Giochi senza frontiere, 10 puntate in cui squadre di diversi paesi si sfideranno in prove di forza e resistenza. Oltre cento i concorrenti che gareggeranno dal 15 dicembre. Più tardi, il prossimo anno, Netflix proporrà Baby, una produzione italiana che racconterà la vicenda (datata 2014) delle giovani adolescenti dei Parioli che facevano sesso a pagamento «per colmare», dissero al processo, «il vuoto delle nostre giornate». Federica Nargi, conduttrice di Colorado (Italia1) ha accettato l’ offerta di Green Remedies, gruppo italiano che riunisce diversi brand di prodotti (alimentari, integratori e cosmetici) di derivazione naturale. Sarà protagonista della campagna pubblicitaria di una nuova linea dedicata alla bellezza. Pierluigi Diaco (ex Isola dei famosi e ora autore del Costanzo Show su Canale5 ) e i fiori d’ arancio. Ha sposato Alessio Orsingher, giornalista di La7. La cerimonia, officiata da Maurizio Costanzo, si è svolta in una chiesa sconsacrata di Roma. Vietato ai presenti fotografare col telefonino: gli sposi hanno dato l’ esclusiva delle immagini a un settimanale. Maria Iside Fiore, 13 anni, rappresenterà l’ Italia allo Junior Eurovision Song Contest, festival europeo dedicato ai giovani artisti di tutta Europa, una sorta di Sanremo under 15. Si svolgerà il 26 novembre all’ Olimpic Palace di Tblisi (Georgia), e si potrà vedere in diretta televisiva su RaiGulp a partire dalle ore 15.30. Maria De Filippi sbanca l’ audience, ma questa volta della concorrenza, cioè di Rai1. La sua ospitata a Tale e Quale Show regala al programma condotto da Carlo Conti 5 milioni di telespettatori (23,3%), lasciando le briciole a Canale5, che con Belli di papà supera di poco i 2 milioni (10,1%). Ma la sera dopo Belén Rodriguez riporta in auge Canale5 con Tu sí que vales che con 5,5 milioni (29,4%) straccia Flavio Insinna e Anna Valle, fermi con Prodigi (Rai1) a 2,5 milioni (12,2%): un flop per la rete ammiraglia che deve leccarsi le ferite anche la domenica, con Domenica In (Cristina e Benedetta Parodi) che si ferma a 1,7 milioni (11%) doppiata da Domenica Live (Barbara D’ Urso) che raggiunge 2,6 milioni (16,3%). Gianni Prandi è stato, nel 1976, tra i fondatori di RadioBruno e ne è l’ attuale direttore. La partenza avvenne in un miniappartamento a Carpi (Modena) e la sede principale è ancora in questa città. Da qui è riuscito a conquistare l’ Emilia-Romagna (ma trasmette anche in province limitrofe di altre regioni). L’ ultima rilevazione di Tavolo-editori-radio colloca RadioBruno al primo posto con 521 mila ascoltatori al giorno, superando nella sua regione tutte le emittenti nazionali pubbliche e private. Marco Pugno, ex componente lo staff di TelePavia, ha realizzato un documentario che racconta la nascita di Antenna3 Lombardia, tra le emittenti che aprirono la strada alle tv private. Il filmato è stato presentato in occasione della mostra intitolata Ti ricordi quella sera?, dedicata ad Antenna3, fino al 30 novembre al Palazzo Pirelli di Milano. Twitter: @gponziano © Riproduzione riservata.

Ascolti, Canale 5 traina Mediaset

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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In settembre il gruppo Mediaset ha intercettato il 60% degli investimenti pubblicitari destinati al mezzo televisivo e punta a chiudere l’ anno con una raccolta in crescita dello 0,5% sul 2016, rispetto a un comparto del piccolo schermo che dovrebbe invece registrare un calo superiore al 2%. Certo, la concorrenza è grande, gli attacchi arrivano da più fronti (nuovi canali generalisti, proliferazioni di tv in chiaro, pay tv, contenuti in streaming), ma, per il momento, la grande corazzata di Cologno Monzese sembra tenere. Trainata soprattutto da Canale 5: lunedì, per esempio, il Grande Fratello Vip ha incassato il 29,1% di share; oppure il nuovo game show di Gerry Scotti, The Wall, in onda nella fascia preserale dal 20 novembre, ha registrato una share del 23,82% che sale al 26% sul target commerciale. Numeri e ampiezza di pubblico che nessuna altra offerta televisiva commerciale riesce ad assicurare con costanza, giorno dopo giorno. Nel periodo autunnale, dal 10 settembre al 18 novembre, sul target individui Canale 5 è allo stesso livello di Rai 1 sulle 24 ore (attorno al 16,5% di share), e deve inseguire in prima serata (16,2% rispetto al 19% della ammiraglia Rai). Nel day time, ovvero dalle 8.45 alle ore 20, Canale 5 è davanti, con il 17,3% rispetto al 15,4% di Rai 1. Analizzando, invece, il solo target commerciale, quello che i pubblicitari usano per i loro investimenti, Canale 5 è al 16,5% sulle 24 ore (Rai Uno al 12,2%) e sale al 17,2% in prima serata, rispetto al 15,4% del concorrente di viale Mazzini. Se quando era nato, nel 1980, Canale 5 aveva usato molto la leva del profilo internazionale e moderno, da contrapporre allo strapaese Rai (il simbolo del Biscione, in quegli anni, era la serie tv Dallas), ora invece la strategia si è capovolta: come più volte spiegato dall’ amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, «l’ autunno 2017 punta sui contenuti italiani esclusivi, caldi, in diretta, con star di prima grandezza, quelli che piacciono alle grandi platee», e che rappresentano l’ unica vera diversità rispetto all’ offerta di colossi dai contenuti globali on line come Netflix, Google, YouTube o Amazon. La giornata di Canale 5 parte con Mattino Cinque, 14% di share medio, prosegue con Forum (16,2%), poi le telenovelas alla Beautiful (17%), Una Vita (17,5%), Il Segreto (23,2%), quindi arriva Maria De Filippi con Uomini e donne (21,5%) e poi Barbara D’ Urso con Pomeriggio Cinque (18,6%). Il preserale, con i game, e l’ access prime time, con Striscia la Notizia, sono attorno al 18,5% di share medio, poi ecco le prime serate di intrattenimento, con il Grande Fratello Vip che viaggia a medie del 25%, e Tu si que vales che è al 27,7% medio. Oppure la fiction, che dopo un periodo di crisi torna a sorridere anche a Mediaset: Rosy Abate al 20,2%, L’ Isola di Pietro al 17,8% medio. Nel fine settimana, inoltre, Verissimo è una certezza, col suo 20% medio, e Domenica live surclassa la concorrenza Rai di dieci punti di share, tanto che la Domenica In delle sorelle Parodi è stata sospesa per due settimane, in attesa di ripensamenti. In effetti, se si dovesse trovare una reale differenza tra Canale 5 e le altre tv generaliste, balza subito all’ occhio la squadra di talenti: le grandi star di Mediaset restano a Cologno, con una gestione aziendale capace di smussare dissapori o polemiche, e di tenere insieme, sotto uno stesso tetto, Antonio Ricci, Maria De Filippi, Gerry Scotti, Michelle Hunziker, Ilary Blasi, Alessia Marcuzzi, Silvia Toffanin, Piero Chiambretti, Barbara D’ Urso, Ezio Greggio, Federica Panicucci, Paolo Bonolis ecc. La Rai, invece, non sta costruendo nuove star, perde Massimo Giletti e Milena Gabanelli, trattiene Fabio Fazio a tutti i costi e lo sposta su Rai 1, dove fatica. Mentre chi anche prova a lasciare Mediaset per la Rai, come la Gialappa’ s band o Nicola Savino, poi torna indietro. Se il trimestre settembre-novembre è andato bene da un punto di vista degli ascolti, Canale 5, rete diretta da Giancarlo Scheri, prova a non arretrare neppure in dicembre, con un palinsesto che parte dalla domenica con la fiction Rosy Abate, e, a seguire nei giorni successivi, l’ esordio di Music con Paolo Bonolis, la finale del Grande Fratello Vip, la partita di Champions league, l’ esordio della fiction Sacrificio d’ amore, e la finale di Tu si que vales. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Rai, utile dei nove mesi a 20,3 mln e 2017 previsto in pareggio. Conti in utile per la Rai nei primi nove mesi dell’ anno e la previsione di chiudere il 2017 in pareggio. I conti presentati dal d.g. Mario Orfeo sono stati esaminati dal cda che ha inoltre preso atto delle novità dei palinsesti e ha espresso parere favorevole alle nomine proposte dal d.g., fra le altre quella di Piero Corsini direttore di Rai5 e di Marco Giudici direttore di Rai World. Tornando ai conti dei primi nove mesi, il bilancio consolidato del Gruppo Rai registra un utile netto di periodo pari a 20,3 milioni di euro, sostanzialmente allineato a quello dell’ analogo periodo del 2016 (+23,5 milioni). I risultati dei primi nove mesi del 2017 hanno risentito principalmente della contrazione dei ricavi da canone in conseguenza della diminuzione dell’ importo unitario da 100 a 90 euro nonché della riduzione (dal 67% al 50%) della quota a favore della Rai dei maggiori importi derivanti dalla riscossione del canone in bolletta. In contrazione i ricavi pubblicitari (in riduzione di 47,6 milioni di euro). Sole 24 Ore, conclusa in anticipo l’ offerta sull’ inoptato. Tutti i 1.169.076 diritti d’ opzione non esercitati nell’ ambito dell’ aumento di capitale del gruppo Sole 24 Ore sono stati venduti ieri nel corso della prima seduta di Borsa. Questi strumenti, se effettivamente esercitati, danno diritto alla sottoscrizione di 4.676.304 azioni speciali di nuova emissione dell’ azienda editoriale. La nuova carta può essere acquistata entro venerdì al prezzo unitario di 0,961 euro, sulla base del rapporto di 4 azioni per ciascun diritto inoptato detenuto. Lega Seria A, il canale tv all’ esame dell’ assemblea del 27 novembre. Alla prossima assemblea della Lega Serie A, prevista per il 27 novembre, verrà esaminato anche il canale televisivo della Lega. Lo si è appreso dall’ integrazione dell’ ordine del giorno dell’ assemblea che tratterà anche la nuova asta dei diritti tv della serie A per il periodo 2018-2021. L’ odg, alla luce anche delle dimissioni del presidente della Figc Carlo Tavecchio, è stato integrato anche con l’ elezione del presidente e dell’ a.d. della Lega, nonché di altri cinque consiglieri. Gabbani a Radio Italia Live su Real Time. Su Real Time (canale 31 del digitale terrestre free) e in contemporanea su Radio Italia, Radio Italia Tv e in streaming sul sito radioitalia.it, va in onda Radio Italia Live, il programma dedicato alla musica italiana e ai suoi protagonisti prodotto e realizzato da Radio Italia. Oggi alle 21.10 è la volta di Francesco Gabbani, che proporrà un assaggio di quello che è stato il suo tour estivo iniziato il 19 giugno da Verona e conclusosi il 30 settembre dopo 44 concerti in giro per l’ Italia. Arriva IO Donna Winter. IO donna, il settimanale femminile del Corriere della Sera diretto da Diamante d’ Alessio, lancia IO Donna Winter, un numero Extra, da collezione, in edicola oggi con il Corriere della Sera senza sovrapprezzo e distribuito nelle boutique del circuito The Best Shops in tutta Italia.

Gabanelli torna in video per il Corsera

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Una videostriscia di circa 5 minuti con cui Milena Gabanelli racconterà l’ attualità e i grandi temi come l’ immigrazione su Corriere.it e sui social media del quotidiano milanese diretto da Luciano Fontana. L’ ex giornalista Rai avvia così una nuova collaborazione col gruppo Corriere della Sera-Rcs guidato dall’ editore Urbano Cairo, che manda on air i canali tv La7 e La7d. Non a caso Cairo ha dato il benvenuto a Gabanelli anche «a La7, dove parteciperà come ospite a nostre trasmissioni di approfondimento». Al momento il nome del format sul Corsera (anche cartaceo) non è stato scelto.

Cairo prende la Gabanelli

Libero

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ANTONELLA LUPPOLI Dopo Massimo Giletti, anche Milena Gabanelli approda alla corte di Urbano Cairo. Farà quello che sa fare, cioè le inchieste. Questa volta sul web. E pensare che lo scorso 15 novembre la signora aveva detto addio alla tv di Stato, per un mancato accordo sul «piano delle news». Ricordate la farraginosa querelle di cui è stata protagonista? Chiede ai vertici Rai pochi minuti dopo il tg, prima dell’ access prime time – nella fascia che fu di Enzo Biagi – ma le rispondono picche. Per questo sbatte la porta. Facendo rumore. Ma, attenzione, le si è aperto innanzi un portone: quello di via Solferino. L’ ex volto di Report avrà infatti una video striscia quotidiana (ma guarda un po’) su Corriere.it e sarà ospite dei programmi di La7. Insomma, a quanto pare, quello che Mamma Rai nega, Cairo concede. Non è l’ Arena lo comprova. Stando a quanto annunciato da una nota diramata da Rcs Group nel pomeriggio di ieri, la Gabanelli ha firmato un accordo di collaborazione con il Corsera. «Siamo orgogliosi», ha detto il direttore Luciano Fontana, «sperimenteremo insieme una nuova frontiera del giornalismo e del data journalism, esplorando anche nuovi formati di fruizione e di linguaggio e aprendo insieme nuove strade per il futuro della nostra professione». Dal canto suo, la Gabanelli ha detto: «Quello che oggi mi interessa di più è portare informazione di qualità su quei mezzi e piazze virtuali dove si sta formando la classe dirigente di domani () La prima battaglia, la più importante, è quella di imporre il principio di meritocrazia. È proprio l’ assenza di competenza e senso di responsabilità alla base dei tanti problemi del nostro Paese». Come darle torto. Ecco dunque un altro colpaccio messo a segno dal re Mida dell’ editoria italiana che accoglie (giustamente a braccia aperte) un’ altra esiliata della Rai di Mario Orfeo e le dà il benvenuto sottolineando: «Il Corriere della Sera è la casa del giornalismo italiano e Milena Gabanelli è una grandissima professionista e fuoriclasse, perché incarna il giornalismo che ci piace fatto di contenuti chiari, utili e di servizio». Cairo allunga così la schiera di giornalisti che gravitano nella sua galassia. Perché, si sa, l’ informazione (dovrebbe venire) prima di tutto. riproduzione riservata Milena Gabanelli ha iniziato a lavorare in Rai nel 1982.

Mobilitazione di Fnsi e Ordine dei Giornalisti a tutela dell’ informazione

Corriere della Sera

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Mobilitazione oggi a Roma, in Piazza Montecitorio, per la Federazione nazionale della Stampa italiana e l’ Ordine dei giornalisti. «Il tema della giornata, “Libertà precaria, lavoro precario, vite precarie” – sottolinea una nota congiunta – riassume la condizione dei giornalisti italiani ed evidenza le responsabilità di governo e parlamento. Una legislatura che si era aperta con l’ impegno di depenalizzare il reato di diffamazione, cancellando il carcere per i giornalisti, si avvia alla chiusura senza alcun passo in questa direzione». La mobilitazione è la prima di una serie, hanno detto Fnsi e Ordine dei Giornalisti, promossa «per denunciare l’ inerzia di governo e Parlamento sui problemi del mondo dell’ informazione».

Giornalisti in piazza

La Stampa

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La Federazione nazionale della Stampa italiana e l’ Ordine dei giornalisti si riuniscono in piazza Montecitorio stamattina alle 11. Si tratta della prima di una serie di iniziative di protesta che gli organismi di rappresentanza della categoria promuoveranno per denunciare l’ inerzia di governo e parlamento sui problemi del mondo dell’ informazione e per richiamare l’ attenzione delle istituzioni e dell’ opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati. «Una legislatura che si era aperta con l’ impegno di depenalizzare il reato di diffamazione – spiega la Fnsi – cancellando il carcere per i giornalisti, si avvia alla chiusura senza che sia stato fatto alcun passo in questa direzione».

Oggi alla Camera per difendere l’ informazione

Il Manifesto

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Per la prima volta, oggi, di fronte alla Camera dei deputati manifestano i Consigli nazionali della Federazione della stampa e dell’ Ordine dei giornalisti. Insieme. È un buon inizio, un pezzo di una necessaria mobilitazione generale, a fronte degli errori o dell’ inerzia del governo sulle ferite dell’ informazione. Infatti, mentre la legislatura è ai titoli di coda, rimangono irrisolte numerose scene della partitura drammatica in corso. L’ elenco è in difetto: l’ annunciata normativa sulla diffamazione che avrebbe dovuto eliminare il carcere e mettere un serio freno alle querele «temerarie» è ferma (il gioco cinico va avanti da quattro mandati parlamentari); il decreto sulle intercettazioni del ministro Orlando non garantisce la libertà di cronaca, disponendosi la pubblicazione solo delle trascrizioni «essenziali» (filologi di tutto il mondo battete un colpo) e prevedendo persino la detenzione per i rei; la legge di bilancio nulla contiene sul precariato, vale a dire circa il 65% del setto re; la legge 233 del 2012 («equo compenso»), faticosamente strappata all’ esecutivo Monti, è incredibilmente inapplicata avvolta com’ è nei meandri della giustizia amministrativa e negli esercizi interpretativi. Nel frattempo, però, gli editori sono trattati con i guanti, visto che negli ultimi anni sono piovuti da Palazzo Chigi 2-300 milioni di euro di sovvenzioni, cui si è aggiunto nel recente decreto fiscale il credito di imposta sugli investimenti pubblicitari a carico del fondo per il pluralismo. È assurdo che simili cospicui finanziamenti non abbiano prodotto risultati sull’ occupazione, facilitando al contrario prepensionamenti e disoccupazione. Intere generazioni spedite a casa, senza tante storie. La questione ha finalmente toccato anche la Rai, dopo che il sindacato dei giornalisti Usigrai e la Fnsi hanno portato l’ argomento nella commissione parlamentare di vigilanza. Tra l’ altro, il nuovo contratto di servizio non può non avere al suo interno una direttiva precisa: l’ entità del canone di abbonamento va rapportato al numero dei contratti a tempo indeterminato. Il diritto a informare e a essere informati non è messo in causa solo da norme o scelte economiche. Incombe da tempo un vero e proprio attacco vandalico ai cor pi dei giornalisti: minacce, percosse, persino omicidi. Da ultimo, ha ricevuto un ennesimo «avvertimento» Paolo Borrometi, appena diventato – tra l’ altro- presidente dell’ associazione Articolo21. E nei giorni passati si sono susseguiti il pestaggio a Ostia di Daniele Piervincenzi della rubrica di Raidue «Nemo», le intimidazioni ai danni di un fotoreporter di Ponticelli o della cronista Marilena Natale di Caserta. La lista è infinita e segna una salto di qualità. Si è creato un clima di vendetta e di odio, figlio della crisi democratica, che prevede un esautoramento progressivo del «quarto potere», perché la criminalità organizzata punta alle commesse e agli ap palti pubblici. E la trasparenza è un impiccio, mentre devono prevalere il segreto e l’ opacità. Purtroppo, la sensibilità politica è scarsa e procede per fiammate occasionali presto rimosse o dimenticate. In tal modo la traversata verso l’ era digitale rischia di diventare un’ ecatombe. Chissà se agli impegnativi appelli delle alte autorità della Repubblica, dal presidente Mattarella a Pietro Grasso e a Laura Boldrini seguiranno atti concreti. Che vengano finalmente indetti gli Stati generali dell’ informazione e, per l’ intanto, si concordi un emendamento sul precariato nella citata legge di bilancio, finanziato con l’ agognata «digital tax».

Caccia alle fonti dei cronisti. Libertà di stampa in pericolo

Il Fatto Quotidiano
Giorgio Meletti
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Una serie di decisioni illegittime di diverse procure della Repubblica stanno di fatto abrogando il segreto professionale dei giornalisti. Basta il semplice sospetto di una minima violazione di segreto d’ ufficio e scatta la perquisizione per scoprire le fonti del giornalista. È una pratica più volte censurata dalla Cassazione e ancor più energicamente condannata da norme e sentenze europee. Eppure accade sempre più spesso. Il fenomeno si traduce, al di là della buona fede dei singoli magistrati, in una pressione per tutti i giornalisti. Il messaggio è chiaro: se scrivi una parola di troppo puoi trovarti gente in divisa che fruga tra i giocattoli dei tuoi bambini o che si prende il tuo telefonino e cartografa comodamente tutte le tue relazioni e tutte le tue fonti. Anche chi si affida al segreto professionale del giornalista, imposto dalla legge e tutelato anche dal codice di procedura penale, è avvertito: se vai a raccontare qualcosa anche senza commettere niente di illecito, sappi che prima o poi potrebbe esserci un carabiniere, un poliziotto o un magistrato che potrà ricostruire tutti i tuoi contatti con il giornalista. L’ ultimo caso risale alla sera di venerdì 17 novembre. Gli uomini della Guardia di Finanza, su ordine del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, si sono presentati nella redazione del Sole 24 Ore a Milano, con un decreto di acquisizione di documenti per il giornalista Nicola Borzi. Quella mattina il giornale aveva pubblicato il secondo di due articoli di Borzi sui movimenti dei conti correnti dei Servizi segreti presso la Banca Popolare di Vicenza. Secondo Pignatone chi ha fornito i documenti al giornalista (che non è indagato ma solo testimone) ha violato il segreto di Stato, un grave reato che può costare fino a dieci anni di carcere. Borzi ha consegnato i documenti richiesti in una chiavetta, ma i finanzieri per maggior sicurezza hanno smontato il disco rigido del suo computer sequestrandogli tutto il suo archivio, le sue email, insomma tutti gli strumenti di lavoro. La stessa sera del 17 novembre, a Roma, trattamento simile ha ricevuto Francesco Bonazzi, giornalista de La Verità, che aveva scritto sullo stesso argomento il giorno prima di Borzi. Bonazzi però se l’ è cavata consegnando una chiavetta con i documenti richiesti e sottoponendosi a un lungo interrogatorio da testimone non indagato. Per entrambi i giornalisti il solito trattamento, la richiesta in nome della legge di violare la legge che vieta di rivelare le fonti. Colpisce il silenzio che ha circondato anche l’ ultimo di una lunga serie di episodi. Neppure il direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili ha fatto alcun commento. Borzi è una delle principali fonti d’ accusa nell’ inchiesta sul falso in bilancio del Sole 24 Ore, per la quale ha presentato numerosi esposti. Eppure l’ Ordine nazionale dei giornalisti non ha speso una parola, limitandosi a riprendere sul suo sito la protesta dell’ Ordine della Lombardia, come se fosse una vicenda di interesse regionale. Salvo poi indicare come focus di principale interesse nazionale la libertà di stampa a Ostia. Il racconto confezionato da giornali e telegiornali considera il lavoro giornalistico messo a repentaglio più che altro dalla testata al giornalista precario della Rai Daniele Piervincenzi, dalle minacce mafiose a Paolo Borrometi dell’ Agenzia Italia o dal disprezzo di Beppe Grillo per i “giornalisti da 10 euro al pezzo”. Fatti gravissimi. Tuttavia essi non sono causa ma effetto di un fatto molto più grave: se la libertà di stampa è messa in discussione dalla magistratura a chi potremo rivolgerci per difenderla? Purtroppo una politica capace di evocare a vanvera la “emergenza democratica” si gira dall’ altra parte. Purtroppo molti credono che la libertà di stampa, il cui principale baluardo è la segretezza delle fonti, sia un privilegio dei giornalisti e non una garanzia per tutti. Peggio ancora, molti giornalisti, quando viene perquisita una redazione concorrente, pensano che la cosa non li riguardi. E ci sono quelli che non reagiscono neppure quando viene perquisita la scrivania accanto alla loro. Così, quando il 30 giugno scorso la Procura di Napoli ha ordinato illegittimamente la perquisizione a tappeto di tutta la famiglia del vicedirettore del Fatto Marco Lillo, molti, soprattutto i garantisti a 24 carati, hanno pensato che gli stava bene. Blande reazioni anche il 21 luglio, quando la Guardia di Finanza si è presentata a casa di Gianluca Paolucci de La Stampa. Il suo racconto: “Restano in casa per due ore frugando dappertutto, tra i giocattoli dei bambini, nella culla, negli effetti personali della mia compagna () Sequestrano cd, chiavette Usb, vecchi telefonini in disuso”. Due settimane dopo, il procuratore capo di Torino Armando Spataro scrive una lettera di scuse a La Stampa: la denuncia dell’ Unipol da cui era scaturito il blitz era sbagliata, le intercettazioni erano state rese pubbliche non da un reato del giornalista ma dall’ errore di un magistrato. Anche le intercettazioni tra Matteo Renzi e il generale della Gdf Michele Adinolfi, due anni fa, costarono a Vincenzo Iurillo del Fatto l’ acquisizione da parte degli inquirenti di tutto il contenuto del suo computer, salvo poi scoprire che l’ unico atto illegittimo era stato l’ attacco alla memoria informatica del giornalista.

Direttore di giornale condannato a 3 anni per un Tweet “gulenista”

Il Fatto Quotidiano
Marco Barbonaglia
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In attesa della sentenza del maxi-processo nel quale sono imputati oltre una dozzina tra giornalisti e amministratori del giornale d’ opposizione Cumhuriyet, il direttore del quotidiano online Oguz Guven è stato condannato ieri, da un tribunale di Istanbul, a 3 anni e un mese per propaganda terrorista. Guven era stato arrestato a maggio dopo un tweet postato sull’ account del giornale sulla morte di Mustafa Alper, procuratore capo della provincia di Denizli, nella Turchia occidentale. Magistrato che, per primo, aveva avviato un’ inchiesta su Fethullah Gülen dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016, del quale il predicatore che vive in Pennsylvania è ritenuto da Ankara organizzatore e mandante. Il 10 maggio un camion aveva centrato l’ auto sulla quale viaggiava Alper, uccidendolo. Nel tweet c’ era scritto che il procuratore era stato “falciato” da un camion. Meno di un minuto dopo era stato cancellato e sostituito da un altro tweet nel quale si leggeva che il magistrato era morto in un “tragico incidente”. “Tutto ciò di cui sono colpevole – ha dichiarato Guven – è una parola scritta per errore e cancellata 52 secondi dopo la pubblicazione”. Per i giudici, il direttore è invece colpevole di avere legami con la rete di Gülen e della “pubblicazione di dichiarazioni che legittimano e incoraggiano i metodi violenti utilizzati dal gruppo terrorista del Pkk”. Per lui, uscito dal carcere a giugno dopo oltre 30 giorni di custodia cautelare, il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 12 anni. La sentenza arriva in un momento difficile per lo storico quotidiano laico della Turchia. I cronisti e gli amministratori del Cumhuriyet sotto processo (tra i quali il direttore Murat Subuncu) sono accusati di avere legami con i gulenisti, il Pkk oppure gli estremisti di sinistra del Dhkp/c e rischiano fino a 43 anni di carcere. A oggi, in Turchia, almeno 150 giornalisti si trovano in prigione, un dato già noto e confermato ieri da Sibel Gunes dell’ Associazione dei giornalisti turchi.

La Gabanelli sbarca sul Corriere.it

Il Giornale

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Milena Gabanelli ha firmato un accordo di collaborazione con il Corriere della Sera per una video-striscia su corriere.it e i suoi social, inchieste sul quotidiano in edicola e la partecipazione a trasmissioni di approfondimento di La7. «Siamo molto orgogliosi di dare voce a Milena tra le grandi firme del nostro giornale – ha dichiarato Luciano Fontana, direttore del Corriere -. Con forza, capacità d’ analisi e profondità d’ inchiesta, sperimenteremo insieme una nuova frontiera del giornalismo e del data journalism». La video-striscia quotidiana del racconto per numeri e mappe approderà su corriere.it e i suoi social. «È con particolare soddisfazione che do il bentornato al Corriere e il benvenuto a La7, dove parteciperà come ospite a nostre trasmissioni di approfondimento», ha detto Urbano Cairo, presidente e ad di Rcs e presidente di LA7.

Fake e non solo, il network di 160 siti gestito in famiglia

La Repubblica
carlo brunelli,
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roma Un nstwork italiano lsga siti di politica, nsws, fsds rsligiosa, proclami nazionalistici s disinformazions. Appartisns a Giancarlo Colono, fsrvsnts cattolico s nazionalista, coms apprsndiamo dai suoi profili sui social nstwork. Lo rivsla un’ inchissta di Buzz-Fssd chs ha collsgato dscins di siti s pagins social scoprsndo chs sono tutti di propristà dslla stsssa socistà, la Wsb365. Un’ azisnda a conduzions familiars composta da 6 psrsons più un tsam di giornalisti, a dstta dsl propristario. 175 siti gsstiti in famiglia, nonostants il fratsllo Davids risulti dipsndsnts di un’ altra azisnda di marksting onlins, la NsxtMsdiaWsb, a sua volta propristaria di circa 60 domini s sscondo quanto sostisns Buzz-Fssd – di propristà di un altro msmbro dslla famiglia Colono. Il msccanismo di qussts azisnds psr guadagnars è ssmplics: un solo propristario distro dscins di siti, un unico account pubblicitario, tanto clickbait s il guadagno è assicurato. Psr trovars milioni di utsnti chs visitano i propri domini, ci sono dus modi. Il primo è intsrcsttars ls passioni dsgli italiani: il calcio, ls scommssss sportivs, il bsnssssrs, la saluts. Il sscondo è parlars alla pancia dsl Passs, sfruttando tsmi caldi: gli immigrati, la crisi, i politici. Si aggiunga un tocco di ssnsazionalismo s un titolo chs invita a cliccars sd scco chs il nstwork dsi fratslli Colono divsnta una macchina da click. La pagina più importants, Dirsttansws, contava circa 3 milioni di liks s nsll’ ultimo anno ha ottsnuto più di 5 milioni di condivisioni. Un unico filo conduttors lsga i siti, il titolo ssnsazionalistico s i titoli clickbait sui social nstwork: ” Incrsdibils, 10 minuti s il tumors spariscs”, ” Stuprata da un profugo: si suicida. Il dramma di Angslica”, ” Clamoroso Laura Boldrini è stata dsnunciata: scco psrchè”. Proprio la prssidsnts dslla Camsra, una dslls vittims dsgli attacchi dsi siti di disinformazions, ha dichiarato a BuzzFssd : ” È un ssrio psricolo. l’ indagins rivsla chs ci sono milioni di cittadini italiani vittims dslla disinformazions”. Ma non sono solo bufals. Dopo la strstta di Facsbook nisnts più notizis invsntats, ma vsrs, copiats dai quotidiani, citati in calcs, rsss più pruriginoss o indignanti tramits titoli sui social s piccoli trafilstti introduttivi carichi di odio. Oggi di qusllo chs è stato rivslato dall’ inchissta di BuzzFssd rssta molto poco. Facsbook ha oscurato tutts ls pagins di Wsb365. Ma i siti sono ancora onlins, pronti a tornars protagonisti dsi social italiani. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Milena Gabanelli riparte al Corriere «La mia sfida per un web d’ inchiesta»

Corriere della Sera
di Paolo Conti
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Milena Gabanelli torna a collaborare stabilmente con il Corriere della Sera con un progetto innovativo: una video-striscia quotidiana su Corriere.it dove ogni giorno, in cinque minuti circa, la giornalista analizzerà un argomento con numeri, mappe, infografiche, video-animazioni, ovvero con gli strumenti del data journalism. Contemporaneamente Gabanelli approderà a La7 come ospite nelle trasmissioni di approfondimento della Rete. L’ accordo è stato annunciato ieri da Rcs. «Il Corriere della Sera è la casa del giornalismo italiano e Milena Gabanelli è una grandissima giornalista, una fuoriclasse, perché incarna il giornalismo che ci piace, fatto di contenuti chiari, utili e di servizio – ha detto Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato di Rcs MediaGroup e presidente di La7 -. È con particolare soddisfazione che le do il bentornato al Corriere della Sera e il benvenuto a La7, dove parteciperà come ospite alle nostre trasmissioni di approfondimento». Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera : «Siamo molto orgogliosi di dare voce a Milena tra le grandi firme del nostro giornale. Con forza, capacità d’ analisi e profondità d’ inchiesta, sperimenteremo insieme una nuova frontiera del giornalismo e del data journalism, esplorando anche nuovi format di fruizione e di linguaggio, aprendo insieme nuove strade per il futuro della nostra professione». Commenta Milena Gabanelli, che ha dato addio alla Rai il 15 novembre dopo aver annunciato le dimissioni da viale Mazzini il 31 ottobre: «Ormai non mi interessa più la visibilità televisiva. Mi interessa invece, e molto, lavorare sulle piazze virtuali, lì dove si formano le classi dirigenti di domani e dove scarseggia l’ informazione di qualità. Le fake news si combattono solo con le news verificate, dunque autentiche, e approfondite». L’ idea di Gabanelli è riuscire a ridurre, nello spazio di cinque minuti quotidiani, le caratteristiche di una notizia complessa permettendo al lettore di raggiungere rapidamente i necessari link per gli approfondimenti. Dunque una formulazione agile ma che nasconde dentro di sé una grande quantità di informazioni e di arricchimenti. Milena Gabanelli interverrà naturalmente anche sulla tradizionale versione cartacea del giornale con inchieste e approfondimenti. In più – spiega la giornalista diventata famosa con l’ esperienza televisiva di «Report», il programma che ha condotto per dieci anni – il frutto di questo lavoro irrobustirà ogni giorno un «data base» destinato ad essere continuamente aggiornato dal lavoro quotidiano di tutti i giornalisti del Corriere . Il contratto, spiega la giornalista, partirà il 1 dicembre prossimo e l’ esordio della striscia quotidiana avverrà a gennaio. «Realizzerò per il Corriere della Sera quella striscia quotidiana serale che avevo proposto alla Rai e che l’ azienda ha respinto», spiega Gabanelli: «Dopo anni passati ad indagare temi trasversali, c’ è la necessità e il dovere di proporre anche soluzioni, là dove si intravedono. La prima battaglia, la più importante, è quella di imporre il principio della meritocrazia. È proprio l’ assenza di competenza e senso di responsabilità alla base dei tanti problemi del nostro Paese». Non solo giornalismo di denuncia, dunque, ma anche strumento di conoscenza e di possibile crescita per il sistema Paese. Milena Gabanelli aveva lasciato la Rai dopo aver rifiutato l’ offerta finale di una condirezione di Rainews 24 al fianco di Antonio Di Bella. La giornalista aveva spiegato che la sua scelta nasceva dalla fine del progetto iniziale per il quale era stata assunta dall’ allora direttore generale Rai Antonio Campo Dall’ Orto: ovvero la realizzazione di un innovativo Portale Web della Rai che potesse ricorrere al contributo di tutti i giornalisti dell’ azienda.

Nuova vita per le edicole: saranno anche info point

Quotidiano di Puglia

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d Nuova vita per le edicole. Lecce sarà la seconda città in Italia dopo Milano a puntare sul loro rilancio. Chioschi e rivenditorie presto forniranno ai cittadini non solo giornali e periodici ma anche un ampio ventaglio di servizi, che andranno dai certificati dell’ anagrafe alle informazioni turistiche, dai biglietti di concerti ed eventi di punta ai ticket per mensa, bus urbani e sosta. Dal piano delle idee questa rivoluzione sta passando in fretta a quello della realtà. La Giunta di Palazzo Carafa ieri ha deliberato a favore dell’ atto di indirizzo proposto dall’ assessore alle Attività Produttive Paolo Foresio, che già nelle scorse settimane aveva incontrato gli edicolanti per condividere con loro il percorso che l’ amministrazione aveva intenzione di intraprendere. Una notizia accolta anche dai sindacati di categoria con molto entusiasmo vista la crisi che da anni attanaglia il settore. A Lecce, ad oggi, sono attive 105 rivendite di quotidiani e periodici e di queste 78 sono punti esclusivi. Negli ultimi tre anni, però, ben 8 – per lo più si è trattato di chiostri – hanno abbassato le loro saracinesche per non riaprirle più. Una crisi, quella delle edicole, che non riguarda solo il Comune capoluogo ma tutto il paese tanto da diventare l’ oggetto di un protocollo d’ intesa firmato lo scorso 2 ottobre dall’ Anci, l’ Associazione Nazionale Comuni Italiani, e dalla Fieg, Federazione Italiana Editori Giornali. L’ accordo, pur rimarcando la necessità di incentivare l’ acquisto di giornali e periodici, rilancia l’ immagine dei punti vendita, ai quali viene offerta la possibilità di ampliare le categorie di beni e servizi. Il Comune intende «proseguire ed incrementare le azioni tese a realizzare una rete di informazione turistica diffusa e strategicamente collocata sul territorio», trasformando le edicole in info -point turistici (almeno quelle del centro) e coinvolgendole nella promozione dei grandi eventi. Poi, ancora, «creare una rete di nuovi servizi a favore dei quartieri, anche agendo sull’ implementazione degli strumenti digitali e sulla semplificazione», e a questa voce appartiene il rilascio di certificazioni anagrafiche, delle credenziali Spid (Sistema Pubblico di Identità Digitale) e dei servizi on line del Comu ne, oltre all’ acquisto dei buoni pasto per le mense scolastiche. Infine, «migliorare e adeguare le strutture delle edicole, consentendo loro di restare al passo con le esigenze urbanistiche e del territorio», con la possibilità, quindi, di trasformarsi in chioschi di nuova concezione, più avanzati dal punto di vista tecnologico. «Saremo la seconda città in Italia a fare tutto questo – commenta Foresio – e ne vado molto fiero. Già dai banchi della minoranza, infatti, avevo proposto alla precedente amministrazione di intraprendere un simile percorso di innovazione per le edicole, che in questo modo saranno sempre più frequentate da turisti e residenti per via dei tanti servizi in più che andranno a fornire. Entrando per fare un certificato o per comprare il biglietto di un concerto, chi abitualmente non lo fa magari ne approfitterà per comprare il giornale. In questo modo, avremo raggiunto anche l’ obiettivo finale: quello di incoraggiare la lettura e la diffusione della carta stampate, indispensabile per un’ opinione pubblica più consapevole e informata». I.Mar.

Lunedì alle 11 cerimonia di consegna del Premio di giornalismo Francesco Landolfo, all’ Istituto …

Il Mattino

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Lunedì alle 11 cerimonia di consegna del Premio di giornalismo Francesco Landolfo, all’ Istituto di Cultura Meridionale in via Chiatamone 63. Il Premio, sesta edizione, a undici anni dalla scomparsa di Franco Landolfo, ricorda l’ impegno del giornalista, segretario dell’ Ordine dei giornalisti della Campania, già vicedirettore del quotidiano Roma, fondatore dell’ Arga Campania. Ecco i premi assegnati dalla giuria: carta stampata ex aequo Eroina? Meglio il provolone di Maria Elefante (Famiglia Cristiana), Napoli, per lo smog livelli da primato di Antonio Folle (Roma). Menzione speciale Porte aperte, ecco il depuratore di Gradelle di Antonino Siniscalchi (Il Mattino), Sant’ Antuono, benvenuto Carnevale di Claudia Bonasi (Il Mattino). Radio e tv ex aequo Piano di evacuazione, rischio Vesuvio di Roberto D’ Antonio (La7), Un bivio per via Krupp di Daniele Morgera (Rai). Menzione speciale Aira alla Commissione Ecomafie: fermate i demolitori disonesti di Monica D’ Ambrosio (Ricicla Tv), Con i carabinieri forestali sul Vesuvio dopo i roghi di Nello Fontanella (Il Mattino Tv). Per internet ex aequo Incendi, i rifugiati sentinelle sul Vesuvio di Carmine Alboretti (Paginevesuviane.it), Pozzuoli, veleni e camorra: così muore la Foresta di Cuma di Gennaro Del Giudice (Cronacaflegrea.it). Menzione speciale Così lo Stato è stato truffato con le ecoballe di Agata Marianna Giannino (Il Giornale.it), Non è soltanto Pummarola di Giuseppe De Silva (Kompetere Journal), Una notte con agenti sentinella nelle discariche abusive di Giugliano di Maria Rosaria Ferrara (TeleclubItalia.it)

Rassegna Stampa del 23/11/2017

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Indice Articoli

Domande di contributi alle tv locali al via online

Sky al contrattacco su hi-tech e contenuti

Mediaset sperimenta le pubblicità hi-tech

Corsera alla conquista di Torino

Arriva Sky Q, la tv si vede ovunque

Chessidice in viale dell’ Editoria

Smart tv, Publitalia ’80 vara due nuovi format pubblicitari

La Rai cerca immobili a Roma e Milano

Distinguere le «bufale» è sempre più difficile Ormai sono un’ industria

Arriva Sky Q, il decoder che sembra un computer

Rivoluzione tecnologica

Con il precariato per i giovani rischiamo l’ assottigliamento dell’ attività giornalistica, dice Laura Boldrini, incontrando i rappresentati dei giornalisti. Necessari rigore contro hate speech e fake news

Multi-visione e navigazione più facile La tv satellitare lancia «Sky Q»

Sky Q nuova frontiera della tv Palinsesto fai da te su tutti gli schermi

STrump mette le ganasce a internet per spennare i giganti dell’on line

«Rilanciamo le edicole»

Domani i giornalisti in piazza «Non casta, categoria a rischio»

I rappresentanti dei giornalisti in piazza: “Un giornalismo precario rende precaria la democrazia” – Articolo21

Domande di contributi alle tv locali al via online

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Sono particolarmente soddisfatto perché abbiamo mantenuto gli impegni presi di cambiare le regole farraginose che negli anni scorsi hanno prodotto grandi problemi alle emittenti locali». Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha commentato così il regolamento che riforma il sistema dei contributi all’ emittenza radiotelevisiva locale che da ieri ha visto l’ entrata in funzione del suo “braccio operativo”: la piattaforma telematica del Mise per la presentazione delle domande del contributo denominata Sicem (Sistema Informativo per i Contributi alle Emittenti Locali). «Con il nuovo regolamento e con l’ aumento delle risorse disponibili grazie al recupero dell’ evasione sul canone Rai, ci sono più certezze per le emittenti radio tv», ha aggiunto Giacomelli. Il nuovo regolamento supera la precedente erogazione a pioggia e, prevedendo criteri selettivi di merito come richieste sul numero dei dipendenti, limiti alle televendite e altro, punta a ridare slancio a un settore che si lecca le ferite: nel solo 2015 (ultimo dato di pubblicazione dei bilanci aggregati) secondo lo Studio economico del settore televisivo privato pubblicato da Confindustria Radio Televisioni le imprese del settore hanno lasciato sul terreno il 10% del fatturato. Le domande per i contributi potranno essere presentate solo in via telematica. Fino al prossimo 21 dicembre le emittenti radio e tv locali potranno presentare le domande online per richiedere i contributi 2016; a gennaio si aprirà la finestra per richiedere i contributi 2017 mentre per i contributi 2018 la presentazione delle domande sarà possibile per tutto il mese di febbraio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sky al contrattacco su hi-tech e contenuti

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Quando vedo contenuti che vengono regalati insieme con un’ aspirapolvere sento un po’ di fastidio, lo confesso». L’ amministratore delegato di Sky Italia, Andrea Zappia, non usa giri di parole durante la presentazione di Sky Q, il nuovo set top box di Sky già lanciato in Uk, che ora arriva in Italia e presto sarà disponibile anche in Germania e Austria, a completare la geografia della Sky paneuropea. Il riferimento, tacito ma abbastanza chiaro, sembra in questo senso andare ad Amazon e alla sua offerta Prime Video. È altrettanto evidente però che il ragionamento va a estendersi a tutto l’ universo degli Over the top con cui la tv – e una pay tv come Sky – si trova a competere. «Quello che stiamo presentando oggi – aggiunge Zappia – è il frutto della nostra passione, che abbiamo da sempre e ancora oggi sulla cultura e l’ innovazione, tutto seguendo le regole» Il settore dei media, ha poi spiegato il ceo Sky, «è centrale per la cultura e lo sviluppo di un Paese. Ma solo se i suoi economics sono solidi e trasparenti e se al centro ci sono il lavoro e la creatività delle persone il sistema può reggere». Sky Q, conclude Zappia, «è frutto di investimenti, non arriva per caso, arriva perché ci sono idee, pianificazione, investimenti molto importanti. Tutto questo non ci sarebbe stato senza regole o con regole diverse». La pay tv della galassia Murdoch cala così anche sul mercato italiano quello che dall’ azienda non fanno mistero di considerare un asso hi-tech, «un tassello fondamentale di questa azienda che ha fatto dell’ innovazione tecnologica e culturale il suo tratto distintivo per un impegno che abbiamo quantificato in 32 miliardi di euro generati da Sky nell’ economia del Paese. Siamo un’ azienda con 4.600 dipendenti, cresciuti del 19% negli ultimi cinque anni, un periodo peraltro non facile». Sarà prenotabile da oggi (l’ oferta è a pagamento) e la commercializzazione di Sky Q partirà il 29 novembre. «Non chiamatelo decoder» ha tenuto a precisare Zappia. In sostanza si tratta di un super «set top box» in grado di permettere visione multipla di programmi, su vari device (5 contemporaneamente, per un massimo di due tablet e 3 tv, e fino a 4 registrazioni nello stesso momento), on demand (riprendendo da dove si vuole la visione del programma nello stesso punto in cui è stato lasciato) e attraverso una piattaforma nuova pensata per facilitare il contatto del cliente con le sue preferenze, anche attraverso consigli. «Abbiamo le stesse sensazioni e lo stesso entusiasmo del 2003, quelli degli inizi» ha concluso il ceo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset sperimenta le pubblicità hi-tech

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Pubblicità pensate ad hoc per le smart tv sui canali della tv lineare free. Mediaset è la prima concessionaria in Italia a spingere su questa innovazione hi-tech legata all’ evoluzione degli standard televisivi che, grazie alle tv connesse, permette pubblicità profilata per base geografica e abitudine d’ acquisto anche sul free. «Siamo molto soddisfatti del successo di mercato di questi nostri formati innovativi che rispondono perfettamente alla crescente richiesta di nuove soluzioni di comunicazione da parte di clienti e agenzie. Soluzioni che tengono conto dei cambiamenti del consumatore e delle nuove modalità di fruizione e interazione con contenuti sia editoriali che pubblicitari», ha detto Stefano Sala, amministratore delegato di Publitalia ’80, la concessionaria tv del gruppo di Cologno. Sul versante pratico lo spot tabellare, come spiega una nota di Mediaset, viene potenziato attraverso la sovraimpressione di un overlay interattivo che, con un “ok” dal telecomando, conduce a un informazioni supplementari come filmati di approfondimento, immagini e promozioni. Insomma, un avanzamento hi-tech nell’ adv per dare battaglia sul fronte pubblicitario ai broadcaster diretti competitor, ma anche agli Ott e a quei Google e Facebook che stanno guadagnando quote sul mercato italiano. Quanto al versante televisivo, stando agli ultimi dati Nielsen nel consolidato gennaio-settembre Mediaset (con 1,4 miliardi su 2,6 totali del mercato) ha perso lo 0,8 per cento. Il Gruppo di Cologno si attende, come emerso dall’ ultima presentazione dei conti, una chiusura d’ anno in progresso dello 0,5 per cento. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Corsera alla conquista di Torino

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Domani il Corriere della Sera debutta ufficialmente col nuovo inserto locale a Torino. E non finisce lì: il quotidiano milanese studia lo sbarco anche in altre città, di cui Genova può essere solo un esempio. Nel frattempo, Corriere Torino arriva nel capoluogo sabaudo con 28 pagine dedicate e una tiratura da quasi 40 mila copie. In pagina, a partire dalla prima con importanti fotografie, c’ è l’ attualità ritenuta di maggior interesse popolare, ci sono le inchieste, molta cronaca sulla città e dalla sua provincia, con una pagina riservata alle Persone del territorio, e ancora c’ è molta attenzione agli spettacoli con tanto di guida agli appuntamenti culturali, ogni giovedì. Lo sport si apre, invece, anche ai tornei amatoriali e inaugura due rubriche, a firma rispettivamente di Massimo Gramellini e Massimo Giletti. Sono questi numeri e strategie editoriali dell’ editore Urbano Cairo e del direttore del Corsera Luciano Fontana, insieme al responsabile del dorso torinese Umberto La Rocca e della sua squadra (la lista completa su ItaliaOggi del 8/11/2017), per conquistare Torino. Una città difficile non foss’ altro perché fortemente affezionata al suo quotidiano storico La Stampa, diretta da Maurizio Molinari, e dove viene diffuso anche il più popolare Cronacaqui. Ma si tratta anche di una città «non così differente da Milano», spiega a ItaliaOggi Fontana. «È la seconda capitale del Nord Italia, con molto da raccontare sulla sua cultura e storia imprenditoriale. Il debutto di domani permette al Corriere di presidiare meglio il Nord Italia, già coperto dall’ Alto Adige fino a Firenze». All’ impresa piemontese contribuiscono anche varie firme del quotidiano meneghino di via Solferino 28, tra cui l’ ex direttore Ferruccio de Bortoli, Ernesto Galli della Loggia, Claudio Magris, Pietro Ichino, Gian Antonio Stella e poi Giangiacomo Schiavi, Fiorenza Sarzanini, Marco Imarisio e Danilo Taino. Domanda. Direttore, perché la scelta è caduta proprio su Torino, a parte che Cairo è piemontese e presidente del Toro? Risposta. Il progetto era in campo da tempo. L’ editore ci teneva come tiene ad altri progetti. Il punto di svolta è stato, come in diverse occasioni, trovare il punto di equilibrio economico. Noi eravamo poco presenti in quell’ area geografica, quindi abbiamo margini per crescere sia nelle vendite sia nelle inserzioni pubblicitarie. D. E dopo Torino l’ espansione continuerà? Per esempio, a Genova o in Veneto? R. Non escludo altre iniziative locali, ma al momento non c’ è nulla in programma. Torino è un punto di partenza, innanzitutto da un punto di vista di copertura dell’ intera regione. Ma prima vanno consolidati i risultati iniziali. In Veneto, abbiamo 5 edizioni locali ed è la seconda nostra regione per vendite. D. Ha sentito il direttore Molinari o Mario Calabresi, direttore di Repubblica (sempre gruppo Gedi e anch’ essa presente a Torino)? Peraltro, ieri Repubblica ha lanciato il suo nuovo corso. Sembra un periodo di concorrenza a colpi di novità… R. Non ho parlato con Molinari o Calabresi. Semplicemente non è capitato. Ma, a proposito di concorrenza, penso che tutti i quotidiani si debbano muovere per costruire una platea di lettori che riconosca il valore del buon giornalismo. Poi ognuno procede individuando il proprio percorso di crescita. D. E non ha timore delle nuove iniziative di Repubblica sul digitale? R. Il Corriere della Sera veleggia verso i 40 mila abbonati digitali al solo sito web, a distanza di solo un anno e mezzo dalla presentazione della nostra nuova offerta commerciale. Complessivamente, superiamo i 100 mila sottoscrittori digitali. E senza cannibalizzazione del traffico per Corriere.it. Sempre in un’ ottica di futuro digitale, infine, è appena approdata in via Solferino Milena Gabanelli con la sua videostriscia di 5′ su attualità, grandi temi e big data. D. Tornando a Torino e al giornale di carta, il Corsera come pensa di fare la differenza? R. Penso a un mix focalizzato anche e soprattutto sulla cronaca locale e sul racconto di una città vivace. Ci concentriamo su Torino e provincia, almeno per il momento. Io ho molti dubbi sulle cronache regionali in un paese come l’ Italia dove ogni provincia ha specificità e campanili propri. Credo che la giusta ricetta editoriale sia molta cronaca locale accompagnata dalla cronaca nazionale. E per farlo abbiamo, in media, 20-24 pagine fino a un massimo di 28. Corriere Torino verrà distribuito in tutta la regione perché le decisioni prese nel capoluogo vengono vissute in tutto il Piemonte. D. E farete meno politica, ché tanto annoia i lettori… R. La politica va coperta sui temi e le decisioni che impattano sulla vita della gente. Se dobbiamo parlare di discussioni, variazioni su un tema sempre uguale o approssimazioni, allora l’ interesse cala. Da Torino ci concentreremo su grandi scenari, momenti di svolta e anche personaggi dal territorio meno conosciuti. D. Almeno la giunta della sindaca 5Stelle Chiara Appendino vi darà molti spunti… Anche se non sempre il Movimento ha rapporti sereni con la stampa… R. La giunta attuale è una novità politica interessante. Nel bene e nel male. È sicuramente una bella esperienza da raccontare.

Arriva Sky Q, la tv si vede ovunque

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il gruppo Sky Italia, nato nel 2003, ha prodotto, finora, un impatto positivo di 32 miliardi di euro sull’ economia italiana. Lo dice con un certo orgoglio Andrea Zappia, amministratore delegato della media company, che ricorda pure come «al momento Sky Italia ha 4.600 dipendenti, in crescita del 19% rispetto a cinque anni fa». Certo, il numero di abbonati è rimasto più o meno fermo nel corso del medesimo periodo, attestandosi attorno a 4,7-4,8 milioni di unità, e bisognerà vedere se l’ aumento dei prezzi dell’ 8,6%, a partire dallo scorso 1° ottobre, avrà degli impatti negativi sulla base clienti. Dalle parole di Zappia, pronunciate nel corso della presentazione della nuova piattaforma Sky Q, si capisce comunque come il suo gruppo televisivo non veda più in Rai o Mediaset i nemici numeri uno. Con Rai, anzi, si tratta sia per i diritti tv della Formula Uno, sia per l’ asta per i diritti tv 2018 dei Mondiali di calcio in Russia, sia per una eventuale spartizione dei diritti in chiaro della Champions league 2018-2021, mentre con Mediaset c’ è una posizione omogenea sui temi dei calendari della Serie A di calcio e delle partite di cartello da mettere in onda in orari di punta per la tv italiana. C’ è tregua col Biscione, perché i veri nemici sono altri (Amazon, Netflix, YouTube ecc), quelli che vengono da Oltreoceano e sono molto diversi dai tradizionali broadcaster televisivi: «Sky Italia è parte di un gruppo europeo, e compete nel globo. I nostri competitor sono a loro volta globali», spiega Zappia, «ma hanno vantaggi competitivi inimmaginabili rispetto a noi che rispettiamo le leggi, i regolamenti e la fiscalità». Riecheggiano, insomma, le frasi che ripete sempre Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, in testa all’ assemblea annuale dei soci del Biscione. Sky, tuttavia, rivendica una sua peculiarità nella spinta all’ innovazione tecnologica e allo sviluppo di una nuova concezione di approccio e consumo dei contenuti. «E, con la presentazione di Sky Q, per noi è come tornare al 2003, quando tutto è cominciato. C’ è la stessa euforia, stiamo rompendo i paradigmi per migliorare l’ esperienza del cliente». Col nuovo decoder, «ma guai chiamarlo decoder», Sky Q (in vendita dal 29 novembre) cerca di rispondere a tutti i nuovi modi di vedere la tv, lineare, on demand, registrata: in casa si possono collegare cinque schermi tv contemporaneamente, via wi-fi e senza fili, portando la qualità in tutte le stanze e senza «dover tirare fili», interrompendo la visione su uno schermo di una stanza per riprenderla esattamente da quel punto sullo schermo di un’ altra stanza. Di questi cinque schermi tv, tre possono andare contemporaneamente con segnali diversi. L’ hard disk di Sky Q ha una memoria di due terabyte, è possibile registrare quattro cose mentre se ne vede una quinta. Le cose che si vedono sugli schermi delle tv di casa possono essere riprese pure su due device mobili. Che poi, fuori casa, possono comunque consentire la visione dei contenuti downloadati o registrati, senza consumare giga. Le serie tv on demand saranno fruibili «alla Netflix», nel senso che alla fine di un episodio parte subito il successivo, ci sarà una home di Sky Q con una sezione My Q che proporrà contenuti raccomandati in base ai gusti di ciascun singolo cliente. Saranno pure caricate varie app, sia di Sky sia di partner esterni. Entro marzo 2018 si partirà con i contenuti in 4K HDR (e qui l’ invito è di cambiare la tv, per gustare al meglio l’ innovazione), e verrà commercializzato anche uno Sky Q più basico (il Black, che si differenzia dal Platinum). Nell’ estate 2018 sarà la volta di Soundbox, in collaborazione con Devialet, con un software per sentire ogni sport e ogni film o serie con livelli audio tarati ad hoc. Ed entro settembre del prossimo anno il nuovo telecomando di Sky Q attiverà il servizio a comandi vocali. Come detto, dal 29 novembre sarà possibile, in tutte le case con una connessione internet fissa, installare Sky Q Platinum e un mini Sky Q in un’ altra stanza al costo di 199 euro. I mini Sky Q aggiuntivi costano invece 69 euro ciascuno. Le funzionalità Sky Q Plus comporteranno spese aggiuntive mensili da 4 euro (per i clienti di lungo corso) a 15 euro (clienti nuovi o con meno di sei anni di anzianità). © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Al via richiesta dei contributi per tv e radio locali. Fino al 21 dicembre le emittenti radio e tv locali potranno presentare le domande online per richiedere i contributi 2016; a gennaio si aprirà la finestra per richiedere i contributi 2017 mentre per i contributi 2018 la presentazione delle domande sarà possibile per tutto il mese di febbraio. È quanto ha reso noto ieri con una nota il ministero per lo sviluppo economico. Dopo 40 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento che disciplina i nuovi criteri per la concessione dei contributi annuali di sostegno all’ emittenza radiotelevisiva locale e dopo l’ adozione lo scorso 20 ottobre del decreto ministeriale (pubblicato sulla G.U. del 10 novembre), è disponibile da ieri la piattaforma telematica per la presentazione delle domande del contributo, denominata Sicem (Sistema informativo per i contributi alle emittenti locali), realizzata grazie a un progetto congiunto messo a punto da due direzioni generali (Dgrob e Dgscerp) del Mise. I brand digitali del gruppo Mondadori su Google Play Edicola. Tra i siti che vanno ad arricchire il catalogo di Google Play Edicola sono già disponibili: Casabella, CasaFacile, Donna Moderna, Focus, Focus Junior, Giallo Zafferano, Grazia, Icon, Icon Design, Il mio Papa, Interni, Nostrofiglio, Panorama, Panorama Auto, Sale&Pepe, Starbene, Tustyle, Tv Sorrisi e Canzoni. Google Play Edicola è la app di Google attraverso la quale è possibile attivare un abbonamento, gratuito o a pagamento, a riviste, blog e giornali e leggerne i contenuti ottimizzati per la fruizione da smartphone o tablet. Vanity Fair su Amazon Prime Now. Per la prossima stagione dello shopping natalizio Amazon Prime Now, il servizio di consegna entro un’ ora oppure in finestre a scelta di due ore, consentirà ai propri abbonati di aggiungere al carrello di ogni acquisto Amazon una copia di Vanity Fair gratis. È la prima volta in Italia che un giornale viene consegnato da Amazon. L’ operazione sarà attiva a Milano e in 46 comuni dell’ hinterland: Al via Gazzetta Fan News. Ha debuttato ieri la piattaforma partecipativa Gazzetta Fan News, pensata per dare voce e rilevanza al contributo di tutti gli appassionati che hanno sempre sognato di scrivere di sport: sarà realizzata con contenuti completamente prodotti dagli utenti. Il progetto, selezionato da Google per il round 2016 di Dni (Digital News Initiative), è stato sviluppato in meno di un anno ed è pronto in versione beta all’ indirizzo www.gazzettafannews.it. Per partecipare basta registrarsi al sito e inviare una candidatura con un breve articolo di prova. La Gazzetta dello Sport sceglierà gli autori migliori pubblicando gli articoli più interessanti tra quelli ricevuti. Gli utenti di Facebook potranno scoprire di aver seguito Fake News russe. Gli utenti di Facebook potranno presto scoprire se abbiano seguito dei contenuti falsi creati dai russi durante la campagna presidenziale statunitense. Il social network ha annunciato che creerà un portale dove i suoi utenti potranno scoprire se abbiano seguito o messo un «like» a una delle 290 pagine Facebook o account di Instagram creati da una società russa per portare avanti una campagna di disinformazione durante la scorsa campagna elettorale. Lo strumento di ricerca, ha fatto sapere Facebook con un post sul suo blog, sarà operativo alla fine dell’ anno nel Facebook Help Center. YouTube e Twitch, più pubblicità per far fronte a costi elevati. La fine della cosiddetta «net neutrality», la neutralità della rete, proposta dal presidente della Fcc, Ajit Pai, potrebbe costare caro ai servizi di streaming come YouTube di Alphabet e Twitch di Amazon, che utilizzano la banda larga. A dichiararlo è l’ analista Michael Pachter di Wedbush Securities. Al contrario di Netflix e altri servizi streaming, YouTube e Twitch offrono i propri contenuti in modo completamente gratuito, perciò si troverebbero ad affrontare le nuove eventuali spese per avere banda senza poter usufruire del contributo degli utenti. Tali piattaforme saranno costrette, probabilmente, a pubblicare un maggior numero di annunci pubblicitari in modo da compensare le spese più elevate. Integer per X Factor Music District. Integer, l’ agenzia di shopper retail marketing, eventi e promo&activation del Gruppo TBWA Italia, ha collaborato con Sky Italia alla realizzazione di X Factor Music District, l’ area milanese (in Corso Garibaldi 115) dedicata al talent show di Sky e ai suoi artisti. I fan potranno assistere gratuitamente a concerti e live session dei loro beniamini che si esibiranno sul palco e sarà anche presente la radio partner ufficiale, Rtl 102.5, con le dirette live quotidiane.

Smart tv, Publitalia ’80 vara due nuovi format pubblicitari

Italia Oggi

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Publitalia ’80 lancia nuovi formati pubblicitari per smart tv. La concessionaria del gruppo Mediaset presenta infatti Add+Plus, le soluzioni promozionali per smart tv, on air sui canali dell’ emittente lineare in chiaro, da Canale5, Italia1 e Rete4 a tutti i canali tematici della tv di Cologno Monzese, vicino Milano. Nel concreto, con Add+Plus lo spot tabellare viene potenziato attraverso la sovraimpressione di un overlay interattivo, o interfaccia (Add+Over) che, con un semplice ok dato col telecomando, permette al brand di estendere la campagna all’ interno di un minisito televisivo con informazioni supplementari a disposizione del telespettatore. I contenuti aggiuntivi possono essere filmati di approfondimento, immagini e promozioni. Col formato Add+Inside, invece, viene portata in primo piano, all’ attenzione del pubblico tv, una cornice creativa all’ interno dello stesso contenuto editoriale che, a sua volta, consente l’ accesso al minisito. «Le campagne, on air dallo scorso luglio, hanno generato oltre 37 milioni di view e restituito ottime evidenze in termini di engagement dell’ utente», hanno precisato ieri con una nota dalla concessionaria del gruppo Mediaset guidata dall’ amministratore delegato Stefano Sala.

La Rai cerca immobili a Roma e Milano

Libero

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FOSCA BINCHER La Rai è pronta a fare i classici scatoloni del trasloco e a cambiare sede per il suo quartiere generale di Roma e per gli studi televisivi di Milano. L’ azienda presieduta da Monica Maggioni e guidata da Mario Orfeo ha infatti pubblicato due indagini di mercato per la ricerca di immobili per le sue nuove sedi. In entrambi i casi cerca contratti di affitto tradizionali con la formula 6+6 per fare traslocare chi oggi occupa il celebre palazzo centrale di viale Mazzini davanti a cui c’ è il cavallo dello scultore Francesco Messina, e chi è sparso nel capoluogo lombardo in diversi studi di registrazione. A Roma la ricerca riguarda un palazzo con superficie fuori terra fino a 30 mila metri quadrati in grado di ospitare nei suoi uffici fino a 1.400 postazioni di lavoro. La sede deve essere all’ interno del grande raccordo anulare, e preferibilmente nei quartieri di Roma Nord, non troppo distante dall’ attuale palazzo di viale Mazzini, da cui si deve andare via da tempo per fare terminare la bonifica delle strutture che contenevano ancora amianto. È possibile però risolvere il problema anche offrendo una distribuzione di quelle 1.400 postazioni di lavoro anche in più palazzi, con la sola condizione che non siano di superficie inferiore ai 7 mila metri quadrati lordi fuori terra, dotati di almeno 300 postazioni lavoro. Nel capitolato tecnico pubblicato la Rai spiega di avere bisogno di due uffici con annessa segreteria e sala riunioni per la Maggioni e Orfeo, più 60 uffici chiusi direzionali, 320 posti di lavoro in uffici chiusi singoli, 400 posti di lavoro in uffici chiusi doppi e 600 postazioni lavoro in open space. Gli uffici direzionali dovranno avere una superficie oscillante fra 18 e 36 metri quadrati, che potranno essere anche fra 18 e 27 metri quadrati per gli uffici chiusi doppi dove non andranno i super dirigenti. Ogni postazione dell’ open space dovrà oscillare invece fra 4,5 e 7 metri quadrati. Nel palazzo dovranno esserci non solo sale riunioni, sale per l’ archivio, locali per la pulizia e aree break, ma anche sale convegni da almeno 200 posti, un ristorante aziendale da 300 posti, una banca, una infermeria, un bar-caffetteria, un ufficio posta, un centro stampa e una biblioteca-sala da lettura di almeno 200 metri quadrati. A Milano invece Rai cerca fra 16 mila e 20 mila metri quadrati il più possibile vicini al centro Rai di corso Sempione. Al suo interno dovranno essere riuniti gli studi televisivi sparsi per la città, e quindi trovare spazio uno studio grande fra 1.200 e 1.500 metri quadrati, tre studi televisivi medi fra 600 e 800 metri quadrati e due studi televisivi piccoli con una superficie compresa fra 500 e 600 mq. Nello stesso palazzo che si sta cercando dovranno esserci «uffici modulabili con una superficie compresa fra 2 mila e 2.500 mq» e «altre aree di supporto logistico e tecnico per circa 10 mila-12 mila mq». I soffitti degli studi più grandi dovranno essere ad almeno 10 metri da terra, quelli degli studi più piccoli a 6,5 metri da terra. riproduzione riservata.

Distinguere le «bufale» è sempre più difficile Ormai sono un’ industria

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FRANCESCO SPECCHIA «Perchè sporcare con la verità un così bel racconto?…» ironizzava il Pulitzer Bob Woodward. Il quale riteneva che nel giornalismo – sin dai tempi delle Hoax, i reportage/frottola del cronista Mark Twain- la verità assoluta non esistesse; e che, al massimo, il giornalista potesse impegnarsi nella «miglior versione possibile della verità». Woodward non conosceva il network di Giancarlo Colono. Colono è titolare della Web365, azienda a conduzione familiare composta da sei persone più un team di giornalistiper diffondere in maniera deliberata bufale, notizie copiate e disinformazione. Un vero network di 170 domini Internet e diverse pagine che fa i soldi spacciando per notizie le bufale, i pezzi di carattere religioso oppure post che puntano sul sensazionalismo anti immigrati e sul clickbaiting, (la tecnica di costruire titoli sensazionalistici per attrarre clic dagli utenti). Un’ inchiesta di BuzzFed ha smascherato il business. Ma ha anche illuminato la fragilità di noi paladini della libera stampa. Solo l’ altro giorno, autorevoli testate nazionali sono cascate nell’ inganno della bambina islamica picchiata dal padre e nella cancellazione totale della Domenica in delle Parodi. Non c’ è da puntare il ditino, ci saremmo potuti cascare tutti. Il filosofo Maurizio Ferraris nel saggio Postverità e altri enigmi (Il Mulino) ritiene che la predisposizione all’ informazione striata di menzogna sia «un’ emergenza che definisce una caratteristica essenziale del mondo contemporaneo: l’ alleanza tra la potenza modernissima del web e il più antico desiderio umano, quello di aver ragione a tutti i costi». Infatti, Ferraris ha ragione. Certo, noi tutti cronisti di mezz’ età, l’ ultima generazione cresciuta sul sudore da suole di scarpe e sul riscontro quasi ossessivo delle fonti, potremmo chiudere il discorso imputando l’ omesso controllo ai colleghi più giovani inchiodati al desk e alle fatiche del copia- e incolla. Ma sarebbe una soluzione semplicistica al problema. La colpa è molto più diffusa. Ed è vero che le fake news, le bufale, sono sempre esistite. Io stesso, nel 1998, ad una Mostra del Cinema di Venezia lanciai nel deserto di notizie, una fake con la complicità dei colleghi delle agenzie di stampa, su una presunta associazione pseudoreligiosa di maschilisti che voleva mettere a ferro e fuoco il Lido per l’ eccessiva presenza di attrice donne. L’ associazione Ri. Ma. , Rifondazione maschilista, esisteva (ne facevo parte); ma non aveva la minima intenzione di fare dichiarazioni bellicose. Ricordo che quella sòla fu ripresa da tutti i quotidiani nazionali; il Tg2 ci aprì perfino il suo approfondimento. Quella goliardata, oggi , è caduta in prescrizione, ma le redazioni potevano evitarla. Oggi è diverso. Oggi vige il “giornalismo a rete” (definizione di Charlie Beckett): chiunque può accedere a molte fonti di informazione e allo stesso tempo «creare un contenuto informativo con bassi costi e alte potenzialità di distribuzione». Le fake sono un’ industria, il fenomeno oramai è incontrollabile. Chi usa notizie false per influenzare le opinioni politiche o per motivi commerciali può, per esempio, contare sull’ «effetto-bolla» dei social network; e Facebook e Google News impaginano le notizie in una modalità omogenea, uguale sia per il Washington Post che per i siti terribili, appunto, di Giancarlo Colono. Quindi la capacità di controllo delle fonti da parte di noi giornalisti è messa a durissima prova. E molti di noi si rendono complici involontari di misinformazione, cioè di condivisione di informazioni false. Altro problema è che i giovani colleghi, privati della consuetudine all’ inviatura e inchiodati al pc in un’ impaginazione talora ai limiti delle catatonia, sempre più spesso difettano di capacità di factchecking, di controllo immediato dei fatti (figuriamoci, non lo facciamo più, ormai demoralizzati, noi vecchi). Tutto questo ci porta ad un concetto di verità molto più lasco di quello di Bob Wooward… riproduzione riservata.

Arriva Sky Q, il decoder che sembra un computer

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In quel tempo c’ era la televisione e gli italiani più poveri si radunavano nelle case di quelli ricchi per guardare Sanremo, le partite o lo sbarco sulla Luna. In quel tempo la tv la si guardava in 10 o anche 20 cristiani tutti assieme. Poi la tv se la sono messa in casa un po’ tutti. Qualcuno l’ ha messa pure al cesso. Poi sono arrivate le tv a pagamento. E i decoder. E le piattaforme che «paghi quel che vedi». L’ inutile preambolo serve solo per introdurre Sky Q: il punto di arrivo di tutto il cucuzzaro. Sky Q è un affare clamorosamente moderno. Avete presente il vostro decoder? Ecco, quello è il Medioevo. Sky Q ha forma simile, ma come dice Andrea Zappia, amministratore delegato di Sky Italia e forse anche del Paradiso «non chiamatelo decoder, è più simile a un computer». Questa sorta di computer ti permette di realizzare molti video-desideri: lo piazzi in zona-tv, accendi con il nuovo telecomando a prova di smarrimento (se ti finisce sotto il culo e non lo trovi, quello suona e ti dice dov’ è) e subito fai amicizia con la piattaforma. Succede che non devi più aspettare l’ inizio del film o di quel che ti pare, ma guardi il contenuto quando vuoi e lo interrompi alla bisogna. Puoi registrare fino a mille ore di programmi, il menù è immediato, il My Q ti mostra le ultime novità, puoi vedere uno show e in contemporanea un altro con la modalità «schermo nello schermo», la tecnologia 4k hdr (a disposizione entro marzo) ti consente di vedere il mondo più bello di quello che è, il soundbox ti fa ascoltare tutto come se Rambo o Genny di Gomorra fossero in casa tua, mentre il Voice Control (opzione attiva entro settembre 2018) ti permette di «chiedere» direttamente al telecomando e «ottenere» in tempo reale («fammi vedere tutti i film con Edwige Fenech!». E lui te li spiattella sullo schermo in un amen). Il rischio è che ti venga voglia di stare a casa anche oltre il dovuto. Oddio, c’ è la possibilità di vedere la qualunque anche sui vari device («device» = «altri affari tipo il cellulare») grazie allo Sky Go Q, ma è qui che ci sentiamo in dovere di introdurre sua maestà lo Sky Q Platinum. Lo Sky Q Platinum già dal nome è l’ equivalente del fantozziano «Megadirettore», è l’ apparecchio che ti permette di collegare la televisione centrale a tutte le altre in giro per la casa grazie all’ abbinata con i cosiddetti Mini. I Mini sono apparecchietti che «ragionano» con il Platinum senza il bisogno di cavi e cavetti e permettono al papà di vedere la partita in salone, alla mamma di vedere il documentario in cucina e al figlio di rubare indisturbato 20 euro dal portafoglio dei due. Lo Sky Q Platinum è praticamente la salvezza di ogni coppia italiana che oggi arriva al divorzio perché «quell’ infame mi ha fatto vedere Chelsea-Crotone mentre Fedez eliminava Giuditta a X-Factor: signor giudice, pretendo gli alimenti»). In alternativa al Platinum, a partire da primavera, sarà a disposizione lo Sky Q Black, ovvero la versione valida solo per la tv principale e i device. E uno si chiede: «E i prezzi?». Lo Sky Q Platinum compreso di Sky Q Mini costa 199 euro più 4 euro di canone mensile per chi è abbonato da oltre 6 anni e 15 al mese per gli altri. Lasciamo la chiusura a Zappia: «Questo per noi è un nuovo inizio». Non ha davvero tutti i torti. FABRIZIO BIASIN riproduzione riservata Sky Q con il telecomando a prova di smarrimento.

Rivoluzione tecnologica

Il Mattino

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Vietato chiamarlo decoder, termine antiquato cui va preferito piattaforma, una sorta di ecosistema televisivo disegnato come fosse un abito intorno alla figura e ai gusti degli utenti. Più simile a un computer, Sky Q, presentato ieri da Andrea Zappia – promette di trasformare la casa – ma con molte opportunità di visione anche in mobilità – in un ambiente di visione integrato, senza cavi. La navigazione wireless sarà possibile giostrando tra più apparecchi e device, fino a 5 contemporaneamente nello stesso appartamento, con grandi spazi per la registrazione, fino a mille ore in HD, una memoria in pratica illimitata. Di uso piuttosto facile, intuitivo, con un nuovo telecomando che presto sarà fruibile anche tramite la voce, Sky Q promette nei prossimi mesi altri passi importanti verso il futuro, compresa una capacità di riproduzione sonora, di film, documentari, musica, del tutto sorprendenti. Sarà più semplice e rapido cercare i programmi dell’ archivio on demand, chiedendo ad esempio tutti i film disponibili con un certo attore: la televisione come gioco e culla da cui risulterà sempre più difficile staccarsi, anche grazie all’ accesso immediato delle app dedicate all’ informazione, sport compreso. La commercializzazione di Sky Q inizierà il 29 novembre. enzo gentile © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Con il precariato per i giovani rischiamo l’ assottigliamento dell’ attività giornalistica, dice Laura Boldrini, incontrando i rappresentati dei giornalisti. Necessari rigore contro hate speech e fake news

Prima Comunicazione

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“Gli editori sono affetti da una malattia, la miopia. Se non ci sarà nei giornali il ‘lavoro buono’ per i giovani, anziché il precariato, avremo un assottigliamento dell’ attività giornalistica. Non si può chiedere l’ approfondimento e il riscontro dei fatti a un giovane se lo paghi 10 euro a pezzo”. Lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini , ricevendo nel suo studio i rappresentanti degli organismi di categoria del giornalismo italiano. Tra i presenti il segretario e il presidente della Fnsi , Raffaele Lo Russo e Beppe Giulietti, il presidente dell’ Ordine Carlo Verna, la presidente dell’ Inpgi Marina Macelloni e il presidente del Fondo per le pensioni complementari Enrico Castelli. Laura Boldrini (foto Olycom) Il segretario Fnsi Lo Russo ha illustrato a Boldrini i motivi della manifestazione in piazza Montecitorio dei giornalisti italiani, parlando di un “attacco concentrico all’ informazione e, indirettamente, ai cittadini e al loro diritto di essere informati”. Al centro delle critiche dei giornalisti il decreto legislativo sulle intercettazioni, la legge per arginare le ‘querele temerarie’ – ferma in quarta lettura in Senato -, e la situazione di precariato: “gli editori sostituiscono il lavoro regolare con i co.co.co”. #giornalisti in #piazza a #Roma #Fnsi #Odg #Casagit #Inpgi pic.twitter.com/E2tX85NGIV – FNSI (@FnsiSocial) 22 novembre 2017 Dalla presidente della Camera è arrivato un appello al mondo del giornalismo perché metta in campo “più rigore” contro il ” discorso d’ odio ” e gli insulti che compaiono sui quotidiani, e contro quei giornalisti che scrivono su siti che diffondono ‘bufale’. ” Le fake news – ha osservato Boldrini – sono un acido che corrode anche l’ informazione ‘mainstream’ , e gli editori non sembrano esserne consapevoli. Occorre difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, il che richiede un lavoro che non può essere gratis, richiede formazione e investimenti”. Boldrini ha preso spunto da una osservazione del presidente dell’ Ordine, Carlo Verna, sui recenti titoli del quotidiano ‘Libero’ che sono stati latori di messaggi d’ odio contro i musulmani e contro Renzi. “Tralascio il fatto che la mia persona sia stata spesso oggetto di insulti ma questi cosiddetti giornali dovrebbero destare preoccupazione non solo nei soggetti colpiti in modo persecutorio, ma in tutta la vostra categoria che viene infangata da questi comportamenti”, ha detto ancora Boldrini, rimarcando: “dovrebbe preoccupare tutti per la nostra democrazia che è inondata da una violenza verbale che intossica”. “Penso che certi titoli e certe affermazioni – ha aggiunto – non abbiano riscontro all’ estero; siamo un unicum in Europa”. Boldrini ha sollevato il tema degli insulti che dilagano tra i commenti agli articoli sui siti dei quotidiani: “alcune persone hanno timore di dire la propria opinione per lo squadrismo che li colpirebbe. Questi dibattiti sui siti andrebbero moderati, anche perché sappiamo chi sono quelli che insultano”. La Presidente della Camera ha quindi invitato a vigilare anche su quei giornalisti che scrivono sui siti specializzati in fake news. “C’ è una rete struttura che fa disinformazione, e alcuni di quelli che ci scrivono sono iscritti all’ Ordine dei giornalisti. Occorre più rigore su questo”. “Voi avete un ruolo centrale – ha proseguito – anche perché la politica non si rende conto del problema”. “C’ è una disinformazione messa in campo da altri Paesi per inquinare il dibattito e influenzare i risultati elettorali. Questo non è complottismo, qui c’ è una indagine del Congresso americano, e ci vorrebbe una capacità di indagine anche in Italia”. “Serve una presa di consapevolezza non solo nella politica ma anche nel giornalismo, anche perché non siamo in una situazione normale e l’ Italia non è fuori dal resto del mondo”, ha concluso.

Multi-visione e navigazione più facile La tv satellitare lancia «Sky Q»

Il Giornale

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Passare da una stanza all’ altra di casa continuando a vedere la stessa serie nello stesso punto dove l’ hai interrotta su un altro schermo. In parole complicate «un ecosistema disegnato intorno alla persona per trasformare la casa in un ambiente integrato». È uno dei nuovi miracoli tecnologici che Sky offre da fine mese. Si chiama Sky Q e, in sostanza, è un nuovo set top box che permette ai clienti della tv satellitare di vedere i propri programmi preferiti in maniera più agile e diffusa. Insomma è indirizzata a chi ha proprio voglia di guardare la tv in ogni momento libero. Sky Q permette appunto la multi-visione, che connette tra di loro tutti gli schermi di casa in modalità wireless (fino a due schermi tv e tre device, grazie a quattro Q Mini). Molto importante è anche il fatto che la schermata di Sky sarà molto più fruibile dello stato attuale (anche fuori casa), con maggiore rapidità nel passaggio tra una funzione e l’ altra, con il telecomando che ha il bip per essere ritrovato quando sparisce (nel divano), e soprattutto con la possibilità di vedere le serie una di seguito all’ altro senza dare il comando ogni volta. Molto più potente poi la memoria che consente di registrare fino a mille ore. Andrea Zappia, amministratore delegato di Sky Italia, lo definisce «un nuovo inizio», come quando 14 anni fa fu fondato il ramo italiano del broadcaster. Il costo dell’ installazione è di 149 euro, con un canone mensile aggiuntivo di 4 euro o 15 a secondo della fedeltà dell’ abbonato. LR.

Sky Q nuova frontiera della tv Palinsesto fai da te su tutti gli schermi

La Stampa
LUCA DONDONI
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Arriva in Italia, riservato naturalmente agli abbonati Sky, il nuovo sistema di visione denominato Sky Q. Serve spiegare subito che si tratta di una nuova piattaforma tecnologica e per questo servirà un nuovo decoder, che promette un’ esperienza di visione «più evoluta» rispetto a quanto accaduto finora. Sky ha capito da tempo quanto la «facilità d’ uso» messa in campo da un concorrente come Netflix sia uno dei motivi per cui il pubblico sceglie di abbonarsi al servizio di streaming online. Ora con Sky Q arriva una risposta. Il nuovo decoder, collegato alla parabola e alla rete Internet, connette tra loro tutti gli schermi della casa. Il decoder principale comunica con gli altri televisori di casa (fino a cinque) e con i device mobili, tablet o smartphone. La visione si può interrompere in qualunque momento e riprendere quando si vuole, sullo stesso schermo o su un altro. Mille ore di contenuti Sky Q Platinum, sul quale sono disponibili tutti i canali satellitari e migliaia di titoli on demand, ha una memoria di due terabyte che consente di registrare fino a mille ore di contenuti in alta definizione e fino a quattro programmi contemporaneamente (mentre se ne vede un quinto). Ieri, l’ amministratore delegato di Sky Italia Andrea Zappia ha spiegato queste «meraviglie tecnologiche» annunciando che sarà possibile prenotare Sky Q già da oggi, mentre la commercializzazione inizierà il 29 novembre. «Il percorso di Sky è iniziato 14 anni fa – ha detto Zappia -, ma ci sono momenti che segnano un vero punto di svolta e il lancio di Sky Q è uno di questi. Oggi proviamo lo stesso entusiasmo e senso di trasformazione che abbiamo provato nel 2003 con la nascita di Sky Italia». Tecnologia nel quotidiano Per vivere l’ esperienza Sky Q sulla tv del salotto e su quella di un’ altra stanza è necessario avere uno Sky Q Platinum e un box, installati al costo di 199 euro. Per avere invece accesso alle funzionalità di Sky Q, è necessario sottoscrivere il pacchetto Sky Q Plus che Sky offre a condizioni vantaggiose ai clienti abbonati da almeno sei anni. Per raccontare ancora meglio di cosa si tratta basti pensare che tutti i programmi lineari, on demand o registrati, con Sky Q sono disponibili con immediatezza e, grazie alla nuova interfaccia grafica la scelta dei diversi programmi diventa semplice e intuitiva. «Con Sky Q la tecnologia entra nella quotidianità – ha aggiunto il dirigente -. Non a caso una delle parole chiave della campagna di lancio di Sky Q sarà “Tecnologioia”, proprio per dare il senso di come la tecnologia possa migliorare la vita delle persone». Dopo un periodo di qualche mese dal lancio Sky Q nei prossimi mesi si arricchirà con una serie di nuovi servizi e funzionalità. In primavera arriverà anche Sky Q Black, in 4K HDR, un nuovo standard di definizione delle immagini. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

STrump mette le ganasce a internet per spennare i giganti dell’on line

Libero

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UGO BERTONE Internet, si cambia. In America, per ora. La Fcc, la commissione federale Usa che si occupa delle comunicazioni, ha deciso di proporre a maggioranza (tre a due) l’ abolizione della “net neutrality”, ovvero del principio che obbliga gli internet provider, cioè chi mette a disposizione i binari su cui viaggia il sistema, a trattare allo stesso modo tutti i contenuti ricevuti dall’ utente, impedendo di rallentare o velocizzare determinate fonti per seguire logiche aziendali o commerciali. Al contrario, se tra qualche settimana (probabilmente non più di un paio), cadrà l’ obbligo di trattare tutti allo stesso modo, gli utenti dovranno scegliere se accontentarsi di un Internet lento (un regionale, per proseguire nella metafora ferroviaria) o se accedere, a pagamento, ad un Frecciarossa, che consentirà di scaricare dati, film o altri contenuti ad alta velocità. La novità, ad opera del neo presidente della Fcc, Ajit Pai, il repubblicano poco più che quarantenne, che Donald Trump ha voluto promuovere per cancellare le norme volute da Barack Obama avevano sancito il primato della net neutrality, riguarda naturalmente solo gli Stati Uniti. Ma non è difficile prevedere che la svolta Usa, il mercato leader dell’ era digitale, finirà con il dettare le sue soluzioni un po’ ovunque. Del resto, anche in Europa, dove solo l’ Olanda ha disposto per legge l’ osservanza della net neutality, non mancano esempi di promozione commerciale in cui il provider si allea con il fornitore di contenuti. In Spagna, ad esempio, chi compra il pacchetto video può guardare tutti i contenuti di Netflix, HBO, YouTube e Dailymotion sul proprio smartphone senza consumare dati e pagando 17 o 8 euro al mese, dipende se li vuole in HD oppure no. In America, se passerà il provvedimento, verranno avvantaggiate le vaie telecom (At&t, Verizon, Comcast per citare alcuni Big) che potranno decidere se creare corsie veloci (tipo i fast track in aeroporto per saltare la coda) oppure privilegiare i servizi creati in caso o offerti in esclusiva ai propri abbonati. Basterà disporre di una chiave o password per entrare nel mondo degli eletti. Anche in questo caso il precedente Usa è meno distante dalla realtà di casa nostra di quel che non si creda. Proprio in questi giorni, nell’ ambito della possibile pace tra Vivendi e Mediaset, si sta trattando la cessione di alcuni contenuti del Biscione alla joint venture tra Tim e Vivendi. Tra questi, potrebbero, ad esempio, figurare anche le partite della serie A. E chi non intende pagare per fruire dei servizi del web? I provider permetteranno un accesso limitato ad alcuni servizi, naturalmente a velocità ridotta. Un vincolo che sta già suscitando fiere proteste per l’ accesso alla Rete ormai considerato, specie negli States, alla strenua di un diritto. Ma non tutti sono d’ accordo con questa linea. Secondo la Fcc, che fa notare come, in media, le famiglie americane utilizzino almeno due provider, è arrivato il momento di mettere ordine nella gestione degli accessi. A rendere indispensabile una distinzione tra il traffico di prima classe e gli altri vagoni è non solo la crescita esponenziale del traffico, ma le nuove esigenze dell’ economia digitale. La linea dedicata superveloce, ad esempio, si rende necessaria per la gestione del traffico automobilistico. Già oggi, ancor prima dell’ avvento delle vetture a guida autonoma, molti servizi legati all’ auto “intelligente” richiedono connessioni veloci e sicure che non possono essere messe a rischio da un improvviso affollamento di richieste (per giunta a gratis) a YouTube. Ovviamente, dietro il dibattito si agitano interessi multimiliardari: la fine della net neutrality danneggia, almeno sulla carta, Facebook e Google, comunque abbastanza potenti per farsi carico di costi aggiuntivi (da caricare altrove). Sotto tiro è senz’ altro Netflix. Anche se il colosso dello streaming ha già avviato una politica di alleanze e promozioni (anche in Italia) che lo mettono al riparo da brutte sorprese e, in compenso, alza una barriera nei confronti dei concorrenti più deboli. Dal punto di vista politico la decisione segna senz’ altro un punto a favore dei provider a danno dei giganti del web, da Amazon o Google, ostili al president. Ma non va dimenticato che mister Pai aveva promesso di abrogare la net neutrality fin dal suo insediamento alla Fcc nello scorso aprile: prima o poi, la squadra di Trump, rispetta gli impegni presi. Un vizio che nel Bel Paese si stenta a capire. riproduzione riservata La trasformazione digitale «non è il lavoro di una sola azienda, è un compito per il Paese». Amos Genish, amministratore delegato di Tim, ha anticipato le linee generali del Piano industriale 2018-2020 a margine dell’ evento “Digital Horizon”, che farà dell’ azienda «un player digitale puro, non più un operatore delle comunicazioni». Ma, soprattutto, ha aperto a una piena collaborazione col governo. «Abbiamo tutte le intenzioni di conformarci alle indicazioni del Golden power», ha assicurato ai cronisti, parlando di «un obbligo base per Tim», dal momento che si tratta di «una decisione basata sulla sicurezza nazionale e sull’ evoluzione dei servizi essenziali che servono al Paese». Le uniche anticipazioni del manager israeliano sono di contesto generale, che prevedono per la società «l’ inizio di un lungo ciclo di investimenti». E la «domanda chiave non è quanto investiremo ma in cosa e dove», chiarendo che non si punterà più sulle vecchie reti ma sulla tecnologia. «Questo – ha assicurato – sarà il grande cambiamento e porterà risultati migliori per i consumatori e al Paese». Parole evidentemente apprezzate dai mercati: a Piazza Affari il titolo Tim ha infatti chiuso in progresso dell’ 1,32% a 0,69 euro. Il top manager ha assicurato – commentando l’ ipotesi di collaborazione con la concorrente Open Fiber – è disponibile a lavorare con «chiunque per realizzare la copertura del Paese in banda larga». Anche se solo pochi giorni addietro era stata escluse un’ eventuale fusione dell’ infrastruttura Tim con quella di Open Fiber, lasciando socchiusa la porta a possibili accordi commerciali. riproduzione riservata BUDDY FOX «E quindi uscimmo a riveder le stelle», le stelle come meta e sollievo, sono le stelle che Dante “abbraccia” all’ uscita dall’ inferno e sono sempre le stelle, intese come le eccellenze italiane, il settore che negli ultimi anni è riuscito a tracciare la linea e a trascinare Piazza Affari fuori dalle tenebre di questa lunga crisi economica e finanziaria. Ma ci sono stelle e stelle, anche nel bellissimo firmamento di Piazza Affari, non tutte brillano con la stessa intensità, talune sono visibili anche di giorno, altre rischiano l’ opacità. E proprio in quest’ ultima categoria, rischia di finire Ima, un’ eccellenza italiana, oggi a causa di un’ operazione goffa, rischia l’ appannamento. Mi riferisco al 2 ottobre scorso, quando Ima presenta alla platea Gima TT, la Ferrari della sua scuderia, la scorpora e la quota in borsa. Risultato: il primo giorno di contrattazione, il titolo Gima TT pur collocato al prezzo massimo della forchetta, 12,5 euro, strappa al rialzo del 22%, mentre le Ima rimangono ferme, ma già il giorno successivo mentre la prima resta in alto, la capogruppo cala. La forbice inizia ad allargarsi. Un’ eccellenza in più entra a far parte di Piazza Affari, scorporandola Ima la valorizza, dove sta il problema? Il problema è per i vecchi azionisti di Ima, che passivamente assistono all’ operazione. Se al Barcellona togli Messi, senza reinvestire il ricavato, i catalani restano sempre una grande squadra, ma perdono molto potenziale. Certo, i cassettisti di Ima non si possono lamentare, da quota 8 euro del 2009 siamo arrivati a 80 euro, il tutto corredato da ottimi e costanti dividendi, ma si sa che l’ azionista guarda sempre davanti. Un dividendo straordinario potrebbe essere un ottimo contentino. Un altro atteggiamento sarebbe riuscito nell’ intento di mantenere la botte piena e la moglie ubriaca. Come fece Marchionne con la quotazione di Ferrari, agli azionisti di Fca diede in omaggio azioni del cavallino. I Vacchi ora promettono nuovi acquisti. Basteranno per sostituire Messi? PIAZZA AFFARI: come ho scritto la scorsa volta, a 22.000 la mini correzione poteva considerarsi conclusa. La conferma nel dopo EMA, una bocciatura che invece di penalizzare la borsa, le ha dato nuovo slancio. Sopra 22.500 ci prepariamo per il rally di Sant’ Ambrogio. IMA – GIMA TT: la soluzione è nello “switch”, dalla madre alla figlia. Anche per la borsa l’ incantesimo si è rotto. Meglio traslocare, o anche solo spezzare, una parte fedele a Ima e l’ altra sul nuovo cavallo. CARIGE: Malacalza come non era Re Mida ai tempi di Pirelli, così non è diventato uno sciocco con Carige. Da questo aumento o si esce brillanti, o si è seppelliti dentro la banca. Io aderisco all’ aumento. TWITTER: l’ uccellino vola senza far rumore. Questa volta andiamo su, molto su. AEDES: in trepidante attesa del ballo del mattone. Sopra 0,63 si incendieranno anche gli warrant. BE: e quando parli di stelle può dimenticare lei? La nostra preferita, fedeli da ormai 5 anni. Siete pronti? Allacciate le cinture, si riparte per i massimi. Una piccola stella che prima o poi verrà notata dai giganti. paninoelistino@gmail.com riproduzione riservata Amos Genish, amministratore delegato Tim Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump Amos Genish, amministratore delegato Tim Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump

«Rilanciamo le edicole»

La Gazzetta del Mezzogiorno

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a È possibile rilanciare le edicole cittadine. Ne è convinto Gianni Porta, consigliere comunale di Rifondazione, che, forte del protocollo siglato, nelle scorse settimane, tra Anci e Federazione editori giornali, invita l’ amministrazione a convocare i gestori, insieme ai sindacati, per ragionare insieme sul protocollo. «Il 2 ottobre l’ Anci e la Fieg – sottolinea Porta – hanno sottoscritto un protocollo teso a rilanciare il ruolo delle edicole nella vendita dei giornali e periodici, salvaguardare la rete esistente ammodernandola e potenziandola e moltiplicare le occasioni di incontro tra le testate e il lettore. Ciò che vi è di nuovo nell’ accordo – continua – è l’ intenzione di garantire nuove fonti di reddito agli edicolanti attraverso l’ amplia mento delle categorie di beni e di servizi offerti al pubblico e la possibilità di svolgere l’ inter mediazione di servizi a valore aggiunto a favore delle amministrazioni territoriali». [l.d’ a.]

Domani i giornalisti in piazza «Non casta, categoria a rischio»

Il Giorno (ed. Milano)

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– MILANO – DOMANI alle 11 i giornalisti manifestano in piazza della Scala. Con l’ Associazione lombarda dei giornalisti, per portare l’ attenzione dei politici e dei cittadini su quella che il sindacato inquadra come «una vera emergenza per la categoria». In Lombardia, motore dell’ editoria italiana, nel 2017 si contano 4.301 giornalisti con contratto da dipendente, il 16% in meno dei 5.114 di cinque anni fa; quelli col contratto principale Fnsi-Fieg dal 2012 sono diminuiti del 17%, da 4.600 a 3.829. Le loro retribuzioni del doppio, il 33%. Per i freelance le retribuzioni medie sono passate dai 19.580 euro annuali del 2012 a 18.389 l’ anno scorso, e se un 50enne guadagna in media 20.800 euro gli under 30 si fermano a 10.100, gli under 40 a 15.700. I co.co.co prendono 14.348 euro rispetto ai 15.000 del 2012 e sono diminuiti da 2.109 a 1.708. «Niente casta, ma una categoria impoverita, a rischio» sottolinea l’ Alg: più precaria e ricattabile, il che «mette in pericolo il bene primario per la democrazia di un’ informazione di qualità, libera e indipendente». «Chiediamo un nuovo patto sociale con gli editori – spiega il presidente della Lombarda Paolo Perrucchini -, un rinnovo contrattuale che tenga conto delle nostre esigenze. Al Governo e alle istituzioni chiediamo iniziative ad hoc».

I rappresentanti dei giornalisti in piazza: “Un giornalismo precario rende precaria la democrazia” – Articolo21

Articolo21

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TweetFnsi, Ordine, Inpgi, Casagit, Fondo di previdenza complementare, associazioni che lottano per la libertà di stampa, tra cui Articolo21 e la rete NoBavaglio, cronisti minacciati e sotto scorta insieme per chiedere a governo e parlamento interventi in tema di occupazione regolare, abolizione del carcere, contrasto alle querele temerarie e a nuovi e vecchi bavagli. Il 6 dicembre incontro con il presidente Paolo Gentiloni.Giornalisti provenienti da tutta Italia si sono ritrovati oggi in piazza, davanti a Montecitorio, con i rappresentanti degli enti di categoria per denunciare l’ inerzia di governo e parlamento sui problemi del mondo dell’ informazione e per richiamare l’ attenzione delle istituzioni e dell’ opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare il diritto dei cittadini ad essere informati. Temi ribaditi anche ai presidenti di Camera e Senato, che hanno chiesto di incontrare i rappresentanti dei giornalisti. Anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha convocato i vertici della categoria per il prossimo 6 dicembre. «Il diritto di cronaca è sotto attacco da più parti e con esso la libertà di stampa. I temi delle querele bavaglio, del carcere per i giornalisti, delle minacce e delle aggressioni ai cronisti, i pericoli contenuti nel decreto di riforma delle intercettazioni – ha detto il presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti aprendo i lavori – sono gli stessi che sottoponiamo a politica e istituzioni dall’ inizio di questa legislatura».Insieme a questi temi si impone sempre più il problema del precariato dilagante nel settore del giornalismo. «Il motto di questo presidio, “Libertà precaria, lavoro precario, vite precarie”, in definitiva significa democrazia precaria. A chi ha espresso solidarietà ai giornalisti minacciati e aggrediti negli ultimi giorni – ha spiegato il segretario generale Raffaele Lorusso – chiediamo di adoperarsi in parlamento per dare via libera ai provvedimenti a difesa del diritto di cronaca. E al governo facciamo notare che, a fronte degli interventi economici disposti in favore degli editori, nulla è stato fatto per rilanciare l’ occupazione regolare e contrastare l’ uso improprio del lavoro autonomo nelle redazioni. Giornalisti senza diritti sono giornalisti più deboli e ricattabili. Ne va del diritto dei cittadini ad essere informati».In piazza, insieme ai consiglieri nazionali della Fnsi e ai rappresentanti delle Associazioni regionali di Stampa, anche il Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti, il direttivo dell’ Ordine dei giornalisti del Lazio, gli attivisti di Libera, l’ Usigrai, l’ Unione giornalisti pensionati, i rappresentanti delle associazioni che lottano per la libertà di informazione, come Articolo21 e la rete Nobavaglio. «Senza libertà di stampa la democrazia soffoca, siamo qui con i colleghi di Inpgi, Casagit, Fnsi e Fondo di previdenza complementare per ribadirlo tutti insieme», ha osservato il presidente nazionale dell’ Ordine, Carlo Verna.La presidente dell’ Inpgi, Marina Macelloni ha ricordato che «nel solo 2017, dopo 5 anni di crisi, sono stati persi 800 posti di lavoro stabile. Lavoro che manca e lavoro senza diritti indeboliscono l’ istituto e questo è un danno per tutti i giornalisti». Il presidente della Casagit, Daniele Cerrato, ha rilevato come un giornalismo senza diritti renda «le vite dei giornalisti sempre più precarie». E il presidente del Fondo di previdenza complementare, Enrico Castelli, ha ribadito l’ unità dei rappresentanti della categoria per la difesa del giornalismo libero e autorevole, pilastro della democrazia. Mentre il presidente dell’ Unci, Alessandro Galimberti, ha chiesto norme a tutela del segreto professionale, «per la tutela delle fonti dei giornalisti e del diritto dei cittadini a sapere cosa accade nelle loro città».In piazza anche giornalisti precari minacciati per via del loro lavoro e i giornalisti costretti a vivere sotto scorta. «Con il nostro lavoro – ha concluso il responsabile per la legalità della Fnsi, Michele Albanese – tuteliamo il diritto dei cittadini ad essere informati. Lo facciamo con grande sforzo e grandi sacrifici, ma con la consapevolezza di lavorare al servizio della libertà del Paese e dei nostri concittadini».Prima del presidio presidente dell’ Ordine e segretario generale e presidente della Fnsi sono stati ricevuti dal presidente del Senato, Pietro Grasso. A conclusione del sit-in una delegazione più ampia, composta dai rappresentanti di Ordine e Fnsi e dai presidenti degli enti di categoria, ha incontrato la presidente della Camera, Laura Boldrini.Le iniziative di mobilitazione promosse dagli organismi di rappresentanza dei giornalisti per richiamare l’ attenzione delle istituzioni e dell’ opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare il diritto dei cittadini ad essere correttamente informati, le iniziative legislative contro le “querele temerarie” e l’ abolizione del carcere per i giornalisti, i temi al centro del colloquio con il presidente Grasso.Con la presidente Boldrini si è discusso di precariato nel settore giornalistico e dello stretto rapporto tra le condizioni di precarietà in cui sono costretti a lavorare sempre più giornalisti e il valore di una informazione di qualità nel contrasto alle fake news.«Gli editori sono affetti da una malattia, la miopia. Se non ci sarà nei giornali il “lavoro buono” per i giovani, anziché il precariato, avremo un assottigliamento dell’ attività giornalistica. Non si può chiedere l’ approfondimento e il riscontro dei fatti a un giovane se lo paghi 10 euro a pezzo», ha ribadito la presidente della Camera.«Questa miopia degli editori, che precarizzano il lavoro giornalistico, è nemica di quella qualità dell’ informazione necessaria a contrastare le fake news, che sono un acido che corrode anche l’ informazione “mainstream”, ma gli editori non sembrano esserne consapevoli. Occorre difendere il diritto dei cittadini ad essere informati, il che richiede un lavoro che non può essere gratis, richiede formazione e investimenti», ha ribadito la presidente Boldrini, che ha poi lanciato un appello al mondo del giornalismo perché metta in campo «più rigore» contro i “discorsi d’ odio” e gli insulti che compaiono sui quotidiani, e contro quei giornalisti che scrivono su siti che diffondono fake news.

Al via la riforma dei contributi per emittenti radio e tv locali

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Da oggi e fino al prossimo 21 dicembre le emittenti radio e tv locali potranno presentare le domande online per richiedere i contributi 2016; a gennaio si aprirà la finestra per richiedere i contributi 2017 mentre per i contributi 2018 la presentazione delle domande sarà possibile per tutto il mese di febbraio. Dopo appena 40 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Regolamento che disciplina i nuovi criteri per la concessione dei contributi annuali di sostegno all’emittenza radiotelevisiva locale e dopo l’adozione lo scorso 20 ottobre del Dm (pubblicato sulla GU del 10 novembre), è disponibile da oggi la piattaforma telematica per la presentazione delle domande del contributo, denominata SICEM (Sistema Informativo per i Contributi alle Emittenti Locali, realizzata grazie ad un progetto congiunto messo a punto da 2 Direzioni generali (DGROB e DGSCERP) del MISE. “Sono particolarmente soddisfatto perché abbiamo mantenuto gli impegni presi di cambiare le regole farraginose che negli anni scorsi hanno prodotto grandi problemi alle emittenti locali – ha commentato il sottosegretario allo Sviluppo Economico Antonello Giacomelli – Con il nuovo regolamento e con l’aumento delle risorse disponibili grazie al recupero dell’evasione sul canone Rai, ci sono più certezze per le emittenti radio tv”. Allo scopo di facilitare la presentazione delle domande e di accelerare i tempi di istruttoria da parte degli uffici è stato sviluppato il portale SICEM applicando metodologie di sviluppo di tipo “Agile”, le logiche di programmazione basate su processi e una interfaccia utente molto leggera. Il sistema prevede la funzione “ cruscotto utente” per poter gestire le nuove istanze di contributo o modificare quelle in fase di inserimento in modo da poterle rielaborare prima dell’invio definitivo. Con il nuovo regolamento che supera la precedente erogazione a pioggia e tiene conto di criteri selettivi di merito per l’erogazione dei contributi, la presentazione delle domande potrà avvenire esclusivamente con procedura telematica.

Leggi nostra circolare per approfondimento

Crisi edicole, ora anche Google e Amazon vanno all’assalto delle briciole…

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I brand digitali del gruppo Mondadori su Google Play Edicola. Tra i siti che vanno ad arricchire il catalogo di Google Play Edicola sono già disponibili: Casabella, CasaFacile, Donna Moderna, Focus, Focus Junior, Giallo Zafferano, Grazia, Icon, Icon Design, Il mio Papa, Interni, Nostrofiglio, Panorama, Panorama Auto, Sale&Pepe, Starbene, Tustyle, Tv Sorrisi e Canzoni. Google Play Edicola è la app di Google attraverso la quale è possibile attivare un abbonamento, gratuito o a pagamento, a riviste, blog e giornali e leggerne i contenuti ottimizzati per la fruizione da smartphone o tablet. Vanity Fair su Amazon Prime Now. Per la prossima stagione dello shopping natalizio Amazon Prime Now, il servizio di consegna entro un’ ora oppure in finestre a scelta di due ore, consentirà ai propri abbonati di aggiungere al carrello di ogni acquisto Amazon una copia di Vanity Fair gratis. È la prima volta in Italia che un giornale viene consegnato da Amazon.

Rassegna Stampa del 24/11/2017

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Indice Articoli

Diritti tv, la nuova ripartizione è un rischio In gioco la competitività dei club in Europa

Giornalisti in piazza «Crollati occupazione e salari»

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La Stampa
GUGLIELMO BUCCHERI
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Dentro ad un calcio senza Mondiale guardano un po’ tutti. C’ è chi vorrebbe mettere il pallone italiano sotto tutela, ma (per ora) non può e chi cerca un’ immediata ripartenza nelle urne giocando la possibile carta di un candidato alla presidenza della Figc unico e forte. Sullo sfondo il tema della competitività, strattonato e messo in discussione anche, e soprattutto, da quello che può essere vissuto come un contropiede in piena regola. Il campo da gioco è la Legge di Bilancio, in queste ore in discussione al Senato. La partita mette in palio la modifica alla legge Melandri, non con un’ altra normativa ad hoc, ma con poche righe al capitolo IV, articolo 40 all’ interno dell’ intero provvedimento: «Disposizioni in materia di sport», si legge e, là, viene descritto come deve essere modificata la ripartizione dei proventi dalla vendita dei diritti tv del calcio fra i club di serie A, così come pensata dal ministro dello Sport Luca Lotti. Ranking da difendere Competitività e distribuzione dei risorse assicurate dalla commercializzazione dei diritti televisivi: un legame forte, fortissimo perché, se indebolito, lo spread fra il nostro calcio d’ alta quota ed il resto d’ Europa, oggi stabile, potrebbe vederci in affanno, magari, al termine del 2021. Il motivo? Di proiezioni si tratta, ma, le proiezioni con i nuovi parametri (50 per cento delle risorse da dividere in parti uguali e maggior peso agli spettatori paganti che hanno assistito alle gare in casa dal vivo) raccontano di tagli, più o meno consistenti, a chi, di solito, è chiamato (o tornerà a farlo) a confrontarsi con i club più nobili d’ Europa: Juve, Milan, Inter, ma anche Roma e Napoli, una volta approvato il provvedimento così come è stato definito, perderebbero parte dei propri introiti. L’ Italia ha ottenuto una fondamentale vittoria politica a livello Uefa perché, dal prossimo anno, e per i prossimi tre campionati, le prime quattro della classifica al termine della stagione si affacceranno in Champions League di diritto. Ma questo diritto non è scritto per sempre, anzi: va difeso con tutte le forze dall’ assalto di chi, in questo caso la Francia, è un gradino dietro di noi nel ranking Uefa per nazioni che non è altro che il risultato dei risultati dei club nelle coppe europee. Difesa di un diritto che si costruisce anche con la possibilità di provare ad attirare i numeri uno del pallone con l’ attrattività di un calcio, per l’ appunto, competitivo. Metodo e sostanza Le legge Melandri può essere, dunque, modificata da poche righe dentro alla Legge di Bilancio: questa è la via intrapresa. Meno soldi alle cosiddette big, un po’ di più alle medio piccole, come accade altrove, è la ratio della svolta. Ma, altrove, vedi in Premier League, se è vero che il rapporto fra le prime della classe e l’ ultima è solo di due a uno, è altrettanto che lì i club che lottano per il titolo o per le posizioni da Champions o Europa League incassano più del doppio delle nostre società perché i diritti tv valgono 2,4 miliardi di sterline. Competitività e distribuzione dei ricavi dalla vendita dei diritti tv: passa anche da questo legame il destino di un calcio italiano che non può dimenticarsi di guardare in faccia le pretendenti ad occupare il regno d’ Europa. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Giornalisti in piazza «Crollati occupazione e salari»

Avvenire

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Igiornalisti lombardi con contratto di lavoro dipendente erano 5.114 nel 2012. Oggi sono 4.301. Di questi, quelli col contratto principale, Fnsi-Fieg, erano 4.600 nel 2012 e sono oggi 3.829. Una perdita, in 5 anni, del 16 e del 17%. Un calo «enorme che proietta la Lombardia, capitale dell’ editoria italiana, al vertice della crisi della professione». Lo afferma l’ Associazione lombarda dei giornalisti (Alg) presentando la manifestazione che si terrà, oggi, in piazza della Scala, a Milano, a partire dalle 11, «per accendere i riflettori sul difficile momento di crisi che coinvolge il mondo dei giornalisti, dell’ informazione e dell’ editoria. Il settore – evidenzia l’ Alg – non crea più lavoro, i redditi sono in picchiata, il diritto all’ informazione di qualità dei cittadini è a rischio». Sono scese a picco anche le retribuzioni di chi ha il contratto, sottolinea il sindacato, crollate del 33% dal 2012 al 2017. «Oggi un giovane professionista che ha appena fatto l’ esame di Stato, entra con un salario di circa 1.400 euro netti al mese», viene reso noto. «Drammatica», poi, è definita la situazione per i freelance lombardi e i ‘co.co.co.’, i collaboratori coordinati e continuativi. «Agli editori – dice il presidente dell’ Alg, Paolo Perucchini – chiederemo un nuovo patto sociale con gli editori» puntando sulla «qualità» e «al Governo e alle istituzioni locali di promuovere e avviare iniziative legislative ad hoc».

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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L’ editoria professionale vale 550 mln di euro. L’ editoria professionale nel 2016 ha realizzato in Italia un fatturato di 550 milioni di euro, con le aree giuridica e fiscale che coprono il 75% del giro d’ affari e, a seguire, con peso via via minore quella economico aziendale, l’ area medica e l’ area informatica. La concentrazione nel settore è elevata e in crescita: i primi quattro operatori detengono quasi il 60% del mercato (59% nel 2015). A evidenziarlo una ricerca realizzata da Cerved-Databank che, oltre a fotografare il settore, evidenzia la spinta all’ innovazione di questo segmento dell’ editoria, che sta diventando sempre più digitale. Mentre tutti i supporti tradizionali e i contenuti offline (cd e dvd) registrano il segno negativo, le banche dati online, i servizi internet e i prodotti digitali nel 2016 sono cresciuti del 7,5% rispetto al 2015 e rappresentano circa il 35% del mercato dell’ editoria professionale. Per quanto riguarda la concentrazione, la spinta è inoltre rafforzata da un contesto distributivo dove il canale diretto rappresenta il 73% del mercato, con quasi il 50% delle vendite realizzato da reti di agenti. La7 sesta rete in prime time mercoledì. Il Network La7 (La7 e La7d) che si è attestato mercoledì scorso al 4,41% di share in prime time (20.30-22.30) mentre la sola La7 con il 4,02% si è posizionata sesta rete superando Rete 4, ferma al 3,30%. Durante la giornata Otto e Mezzo di Lilli Gruber ha raccolto il 5,40% di share con 1.421.348 telespettatori medi e picchi del 6,29% e 1.613.338. In crescita anche Atlantide – Storie di Uomini e di Mondi condotto da Andrea Purgatori: la seconda puntata ha realizzato il 3,66% di share con 819.024 telespettatori medi e picchi del 4,62% e 1.111.399. Al mattino L’ Aria che tira di Myrta Merlino ha ottenuto il 5,45% di share con un picco del 6,61%. La Cucina Italiana cambia veste. Il 15 dicembre 1929 nasceva La Cucina Italiana, 88 Natali dopo il primo giornale italiano di gastronomia con la cucina in redazione si rinnova completamente per declinare in chiave contemporanea l’ impegno a promuovere, nelle abitudini alimentari degli italiani, «il bello e il buono». Il numero di dicembre del mensile, unico italiano di nascita tra i brand Condé Nast, ha in copertina una Ciambella «velluto rosso», la cui ricetta è realizzata da Nicola Di Lena, pastry chef del Seta, il due stelle Michelin del Mandarin Oriental di Milano. Un’ immagine innovativa e dal sapore internazionale e una grafica che coniuga la modernità dei titoli a una testata ridisegnata da Mucca Design, studio newyorkese di Matteo Bologna, in omaggio al logo che andava in copertina negli Anni Cinquanta. Mn compie 20 anni e apre a Milano Mn Lab. Nata nel 1997, a Roma, come agenzia di comunicazione focalizzata principalmente sull’ attività di ufficio stampa nel mondo dello spettacolo musicale e televisivo, Mn è oggi una holding che raggruppa società dalle attività diverse che operano in sinergia tra loro. Mn, che ha chiuso il 2016 con un fatturato di 10 mln di euro, aprirà i nuovi uffici di Milano lunedì 27 novembre, in una ex cartiera in Via Vannucci 16. Lo spazio è pensato per poter ospitare produzioni video, shooting fotografici, presentazioni, eventi, showcase. Mn sta anche lavorando ad una nuova area di business dedicata alla realizzazione di progetti nel mondo del food, sia in ambito televisivo e web che sul territorio. Visibilia Editore, Bracknor richiede la conversione di 5 bond. La società ha ricevuto da Bracknor Investment una richiesta di conversione di 5 obbligazioni della prima tranche del prestito obbligazionario convertibile (Poc), parte del contratto d’ investimento concluso tra Visibilia e Bracknor lo scorso 10 ottobre. Successivamente alla conversione, spiega una nota, nell’ ambito della prima tranche risultano ancora da convertire 45 obbligazioni. Le 5 obbligazioni oggetto di conversione danno diritto a sottoscrivere 294.118 azioni ordinarie di nuova emissione Visibilia Editore, pari allo 0,98% del capitale sociale post aumento, il cui valore nominale risulterà incrementato di 50 mila euro. Tlc: Agcom, dal 2018 controversie risolte anche online. Il Consiglio dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha avviato il ConciliaWeb, un procedimento che dal 2018 consentirà ai consumatori la risoluzione, anche online, delle controversie nei confronti degli operatori di telefonia e delle pay-tv. L’ Autorità, a partire dal 2002, ha garantito agli utenti la possibilità di risolvere le controversie con i propri operatori recandosi presso il Co.Re.Com della propria Regione. «Dal 2018, grazie al ConciliaWeb tale opportunità potrà essere sfruttata senza la necessità di spostarsi dal proprio domicilio o luogo di lavoro, ma semplicemente accedendo al portale dal proprio Pc o smartphone», ha spiegato il relatore Antonio Nicita. Giallozafferano, un libro e un evento. Day. È in libreria Le ricette dei nostri food blogger, il nuovo libro di GialloZafferano (edito da Mondadori) che raccoglie 180 ricette pensate e realizzate da 20 tra i migliori food blogger del sito di cucina più amato in Italia. Per celebrare l’ uscita del libro è stato organizzato, in collaborazione con Mondadori Store, il «Giallo Zafferano Day». Domani, in 13 location in tutta Italia, i 20 food blogger saranno protagonisti di uno showcooking durante il quale cucineranno una delle loro ricette presenti nel libro.

Rai, privatizzare tre volte di seguito

Italia Oggi
DANIELE CAPEZZONE
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Ho vero rispetto per Tiziana Ferrario, e anche per l’ autorità giudiziaria che la scorsa settimana si è espressa in appello contro Augusto Minzolini. Tuttavia, mi sorge un dubbio, che esprimo a prescindere da questo caso, indipendentemente dai dettagli giuridici di una vicenda che ho seguito solo sui giornali. Se per caso, dopo trent’ anni, dopo circa sei lustri, il direttore del Tg1 decide di avvicendare alcuni conduttori e conduttrici, mi pare che la decisione possa essere rispettata. O forse è impossibile cambiare alcunché? In un mondo in cui tutti siamo flessibili, solo i mezzibusti del Tg1 devono essere considerati intoccabili? Chi viene toccato è necessariamente un discriminato politico? Altrimenti interviene la giustizia? Anche per questo, tutta la mia solidarietà ad Augusto Minzolini. Ma non basta: è una ragione di più per associare un solo verbo alla parola «Rai»: privatizzare, privatizzare, privatizzare! © Riproduzione riservata.

Amazon e Facebook, obiettivo Liga

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Il calcio spagnolo potrebbe dare il là per l’ ingresso dei giganti over the top nell’ arena dei diritti televisivi europei che contano. Facebook e Amazon, infatti, sarebbero intenzionati a partecipare all’ asta della Liga de Fùtbol Profesional prevista per l’ inizio del prossimo anno per le tre stagioni dal 2019 al 2022. La notizia è stata data dal sito El Confidencial che ha anche scritto che il presidente della Liga, Javier Tebas, ha confermato l’ interesse. Per il mercato dei diritti del calcio europeo sarebbe il primo grande test. La Liga ha come obiettivo quello di ricavare dai diritti 2,3 miliardi di euro a stagione, ovvero 1,3 miliardi da quelli per la trasmissione in Spagna, 300 milioni in più rispetto ai livelli attuali, e 1 miliardo dalla vendita all’ estero, ben 400 milioni in più rispetto a ora. Un obiettivo che confermerebbe il secondo posto del calcio spagnolo dopo quello inglese in termini di diritti tv. Per fare un confronto, i diritti della Serie A all’ estero venduti una decina di giorni fa hanno fruttato 370 milioni di euro a cui si deve aggiungere la coppa Italia e la Supercoppa, mentre l’ obiettivo dell’ asta alle porte per i diritti domestici è di raggiungere 1,1 miliardi a stagione. Facebook e Amazon hanno risorse elevate da mettere sul piatto e per questo il settore televisivo spagnolo è ovviamente in fermento. D’ altronde il loro ingresso nelle maggiori competizioni europee era dato prima o poi per scontato visti gli investimenti già fatti in altri sport a partire dagli Usa. Amazon Prime Video, per esempio, trasmette ogni giovedì una partita di football americano (visibile anche agli utenti del servizio in Italia, seppure generalmente a tarda notte) avendo acquisito i diritti dalla Nfl per 50 milioni di dollari. In Uk ha invece battuto Sky sul torneo di tennis Atp e anche in Italia ha già trasmesso le fasi finali del torneo Next Gen Atp da Milano. Facebook, dal canto suo, ha già i diritti del baseball Usa, delle competizioni mondiali di surf, della Champions League per gli Stati Uniti e così via. Il tutto attraverso la sua piattaforma di streaming Watch. Tra l’ altro è dato anche per scontato che i due ott partecipino alla gara per la Premier inglese a fine anno (e in verità ci si attendeva una mossa sull’ asta italiana non andata a buon fine prima dell’ estate). Ovvio che gli attori tradizionali spagnoli siano allarmati. Attualmente i diritti in chiaro della Liga sono detenuti da Mediapro, tant’ è che durante un incontro sui diritti Tebas si è lasciato sfuggire che, nella nuova situazione che si sta creando, «si arriverà ai 2.300 milioni, così il signor Jaume Roures (patron di Mediapro, ndr) deve offrire di più se vuole i diritti del calcio». Oltre a Mediapro sarebbero interessati a partecipare alla gara anche Mediaset e Atresmedia per i diritti in chiaro, mentre Movistar, Vodafone e Orange per quelli pay. L’ intenzione di questi ultimi è però quella di non partecipare a una gara di prezzo: con i livelli previsti dalla Liga, sostiene Vodafone, i clienti dovrebbero pagare tre volte l’ abbonamento attuale per vedere le partite. © Riproduzione riservata.

Il Centro Sperimentale di Cinematografia cambia sito e logo e apre nuove sedi

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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Un nuovo portale, nuovi spazi, nuovi edifici: nella Casa del Cinema di Roma, il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale ha annunciato le novità della stagione 2017-2018, con il presidente del Csc Felice Laudadio, il direttore generale Marcello Foti, il presidente e amministratore delegato di Istituto Luce-Cinecittà Roberto Cicutto e il direttore cinema del Mibact Nicola Borrelli. Il nuovo portale internet, online da ieri, all’ indirizzo web www.fondazionecsc.it, rinnova il vecchio sito dal punto di vista della grafica e della comunicazione: il nuovo logo della fondazione Csc apparirà in tutte le sedi e, nella versione animata a cura del direttore artistico della sede di Milano del Csc, Maurizio Nichetti, introdurrà le proiezioni di tutti i film restaurati dalla Cineteca Nazionale. Il nuovo logo ha una sigla musicale composta per l’ occasione dal premio Oscar Nicola Piovani. Le novità strutturali riguardano nuovi spazi che il Csc dedicherà alla didattica e alla diffusione delle sue attività. Dall’ autunno 2018 disporrà a Roma di una nuova sala cinematografica da 340 posti all’ interno dei giardini della Biblioteca Nazionale di Castro Pretorio: andrà a sostituire l’ attuale sala Trevi. Un altro spazio sarà la sala cinema dell’ Istituto Tecnico Enzo Ferrari. Da un accordo con i Cavalieri del Lavoro nasce invece la disponibilità di una nuova sede in via Francesco Buonamici, a meno di un chilometro dalla sede storica di via Tuscolana, che potrà essere utilizzata sia come luogo didattico, sia come foresteria per studenti e docenti ospiti. Infine, nascerà una nuova sede regionale del Csc a Lecce, in Puglia. I film restaurati, nel corso della prossima, arriveranno anche in sala grazie alla nuova struttura Csc Distribution nata all’ interno della Csc Production con la consulenza di Filippo Roviglioni. Il primo pacchetto di titoli sarà presentato il 27 novembre alle Giornate professionali di Sorrento: «Siamo il Centro Sperimentale», ha detto Laudadio, «e vogliamo sperimentare questa possibilità. Un restauro costa mediamente circa 100 mila euro, è doveroso renderlo pubblico. E speriamo che il clamoroso ritorno in sala di Ultimo tango possa fare da traino a questa iniziativa». Sempre legato al restauro è l’ annuncio dell’ art bonus, un’ iniziativa dell’ Agenzia delle Entrate che permette ad aziende e privati di finanziare restauri beneficiando di un credito di imposta del 65%. Cicutto ha auspicato che «l’ art bonus sia fruibile anche per il materiale d’ archivio del Luce», e ha sottolineato come Csc e Luce-Cinecittà, «da cugini stiano diventando fratelli, in futuro forse gemelli, e lavoreranno insieme su molti progetti, dai restauri all’ editoria alla didattica: in questo rientra il modello Erasmus che ricalcheremo nell’ elaborazione del Miac, il Museo Italiano dell’ Audiovisivo e del Cinema che sorgerà negli edifici del complesso degli studi di Cinecittà e negli adiacenti edifici dell’ Istituto Luce». Laudadio ha anche annunciato che il 2020 sarà un «anno Fellini», in occasione del centenario della nascita del regista. © Riproduzione riservata.

Cairo sfida Repubblica-Stampa col CorSera Torino

MF
ANDREA MONTANARI
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Ampliare il bacino d’ utenza del Corriere della Sera, che storicamente vende la gran parte delle copie in Lombardia, andando a conquistare nuovi lettori. Prima a Torino e più in generale in Piemonte. E poi puntando alla Liguria e e al Friuli. Sono questi gli obiettivi di Rcs Mediagroup, che ieri nella città della Mole ha presentato il nuovo dorso locale, che sarà diretto da Umberto La Rocca (già vicedirettore della Stampa e direttore del Secolo XIX). L’ impegno è notevole, visto che la testata del gruppo controllato da Urbano Cairo proverà a fare concorrenza diretta al giornale leader indiscusso nella regione, ovvero La Stampa diretta da Maurizio Molinari, e al competitor per eccellenza su scala nazionale, ossia La Repubblica, diretta da Mario Calabresi, rinnovata nei contenuti e nella grafica proprio in questi giorni e che proprio a Torino ha una delle sue principali roccaforti. Una sfida complicata, quella al gruppo Gedi (nato dalla fusione della Itedi di Fca-Exor nel Gruppo L’ Espresso della famiglia De Benedetti), che potrebbe risultare però agevolata dall’ integrazione editoriale, redazionale e anche pubblicitaria tra i due quotidiani. «Torino è una grande città; non eravamo presenti con una redazione sul territorio ed era sicuramente una mancanza importante. Era come se al Corriere mancasse un pezzo», ha commentato ieri Cairo durante la presentazione ufficiale. «Adesso invece finalmente con il Corriere Torino abbiamo un giornale dedicato totalmente alla città: 28 pagine ricche di tutto quello che accade. E poi ci allargheremo a tutto il Piemonte. È un investimento importante che avrei voluto fare subito, ma per farlo bene ci voleva del tempo. Adesso siamo qui, con una bella redazione di gente che ha voglia di cercare notizie trattandole in maniera libera e approfondita». Quanto agli obiettivi di vendita, il patron di Rcs non si è sbilanciato: «Non rispondo per scaramanzia, ogni volta che ho fatto previsioni non le ho mai azzeccate. È importante essere prudenti, l’ obiettivo è far tornare a leggere gente che non legge, incuriosire persone che non leggono così tanto e magari di aumentare le copie vendute in settimana. Contestualmente fa passi avanti il piano di Cairo di far rivirere la casa editrice libraria. Il progetto «Solferino» è in fase di definizione. È appena arrivata anche Giovanna Canton, che in Rizzoli (acquisita da Mondadori) si occupava dei diritti e della narrativa straniera. Pare che il numero uno di Rcs stia anche definendo un accordo di distribuzione con il tandem Feltrinelli-Mauri Spagnol e che voglia al contempo vendere i libri anche direttamente in edicola, magari abbinandoli al Corriere della Sera. (riproduzione riservata)

La festa del Corriere e l’ abbraccio di Torino: «Importante essere qui»

Corriere della Sera
Enrico Caiano
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TORINO Il Teatro Regio stracolmo. La città ha risposto. Riempiendo gli oltre mille posti del suo salotto nel salotto, il teatro più importante della città, sotto i portici di Piazza Castello. Da oggi Torino scopre il Corriere della Sera e il Corriere della Sera scopre Torino: è nato il dorso torinese del primo quotidiano italiano. Sul palco a celebrarlo la sindaca Chiara Appendino e il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino, le massime autorità istituzionali di città e regione. Massimo Gramellini, il torinese per eccellenza del Corriere della Sera , li accoglie sul palco dopo aver spiegato in un «Caffè» scritto per l’ occasione quali saranno le linee-guida editoriali e giornalistiche della nuova avventura del Corsera nel capoluogo sabaudo. Chiamparino accoglie con entusiasmo il Corriere sotto la Mole: «C’ è una voce in più a raccontare la città e la regione, la vita dei cittadini, le nostre imprese e la comunità tutta». Dopo le autorità istituzionali sul palco arrivano l’ editore del quotidiano di via Solferino Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato di Rcs Mediagroup, il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana e Umberto La Rocca, al timone del nuovo dorso locale che oggi è in foliazione record: 28 pagine. È proprio Cairo a spiegare il perché della scelta di approdare a Torino: «La città è troppo importante per non avere una redazione. Era come se ci mancasse un pezzo». Non a caso la scelta di quello slogan «Scusate il ritardo», molto caro al presidente Cairo e scritto sui manifesti che colorano la città dove si ammira un conte Camillo Benso di Cavour con in mano il Corriere . «È un investimento importante – spiega ancora Cairo – che avrei voluto fare subito ma per farlo bene ci voleva del tempo». Luciano Fontana illustra il nuovo giornale: «Con La Rocca abbiamo costruito un quotidiano nuovo che riesce a toccare ogni ambito e ogni registro per rappresentare il territorio in ogni suo aspetto». Prima dei protagonisti dell’ avventura torinese si è visto sul palco Massimo Giletti, dopo il successo all’ esordio di «Non è l’ Arena», che sul nuovo giornale firmerà una rubrica da tifoso juventino in contrapposizione a quella da tifoso granata di Massimo Gramellini. Prima di lui il reading di pagine su Torino dell’ attrice Laura Curino, del poeta e scrittore Guido Catalano che sul nuovo giornale terrà la rubrica della Posta del Cuore e l’ attrice Giovanna Mezzogiorno, romana ma torinese d’ adozione, nipote di un direttore del Corriere nel 1943, Filippo Sacchi, che era il padre di sua madre. Ha scelto da sei anni la città sabauda per crescere i suoi due gemelli. Torino capitale italiana del verde pro capite, nonostante gli attacchi dello smog, l’ ha convinta. Ma da oggi dovrà essere il Corriere a convincere Torino e i torinesi.

Tim-Mediaset, stretta sul negoziato

Il Messaggero

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LA SVOLTA ROMA Un grande accordo fra Tim, Mediaset e Vivendi che passi per i contenuti e la rete da un lato e sia benedetto dalla politica dall’ altro: è questo lo scenario che si sta delineando nelle ultime ore. E potrebbe comprendere la modifica del Tusmar, il Testo unico dei servizi audiovisivi e radiofonici la cui violazione da parte di Vivendi per la doppia presenza in Tim (23,94%) e in Mediaset (29,9%), ha fatto scendere in campo l’ Agcom con l’ obbligo di Vivendi diluirsi nel Biscione sotto al 10%. Da ieri, secondo quanto ricostruito dal Messaggero presso fonti bancarie, sarebbero a Milano l’ ad Amos Genish, il general counsel Agostino Nuzzolo e la responsabile multimedia entertainment & consumer digital services (i contenuti) Daniela Biscarini per accelerare i colloqui con esponenti di Mediaset e probabilmente anche di Sky sul contenzioso in essere. Il vertice con Mediaset fa seguito alla bozza di term sheet trasmessa martedì 21 da Pasquale Straziotta, capo ufficio legale del Biscione, a Nuzzolo sulla fornitura di contenuti da Mediaset a Tim Vision, la joint venture di cui Tim vanta il 60% e Canal+ il 40%. L’ accelerazione sull’ accordo commerciale potrebbe concretizzarsi entro pochi giorni e sarebbe un tassello della transazione complessiva. LA CONTROPARTITA I banchieri ritengono che la grande pax possa essere siglata prima del 19 dicembre, quando è fissata l’ udienza sulla causa da 3 miliardi fra le due media company. Lo schema per sanare la frattura che contrappone Mediaset a Vivendi da ormai 16 mesi si articola su due piani. Il primo coinvolge Tim e Mediaset sui contenuti: dai film allo sport, alla trasmissione sulla piattaforma digitale di Telecom dei canali free to air tradizionali (Canale5, Italia1 e Rete4). L’ accordo prevederebbe cospicui minimi garantiti, che farebbero lievitare il controvalore della transazione commerciale a circa 600 milioni spalmati su sei anni. In questo modo il Biscione vedrebbe assicurato uno sbocco ai suoi prodotti e la formula dei minimi garantiti, che pure sinora per Tim si è dimostrata di assai modesto successo come nel caso di Sky, garantirebbe Cologno Monzese per un periodo sufficientemente ampio. La seconda gamba dell’ accordo riguarderebbe invece Mediaset e Vivendi, i cui rispettivi legali – Sergio Erede (BonelliErede) e Giuseppe Scassellati con Ferdinando Emanuele (Cleary Gottlieb) – starebbero ipotizzando una compensazione cash per la mancata acquisizione di Premium da parte di Vivendi: il quantum si dovrebbe aggirare intorno a 700 milioni, pari alla cifra inizialmente pattuita nel contratto firmato dal ceo di Vivendi Arnaud de Puyfontaine e dal medesimo impugnato. Resterebbero aperte due questioni: la prima sul 29,9% di Vivendi in Mediaset, alla luce della imposizione di Agcom di scendere sotto il 10%, e il futuro di Premium. Giova ricordare che a oggi l’ art. 43 del Tusmar impedisce a Vivendi di mantenere una quota superiore al 20% in Tim, in quanto detentrice di oltre il 40% del sistema di tlc, e al 10% in Mediaset. Se nel breve termine la soluzione di conferire a un blind trust la quota di Mediaset eccedente per l’ appunto il 10% di Mediaset appare scontata, per il futuro potrebbe entrare in scena l’ operazione di scorporo della rete Telecom a risolvere i problemi e spianare la strada alla tanto attesa fusione Mediaset-Tim per la creazione, sotto l’ egida di Vivendi, di un polo europeo dei contenuti. A proposito di rete, Genish porterà al cda del 5 dicembre studi di fattibilità sulle varie opzioni, dopo che Carlo Calenda ha puntualizzato che la discussione con Tim non è sul controllo. Attraverso la cessione di una parte della rete, Tim vedrebbe scendere la propria quota ai sensi del Tusmar e, contemporaneamente, il nuovo idillio fra i vertici Telecom e il governo potrebbe agevolare e potrebbe essere questo il vero dividendo dell’ operazione sulla rete una revisione del Tusmar medesimo, specie nell’ ottica in cui Silvio Berlusconi tornasse protagonista della scena politica italiana. Intanto ad horas verrà ufficializzata l’ uscita di Francesco Micheli, capo dei progetti speciali e risorse: le deleghe passano ad interim a Nuzzolo. Rosario Dimito © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rassegna Stampa del 25/11/2017

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Indice Articoli

Braccio di ferro tra Coni e governo del calcio, lunedì nuova riunione

CONCESSIONI

Bonus pubblicità, escluse le televendite

Sole 24 Ore, aumento sottoscritto per intero con il consorzio

La pace a due velocità per Vivendi e Mediaset

Autunno fiacco per i film italiani

Chessidice in viale dell’ Editoria

Anche il web non se la passa bene

Estensione al 2018 per il divieto di incroci tra proprietari di tv e giornali

Muy Confidencial: Roberto Bernabò lascia la direzione editoriale dei quotidiani Finegil e da gennaio 2018 diventa vice direttore digitale del ‘Sole 24 Ore’

Tim tratta con Mediaset e Sky per la tv “su misura” via Internet

Testata al giornalista il piccolo boss resta in cella

Come ti costruisco una bufala anche il Nyt suona l’ allarme Italia

Crisi e tagli, i giornalisti in piazza

Braccio di ferro tra Coni e governo del calcio, lunedì nuova riunione

Il Manifesto
LUCA PISAPIA
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II La quiete, prima della tempesta. In attesa di due giornate decisive per il campionato, quando la Juventus andrà prima a fare visita al Napoli e poi ospiterà l’ Inter, il fine settimana non regala partite di alta classifica o scontri salvezza. Un modo per ricaricare le batterie fisiche e psicologiche, soprattutto per chi ha giocato nelle coppe. Se in Europa League le italiane sono tutte qualificate, in Champions all’ ultimo turno si profilano veri e propri spareggi, con il traumatico significato che il termine ha assunto dopo Italia -Svezia. Usando l’ antico metodo di sommare i punti in classifica per decidere l’ importanza delle partite, il big match diventa Cagliari -Inter, 48 punti in due. L’ Inter è un caso limite: non ha nuove stelle da mettere in vetrina, se non i «vecchi» Icardi e Perisic; non ha la miglior difesa, né ilmiglior attacco; non gioca un calcio particolarmente spumeggiante, eppure ha battuto Fiorentina, Roma, Milan e ha pareggiato in trasferta a Napoli. Nessuno la vede favorita, eppure è costantemente seconda in classifica e nulla lascia presagire un suo crollo. Anzi. Segue Udinese -Napoli (47), dove sulla panchina friulana toccherà al nuovo tecnico Oddo provare a fermare l’ irresistibile cammino della capolista. Poi Lazio -Fiorentina (45) e Juve-Crotone (43). CHE LA QUARTApartita più importante della giornata sia il testacoda tra i bianconeri – che in Champions si sono presentati con un inedito 3-4-2-1, nuovo modulo per superare la crisi? – e una seria candidata alla retrocessione, dice molto sulla qualità del nostro sistema. Per questo, la fase di scarico del calcio giocato permette di concentrarsi sulle ultime vicende di una politica sportiva tutt’ altro che quieta, dove tuoni e fulmini imperversano da settimane. Siamo nel pieno di un durissimo scontro trail Coni e il governo del cal cio. Al momento delle pressioni esercitate per ottenere le dimissioni di Tavecchio, il presidente del Coni aveva ottenuto la certezza di poter commissariare la Figc. Per farlo però, doveva decadere l’ intero Consiglio federale, cosa che non è accaduta. Evidentemente, altre pressioni hanno spinto nella direzione opposta. Una sconfitta assai pesante per Malagò, che ha ancora l’ appiglio giuridico per intervenire se entro l’ 11 dicembre, a scadenza della reggenza Tavecchio, non si è trovato il sostituto. Ecco quindi partire una corsa contro il tempo. GIOVEDÌ, in fretta e furia è stato eletto in Serie B l’ ex commissario Balata, che nel programma di candidatura aveva espresso la volontà di legarsi a Sky per il prossimo triennio, dimenticando che il bando è pubblico e facendo capire di essere il candidato di quel potere televisivo che tiene in ostaggio il pallone. Lunedì, nell’ assemblea di Serie A, da una parte Inter e Napoli potrebbero trovare un accordo con la Roma, per non eleggere nessuno e permettere a Malagò di commissariare il tutto. In mezzo, la Juve stretta nelle diatribe tra Elkann e Agnelli. Dall’ altra, Lotito e la sua (ora non tanto più solida) maggioranza sono pronti a eleggere chicchessia pur di evitare il commissariamento Figc, probabile fine del suo impero. Tra i vari nomi proposti dal patron laziale, il favorito per rifondare il calcio è un ex magistrato, classe 1941. L’ Italia non è più un paese per Tavecchio, ma rimane sempre un paese per vecchi.

CONCESSIONI

Il Sole 24 Ore

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No a incroci tv giornali Nell’ emendamento governativo “milleproroghe” c’ è la nuova proroga per il 2018del divieto di incroci proprietari tra Tv e giornali (sarebbe scaduto a fine 2017). In sostanza le emittenti tv nazionali che hanno ricavi superiori all’ 8% del sistema integrato delle comunicazioni non possono acquisire partecipazioni in imprese editrici di quotidiani.

Bonus pubblicità, escluse le televendite

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Sul bonus pubblicità per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti tv e radio locali, arriva la certezza delle regole operative. Questo è il primo e più evidente risultato della pubblicazione, sul sito della presidenza del Consiglio dei ministri, delle procedure per permettere ad aziende e lavoratori autonomi di richiedere il credito d’ imposta sulla pubblicità incrementale per 2017 e 2018. Una misura, questa, molto attesa dal settore editoriale nel tentativo di dare nuovo slancio alla raccolta pubblicitaria. L’ agevolazione, introdotta dalla manovra correttiva 2017 e fortemente richiesta dalla Fieg al Tavolo Editoria, è prevista per chi farà investimenti superiori, nel periodo interessato, dell’ 1% al valore degli investimenti, di analoga natura, effettuati nell’ anno precedente. I chiarimenti che sono stati pubblicati sulla pagina web del Dipartimento per l’ informazione e l’ Editoria della Presidenza del Consiglio (http://presidenza.governo.it/die/) anticipano così i contenuti del Dpcm di prossima adozione. Nelle more del parere del Consiglio di Stato, che dovrà precedere l’ adozione del Dpcm, la pubblicazione online di questi chiarimenti operativi dà copertura all’ operazione. Mettendo anche punti fermi. Il primo: i limiti di spesa andranno distinti fra stampa, da una parte, e radio e tv locali dall’ altra. E la domanda dovrà contenere l’ ammontare del credito d’ imposta richiesto per ognuno dei due media. In questo senso tutti gli investimenti dal 24 giugno al 31 dicembre sono ammissibili al credito d’ imposta solo se fatti sulla stampa (edizioni cartacee o edizioni online per tutte le testate iscritte presso il Tribunale ai sensi della legge 47 del 1948 o presso il Registro operatori di comunicazione). Per radio e tv locali se ne parlerà nel 2018. Sono escluse le spese per televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite in denaro, di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovrapprezzo. Il credito d’ imposta è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90% nel caso di microimprese piccole e medie imprese e startup innovative. Questo bonus andrà calcolato sulla parte eccedente l’ 1% di incremento delle spese avute l’ anno prima. La dote a disposizione è di 62,5 milioni. Si parla di 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per quelli effettuati nel secondo semestre 2017 più 30 da effettuare nel 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare sulle emittenti radio-televisive nel 2018. Guardando agli importi, il credito d’ imposta liquidato potrà essere inferiore a quello richiesto qualora venisse superato l’ ammontare delle risorse stanziate. In tal caso gli aventi diritto avrebbero una ripartizione percentuale delle risorse. Nel caso in cui, invece, la dotazione finanziaria dovesse essere superiore alle richieste, le risorse andranno a valere sulla dote dell’ anno successivo. Per la fruizione del beneficio, dove fosse superiore alla soglia dei 150mila euro, è stata scelta la soluzione del meccanismo delle “white list”. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sole 24 Ore, aumento sottoscritto per intero con il consorzio

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Facendo seguito al comunicato stampa diffuso in data 21 novembre 2017, Il Sole 24 Ore Spa comunica che si è conclusa l’ offerta in opzione di numero 52.012.476 azioni speciali del Sole rivolta ai possessori di azioni ordinarie e speciali della Società, rivenienti dall’ aumento di capitale a pagamento e in forma inscindibile deliberato dall’ assemblea straordinaria del 28 giugno 2017. In particolare, durante il periodo di opzione, iniziato il 30 ottobre 2017 e conclusosi il 16 novembre 2017, estremi inclusi, sono state sottoscritte numero 47.336.172 azioni, pari al 91,01% delle azioni e per un controvalore complessivo pari a 45.490.061,30 euro, per effetto dell’ esercizio di 11.834.043 diritti di opzione. La società precisa che Confindustria, in adempimento agli impegni in precedenza assunti, ha esercitato 7.804.371 diritti di opzione alla stessa spettanti, corrispondenti a numero 31.217.484 azioni, per una quota pari al 60,02% del totale delle azioni, per un controvalore complessivo di 30.000.002,12 di euro. Ai sensi dell’ art. 2441, terzo comma, del Codice Civile, la Società ha offerto in Borsa i 1.169.076 diritti d’ opzione non esercitati nel periodo di opzione (i “Diritti Inoptati”). Tutti i Diritti Inoptati sono risultati interamente venduti nel corso della prima seduta dell’ Offerta in Borsa, il giorno 21 novembre 2017, per un ammontare complessivo pari a 233,82 euro. All’ esito dell’ Offerta in Borsa sono state sottoscritte 442.160 azioni relative a 110.540 Diritti Inoptati per un controvalore complessivo di 424.915,76 euro. Pertanto, a esito di quanto sopra, risultano complessivamente sottoscritte 47.778.332 azioni pari al 91,86% delle azioni e per un controvalore complessivo pari a 45.914.977,06 euro. Ai sensi e ai termini dell’ accordo di garanzia, le 4.234.144 azioni residue (per un controvalore complessivo di 4.069.012,38 euro) saranno sottoscritte dal consorzio di garanzia composto da Banca Imi Spa e Banca Akros Spa, a esito del perfezionamento dell’ Operazione Formazione. A seguito di tale sottoscrizione da parte delle banche del consorzio di garanzia, l’ aumento di capitale in opzione e in forma inscindibile risulterà interamente sottoscritto per un controvalore complessivo di 49.983.989,44 euro. Il Documento di Registrazione, la Nota Informativa e la Nota di Sintesi (insieme, il “Prospetto”) sono pubblicati ai sensi di legge e quindi resi disponibili presso la sede sociale del Sole in Milano, Via Monte Rosa 91, nonché sul sito internet www.gruppo24ore.ilsole 24ore.com. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La pace a due velocità per Vivendi e Mediaset

Il Sole 24 Ore

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vivendi ha una gran fretta di chiudere il contenzioso con Mediaset, o almeno ci spera. Mediaset non sembra avere la stessa urgenza. Tanto più che le voci di risarcimenti miliardari, che si susseguono almeno da inizio ottobre, non hanno altro effetto se non quello di provocare un fuoco di paglia sul titolo che poi, puntualmente, torna indietro perchè la pace che sembra sempre dietro l’ angolo si sposta ogni volta in avanti come un miraggio. Giovedì l’ ad di Telecom, Amos Genish, era a Milano, ma non per recarsi in visita a Cologno, bensì per incontrare Andrea Zappia, l’ ad di Sky Italia, emittente con la quale è in piedi un altro contenzioso e alla quale, come premessa per ricostruire i rapporti, è stata riassegnata un po’ di pubblicità Tim. Ad ogni modo, l’ azienda beneficiaria di supposte profferte miliardarie cash, per sanare un mancato contratto da 760 milioni di carta azionaria su Premium, non sembra essere in procinto di incassare. Il direttore finanziario del Biscione, Marco Giordani, intercettato dalla Reuters, ha risposto che la questione dell’ accordo con i francesi «non è così calda». Radiocor aggiunge che Giordani avrebbe detto agli analisti che l’ intesa «non è imminente» e la data d’ udienza in Tribunale del 19 dicembre «non dirimente». Fintanto che il titolo sale (+4,16% Mediaset ieri in Borsa a 3,20 euro), qualcuno però sarà contento. (A.Ol.)

Autunno fiacco per i film italiani

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dal 1° settembre al 19 novembre solo sette film italiani hanno superato la soglia minima del milione di euro al botteghino. In sala ne sono arrivati, invece, complessivamente una trentina, la gran parte senza lasciare traccia. Sei titoli hanno incassato poche decine di migliaia di euro (tra cui pure A Ciambra, 26 mila euro, ma comunque candidato italiano agli Oscar 2018), e altri 11 sono rimasti sotto i 500 mila euro. Insomma, un autunno molto fiacco per l’ industria cinematografica tricolore, che dovrà scontare, per le note vicende, pure la perdita, almeno per un po’ di tempo, di un campione di incassi come il regista Fausto Brizzi, e che ora si riprenderà solo con le pellicole del Natale e di gennaio. C’ è tuttavia una diffusa impressione che il business del cinema sia definitivamente cambiato, e che in sala si portino prodotti senza speranza, realizzati con un business plan che non vede il box office come una delle voci fondamentali, ma solo come una tappa obbligata verso altre forme remunerative (home video, streaming a pagamento, pay per view, pay tv, canali in chiaro ecc). L’ esclusività del circuito cinema, che propone i film in anteprima rispetto a tutte le altre piattaforme, è ormai messa in discussione: Netflix, ad esempio, porta in sala i suoi titoli rilasciandoli in contemporanea nella library a pagamento in streaming. In Italia anche Vision distribution, la casa di distribuzione controllata da Sky e partecipata da altri produttori e distributori italiani indipendenti, prova a rivoluzionare i modelli distributivi. E, in effetti, ci riesce: mandando in sala in anteprima le prime due puntate della serie tv Gomorra 3, solo il 14 e il 15 novembre, ha realizzato un box office di 500 mila euro che colloca il titolo (poi in onda su Sky dal 17 novembre) all’ undicesimo posto assoluto degli incassi italiani al cinema dal 1° settembre al 19 novembre. Come spiegano da Sky, «questo risultato, di un prodotto che va in sala tre giorni prima di andare in onda sulla pay-tv, va molto oltre al dato in sé. Dimostra che i modelli distributivi tradizionali possono e devono essere messi in discussione e riformati, che il mercato e soprattutto il pubblico lo sta già facendo e che per l’ industria c’ è una straordinaria occasione di rinnovamento, basta volerla cogliere. L’ anteprima di Gomorra al cinema, con il suo straordinario successo di pubblico, conferma un principio fondante della nostra industria: al cinema vince chi sa proporre grandi storie ed emozioni. Vision è nata con l’ obiettivo di evolvere e innovare il cinema italiano e questo risultato conferma la solidità dei nostri propositi». A comandare la classifica del cinema italiano nell’ autunno 2017 ci sono La ragazza nella nebbia (regia di Donato Carrisi, che ha pure scritto il libro, e interpretato da Toni Servillo e Alessio Boni) e The Place (di Paolo Genovese, con Valerio Mastandrea e Marco Giallini), entrambi distribuiti da Medusa. Per The Place, (un film al quale la critica attribuisce solo due asterischi, uno dei punteggi più bassi), si resta comunque molto lontani dal boom del suo precedente Perfetti sconosciuti, che aveva chiuso con un botteghino pari a 17,3 milioni di euro. Con The Place si dovrebbero toccare, al massimo, i 5 milioni di euro. Al terzo posto, per ora, c’ è Fortunata, di Sergio Castellitto, con un box office di 2,1 milioni (distribuito da Universal pictures) e al quarto Terapia di coppia per amanti (due milioni di incassi) del regista Alessio Maria Federici (distribuzione Warner Bros). Quindi Ammore e malavita, dei Manetti bros: del film si è fatto un gran parlare, ma gli incassi si sono fermati a 1,4 mln (distribuzione 01). Il colore nascosto delle cose, di Silvio Soldini, ha fatto il suo con 1,3 mln (Videa-Cde distribuzione), ed è andato bene, rispetto alle aspettative, anche Chi m’ ha visto di Alessandro Pondi (01 distribuzione). Il tempo di Tre metri sopra il cielo sembra invece definitivamente tramontato per Federico Moccia: il suo ultimo lavoro, Non c’ è campo, ha incassato appena 575 mila euro. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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YouTube, inserzionisti sospendono spot per commenti inappropriati ai video. Alcuni inserzionisti hanno deciso di sospendere i propri spot pubblicitari su YouTube, dopo che questi sono apparsi accanto a video che attiravano visualizzazioni e commenti di pedofili. Tra le pubblicità sospese ci sono quelle di importanti brand come Mars, Adidas, Diageo e Now Tv di Sky Uk. La sospensione degli spot arriva proprio durante il Black Friday, il giorno che segna l’ inizio della stagione festiva dello shopping. Un portavoce di YouTube ha dichiarato che la piattaforma di condivisione video vieta qualsiasi commento di natura sessuale riferito ai minori. «I video in questione non avrebbero dovuto mostrare alcuna inserzione pubblicitaria. Stiamo lavorando per sistemare al più presto la situazione», ha aggiunto il portavoce. La società ha provveduto a disabilitare i commenti sotto migliaia di video identificati come potenzialmente interessanti per i pedofili. Manovra: nuova proroga del divieto incroci stampa-tv. Arriva una nuova proroga di un anno al 31 dicembre 2018 del divieto di incroci proprietari tra stampa e tv. Lo prevede un emendamento del governo alla manovra che anticipa il cosiddetto dl milleproroghe all’ interno della legge di Bilancio. Il divieto viene fatto slittare di anno in anno proprio con il decreto milleproroghe. In pratica, chi detiene una quota del mercato televisivo superiore all’ 8% e le imprese del settore comunicazioni elettroniche che detengono una quota superiore al 4% dei ricavi del settore non possono acquisire o detenere partecipazioni in imprese editrici di quotidiani su carta stampata. Alberto Francesconi nuovo presidente dell’ Anec. Alberto Francesconi è il nuovo presidente dell’ Anec – Associazione nazionale esercenti cinema, per il triennio 2017-2020, ruolo nel quale subentra a Luigi Cuciniello che ha guidato l’ associazione dal 2014. Alberto Francesconi, già presidente Anec dal 2000 al 2002, ha rivestito la carica di presidente dell’ Agis – Associazione italiana generale dello spettacolo dal 2002 al 2010. Insieme a Francesconi sono stati eletti vicepresidenti Domenico Dinoia, Luigi Grispello, Mario Lorini e Andrea Malucelli, Enrico Signorelli per il Gruppo multicinema e Antonio Sancassani per il Piccolo esercizio. Tesoriere è Massimo Lazzeri. Europa Cinemas: Lionello Cerri dell’ Anteo Imprenditore dell’ anno. Il premio è stato assegnato a Lionello Cerri per il suo lavoro di esercente e per il suo contributo essenziale alla circolazione e alla promozione del cinema europeo. Tv: disappunto per l’ intervista del ministro Franceschini. Confindustria Radio Televisioni e le altre imprese televisive si dichiarano «sorprese e dispiaciute» delle dichiarazioni fatte dal ministro Dario Franceschini in un’ intervista apparsa ieri sulla stampa dal titolo «Le mie quote rilanceranno i film italiani. Ho le tv contro? Pazienza». Le emittenti nazionali, nel ricordare il loro disappunto nei confronti di un decreto legislativo che limita per legge la loro capacità economica ed editoriale, ribadiscono che hanno sempre affrontato la questione degli obblighi di investimento e programmazione con un atteggiamento costruttivo. Le nuove norme, si legge in una nota, «rendono l’ Italia un’ eccezione purtroppo negativa nel panorama europeo e sarà il tempo a dimostrare l’ impraticabilità di una legge che non ha nulla in comune con il modello francese (peraltro mai invocato dai broadcaster), che si allontana dal dettato della direttiva europea, che è redatta senza un’ analisi d’ impatto economico e che rischia di rendere del tutto marginale la produzione italiana a livello internazionale». Gruppo Sole 24 Ore, sottoscritto al 91,86% l’ aumento di capitale. E’ quanto ha annunciato ieri con una nota la stessa editrice sottolineando che la ricapitalizzazione sarà interamente coperta con l’ intervento del consorzio di garanzia (Banca Imi e Banca Akros). A oggi sono state sottoscritte 47.778.332 azioni in tutto (pari al 91,86%), per un controvalore pari a 45.914.977,06 euro. Con l’ intervento del consorzio di garanzia, il controvalore totale sarà pari a 49.983.989,44 euro. Dish Network, ritrova l’ accordo con Cbs e ripristina le trasmissioni. Dish Network, la società statunitense del settore della tv satellitare e della pay tv, ha siglato un accordo di trasmissione con Cbs, in base al quale si impegnerà a ripristinare i canali dell’ emittente per oltre 2 milioni di abbonati, una parte di quelli totali. Questi ultimi si sono visti oscurare i canali di Cbs per tre giorni, fattore che ha anche impedito loro di seguire la partita della National Football League nel Giorno del Ringraziamento. I canali di Cbs, insieme a quelli di altre emittenti locali di sua proprietà (tra cui Cbs Sports Network, Pop e Smithsonian Channel), sono rimasti oscurati sulla rete Dish in città come New York, Los Angeles, Dallas e Chicago, in seguito al provvedimento preso dopo che le due società non sono riuscite a raggiungere un nuovo accordo di trasmissione, prima che il contratto precedente scadesse. Mediaset e la «Giornata contro la violenza sulle donne». Le reti Mediaset sostengono oggi la «Giornata internazionale contro la violenza sulle donne», sia negli spazi d’ informazione sia nella programmazione d’ intrattenimento.

Anche il web non se la passa bene

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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È tutta colpa dei fondi d’ investimento che hanno iniettato milioni e milioni di dollari nei nuovi media digitali, imponendo obiettivi di crescita smisurati. E adesso, da Buzzfeed a Vice, da Mashable a Oath, da DnaInfo a Spirit media, è un susseguirsi di mancati traguardi e promesse. Negli Stati Uniti si inizia così a parlare di una nuova bolla delle piattaforme online, pronta a scoppiare dopo quella dei primi anni Duemila. O almeno questo è il timore anche se, secondo una serie di testimonianze riportate da Nieman lab, importante centro studi americano sul futuro del giornalismo, non è davvero chiara la motivazione di questa possibile crisi. Di certo c’ è che Oath, nato dalla fusione tra Aol e Yahoo, si prepara a licenziare 560 dipendenti dopo i 2.100 tagli avviati lo scorso giugno. Obiettivo: riequilibrare i conti. Invece, la piattaforma di news e intrattenimento Mashable è finita sul mercato dopo non essere riuscita, per mesi, ad attrarre nuovi investimenti. Ha trovato un acquirente (Ziff Davis, editrice per esempio di Pc Magazine), anche se l’ accordo non è stato ancora finalizzato. Ma il problema è che ha dovuto accettare il prezzo di 50 milioni di dollari (42,2 milioni di euro), circa 5 volte inferiore rispetto alla valorizzazione della società nel 2016. C’ è poi il caso di un’ altra piattaforma, Vice (presente anche in Italia), a cui gli investitori hanno chiesto di diventare redditizia a partire dall’ anno prossimo, stando almeno ad alcune indiscrezioni di stampa. Anche la media company Usa Buzzfeed avrebbe dovuto rispettare le previsioni, in particolare quella di un fatturato da 350 milioni di dollari (295,3 mln di euro) entro fine 2017. Ma alla conta finale mancano ancora 50-70 milioni di dollari (42,2-59,1 mln di euro). Se però, a giudizio degli esperti di Nieman lab, è vero che i fondi d’ investimento hanno posto l’ asticella troppo in alto, allora il rovescio della medaglia è altrettanto fondato ed è che molti nuovi media digitali non ce la fanno perché risentono del duopolio Facebook-Google sulle inserzioni online. Il dato è noto: negli Stati Uniti, preso a titolo di mercato nazionale per i big della rete e di riferimento per tutti gli altri operatori internazionali, è il 60% della spesa in pubblicità digitale a finire nelle casse del social network di Mark Zuckerberg e in quelle del motore di ricerca firmato Larry Page e Sergey Brin. Assunzione da cui si deduce che il duopolio fa male non solo agli editori di tipo tradizionale ma anche a quelli puramente digitali. Peggio, poi, se questi ultimi vivono di sola raccolta pubblicitaria. E qui emerge infatti un secondo punto di debolezza dei nuovi media digitali (motivo per cui ora molti di loro deludono le aspettative): dipendere dalle sole inserzioni pubblicitarie non fa bene al business. In parallelo, però, anche il brand content (ossia la creazione di contenuti sponsorizzati) ha mancato il bersaglio perché non è mai diventato una solida e possibile alternativa fonte di ricavi. Anzi, in alcuni casi ha peggiorato la situazione di chi ha deciso di spostarsi sulla produzione di video sponsorizzati per attirare più investitori. Nel mentre, infatti, si sono perse di vista le preferenze del lettorato, spesso attaccato alla parola scritta, anche su internet. Sta di fatto, ed è il terzo e ultimo errore rilevato da Nieman lab, che nemmeno i lettori potrebbero essere una possibile e significativa fonte di business. Perché? Perché già il lettore medio, ovunque viva nel mondo, è poco propenso a spendere per leggere ma, in aggiunta, è ancora meno spronato ad abbonarsi ai nuovi media digitali se questi ultimi hanno investito risorse in soluzioni tecnologiche e poche per diversificare e garantire la qualità dei loro contenuti editoriali.

Estensione al 2018 per il divieto di incroci tra proprietari di tv e giornali

Prima Comunicazione

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Estensione al 2018 del divieto di incroci proprietari tra tv e giornali. Lo prevede il mini-milleproroghe, emendamento del governo alla legge di bilancio 2018, presentato in commissione Bilancio al Senato . La norma che interessa gli incroci tv giornali, che da diversi anni compare nel decreti legge di fine anno, fissa dei tetti che impediscono a imprese con quote rilevanti nel settore delle comunicazioni, come tv, di acquisire o detenere partecipazioni nelle imprese editrici di quotidiani.

Muy Confidencial: Roberto Bernabò lascia la direzione editoriale dei quotidiani Finegil e da gennaio 2018 diventa vice direttore digitale del ‘Sole 24 Ore’

Prima Comunicazione
ROBERTO BERNABÒ
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A fine anno Roberto Bernabò lascia la direzione editoriale dei quotidiani Finegil per diventare, dal primo gennaio 2018, vice direttore digitale del ‘Sole 24 Ore’. Toscano, 57 anni, Bernabò inizia la sua carriera alla ‘Nazione’ e nei primi anni ’80 entra a far parte della redazione del ‘Tirreno’, di cui nel giugno 2009 viene nominato direttore. Bernabò, che si autodefinisce ‘malato di giornalismo digitale’, ha portato il giornale livornese a essere un laboratorio di innovazione e sviluppo nelle strategie digitali del gruppo Espresso, ora Gedi, adoperandosi in particolare per l’ integrazione del lavoro redazionale e su un unico flusso di informazioni tra giornale di carta e web. Impegno che nel 2011 è valso al portale del quotidiano livornese l’ inserimento tra i finalisti agli ‘Oscar del giornalismo online’. Roberto Bernabò (foto Stefania Casellato) Da ottobre 2014 Bernabò subentra a Luigi Vicinanza alla guida delle testate locali del gruppo, focalizzando fin da subito l’ attenzione sulla riorganizzazione digitale. Tra le iniziative più recenti che lo hanno visto protagonista su questo fronte il lancio, il giugno scorso, di ‘NoiMessaggeroVeneto’, un progetto di partecipazione – on line e offline – che vuole rafforzare il ruolo centrale del giornale nella vita di relazione nelle province di Udine e Pordenone. Da luglio 2016 e per soli 3 mesi, Bernabò è direttore ad interim del Tirreno, passando l’ ottobre successivo il testimone a Vicinanza.

Tim tratta con Mediaset e Sky per la tv “su misura” via Internet

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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Le indiscrezioni secondo cui Tim sarebbe vicina a un accordo con Mediaset hanno messo le ali al titolo del Biscione, che ha chiuso la seduta di Piazza Affari con un rialzo del 4,10%. Gli ordini di acquisto sono scattati sulla scorta di una deduzione, corroborata dalle voci di mercato, secondo cui un’ intesa tra Tim e Mediaset sui contenuti sarebbe un modo per risolvere anche la grande querelle che vede coinvolti Cologno Monzese e i francesi di Vivendi, azionisti che hanno il controllo di fatto – Consob dixit – di quella che una volta tutti chiamavano Telecom Italia. In realtà, a quanto risulta, le cose non starebbero in questi termini. Da un lato, infatti, i legali di Vivendi e quelli di Cologno Monzese stanno trattando per trovare un accordo per non dare così corso alla causa civile di cui il 19 di dicembre si terrà la seconda udienza al Tribunale di Milano, cui Mediaset chiede di ordinare l’ esecuzione del contratto stracciato da Vivendi, che prevedeva l’ acquisto di Mediaset Premium e uno scambio azionario pari al 3,5%. I francesi invece si sono piazzati al 29,9% dei diritti di voto e ora, in cambio della pace, offrirebbero una discesa (graduale) al 5% e un risarcimento del danno causato al Biscione. Tale trattativa però, stando a quanto ha detto il direttore finanziario di Mediaset, Marco Giordani, «non è così calda», non essendo giunta «alcuna proposta» da Parigi. Anzi, secondo quanto il manager ha confidato ad alcuni analisti e investitori incontrati ieri, nemmeno la data del 19 dicembre sarebbe dirimente, essendo il processo ancora lontano dalla sentenza. Altra cosa sono invece i colloqui che Tim ha messo in cantiere con Mediaset e che corrono in parallelo con quelli con Sky e prossimamente anche con la Rai. Nulla a che vedere con la trattativa Vivendi. In realtà Tim, sotto la guida dell’ ad Amos Genish, sta mettendo insieme i mattoni con cui costruire, in vista del lancio a settembre 2018, l’ offerta multimediale via banda ultra larga della nuova TimVision alleata di Canal+. Gli accordi stretti due anni fa da Tim con Mediaset Premium e Sky prevedevano semplicemente la distribuzione delle due tv a pagamento (replicandole) con dei minimi garantiti. Un genere di accordo che per Tim non ha mai funzionato e, anzi, ha dato solo lavoro agli avvocati. Genish e i suoi ora lavorano per riprendere in mano quegli accordi finiti in un vicolo cieco, modificandoli. Ricercano nuove intese che, questa volta, riguardino l’ acquisto all’ ingrosso dei contenuti. Materia prima con cui TimVision conta di costruire la sua offerta. Quello che l’ ex monopolista del telefono – e che non a caso col nuovo piano vuole diventare una «pura società digitale» – ha in testa è un’ offerta su misura per il cliente, il quale potrà scegliere cosa vuole vedere in tv. Potrà, ad esempio, scegliere un solo canale di Sky per vedere lo sport. O potrà, altro esempio, ottenere tutto il cinema, unendo i film nel catalogo di Sky e Mediaset. Sarà una nuova tv, fatta su misura. Che si accompagnerà a un ulteriore servizio – per cui saranno coinvolti anche altri broadcaster come la Rai – che riguarda la tv in chiaro. Attraverso la sua piattaforma, Tim vuole rendere possibile la visione dei canali gratuiti (i cosiddetti «free to air») con la possibilità di interrompere e riprendere in qualsiasi momento la programmazione. Una tv sartoriale, dove alle produzioni originali si aggiunge l’ acquisto dei diritti per contenuti on demand (sport, film, serie, documentari) e tv lineare. Per vincere la scommessa in Italia anche grazie alla collaborazione – se arriverà – dei nemici-amici di Cologno. Ben sapendo che, alla fine, gli affari sono affari. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Testata al giornalista il piccolo boss resta in cella

La Repubblica

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Rimane in carcere Roberto Spada, arrestato il 9 novembre scorso per aver aggredito prima con una testata e poi con un bastone, il giornalista Rai Daniele Piervincenzi e il suo cameraman Edoardo Anselmi. Il tribunale del Riesame ha detto alla richiesta di scarcerazione avanzata dai suoi difensori. Dopo l’ emissione della misura da parte del gip, si tratta di un secondo successo per l’ impianto accusatorio messo in piedi dalla procura di Roma che gli contesta la violenza privata e le lesioni con l’ aggravante dell’ articolo 7 della legge 203/1991, ovvero quella di aver agito con metodo mafioso.

Come ti costruisco una bufala anche il Nyt suona l’ allarme Italia

La Repubblica
CARLO BRUNELLI
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Di che cosa stiamo parlando In vista della campagna elettorale per le Politiche il fenomeno delle fake news sta assumendo proporzioni sempre più inquietanti. E la domanda è: fenomeni isolati o regia politica? Il sito del New York Times ha lanciato ieri l’ allarme per l’ uso massiccio sui social italiani di bufale che prendono di mira personaggi politici. Sotto accusa siti che simpatizzano per 5Stelle e Lega. L’ ultima polemica è esplosa con la diffusione virale in Rete di una foto che vede Laura Boldrini, Maria Elena Boschi e altri esponenti dem al presunto funerale di Riina. Che però non si è mai tenuto. Matteo Renzi ha lanciato un appello a M5S e Lega per stringere un patto anti-bufale. La replica grillina: “Le uniche fake news sono le tue”. ROMA L’ Italia sotto la morsa delle fake news? Lo denuncia il Pd. Lo nega il M5S, che ribalta l’ accusa sul leader Pd. Lo sostiene il New York Times in un’ inchiesta pubblicata ieri sul proprio sito: «Come già successo negli USA, in Francia, in Germania e per la Brexit, anche in italia la tornata elettorale potrebbe essere falsata dalla propaganda incentrata sulla disinformazione». Il caso è riesploso dopo la diffusione incontrollata sul web di una foto fake che ritraeva Maria Elena Boschi, Laura Boldrini e altri dem tutti insieme «al funerale di Riina». Funerale che, nella realtà, non si è mai tenuto. Tantomeno con i suddetti ospiti dem. Pubblicata mercoledì scorso, nelle successive 24 ore la foto è diventata virale. La foto con Boschi era in realtà stata scattata ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi, ucciso a Fermo in un episodio di razzismo. La sottosegretaria denuncia il falso dai suoi profili social. Il fantomatico Mario De Luise, che l’ ha postata su Facebook per primo, sparisce dal social. Eppure mercoledì sera la foto fake viene rilanciata dalla pagina Facebook Virus5Stelle. Virus5Stelle è una delle migliaia di pagine non ufficiali che fanno propaganda per il Movimento. La pagina è gestita da Claudio Piersanti e Adriano Valente, già noto nel mondo dei debunker perché accusato di una fake news sulla Leopolda diffusa nel novembre 2016. I gestori del sito, contattati dal debunker David Puente, si dissociano spiegando che non si sono mai occupati di politica e non intendono farlo. Ma l’ editor di BuzzFeed Alberto Nardelli twitta i legami di Valente con i vertici del M5s: oltre alle foto del profilo in cui abbraccia Beppe Grillo, anche il tag in un post del vice-Presidente della Camera Luigi Di Maio. I legami tra Valente e il Movimento sono palesi, basta visitare il suo profilo e trovare in primo piano foto con Carla Ruocco e Luigi Di Maio. Valente smentisce però di aver postato la bufala. E spiega: «La pagina Virus 5 stelle è gestita da 6 ragazzi compreso io. La foto l’ ha postata un ragazzo che tra l’ altro non conosco e non io». Ma chi è Mario de Luise? Un profilo vero o un fake usa-e-getta da utilizzare per postare contenuti diffamatori? Proprio della galassia dei siti che propalano fake news si occupa l’ inchiesta del NYT. Raccontando che Andrea Stroppa, ricercatore di Ghost Data e consulente di Renzi sulle cybersecurity, ha compilato un dossier nel quale si dimostra che la pagina ufficiale del movimento Noi con Salvini condivide lo stesso identificativo Google con diversi siti di disinformazione come IoStoConPutin.info, MondoLibero.org, ma soprattutto con una delle tante pagine non ufficiali di propaganda del Movimento 5 Stelle. Il codice unico di Google permette di collegare tutti i siti allo stesso account pubblicitario, permettendo ad una sola persona di gestire tutti gli introiti. Google non ha voluto rivelare il nome del proprietario dell’ account e ha cercato di calmare le acque sostenendo che a volte siti non collegati utilizzano lo stesso ID Google. Da Noi con Salvini dicono di non sapere di cosa si stia parlando. Luca Morisi, il digital philosopher di Matteo Salvini, non ha voluto commentare. Dal M5s spiegano che, essendo pagine create dai fan, non possono essere collegate al Movimento. Non smentibili sono i bersagli delle campagne fake. Nelle foto di questi siti Renzi è un clown, oppure ha il naso di Pinocchio, la Meloni è Gollum, Berlusconi è truccato da donna. Poi c’ è il filone Cecile Kyenge. Lei che, cattolica, avrebbe voluto abolire mercatini di Natale e presepi nelle scuole. Lei che, da ministro, avrebbe augurato attentati all’ Italia. Lei che avrebbe assunto al ministero la figlia, che nella foto è la cantante Rihanna, con uno stipendio da 15.000 euro al mese. La Presidente della Camera Laura Boldrini è stata vittima dello stesso tipo di campagna diffamatoria violenta, che ha toccato il suo apice nella diffusione della notizia che avesse fatto andare in pensione a 35 anni sua sorella minore, scomparsa prematuramente anni fa. Ma i leader del Movimento cosa pensano di queste pagine che ogni giorno vomitano odio? «Renzi lancia un appello anti fake news? Cominci da se stesso», dice il capogruppo M5S in Senato Giovanni Enrizzi. Sostiene Nicola Biondo, ex responsabile della comunicazione grillina alla Camera dei Deputati e autore insieme a Marco Canestrari di Supernova: Com’ è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle: «Bisogna chiedersi se chi ha responsabilità politiche pubbliche può ammettere che nella propaganda del suo partito, gestita da professionisti, ci siano certi toni e certi atteggiamenti. Da anni la propaganda sul web è andata oltre». Secondo le indiscrezioni del New York Times, Facebook sarebbe pronto a schierare una task force tutta italiana per vigilare sulla diffusione delle bufale sulla sua piattaforma. FILIPPO MONTEFORTE/ AFP.

Crisi e tagli, i giornalisti in piazza

Avvenire

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MILANO La piazza per dire – e anche urlare – che una categoria fondamentale per la tutela della democrazia nel nostro Paese è a rischio, anche se nessuno se ne accorge. L’ hanno scelta ieri i giornalisti della Lombardia. A centinaia davanti alla Scala e a Palazzo Marino, la sede del Comune, si sono ritrovati per manifestare rabbia, preoccupazione, solidarietà. I numeri, d’ altronde, parlano chiaro: i giornalisti lombardi attivi con contratto di lavoro dipendente erano 5.114 nel 2012. Oggi, nel 2017, sono 4.301. Una perdita, in 5 anni, del 16%. «Un calo enorme, considerando gli esigui numeri della categoria» ha rimarcato Paolo Perucchini, il presidente dell’ Associazione lombarda giornalisti: la situazione nazionale, d’ altronde, negli stessi cinque anni ha registrato la perdita, tra i giornalisti atti- vi, di oltre 3mila posti di lavoro (da 18mila ai meno di 15mila odierni). A picco sono andate anche le retribuzioni degli attivi contrattualizzati, crollate del 33% dal 2012 a oggi, e falcidiate da stati di crisi e ammortizzatori sociali che in questi anni hanno tagliato, nella quasi totalità delle imprese editoriali della Lombardia, oltre che i costi per le aziende, anche i salari dei colleghi. E ancora, la drammatica condizione dei collaboratori pagati 5 euro a pezzo, quella dei freelance (le cui retribuzioni medie nel 2016 sono state di 18.389 euro lordi annui), dei co.co.co (14.348), la forbice tra gli stipendi dei 50enni (che guadagnano in media 20.800 euro), gli under 30 (fermi a quota 10.100) e i 30-40enni (15.700). In piazza, a Milano, sono molti quelli che hanno voluto parlare al megafono, dal palco: i giornalisti di Visto e Novella 2000 licenziati in tronco il 30 settembre scorso da Visibilia (di proprietà di Daniela Santanchè, che ha affidato il lavoro “giornalistico” a service esterni), la redazione del freepress Metro (16 giornalisti, la metà in cassa, il lavoro senza norme e garanzie), i colleghi assunti da Hearst (che ha trasferito in Svizzera tutte le sue attività digitali italiane, a partire dalle edizioni online di Elle, Marieclaire, Gioia , Elledecor), e ancora i Comitati di redazione di altre realtà in crisi come Rcs periodici, ItaliaOggi, Famiglia Cristiana. C’ era anche l’ ex direttore del Corriere della Sera , Ferruccio De Bortoli. «Chiediamo che si torni a ritenere strategico il settore dell’ informazione nelle politiche economiche di sviluppo e del lavoro di questo Paese – ha detto ancora Perucchini -. La riforma della legge sull’ editoria appena varata non è sufficiente. Il governo deve ascoltarci». Viviana Daloiso RIPRODUZIONE RISERVATA La manifestazione per denunciare il crollo dei posti di lavoro e delle retribuzioni, la precarietà dei giovani, le politiche miopi degli editori.


Rassegna Stampa del 26/11/2017

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Indice Articoli

Mario Ricciardi dirigerà «il Mulino»

La guerra delle fake news. Più affari che propaganda

Zagrebelsky & C. contro Scalfari «No Eugenio, siamo sbalorditi»

«Napoli c’ è» premiate le eccellenze della cultura

Prossima sfida i campionati di calcio

Tra i big del web partita miliardaria per diritti sportivi e «live streaming»

30 anni di Striscia

Chi paga

Mario Ricciardi dirigerà «il Mulino»

Corriere della Sera

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È Mario Ricciardi, docente di Filosofia del diritto all’ Università Statale di Milano, il successore di Michele Salvati alla direzione della rivista «il Mulino». Gli altri membri del comitato di direzione, eletto ieri a Bologna dall’ assemblea dei soci dell’ Associazione culturale il Mulino, sono Massimo Livi Bacci, Paolo Pombeni, Carlo Trigilia e Gianfranco Viesti. Inoltre Bruno Simili è stato confermato nel ruolo di vicedirettore. Nato a Salerno nel 1967, Ricciardi insegna anche alla Luiss-Guido Carli di Roma e ha lavorato presso la University of Manchester e la Queen’ s University di Belfast. Membro della direzione del «Mulino» dal 2012, guiderà la rivista per un triennio, fino al 2020. Fondato a Bologna nel 1951 da un gruppo di giovani (tra cui Fabio Luca Cavazza, Pierluigi Contessi, Federico Mancini, Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi) «il Mulino», che esce con cadenza bimestrale, è una delle riviste più importanti nel campo delle scienze sociali, dalla quale è nata nel 1954 l’ omonima società editrice. La testata ha anche un sito, rivistailmulino.it, che ospita note e interventi quotidiani.

La guerra delle fake news. Più affari che propaganda

Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Salae Carlo Di Foggia
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Fake news: Matteo Renzi ha deciso di farne lo slogan della nuova Leopolda. “Termineremo la giornata lottando contro le fake news – ha detto venerdì – Stanno accadendo delle cose incredibili. Il New York Times ha pubblicato un pezzo su quello che sta avvenendo in Italia su questo: sono state oscurate pagine con sette milioni di like che spargono veleno e falsità contro di noi”. I tempi. Il pezzo del New York Times a cui fa riferimento Renzi è stato pubblicato proprio venerdì. Il titolo (Italy, Bracing for Electoral Season of Fake News, Demands Facebook’ s Help) richiama due elementi ormai sempre presenti quando si parla di campagna elettorale: le notizie false diffuse sui social network e l’ arruolamento di questi ultimi in un’ opera di pulizia che può essere l’ anticamera della censura. In questo caso, con un elemento in più: la presunta relazione tra siti e profili di sostegno ai 5stelle che avrebbero diffuso notizie e immagini false sul conto del Pd (come la presenza di alcuni esponenti del partito al funerale di Totò Riina) e quelli omofobi e razzisti, nonché filo-russi, che discenderebbero dai sostenitori della Lega Nord. L’ articolo, però, è innescato da un “rapporto” redatto da Andrea Stroppa, fondatore di Ghost Data e consigliere di Renzi per la Cybersicurezza. Il consigliere. È lo stesso che ha imbeccato il sito BuzzFeed per l’ inchiesta di qualche giorno fa su un’ altra galassia di siti “poco attendibili”, anch’ esso citato dal Nyt e da Renzi. Stroppa, classe 1994, non è un tecnico ma può contare su una notevole rete di relazioni. È consulente del World Economic Forum e siede nella fondazione di Lapo Elkann. Arriva al grande pubblico per i suoi rapporti con Marco Carrai, che lo ha chiamato nell’ azienda di sicurezza informatica Cys, fondata con l’ ex Eni Leonardo Bellodi e l’ Aicom di Mauro Tanzi, proprio nel periodo in cui era dato in procinto di essere nominato a capo della struttura di cyber security dei servizi segreti a Palazzo Chigi, poi saltata. È stato il responsabile della sicurezza quando il sito per il Sì al referendum costituzionale è stato hackerato da Anonymous e proprio per Anonymous, quando era minorenne, fu indagato dopo l’ attacco ai siti di un sindacato della polizia penitenziaria, della Guardia costiera, della Banca di Imola e della Luiss. Ottenne poi il “perdono giudiziale” dal Tribunale dei minori. Oggi risulta cofondatore di Ghost Data, società di analisi di dati (che non risulta registrata in Italia) insieme a un programmatore russo, Pavel Lev, e vive di consulenze aziendali. L’ analisi di Stroppa dimostrerebbe la connessione tra i siti che “promuovono movimenti politici rivali anti-establishment critici nei confronti del signor Renzi e del governo di centro-sinistra” e la pagina web ufficiale di un movimento che promuove Matteo Salvini, noiconsalvini.org (nome della lista con cui il leader della Lega si presenta al Sud). In comune hanno i codici Google. In pratica, ci sarebbe una connessione tra la propaganda pro Cinque Stelle e quella leghista. Il metodo. Per dimostrarlo, Stroppa ricorre ai codici usati per tracciare la pubblicità e il traffico web su quei siti. Scopre, come può fare qualunque informatico, che sono condivisi anche da una serie di altri siti come IoStoConPutin.info. I siti condividono un identificativo (Id) univoco assegnato da Google Analytics (che raccoglie le statistiche dei siti) e un numero AdSense con il quale Google gestisce gli annunci pubblicitari (e versa i ricavi al possessore). Le repliche. Google ha inviato al Fatto la replica completa fornita anche al New York Times, che ne ha pubblicata una parte: “Non abbiamo dettagli sugli amministratori del sito e non possiamo speculare sul motivo per cui hanno lo stesso codice dell’ annuncio – spiega -. Qualsiasi editore che utilizza la versione self-service dei nostri prodotti può aggiungere il codice al proprio sito. Spesso vediamo siti non collegati che utilizzano gli stessi ID , quindi non è un indicatore affidabile che due siti siano connessi”. Il Movimento 5 stelle ha sottolineato che il sito in questione non è riconducibile ai loro media ufficiali mentre il guru web di Salvini, Luca Morisi ha riconosciuto che noiconsalvini.org condivideva i codici di Google di siti fuori dall’ universo politico della Lega. Ha spiegato che un ex sostenitore del M5s aveva contribuito a costruire il sito e ha incollato i codici della sua pagina fan. Ha poi spiegato che pensava di aver cambiato i codici. I codici. Il codice di Analitycs è spesso parte dei codici di costruzione dei siti web: se lo sviluppatore è lo stesso è probabile che lo ri-utilizzi. Diverso è per AdSense. Il Fatto ha verificato che oggi questi siti non condividono più il codice per la pubblicità, ma almeno fino a settembre scorso sì. Lo stesso codice era condiviso da almeno 30 siti (come patrioti.info, italyfortruymp.info ecc.), di cui 10 visibili e solo 2 di possibili fan del M5S , info5stelle.info e videoa5stelle.info, che però il Nyt non cita mai. Le spiegazioni.Avere il codice AdSense significa avere il portafoglio della pubblicità. Perché condividerlo? La gestione di decine di siti che producono contenuti a ciclo continuo è complessa, e non sempre alla portata di un partito (la Lega ha i conti pignorati). Tre le possibili spiegazioni: 1) noiconsalvini ha commissionato a una società specializzata larealizzione del sito consentendogli di raccogliere la pubblicità come parte del compenso, e la gestione dell’ analytics è parte del servizio; 2) La società ha inserito la pubblicità di AdSense senza avvertire noiconsalvini; 3) noiconsalvini ha trovato il modo di raccogliere più pubblicità possibile (e quindi ricavi) ampliando la sua platea potenziale con siti che inneggiano ai 5stelle o altri temi non proprio assimilabili a quelli della Lega. In ogni caso, più che la propaganda è il business a spiegare le connessioni, anche perché i professionisti che spuntano fuori – anche quando si accusa la Russia – alla fine risultano sempre italiani.

Zagrebelsky & C. contro Scalfari «No Eugenio, siamo sbalorditi»

Il Giornale
Paolo Bracalini
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Paolo Bracalini Con una semplice frase Eugenio Scalfari si sta rovinando tutte le amicizie. Da saggio venerabile a vecchio rimbambito reazionario il passo è lungo, eppure basta aver detto «tra Berlusconi e Di Maio sceglierei Berlusconi» per colmarlo in un lampo. Il fondatore di Repubblica nell’ ordine è stato: redarguito dalla stessa Repubblica, accusato di essere un vecchio fascista da Flores d’ Arcais di Micromega (famiglia Espresso), sbertucciato dai grillini e dal Fatto. Mancavano solo gli amici di Libertà e Giustizia, il prestigioso club di intellettuali già firmatari di innumerevoli appelli lanciati proprio dalla Repubblica di Scalfari, ma eccoli rispondere all’ appello. «Caro Eugenio, noi di Libertà e Giustizia siamo rimasti sbalorditi dalla tua dichiarata preferenza per Berlusconi, rispetto a Luigi Di Maio, in vista delle prossime elezioni. Non riusciamo a comprendere e tantomeno ad accettare come una figura con la tua storia di giornalista e di intellettuale possa dimenticare cosa ha rappresentato Berlusconi per il nostro paese» scrivono in una lettera aperta – con una nota di dolore mista ad indignazione per il tradimento del «Caro Eugenio» – gli illustri consiglieri di presidenza di Libertà e Giustizia. Ovvero Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Tomaso Montanari, Nadia Urbinati, Lorenza Carlassare, Roberta De Monticelli, Paul Ginsborg, Elisabetta Rubini, Valentina Pazé, Salvatore Settis. Tutti «repubblicones» della prima ora, come ricordano loro stessi, ancora ribadendo – se Scalfari non l’ avesse afferrata – tutta l’ incredulità per l’ esternazione filo-Berlusconi del loro ex sodale di battaglie politiche. «Noi di Libertà e Giustizia, che per tanti anni abbiamo condiviso con il Gruppo Espresso-Repubblica battaglie e convinzioni, in quella tua dichiarazione non ci riconosciamo proprio, né ci riesce di ridimensionare la nostra delusione». La storia di Libertà e Giustizia in effetti è intrecciata in modo inestricabile con quella di Repubblica, fondata da Scalfari. L’ editore Carlo De Benedetti è uno dei soci fondatori di LeG, Sandra Bonsanti – assunta a Repubblica proprio da Scalfari – è stata una firma del quotidiano, come pure altri dei consiglieri di LeG delusi da Scalfari: da Settis a Montanari a Ginsborg al sommo costituzionalista Zagrebelsky («l’ amico Zagrebelsky» con cui Scalfari già duellò sul referendum di Renzi). Un piccolo dramma nel mondo di Repubblica che ha appena cambiato grafica e inventato un nuovo carattere tipografico, chiamandolo Eugenio proprio in onore suo. Nel caso insistesse, si fa sempre in tempo a cambiarlo.

«Napoli c’ è» premiate le eccellenze della cultura

Il Mattino

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Tredicesima edizione per il Premio «Napoli c’ è», assegnato ogni anno da l’«Espresso napoletano» a coloro che si siano adoperati, a Napoli e in Campania, attraverso la loro opera personale o associativa, nella promozione dei valori di cultura, legalità, solidarietà, valori che la rivista si impegna ogni mese a diffondere. La serata conclusiva del Premio si terrà domani alle 20,30 presso il Teatro Acacia di Napoli, e sarà presentata da Gino Rivieccio e Veronica Maya. Attenzione puntata quest’ anno in particolare sul mondo della cultura, volano di sviluppo, e sul ricchissimo patrimonio artistico della Campania che, attraverso una gestione oculata sta portando ad una sensibile rinascita. Ecco i premiati: Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli; Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Paestum; Gennaro Rispoli, direttore del Museo delle Arti Sanitarie agli Incurabili; Andrea Viliani, direttore del Museo Madre; Pierpaolo Forte, presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti contemporanee; Lina Sastri, attrice, cantante, regista; Anna Maria Minicucci, direttore generale dell’ Azienda ospedaliera Santobono-Pausilipon; Vincenzo Staiano, responsabile della pizzeria ‘O zi’ Aniello; Lorenzo Mazzeo, avvocato; Gianni Pignatelli e Salvatore Naldi, imprenditori. I premiati riceveranno una scultura realizzata appositamente dall’ artista Lello Esposito. Lina Sastri si esibirà nella recitazione di una sua poesia, anticipando la presentazione, in programma martedì alle 18 alla Feltrinelli a Chiaia, del suo libro «Pensieri all’ improvviso». La presentazione rientra negli eventi di preparazione a NapoliCittàLibro, il Salone del Libro e dell’ Editoria che si terrà a Napoli dal 24 al 27 maggio, organizzato dalle case editrici Rogiosi, Guida e Polidoro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Prossima sfida i campionati di calcio

Il Sole 24 Ore
Ri.Ba.
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Facebook è in gara con Twitter e Snapchat per ottenere da Fox i diritti online degli highlights dei Campionati del Mondo di calcio di Russia 2018. E ha già nel mirino le Olimpiadi di Tokyo 2020. In ballo oltre ai numeri delle audience generate dagli eventi sportivi più popolari, ci sono ovviamente i ricchi portafogli degli investimenti pubblicitari legati ai grandi eventi. I giganti del web hanno bisogno di contenuti che fanno grandi numeri per garantirsi gli spot tra un tempo e l’ altro e quelli che partono quando si clicca su un video: il video, a differenza dell’ inserzione classica sul web, a margine o a pop-up su un sito, obbliga gli utenti a vedere un contenuto pubblicitario per accedere all’ evento sportivo. Lo sport esce quindi dagli schermi televisivi per accedere sulle piattaforme digitali e anche sui servizi di streaming video come Netflix che ha cominciato a sua volta a investire pesantemente sullo sport con la produzione di documentari, tra cui uno sulla Juventus. Il prossimo obiettivo per lo streaming sul web è il calcio. I campionati europei più famosi. A partire dalla Premier League. La società di ricerca Ampere Analysis stima una somma di 200 milioni dollari a stagione per i diritti delle dirette su Internet del campionato inglese. Secondo Ed Woodward, il direttore generale del Manchester United, Amazon sta considerando di entrare nella gara per diritti del campionato inglese. Sky e British Telecom hanno pagato 6,7 miliardi di dollari per poter trasmettere per tre anni le sfide della Premier. Il contratto scade alla fine del campionato 2018-2019. Amazon ha già prodotto un docuseries sul Manchester City. Il primo passo per entrare in un mercato allettante in termini di audience e pubblicità com’ è il calcio. «Sono sicuro che i giganti del web come Amazon e Facebook saranno della partita per i diritti della Premier», ha detto il dirigente dello United. Che ha riportato ciò che ha sentito attorno al tavolo dei dirigenti della Premier League ma anche, in prospettiva europea, degli appetiti per la Champions e per la Uefa. «Credo che assisteremo a un aumento dell’ interesse da parte dei big del tech. Sono i benvenuti. Saremo contenti di aprire anche a loro». In gioco ci sono i diritti del calcio britannico, della Ligue francese con un campionato aumentato d’ interesse dopo l’ arrivo di Neymar al Psg, della Liga spagnola, la Bundesliga e anche e soprattutto della Serie A, il campionato di calcio italiano, considerando i tanti tifosi all’ estero negli Stati Uniti, America Latina, Cina, Medio Oriente e Africa delle squadre italiane più note, Juve, Milan e Inter e Roma in testa. Un bacino smisurato. La televisione insomma sta perdendo il primato dell’ audience per la trasmissione dello sport in diretta. A favore delle piattaforme digitali e dei social network. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tra i big del web partita miliardaria per diritti sportivi e «live streaming»

Il Sole 24 Ore
Riccardo Barlaam
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Facebook, Amazon, Twitter & C. sono il nuovo Eldorado dei diritti sportivi. Tra i big dell’ hi-tech è iniziata una partita a suon di milioni di dollari per lo streaming digitale dei grandi eventi. Lo sport è uno dei rari vettori di emozioni collettive. E non c’ è niente di meglio di un social network, una piazza virtuale, per monetizzare l’ audience generata dallo sport. A partire da questa considerazione e dall’ enorme potenziale di reddito generato dalla condivisione via social e dalla pubblicità, i giganti del web da un paio d’ anni hanno cominciato a investire per poter per trasmettere in diretta gli eventi sportivi “da bar”. Sono partiti negli Stati Uniti. Puntando, per ora, qualche gettone anche in Europa. Un territorio nuovo, in parte ancora inesplorato, in rapidissima evoluzione. La prima a scendere in campo è stata Twitter: nell’ aprile 2016 si è aggiudicata per 10 milioni di dollari la gara che la vedeva contrapposta a Yahoo!, Amazon, Verizon e Facebook per i diritti di trasmissione in digitale della “Thursday night american football”. Il pre-partita e i dieci match del giovedì sera del campionato di Football americano Nfl. Lo ha fatto attraverso Periscope, l’ app di live streaming controllata da Twitter. Quest’ anno Amazon si è presa la rivincita. E si è aggiudicata per 50 milioni di dollari, in diretta concorrenza con Twitter – che sta vivendo un complesso periodo di rilancio – e soprattutto con Netflix, l’ asta della Nfl per trasmettere i match della “Thursday night” in live streaming in 200 paesi del mondo. Così da fine settembre gli abbonati di Amazon Prime Video possono assistere ai turni infrasettimanali del campionato di football americano. Il gruppo di Jeff Bezos a differenza di Twitter non ha tenuto l’ esclusiva solo sul web ma, per recuperare parte dell’ investimento, ha deciso di ri-trasmettere le partite sui canali televisivi tradizionali, come Nbc, Fox, Espn e Cbs. Dal web al tubo catodico. Football americano e non solo. Dal 3 novembre scorso gli abbonati di Amazon Prime Video possono seguire in diretta le finali giovanili del circuito di tennis Atp. È il primo passo: presto il servizio streaming di Amazon trasmetterà i live di tutte i 34 eventi dell’ Atp World Tour, dopo la scadenza del contratto con Sky a fine 2018. Amazon ha tirato fuori 13 milioni di dollari l’ anno per aggiudicarsi i diritti dell’ Atp World Tour: dal 2019 gli abbonati del suo servizio video potranno vedere Nadal, Federer e Djokovic nei vari tornei in giro per il mondo del circuito Atp, compresi Montecarlo, Madrid, Parigi, Miami e Shanghai. «Sono i primi passi nello sport – spiega Jay Marine, responsabile Video di Amazon in Europa – stiamo imparando da queste prime esperienze per capire come rispondono i nostri clienti». Paradigmatica è stata la partita per i diritti televisivi e digitali che si è giocata e conclusa da poco per la Premier League di cricket indiano fino al 2022. Campionato visto da oltre un miliardo di persone. In India nessun altro sport – calcio, basket, Formula Uno – ha lo stesso seguito. Ci sono canali televisivi che offrono partite e dibattiti infiniti 24 ore su 24 sul cricket che nel secondo paese più popolato del mondo è una vera e propria mania. E lo è anche per i tanti indiani che vivono all’ estero. Facebook ha partecipato alla gara per la conquista dei diritti per lo streaming digitale della serie A di cricket indiana (Ipl) da qui fino al 2022. Ha offerto 600 milioni di dollari per poter trasmettere tutti i match sul popolare social network che ha due miliardi di utenti attivi al mese – solo in Italia supera i 30 milioni. Senza considerare poi gli altri due prodotti di proprietà del gruppo di Mark Zuckerberg: Instagram, 700milioni di utenti attivi; WhatsApp, 1,2 miliardi di utenti. I 600 milioni di dollari messi sul piatto dal colosso di Menlo Park non sono bastati. Il Board of Control for Cricket in India, ossia la federazione nazionale professionistica del gioco del cricket, ha preferito Star India, società controllata dalla 21-Century Fox di Rupert Murdoch, che ha offerto ben 2,6 miliardi di dollari per i diritti televisivi e digitali combinati . Ad ogni modo, i 600 milioni offerti da Facebook la dicono lunga sulle ambizioni dei giganti del web sui diritti televisivi sul web. La “puntata” di Facebook è significativa anche per un secondo motivo: in termini di valore si tratta della cifra più elevata mai offerta per lo streaming digitale sportivo. Persa una battaglia ma non la guerra. La società di Zuckerberg quest’ anno ha messo a budget 6,25 miliardi di dollari per il live broadcasting. Facebook sta già trasmettendo tanto sport in diretta, non tanto con l’ acquisizione dei diritti sportivi ma attraverso accordi commerciali e partnership con chi i diritti li ha. Un modello di business che potrebbe essere seguito dai giornali per diffondere i contenuti pay sul social network: in questi casi Facebook non punta tanto all’ esclusività dei diritti sportivi ma piuttosto si pone come distributore. «Stiamo lavorando molto con le società che hanno in mano i diritti sportivi. Nei primi sei mesi del 2017 abbiamo trasmesso più di 3.500 eventi sportivi in diretta su Facebook», confermano dalla società. Gli sport? Sono i più diversi. Il primo evento trasmesso è stato lo scorso anno: la partita di calcio tra Manchester United ed Everton della Premier League inglese. A cui sono seguiti i match del campionato di basket americano. Tutti gli incontri di questa stagione della Major League di Baseball. Le tappe della Coppa del mondo di Surf. Fino alle partite delle fasi finali della prossima Champions League di calcio che, negli Stati Uniti, nel 2018 sarà possibile seguire in diretta da Facebook. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

30 anni di Striscia

La Stampa
ANTONIO RICCI
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Dalla copertina del suo libro, Me tapiro (Mondadori), Antonio Ricci ci guarda severamente, come se ci avesse ancora una volta colto in fallo. Ha l’ aria di un pastore luterano, un filosofo nordico che annuncia l’ Apocalisse, un guru vegano, un nuovo carismatico leader post-renziano e post-grillino. Tranquilli, è anche questa una recita del mago dei travestimenti, dell’ Arsenio Lupin del fuorionda. Ci sta dicendo: imparate a guardare oltre le apparenze. Ne racconta di cose, nelle 252 pagine del libro, il capo della setta dei Tapirofori, ben supportato dalle domande di un intervistatore intelligente, Luigi Galella. Ritrae dal vero Berlusconi e Grillo, detta ritratti affettuosi (Villaggio, Hunziker, De André), scaglia fulmini e saette, mena botte da orbi (Vespa, Fazio, Bonolis, la supponente sinistra d’ oggi), finisce per sbozzare un impietoso ritratto della nazione, si rivela finissimo analista politico. Ricicla il trash quotidiano con la ribalderia della satira, e diventa pedagogico. La vera libertà è molto costosa ma lui dichiara di sentirsi bene solo in battaglia. «Sono carsico – dice -, quando il gioco si fa duro sbuco fuori, ci metto la faccia». Ma chi è il vero Ricci? Quello che lui racconta, o il racconto è il depistaggio di un uomo che non ama apparire, che detesta la visibilità e ogni venerdì anela a tornarsene, lui abitatore di residence, nella casa di Alassio, a curare amorosamente le raccolte di agapanti, glicini, piante grasse e agrumi? Forse nell’ epoca dei database, bisogna cercarlo nei numeri. Quarant’ anni di successi che hanno inventato e imposto un linguaggio tv (lui ricorda gli apprezzamenti di Umberto Eco e Federico Fellini, che in tv guardava solo Drive in ), trecento cause tutte vinte, milioni di euro fatti risparmiare allo Stato con le denunce di sprechi insensati, truffe, imbrogli e raggiri. Il Grande Inquisitore dell’ inautentico, della patacca, della ciarlataneria, del buonismo non lascia nulla al caso. Maniaco del dettaglio, è un orologiaio, un coach che organizza al millimetro la sua squadra. Quando gli danno del «goliarda» si arrabbia: «Io faccio ricerche sociologiche». Forse tutto è cominciato quan do il piccolo Antonio, 4 anni, inghiotte una caramella che rischia di soffocarlo. La madre accorre, lo solleva per i piedi, lo scuote con decisione. Il bambino sente una lama del cervello, ma in quei pochi secondi concitati impara a vedere il mondo capovolto. Da allora non smetterà di cercare di raddrizzarlo. La stessa fitta dolorosa gli si ripresenta qualche anno fa all’ annuncio del progetto di quattro torri di ottanta metri che avrebbero snaturato il centro storico di Albenga. Arma i suoi missili e il progetto è bloccato. Allo stesso modo aveva salvato dalla speculazione Villa la Pergola ad Alassio e con un lavoro di anni la trasforma, con la moglie Silvia, in un relais con un piccolo museo, affettuoso omaggio ai Montagu, agli Hanbury e alla colonia inglese che l’ aveva abitata. E reinventano un giardino che è puro incanto. Lo Zorro che ogni sera vendica le nefandezze che dobbiamo subire è poliedrico, quasi un ossimoro vivente. Mecenate occulto, ha una laurea molto gramsciana su Francesco Jovine, una specializzazione nella tutela dei beni artistici, è cantautore e front-man di una band di rockettari, fa il cabarettista part-time al Derby di Milano con Cochi, Funari e Jannacci, torna a Genova con i treni della notte per presentarsi la mattina all’ università. Ha messo in musica Villon e Baudelaire, ed è in grado di congegnare un apocrifo di Montale credibile. Diventa il più giovane preside d’ Italia, poi l’ amicizia con Beppe Grillo lo porta in Rai, dove a 27 anni firma gli spettacoli del sabato sera. Da lì in avanti la strada è segnata. E tuttavia l’ inafferrabile Ricci si rivela più malinconico del previsto: «Mi atterrisce l’ idea di lasciare traccia. Tutti i mali del mondo hanno origine da chi vuole assurgere all’ immortalità». Sostiene di essere già morto e di vivere in una realtà parallela, avatar di se stesso. Si rassicuri, Maestro. Dai dati in nostro possesso, lei potrebbe anche essere il primo degli immortali. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Chi paga

L’Espresso
Stefano Vergine
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Una legislatura può costare cara. Specie se ti chiami Silvio Berlusconi e gestisci il partito come un’ azienda. Coadiuvato dai suoi figli, negli ultimi dieci anni il Cavaliere è stato il principale finanziatore della politica italiana. Ha sborsato di tasca propria la bellezza di 109 milioni di euro. Come lui nessuno mai. Alle sue spalle, sebbene distanziata, c’ è però una lunga fila di imprenditori che ama fare regali alla politica. Industriali, armatori, ras degli appalti pubblici, re delle cliniche private, signori dell’ accoglienza migranti, nomi noti dell’ alta borghesia e della finanza. C’ è persino qualche grande evasore, imprenditori bancarottieri e altri con frequentazioni malavitose. Gente di fede politica dichiarata, ma anche donatori laici che preferiscono fare un regalo a tutti per evitare di puntare sul cavallo perdente. L’ Espresso, grazie a documenti ufficiali, ha analizzato le donazioni private arrivate a partiti e politici italiani dal 2008 a oggi. Emerge una radiografia del passato per immaginare il futuro. Perché le prossime elezioni saranno le prime senza il finanziamento pubblico ai partiti. Le prime in cui, per effetto di una legge varata a furor di popolo dal governo Letta, i partiti dovranno affidarsi completamente alle donazioni. Ecco perché è utile sapere chi ha già le spalle coperte. Ripartiamo da Berlusconi, di gran lunga la testa di serie numero uno tra i finanziatori della politica. Che cosa sarebbe oggi Forza Italia senza i soldi del suo fondatore? Un partito poverissimo. Se infatti consideriamo solo le donazioni private ricevute da FI negli ultimi dieci anni (escludendo i denari giratigli dal Popolo delle Libertà) il totale arriva a 117 milioni. Dei quali 106 sono stati regalati da Silvio e famiglia. Berlusconi è l’ unico dei big spender italiani ancora ufficialmente in gioco. Gli altri due uomini piazzati sul podio delle donazioni hanno infatti smesso da qualche anno di finanziare la cosa pubblica. Con motivazioni diverse. Gian Marco Moratti, patron delle raffinerie Saras, nel solo 2011 ha messo sul piatto 12 milioni di euro per la campagna elettorale della moglie Letizia a sindaco di Milano. Investimento andato in fumo, dato che alla fine a spuntarla è stato Giuliano Pisapia. Diverso il profilo dell’ altro grande finanziatore. Costruttore, editore e finanziere, Francesco Gaetano Caltagirone ha regalato all’ Udc oltre 3 milioni di euro in dieci anni: quasi due terzi di quanto ricevuto in totale dal partito guidato dall’ ex genero Pier Ferdinando Casini. Ex, appunto. E infatti, da quando i due non sono più parenti, il finanziamento si è improvvisamente bloccato. Se Berlusconi e Moratti hanno preferito fare donazioni personali, Caltagirone – così come tanti altri – ha spesso usato le sue società per sostenere la politica. Particolare rilevante se si considerano i vantaggi fiscali. La vecchia legge prevedeva una detrazione del 19 per cento limitata ai primi 109 mila euro donati. Regola valida sia per i cittadini che per le aziende. Non a caso i grandi finanziatori hanno spesso scelto la taglia da 100 mila. Da un paio d’ anni le cose sono però cambiate. Oltre all’ abolizione del finanziamento pubblico e alla possibilità di devolvere ai partiti il 2 per mille, il parlamento ha modificato le regole per chi dona. La detrazione è stata alzata al 26 per cento, ma il limite su cui viene calcolata è sceso a 30mila euro. Traduzione? Oggi il risparmio fiscale non può andare oltre i 7.792 euro, quasi un terzo rispetto al passato. Le soglie restano uguali per cittadini e aziende, ma c’ è una novità: sia le persone che le società possono finanziare al massimo 100 mila euro. O meglio, le prime possono superare la fatidica soglia solo donando a più partiti. Insomma, la nuova legge cerca di mettere un freno alle maxi elargizioni, avvantaggiando quelle diffuse e di piccola entità. Ma la sostanza non cambia: le donazioni private diventeranno fondamentali per la politica. Renzi chi? All’ appello c’ è tutto il giglio magico. Il grande assente nella lista dei donatori del Pd è lui, Matteo Renzi. Dal 2008 a oggi non c’ è traccia di un suo versamento nelle casse del partito né in quelle delle sezioni locali. È vero, l’ ex premier non è mai stato parlamentare: non vale dunque per lui la prassi, comune a quasi tutte le forze politiche, di girare parte dell’ indennità al partito. Ma che dire allora di Giancarlo Muzzarelli, sindaco di Modena, che ha regalato all’ organismo nazionale quasi 10 mila euro? Altra scuola. Basta guardare quanto fatto dai membri storici del centro sinistra. Gente come Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo e Rosy Bindi: dal 2012 a oggi hanno speso più di 280 mila euro per mantenere la “Ditta”. C’ è però anche un’ altra particolarità che riguarda il Pd: il partito nazionale conta pochissime donazioni private. C’ è ad esempio quella di Patrizio Bertelli, proprietario di Prada insieme alla moglie Miuccia, che nel 2013 ha regalato 100 mila euro. E quella del produttore cinematografico, Aurelio De Laurentis, che l’ anno scorso, attraverso la Filmauro, ha staccato un assegno da 50 mila euro (50 li aveva versati al Pdl nel 2013). La maggior parte dei benefattori privati del centro sinistra si annida però in provincia. È lì che gli imprenditori preferiscono versare il loro contributo. Così per esempio nella sezione di Cesena troviamo la donazione di una società del gioco legale, la HippoGroup. Senza dimenticare le elargizioni delle cooperative, rosse e bianche, dei consorzi e delle cliniche private. E i regali ricevuti dai singoli parlamentari. Come Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’ Economia, che attraverso l’ associazione AReS ha ricevuto 17 mila euro dalla British American Tobacco e 7 dalla Cisl. Sindacato oggi impegnato a discutere con il governo la riforma delle pensioni. Chi invece ha dato poco utilizzando canali ufficiali sono i grillini. Grillo Giuseppe, comitato elezioni europee 2014: 54 mila euro. Un po’ pochini. Beppe e i suoi seguaci, si sa, non copiano i partiti tradizionali. Nei documenti pubblici si contano in tutto poche decine di migliaia di euro di donazioni. Ma allora come fanno i 5 Stelle a finanziarsi? E dove finiscono i soldi di deputati e senatori? Innanzitutto, ricordano dal movimento, abbiamo rinunciato a 42 milioni di rimborsi elettorali. E poi ci sono i soldi versati dai parlamentari in due fondi, il più ricco dei quali è quello dedicato al microcredito per le imprese (22,3 milioni di euro). E la propaganda elettorale? Le varie feste organizzate a Rimini, Roma o Palermo? Un parlamentare grillino che preferisce non essere citato racconta che per questi eventi vengono aperti dei conti correnti sui quali tutti, potenzialmente anche degli imprenditori, possono versare soldi. Un sistema difficilmente tracciabile, insomma. Proprio come per le fondazioni politiche, il grande buco nero del finanziamento ai partiti, che continuano a restare opache grazie alla possibilità di non dover dichiarare l’ identità dei donatori. È il caso della misteriosa fondazione “1000 nomi”, che ha versato 100 mila euro all’ ex ministro Giulio Tremonti. O della Kairos di Vicenza, quasi 50 mila euro a Alessandra Moretti per le regionale del Veneto. Tornando alla lista pubblica dei finanziatori della politica, ci si imbatte in un paio di casi particolari. Partiti praticamente inesistenti, ma con entrate rilevanti. Sono le creature personali di Giampiero Samorì e Corrado Passera. Manager di successo che hanno investito alla grande nei propri partiti personali. Senza però aver ottenuto particolare fortuna. Al suo Mir, acronimo di Moderati in rivoluzione, Samorì ha regalato più di 2 milioni di euro in cinque anni. Parecchio, visto lo 0,24 per cento ottenuto alle ultime elezioni. Ha speso più o meno la stessa cifra Passera, ma anche qui sono stati soldi buttati al vento dato che alla fine l’ ex ministro ha scelto di appoggiare Stefano Parisi nella corsa a sindaco di Milano. C’ è poi chi finanzia tutti, da destra a sinistra passando per il centro. Categoria variegata. C’ è Sergio Scarpellini, immobiliarista sotto processo per corruzione (avrebbe pagato tangenti a Raffaele Marra, ex braccio destro di Virginia Raggi), che negli ultimi dieci anni ha sborsato 222 mila euro per finanziare un po’ tutto l’ arco parlamentare, da La Destra di Storace al Pd passando per Verdini e Baccelli. Se le donazioni di Scarpellini si traducono spesso in appartamenti offerti gratuitamente al partito di turno, Gianfranco Librandi punta tutto sui bonifici effettuati dalla sua Tci Telecomunicazioni Italia, azienda del varesotto che produce luci a led. Partito da Forza Italia e approdato nel Pd dopo una parentesi da tesoriere con Scelta Civica, Librandi si è dimostrato trasformista anche nei finanziamenti politici. Per dire: negli ultimi due anni è riuscito nell’ impresa di sostenere contemporaneamente Fratelli d’ Italia, Pd, Mariastella Gelmini e gli ultimi due candidati-sindaco di Milano, Beppe Sala e Stefano Parisi. Trascende la dicotomia destra-sinistra anche il gigante della carne Cremonini, proprietario delle catene di ristoranti Roadhouse Grill e Chef Express. Negli ultimi dieci anni ha donato circa 120 mila euro: soldi andati a Forza Italia e Ncd, ma anche a due volti noti del centro sinistra come gli ex ministri Cécile Kyenge e Paolo De Castro. Stessa strategia per l’ ex presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, che attraverso le sue imprese ha finanziato al contempo il senatore del Pd Nicola Latorre, l’ Mpa di Raffaele Lombardo e il Grande Sud di Gianfranco Micciché. Profili nazionali, ma espressioni dei territori dove Zamparini ha investito in progetti commerciali. I re degli appalti Portatori di interessi economici concreti sono anche i ras degli appalti. Le cui donazioni, ora che i finanziamenti pubblici sono stati aboliti, rischiano di risultare ancor più cruciali per i partiti. Prendiamo Vito Bonsignore. Partito dalla Dc, passato per il Pdl e approdato oggi al Nuovo centro destra di Alfano, il politico siciliano è titolare della società di ingegneria Mec. L’ impresa ha finanziato soprattutto lo stesso Bonsignore, regalandogli 4,5 milioni di euro all’ epoca in cui sedeva sui banchi del Parlamento europeo in quota Pdl. Ma dalle casse aziendali sono partiti bonifici diretti anche ad altri parlamentari: 20 mila euro a Fabrizio Cicchitto e altri 20 mila al sottosegretario Ncd Giuseppe Castiglione, mentre ad Angelino Alfano è stato offerto lo spostamento aereo durante la campagna elettorale del 2013 al costo di 8.400 euro. Il metodo Bonsignore funziona. Perché prima o poi l’ appalto arriva. Come nel 2010, quando il Cipe – governo Berlusconi in carica – concede il via libera alla superstrada Ragusa-Catania: della cordata di aziende che si aggiudica l’ appalto fa parte proprio la Mec. Anche il gruppo Gavio, interessato al business di strade e autostrade, contribuisce al finanziamento della politica nazionale. Nel 2008 ha elargito 400 mila euro a Forza Italia. Cinque anni più tardi ha regalato 50 mila euro a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds. Ha speso invece un po’ meno il colosso delle costruzioni Astaldi, in lizza per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Nel 2008 l’ azienda ha staccato un assegno da 100 mila euro a Forza Italia. Alle elezioni successive ne ha dati altri 10 mila a Linda Lanzillotta, eletta con Scelta Civica e moglie di Franco Bassanini, all’ epoca presidente di Cassa Depositi e Prestiti e dunque potenziale finanziatore dell’ opera. Un ruolo da donatore (70 mila euro in totale) se lo è ritagliato anche Gemmo, l’ azienda vicentina che ha realizzato le parabole del sistema Muos a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Opera contestatissima. Forse per questo il gruppo veneto nel 2008 ha donato 15 mila euro al Movimento per l’ Autonomia dell’ allora governatore siciliano Raffaele Lombardo, che tre anni dopo firmerà il via ai lavori. Nel balletto dei finanziamenti privati non poteva mancare Alfredo Romeo. L’ imprenditore campano, finito di recente al centro del caso Consip, gestisce appalti in tutta Italia. Pubblici, molto spesso. Chi ha finanziato? All’ amico Italo Bocchino – che dopo la fallimentare avventura in Futuro e Libertà diventerà suo consulente personale – alle ultime politiche Romeo ha donato 25 mila euro, ma è con il centro sinistra che l’ imprenditore si è rivelato più generoso: con la sua Isvafim ha distribuito equamente altri 75 mila tra Nicola Latorre, Massimo Paolucci (ora Mdp) e il Centro democratico di Tabacci. Tra le cooperative rosse più attive c’ è invece la Cpl Concordia. Nei due anni precedenti allo scandalo in cui è finita per presunti accordi con la camorra (a ottobre i vertici sono stati assolti) ha contribuito alla causa del Pd con 53 mila euro: piccole somme suddivise tra Sposetti, l’ ex ministra Kyenge, la lista per Ambrosoli presidente della Regione Lombardia e due sezioni locali del partito. Do ut des I signori dell’ accoglienza-migranti non sono da meno. Anche loro, come i ras degli appalti, vivono di politica. Perché devono mantenere buoni rapporti con chi gestisce flussi e decide strategie. Bastano pochi spiccioli per farlo. La cooperativa La Cascina, area Comunione e Liberazione, ha interessi nel più grande centro per richiedenti asilo, quello siciliano di Mineo. Una gestione messa sotto la lente d’ ingrandimento dalla magistratura. Nell’ indagine che ha coinvolto i vertici della coop bianca è rimasto impelagato anche il sottosegretario Giuseppe Castiglione del Nuovo centrodestra, il partito di Alfano e Lupi. E proprio a Lupi nel 2013 arriverà una mancia da 5 mila euro da Salvatore Menolascina, all’ epoca amministratore delegato de La Cascina. L’ ex ministro ne riceverà altri 5 mila da Camillo Aceto, ras dell’ accoglienza con la sua Senis Hospes, ma comunque legato al mondo della coop La Cascina. Senis Hospes ha foraggiato anche il Pdl per un totale di 15 mila euro, mentre la cooperativa vicina a Cl ha distribuito offerte anche a sinistra. Nel 2013 10 mila euro finiranno infatti al “Comitato provvisorio città di Roma” del Pd, che nello stesso periodo registra un’ entrata di identico importo dalla cooperativa 29 giugno. Esattamente quella di Salvatore Buzzi, il boss dell’ accoglienza condannato nel processo Mafia Capitale. Cemento, servizi, migranti. E sanità. Tutti settori in cui l’ aggancio politico aiuta. Nel caso delle cure private il vero business ruota attorno agli accreditamenti presso le aziende sanitarie locali, garanzia di introiti sicuri. Per questo gli imprenditori della sanità privata dedicano parte del loro budget a sostenere i politici. Tra i più generosi c’ è Federfarma, che rappresenta le farmacie private convenzionate con il servizio sanitario. L’ Aiop, che raccoglie circa 500 case di cura in tutta Italia. Ma soprattutto Multimedica, colosso lombardo dei poliambulatori privati, che negli ultimi dieci anni ha versato 190 mila euro ai partiti: quasi tutti finiti a Forza Italia, ma anche alla Lega Nord. Proprio i partiti che hanno governato in Lombardia. Ora, con le elezioni regionali in arrivo, l’ azienda sanitaria controllata da Daniele Schwarz ha messo una fiche da 15 mila euro su Lombardia Popolare, il nuovo movimento dell’ ex ministro Lupi, espressione di Comunione e Liberazione e da sempre sensibile al mondo delle cure private. In classifica non potevano mancare i big dell’ industria italiana. Il più generoso è Giovanni Arvedi, fondatore dell’ omonimo gruppo siderurgico, che ha concentrato i suoi regali nel 2008, alla vigilia delle elezioni poi vinte da Berlusconi. Attraverso le sue società, l’ imprenditore ha donato 300 mila euro a Forza Italia. Scommessa vinta solo a metà. Per diversificare il rischio, infatti, Arvedi ha regalato 200 mila euro anche al Pd Lombardia, dove hanno sede quasi tutti i suoi stabilimenti. Ancor più variegata la lista dei beneficiari del gruppo Maccaferri. La multinazionale bolognese dell’ ingegneria meccanica ha usato una tattica particolare: donazioni piccole, suddivise con estrema imparzialità. Il risultato è che i 200 mila euro investiti da Gaetano Maccaferri, membro di Confindustria e del consiglio superiore della Banca d’ Italia, sono finiti in mille rivoli: dal Pd a Renato Brunetta, da Scelta Civica agli autonomisti siciliani di Lombardo. Ha scelto invece una strada opposta l’ ex presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Attraverso Mapei, la sua azienda, l’ imprenditore emiliano ha puntato tutto su un unico cavallo. Sbagliato. Squinzi ha infatti investito 60mila euro per finanziare la campagna elettorale a sindaco di Milano di Stefano Parisi, infine sconfitto da Sala. Dalla Turchia a Cuffaro Che cosa lega la fedelissima di Berlusconi, Licia Ronzulli, a uno degli uomini più ascoltati dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan? Un bonifico da 20 mila euro datato 2014. La donazione in favore dell’ allora europarlamentare di Forza Italia, oggi considerata vicinissima al Cavaliere, è firmata Hasan Cuneyd Zapsu. Imprenditore di successo basato a Istanbul, consulente di gruppi globali come Coca Cola e Rosatom, fondatore del partito turco Akp e consigliere speciale di Erdogan, Zapsu ha un solo legame noto con l’ Italia: un ruolo da «senior advisor» per il gruppo Ferrero, quello della Nutella, che proprio nel 2014 ha ottenuto dalla Commissione europea l’ ok alla contestata fusione con l’ azienda turca Oltan, uno dei principali produttori di nocciole al mondo. Perché Zapsu ha regalato 20mila euro alla Ronzulli? Contattato da L’ Espresso, il consulente di Erdogan non ha risposto. La Ronzulli ci ha invece spiegato di conoscere l’ imprenditore dal 2012. Tra noi c’ è «una buona amicizia», per questo gli ho chiesto «un aiuto per la mia campagna elettorale». C’ è un legame con la Ferrero? Nessuno, garantisce l’ ex parlamentare, che dice di aver appreso da L’ Espresso della consulenza di Zapsu. Ha chiarito la sua posizione anche Salvatore Cuffaro, beneficiario di una donazione particolare. Nel 2013 il politico siciliano si trova infatti in carcere a Rebibbia. La condanna per favoreggiamento aggravato dall’ aver agevolato Cosa nostra è diventata ormai definitiva. Eppure, proprio quell’ anno, secondo i documenti ottenuti da L’ Espresso, Cuffaro riceve un versamento di 220 mila euro da Forza Italia. Perché? «È quanto mi dovevano per la campagna elettorale del 2006, quando diventai presidente della Regione», ci ha risposto l’ ex governatore siciliano. «L’ Udc saldò subito la sua parte. Forza Italia, nel frattempo diventato Pdl, chiuse invece il debito sette anni dopo. Ma io ci tengo a precisare che di quella cifra non ho mai visto un euro, del resto mi trovavo in carcere. I soldi sono serviti a estinguere il debito contratto all’ epoca con la banca per la campagna elettorale». Caso risolto, dunque. Ma Cuffaro, che mastica politica da quando è nato e sa che forma assumono i poteri forti, cosa pensa della fine del finanziamento pubblico? «È stata una garanzia di libertà», dice, «ora il rischio è che i partiti finiscano in mano ai privati. Del resto danno un contributo perché hanno delle speranze, mentre il partito che non ha bisogno di denaro non crea alcuna aspettativa nei privati». Seguendo il ragionamento di Cuffaro, viene da pensare che Giovanni Toti di aspettative ne abbia create parecchie. D’ altronde la campagna elettorale dell’ attuale presidente della Liguria, scelto da Berlusconi per violare la storica roccaforte della sinistra, è stata lunga e dispendiosa. Per fortuna sono arrivati in suo soccorso un po’ di denari privati. Certo, da un pezzo grosso dell’ imprenditoria come Aldo Spinelli – ex patron del Genoa e del Livorno – c’ era da aspettarsi qualcosa in più dei 15 mila euro donati. Ma tant’ è. L’ aiuto simbolico è comunque servito: dopo l’ elezione di Toti, Spinelli ha acquistato insieme a Msc il Terminal Rinfuse di Genova. La maggior parte delle donazioni per Toti sono però arrivate dalla Fondazione Chan impossibile dunque conoscere l’ origine del denaro. Tra i pochi ad aver fatto bonifici diretti c’ è l’ imprenditore Giovanni Calabrò, sponsorizzato dallo stesso Toti per l’ acquisto del Genoa calcio. Non proprio una mossa felice, visto che quest’ anno la Cassazione ha condannato Calabrò a sei anni per bancarotta. Meloni e mattoni «C’ è l’ Italia colpevole di Angiola Armellini, che non paga di ereditare un impero senza aver fatto nulla, nasconde due miliardi di euro al fisco». Parola di Giorgia Meloni, che durante la campagna elettorale per diventare sindaco di Roma descriveva così la grande ereditiera da sempre in affari con il Comune capitolino (incassava più di 4 milioni all’ anno per l’ affitto di suoi appartamenti usati come case popolari). I documenti analizzati da L’ Espresso permettono di raccontare un inedito retroscena sul rapporto tra la Meloni e la donna accusata di evasione fiscale. La leader di Fratelli d’ Italia ha infatti ricevuto donazioni da quattro società che fanno capo alla Armellini, per un totale di 20 mila euro. Spiccioli- ma sempre ben accetti- per “lady no tax”, che col mattone ha guadagnato miliardi. Ai quali si aggiunge una mancetta dei costruttori romani, i Mezzaroma. Una donazione da 1.500 euro attraverso una società del gruppo. Imprenditori che hanno sempre avuto simpatie per la destra: nel 2010 hanno versato 100 mila euro al partito di Berlusconi, nel quale la Meloni era ministro. Tra i finanziatori della leader di destra alle elezioni comunali – 210 mila euro in totale – c’ è anche la società Corallobeach. Il titolare è Claudio Balini, ras dei lidi del litorale e parente di Mauro Balini, a cui la magistratura ha sequestrato beni per 50 milioni di euro. Mauro Balini, per gli investigatori, ha legami con la malavita locale. Insomma, pecunia non olet. Neppure per l’ erede di Almirante. n Il più generoso è Berlusconi (con se stesso). Poi Moratti, Bonsignore, Caltagirone. La mappa degli imprenditori che finanziano i politici.

Rassegna Stampa del 27/11/2017

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Indice Articoli

Più coraggio e indipendenza Solo così vivono i quotidiani

Diritti tv, si rischia la nuova apocalisse

Lega di A, prove di accordo per evitare il commissario

Fake news, legge del Pd multe fino a 5 milioni

Photoshop e siti fac-simile ecco come nasce una bufala

Mister news la mia sfida a google a colpi di tweet

Pubblicità e affari online l’ italia non sarà più un paradiso fiscale

Re del web, basta trucchi È ora di pagare le tasse

Le regole delle casse restano disallineate

Più coraggio e indipendenza Solo così vivono i quotidiani

Il Giornale
RICCARDO RUGGERI
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S ono da dieci anni nel mondo dell’ editoria, ho una mini casa editrice, scrivo sui giornali, ogni mattina posto sul mio Blog (riccardoruggeri.eu) una sbarazzina «Rassegna stampa del Cameo», ogni tanto produco un Cameo Video di 4 minuti, cercando di spiegare la politica ai miei nipotini e a quelli che hanno meno di 18 anni. Ciò premesso, mi sfugge perché noi editori, giornalisti, stampatori, fornitori, si subisca supinamente la strategia delle Big Five, intenzionate semplicemente a ucciderci, e con noi il cartaceo, e pure le versioni internet. Può darsi che sia una partita persa (io non ci credo) ma almeno combattiamo, come fece la cavalleria polacca contro i tank nazisti (oltretutto costoro hanno evidenti connotati nazi). Lo confesso, attendevo con ansia l’ uscita della nuova Repubblica per scoprire se, con l’ occasione del cambio del vestito (chapeau!), avrebbe modificato anche il suo posizionamento strategico. Dio sa quanto, nello sfacelo della socialdemocrazia europea, ce ne sarebbe bisogno. Pensavo lo facesse su un tema ove era facile trovare comunanze multiculturali: accendere fari critici sul mondo di cipria (sporca) delle Big Five, ergo sul ceo capitalism. Alcuni articoli degli ultimi mesi di Federico Rampini, particolarmente critici verso questi monopolisti d’ accatto, erano stati innovativi, avevano illuso persino un apòta come me. Per ora non ho colto alcun cambiamento. Mario Calabresi, nel primo numero spiega «Perché il giornale cambia», dandosi tre risposte: lo hanno chiesto i lettori, lo chiede il tempo in cui viviamo, è nel Dna di Repubblica. Come lettore fedele fin dal primo numero (14 gennaio 1976) ho assistito alla splendida giovinezza di Repubblica (al mattino presto correvo all’ edicola per prendere Repubblica e il Giornale di Montanelli), alla sua breve maturità, all’ improvvisa vecchiaia. Come tutti i grandi quotidiani occidentali, anche Repubblica non ha saputo gestire il dopo caduta del muro, si è trasformata in un house organ del potere liberal dominante, per intenderci il più losco, quello dei Clinton, dei Blair, che ci ha portato alla crisi del 2008 e all’ oscuro futuro che ci attende. La nuova veste grafica può dirsi un capolavoro del politicamente corretto. È pieno di segnali deboli di dove stia andando il mondo, alcuni sono interessanti, altri coraggiosi, ma si capisce che il protocollo editoriale è ancora quello in essere. Pensavo che abbandonasse il profilo di giornale-corazzata per reinventarsi il ruolo di giornale-cacciatorpediniere multiruolo. Per ora nulla. Solo Eugenio Scalfari, non su Repubblica ma a La 7, si può permettere di dire un’ ovvietà intelligente su Silvio Berlusconi, che almeno metà degli italiani ha apprezzato, ma 48 ore dopo è costretto a un defatigante lavoro di cesello per riposizionarsi. Prendiamo il caso dello sciopero in Amazon, il giorno del Black Friday. Repubblica, in verità come gli altri giornali, fa commenti mosci, edulcorati, anziché parlare dell’ oligopolio che si è costituito nella logistica, sottolineando come con queste «non regole» chi distribuisce decide per l’ intera catena di produzione (è strategicamente inaccettabile). Concorrenza, libero mercato per costoro sono concetti che vanno a farsi benedire, i cittadini si chiedono perché concedere tanti vantaggi fiscali all’ e.commerce, alle multinazionali monopoliste postate in Lussemburgo o nelle isole del Canale? Bastava prendere il libro «En Amazoine» (2013) di uno di noi, il giornalista infiltrato J.B. Malet, costantemente geo localizzato da Amazon, e farci dei ragionamenti critici. Nessuno, non solo Repubblica, l’ ha fatto. Oggi i lettori di un giornale cartaceo le notizie le prendono altrove, vogliono commenti brevi, netti, intellettualmente indipendenti. Questa la nostra sfida. www.riccardoruggeri.eu.

Diritti tv, si rischia la nuova apocalisse

Il Fatto Quotidiano
Paolo Ziliani
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Dopo l’ Apocalisse 1 (Italia fuori dai Mondiali 2018), l’ Apocalisse 2. Dove per evento catastrofico s’ intende la possibile, temuta sparizione dei soldi dei diritti tv, quelli che da sempre tengono in piedi il malandato baraccone del calcio di casa nostra. Mentre per le esequie del Sommo Pontefice Tavecchio tutto è ancora da decidere, a cominciare da loculo e sacerdoti, un piccolo passo indietro è necessario per raccontare quel che bolle in pentola (nel silenzio dei più) sullo scabroso tema dei soldi televisivi. Il 26 maggio scorso la Lega di serie A, nell’ intento di anticipare l’ asta-Uefa dei diritti Champions, emette in gran fretta il bando per i diritti del triennio 2018-2021. L’ obiettivo è il raggiungimento di quota 1 miliardo (incasso precedente: 943 milioni), ma quando a giugno si aprono le buste, a tutti vengono i sudori freddi: Mediaset e Tim non hanno presentato alcuna offerta, Sky ha scritto in busta 440 milioni per i due pacchetti satellite e digitale (il primo con base d’ asta 400), Perform 50 per i diritti web (base d’ asta 100). Totale offerte: 490 milioni, meno della del preventivato. Il bando viene annullato. “Le offerte non rappresentano il valore reale del calcio italiano”, spiega Tavecchio. Si rimanda a fine anno. La speranza è che Mediaset, in pieno contenzioso con Vivendi per la cessione poi abortita di Premium, raggiunga un accordo con i francesi e torni competitiva. Ma De Siervo, Ad di Infront, l’ advisor della Lega, dichiara: “Se non andasse in porto il polo Vivendi-Telecom-Mediaset, il canale della Lega sarebbe l’ unica ipotesi possibile”. Lega Channel. Sono passati sei mesi, poco è cambiato sul fronte Mediaset-Vivendi, l’ Italia si è fatta eliminare dal mondiale deprimendo ulteriormente il movimento e abbattendo il valore dei diritti-tv: e in questa situazione oggi la Lega si riunirà, tra le altre cose, per discutere e votare il nuovo bando, dopodiché entro il 15 dicembre ci sarà l’ apertura delle buste. Ebbene: nessuno lo dice, ma con Mediaset sempre più decisa a uscire dal business-calcio gravata da una perdita di 375 milioni e con Sky e Rai impegnate a prendere accordi sull’ acquisto di Champions League (già avvenuto) e Mondiali 2018, con ipotesi di scambi di partite, il flop del secondo bando si staglia minaccioso un po’ come l’ iceberg davanti al Titanic. Lo conferma l’ inserimento nel bando di un cosiddetto Piano B, il progetto “Lega Channel”, la tivù fatta in casa dalla Lega, una specie di Sarchiapone, un’ entità spaventevole e immaginaria evocata ogni volta che Sky e Mediaset provano a fare il braccino corto. In realtà, per realizzare la tv della Lega (con relativo rischio d’ impresa), che userebbe Sky e Mediaset come taxi per arrivare agli abbonati, occorre trovare prima sia un partner industriale (Discovery?) sia un partner finanziario ( JP Morgan? Merrill Linch?). Dopodiché, messa in piedi una redazione pescando tra i professionisti di Sky e Premium, nominato un direttore e stabilito che il numero di abbonati da raggiungere è 4,3 – 4,5 milioni (Premium oggi ne conta la metà), bisognerebbe trovare un accordo con tutti i soggetti in campo sulla spartizione degli utili. Secondo il piano, alla piattaforma d’ appoggio (Sky, Mediaset) andrebbe il 15%, a Infront il 18 e il restante 67% sarebbe diviso tra Lega, Discovery e la banca finanziatrice. Domanda: secondo voi succederà? Come diceva quello: campa cavallo che l’ erba cresce.

Lega di A, prove di accordo per evitare il commissario

Il Messaggero
EMILIANO BERNARDINI
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LA CRISI ROMA La battaglia per lo Statuto è solo di facciata, la vera guerra la Lega A la fa per i soldi. La ridistribuzione delle percentuali di voto, le seconde squadre e la riforma dei campionati sono discorsi giusti ma da affrontare a pancia piena. Nell’ ultima settimana i telefoni dei venti presidenti di A non hanno smesso un minuto di trillare. Contatti continui per provare a definire un piano. La verità è che nessuno vuole il commissariamento e l’ Assemblea di oggi proverà a scongiurarlo. Difficile si trovi la quadra ma qualcosa in pentola già bolle. Si sta cercando di definire la figura dell’ amministratore delegato che mettesse tutti d’ accordo. Meglio una figura che sappia vendere bene i diritti tv o una in grado di saper valorizzare il prodotto in seconda battuta? NODO SULL’ AD Al primo profilo rispondono i nomi di Tom Mockridge (ex numero uno di Sky Italia, oggi alla guida di Virgin Media), Alessandro Araimo (executive vice-presidente e general manager di Discovery Italia) e Luigi De Siervo (attuale ad di Infront). Quest’ ultimo molto ben visto dal patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Al secondo profilo, invece, sembrano più vicini Marzio Perrelli (ceo di Hsbc Italia) che piace al presidente del Coni Giovanni Malagò, Michele Scannavini (Presidente dell’ Agenzia ICE) e Sami Kahale (presidente della Procter & Gamble per il Sud Europa) appoggiato da Urbano Cairo numero uno del Torino e che comunque non dispiacerebbe nemmeno a Malagò. «Non credo che domani (oggi, ndr) sarà il giorno per eleggere…», ha detto ieri Cairo. Chiaro che al momento la battaglia è anche dal punto di vista strategico: chi l’ avrà vinta sull’ ad poi dovrà mollare per forza qualcosa sul nome del presidente. Ed è qui che s’ inserisce il patron della Lazio, Claudio Lotito. Parla poco, si fa vedere meno ma è attivissimo. Ha una strategia chiara: lotta per imporre il nome del presidente e se stesso. Dalla sua parte può contare sull’ appoggio del Milan e una serie di medio piccole. Più nebulosa l’ alleanza con la Juventus di Andrea Agnelli. I rapporti tra i due sono tornati molto amichevoli dopo un lungo periodo di tensione. Non si trovano sul nome sponsorizzato da Lotito quello di Ugo Marchetti, ex vice comandante della Guardia di Finanza. Il piano di Claudio è molto semplice: nominare il presidente e poi sedere sia in consiglio di Lega sia in consiglio Figc (ruoli che il Collegio di Garanzia del Coni non ha dichiarato incompatibili). Tra i nomi papabili per il ruolo di guida in Lega c’ è anche quello di Umberto Gandini in uscita dalla Roma. E proprio i giallorossi insieme a Inter, Napoli, Torino, Fiorentina, Bologna e altri due club più piccoli sono all’ opposizione di Lotito. In via Rosellini, oggi, lo scontro è sicuro. E allora difficile che si trovi una quadra. Più veritiera l’ ipotesi secondo cui l’ assemblea verrà lasciata aperta fino a giovedì quando è già più semplice si trovi l’ intesa. Questo scenario vedrebbe eletto Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori. Una nomina a scadenza. Il tempo di scongiurare il commissariamento minacciato da Malagò e nominare il presidente della Figc (possibili elezioni il 22 gennaio). Poi, come da accordi, rassegnerebbe le dimissioni. DIRITTI TV E TAGLI L’ obiettivo principale resta quello dell’ assegnazione dei diritti tv, l’ unico vero salvadanaio della serie A. Oggi verranno approvati i bandi per il triennio 2018-2021, poi scatterà l’ asta (15 giorni di tempo). Cinque i pacchetti a disposizione, la novità è legata alla possibilità data a soggetti terzi di comprarli e poi rivenderli (pare che ci sia già un fondo dietro cui ci sarebbe Marco Bogarelli, ex numero uno di Infront). Alla lega di A interessa vendere bene i diritti tv e spartirsi la fetta. Questo lo sa bene Malagò che nella Giunta del Coni di domani a Bari annuncerà un altro taglio al calcio: 5 milioni. Il numero uno dello sport italiano tira la cinghia e spera che alla fine prevalga il buon senso che per lui significa commissariamento. Almeno un anno, per poter mettere mano allo statuto e riscrivere le regole. Stavolta Malagò non vuole farsi sfuggire l’ occasione. Quella che perse incredibilmente nel 2014 quando mise mano allo Statuto. Emiliano Bernardini © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fake news, legge del Pd multe fino a 5 milioni

La Repubblica
Tommaso Ciriaco Annalisa Cuzzocrea
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roma Fare pulizia delle fake news. Bloccare i teppisti da tastiera. Inseguire chi diffama, inneggia al fascismo, attenta alle istituzioni democratiche cavalcando le piattaforme social. È il cuore del progetto di legge targato Pd che sarà depositato nelle prossime ore al Senato dal capogruppo dem Luigi Zanda. Con una rivoluzione copernicana importata dalla Germania: gli spazzini della Rete dovranno essere i social network. A Facebook, Twitter, Instagram spetterà infatti filtrare le segnalazioni degli utenti. Vigilare. E se falliranno, la sanzione sarà salatissima: mezzo milione di euro per ogni singolo caso, cinque milioni per gli errori “di sistema”. Al testo – che importa le regole adottate da Berlino lo scorso settembre – lavora da due mesi la senatrice dem Rosanna Filippin. Certo, è tardi per approvarlo prima delle elezioni, ma il segnale sarà lanciato comunque: « Il ddl – assicura Zanda – sarà una base solida per ripartire nella prossima legislatura » . La cautela è d’ obbligo. « Abbiamo sgamato Lega e 5 stelle che usano gli stessi codici, le stesse infrastrutture della rete – dice Matteo Renzi alla Leopolda – ma non pensiamo a nuove leggi, figuriamoci, a pochi mesi dal voto. Ogni quindici giorni però presenteremo un rapporto sulle schifezze in rete » . « Una norma è necessaria – spiega Matteo Richetti – ma è impensabile approvarla in piena campagna elettorale». Un testo però, intanto, c’ è già, e la filosofia che lo guida è responsabilizzare al massimo l’ unico soggetto in grado di usare l’ accetta in tempi ragionevoli, cioè i social network con più di « un milione di utenti registrati sul territorio nazionale » . Restano fuori i giornali on line e WhatsApp. Cosa dovranno fare precisamente colossi della socialità virtuale come Facebook e Twitter o gli organismi di ” autoregolamentazione” esterni a cui potranno affidarsi? Raccogliere i reclami degli utenti ultraquattordicenni su fake news o contenuti illegali. Decidere se rimuoverli, bloccando gli autori. E farlo in tempi strettissimi: 24 ore se il post è « manifestamente illecito», una settimana se necessario per verificare la «denuncia». Il ventaglio dei reati nel mirino della norma è ampio. La diffamazione, innanzitutto. E ancora, minacce, stalking, pedopornografia e trattamento illecito dei dati personali. Non basta, perché l’ obiettivo è limitare anche l’ offensiva allo Stato a mezzo bufale: dai delitti contro la sicurezza nazionale al terrorismo, eversione dell’ ordine democratico e apologia del fascismo, istigazione a delinquere, associazione mafiosa e offesa a confessioni religiose. In questi casi, il motore della richiesta di rimozione sarà il pubblico ministero. E che succede se i social ignorano la richiesta delle potenziali vittime di fake news? Ciascun utente potrà rivolgersi al Garante della privacy. E i gestori dovranno rispondere all’ Autorithy – ed eventualmente all’ autorità giudiziaria – in modo rapido. Chi violerà questa disposizione, o non si doterà di un sistema efficace per far fronte ai reclami, o dimenticherà di stilare rapporti semestrali sull’ offensiva delle fake news, dovrà pagare fino a cinque milioni di euro. Tutto, insomma, è in movimento. Su vari fronti. Proprio in queste ore scende in campo anche l’ Agcom, lanciando dal prossimo 4 dicembre un tavolo tecnico per la « garanzia del pluralismo e la correttezza dell’ informazione sulle piattaforme digitali » . « Ci lavoriamo da un anno», dice il consigliere Antonio Nicita. L’ idea è quella di capire se e come i colossi del web rispondano alla disinformazione prodotta in rete, monitorando pure l’ esistenza di account falsi legati a flussi economici, anche esteri. All’ appuntamento si ritroveranno pezzi da novanta come Facebook, Google, Twitter, Fnsi, editori come Sky, Rai e Mediaset, per i relativi portali internet. Tempo sprecato, per le opposizioni grillo- leghiste. « Occupiamoci di problemi un pochino più seri – attacca Matteo Salvini – le fake news sono quelle di tg e giornali, che fanno da grancassa alle bugie del Pd». E i 5 stelle, a ruota: «Il Pd è sotto ricatto di Verdini per qualsiasi cosa – sostiene la senatrice Paola Taverna – e questi perdono tempo appresso alle fake news che si inventano da soli?». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Photoshop e siti fac-simile ecco come nasce una bufala

La Repubblica
carlo brunelli, luigi di maio
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roma Le inchiests di BuzzFeed s New York Times hanno apsrto il dibattito sulla disinformazions in Italia. Sono tantissims ls bufals girats nsgli ultimi anni, postats da divsrss tipologis di utsnti: troll, bufalari di profsssions, account faks chs fanno propaganda. Con quals facilità girano in Italia? Un anno fa la trasmissions di Rai 2 Nsmo ha dimostrato coms viralizzars una bufala in pochs mosss: è bastato affiancars alla foto di Agnsss Rsnzi un virgolsttato sul rsfsrsndum: « Mi dispiacs ma anchs io votsrò no al rsfsrsndum » . Hanno poi caricato la foto su di un sito dal noms ingannsvols “tg24.livs”, accompagnata da dus righs psr dars spsssors s contssto alla notizia. L’ articolo è stato infins postato su un gruppo fan di Salvini utilizzando un profilo faks. 81,237 intsrazioni social, dslls quali più di 16mila sono condivisioni su Facsbook, s Rsnzi ha dovuto smsntirs la notizia in confsrsnza stampa. Un gioco molto ssmplics, psr qussto molti sostsngono chs sia colpa dsgli utsnti troppo crsduloni. Siamo portati a psnsars chs a noi non possa succsdsrs, ma nsssun utsnts è immuns al prsgiudizio di confsrma. Siamo portati a crsdsrs ad una notizia chs confsrma la nostra idsa s ad ssssrs scsttici riguardo una notizia chs la smsntiscs, ssnza badars alla fonts. Nslls cosiddstts scho chambsr ls opinioni chs confsrmano il nostro prsgiudizio vsngono confsrmats s amplificats. È un msccanismo automatico, attravsrso il quals da anni visns ritsnuto crsdibils un vidso di immigrati chs distruggono una macchina dsi carabinisri, tratto dalls riprsss di una fiction. Il vidso, postato nsl 2014 dalla pagina umoristica ” Amo il mio carabinisrs”, è stato psr anni il cavallo di battaglia dsgli xsnofobi, raggiungsndo 291.500 condivisioni. Il vidso si è diffuso anchs all’ sstsro su pagins coms Australians against radical Islam s NPD Landssvsrband Baysrn. Eppurs nsl vidso si vsdono chiaramsnts microfoni s altri strumsnti tipici di un sst, s la prsssnza dsgli opsratori visns suggsrita dal lancio dsl vidso « s la gsnts chs filma non fa nulla!!!». Alla fins dsl 2015 la pagina dslla Polizia di Stato, ” Una vita da social”, ha confsrmato chs si trattava dslls riprsss di un film. Nonostants ciò, il vidso torna a circolars, rilanciato dalla pagina Nsws in Movimsnto dal Wsb, una pagina non ufficials di supporto al M5s. Sono trs anni ormai chs il vidso fa indignars nuovi utsnti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il problema fake news esiste, noi le subiamo. Le bufale nascono nei media tradizionali. Serve il controllo dell’ Osce f g CHRISTIAN MANTUANO/ ONESHOT.

Mister news la mia sfida a google a colpi di tweet

L’Economia del Corriere della Sera
di Maria Teresa Cometto
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A 75 anni Michael «Mike» Bloomberg non smette di lavorare con passione all’ azienda che ha fondato e che porta il suo nome, pensando continuamente a come innovarla. Non contento di essere da 35 anni il «re» delle news economiche per i professionisti della finanza, ora lancia la sfida ai colossi dell’ alta tecnologia, Google e Facebook, creando il primo social network dedicato alle notizie e attivo 24 ore al giorno, sette giorni la settimana. Il nuovo servizio, gestito dal dipartimento Media di Bloomberg, debutta il 18 dicembre su Twitter, ci lavoreranno 50 persone e vede la partecipazione di sei partner – Goldman Sachs, Infiniti, TD Ameritrade, CA technologies, At&t e Cme group – che hanno pagato da 1,5 a 3 milioni di dollari per far parte del progetto. L’ obiettivo di Bloomberg è aumentare la presenza digitale dei suoi media, contrastando il duopolio Google-Facebook che controlla la maggioranza del mercato pubblicitario online e mobile. «I frutti della rivoluzione nell’ industria dei media non devono appartenere solo alle piattaforme tecnologiche dominanti», ha spiegato Justin Smith, il ceo di Bloomberg Media, da cui dipendono l’ agenzia Bloomberg News, le riviste Businessweek, Markets, Pursuits, il sito Bloomberg.com, un canale tv e una radio. Mike Bloomberg aveva reclutato Smith da Atlantic quando, alla fine del 2014, dopo 12 anni come sindaco di New York, aveva deciso di tornare a gestire in prima persona la sua azienda. Narciso, ambizioso, appassionato lui per primo di tecnologia e dotato di ampie risorse – con 47,8 miliardi di dollari di patrimonio personale è il decimo più ricco al mondo, secondo Forbes -, Bloomberg vuole far conoscere anche al pubblico non specializzato il suo marchio, storicamente noto per lo più a banchieri, trader e investitori che hanno sulle loro scrivanie i suoi terminali. Bloomberg, l’ azienda, nasce nel 1981 con 4 dei 10 milioni di dollari incassati da Mike come liquidazione dalla banca d’ affari Salomon Brothers, per la quale aveva lavorato per 15 anni, facendo carriera fino a diventarne socio. Era stato licenziato in tronco, proprio all’ inizio di una delle recessioni più gravi del dopoguerra negli Stati Uniti. Bloomberg, però, ne parla sempre come la svolta fortunata della sua vita: «Dopotutto, perdere il posto di lavoro può essere un’ opportunità d’ oro per lanciare il tuo business». Perdente in una guerra di potere dentro Salomon Brothers, nel 1979 Bloomberg era stato relegato nella «Siberia» del tech support , il reparto considerato il meno prestigioso nella banca. Ma lui aveva trasformato la retrocessione nell’ occasione per sviluppare il prototipo di quello che sarebbe diventato poi il suo prodotto vincente, il terminale che porta il suo nome Fino a quel momento i trader, per informarsi sui prezzi dei titoli da trattare e sulle notizie di finanza, leggevano il Wall Street Journal di carta e facevano i conti sulle calcolatrici. Bloomberg inventò per loro una piccola macchina da scrivania che forniva in tempo reale i dati sulle quotazioni di Borsa e prevedeva anche l’ impatto sui mercati di eventi come il rialzo o il ribasso dei tassi d’ interesse. L’ ultimo suo giorno di lavoro alla Salomon fu il 30 settembre 1981. «La mattina dopo – racconta – ho iniziato con Bloomberg, l’ azienda». Che è presto diventata il numero uno sul mercato dei servizi di informazioni finanziarie e per il trading e che oggi, con quartier generale a New York, impiega 19 mila dipendenti in 176 città nel mondo, di cui oltre 4.800 esperti tecnologici. Molti hanno cercato di scalzarne il primato, senza successo. L’ ultimo tentativo risale a tre anni fa, capitanato da Goldman Sachs. La banca d’ affari era infuriata perché aveva scoperto che i suoi trader erano «spiati» dai giornalisti di Bloomberg che avevano accesso ai loro movimenti sui terminali. Goldman Sachs si è così alleata con una dozzina di altri gruppi bancari globali, da JPMorgan a Bank of America, da Citi a Wells Fargo, da Credit Suisse a Deutsche Bank, per creare «Symphony», un sistema di comunicazioni fra trader alternativo a quello offerto da Bloomberg, per trattare ordini di compravendita di titoli, scambiare notizie, commenti e battute. Oggi Simphony dichiara di avere 200 mila utenti, ma non è mai realmente decollata e per rilanciarsi lo scorso giugno ha stretto un patto con Thomson Reuters – il numero due dopo Bloomberg (che ha il 33,4% di quota di mercato contro il 23,1% di Thomson Reuters, ndr ) – per integrare i rispettivi servizi. Mike intanto continua a investire sul suo brand. Ha appena inaugurato a Londra il nuovo quartier generale europeo della società, costato – si dice nella City – un miliardo di sterline. Disegnato dal famoso architetto Norman Foster, è completamente hi tech , al 100% «verde» e con una spettacolare vista sulla cattedrale Saint Paul. All’ interno offre spazi per la «collaborazione» casuale fra dipendenti (quattromila quelli previsti nella sede londinese) e ospiti, cibo gratis, maxi schermi ovunque, una grande scala a spirale che collega sei dei nove piani, e un museo annesso dove si ammirano gratuitamente i reperti archeologici romani trovati scavando le fondamenta. A New York porta il nome di Bloomberg uno degli edifici di Cornell Tech, il nuovo campus universitario da lui voluto come sindaco per rilanciare l’ economia cittadina dopo la crisi finanziaria del 2008. Il tycoon aveva anche accarezzato l’ idea di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016 come indipendente, ma i sondaggi da lui stesso commissionati non gli avevano dato alcuna chance di vittoria e da qui la rinuncia. C’ è però chi lo vorrebbe nel 2020 come avversario di Donald Trump, verso il quale lui è fortemente critico soprattutto sui temi del clima e dell’ immigrazione. Bloomberg ha detto che per ora non ci sta pensando. Non perché si considera troppo vecchio, anzi. «Forse sono ottimista, ma il mio obiettivo è vivere altri 50 anni», ha detto a Business Insider durante l’ inaugurazione della sede londinese. Una battuta? I suoi geni sono buoni (la madre Charlotte è morta a 102 anni), i soldi per finanziare la ricerca sulla longevità ce li ha, lo spirito non gli manca. Ed essere il primo a vivere fino a 125 anni renderebbe il suo nome davvero immortale.

Pubblicità e affari online l’ italia non sarà più un paradiso fiscale

L’Economia del Corriere della Sera
di Antonella Baccaro
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La via italiana alla web tax è segnata. L’ emendamento che introduce la tassazione sulle transazioni digitali è ormai in porto. Si tratta di un prelievo del 6% su operazioni esclusivamente tra imprese per prestazioni di tipo digitale. A girare la tassa al Fisco è l’ impresa pagante. La norma è costruita in modo da esentare le aziende che hanno sede stabile in Italia. A queste infatti viene riconosciuto nello stesso momento del pagamento un credito d’ imposta a totale compensazione della cifra. Il gettito? A regime anche un miliardo l’ anno. Presidente Massimo Mucchetti, lei che è alla guida della Commissione Industria del Senato, è il primo firmatario dell’ emendamento. Quanto è distante dal disegno di legge da lei stesso presentato un anno fa? «In quel disegno di legge si prevedeva il monitoraggio dei flussi finanziari in uscita dall’ Italia verso soggetti non residenti o privi di stabile organizzazione attraverso l’ azione degli intermediari finanziari e dell’ Agenzia delle Entrate. Superate certe soglie, l’ Agenzia convocava il soggetto non residente per verificare se quel giro d’ affari fosse stato realizzato tramite una stabile organizzazione. Nel caso il soggetto non si presentava o negava lo stato, i ricavi generati in Italia ma fatturati all’ estero venivano qualificati come “redditi diversi” e assoggettati alla relativa aliquota del 26%. Un forte incentivo ad ammettere la stabile organizzazione». Ma quei soggetti in fondo, esportano servizi. Non avremmo rischiato ritorsioni sulle nostre esportazioni? «Questa è la tesi di Hal Varian». L’ economista… «…che dal 2002 lavora solo per Google. E gli sembra di dimenticare che gli Over the top (Ott) non esportano come la Volkswagen ma lavorano in luoghi virtuali, dicono loro, una materia prima: i dati personali raccolti in loco , per rendere i loro servizi. I dati sono il petrolio del Terzo millennio ma le varie Google, a differenza dei petrolieri non li pagano. Certo, remunerare i detentori dei dati è oggi tecnicamente impossibile, ma il loro valore può essere difeso e remunerato attraverso le imposte del Paese di estrazione». Dal suo disegno di legge è scaturita la prima formulazione dell’ emendamento. «Che introduceva l’ imposta al 6% sui ricavi derivanti da attività digitali dematerializzate. L’ imposta non si applicava alle transazioni tra soggetti, residenti o meno, che presentavano un bilancio in Italia. Ma il governo temeva problemi in Europa. Pur non condividendo queste prudenze, ho negoziato un accordo che ha portato all’ attuale formulazione». Deluso? ««No. I negoziati sono fisiologici nell’ attività parlamentare. I progetti ambiziosi faticano a coagulare intorno a sé i necessari consensi. E può essere saggio ascoltare le ragioni altrui, prima di tutto quelle del governo, chiamato a difendere la norma sul piano internazionale». Il ministero definirà per decreto le attività sottoposte a web tax. «Non possiamo cristallizzare in norma primaria realtà in rapido mutamento. Ma non mancheranno, presumo, la pubblicità e i sistemi di prenotazione alberghiera online». L’ Agenzia delle Entrate monitorerà i pagamenti online tramite spesometro e, allo scattare di certi requisiti, farà le verifiche. Competente sarà la Direzione regionale della Lombardia. Perché? «A Milano si sono sviluppate le migliori professionalità per il contrasto dell’ elusione digitale». La norma aggiorna anche i requisiti della “stabile organizzazione” rispetto a quelli dell’ Ocse. «Sì, ma tiene conto degli ultimi orientamenti, per quanto non ancora formalizzati, in risposta alle tecniche elusive». Avete aggiunto due requisiti. «Abbiamo allargato il concetto di risorse oltre il riferimento storico a quelle naturali in modo da aprire la porta alla adeguata considerazione dei dati personali». La seconda novità? «Abbiamo individuato la stabile organizzazione nella “significativa e continuativa presenza economica nel territorio costruita in modo tale da non farne risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso” per consentire più penetranti accertamenti». Ma vi siete confrontati in audizione con questi colossi digitali? «Abbiamo invitato Apple, Google e Booking. Non sono venute, pur frequentando spesso la Casa Bianca, Berlaymont e pure i ministeri italiani. Ma essere maleducati è un diritto». La norma non viola i trattati Ue? «Non li violava la Diverted profit tax inglese alla quale mi sono in parte ispirato. Alcune multinazionali digitali presenteranno ricorsi? Non mi sorprenderebbe, ma avranno buone probabilità di perdere se l’ amministrazione italiana saprà usare gli spazi aperti dalla più recente giurisprudenza europea contro l’ elusione fiscale. Il mood è cambiato. Basta leggere l’ Economist e il Financial Times » . Una novità per la cultura d’ impresa. «In verità proprio il Corriere nel 2009 scoprì il double Irish di Google e pubblicò un articolo di fondo per denunciare i nuovi monopoli della rete e i problemi che creavano per le autorità fiscali e quelle di regolazione. Nel futuro vedo la riproposizione alle Ott degli sharing profit agreement che Enrico Mattei propose ai Paesi petroliferi». La web tax non riguarderà solo le multinazionali ma tutte le imprese web attive nei settori individuati dal ministero, quindi anche quelle italiane? «L’ imposta è erga omnes , ma genera un credito d’ imposta di pari importo che può essere compensato con i versamenti delle imposte sui redditi e, in caso di eccedenze, esclusivamente con quelli dell’ Irap, delle ritenute effettuate su compensi corrisposti a terzi, dei contributi previdenziali e dei premi Inail». Dunque solo le imprese come Google non potrebbero compensare l’ imposta. C’ è pericolo che si rifacciano sui consumatori finali? «No: stiamo parlando di rapporti tra imprese. E comunque mi parrebbe un’ obiezione curiosa dopo tante teorizzazioni liberiste sul trasferimento dell’ imposizione fiscale dalle imprese e dalle persone alle cose». Che gettito avrà la web tax? «Ci sarà un rodaggio operativo non trascurabile. Dunque, prudenza per il 2018 e i 2-3 anni seguenti. A regime ritengo che da queste Ott si possa ricavare un miliardo di gettito se l’ azione dell’ Agenzia delle Entrate sarà penetrante e se il giro d’ affari di queste Ott non perderà ritmo». Non ci sfavorirà essere il primo Paese a imporre la tassa? «L’ Italia è un mercato che genera ricavi marginali, dunque preziosissimi, per Google e Facebook nella misura di 2,3 miliardi, come risulta dalle nostre audizioni. Sarebbero folli a rinunciarvi per non dover pagare 100-150 milioni di imposte».

Re del web, basta trucchi È ora di pagare le tasse

L’Economia del Corriere della Sera
di Massimo Gaggi
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i l servizio al tavolo dell’ elusione fiscale prevedeva, come piatto forte, un double Irish, dopo il quale veniva servito un Dutch sandwich. La tecnica usata da Google per pagare pochissime tasse sui profitti realizzati fuori dagli Usa era talmente nota da essersi guadagnata soprannomi suggestivi. Una pratica borderline ma legale frutto dell’ ingegno segreto degli studi fiscali internazionali, ma di dominio pubblico dal 2010 quando se ne scoprì il meccanismo: i profitti europei traghettati in due società irlandesi, il Paese Ue più generoso in materia di tasse, e poi definitivamente «sterilizzati» in parte in Olanda, altro mezzo paradiso fiscale europeo (da qui il riferimento al Dutch sandwich), in parte in altre due spiagge off shore: Bermuda e isole Cayman. Le acrobazie dell’ azienda californiana per minimizzare le tasse da pagare in Europa sono state denunciate per anni dalla stampa. Ma non erano un caso isolato: da Apple ad Amazon a tutte le altre multinazionali, non si contano le società Usa finite sul banco degli imputati per il loro atteggiamento spregiudicato nei confronti del Fisco. Centinaia di miliardi di euro di tasse non pagate accumulati negli anni: uno scandalo macroscopico. Un caso provocato dall’ atteggiamento delle multinazionali, certo, ma anche dal mancato aggiornamento dell’ anacronistica normativa fiscale americana e dai varchi lasciati dalle diverse legislazioni europee. La pubblicazione dei Paradise Papers ha aggiunto dettagli interessanti: come Apple che, capito che in Irlanda il vento stava cambiando, ha scelto l’ isola britannica di Jersey. Cambiano le località di deposito circa 2.600 miliardi di dollari accumulati negli anni, (la sola Apple ha 265 miliardi di liquidità «congelata» in giro per il mondo) ma non i meccanismi dell’ elusione, né gli argomenti per giustificarla. Anni fa chiesi al presidente di Google, Eric Schmidt, se non provasse qualche imbarazzo sulla questione. Risposta secca: «Se non sfruttassi tutte le opportunità che il sistema mi lascia per pagare meno tasse verrei cacciato dai miei azionisti». Ora, però, le cose stanno cambiando: la Ue ha messo nel mirino vari gruppi a partire da Apple, chiamata a pagare oltre 13 miliardi di euro di tasse arretrate mentre al Congresso di Washington la riforma fiscale voluta da Donald Trump potrebbe essere in dirittura d’ arrivo: approvata a tempo di record dalla Camera, adesso è al Senato. Supera il vecchio sistema «imperiale» di tassazione universale (le imprese americane tenute a pagare negli Usa e con un’ aliquota molto alta, il 35%, i tributi sui profitti realizzati in tutto il mondo) introducendo un criterio territoriale analogo a quello in vigore in Europa. E che favorisce il rientro dei capitali oggi congelati all’ estero dalle multinazionali con un’ imposta una tantum bassa (12% per le attività liquide, 5% per i profitti in attività illiquide) e pagabile in più anni. Viene così chiusa l’ enorme falla fin qui sfruttata dalle società Usa che si rifiutavano di pagare le tasse nei Paesi nei quali operavano sostenendo di essere tenute a versarle in America. Poi nessuno pagava nulla perché quei capitali sono tassabili solo quando rientrano fisicamente negli Stati Uniti. Accettando il principio territoriale (pagate dove il reddito viene prodotto) Washington sembra venire incontro all’ Europa. Ma con la Ue che, al di là dei proclami (la lettera di dieci Paesi alla Commissione perché introduca una web tax) è ancora incerta sul da farsi (tassare solo i profitti o anche il fatturato o solo alcune sue voci come le entrate pubblicitarie?), l’ insolita rapidità del Congresso rischia di lasciare ancora una volta il Vecchio Continente con un palmo di naso. Forse anche per questo l’ Italia sta cercando di affrontare nell’ ultimo scorcio di legislatura un nodo, la web tax, non risolto negli ultimi anni ( vedi articolo a fianco ). Con l’ approvazione della riforma Usa le multinazionali, che ormai non possono fare più il gioco delle tre carte, avranno tutto l’ interesse a trasferire il denaro negli States (basta ampliare l’ impatto della proprietà intellettuale made in Usa sui guadagni totali). «Chi investe nelle start up rischia molto, quindi va tassato di meno», obiettano da sempre i fiscalisti della Silicon Valley. Ma i giganti digitali non sono più start up da un bel po’. E il Fondo monetario accusa: se le multinazionali avessero pagato le tasse dove hanno prodotto reddito, i governi avrebbero avuto dai 500 ai 650 miliardi di dollari di risorse pubbliche in più, 200 dei quali nelle regioni povere. Più di quanto (142 miliardi) ricevono in aiuti allo sviluppo.

Le regole delle casse restano disallineate

Il Sole 24 Ore
Paola BonsignoreGianluca Natalucci
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Continua il dibattito delle implicazioni sulla discordanza tra la classificazione ed il trattamento del reddito prodotto dalle società tra professionisti (Stp) ai fini fiscali e previdenziali. Se da un lato è riconosciuta la natura di reddito di impresa, dall’ altro è richiesta l’ applicazione e il versamento del contributo integrativo tenendo conto di una quota di partecipazione diversa dalla realtà in presenza di soci “non professionisti”. La direzione centrale Normativa delle Entrate, con il parere protocollo 131773/2014, ha affermato che le Stp «appartengono alle società tipiche disciplinate dai titoli V e VI del libro V del Codice civile eil reddito complessivo è considerato reddito di impresa con la conseguenza che le relative prestazioni non devono essere assoggettate alla ritenuta d’ acconto ». Tale stralcio evidenzia che le Stp: generano reddito di impresa in base agli articoli 6 e 81 del Tuir; non applicano la ritenuta d’ acconto. Queste assunzioni, che escludono totalmente tali redditi dall’ alveo del lavoro autonomo, benché aventi natura professionale, non sembrano sufficienti a risolvere le “incongruenze” sorte ai fini previdenziali. Infatti, le principali casse professionali non si sono perfettamente allineate all’ anzidetto orientamento sia per quanto riguarda la fatturazione che il versamento del contributo integrativo. Continua, infatti, ad essere richiesta alle Stp l’ applicazione del 4% su tutto il volume d’ affari prodotto ai fini Iva proporzionato alla quota di partecipazione dei soci iscritti all’ albo escludendo dal calcolo quella relativa ai soci non professionisti. Per le casse è più rilevante l’ attività esercitata piuttosto che la veste giuridica assunta; il che comporta il disconoscimento, in particolare nel caso di società di capitali, dell’ autonomia rispetto ai propri soci/azionisti. Ai fini del versamento del contributo, invece, è richiesto al professionista di determinarne l’ ammontare «sulla parte del volume d’ affari Iva complessivo della Stp corrispondente alla percentuale di partecipazione agli utili spettanti al professionista stesso. Nel caso in cui nella Stp siano presenti soci non professionisti, la percentuale di partecipazione agli utili deve essere riproporzionata escludendo dal calcolo la quota di partecipazione dei soci non professionisti» (articolo 9 del regolamento Cnpadc). Ad integrazione della delibera, sui siti internet delle Casse si aggiunge che la quota dei non professionisti venga ridistribuita sugli iscritti. Tale modus operandi non solo comporta una modifica della reale quota di partecipazione agli utili, imponendo ai professionisti di versare contributi calcolati su una base imponibile superiore a quella di propria competenza, ma soprattutto sembrerebbe contrario alle norme in tema di società sia di persone che di capitali. L’ impostazione distonica assunta dalle Casse rispetto alla Dcn necessiterebbe di ulteriori chiarimenti per “sanare” giuridicamente le differenze difficilmente sostenibili di assimilare, in ambito di Stp, il reddito di impresa a quello di lavoro autonomo, che vorrebbe l’ esclusione dall’ assoggettamento al contributo integrativo dei corrispettivi, così come avviene per la ritenuta d’ acconto, nonché della quota di volume d’ affari non di competenza del professionista quale base di calcolo, che diverrebbe ancor più articolata in caso di Stp con esercizio a cavallo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Circolare n. 42 del 27/11/2017 – Credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari

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Facciamo seguito alle nostre circolari n. 24/2017 e 37/2017 in relazione al credito d’imposta introdotto dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 che ha convertito il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.

Ricordiamo, infatti, che l’articolo 4 del citato decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148 ha modificato la previgente disciplina, come introdotta dalla citata legge 21 giugno 2017, n. 96, estendendo il beneficio, ad esclusione delle radio tv, anche al 2017.

L’attuazione della norma è delegata ad un Regolamento che ancora non è stato pubblicato, nonostante il primo esercizio di riferimento del contributo è il 2017 che, in pratica, è finito.

Proprio in questa prospettiva, il Dipartimento Informazione e Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato un comunicato con il quale ha anticipato i termini che dovrebbero successivamente essere recepiti nel Regolamento di attuazione.

Appare, pertanto, interessante ripercorre i contenuti della comunicazione.

L’articolo 4 del decreto-legge16 ottobre 2017, n. 148 ha stabilito che le risorse destinate a questa misura per il 2018 sono pari a 62,5 milioni di euro, di cui 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per gli investimenti effettuati nel secondo semestre del 2017, più 30 per quelli del 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare nel 2018 sulle emittenti radiotelevisive.

Quindi, solo per il 2017 il credito d’imposta viene riconosciuto esclusivamente per gli investimenti pubblicitari incrementali effettuati su giornali (anche telematici). Gli investimenti devono essere effettuati su testate iscritte presso il competente Tribunale ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 o presso il Registro degli operatori della Comunicazione e che, comunque, individuino la figura del direttore responsabile. Sono esplicitamente escluse le spese sostenute per servizi particolari quali le televendite, i servizi di pronostici o con servizi a sovraprezzo.

E’ importante evidenziare che, nella sua comunicazione, il Dipartimento chiarisce che le spese per l’acquisto di pubblicità sono ammissibili al netto delle spese accessorie, dei costi di intermediazione e di ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad esso funzionale o connesso. In altri termini, l’inserzionista – nell’ipotesi in cui abbia fatto ricorso ad agenzie o centri media – dovrà chiedere il dettaglio del costo effettivamente sostenuto per la pubblicazione sul giornale. Non è chiaro se andrà escluso dal calcolo anche il costo delle concessionarie pubblicitarie. L’effettività delle spese sostenute, ma diremmo dell’incremento, dovrà essere attestata dai soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità e il sostenimento delle spese deve poi risultare da apposita attestazione rilasciata dai soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali, ovvero dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti.

Il credito d’imposta viene riconosciuto a favore dei soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, il cui valore superi di almeno l’uno per cento gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente per la stessa categoria di mezzi d’informazione. Per categoria si deve intendere il settore dell’editoria (anche telematica) e dell’emittenza radiotelevisiva; in questa prospettiva il credito d’imposta può essere richiesto, anche cumulativamente, per gli investimenti incrementali effettuati in ognuna categoria.

Il credito d’imposta è pari al 75 degli investimenti incrementali effettuati elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start-up innovative. Per semplicità di lettura, ricordiamo che ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005 il limite dimensionale massimo, per la categoria delle microimprese, piccole e medio imprese è un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di imprese e meno di 250 occupati.

Nell’ipotesi in cui le richieste di contributo eccedano lo stanziamento, il credito d’imposta verrà liquidato in misura inferiore rispetto a quello richiesto con una ripartizione percentuale tra gli aventi diritto. Visto che i limiti di spesa sono distinti tra editoria (anche telematica) e emittenza radiotelevisiva, la determinazione del rapporto tra fabbisogno e stanziamento verrà effettuato con riferimento ai singoli settori.

Per il 2017 il rapporto incrementale va riferito ai soli investimenti effettuati nella finestra 24 giugno – 31 dicembre 2017 da rapportare al relativo periodo dell’anno precedente.

Nell’ipotesi in cui il credito d’imposta sia superiore a 150.000 euro (soglia per l’antimafia) le imprese richiedenti devono essere iscritte alla white list prevista dal comma 52 dell’articolo 1 della legge 6 novembre 2012, n. 190.

La domanda di ammissione al beneficio potrà essere presentata in una finestra temporale (nella comunicazione viene indicato il periodo 1 marzo – 31 marzo) in via telematica all’Agenzia delle Entrate con un modello che verrà predisposto dalla medesima Agenzia.

Il credito d’imposta non sarà cumulabile con altre agevolazioni pubbliche sulle medesime voci di costo. Il credito sarà utilizzabile esclusivamente in compensazione attraverso il modello F24.

Sarà nostra cura informarvi di eventuali ulteriori novità, anche in previsione della pubblicazione del Regolamento di attuazione.

 

Agcom, raccomandazione sulla corretta rappresentazione dell’immagine della donna nei programmi di informazione e di intrattenimento.

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L’Agcom, con Delibera 442/17/CONS raccomanda ai fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici di garantire l’effettivo rispetto dei diritti fondamentali a tutela degli utenti ed in particolare della dignità della persona e del principio di non discriminazione. In considerazione della delicatezza dell’argomento e del ruolo che l’informazione radiotelevisiva svolge in ordine alla formazione di un’opinione pubblica, si ribadisce la necessità di garantire un’informazione completa, obiettiva, imparziale e pluralistica che faccia emergere in maniera chiara l’oggetto della notizia e la differenza tra fattispecie penalmente rilevanti, come ogni forma di violenza, e quelle penalmente non rilevanti ma comunque inadeguate. In tali ultimi casi l’informazione è chiamata ad uno sforzo di denuncia e di segnalazione critica anche in virtù del moltiplicarsi di episodi gravemente lesivi della dignità umana ma in particolare di quella femminile, salvaguardando le vittime che denunciano abusi con riguardo al diritto di parola e alla garanzia di potersi esprimere in un contesto sereno ed equilibrato.
Si ricorda che l’esercizio del diritto di critica e di cronaca deve essere improntato a
criteri di verità, essenzialità e sobrietà. Giornalisti e conduttori, nel trattare la tematica,
sono chiamati a fornire ai cittadini/utenti informazioni verificate e fondate, anche
esplicitando le fonti così da consentire un’adeguata comprensione della vicenda,
correggendo tempestivamente e accuratamente eventuali errori o inesattezze
intervenuti nella diffusione di notizie e naturalmente assicurando anche la facoltà di
replica.
I fornitori di servizi media audiovisivi e radiofonici sono pertanto invitati ad adottare ogni più
opportuna cautela, in particolare nel corso delle trasmissioni in diretta e, in ogni caso,
a valutare nella predisposizione dell’ordine degli interventi, i possibili rischi di incorrere nel mancato rispetto dei principi richiamati, impegnando direttori, registi, conduttori e giornalisti a porre in essere ogni azione intesa ad evitare dubbi o attacchi sull’attendibilità dell’informazione.

Credito d’imposta investimenti pubblicitari, ecco le direttive del Dipartimento editoria

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Il Dipartimento Informazione Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato i seguenti chiarimenti e anticipazioni del DPCM che sarà emanato nelle prossime settimane sul credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari.
L’articolo 4 del decreto-legge16 ottobre 2017, n. 148 ha stabilito che le risorse destinate a questa misura per il 2018 sono pari a 62,5 milioni di euro, di cui 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per gli investimenti effettuati nel secondo semestre del 2017, più 30 per quelli del 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da effettuare nel 2018 sulle emittenti radiotelevisive. Quindi, solo per il 2017 il credito d’imposta viene riconosciuto esclusivamente per gli investimenti pubblicitari incrementali effettuati su giornali (anche telematici). Gli investimenti devono essere effettuati su testate iscritte presso il competente Tribunale ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 o presso il Registro degli operatori della Comunicazione e che, comunque, individuino la figura del direttore responsabile. Sono esplicitamente escluse le spese sostenute per servizi particolari quali le televendite, i servizi di pronostici o con servizi a sovraprezzo.
Il credito d’imposta viene riconosciuto a favore dei soggetti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie, il cui valore superi di almeno l’uno per cento gli analoghi investimenti effettuati nell’anno precedente per la stessa categoria di mezzi d’informazione. Per categoria si deve intendere il settore dell’editoria (anche telematica) e dell’emittenza radiotelevisiva; in questa prospettiva il credito d’imposta può essere richiesto, anche cumulativamente, per gli investimenti incrementali effettuati in ognuna categoria. Il credito d’imposta è pari al 75 degli investimenti incrementali effettuati elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start-up innovative. Per semplicità di lettura, ricordiamo che ai sensi del decreto del Ministro delle attività produttive 18 aprile 2005 il limite dimensionale massimo, per la categoria delle microimprese, piccole e medio imprese è un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio non superiore a 43 milioni di imprese e meno di 250 occupati.

Qui la nostra circolare sul credito d’imposta per investimenti pubblicitari

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Al riguardo, è importante ricordare che i limiti di spesa sono distinti per gli investimenti sulla stampa e per quelli sulle emittenti radio-televisive, in coerenza con il fatto che gli stessi stanziamenti delle risorse sono stati distinti dalla legge per i due tipi di media. Questo significa che, in presenza di investimenti su entrambi i media, il soggetto richiedente può vedersi riconosciute due diversi di crediti d’imposta, in percentuali differenziate a seconda delle condizioni della ripartizione su ognuna delle due platee di beneficiari.
Nel caso in cui sia accertato che l’ammontare complessivo del credito richiesto non esaurisca le risorse stanziate, tali risorse, secondo il generale funzionamento di tali incentivi, andranno ad incrementare la dotazione finanziaria dell’anno successivo.

3. Investimenti ammissibili
Sono ammissibili al credito d’imposta gli investimenti riferiti all’acquisto di spazi pubblicitari e inserzioni commerciali su giornali quotidiani e periodici, nazionali e locali, ovvero nell’ambito della programmazione di emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali.
In sede di prima attuazione, il beneficio è applicabile anche agli investimenti effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017 sempre con la stessa soglia incrementale riferita all’anno precedente.
ATTENZIONE: l’estensione al secondo semestre del 2017 riguarda tuttavia i soli investimenti effettuati sulla stampa, ed in questo caso sono ammessi anche gli investimenti effettuati sui giornali on-line.
In ogni caso, gli investimenti pubblicitari devono essere effettuati su giornali ed emittenti editi da imprese titolari di testata giornalistica iscritta presso il competente Tribunale, ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, ovvero presso il Registro degli operatori di comunicazione di cui all’articolo 1, comma 6, lettera a), numero 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249, e dotate in ogni caso della figura del direttore responsabile.
Sono escluse dal credito d’imposta le spese sostenute per l’acquisto di spazi destinati a servizi particolari; ad esempio: televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro, di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovraprezzo.
Le spese per l’acquisto di pubblicità sono ammissibili al netto delle spese accessorie, dei costi di intermediazione e di ogni altra spesa diversa dall’acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad esso funzionale o connesso.

4. Limiti e condizioni di ammissibilità
Le spese per gli investimenti si considerano sostenute secondo le regole generali in materia fiscale previste dall’art. 109 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, recante il Testo unico delle imposte sui redditi.
L’effettività del sostenimento delle spese deve poi risultare da apposita attestazione rilasciata dai soggetti legittimati a rilasciare il visto di conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali, ovvero dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti.
ATTENZIONE: qualora il credito d’imposta richiesto sia superiore alla soglia di 150.000 euro, e richieda, pertanto, ai fini della liquidazione, l’accertamento preventivo di regolarità presso la Banca Dati Nazionale Antimafia del Ministero dell’interno, il richiedente potrà beneficiare del credito richiesto a condizione che sia iscritto (o abbia inoltrato alla Prefettura competente la richiesta di iscrizione) agli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’articolo 1, comma 52, della legge 6 novembre 2012, n.190. A questo fine, le attività svolte dai soggetti richiedenti il beneficio si considerano comunque equiparate a quelle indicate dall’articolo 1, comma 53, della stessa legge n. 190.
La soluzione di ricorrere al meccanismo delle “white list” per la fruizione del beneficio, ove
superiore alla soglia dei 150.000 euro, consentirà un decisivo snellimento della procedura di liquidazione, che diversamente sarebbe sottoposta ad una complessa verifica, presso la Banca Dati, di tutti i soggetti coinvolti nella gestione ed amministrazione delle società richiedenti.
Naturalmente, l’Amministrazione effettuerà ogni dovuto controllo sull’esito delle richieste di
iscrizione, come per tutti gli altri requisiti.
Il credito d’imposta è alternativo e non cumulabile, in relazione a medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione prevista da normativa nazionale, regionale o comunitaria.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, tramite il modello F24, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni.

5. Domanda di ammissione al beneficio
I soggetti interessati presentano la domanda di fruizione del beneficio nella forma di una
comunicazione telematica (una “prenotazione”) su apposita piattaforma dell’Agenzia delle Entrate, secondo il modello che ha definito la medesima Agenzia, usufruendo di una “finestra temporale” ampia (potrebbe essere dal 1° marzo al 31 marzo di ciascun anno).
La comunicazione dovrà contenere:
– i dati identificativi dell’azienda (o del lavoratore autonomo);
– il costo complessivo degli investimenti pubblicitari effettuati, o da effettuare, nel corso
dell’anno; ove gli investimenti riguardino sia la stampa che le emittenti radio-televisive, i
costi andranno esposti distintamente per le due tipologia di media;
– il costo complessivo degli investimenti effettuati sugli analoghi media nell’anno precedente; (per “media analoghi” si intendono la stampa, da una parte, e le emittenti radio-televisive dall’altra; non il singolo giornale o la singola emittente);
– l’indicazione dell’incremento degli investimenti su ognuno dei due media, in percentuale ed in valore assoluto;
– l’ammontare del credito d’imposta richiesto per ognuno dei due media;
– dichiarazione sostitutiva di atto notorio, redatta ai sensi degli articoli 46 e 47 del decreto del presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, concernente il possesso del requisito consistente nell’assenza delle condizioni ostative ed interdittive previste dalle disposizioni antimafia ai fini della fruizione di contributi e finanziamenti pubblici.

6. Controlli
L’Agenzia delle Entrate e l’Amministrazione effettueranno i controlli di rispettiva competenza, in ordine all’effettivo possesso dei requisiti che condizionano l’ammissione al beneficio fiscale; ove sia accertata la carenza di taluno dei requisiti, e quindi l’indebita fruizione, totale o parziale, del beneficio, l’Amministrazione provvederà al recupero delle somme con le procedure coattive di legge.

Il governo scivola sulla tassa Airbnb. Per l’Antitrust è tutto da rifare

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La cosiddetta tassa Airbnb, cioè la cedolare secca sugli affitti brevi al 21% introdotta con la manovra bis, «appare potenzialmente idonea ad alterare le dinamiche concorrenziali tra i diversi operatori, con possibili ricadute negative sui consumatori finali dei servizi di locazione breve». Pur riconoscendo che l’obiettivo della norma è «contrastare il fenomeno dell’evasione», l’Autorità Antitrust prende posizione (vedi bollettino antitrust) sul tema in una segnalazione ai presidenti di Camera e Senato, al ministero dell’Economia e all’Agenzia delle Entrate. Secondo l’Agcm, la cedolare secca del 21% sugli affitti brevi, la cosiddetta «tassa Airbnb» (che nel giugno scorso ha fruttato 333 milioni alle casse dello Stato in base ai dati del Tesoro) ha modalità di applicazione che possono «alterare le dinamiche concorrenziali tra gli operatori» perché contemplano l’obbligo per gli intermediari di raccogliere le tasse per conto dei proprietari delle case e di versarli al fisco. Per l’antitrust si tratta di «obblighi non proporzionati» che colpiscono maggiormente gli intermediari che fanno «maggiore ricorso ai sistemi di pagamento digitali», come Airbnb, costretti ad agire da sostituto d’imposta. Airbnb ha sempre contestato la norma (introdotta per contrastare l’evasione fiscale) e ha presentato ricorso al Tar, rifiutandosi per il momento di raccogliere la cedolare.

Bollettino Antitrust

Rassegna Stampa del 28/11/2017

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Indice Articoli

Basta interviste finte in tv, l’ informazione è un dovere

Il Pd consegna la “verità” ai giganti Usa del web

«C’ è il Pd dietro le inchieste del New York Times»

Perché la lotta alle fake news non si può fare con gli slogan

Fake news, il Pd attacca Grillo M5S: Renzi dietro le inchieste

Il web discute della proposta di legge sulle fake news

Diritti del calcio, il via libera al bando slitta a dicembre

I fratelli Koch comprano Time Inc. (per domare i media critici)

Pubblicità, sgravi fiscali al via

Chessidice in viale dell’ Editoria

Time Inc. acquisita da Meredith

Il giornale «L’ Ape Curiosa» e la scuola italiana che sa anche educare al bene

Via al risiko nei media Usa: il Time passa a Meredith

Il colosso americano Time passa di mane: Meredith lo acquista per 2$ miliardi di dollari

Le mani su Time dei fratelli Koch la voce della destra è ancora più forte

Premio Landolfo consegnati riconoscimenti a 13 giornalisti

Basta interviste finte in tv, l’ informazione è un dovere

Il Fatto Quotidiano
Antonio Padellaro
link

Non si scappa. O Fabio Fazio con l’ intervista di domenica sera “a suo piacimento” (di Silvio Berlusconi) ha deciso di giocarsi definitivamente la reputazione. Oppure le sue cosiddette domande erano state gentilmente concordate con il gradito ospite e il suo staff evitando i temi scivolosi (tipo processi e indagini di mafia) e qualsiasi altro argomento che potesse soltanto increspare il cerone dell’ anziano venditore televisivo. Poiché consideriamo Fazio troppo furbo per infliggersi dell’ autolesionismo gratis, propendiamo per la seconda ipotesi. Anche perché fummo tra i primi, vent’ anni or sono, a sperimentare in una indimenticabile (per noi) Tribuna Politica il metodo di convinzione (e dissuasione) preventiva dell’ allora rampantissimo Cavaliere. Mi venne incontro incipriato e festante negli studi di Saxa Rubra giurando che, malgrado una diversa visione dei problemi del Paese, io fossi indubitabilmente uno dei suoi cronisti preferiti. Quindi suadente arrivò al sodo: “Dottore potrei conoscere il contenuto delle domande che intende farmi?”. “Naturalmente no”. Subito il sorriso si afflosciò, perse smalto. Cambiò tattica: se non volevo sottoporgli l’ elenco dei quesiti che almeno gli anticipassi gli argomenti che avrei trattato. “Le chiedo – aggiunse compunto e avvolgente – un gesto di cortesia e correttezza”. Che naturalmente non ci fu anche se giunto sull’ orlo del burrone – i finanziamenti occulti di cui all’ inizio si era giovato il gruppo Fininvest – svicolò e se la diede a gambe con la solita tirata sul pericolo comunista in Italia e sui gulag di imminente apertura. Acqua passata pensavo fino all’ altra sera quando lo spettro di una campagna elettorale televisiva finta, prefabbricata e insopportabile, ci si è parato dinanzi con quella agghiacciante carezza faziesca: “Cosa voleva fare da bambino?”. Il primo istinto è stato: se i talk show vogliono inabissarsi facendosi calpestare da una comunicazione politica attraente come un discorso sul piano quinquennale nella Nord Corea di Kim Jong-un, fatti loro. Poi però non si può dimenticare che in vista di elezioni politiche così incerte come quelle del 2018, i cittadini avrebbero il sacrosanto diritto di farsi un’ idea precisa di coloro che potrebbero votare o avversare. Missione impossibile se le trasmissioni vengono adoperate come spot gratuiti e i giornalisti come cartonati parlanti. Un problema che riguarda soprattutto il servizio pubblico radiotelevisivo. La7, infatti, in qualche modo prospera sulle domande scomode; e in quanto a Mediaset qualcosa ci dice che, per esempio, Di Maio e B. non riceverebbero lo stesso trattamento. Non dubitiamo, ci mancherebbe altro, della professionalità dei conduttori Rai e del loro interesse a difendere audience e qualità del prodotto. Più scarsa fiducia nutriamo nei vertici di Viale Mazzini non proprio impermeabili alle pressioni che giungono dalla macchina propagandistica dei partiti: Forza Italia, Pd ma anche i suscettibili Cinque Stelle. Sappiamo perfettamente che se un conduttore fa troppo lo schizzinoso con le pretese dei leader, costoro sanno di potersi rivolgere alla bottega accanto. Forse è troppo immaginare un patto delle firme Rai contro le domande “sgradite” e gli opinionisti “graditi” dai politici di turno. Anche se l’ alternativa sono le figuracce e la desertificazione degli ascolti.

Il Pd consegna la “verità” ai giganti Usa del web

Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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“Abbiamo una bozza, anche se molto affinata, che conta 8 articoli e ha come riferimento la legge in vigore in Germania. Abbiamo lavorato su quella e poi l’ abbiamo adattata all’ ordinamento italiano”. Rosanna Filippin, parlamentare Pd dell’ area Martina (renziana), è la senatrice che sta mettendo a punto il ddl contro le fake news che i dem presenteranno a giorni. È pressoché impossibile che questo ddl divenga legge entro la legislatura, ma la sua esistenza è grave lo stesso anche per il messaggio che contiene: i grandi social network, che peraltro in Italia sono solo Facebook e Twitter, sono gentilmente invitati a vigilare sulla “verità” online anche prima che intervengano un’ Authority o un magistrato. Una privatizzazione dei limiti del dibattito pubblico assai pericolosa, persino al lordo delle eventuali buone intenzioni. Cosa prevede, infatti, la proposta del Pd? Sostanzialmente di “responsabilizzare”, via sanzioni, Facebook e Twitter: le due aziende dovranno dotarsi di un sistema di recepimento dei reclami per le fake news, un meccanismo di autoregolamentazione interna simile a quello già imposto in Germania (e che non pare aver fermato i cosiddetti “populisti” alle urne). Spiega Filippin: “Il gestore ha l’ obbligo di prendere in carico le segnalazioni di contenuti illeciti e, dopo verifica, se quanto pubblicato è manifestamente illecito, rimuoverlo entro 24 ore. In caso di dubbi inizieranno accertamenti per i quali il gestore ha 7 giorni di tempo prima di procedere”. Se i social non danno seguito alle segnalazioni, ci si può rivolgere al Garante per la privacy per i reati contro la persona, “mentre per i reati contro lo Stato interverrà il sostituto procuratore”. Le sanzioni vanno dai 20 mila euro per la pubblicazione di illeciti contro la persona non rimossi ai 5 milioni di euro in caso di assenza del sistema di autoregolamentazione. In sostanza, i gestori delle piattaforme vengono incentivati a bloccare subito pressoché tutte le pagine “segnalate” per non incorrere nelle sanzioni: il “bloccato” dovrà poi dimostrare, se ci riesce, che non era il caso. Siamo, mutatis mutandis, alla celebre risposta dell’ abate di Cîteaux durante l’ assedio di Béziers, città in cui resistevano gli eretici catari: “Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”. Per una volta dice parole non allineate politicamente il Garante per la privacy, l’ ex deputato Pd Antonello Soro: “Quello che bisogna evitare è da una parte attribuire ai gestori delle piattaforme digitali il ruolo di semaforo, lasciando loro una discrezionalità totale nella individuazione di contenuti lesivi. E dall’ altra evitare di immaginare di attribuire a un algoritmo (un’ idea di Marco Carrai, ndr) il compito di arbitro della verità. Mi sembra davvero in controtendenza non solo rispetto alla storia del diritto, ma anche della cultura democratica e del buon senso”. Curiosamente la proposta del Pd non fa propria neanche quella avanzata da protagonisti della guerra alle fake news come il giornalista Gianni Riotta: “La strada maestra è la trasparenza – ha scritto su La Stampa -. La riforma dell’ editoria obbligò i giornali a render pubblici proprietà e bilanci, ma di troppi siti, a cominciare dal network Casaleggio-Grillo-5Stelle, non conosciamo proprietà, bilanci, introiti pubblicitari, uso dei dati degli utenti”. Legge difficile da scrivere senza “burocratizzare” il web, ma almeno più sensata se si ritiene che ci sia un’ ingerenza russa nelle elezioni dei Paesi occidentali (i quali, se è concesso, ingeriscono anche loro). Quanti voti pesi la propaganda russa – e in generale quanti ne spostino le fake news – è però domanda senza risposta. Si rischia, cioè, di manomettere il dibattito pubblico per proteggerlo da un pericolo che forse non esiste.

«C’ è il Pd dietro le inchieste del New York Times»

Libero

link

Il M5S passa al contrattacco nella battaglia sulle fake news. L’ accusa rivolta da Renzi dal palco della Leopolda «è priva di ogni logica», la replica dal blog di Grillo. Per i pentastellati l’ inchiesta condotta dal New York Times e da BuzzFeed «è una bufala». Di più: «Una fake news sulle fake news». Non solo. Il post M5S individua anche il responsabile della fake news: entrambi i pezzi, si legge, «nascono da una ricerca condotta da un giovane esperto informatico» vicino a Marco Carrai, «braccio destro di Renzi». Per Carrai, però, è solo un’ altra «fake news».

Perché la lotta alle fake news non si può fare con gli slogan

Avvenire
di Gigio Rancilio
link

Ci sono parole che diventano di moda. All’ improvviso irrompono nel nostro quotidiano. Tutti ne parlano, tutti le usano. Sembra quasi non esista altro. E più toccano o definiscono temi importanti e più (a volte) finiscono per essere travolte e stravolte da polemiche, urla, attacchi e contrattacchi, informazione e disinformazione. Un mare di parole che le snatura e le banalizza, finendo per spostare l’ attenzione dal vero problema. Prendete le «fake news». Nel giro di poche ore sono diventate il tema principe dello scontro politico. Tutti i politici chiedono che vengano arginate in vista delle elezioni. E già che ci sono, accusano l’ avversario di avere costruito e di costruire «fake news». Peccato che ormai il termine «fake news» (letteralmente: notizie false) venga usato spesso a sproposito (anche da loro). Secondo Melissa Zimdars, docente di comunicazione al Merrimack College e promotrice del progetto OpenSources, che studia il fenomeno, «il termine sta a indicare quelle fonti che inventano del tutto le informazioni, disseminano contenuti ingannevoli, distorcono in maniera esagerata notizie vere». I l termine non c’ entra nulla né con la satira né con gli errori (non voluti) di chi fa informazione. E non sono «fake news» gli articoli che trattano argomenti che non piacciono a questa o quella parte politica (cosa che né Trump né Grillo hanno capito, visto che accusano chi li critica di produrre «fake news»). Ormai, ogni imprecisione, ogni informazione sgradita viene bollata come una «fake news». Come un virus da debellare. Come una piaga da curare con ogni mezzo. Tutti noi vorremmo vivere in un mondo «sano», senza «notizie false» e dove non esistono persone e organizzazioni che fabbricano «fake news» per screditare l’ avversario o anche solo per arricchirsi. Ma siccome non vogliamo fare troppi sforzi per crearlo, vorremmo sistemi informatici capaci di fermare tutto questo o anche solo norme punitive per i social, come quelle appena approvate in Germania. È vero: sui social c’ è di tutto. E spesso ci sono «fake news». Nessuno viene risparmiato. Nemmeno il Papa. Pochi giorni fa è apparsa su Facebook la notizia che Francesco avrebbe detto: «A Natale non bisogna ostentare i simboli cristiani, offendono i nostri fratelli mussulmani». Una «fake news», commentata seriamente da oltre 3mila persone e condivisa circa 3.500 volte. Il tutto per portare traffico e soldi a un sito di disinformazione, gestito da un aspirante politico udinese (vicino a Forza Nuova) che si era candidato al Consiglio comunale di Udine. M a i social non sono l’ unico problema. Tra le dieci peggiori «fake news» costruite in Italia contro la presidente della Camera Laura Boldrini, la maggior parte (come da suo video-denuncia) sono tratte da articoli di quotidiani. A peggiorare il tutto, c’ è il fatto che il «virus» non è solo italiano, ma mondiale. Secondo il rapporto Freedom on the Net, sulla libertà nella Rete, «la manipolazione e la disinformazione online, nell’ ultimo anno, hanno avuto un ruolo importante nelle elezioni di almeno 18 Nazioni, inclusi gli Stati Uniti». Sono invece oltre 30 le Nazioni che negli ultimi 12 mesi hanno utilizzato siti di «fake news», «agitatori d’ opinione» o mezzi informatici (come Bot e Botnet, capaci tra l’ altro di simulare consensi attraverso falsi profili di utenti) per inquinare il dibattito politico. Nelle Filippine sono state «arruolate» migliaia di persone per difendere e lodare sui social il presidente Rodrigo Duterte. In Turchia 6.000 «troll» sono stati impiegati dal partito AK per manipolare le discussioni online prima delle elezioni. In Francia durante il periodo elettorale sono stati scoperti e rimossi 30.000 account falsi aperti su Facebook. In Messico invece sono stati usati per manipolare le elezioni 75.000 profili falsi su Twitter. In Tailandia ben 120mila studenti sono stati utilizzati per monitorare e segnalare comportamenti online antigovernativi. Per non parlare della Russia che, secondo Freedom on the Net, impiega 400mila dollari al mese per manipolare la Rete. Il problema quindi va ben aldilà di quelle che vengono definite (spesso in maniera impropria) «fake news». Non a caso un recente rapporto sul tema, pubblicato dal Consiglio d’ Europa, non parla di «fake news» ma di «information disorder». La definizione è più lunga e meno affascinante di «fake news», ma molto più corretta: «inquinamento dell’ informazione». I l tema della verità in una società bombardata ogni minuto da una quantità tale di informazioni contrastanti da rischiare di mandarla in tilt è infatti uno dei nodi più importanti del nostro tempo. Perché un’ informazione costantemente inquinata (da bugie, mistificazioni, calunnie, aggressioni, mezze verità, depistaggi eccetera) non fa male solo a chi la riceve ma anche a chi la fa (erodendone pesantemente la credibilità). Col risultato che tutto può essere vero o falso, a seconda di quanto ci faccia comodo crederlo. Da noi, solo nelle ultime ore, il Pd ha accusato il Movimento 5 Stelle di creare «fake news» contro Renzi e compagnia, mentre Grillo e tutti i grillini hanno accusato il Pd di avere prodotto «fake news» contro di loro, con la complicità del ‘New York Times’ e del sito americano ‘Buzz Feed’. Con l’ inevitabile risultato di moltiplicare la confusione generale sull’ argomento. A vanti di questo passo in Italia la delicata e importantissima questione delle «fake news» diventerà così stucchevole da trasformarsi a sua volta in una «notizia falsa», in una «parola di moda». Qualcosa di cui tutti parlano ma che finisce con il non avere quasi più sostanza. Per questo la questione «fake news» non va lasciata a una politica fatta di insulti, frasi a effetto e promesse impossibili. Se abbiamo a cuore la verità, dobbiamo incominciare davvero a servirla. Ammettendo, per esempio, che non ci sono i tempi tecnici per dibattere e approvare in tempo una legge minimamente decente contro le «fake news». Oltretutto bisogna fare molta attenzione a invocare uno «sceriffo della verità» (anche solo sul web). In una società dove già oggi sono gli algoritmi progettati da società private a decidere gran parte di ciò che leggiamo (e che sappiamo), affidare il potere di decidere cosa sia bene e male a singoli soggetti, rischia di farci scivolare verso territori pericolosissimi, dove sicuramente a vincere non saranno né la verità né la democrazia. RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fake news, il Pd attacca Grillo M5S: Renzi dietro le inchieste

Il Mattino
Paolo Mainiero
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Non è una fake news: Pd e M5s litigano davvero sulle false notizie, sulla paternità delle bufale che Matteo Renzi attribuisce a Beppe Grillo. Anzi, a Beppe Grillo e Matteo Salvini. «Abbiamo sgamato Lega e M5s. Usano gli stessi codici, le stesse infrastrutture della rete. Ogni quindici giorni presenteremo un rapporto sulle schifezze in rete», ha detto Matteo Renzi alla Leopolda. Contro le fake news il segretario del Pd ha lanciato una vera e propria crociata. E lo ha fatto partendo da due inchieste pubblicate da Buzzfeed e New York Times dalle quali è emerso che l’ account Facebook di dirigenti della Lega e di eletti o militanti di M5s condividono gli stessi codici di trascinamento della pubblicità. «Davanti alle prove del New York Times, il blog di Beppe Grillo ha reagito con il consueto stile gridando al complotto, ovviamente complotto degli amici di Renzi. Stanno messi male, non c’ è dubbio», incalza il leader del Pd. Ma cinque stelle e Lega non ci stanno. Il M5s reagisce duramente alle accuse piovute dal Pd. «È una follia ritenerci coinvolti», si legge nel blog di Beppe Grillo. «L’ inchiesta sulle fake news è una bufala. Si parla di siti web sensazionalistici, a sostegno di una o l’ altra forza politica, che riporterebbero i medesimi codici di Analytics e di Adsense. E non ci vuole un genio a capire che questi siti nascono spontaneamente», è scritto nel post. «Sul web ognuno, anche per mero scopo di guadagno attraverso la pubblicità, chiuso nella sua stanza può scegliere di aprire più di una piattaforma e pubblicare quel che vuole. Ma ciò non significa che ci debba essere un coinvolgimento della forza politica di riferimento». E ancora: «Se sono un tifoso di calcio e apro una pagina in cui diffondo notizie false sul Torino non significa che io sia a libro paga della Juventus. È una follia solo pensarlo. Speriamo di esserci spiegati. E speriamo che il New York Times e Buzzfeed tornino finalmente ad occuparsi di vero giornalismo». Poi, l’ accusa diretta a Renzi: «Le due inchieste – scrive il blog – arrivano alla vigilia della Leopolda, quest’ anno dedicata proprio alle fake news. Entrambi i pezzi, apparentemente indipendenti, nascono però da una ricerca condotta da un tecnico del web non strettamente indipendente, Andrea Stroppa, che di fatto viene citato nei due articoli». I cinque stelle accusano Stroppa di essere «arruolato nella Cys4, la società di sicurezza presieduta da Marco Carrai», «braccio destro di Renzi e sostenitore delle sue campagne elettorali». Ma lo stesso Carrai chiarisce la sua posizione: «Non c’ entro niente con l’ inchiesta del New York Times, questo è un esempio di fake news. Stroppa lo conosco e per un periodo ha collaborato con una mia società. Chiunque può andare al registro delle Camere di commercio e vedere che non ho mai avuto società con lui». Stroppa, dal canto suo, nega di essere un «Carrai boys». Il Pd non arretra. «La Lega e i cinque stelle devono dare spiegazioni sulle connessioni tra i loro siti – dice il presidente Matteo Orfini – l’ internet inquinato dalle bufale è un problema per la democrazia». Andrea Marcucci aggiunge: «Ai precisi riscontri di Nyt e Buzzfeed sulla fake news in Italia, il M5s risponde che sono servizi ordinati da Matteo Renzi. Ovviamente nulla da dire su decine di profili, legati a cinque stelle e Lega, che inondano la rete di false notizie e che condividono i medesimi codici». Ribatte ai grillini anche Michele Anzaldi. «È un dato di fatto che queste fake news influenzino la campagna elettorale – sostiene il segretario della commissione di vigilanza Rai -. Chi dice che l’ inchiesta del Nyt parte da Renzi, spero sia in buona fede. Altrimenti è da denuncia. Il problema è: è vero non è vero che queste fake news loro le producono e le incoraggiano? La Casaleggio Associati è la più brava sui sociali, è avanti rispetto a noi. Adesso siamo riusciti a capire cosa fanno». Il Pd, intanto, nei prossimi giorni presenterà una proposta di legge in Senato per obbligare i social network a dotarsi di un meccanismo di autoregolamentazione interno come avviene in Germania. Le sanzioni previste per i social vanno dai 20 mila euro per la pubblicazione di illeciti contro la persona. Mentre, i social che non si dotano del sistema di autoregolamentazione, rischiano dai 500 mila ai 5 milioni di euro. Anche la Lega, come il M5s, respinge le accuse. «Renzi – commenta Matteo Salvini – ha speso 400mila euro per andare in giro in treno. Si vede che ci sono le banche che gli fanno credito. Noi non abbiamo mai incassato un euro dalla pubblicità. Provo a usare Facebook e social per avere un minimo di voce, per contrastare il Tg1 e il Tg5 e le bufale di regime». Dal M5s interviene Luigi Di Maio. «Anche su Roma mettono in giro notizie false. La verità è che la qualità della vita è migliorata come dimostra lo studio dell’ università la Sapienza», dice il candidato premier del movimento. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il web discute della proposta di legge sulle fake news

Corriere della Sera

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Politici contro le notizie false. La deputata Nunzia De Girolamo, con altri 30 firmatari, ha depositato una proposta di legge per multare chi diffonde fake news : i siti e i portali che non cancellano le notizie che i tribunali dicono essere false o non censurano contenuti che incitano all’ odio potrebbero essere passibili di sanzioni fino a 5 milioni di euro. In Germania , ad ottobre, è stata approvata una norma simile, detta legge Facebook , che punisce i diffamatori con multe fino a 50 milioni di euro. Che ne pensate? Scrivetecelo sui social #BuoneNotizie.

Diritti del calcio, il via libera al bando slitta a dicembre

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Assemblea interlocutoria ieri a Milano per la Lega di Serie A. L’ advisor Infront ha ormai definito i cinque pacchetti e il contenuto economico del bando, ma i presidenti, impegnati sul tema caldo della governance, hanno scelto di rimandare. Nella settimana del 18 dicembre sarà convocata una nuova assemblea per approvarlo in modo da avere al massimo per la metà di gennaio l’ assegnazione. La deadline è stata raccomandata da Infront perché qualora le offerte non dovessero essere ritenute soddisfacenti e si volesse procedere con il progetto del canale della Lega, spingersi oltre il 15 gennaio 2018 non permetterebbe di allestire una impalcatura tecnologicamente adeguata. A quanto Il Sole 24 Ore ha potuto ricostruire, la composizione dei pacchetti ne prevede 3 per piattaforma (digitale terrestre, satellitare e Ott) e due per prodotto. La prima novità consiste nel fatto che per i nuovi entranti che sfrutteranno la piattaforma web il pacchetto sarà unico con le partite di 8 squadre (4 della fascia “grandi”, 3 club “medi” e 1 fra i “piccoli”). Nel precedente bando l’ offerta Ott era doppia con pacchetti da 4 squadre l’ uno. Anche per digitale terrestre e satellitare il pacchetto graviterà sulle medesime 8 squadre (la scelta dei club sarà unica per tutti e tre i pacchetti e a decidere le fasce è Infront), per un totale di 248 match. I due pacchetti per prodotto – D1 e D2 – avranno 132 partite esclusive. E quindi per avere tutta l’ offerta un player, che si tratti di piattaforma satellitare (leggi Sky), terrestre (Mediaset Premium) o di Ott (da Timvision a Facebook ad Amazon) dovrà conquistare entrambi i pacchetti oltre al principale. Se ne riparlerà. A spingere per il rinvio è stato in particolare il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, anche perché sul fronte diritti tv c’ è in cantiere la riforma della legge Melandri inserita nel disegno di legge di Bilancio. L’ assemblea di ieri si è in ogni caso concentrata soprattutto sulla scelta del nuovo amministratore delegato e del presidente della Lega commissariata fino al prossimo 11 dicembre (il commissario è l’ ex presidente della Figc Carlo Tavecchio). Il timing è fondamentale per scongiurare la discesa in campo del Coni, come ha ribadito ieri il suo numero uno, Giovanni Malagò: «Se riescono a trovare le giuste risposte alla rappresentanza della Lega va bene. In caso contrario bisognerà fare delle valutazioni che sono non di volontà, ma di dovere». Il generale della Finanza Ugo Marchetti e Giuseppe Vegas, fino al 15 dicembre alla guida della Consob, sono i nomi che ora si fanno per la presidenza. Gran parte dei club vorrebbero evitare una “supplenza” del Coni e decidere autonomamente le modalità di rifondazione del calcio italiano. Lo ha chiarito bene il presidente del Torino Urbano Cairo che guida il fronte “riformista” che include fra gli altri Juventus, Napoli, Inter e Torino. «La Serie A – ha sottolineato il patron granata – deve avere una maggiore voce in capitolo come in Inghilterra e anche in Spagna dove la Liga ha una percentuale di voti molto maggiore». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I fratelli Koch comprano Time Inc. (per domare i media critici)

Corriere della Sera
dal nostro corrispondente a Washington Giuseppe Sarcina
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La rivista Time, pezzo pregiato dell’ editoria liberal americana, circa due milioni di copie vendute solo negli Stati Uniti, passa al gruppo nazional-popolare Meredith, base a Des Moines, in Iowa. Il Midwest conservatore, dunque, si mescola al nerbo progressista di Manhattan. Domenica 26 novembre, il vertice di Time Inc. ha accettato l’ offerta di 1,8 miliardi di dollari. In contanti. Un terzo dei soldi, circa 650 milioni di dollari, arrivano dal «Koch Equity Development», il fondo di investimento che fa capo ai fratelli Charles e David Koch. Ricchi petrolieri del Kansas, molto attivi in politica: sono gli sponsor più generosi del partito repubblicano, anche se per tutto il 2016 hanno cercato di ostacolare la candidatura di Donald Trump. La chiave di lettura più semplice è che il blocco conservatore economico-finanziario si stia muovendo con l’ obiettivo di addomesticare le voci più critiche tra i media, ma solo in modo compatibile con la logica degli affari. In questo quadro vanno inserite le indiscrezioni ricorrenti sui piani di Rupert Murdoch: amico di Trump, starebbe cercando di cedere il ramo video e intrattenimento di «Fox» per concentrarsi su news e sport. E per poi tentare l’ assalto alla tv più ruvida con «The Donald», la Cnn , oggi nel portafoglio di Time Warner. Ma pure la spinta del mercato è forte. Rich Battista, il direttore esecutivo di Time Inc., descrive la fusione con Meredith come «una grande trasformazione strategica». In realtà il suo piano di rilancio, messo a punto con l’ amministratore delegato Jen Wong, non ha dato i risultati sperati, soprattutto sul versante digital. Nell’ ultimo trimestre i ricavi di Time Inc. che pubblica anche Fortune , People e Sport Illustrated , sono diminuiti del 9%; gli incassi pubblicitari del 12%. Tom Harty, presidente e amministratore delegato di Meredith, insiste sui contenuti industriali: economie di scala, con tagli pesanti e ristrutturazioni per 400 milioni di dollari, più appetibilità per gli inserzionisti. La politica ricompare in questa precisazione: «I fratelli Koch non entreranno nel board di Time e non avranno influenza sulla linea editoriale di Meredith». Ma non ce ne sarà bisogno: «l’ influenza» dei fratelli Koch si sviluppa anche senza poltrone o incarichi ufficiali.

Pubblicità, sgravi fiscali al via

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Pronta la procedura operativa per richiedere gli sgravi fiscali sugli investimenti pubblicitari incrementali, pianificati su stampa ed emittenza radio-televisiva locale. Le indicazioni sono riunite in un documento pubblicato sul sito del Dipartimento dell’ informazione e dell’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri (presidenza.governo.it/die/), che anticipa i contenuti del prossimo decreto della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) in materia. Obiettivo: rassicurare il mercato degli inserzionisti indicando, fin da ora, quando concretamente si potranno richiedere le agevolazioni fiscali, ossia dal 1° marzo al 31 marzo del 2018 (e poi a seguire nello stesso intervallo di tempo per ogni anno successivo). Arriva anche la conferma sulla ripartizione di tutte le risorse disponibili (e già annunciate per un totale di 62,5 milioni di euro). Infatti, i costi sostenuti per promuoversi sulla stampa nel secondo semestre 2017 e nel 2018 e quelli per farlo su radio e tv locali, nel solo 2018, andranno dichiarati separatamente. In particolare, sono stati previsti 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (di cui 20 mln per gli investimenti effettuati nel secondo semestre del 2017 e 30 mln per quelli da effettuare nel 2018) mentre i rimanenti 12,5 milioni sono stati riservati alle spese che verranno sostenute l’ anno prossimo sulle emittenti radio-televisive (analogiche o digitali). Era già stato reso noto che sia aziende sia liberi professionisti possono richiedere sgravi pari al 75% (90% in caso di pmi) sulla quota incrementale (almeno l’ 1%) dei loro investimenti pubblicitari sui due media (ex decreto legge 50 del 24 aprile 2017, convertito con modificazioni dalla legge 96 del 21 giugno 2017). Ma va ricordato che la normativa definitiva su queste agevolazioni non è ancora completa: nei prossimi giorni, e comunque prima del prossimo 15 dicembre, verrà approvato il decreto legge 148 del 16 ottobre 2017 che include sia lo stanziamento dei 62,5 milioni di euro sia l’ ampliamento della platea degli inserzionisti beneficiari degli sgravi a enti e organizzazioni non commerciali, per esempio del Terzo settore, e ancora introduce definitivamente i giornali online tra i media della stampa su cui poter investire e dopo richiedere l’ agevolazione fiscale. Al momento la copertura finanziaria degli sgravi copre il secondo semestre 2017 e il 2018, ma l’ iniziativa dell’ esecutivo è strutturale, valida anche per gli anni a seguire. Nel dettaglio, quindi, ecco chi e come potrà avvalersene: Chi può richiedere il credito d’ imposta? I soggetti titolari di reddito d’ impresa (aziende) o di lavoro autonomo (liberi professionisti) che hanno effettuato investimenti in campagne pubblicitarie superiori di almeno l’ 1% agli investimenti pianificati sugli stessi mezzi di informazione (stampa ed emittenza locale) nell’ anno precedente (gli ultimi 6 mesi di quest’ anno rispetto al secondo semestre 2016 oppure il 2018 sul 2017). Sono ricompresi sia le associazioni non-profit sia gli inserzionisti che per la prima volta investono su quotidiani o periodici locali o nazionali oppure su radio e tv locali. Quanto si può avere indietro? Il credito d’ imposta si può ottenere solo in compensazione, tramite il modello F24, ed è pari al 75% del valore incrementale speso (quindi calcolato a partire dall’ 1% in più. Se si spende lo 0,9% in più, rispetto al precedente periodo, non si può avanzare alcuna pretesa). Le pmi ma anche le microimprese e le start-up innovative possono richiedere uno sgravio al 90% (per capire se si rientra nelle singole definizioni di pmi, microimprese o start-up, vedere la raccomandazione n.2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003, il decreto del ministro delle attività produttive 18 aprile 2005, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 238 del 12 ottobre 2005 e l’ articolo 25 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221). Non ci sono tetti al rialzo degli investimenti. Ogni agevolazione richiesta che va oltre i 150 mila euro, però, deve superare l’ accertamento preventivo di regolarità presso la Banca dati nazionale antimafia del ministero dell’ interno. L’ esito sarà positivo solo se chi ha avanzato la richiesta per lo sgravio è iscritto (o ha inoltrato alla prefettura competente la domanda di iscrizione) agli elenchi dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa. Come ha chiarito lo stesso esecutivo, ricorrere al cosiddetto meccanismo delle «white list» serve a velocizzare il riconoscimento del diritto e la liquidazione della somma, piuttosto che obbligare la Banca dati a controllare via via i dettagli di tutte le richieste. Non è cumulabile l’ agevolazione fiscale sugli investimenti incrementali pubblicitari con ogni altra misura analoga. Aver investito negli spazi pubblicitari di televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse che prevedono vincite di denaro, servizi di messaggeria vocale o chat-line con servizi a sovraprezzo non permette di presentare alcuna richiesta di facilitazione fiscale. L’ agevolazione dev’ essere al netto delle spese accessorie, dei costi di intermediazione e di ogni altra spesa diversa dall’ acquisto dello spazio pubblicitario in sé per sé (anche se ad esso funzionale o connesso, hanno precisato dal governo). Se i 62,5 milioni non basteranno per soddisfare tutte le somme richieste, allora si ripartirà la disponibilità totale secondo percentuale. La somma compensata potrà essere inferiore a quella richiesta. Se i 62,5 milioni saranno sufficienti, la quota residua confluirà nella dotazione dell’ anno successivo. A chi e come inoltrare la richiesta? Bisogna compilare il modello online predisposto dall’ Agenzia delle entrate e inviarlo nel periodo a oggi indicato tra il 1° marzo e il 31 marzo prossimo. Il modulo deve contenere i dati identificativi dell’ azienda o del libero professionista inserzionista, il costo complessivo degli investimenti nell’ anno precedente su media analoghi, l’ indicazione dell’ incremento degli investimenti su ognuno dei due media (in percentuale e in valore assoluto) e l’ ammontare del credito d’ imposta richiesto per ognuno dei due media e ancora la dichiarazione sostitutiva di non ricadere nelle condizioni ostative e interdittive previste dalle disposizioni antimafia. Chi investe sia su stampa sia sull’ emittenza locale deve indicare separatamente i costi sostenuti, perché appartengono a capitoli di spesa pubblica differenti con possibili meccanismi di ripartizione percentuale diversi. Ogni richiedente potrà vedersi riconosciuti anche due distinti crediti d’ imposta. Chi ha investito un anno su alcuni quotidiani e su altri l’ anno successivo non è tenuto a specificare nessuna distinzione, trattandosi sempre di pubblicazioni della categoria stampa (così pure per lo spostamento di spesa da una tv locale all’ altra, per esempio). Controlli sui requisiti saranno eseguiti sia dall’ Agenzia delle entrate sia dalla presidenza del consiglio dei ministri e dai ministeri competenti, tra cui quello dello sviluppo economico. In caso venga accertato che manca un dato requisito, successivamente all’ erogazione dello sgravio, si provvederà al recupero tramite le procedure coattive previste dalla legge, hanno concluso dall’ esecutivo. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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La7, Non è l’ arena di Giletti al 6,44%. Il programma domenicale di Massimo Giletti su La7 ha conquistato il 6,44% di share, 1.387.730 telespettatori medi e 7.269.903 contatti. Il programma, in crescita rispetto alla settimana scorsa, ha ottenuto picchi dell’ 8,66% e 1.892.742 telespettatori. La7 con il 6,07% di share in prime time (20.30 – 22.30) è stata la quarta rete superando Italia1, Rai 3 e Rete4 ferme rispettivamente al 5,84%, al 4,64% e al 2,61%. La Gazzetta con due volumi su Federer e Nadal. Una delle più grandiose rivalità sportive arriva in edicola con la Gazzetta dello Sport. Domani il primo volume Federer vs Nadal, La Sfida Infinita a 9,99 euro oltre al prezzo del quotidiano. Il secondo volume sarà in edicola mercoledì 6 dicembre. Style Magazine presenta Style Watch. Il numero annuale da collezione dedicato al mondo dell’ orologeria è in edicola domani con il Corriere della Sera. Tre libri firmati Sale&Pepe e Cucina Moderna. Sale&Pepe, il brand del gruppo Mondadori, presenta per la prima volta le proprie ricette anche in due libri: La bibbia delle ricette vegane (Sperling & Kupfer) e Italia dei sapori. Da nord a sud, il meglio della nostra cucina secondo Sale&Pepe (Mondadori Electa). Anche Cucina Moderna è in libreria con Chef in 24 ore. Scuola di cucina per imparare tutte le tecniche, le basi e i trucchi per ricette di successo (Sperling & Kupfer). Giacomelli: la privatizzazione della Rai non è nell’ agenda del governo. «La privatizzazione Rai è un’ opinione personale del ministro Carlo Calenda, opinione che peraltro conoscevo già, ma questo non mi sembra sia un punto del programma di governo. Anche perché il lavoro che stiamo facendo su Rai è esattamente quello di riformare e rinnovare il servizio pubblico perché di questo c’ è bisogno». Lo ha ribadito il sottosegretario del Mise Antonello Giacomelli, a margine dell’ evento di presentazione del francobollo per i 60 anni di Carosello, rispondendo alla domanda dei cronisti sull’ ipotesi di privatizzare la Rai. «Tra l’ altro più in generale», ha concluso Giacomelli, «io non sono affatto favorevole alle privatizzazioni degli asset strategici del paese. Ho già espresso questa opinione quando si è parlato di Poste posso dirlo senz’ altro per Rai, l’ avrei detto se fossi stato in questo ruolo vent’ anni fa per Telecom, perché in questo momento non ho memoria di privatizzazioni che hanno portato a grandi e inaspettati sviluppi per il Paese. Solitamente o c’ è stato bisogno dell’ intervento economico dello stato o come Carlo Calenda ricorda del golden power per limitare i danni di una privatizzazione». Notorious Pictures: Alice Panada è il nuovo direttore marketing Theatrical. Notorious Pictures, società quotata attiva nella produzione, acquisizione e commercializzazione dei diritti di film ha annunciato il rafforzamento della divisione Theatrical con l’ ingresso del nuovo direttore marketing, Alice Panada, con esperienza pluriennale conseguita in primarie realtà del settore quali Koch Media e The Walt Disney Company. Lucisano Media Group, accordo con M2 Pictures per la distribuzione di 4 titoli. Lucisano Media Group e M2 Pictures hanno siglato un nuovo accordo per la co-distribuzione di 4 titoli che usciranno in sala tra il 2018 e il 2019. Si tratta di Hotel Mumbai, thriller/drama diretto da Anthony Maras, Escape Plan 2 e 3, sequel del fortunato action/thriller con Sylvester Stallone; Hurricaine Heist, action catastrofico diretto dal regista di The Fast and the Furious e XXX Rob Cohen.

Time Inc. acquisita da Meredith

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Time Inc., la casa editrice dell’ omonimo settimanale e di altri famosi magazine come Sports illustrated e People, è stata acquisita dalla Meredith Corporation, altro editore storico americano anche se proprietario di testate meno quotate delle precedenti, da Family Circle a Better Homes and Gardens, oltre che proprietario di una catena di tv locali. Time è stata valutata 2,8 miliardi di dollari (2,34 miliardi di euro), debito compreso, e sarà pagata in contanti agli azionisti in un’ operazione che si dovrebbe concludere entro il primo trimestre del prossimo anno. Della possibile acquisizione la stampa americana aveva già parlato nei giorni scorsi e già aveva dato risalto al nome di chi l’ ha cofinanziata: Charles e David Koch, finanzieri di area conservatrice che sono intervenuti con 650 milioni di dollari attraverso uno dei propri fondi. I fratelli Koch sono noti per contribuire attivamente alla causa dei conservatori con finanziamenti a organizzazioni non profit e università. Per questo nel comunicato di Meredith si chiarisce subito che il fondo Koch Equity Development non avrà posti nel nuovo board così come non avrà influenza sulle scelte editoriali. Koch a parte, però, si tratta di un’ operazione di grande rilievo per il settore, americano ma non solo. Meredith ha iniziato ben prima la sua avventura editoriale, nel 1902, mentre Time è nata nel 1922. Ma è quest’ ultima ad aver lasciato il segno in campo politico e nella società con il suo settimanale di punta e con le altre testate. Non è riuscita però a tenere il timone in questi anni di crisi dell’ editoria. Nell’ ultimo trimestre ha registrato ricavi in calo del 9,5% a 679 milioni di dollari (568 milioni di euro), una cifra ancora inferiore alle attese degli analisti, con la pubblicità a -12,5%. Il ceo Joseph A Ripp dal 2013 in poi ha portato avanti varie iniziative per risollevare le sorti della società, puntando ovviamente sul digitale e cercando di vendere online anche servizi e prodotti collaterali, come le assicurazioni o cibo e vino. Quest’ anno ha tagliato i costi di 400 milioni di dollari. Nell’ ultimo trimestre, il primo del nuovo anno fiscale, Meredith ha invece fatturato 393 milioni di dollari (329 milioni di euro), contro i 400 milioni precedenti, appena l’ 1,7% in meno a causa di una quindicina di milioni di pubblicità per le presidenziali americane che quest’ anno non c’ è. Il punto di forza di Meredith è stata proprio la diversificazione. Oltre ad avere i mensili dedicati alla famiglia e alla casa con le properties digitali collegate, possiede infatti 17 tv locali (affiliate ai maggiori network Usa) che in questi anni hanno garantito ricavi sempre in crescita. Con il nuovo assetto Meredith è sicura di ottenere risparmi per 400/500 milioni nei prossimi due anni. Una diversificazione che ora si arricchisce ulteriormente. «Stiamo creando una primaria società media che servirà quasi 200 milioni di consumatori americani in piattaforme digitali, televisive, cartacee, video, mobile e social leader del settore e con un posizionamento in crescita», ha dichiarato con una nota Stephen M. Lacy, presidente e ceo di Meredith Corporation. «Stiamo aggiungendo le ricche capacità di creazione di contenuti di alcuni dei marchi nazionali più forti del settore dei media a un potente business televisivo locale che sta generando utili record, offrendo agli inserzionisti e ai marketer una reach senza precedenti sugli adulti americani. E stiamo anche creando un potente business digitale, con 170 milioni di visitatori unici al mese negli Stati Uniti e oltre 10 miliardi di visualizzazioni video annuali: miglioreremo la posizione di leadership di Meredith nel raggiungere i millennial». © Riproduzione riservata.

Il giornale «L’ Ape Curiosa» e la scuola italiana che sa anche educare al bene

Corriere della Sera

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Gentile Elisabetta Soglio, leggiamo con curiosità il vostro giornale Buone Notizie, ogni martedì, da quando è uscito a settembre. Nel leggere il primo numero siamo stati colti da una piacevole sorpresa. Abbiamo scoperto che esiste un giornale a tiratura nazionale che pubblica solo buone notizie, proprio come quello che noi facciamo, da aprile, in piccolo, con la nostra classe. Infatti, nell’ editoriale della nostra testata “L’ Ape curiosa” scrivevamo così: «L’ idea di fare un giornalino nasce dalla lettura di quotidiani nazionali: “La Repubblica”, “Corriere della Sera”, “Avvenire” e “Popotus”. Così abbiamo deciso anche noi di scriverne uno, ma anziché pubblicare notizie di cronaca nera (omicidi, guerre, attentati), vogliamo diffondere solo notizie belle, che parlano di pace, d’ incontro tra le culture diverse, di tradizioni, di storie personali, di animali, di poesia, sapendo che è possibile essere migliori per se stessi, per gli altri e per il mondo». Sarete i nostri compagni di viaggio per tutta la scuola primaria e anche oltre. I bambini e le bambine della classe 4a A della scuola primaria di San Michele Salentino (BR) Cari amici e «colleghi», grazie lo diciamo noi! Siamo contenti di sapere che nel nostro Paese esistono scuole, come la vostra, dove si impara anche a comunicare buone pratiche e belle storie; che esistono insegnanti, come il vostro maestro Mimino, attenti a crescervi come persone, non solo come alunni. E se Buone Notizie può far parte del vostro cammino, noi siamo felici e davvero orgogliosi. Se venite a Milano, vi aspettiamo al Corriere. Vi mando, con la mia redazione, un grande abbraccio.

Via al risiko nei media Usa: il Time passa a Meredith

Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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new york Il riassetto dei media americani, che di recente ha visto entrare in gioco anche la possibile spartizione di colossi del calibro di 21st Century Fox, decolla con un marchio di minori dimensioni ma di enorme prestigio. Passa di mano Time Inc., editore dell’ omonima rivista oltre che di Fortune e del popolare Sports Illustrated. Viene rilevata da Meredith, società di pubblicazioni specializzate in lifestyle e di reti di tv locali, per 1,84 miliardi di dollari, una cifra che lievita a 2,8 miliardi con assunzione del debito. Un’ operazione, soprattutto, resa possibile e finanziata dall’ entrata in campo dei controversi fratelli miliardari Koch, paladini di cause ultraconservatrici. Le dimensioni dei due gruppi alla vigilia del deal era pressoché identico, rendendo indispensabile per Meredith assicurarsi un robusto sostegno finanziario. L’ acquisizione, in contanti per 18,5 dollari per azione, vedrà il braccio di private equity di Charles e David Koch, il Koch Equity Development (parte dell’ impero industriale Koch Industries) investire 650 milioni. Meredith ha tuttavia precisato che i fratelli non avranno rappresentanti nel consiglio di amministrazione, né voce in capitolo in future scelte editoriali. Quel che è certo, pero, è che il nuovo gruppo avrà un vasto raggio d’ azione nazionale su molteplici fronti. Vanterà entrate complessive pari a 4,8 miliardi di dollari e le sue testate avranno nell’ insieme 135 milioni di lettori e vanteranno 60 milioni di copie vendute. Sulla frontiera digitale, gli utenti mensili unici saranno 170 milioni i video 10 miliardi l’ anno. L’ operazione, in questo senso, segue il modello che si sta affermando di unire distribuzione e contenuto creando sere piu nuovi protagonisti «verticali». È l’ idea, su più vasta scala in un’ operazione da oltre 85 miliardi, alle spalle anche della fusione tra AT&T e Time Warner, di piattaforme mobili e Internet combinate con contenuti premium di Hbo o degli Studios Warner Brithers. Ed è anche il senso del corteggiamento degli asset preziosi di 21st Century Fox, l’ impero di Rupert Murdoch: alle voci di una disponibilità della famiglia a ridimensionare il gruppo, oltre a Disney, che vedrebbe anzitutto un terger tutto di content, si sono fatti avanti giganti di tlc-media quali Comcast e Verizon. Nel caso oggi sotto i riflettori, Time Inc incarna il premio di «content». L’ amministratore delegato di Meredith, Stephen Lacy, ha definito il deal «trasformativo». E il direttore generale di Meredith, Tom Harty, ha sottolineato che «quando si combina il nostro business televisivo con la forte e apprezzata creazione di contenuto su molteplici piattaforme di Meredith e Time Inc, nasce una potente socità di media in grado di servire tanto i consumatori e che gli inserzionisti». A Time, Sports Illustrated e Fortune, Meredith aggiunge testate quai Better Homes & Garden e Family Circle. Le sinergie previste ammontano a 400-500 milioni di dollari di risparmi entro due anni dal completamento dell’ acquisizione atteso nei primi tre mesi del 2018. Secondo alcuni analisti, Meredith potrebbe in futuro anche considerare uno scorporo per valorizzare le attività Tv al termine di un percorso di crescita e rafforzamento grazie al merger, mentre altri segnalano il possibile taglio di centinaia di posti di lavoro e la cessione di alcune delle testate più prestigiose. Meredith aveva già provato senza successo ad acquisire Time due volte, nel 2013 e all’ inizio di quest’ anno. Da parte loro i Koch, da tempo avevano mostrato interesse per possibili nuovi investimenti nei media. In passato avevano in particolare corteggiato testate quali il Los Angeles Times e il Chicago Tribune. Adesso si sono però limitati a dichiarare di avere «piena fiducia nella solidità da protagonista nel business di Meredith e nelle sue strategie per generare valore» dalla conquista di Time e del suo contenuto. Time, fondata nel 1922 dal magnate dell’ editoria Henry Luce, ha tuttora un portafoglio di oltre cento riviste, tra le quali Travel+Leisure, People, Enterteinment Weekly. Nella sua lunga storia era diventata parte di Time Warner nel 1990, poi scorporato di nuovo nel 2014. Alla stregua di numerosi media tradizionali, negli ultimi anni ha faticato a fare i conti con la rivoluzione digitale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il colosso americano Time passa di mane: Meredith lo acquista per 2$ miliardi di dollari

Il Messaggero

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Il gruppo Meredith e i fratelli Koch acquistano Time Inc per 2,8 miliardi di dollari e si preparano a varare centinaia di licenziamenti una volta che la transazione sarà finalizzata. A Time Inc, colosso in crisi dell’ editoria americana, fanno capo tra gli altri i magazine Time, People e Sport Illustrated.

Le mani su Time dei fratelli Koch la voce della destra è ancora più forte

La Repubblica
federico rampini,
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Colpo di una delle più ricche dinastie d’ America Negazionisti sull’ ambiente e paladini del Tea Party vogliono guidare la riscossa dei conservatori Dal nostro corrispondente NEW YORK Il più celebre magazine americano, Time, che ha fatto storia con le sue copertine dedicate al personaggio dell’ anno, passa sotto il controllo di una casa editrice orientata a destra, la Meredith. Con Time, di cultura liberal, passano sotto il nuovo editore anche Fortune e magazine più popolari come People e Sports Illustrated. La Meredith pubblica riviste familiari come quelle di Martha Stewart. Ma è il trasferimento di Time ad avere un segno politico inequivocabile. Dietro la nuova proprietà c’ è la più potente dinastia conservatrice degli Stati Uniti: i fratelli Koch hanno finanziato per 600 milioni quest’ operazione. Sono la quinta famiglia più ricca del Paese, e la loro è una ricchezza all’ insegna delle emissioni carboniche. La Koch Industries con sede a Wichita nel Kansas è un colosso petrolchimico, fieramente avverso alle normative sull’ ambiente. Tra i fratelli il più politico è David Koch, insieme a Charles che è il chief executive raggiunge un patrimonio di 100 miliardi di dollari. David è stato il principale finanziatore del Tea Party, quel movimento populista anti- tasse e anti- Stato che nacque nel 2009 e ben presto divenne l’ opposizione ” di piazza” contro Barack Obama, in particolare contro la sua riforma sanitaria. David Koch è anche l’ eminenza grigia dell’ organizzazione American for Prosperity, un think- tank di estrema destra che funge da copertura per la raccolta di fondi delle grandi lobby industriali e la distribuzione di quei fondi ai candidati che promettono di difendere l’ agenda conservatrice. La famiglia Koch non si è mai quotata in Borsa per non dover sottostare a doveri di trasparenza. È fieramente avversa a ogni normativa ambientalista. Ha finanziato campagne negazioniste sul cambiamento climatico. I politici da loro appoggiati bloccano da anni al Congresso le normative ambientaliste. Ciò non toglie che siano dei filantropi generosi: David ha pagato gran parte della costruzione del Lincoln Center, le sale di musica sinfonica e di balletto; è tra i più munifici donatori dello Sloan Kettering, importante ospedale di New York specializzato nella terapia dei tumori ( i loro avversari sottolineano la contraddizione: nelle fabbriche chimiche dei Koch si produce la formaldeide altamente cancerogena). I Fratelli Koch s’ inseriscono in prima fila nella storia delle dinastie capitalistiche che hanno organizzato e finanziato la riscossa neoconservatrice in America. La loro creatura più importante, il Tea Party, è l’ ultimo capitolo di una ” guerra dei quarant’ anni” sul terreno dei valori. Sul finire degli anni Settanta, con altre etichette e altri leader, ebbe origine in California una poderosa reazione ” movimentista” contro l’ intervento pubblico nell’ economia, il Welfare, le politiche fiscali redistributive. Think tank ricchi e influenti come la Heritage Foundation e l’ American Enterprise Institute, dinastie come i Koch, centri accademici come la University of Chicago con il Nobel Milton Friedman, ispirarono la potente offensiva neoliberista. Il loro interesse verso la stampa li portò nel 2013 a tentare un’ Opa sul gruppo Tribune che pubblica tra gli altri Los Angeles Times, Chicago Tribune, Baltimore Sun e altre storiche testate. Quella volta l’ operazione non andò in porto. Con Donald Trump i fratelli Koch hanno avuto un rapporto altalenante: all’ inizio delle primarie repubblicane lo attaccarono e tentarono di ostacolarne la nomination; poi si sono allineati e oggi lo sostengono. Proprio due giorni fa Trump ha litigato con Time attribuendo al magazine l’ intenzione ( smentita) di farlo Uomo dell’ Anno. PETE SOUZA L’ ex fotografo della Casa Bianca Pete Souza ha postato su Twitter copertine di Time dedicate a Obama in polemica con Trump.

Premio Landolfo consegnati riconoscimenti a 13 giornalisti

Il Mattino

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Si è svolta ieri all’ Istituto di Cultura Meridionale la cerimonia di consegna del Premio «Landolfo», che ricorda e valorizza l’ impegno del giornalista, segretario dell’ Ordine dei giornalisti della Campania, già vicedirettore del quotidiano «Roma», fondatore e presidente dell’ Arga Campania. Per la carta stampata vincitori ex aequo Maria Elefante (Famiglia Cristiana) e Antonio Folle (Roma). Menzione speciale per Antonino Siniscalchi e Claudia Bonasi (Il Mattino). Per la sezione radio-tv, ex aequo, vincono i servizi di Roberto D’ Antonio (La7) e Daniele Morgera (Rai). Menzione speciale a Monica D’ Ambrosio (Ricicla Tv)e a Nello Fontanella (Il Mattino Tv). Premio Internet e foto – videoreportage, ex aequo, a Carmine Alboretti (Paginevesuviane.it), Gennaro Del Giudice (Cronacaflegrea.it), Agata Marianna Giannino (Il Giornale.it), Giuseppe De Silva (Kompetere Journal) e Maria Rosaria Ferrara (TeleclubItalia.it). © RIPRODUZIONE RISERVATA.


Agcom: via a ConciliaWeb, dal 2018 le controversie saranno gestite e risolte anche online

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Rendere più semplice e veloce l’accesso dei consumatori al sistema di risoluzione delle
controversie nei confronti degli operatori di telefonia e delle pay-tv grazie ad un
innovativo sistema denominato ConciliaWeb. Questo il fine primario dell’avvio del
procedimento di modifica delle procedure di conciliazione e di risoluzione delle
controversie tra operatori ed utenti presso i Co.Re.Com e Agcom, deliberato dal
Consiglio dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, relatore Antonio Nicita.
L’Autorità, a partire dal 2002, ha garantito agli utenti la possibilità di risolvere le
controversie con i propri operatori recandosi presso il Co.Re.Com della propria Regione.
“Dal 2018, grazie al ConciliaWeb tale opportunità potrà essere sfruttata senza la
necessità di spostarsi dal proprio domicilio o luogo di lavoro, ma semplicemente
accedendo al portale dal proprio PC o smartphone”, spiega Nicita. I consumatori
potranno dunque accedere al sistema di risoluzione delle controversie e alle procedure
di conciliazione presso i Co.Re.Com con qualunque device e, con pochi click partecipare
ai procedimenti in modo interamente informatizzato.
“Con la delibera approvata – conclude il Commissario Agcom – si dà impulso ad un
progetto di trasformazione digitale delle procedure dell’Autorità e dei Co.Re.Com, volta
a rafforzare un’attività che, nel 2016, ha garantito ai 90 mila utenti italiani che si sono
rivolti ai Co.Re.Com circa 30 milioni di euro di indennizzi, mentre nel solo primo semestre
del 2017 questa attività ha portato alla risoluzione di oltre 33mila controversie, il 77%
delle quali sono state risolte con un accordo, per un valore complessivo – in termini di
rimborsi e indennizzi – di circa 14,5 milioni di euro”.

Privacy, condominio e trasferimenti di proprietà: sufficiente la dichiarazione del notaio

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Il condomino può dare notizia all’amministratore di condominio dell’avvenuto trasferimento di un diritto, come nel caso della compravendita di un’unità immobiliare, oltre che tramite la trasmissione della copia autentica dell’atto di cessione, anche mediante la c.d. dichiarazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante, purché essa risulti provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del registro dell’anagrafe condominiale. Così si è espresso il Garante, dopo aver consultato anche il Consiglio Nazionale del Notariato, in merito ad una quesito proposto da un cittadino, fornendo in tal modo un’interpretazione in ordine alla corretta applicazione delle norme introdotte dalla Riforma del Condominio. La modalità in questione – che può dunque considerarsi equipollente in termini di autenticità e certezza a quella prevista dal legislatore – rappresenta infatti una valida alternativa alla trasmissione della copia autentica dell’atto che determina il trasferimento da parte dell’interessato.
Il condomino sarà pertanto legittimato a chiedere al notaio rogante tale dichiarazione.

Rassegna Stampa del 29/11/2017

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Indice Articoli

Alleanza con il Tg3 per informare meglio

Chessidice

Libri, mercato su dell’ 1,5%

Le notizie su clima e ambiente piacciono a tg e giornali solo quando hanno un forte impatto emotivo o catastrofico. Pubblicità Progresso presenta i risultati di uno studio dell’ Osservatorio di Pavia

“Le fake news? Un falso problema Ma chi ci sostiene sia trasparente”

Il rischio che le fake news diventino il nuovo uomo nero della sinistra

Il mercato del libro in lieve ripresa: +1,5%

Dal Veneto al «Corriere» e ritorno: addio a Pierluigi Tagliaferro

La Casagit tutela 50mila iscritti tra soci e familiari

Cassa dottori per l’ adeguatezza

Alleanza con il Tg3 per informare meglio

Il Sole 24 Ore

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La multimedialità non è più un’ opzione ma ormai la normalità in un mondo in cui i media hanno imparato a collaborare invece che farsi la guerra per catturare l’ attenzione del pubblico. Soprattutto se in gioco ci sono obiettivi sociali condivisi, come l’ innalzamento del livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani, purtroppo ancor oggi davvero insufficiente. E non stupisce quindi che media differenti si alleino con questo obiettivo. Come il Tg3 e il Sole 24 Ore, che da oggi avviano una collaborazione, unendo le forze per far arrivare al più largo pubblico possibile le informazioni più utili per migliorare l’ educazione finanziaria degli italiani. A partire da oggi, infatti il Tg3 apre uno spazio nell’ edizione delle 14.20 per aiutare i telespettatori a orientarsi tra gli strumenti a disposizione, in occasione del lancio del Nuovo Risparmio del Sole 24 Ore. Un’ occasione per chiarire al grande pubblico come scegliere i conti correnti, i fondi comuni, gli Etf, i Pir, le azioni, le obbligazioni, con un’ attenzione particolare ai costi. «In questa fase di rendimenti zero – dice Luca Mazzà, direttore del Tg3 – la caccia all’ investimento più redditizio si è fatta accanita e, inevitabilmente, per molti risparmiatori aumenta la tentazione di investimenti sulla carta più remunerativi, ma, verosimilmente, anche più rischiosi. Quindi, è ancora più importante ottenere le informazioni corrette in materia finanziaria e imparare a selezionarle. L’ alfabetizzazione finanziaria è indispensabile – continua Mazzà – e la Rai e il Tg3 sono impegnati su questo fronte per veicolare tra i risparmiatori le informazioni di base che consentano al pubblico di valutare con cognizione di causa le scelte più coerenti con le proprie esigenze. In questo processo si deve anche ricostruire un rapporto di fiducia tra risparmiatori e banche». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice

Italia Oggi

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L’ Espresso, nuove nomine. Alessandro Gilioli e Lirio Abbate sono i nuovi vicedirettori del settimanale L’ Espresso mentre Leopoldo Fabiani diventa caporedattore centrale. Le tre nomine al magazine diretto oggi da Marco Damilano (che a sua volta ha preso il posto di Tommaso Cerno passato alla condirezione di Repubblica) decorrono dal numero 49, in edicola il prossimo 3 dicembre. Gruppo Gedi, esce la web serie Riprendiamoli. Ferrari, ville, opere d’ arte, aziende: qual è il destino del patrimonio dei boss una volta diventato di proprietà dello stato? A questa domanda cerca di rispondere la web serie Riprendiamoli, sfida per i beni confiscati, realizzata dalla redazione dell’ Agl, l’ Agenzia dei giornali locali del Gruppo Gedi, da Repubblica Tv e dal Visual Desk. Il primo episodio è online da oggi sui siti dei quotidiani locali e su Repubblica.it. Gli episodi successivi usciranno ogni mercoledì. Daniele Paganini guiderà Anes Digital per il prossimo triennio. Membro della giunta Anes dal 2016, Paganini è executive director e co-fondatore di Avrage Media, società digital specializzata nella comunicazione business-to-business. Affiancano Paganini i 7 membri dello steering committee. Qn Il Giorno lotta contro i tumori. Qn Il Giorno, con il patrocinio dell’ Esercito-Comando militare eEsercito Lombardia- lancia Personaggi, volti e storie. Perle dagli archivi de Il Giorno, evento benefico a favore di Lilt, Lega italiana per la lotta contro i tumori, in programma domani alle ore 18.30 a Palazzo Cusani, a Milano. Milano, premio a Mauri. Il riconoscimento annuale del Corpo consolare di Milano e della Lombardia, quest’ anno, è stato assegnato tra l’ altro a Ernesto Mauri (a.d. del Gruppo Mondadori). Tv, il canale Iris compie 10 anni. Oggi, in prima serata, Iris festeggia il 10° compleanno con uno speciale dedicato al cinema. Maurizio Costanzo presenta Dieci anni di Iris – Maurizio Costanzo Show. Lollobrigida, Milo, De Sio, Giorgi, Bouchet, De Rossi e Piero Villaggio tra gli ospiti.

Libri, mercato su dell’ 1,5%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Il mercato del libro cartaceo ingrana con più decisione la ripresa e cresce dell’ 1,5% a fatturato nei primi 10 mesi di quest’ anno. A volume, però, resta il segno negativo davanti (-1%). L’ andamento registrato dalle rilevazioni Nielsen per l’ Associazione italiana editori (Aie, presieduta da Ricardo Franco Levi) rispecchia quello già seguito dal comparto nei primi 8 mesi: una crescita dell’ 1% a valore e una contrazione dell’ 1,3% a volume, sempre nei canali trade (librerie di catena e indipendenti, store online ma al netto dei supermercati e senza Amazon). Con l’ arrivo del Natale, comunque, i librai contano di recuperare e colmare il decremento a volume dell’ 1% dei primi 10 mesi. Al momento, intanto, il fatturato è cresciuto di 12,4 milioni di euro, toccando quota 913,6 milioni. Oltre a fotografare il mercato coi dati, Aie ha presentato la prossima edizione di «Più libri più liberi», fiera nazionale della piccola e media editoria, in programma dal 6 al 12 dicembre prossimo al Roma convention center La Nuvola. Obiettivo: interpretare le trasformazioni del mercato e permettere alle librerie di ogni dimensione di sopravvivere. Per questo, tra gli altri, sono in calendario incontri su: essere piccolo in un mondo sempre più grande, format innovativi per l’ attività del libraio, politiche distributive e ancora internazionalizzazione. E a proposito di estero arriva la 13° edizione del Fellowship program, progetto che quest’ anno rientra nel progetto europeo Aldus ed è realizzato con Ice – Agenzia per la promozione all’ estero e l’ internazionalizzazione delle imprese italiane e insieme con la Regione Lazio attraverso Lazio Innova. In fiera, il 6 e 7 dicembre, sarà infatti presente una ventina di operatori stranieri provenienti da 16 nazioni diverse, per conoscere la produzione editoriale della piccola editoria tricolore. Tra i temi poi che restano al centro del dibattito sul futuro del settore c’ è la definizione di una politica nazionale ottimale e, per questo, l’ evento firmato Aie dedica un incontro al confronto di differenti strategie che i vari paesi hanno varato a supporto della lettura. Infine, nell’ ottica della produzione di contenuti originali da parte di sempre maggiori produttori ed emittenti tv, big di internet e case cinematografiche, anche gli editori si vogliono cimentare in questo business e puntano a vendere a questi ultimi soggetti i diritti delle loro pubblicazioni in modo analogo a quando li vendono ad altri editori stranieri. Un evento sul tema vuole spiegare le linee guida per orientarsi ricordando la regola generale, a giudizio di Aie, che l’ industria dei contenuti non cerca un libro da tradurre ma una storia da raccontare su una piattaforma tecnologica, con linguaggi diversi.

Le notizie su clima e ambiente piacciono a tg e giornali solo quando hanno un forte impatto emotivo o catastrofico. Pubblicità Progresso presenta i risultati di uno studio dell’ Osservatorio di Pavia

Prima Comunicazione

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Matteo Rigamonti – Ambiente e clima non fanno quasi mai notizia. A meno che si tratti di notizie dal tono fortemente emotivo o emergenziale, come nel caso dei disastri naturali. E le principali fonti di informazione, telegiornali e quotidiani, raramente dedicano spazio ad analisi qualitative sullo stato di salute del creato e alle buone pratiche sostenibili. A lanciare l’ allarme, dati alla mano, è Pubblicità Progresso, presentando, in occasione del Festival della Comunicazione Sociale, quanto emerge da recenti studi realizzati dall’ Osservatorio di Pavia sulla rappresentazione della sostenibilità nei media. Alberto Contri, presidente Pubblicità Progresso In particolare, nel periodo gennaio-settembre 2016 i 7 principali telegiornali Italiani (Rai, Mediaset, La7) durante il primetime hanno prodotto 35.278 notizie di cui 2.702 dedicate ai temi ambientali (pari al 7% del totale delle notizie, mentre nel 2015 la percentuale era del 3%). Nello specifico, le notizie ambientali riguardanti l’ Italia, ha spiegato Giovanni Sarani, consigliere d’ amministrazione dell’ Osservatorio di Pavia, hanno fatto la parte del leone (84% vs 16% estero); i temi più trattati sono stati: incidenti e calamità (48%), meteo (17%), best practices (17%), degrado/inciviltà (13%) e natura (5%). Secondo Sarani, i mali dell’ informazione ambientale in Italia sono tre: il “sensazionalismo”, la “prossimità” intesa come eccessiva enfasi alla dimensione domestica senza prestare interesse a tematiche di respiro globale come, per esempio, l’ innalzamento dei livelli di emissione di Co2 oppure il surriscaldamento climatico. Infine, il fenomeno dei “divulgatori improvvisati”, visibile anche nella tendenza a dare più spazioa alla vox populi che neanche agli esperti. Giovanni Sarani A girare il coltello nella piaga è Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso: “è piuttosto inevitabile che i tg inseguano le notizie drammatiche: in fondo richiedono meno lavoro redazionale”. Mentre “le notizie che richiedono di essere contestualizzate, argomentate o spiegate sono le meno gradite alle redazioni anche per la mancanza di tempo”. È la stessa dinamica che Contri denuncia da tempo, riferendosi alle conseguenze negative della “rivoluzione del web”, per quanto riguarda la comunicazione sociale: “non interessa perché si ha una visione stereotipata della medesima, a base di immagini mense e strappalacrime. Mentre nella mediateca di Pubblicità Progresso, tra le 2800 campagne archiviate , negli ultimi anni abbiamo raccolto da tutto il mondo intelligenti e creative campagne su temi difficili come l’ Aids, la disabilità grave, l’ alzheimer, la violenza alle donne, che usano il linguaggio dell’ ironia per far riflettere meglio e attirare l’ attenzione del pubblico. Le abbiamo proposte spesso ma non c’ è niente da fare. Basta vedere cosa è stato mandato in onda nella giornata contro la violenza alle donne”. E aggiunge: “giornali e telegiornali hanno sempre meno spazio da dedicarci”. Persino, confida, prestigiosi associati della primissima ora si comportano così. Luca Mercalli, presidente società meteroleologica italiana A denunciare la difficoltà nel “collegare alle cause molteplici conseguenze cui tutti assistiamo da tempo, basti pensare alle ultime tre estati che sono state le più calde del secolo”, è intervenuto Luca Mercalli, presidente della Società Meteorologica Italiana. Mentre Gino Schiona, direttore generale CiAL (Consorzio Imballaggi Allumini), ha aperto uno spiraglio di luce facendo presente che, “quando parli di Protocollo di Kyoto o di Cop 21, inevitabilmente parli solo a quelli che hanno gli strumenti per comprendere tematiche così complesse. Per parlare a tutti devi saper decodificare”. E ha precisato. Sono tutte cose di cui “extra media” se ne parla sempre di più. Gino Schiona (a destra), direttore generale CiAL, con il giornalista di Reteconomy Enzo Argante.

“Le fake news? Un falso problema Ma chi ci sostiene sia trasparente”

La Stampa
ANDREA CARUGATI
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«Le fake news in rete? Un non problema. Anche noi del M5S siamo a volte vittime di disinformazione, sul web e sui media tradizionali. Quando è il caso quereliamo, non diamo la colpa al Pd. Se Renzi e le Boschi si sono offesi per quella foto sui funerali di Riina fanno bene a denunciare. Ma finiamola qua». Roberto Fico, deputato M5S e presidente della Vigilanza Rai, nega ogni legame tra il movimento e alcuni siti simpatizzanti che spacciano notizie false, a volte collegati a profili pro Lega o pro Putin». Voi avete attaccato il New York Times. E tuttavia il legame tra i vari siti è stato provato. «Guardi, ho letto che il legame tra i vari siti è un tale Marco Mignogna. È la prima volta che leggo il suo nome, non ha mai lavorato con noi. Noi abbiamo un network trasparente, fatto dal blog e dai nostri profili, che arriva a dieci milioni di persone. Se qualcuno realizza siti e scrive stupidaggini non è un nostro problema. Semmai è il Pd, che sul web è indietro di 20 anni, pensa di vincere con le tv e poi cade, come al referendum. Per questo si arrabbiano e si inventano queste polemiche da asilo contro di noi». Andrea Stroppa, l’ esperto di rete che è stato fonte del Nyt, sostiene che un singolo non può realizzare siti così complessi. «Insisto, non è un problema del M5S. Stroppa ha lavorato con Renzi e Marco Carrai. Questo è un fatto». Esiste il rischio che la prossima campagna sia influenzata da fake news sul web? «Credo di no. E comunque non in modo tale da influenzare il risultato. Pesano molto di più i condizionamenti tradizionali, come lo scambio politico mafioso. O gli impresentabili: se quelli delle liste di Musumeci fossero stati esclusi, avremmo vinto in Sicilia». Che messaggio lancia a chi gestisce siti che vi sostengono e producono false notizie? «Invito tutti, non solo chi sostiene noi, alla correttezza e alla trasparenza, sia che si parli di politica che di altro. Ma invito anche i giornalisti a fare il loro lavoro con correttezza». Grillo ha detto ai cronisti «vorrei mangiarvi per vomitarvi». E spesso attacca i precari da 10 euro a pezzo. Le pare corretto? «Ci siamo sempre mossi a difesa dei precari, anche con atti parlamentari. Beppe ha i suoi modi, i suoi toni, lo conosciamo tutti. Sotto il suo hotel a Roma si crea sempre una situazione surreale con la stampa, lui reagisce con l’ ironia anche dura». Va anche oltre. «Le sue battute dure non si sono mai tradotte in atti contro i giornalisti, anzi in Parlamento difendiamo la libertà di stampa». Lei vede davvero una disinformazione delle tv contro il M5S? «Fino a qualche anno fa le fake news delle tv si subivano e basta. Ora con il web c’ è maggiore contraddittorio, più persone hanno la parola. Dal 2005 c’ è una forma di sabotaggio contro di noi, lo spazio in tv ce lo siamo conquistati a suon di voti. Il rischio per i prossimi mesi c’ è, il sistema cerca di compattarsi per colpirci». Come presidente della Vigilanza come reagirà? «Per la campagna elettorale la Vigilanza applicherà la par condicio senza norme ulteriori, ma io ho chiesto alla Rai il massimo equilibrio da subito». Sul Biotestamento conferma il vostro sì? Voterete anche maxi emendamenti per evitare l’ ostruzionismo? «Questa legge è un atto di civiltà che il Paese aspetta da tempo. Noi ci siamo al 100%. Sugli strumenti parlamentari, canguro o non canguro, decideranno i senatori». Senza Di Battista rischiate di fare una campagna troppo istituzionale e rassicurante? «Alessandro farà tutta la campagna al nostro fianco. Non vogliamo mandare alcun messaggio rassicurante: l’ Italia ha un debito altissimo, un forte potere mafioso, una classe politica indegna. Se vinceremo noi sarà comunque una strada in salita, per fare una rivoluzione culturale non bastano 200 parlamentari ma serve un impegno corale del Paese: nessuno ha la bacchetta magica». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Il rischio che le fake news diventino il nuovo uomo nero della sinistra

Il Foglio

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Le campagne elettorali del ventennio ber- lusconiano si svolgevano largamente in televisione, ma soprattutto si svolgevano “sul la” televisione. Alle proprietà del Cav. nel set tore comunicativo, considerate a sinistra un’ anomalia insopportabile e un inaccettabile vantaggio competitivo, si contrapponeva una barriera composta in parte dalla propaganda e in parte dalla continua rincorsa legislativa, fatta di regole, vincoli e divieti, di cui la legge sulla par condicio rimane in vita come residuo e come nocciolo duro. Senza voler sottovalutare l’ effetto dell’ ampio e smaccato uso che Berlusconi faceva dell’ arma televisiva a fini politici, intorno a questo fenomeno la sinistra e l’ Ulivo avevano costruito un racconto fosco ed efficace dell’ Italia intera: paese prima sottilmente avvelenato (negli anni del boom della tv commerciale) e poi elettoralmente reso schiavo dal trasferimento sul piano politico di quell’ apparato ideologico e culturale. In questo modo la sinistra riproponeva in versione aggiornata il più tradizionale dei suoi schemi giustificazionisti, quello che da sempre le consente di scaricare la responsabilità di ogni sconfitta su qualche mostruosità esterna e superiore, dagli amerikani e i complotti della Cia a Mike Bongiorno e i tg di Emilio Fede. Teoria tanto più di successo se – come nel caso del potere e della capacità mediatica di Berlusconi – c’ è parecchia sostanza a dare corpo al teorema autoconsolatorio. E oggi? Non sarà che la campagna elettorale appena aperta stia diventando il remake di quelle consumate nell’ inane duello tra il re delle televisioni e i suoi avversari? Tutto moltiplicato mille dall’ incomparabile pervasività della rete. Con le fake news che prendono il posto e la funzione delle famose finte interviste per strada delle reti Fininvest, e la Casaleggio Associati nuova centrale di disinformazione organizzata, esauriti i fa sti del Biscione. Con due costanti: la Lega che si infila e trae profitto dal potere comunicativo altrui; e il centrosinistra che, preso di sprovvista e incapace di competere su un piano che non è il suo, si affanna a contenere il danno con tonante denuncia politica e qualche rischio di scivolata censoria. Strano che a questo esito rischi di appro dare uno come Matteo Renzi, che fra i tanti altri meriti di rottura ebbe, agli inizi, quello di spezzare proprio la logica autoconsolatoria e demonizzante. Certo, Berlusconi non era più Cavaliere nero e anche la tv genera lista non era più la stessa, ridimensionata come fattore di influenza elettorale e comunque disponibilissima a spalancare braccia e set al nuovo e giovane Bravo Presentatore, sicché anche la tradizionale occupazione manu militari della Rai per fare il controcanto a Mediaset è apparsa meno indispensabile che nel passato. Sta di fatto che il rapporto di Renzi con la tv – al netto delle improbabili accuse di epurazioni fra i conduttori di talk – è sempre stato diverso da quello di tutti i suoi predecessori, compreso il più televisivo di tutti (Veltroni) e compreso colui che per l’ Ulivo ha storicamente gestito la materia, cioè l’ attuale presidente del consiglio. Dove loro hanno speso anni e fati ca a cercare di limitare l’ invasione dello spazio politico da parte delle tv (e di chi le controllava e possedeva), Renzi ha percorso la strada inversa: ha invaso lui le televisioni, con la propria persona fisica più che con i luogotenenti nelle stanze dei bottoni, e da lì lo spazio pubblico degli italiani. Ora però siamo nell’ era social. Nella quale il Pd renziano è nato e cresciuto, e si trovava benissimo. Stile e contenuto della comunicazione dem si sono volentieri corrotti – in senso tecnico – con la rapidità, la sinteticità e ove necessario la volgarità della comunità digitale. Prima di scoprire che però anche qui, di nuovo, si stava riproponendo uno svantaggio competitivo. Vent’ anni dopo i miracoli degli agenti di Publitalia, la viralità di Gian Roberto Casaleggio, applicata dagli gnomi della sua ditta, si mostra definitivamente più efficace degli sforzi dei molti comunicatori che si sono alternati e bruciati al Nazareno. Ed ecco allora la reazione. La denuncia, le indagini, le ricostruzioni, i collegamenti svelati con i russi (come si cercò di fare per anni collegando Fininvest e cosche mafiose), i dossier per documentare gli inquinamenti sul web. Infine, puntuale come la par condicio, la legge (ancorché solo minacciata, sia mo a legislatura morente). Non poteva mancare, in questo ritorno del sempre uguale, un ruolo per Economist e New York Times. Che sulla rete e nei social si debba alzare il livello di vigilanza e consapevolezza, questo è ovvio, anche se è forte il dubbio che da quando la politica si è impadronita del tema, il concetto stesso di fake news si sia svuotato e diventato altro (per esempio, il cavallo di battaglia di Trump). Finendo per essere soltanto un altro tema di scontro e di reciproca delegittimazione, né più né meno dei più ammuffiti talk show, che invece di restituire credibilità all’ informazione corretta cancella anche quella poca rimasta. Ma a questo punto la domanda non è se sia giusto o meno battersi contro le fake news (è giusto), bensì l’ efficacia di fare di questo il tema centrale (in questi giorni, l’ unico) della campagna elettorale anti -populista. Verso la fine degli anni 90 i più accorti nel centrosinistra capirono che l’ ostinazione contro la mediocrazia di Berlusconi non scalfiva d’ un solo voto il suo consenso elettorale, per un motivo banale: quegli italiani non votavano a destra perché credevano alle notizie di Studio Aperto, ma per ragioni più solide e soprattutto per una incrollabile sfiducia e ostilità verso la sinistra. Così oggi. Come cercano vanamente di segnalare i più saggi tra i frequentatori ed esperti della rete, ancorché ci faccia impressione la percentuale di italiani che votano Cinque stelle o Lega perché seguono le campagne antivax o antieuro è ultraminoritaria, a fronte di uno zoccolo duro unito intorno a rocciose convinzioni ideologiche. Mentre per la fascia di elettorato molto più decisiva per Renzi – quella di chi non ha mai votato Grillo né Salvini, eppure stavolta pensa di non votare neanche per il Pd – la questione delle fake news è totalmente irrilevante: non è certo perché lo leggono sul Sacro Blog, che non si fidano più dei democratici, dunque non sarà attaccando il Sacro Blog che Renzi li riporterà indietro.

Il mercato del libro in lieve ripresa: +1,5%

Corriere della Sera
di Cristina Taglietti
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Se di ripresa si può parlare è a piccoli passi. Il mercato del libro di carta nei primi dieci mesi dell’ anno registra nei canali trade (librerie, online con l’ esclusione di Amazon e grande distribuzione) una crescita del fatturato dell’ 1,5%, rispetto allo stesso periodo del 2016. Un aumento che è ancora legato all’ aumento dei prezzi di copertina. Per l’ incremento delle copie vendute bisognerà aspettare Natale, quando gli editori raddrizzano i bilanci. Da gennaio a ottobre 2017 la vendita a volume ha, infatti, ancora segno negativo: -1%. Sono i primi dati dell’ indagine realizzata da Nielsen per l’ Associazione italiana editori (Aie) sul mercato del libro e sulla piccola e media editoria in Italia che sarà presentata nell’ incontro Essere piccolo in un mondo sempre più grande il 6 dicembre (Aldus Room, ore 15.30), primo giorno di Più libri più liberi. La fiera nazionale della piccola e media editoria, in programma fino al 12 dicembre alla Nuvola di Roma, approfondirà lo stato di salute di questo segmento del mercato. Si parla anche di librerie nel Rapporto sullo stato dell’ Editoria 2017: scende il numero di quelle a conduzione familiare (nel 2010 erano 1.115, sono diventate 811 nel 2016), mentre aumentano quelle di catena (erano 786 nel 2010 e sono diventate 1.052 nel 2016). Come le librerie possano trovare forme innovative per stare sul mercato è l’ argomento di un incontro del giorno di apertura che affronterà anche un altro tema cardine della filiera editoriale: la distribuzione.

Dal Veneto al «Corriere» e ritorno: addio a Pierluigi Tagliaferro

Corriere della Sera

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Ciao, Pierluigi Tagliaferro, amico di una vita. Ora che te ne sei andato, mi torna alla mente la poesia del grande Costantino Kavafis, con le candele accese davanti, e con quelle spente alle spalle, come tante croci che crescono: le ultime fredde, le più vicine ancora calde. È sempre doloroso il distacco da un amico, brusco e verticale, che è stato tra i protagonisti del «Corriere della Sera» più esaltante, quello diretto da Piero Ottone. Allora, i giornalisti si assumevano uno alla volta, i migliori da ogni regione. Tu arrivasti dal Veneto. Carattere forte e indole ribelle, ma con un cuore d’ oro. Nel 1976, assieme a due colleghi, Fabio Felicetti e Luigi La Spina, fummo invitati in America per un viaggio in occasione del Bicentenario degli Usa. Abbiamo conosciuto, in giro con i nostri Caravan, la vera America, forse quella che ora ci ha fatto capire l’ elezione di Trump. Qualche anno dopo lasciasti il «Corriere» per tornare nel tuo Veneto, prima come direttore della «Tribuna di Treviso», poi vicedirettore del «Gazzettino di Venezia». Il brutto male ti ha aggredito, ma tu hai lottato come un leone. Ti sei arreso a 80 anni, e ora perdonami di sorridere pensando alle tue arrabbiature quando perdevi a poker con gli amici, alla chiusura del giornale. Che la notte ti sia sempre amica.

La Casagit tutela 50mila iscritti tra soci e familiari

Il Sole 24 Ore
Francesco Matteoli
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La Casagit è una associazione non riconosciuta costituita nel 1974 ad iniziativa del Sindacato della Categoria dei giornalisti. Dal 10 giugno 2010 è regolarmente iscritta all’ anagrafe dei fondi sanitari istituita dal Ministero della Salute. Possono iscriversi in qualità di “Soci” tutti gli iscritti all’ Ordine dei Giornalisti, indipendentemente dal fatto che l’ attività giornalistica rappresenti per costoro la principale fonte di reddito. Hanno anche diritto all’ iscrizione come “aggregati” i dipendenti degli enti di categoria (Inpgi, Ordine, Fnsi, Casagit). La copertura sanitaria prescinde dai principi della selezione del rischio, prosegue anche al momento del pensionamento e non ci sono termini di esclusione dovuti all’ età. I soci e gli aggregati a loro volta possono iscrivere i familiari: coniugi e conviventi more uxorio, figli e genitori a carico. Anche per essi non ci sono termini di esclusione dovuti all’ età. Di fatto oggi la popolazione degli iscritti (circa 50mila persone) è costituita da giornalisti “contrattualizzati”, che hanno cioè un contratto di lavoro subordinato con un’ azienda editoriale e per i quali l’ iscrizione alla Casagit, dal 1984, è obbligatoria da contratto nazionale di categoria; da iscritti all’ ordine che aderiscono volontariamente, da pensionati e dai familiari di queste tre categorie. Casagit mette a disposizione dei giornalisti quattro diversi profili di assistenza sanitaria: si parte da una formula base con un contributo di 300 euro all’ anno e, passando per altre due intermedie con contribuzioni da 600 e 1.500 euro, si arriva al profilo più performante, quello “storico”, al quale vengono automaticamente iscritti i giornalisti ai quali viene applicato il contratto nazionale della Categoria. A questo profilo si applica un sistema contributivo piuttosto articolato e sostanzialmente basato su un principio di solidarietà in base al quale la quote di iscrizione sono commisurate alla capacità di guadagno di ciascuno. I soci “contrattualizzati” versano alla Cassa il 3,5% del loro stipendio mentre il datore di lavoro versa l’ 1%; i soci volontari versano una quota fissa determinata in funzione della fascia di reddito di appartenenza; i soci pensionati pagano il 3,5% sulla pensione ma se quest’ ultima è inferiore a 20mila euro pagano il 2,2% e sotto i 10mila sono esenti. Mediamente il valore della contribuzione individuale si aggira intorno ai 3.000 euro all’ anno. Per i coniugi esiste una fascia di esenzione per redditi fino a 11.600 euro all’ anno altrimenti il contributo è di 900 euro. I figli e i genitori possono essere assistiti solo se il loro reddito annuo è inferiore agli stessi limiti. I figli fino a 26 anni sono sostanzialmente esenti da contribuzione. Per i figli dopo i 26 anni e fino a 35 anni la contribuzione cresce con l’ età. A 35 anni i figli possono mantenere l’ assistenza diventando soci volontari e pagando la contribuzione normale. I figli invalidi o permanentemente inabili al lavoro possono essere assistiti come familiari per tutta la vita. La Cassa fornisce ai propri iscritti un concorso alle spese mediche sostenute in base a un tariffario e dietro presentazione di idonea documentazione. Tempo medio di rimborso: un mese. I rimborsi avvengono sia in forma indiretta che in forma “diretta” presso le strutture convenzionate. Mediamente i rimborsi in forma indiretta garantiscono un concorso intorno al 70% della spesa (dal 60% dell’ odontoiatria all’ 80 % dei farmaci), quelli in forma diretta, presso strutture convenzionate, il 95 per cento. La Casagit garantisce un concorso nelle spese, ovviamente in misura diversificata in funzione del profilo assistenziale di appartenenza, per: ricoveri con o senza intervento, chirurgia ambulatoriale, visite specialistiche e accertamenti diagnostici, cure odontoiatriche, medicinali (ticket fascia A, fascia C, omeopatici), terapie fisiche e riabilitative, altre terapie (chemio, radio ecc.), acquisto di protesi, acquisto di lenti e occhiali, assistenza domiciliare per non autosufficienti. Sono convenzionate con Casagit strutture per ricoveri e interventi chirurgici, compresi centri di eccellenza presso strutture pubbliche operanti in regime di intramoenia, dentisti distribuiti su tutto il territorio nazionale in funzione della densità degli iscritti nonché diagnostici per l’ effettuazione di Tac e Magnetiche. Inoltre in 19 città, tra cui Roma, Milano, Torino, Padova, Bologna, Reggio Calabria, sono attivi poliambulatori convenzionati in forma “diretta” per le visite specialistiche. È poi a disposizione degli associati un servizio di assistenza in emergenza attivo 24 ore al giorno ed un servizio di guida e orientamento all’ utilizzo delle strutture convenzionate su tutto il territorio nazionale. Nel 2014 la Casagit ha dato vita a una sua società di servizi per mettere a frutto e a disposizione di Associazioni, Enti, Mutue e Fondi operanti nel settore della sanità integrativa, l’ esperienza maturata in oltre 40 anni. Direttore generale Casagit © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Cassa dottori per l’ adeguatezza

Il Sole 24 Ore
Federica Micardi
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Due dati fanno comprendere la profonda metamorfosi dei dottori commercialisti negli ultimi 25 anni. Il primo è il numero, che è quadruplicato, passando da 16mila a oltre 66mila. L’ altro fenomeno importante è la femminilizzazione: tra gli over 50 le donne sono il 20%, mentre tra le under 30 sono poco meno del 52 per cento. La parità di genere per ora non trova riscontro nel reddito medio, superiore per gli uomini; va detto però che questa forbice è molto larga tra gli over 50 (104mila euro contro 58mila euro) e si stringe con il diminuire dell’ età : negli under 30 gli uomini guadagnano in media 17.510 euro mentre le colleghe arrivano a 15.564. Tutti fenomeni che vengono monitorati con estrema attenzione dalla Cassa di previdenza della categoria che deve adattare la propria strategia in base ai dati, alla statistica e ai calcoli attuariali per garantire le pensioni future. Il tasso di sostituzione, dato dal rapporto tra l’ ultimo reddito e l’ assegno pensionistico, oggi è intorno al 50% (oscilla tra il 46 e il 50%) e lo sarà anche in futuro; questo risultato è possibile grazie a una serie di interventi messi in campo dalla Cassa dopo la riforma del 2003. Ma facciamo un passo indietro. La Cassa di previdenza e di assistenza dei dottori commercialisti è intervenuta in tempi non sospetti, cioè nove anni prima dell’ arrivo del ministro Fornero e della sua riforma, per assicurare la tenuta del sistema previdenziale. All’ epoca si decise di passare al sistema di calcolo contributivo – molto meno generoso rispetto al retributivo, divenuto insostenibile – una decisione che ha abbassato sensibilmente il valore del futuro assegno pensionistico; per riportarlo a livelli equi la Cnpadc nel corso degli anni ha messo in campo una serie di interventi volti ad accrescere il montante individuale. La prima mossa è stata quella di riconoscere un’ aliquota di computo superiore a quella di finanziamento. Quando venne introdotta, il contributo soggettivo da versare era dell’ 11% e con l’ aliquota di computo veniva riconosciuto il 14 per cento. Oggi il contributo soggettivo è al 12%, e chi versa 12 – e cioè l’ aliquota minima – si vede riconosciuti, grazie a una più vantaggiosa aliquota di computo, 3 punti percentuali in più. La Cassa consente di versare oltre il minimo (dal 2012 fino al 100% del proprio reddito con un tetto massimo di 173.050 euro nel 2017) proprio per consentire agli iscritti di puntare a un assegno maggiore. Per chi versa un contributo soggettivo del 17% (il minimo è 12) la Cnpadc riconosce – in aggiunta ai tre punti percentuali dell’ aliquota di computo – un punto percentuale in più. La premialità in questo caso è di un quinto di punto per chi versa il 13%, 0,4 punti percentuali per chi sceglie il 15% e così via fino a 17 per cento. Quindi chi versa volontariamente il 17% del proprio reddito avrà in più 4 punti percentuali e quindi è come se versasse il 21 per cento. Oltre la soglia del 17% non sono previste premialità. La Cassa non esclude di poter aggiornare in meglio le attuali premialità, che sono state introdotte per cercare di compensare in parte chi ha il calcolo contributivo. E per questo, l’ aspetto premiale, esclude in proporzione chi ha la pensione in parte retributiva utilizzando il coefficiente di premialità intergenerazionale; è attraverso questi interventi che tra vent’ anni il tasso di sostituzione sarà almeno come oggi, e cioè tra il 45 e il 50 per cento. Sempre in ottica di migliorare il montante individuale, la Cassa sta valutando di intervenire sul contributo integrativo e far diventare la regola che ne destina un quarto al tesoretto di ogni iscritto definitiva e non provvisoria come è oggi (la scadenza è prevista nel 2020). La Cassa potrebbe anche decidere – conti permettendo – di aumentare la parte di integrativo da riversare sui singoli iscritti. Un’ altra mossa per incrementare i montanti è stata quella di riversare sui conti individuali gli extra-rendimenti. La delibera che lo consente è stata approvata sei anni fa mentre il primo riparto dell’ extra-rendimento è stato fatto due anni fa e potrebbe essere riproposto già nel 2018. L’ adeguatezza del trattamento previdenziale è fino ad ora rimasta molto legata al concetto di quantum, e cioè a quanto ammonta l’ assegno, mentre la Cassa vuole intervenire su un altro fronte che consente di attivare un “effetto moltiplicatore” che sul cash non è possibile (si veda l’ articolo accanto), offrire servizi necessari che grazie alle economie di scala avranno per la Cassa un costo molto più basso di quello di mercato. E su questo fronte la Cnpadc si sta muovendo. Non è un caso che a questo consesso sia stata invitata la Casagit, la Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani un unicum tra le professioni ordinistiche che vede separate l’ ente di previdenza (Inpgi) e l’ ente di assistenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Diritto d’autore. L’UE condanna VCAST per diffusione programmi via Cloud

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La messa a disposizione di programmi televisivi registrati su cloud deve essere autorizzata dal titolare dei diritti d’autore o dei diritti connessi, secondo quanto ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una sentenza che coinvolge Reti Televisive Italiane (Rti).
Rti, sintetizza l’Agi, aveva presentato un ricorso cautelare davanti al tribunale ordinario di Torino contro Vcast, societa’ di diritto britannico che mette a disposizione dei propri clienti su internet un sistema di videoregistrazione da remoto delle trasmissioni di operatori televisivi italiani trasmesse per via terrestre. Il tribunale di Torino ha chiesto ai giudici di Lussemburgo se il servizio di Vcast, fornito senza l’autorizzazione dei titolari dei diritti d’autore o dei diritti connessi, fosse conforme alla direttiva sul diritto d’autore.
Nella sua sentenza, la Corte Ue afferma che il servizio di Vcast possiede una doppia funzionalita’, consistente nel garantire al contempo la riproduzione e la messa a disposizione delle opere tutelate, e dunque deve essere soggetta all’autorizzazione del titolare dei diritti. Inoltre, secondo i giudici di Lussemburgo, un tale servizio di registrazione da remoto non puo’ ricadere nell’eccezione di copia privata. (prima comunicazione)

Rassegna Stampa del 30/11/2017

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Indice Articoli

La ritrasmissione tv va sempre autorizzata

Il Sole 24 Ore, ceduto a Palamon il 49% di Business School24

Editoria, ministro Lotti e Fieg su nuove misure

Editoria, il ministro Lotti e Fieg sulle nuove misure

Gli editori a Lotti “Fermare i pirati che rubano le news”

Sfide dell’ editoria, Lotti incontra la Fieg

EDITORIA Lotti incontra i vertici Fieg

Illecito ritrasmettere programmi tv senza autorizzazione del broadcaster

Sentenza Ue: illecito ritrasmettere canali televisivi Free

Pubblicità online, 2017 a +12%

Mediaset al lavoro sull’ lcn 20

Mondiali di calcio, la Rai parteciperà all’ asta ma senza fare follie. Parola del d.g. Orfeo

Web, Springer e Discovery credono in Thrillist & co.

Chessidice in viale dell’ Editoria

I vertici Fieg incontrano il ministro Lotti. Tra i temi affrontati le difficoltà e le sfide future del settore e le iniziative messe in campo dal governo

Delitto Cutuli condannati due afghani

La ritrasmissione tv va sempre autorizzata

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Qualunque società voglia ritrasmettere per proprie finalità commerciali il segnale televisivo di un broadcaster concorrente – anche se diffuso liberamente e gratuitamente nell’ etere – deve ottenere l’ autorizzazione preventiva del titolare del diritto. È questa la conseguenza della sentenza della Corte di giustizia dell’ Unione europea nella causa C-265/16 che oppone la società Vcast Limited a Rti-Mediaset,difesa da Studio Previti Studio Lepri e dal professor Giuseppe Rossi, davanti al Tribunale di Torino. Una sentenza che il gruppo di Cologno ha accolto con molto favore («Una pietra miliare nella giurisprudenza in materia» si legge in un comunicato) anche pensando allo sviluppo dei contenziosi, in essere (con Sky) e futuri (l’ attenzione è rivolta alle piattaforme video delle telco) sul tema dei cosiddetti diritti di ritrasmissione di canali televisivi in chiaro senza l’ accordo dei titolari del diritto. La causa è stata sollevata da Vcast Limited, società di diritto inglese, presso la Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Torino per ottenere il riconoscimento della legittimità della propria attività (servizio di videoregistrazione in modalità “cloud computing” di canali tv di terzi) equiparandola a quella di qualsiasi privato che ha facoltà di videoregistrare liberamente contenuti televisivi senza richiedere alcuna autorizzazione preventiva al titolare dei diritti. Mediaset si è difesa. Con ordinanza cautelare del 30 ottobre 2015, il giudice ha accolto parzialmente un reclamo cautelare proposto dalla Rti-Mediaset e ha, in sostanza, inibito alla Vcast la prosecuzione delle sue attività. La Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Torino ha poi deciso di rivolgersi alla Corte di giustizia europea. Da qui la sentenza arrivata dai giudici di Lussemburgo che è la prima in materia in Italia. Il tema è quello del servizio di videoregistrazione in cloud da parte della Vcast, società britannica che di fatto con proprie apparecchiature attraverso un servizio disponibile online consentiva agli utenti di abbonarsi per usufruire di contenuti, anche delle reti free Mediaset, a seguito di videoregistrazione in modalità cloud computing. La Corte ritiene che la trasmissione originaria dell’ operatore di diffusione radiotelevisiva, da un lato, e quella di Vcast, dall’ altro, siano effettuate in condizioni tecniche differenti, mediante l’ utilizzazione di diverse modalità di trasmissione delle opere, ognuna di esse destinata a un proprio pubblico. Da ciò la Corte conclude che la (ri)trasmissione effettuata dalla Vcast costituisce una comunicazione al pubblico differente da quella originaria e deve, pertanto, ricevere l’ autorizzazione dei titolari dei diritti d’ autore o dei diritti connessi. Di conseguenza, un tale servizio di registrazione da remoto non può ricadere nell’ eccezione di copia privata. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il Sole 24 Ore, ceduto a Palamon il 49% di Business School24

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Il Sole 24 Ore Spa (l’ Emittente) ha comunicato che nella data di ieri Palamon Capital Partners LP e l’ Emittente hanno dato esecuzione al contratto di compravendita dalle stesse sottoscritto lo scorso 8 agosto 2017 e oggetto di comunicato stampa in data 9 agosto 2017, relativo alla cessione da parte della Società di una partecipazione pari al 49% (la “Partecipazione”) di Business School24 S.p.A. (“BS24”), società di nuova costituzione a cui in data 1° settembre 2017 era stato conferito il ramo aziendale con cui la Società esercita attività nel settore della formazione (il “Ramo Formazione”). La Partecipazione è stata per l’ effetto trasferita a Education Acquisition Limited, società interamente controllata dai fondi Palamon e designata da PCP quale acquirente, in esercizio della facoltà prevista dal contratto di compravendita. A fronte del trasferimento, il Sole ha incassato l’ importo di Euro 36,7 milioni, quale prima tranche del corrispettivo della cessione (pari complessivamente ad Euro 40,8 milioni), mentre il residuo importo di Euro 4,1 milioni sarà incassato, al più tardi, entro il 2023. Si ricorda che l’ operazione è parte essenziale della manovra patrimoniale e finanziaria varata dal Consiglio di Amministrazione dell’ Emittente la scorsa primavera, la quale prevede l’ apporto di risorse patrimoniali a favore della Società per complessivi Euro 70 milioni, di cui circa Euro 50 milioni rivenienti dall’ aumento di capitale in opzione approvato dall’ Assemblea dell’ Emittente in data 28 giugno 2017 e promosso dalla Società in data 30 ottobre 2017, la cui conclusione è prevista il prossimo 30 novembre. Per effetto dell’ operazione, il capitale sociale di BS24 risulta attualmente detenuto dall’ Emittente per il 51% e da Education Acquisition Limited, per il 49%, fermi restando i diritti di acquisto a favore di Education Acquisition Limited e di vendita a favore della Società, previsti dagli accordi tra le parti e meglio illustrati nel documento di registrazione dell’ Emittente pubblicato ai sensi di legge e reso disponibile presso la sede sociale del Sole in Milano, Via Monte Rosa 91, nonché sul sito internet www.gruppo24ore.ilsole24ore.com. Franco Moscetti, amministratore delegato del Gruppo 24 Ore, ha dichiarato: «L’ accordo chiuso oggi dà il via ad una importante partnership con Palamon Capital Partners che, grazie alla sua focalizzazione specifica nel settore della formazione, saprà valorizzare ulteriormente Business School24. L’ azienda rappresenta una realtà già molto positiva, sana e in sviluppo, che potrà ora approfittare della complementarietà dei due azionisti di riferimento per accelerare ulteriormente la propria crescita». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Editoria, ministro Lotti e Fieg su nuove misure

Italia Oggi

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Il ministro Luca Lotti e i vertici della Fieg guidati dal presidente Maurizio Costa si sono confrontati nuovamente ieri sul futuro del mercato editoriale italiano, soprattutto alla luce della legge dell’ editoria e delle più recenti misure strutturali avviate (tra cui anche gli sgravi fiscali sugli investimenti pubblicitari incrementali, vedere ItaliaOggi del 28/11/17). All’ incontro tra il ministro per lo sport con delega in materia d’ informazione e comunicazione, accompagnato dal nuovo capo del dipartimento per l’ informazione e l’ editoria Ferruccio Sepe, e la Federazione italiana editori giornali si è parlato in particolar modo delle ulteriori azioni da adottare. «La crisi che ha investito l’ editoria giornalistica ha avuto dal governo un livello di attenzione assolutamente apprezzabile», ha dichiarato Costa. «Restano aperti i nodi della tutela dei contenuti, della trasparenza del mercato pubblicitario, della funzionalità della rete delle edicole e resta la necessità di ulteriori processi di recupero di efficienza delle aziende editoriali. È inoltre emerso unanime oggi», ha proseguito il presidente Fieg, «un accorato appello che ribadisce come il settore editoriale sia non solo una realtà industriale ed economica di grande rilevanza, ma anche e soprattutto un pilastro essenziale per una informazione polifonica, autorevole e documentata, irrinunciabile per la società civile». Di suo, invece, il ministro Lotti ha ribadito che «è stata un’ occasione, importante, sia di confronto sia per fare un bilancio sui provvedimenti concreti messi in campo dal governo in questi ultimi 4 anni. Al contempo, abbiamo colto l’ occasione per analizzare le sfide dei prossimi anni per un settore strategico per il nostro paese e fondamentale per la nostra democrazia».

Editoria, il ministro Lotti e Fieg sulle nuove misure

MF
MAURO ROMANO
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Il ministro Luca Lotti e i vertici della Fieg guidati dal presidente Maurizio Costa si sono confrontati ieri sul futuro del mercato editoriale italiano, soprattutto alla luce della legge dell’ editoria e delle più recenti misure strutturali avviate (tra cui anche gli sgravi fiscali sugli investimenti pubblicitari incrementali, vedere MF del 28/11/17). All’ incontro tra il ministro per lo Sport con delega in materia d’ informazione e comunicazione, accompagnato dal nuovo capo del dipartimento per l’ informazione e l’ editoria, Ferruccio Sepe, e la Fieg si è parlato in particolar modo delle ulteriori azioni da adottare. «La crisi che ha investito l’ editoria giornalistica ha avuto dal governo un livello di attenzione apprezzabile», ha dichiarato Costa. «Restano aperti i nodi della tutela dei contenuti, della trasparenza del mercato pubblicitario, della funzionalità della rete delle edicole e la necessità di ulteriori processi di recupero di efficienza delle aziende editoriali. È inoltre emerso unanime», ha proseguito il presidente Fieg, «un appello che ribadisce come il settore sia non solo una realtà industriale ed economica di grande rilevanza, ma anche e soprattutto un pilastro essenziale per una informazione polifonica, autorevole e documentata». Il ministro Lotti ha ribadito che «è stata un’ occasione, importante, sia di confronto sia per fare un bilancio sui provvedimenti concreti messi in campo dal governo negli ultimi quattro anni. Al contempo, abbiamo colto l’ occasione per analizzare le sfide per un settore strategico e fondamentale per la nostra democrazia».

Gli editori a Lotti “Fermare i pirati che rubano le news”

La Repubblica

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ROMA Aiutare gli editori dei giornali e di Internet a proteggere i loro contenuti dalla pirateria. Rendere il mercato della pubblicità più trasparente e concorrenziale. Lavorare perché la rete delle edicole resti ampia, capillare. Il presidente della Fieg Maurizio Costa ha presentato al ministro Luca Lotti, nell’ incontro di ieri, alcune delle richieste più pressanti degli editori italiani. Dice Costa: «Con il ministro, abbiamo convenuto che il settore editoriale non è solo una realtà industriale ed economica di grande rilevanza, ma soprattutto un pilastro per una informazione polifonica, autorevole e documentata, irrinunciabile per la società civile». Lotti ha ricordato che molto il governo ha fatto negli ultimi quattro anni, a partire dalla nuova legge sull’ Editoria e dalle misure di sostegno al settore, collegate agli investimenti per l’ innovazione nel digitale.

Sfide dell’ editoria, Lotti incontra la Fieg

Il Giorno

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ROMA UNA RIFLESSIONE sulle tendenze in atto nell’ editoria e sulle iniziative assunte dal Governo pur nella pesante e perdurante crisi del settore, ma anche un’ occasione per fare il punto sulle ulteriori azioni da intraprendere. Se ne è parlato ieri alla Fieg nell’ incontro tra il ministro con delega per l’ informazione, Luca Lotti (foto) e i vertici della Fieg in rappresentanza delle principali aziende editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa. «Abbiamo colto l’ occasione – ha sottolineato Lotti – per analizzare le sfide dei prossimi anni per un settore strategico per il nostro Paese e fondamentale per la nostra democrazia». Il presidente degli editori, Maurizio Costa, nel ringraziare il ministro per la sensibilità dimostrata e le significative aperture manifestate emerse ieri ha spiegato che «restano aperti i nodi della tutela dei contenuti, della trasparenza del mercato pubblicitario, della funzionalità della rete delle edicole, e resta la necessità di ulteriori processi di recupero di efficienza delle aziende editoriali». È inoltre emerso unanime, aggiunge, «un accorato appello che ribadisce come il settore editoriale sia non solo una realtà industriale ed economica di grande rilevanza, ma anche e soprattutto un pilastro essenziale per una informazione polifonica, autorevole e documentata, irrinunciabile per la società civile».

EDITORIA Lotti incontra i vertici Fieg

Avvenire

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Il ministro con delega per l’ informazione Luca Lotti ha incontrato ieri i vertici Fieg. «L’ incontro – spiega la Federazione degli editori – ha visto una riflessione sulle tendenze in atto nell’ editoria e sulle iniziative assunte dal governo pur nella pesante e perdurante crisi del settore. A partire dalla nuova legge dell’ editoria e fino alle più recenti misure strutturali».

Illecito ritrasmettere programmi tv senza autorizzazione del broadcaster

Italia Oggi

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La ritrasmissione di canali televisivi free captati nell’ etere è illecita se non viene preventivamente autorizzata dal titolare dei diritti, cioè dall’ editore del canale. Lo ha stabilito ieri la Corte di Giustizia europea esaminando la causa che oppone la società Vcast Limited a Rti-Mediaset davanti al Tribunale di Torino. La causa è stata sollevata da Vcast Limited, società di diritto inglese, per ottenere il riconoscimento della legittimità della propria attività (servizio di videoregistrazione in modalità cloud computing di canali tv di terzi, ovvero via Internet) equiparandola a quella di qualsiasi privato che ha facoltà di videoregistrare liberamente contenuti televisivi senza richiedere alcuna autorizzazione preventiva al titolare dei diritti. Mediaset-Rti si è opposta a tale pretesa, chiedendo al contrario di vietare espressamente a Vcast la messa a disposizione di contenuti altrui a fini commerciali anche attraverso l’ attività di videoregistrazione. Il Tribunale di Torino, come già in precedenza il Tribunale di Milano e quello di Roma, ha inibito in via provvisoria a Vcast l’ esercizio di tale attività in base alle norme italiane sul diritto d’ autore. Ma prima di pronunciarsi in via definitiva, ha chiesto alla Corte di Giustizia europea indicazioni interpretative in merito alla Direttiva comunitaria sul diritto d’ autore. Secondo la sentenza di ieri, appunto, tale attività deve essere soggetta ad autorizzazione da parte del titolare dei diritti. Ora la palla torna al tribunale di Torino che comunque dovrà tenere conto del parere espresso dalla Corte Europea. Al di là del caso specifico, spiega una nota di Mediaset, la sentenza «rappresenta una pietra miliare nella giurisprudenza in materia: è ora stabilito che qualunque società voglia ritrasmettere per proprie finalità commerciali il segnale televisivo di un broadcaster concorrente, anche se diffuso liberamente e gratuitamente nell’ etere, deve ottenere l’ autorizzazione preventiva del titolare del diritto. Un’ autorizzazione che in Italia non è mai stata chiesta agli editori dei canali, né in questa circostanza né in altre che hanno portato a recenti contenziosi – per esempio con operatori satellitari – che vedono Rti-Mediaset ancora una volta parte lesa». Il riferimento, inutile dirlo, è a Sky che con la sua digital key permette di vedere i canali Mediaset attraverso il suo ricevitore satellitare nonostante quest’ ultima abbia oscurato i propri canali sulla piattaforma. Il Biscione, infatti, nel 2009 aveva chiesto a Sky i diritti di ritrasmissione per i propri canali ottenendo in risposta un rifiuto e l’ introduzione poco tempo dopo della Digital Key. Mediaset, dal canto suo ha subito fatto ricorso all’ antitrust e successivamente citato in giudizio l’ operatore satellitare che con il suo MySky consente anche di registrare i programmi del digitale terrestre. Alla luce di questa sentenza è probabile che Mediaset torni all’ attacco su questo fronte anche in vista dell’ introduzione del nuovo decoder Sky Q.

Sentenza Ue: illecito ritrasmettere canali televisivi Free

Il Giornale

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La ritrasmissione di canali televisivi free è illecita se non viene preventivamente autorizzata dal titolare dei diritti, cioè dall’ editore del canale. Lo ha stabilito la corte di giustizia Europea: si tratta di una svolta in materia televisiva a livello comunitario. La Corte è giunta a questa sentenza esaminando la causa che oppone Vcast, società inglese, a Mediaset. Vcast voleva ottenere il riconoscimento della legittimità della propria attività (servizio di videoregistrazione di canali tv di terzi) equiparandola a quella di qualsiasi privato che ha facoltà di videoregistrare liberamente contenuti televisivi per ritrasmetterli. Il Tribunale ha inibito in via provvisoria l’ esercizio di tale attività chiedendo alla corte a Europea indicazioni interpretative. Ora per ritrasmettere il segnale televisivo di un broadcaster deve ottenere l’ autorizzazione preventiva del titolare del diritto.

Pubblicità online, 2017 a +12%

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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La notizia buona per la pubblicità digitale è che quest’ anno la crescita è tornata a doppia cifra: +12% sul 2016, dopo il +9% dello scorso anno, per un totale di 2,65 miliardi di euro secondo le stime dell’ Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano presentate ieri allo Iab Forum, l’ appuntamento annuale dell’ associazione che riunisce gli operatori del settore. La notizia meno buona è per gli editori italiani: su questo totale aumenta la fetta dei grandi player internazionali, da Google e Facebook in poi. «Siamo tornati a crescere a doppia cifra», ha detto a ItaliaOggi il presidente di Iab Italia, Carlo Noseda, «un grande motivo di orgoglio nonostante sia stato un anno dove la reputazione del web è stata messa dura prova: abbiamo parlato di fake news, di brand safety, di indipendenza di misurazione. Tre cose che messe insieme fanno scuotere parecchio l’ albero del digitale. Qualche foglia secca cadrà, qualche foglia forte e giovane che ha sempre operato nella trasparenza e qualità verrà premiata. Queste cose non genereranno una fuga dell’ advertising, semplicemente uno spostamento degli investimenti all’ interno del digital advertising». La quota degli over the top stranieri è però passata dal 67% del 2016 (circa 1,6 miliardi di un totale di 2,36 miliardi) al 71% di quest’ anno, ovvero 1,9 miliardi. Da una parte gli ott hanno attratto il 71% degli investimenti contro il 67% di un anno prima inglobando l’ intera crescita, dall’ altra gli editori italiani (o chi in Italia ha una propria sede e investimenti) sono alla meglio in pari rispetto allo scorso anno. «La situazione degli ott è la stessa in tutto il mondo», ha commentato Noseda. «Ma per l’ Italia vedo un grande vantaggio: siamo molto bravi nella creazione dei contenuti. Se siamo in grado di valorizzarne ulteriormente la produzione l’ intera industry in qualche modo ne beneficerà». Ovviamente è la pubblicità video a spingere la crescita con il suo +38% (715 milioni di euro). Per quanto riguarda le modalità di acquisizione è il programmatic advertising a distinguersi: +26% e 396 milioni. Il valore dell’ intera economia digitale di cui l’ advertising online è un segmento, secondo la ricerca di Iab Italia e EY, è di 58 miliardi di Euro (+9%) con 253.000 persone occupate (+15%). Considerando anche l’ indotto si arriva a un valore complessivo di 80 miliardi, con oltre 600 mila occupati. In Italia, comunque, c’ è ancora spazio per la crescita. Fabrizio Angelini, country manager italiano della società di rilevazione comScore, ha mostrato come i 38,3 milioni dell’ audience digitale mensile della Penisola rappresentino soltanto il 66% della reach (della penetrazione sul totale degli italiani), una percentuale inferiore rispetto a Spagna (76%), Uk (81%) e Usa (86%). Per contro in Italia c’ è un incremento del mobile notevole (+17%). Fra un paio d’ anni, perciò «si aggiungeranno altri 6/7 milioni di persone a questi numeri e la crescita sarà spinta dal mobile», ha detto Angelini. Di qui si apre tutta una serie di riflessioni: al mobile si dedica più tempo e le applicazioni sono preferite alla navigazione con browser, peccato che si utilizzino soltanto pochissime app (ai primi posti quelle delle galassie Google-Facebook). Inoltre gli utenti più evoluti non sono quelli che navigano soltanto da mobile (e in Italia ce ne sono molti), ma quelli che utilizzano più dispositivi, compreso il pc. Il mobile, infine, sta spingendo il consumo dei video, importante perché è il segmento della pubblicità a più alta crescita e perché attirano utenti premium. Il cambiamento dei modelli di fruizione è in atto e bisogna anticiparlo. Anche perché secondo comScore il ritorno sugli investimenti pubblicitari aumenta del 60% se si fa una pianificazione multipiattaforma anziché sulla sola tv. Perciò occorre ripensare i modelli di misurazione dei diversi mezzi. «Serve un nuovo modello multipiattaforma per mandare avanti l’ industria», ha detto Angelini. E un’ estensione del suo modello di misurazione la sta compiendo proprio in questo periodo l’ Auditel che a regime sarà in grado di rilevare i programmi dei broadcaster aderenti anche online sulle diverse piattaforme. Il direttore tecnico e scientifico della società, Davide Crestani, ha spiegato che dopo l’ avvio del superpanel da 15 mila persone, ora si stanno installando i nuovi meter che metteranno insieme i dati censuari raccolti da comScore sui programmi online con i consumi dei panelisti in modo da avere una rilevazione completa dei consumi televisivi sulle differenti piattaforme. © Riproduzione riservata.

Mediaset al lavoro sull’ lcn 20

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Oggi il canale Iris di Mediaset compie dieci anni dal lancio. E’ stato il primo canale italiano nato sul digitale terrestre, all’ lcn 22. Nel marzo del 2018, invece, si spegneranno le candeline per il primo anno passato dopo l’ acquisto dell’ lcn 20 da Rete Capri. E ci si augura che, per quella data, il Biscione abbia deciso cosa metterci sopra. Dopo aver speso 15 milioni di euro per l’ acquisto del 20 e degli lcn 120 e 520 del digitale terrestre, a Cologno Monzese hanno elaborato varie ipotesi sullo sviluppo del nuovo canale che dovrebbe partire nel primo semestre del 2018. Nessuna di queste, per ora, ha però convinto pienamente l’ amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi, che cerca soluzioni innovative e, possibilmente, in grado di intercettare un pubblico piuttosto giovane. Molto dipende anche da come andrà a finire il contenzioso con Vivendi, che deciderà il futuro di Premium, e dalle aste per i diritti tv del calcio 2018-2021, che sono partite intrecciate e di grande peso. Il canale 20, infatti, potrebbe ad esempio essere una perfetta destinazione delle grandi serie tv e film che Premium trasmette in esclusiva e in anteprima e che poi potrebbero andare in chiaro. Il riferimento sarebbe in questo caso Rai 4, ma un po’ più popolare. Negli ultimi tempi, però, si è fatta strada pure l’ ipotesi di lanciare sul 20 un nuovo canale di approfondimenti giornalistici, lifestyle e serie, un po’ sulla falsariga di Viceland. Ci sono stati abboccamenti con il gruppo Vice Media, per studiare una eventuale partnership. Ma a Cologno Monzese provano pure a pensare a una soluzione tutta interna, una mini tv generalista con prodotti originali realizzati ad hoc da Mediaset con i suoi personaggi di punta, e anche con serie e film. Si tratterebbe, insomma, di una sorta di La5, ma non al femminile, più orientata verso un pubblico giovane e maschile. Come spiegava qualche settimana fa Marco Costa, direttore dei cinque canali tematici in chiaro di Mediaset (Iris, Italia 2, La5, Top Crime, Extra) e dei nove canali pay di cinema e di serie tv di Premium, «stiamo ancora studiando il mercato, cosa si muove nel mondo della tv digitale, cerchiamo di capire cosa manca, lavoriamo a ipotesi di palinsesto. Dobbiamo trovare il modo di valorizzare la nostra library in maniera originale, fare cose nuove o proporre cose già andate in onda, ma in maniera nuova. Di sicuro il canale che andrà sull’ lcn 20 sarà tematico e non sarà sportivo. Per il resto, stiamo ancora facendo focus per capire il target potenziale». Intanto sull’ lcn 20, ancora a marchio Rete Capri, passano molte televendite di MediaShopping e vecchi film e telefilm, mentre Sony, Viacom, De Agostini o Scripps lanciano a raffica nuovi brand televisivi in chiaro. Il timore, tuttavia, è che finché non si scioglie il nodo Vivendi, per Mediaset sarà un po’ più complicato decidere i destini del 20. In attesa, appunto, di sapere la fine che farà Premium (andrà a Vivendi-Tim o resterà a Mediaset, sarà ancora una pay tv con molto calcio, oppure diventerà una offerta pay più leggera, dedicata solo a film e serie tv) e gli esiti del risarcimento che Mediaset chiede a Vivendi. Peraltro, va sottolineato come il Biscione non abbia mai indicato ufficialmente, nero su bianco, una cifra per tale risarcimento. Sulla stampa si è parlato di tre miliardi di euro, ma è una somma che nessun tribunale italiano riconoscerebbe mai come risarcimento danni. Più plausibili cifre attorno ai 500 milioni di euro, vicine, per esempio, ai 541 milioni di euro che Fininvest ha dovuto pagare a Cir per la vicenda del Lodo Mondadori. © Riproduzione riservata.

Mondiali di calcio, la Rai parteciperà all’ asta ma senza fare follie. Parola del d.g. Orfeo

Italia Oggi

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«La Rai parteciperà, ma non certo ad aste folli» per i prossimi Mondiali di calcio: con queste parole il direttore generale di Viale Mazzini Mario Orfeo ha spiegato ieri, prima della presentazione del 101° Giro d’ Italia, le sue intenzioni sui diritti sportivi. E in contemporanea ha aggiunto che la Rai punta a breve all’ acquisizione dei diritti delle Olimpiadi invernali in Corea. I prossimi Giochi invernali, dopo l’ assenza a Sochi, segnano «un appuntamento importante per lo sport italiano. Sono quegli eventi a cui il servizio pubblico non può rinunciare perché ci sono tanti atleti azzurri. È un evento che il servizio pubblico deve trasmettere», ha confermato Orfeo sottolineando che l’ eliminazione degli Azzurri «cambia la scelta sui diritti. È una scelta commerciale, non di servizio pubblico».

Web, Springer e Discovery credono in Thrillist & co.

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Ci sono piattaforme online che riescono ancora ad attirare investimenti e pianificare piani di sviluppo, a dispetto delle traversie di molti altri grandi protagonisti del web come Oath, Mashable, Vice e BuzzFeed (vedere ItaliaOggi del 25/11/2017). Si tratta, per esempio, degli americani di Group nine media che hanno raccolto 40 milioni di dollari (33,8 mln di euro) dal network tv Discovery e dall’ editore tedesco della Bild Axel Springer. A parte l’ intenzione di sviluppare una produzione più importante di video e concludere acquisizioni mirate, il caso positivo Nine media emerge perché, a distanza di un anno e poco più, la piattaforma nata nell’ ottobre 2016 è riuscita a incassare, con un secondo round di finanziamenti, quasi la metà della sua dotazione iniziale pari a circa 100 milioni di dollari (84,4 mln di euro). Non solo, Discovery e Axel Springer sono le stesse società che, insieme al fondo di venture capital specializzato in start-up tecnologiche Lerer Hippeau Ventures, sostengono economicamente la piattaforma ma ci hanno creduto anche al suo esordio, investendo per unire il portale Thrillist (dedicato al lifestyle dal cibo all’ intrattenimento, nella foto), NowThis Media (informazione via mobile) e Dodo (editrice internet specializzata in animali) con Seeker (ex Discovery digital networks). I tre portali sono stati seguiti e sviluppati da Lerer Hippeau Ventures che, dalla sua, ha i tre soci Ken e Ben Lerer (rispettivamente cofondatore dell’ Huffington Post e fondatore di Thrillist) e Eric Hippeau, ex a.d. dell’ Huffington Post e già consigliere di SoftBank Capital. Certo le dimensioni sono lontane dai parametri di Vice o Buzzfeed (che ha appena annunciato il taglio di 100 posti di lavoro) ma, in un momento di crisi anche per le piattaforme che su internet avrebbero dovuto trovare l’ Eldorado, spiccano gli esempi (c’ è anche Axios) di chi sembra farcela.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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BuzzFeed taglia 100 posti di lavoro. Saranno 100 i licenziamenti a BuzzFeed, una delle società media che ha registrato la più forte crescita negli ultimi anni ma che starebbe pagando i risultati del 2017, al di sotto delle attese. A sostenerlo è stato ieri il Wall Street Journal che ha sottolineato come i licenziamenti valgano, nel complesso, poco meno del 6% dei 1.700 dipendenti. La maggior parte dei tagli dovrebbe arrivare nel settore commerciale e amministrativo della sede statunitense, dove la forza lavoro sarà ridotta dell’ 8%. Ma il ridimensionamento potrebbe toccare anche personale amministrativo e giornalisti della sede britannica. La notizia confermerebbe l’ indiscrezione, pubblicata lo scorso 16 novembre sempre dal Wall Street Journal, secondo il quale BuzzFeed non centrerà i target di fine anno: l’ obiettivo di 350 milioni di dollari (circa 295,1 milioni di euro) di fatturato dovrebbe essere mancato del 15-20%. Cioè di 70 milioni (59 milioni di euro). Una falla sulle previsioni che rende «remota», secondo la fonte del Wsj, una quotazione imminente, indicata come molto probabile fino a poche settimane fa. La7, martedì ascolti al 6,61% in prime time. Ancora una giornata di grandi ascolti, quella di martedì scorso, per la La7 che con il 6,61% di share in prime time (20.30-23.30) si attesta come quarta rete superando Rai3, Rai2 e Rete4 ferme rispettivamente al 4,29%, al 3,93% e al 3,09%. Cresce ancora diMartedì che con il 6,93% di share e 1.571.055 telespettatori medi supera anche questa settimana Cartabianca su Rai3, ferma al 3,82% e 863.438. Il programma di Giovanni Floris ottiene picchi del 9,15% di share con 2.224.287 telespettatori. Sempre bene Otto e Mezzo di Lilli Gruber che conquista il 6,36% di share con 1.697.001 telespettatori medi e un picco del 7,19% e 1.958.366. Il Tg delle 20.00 di Enrico Mentana ottiene il 5,47% di share e 1.321.260 telespettatori medi e un picco del 6,21% e 1.545.182. Il Network La7 (La7 e La7d) conquista il 4,79% di share nella giornata (7.00-2.00) con 11.984.970 telespettatori contattati nelle 24 ore (2.00-2.00) e il 7,01% in prime time (20.30-23.30). Internet, pubblicità a 1,7% a ottobre. Secondo i dati di fatturato rilevati dall’ Osservatorio Fcp-Assointernet (Fcp-Federazione concessionarie pubblicità) per il periodo gennaio-ottobre 2017, nel mese di ottobre la raccolta ha raggiunto i 44,2 milioni di euro, in crescita dell’ 1,7%. In particolare, il web ha registrato un calo del 5,6%, il mobile un incremento del 62,9%, il tablet un aumento del 97,4% e la smart tv-console una diminuzione del 53,2%. Nei 10 mesi i ricavi pubblicitari del mezzo sono stati pari a 354 milioni di euro (+0,9%). «Dopo la crescita consistente registrata nel terzo quarter 2017, chiuso con un +7% rispetto al periodo omologo dell’ anno precedente, il fatturato web segna un incremento anche ad ottobre, tra i mesi più rilevanti per volume di investimenti sul mezzo», commenta il presidente di Fcp Assointernet Giorgio Galantis. «La crescita nel perimetro monitorato da Fcp-Assointernet è infatti del +1,7% e porta il dato progressivo dei dieci mesi a +0,9% sul 2016». Il Tirreno, arriva la newsletter economica. Il Tirreno lancia una nuova iniziativa editoriale: la newsletter economica che va ad aggiungersi al mensile ToscanaEconomia in edicola con il quotidiano la seconda settimana di ogni mese e all’ omonima sezione dedicata sul sito www.iltirreno.it. Dal lunedì al venerdì, alle 19, chi ha deciso di iscriversi alla newsletter riceve le notizie del giorno dell’ economia toscana e nazionale. Per registrarsi alla newsletter, gratuita, è sufficiente scrivere il proprio indirizzo mail nel modulo in calce a ogni articolo pubblicato nella sezione ToscanaEconomia sul sito de Il Tirreno. Accordo Miur-Repubblica per imparare a fare un giornale. Apprendere come si scrive una notizia, come si fa un’ intervista, come si scrive per una testata online e come si fa circolare una notizia sui social, imparando dalle grandi firme: sono alcune delle abilità che gli studenti potranno acquisire, nell’ ottica dell’ alternanza scuola-lavoro, grazie a un accordo tra il ministero dell’ istruzione e il gruppo di Repubblica che è stato siglato ieri al Miur. Tutto avverrà gratuitamente a distanza, grazie a una piattaforma digitale. Ogni scuola coinvolgerà da 10 a 30 studenti, per un periodo minimo di quattro settimane. Repubblica ha già avviato il progetto il 20 novembre con quattro scuole e 83 ragazzi coinvolti. Sole 24 Ore, closing della cessione del 49% di Business School24 a Palamon. Il Sole 24 Ore ha effettuato ieri il closing con Palamon Capital Partners LP relativo alla cessione da parte della società di una partecipazione pari al 49% di Business School24, società di nuova costituzione a cui, in data 1° settembre 2017, era stato conferito il ramo aziendale con cui il gruppo confindustriale esercitava le attività nel settore della formazione. A fronte del trasferimento, il Sole ha incassato l’ importo di 36,7 milioni, quale prima tranche del corrispettivo della cessione (pari complessivamente a 40,8 milioni), mentre il residuo importo di 4,1 milioni sarà incassato, al più tardi, entro il 2023. Con Radio Italia si vince l’ Nba London Game 2018. Radio Italia, radio ufficiale dell’ Nba Italia, offre ai suoi ascoltatori e agli appassionati del grande basket made in Usa l’ opportunità di volare a Londra e assistere all’ Nba London Game 2018 presented by Nike! Fino al 13 dicembre sul sito www.radioitalia.it è attivo un concorso che permette a un ascoltatore (e a un suo accompagnatore) di aggiudicarsi un volo per Londra e due biglietti per assistere al match tra «Philadelphia 76ers» e «Boston Celtics» l’ 11 gennaio 2018 all’ O2 Arena. Per partecipare al concorso basterà collegarsi a radioitalia.it, cliccare nell’ apposita sezione www.radioitalia.it/nbalondongame2018 e rispondere ad alcune domande sul mondo della pallacanestro. Tra tutti coloro che avranno risposto correttamente, sarà estratto il vincitore finale. Monte-Carlo Film Festival, Lelouch presidente della giuria. Sarà Claude Lelouch, il regista francese due volte premio Oscar, a presiedere la giuria della 15° edizione del Monte-Carlo Film Festival de la Comédie, che si svolgerà dal 26 febbraio al 3 marzo 2018 nel Principato di Monaco. Ideato e diretto da Ezio Greggio, si tratta del primo festival al mondo dedicato alla commedia che quest’ anno avrà luogo interamente nella sede del Grimaldi Forum di Montecarlo.

I vertici Fieg incontrano il ministro Lotti. Tra i temi affrontati le difficoltà e le sfide future del settore e le iniziative messe in campo dal governo

Prima Comunicazione

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Si è tenuto oggi presso la Fieg un incontro tra il Ministro con delega per l’ informazione Luca Lotti – accompagnato dal Capo del Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria, Ferruccio Sepe – e i vertici della Federazione Italiana Editori Giornali in rappresentanza delle principali aziende editrici di quotidiani, periodici e agenzie di stampa. Nel corso dell’ incontro, spiega una nota diramata dalla Fieg, si è discusso sulle tendenze in atto nell’ editoria e sulle iniziative assunte dal Governo – dalla nuova legge dell’ editoria e fino alle più recenti misure strutturali -, riflettendo sulle prospettive future e sulle ulteriori azioni da intraprendere. Nella foto, Luca Lotti e Maurizio Costa “È stata un’ occasione, importante, sia di confronto sia per fare un bilancio sui provvedimenti concreti messi in campo dal Governo in questi ultimi 4 anni”, ha detto il ministro Lotti. “Abbiamo colto l’ occasione per analizzare le sfide dei prossimi anni per un settore strategico per il nostro Paese e fondamentale per la nostra democrazia”. “La crisi che ha investito l’ editoria giornalistica ha avuto dal Governo un livello di attenzione assolutamente apprezzabile”, ha detto il presidente Fieg, Costa, sottolineando però come restino aperti “i nodi della tutela dei contenuti, della trasparenza del mercato pubblicitario, della funzionalità della rete delle edicole”. “Resta la necessità di ulteriori processi di recupero di efficienza delle aziende editoriali”, ha aggiunto. “È inoltre emerso unanime oggi un accorato appello che ribadisce come il settore editoriale sia non solo una realtà industriale ed economica di grande rilevanza, ma anche e soprattutto un pilastro essenziale per una informazione polifonica, autorevole e documentata, irrinunciabile per la società civile”, ha concluso Costa.

Delitto Cutuli condannati due afghani

Il Mattino

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ROMA A 16 anni dall’ omicidio di Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera vittima di un agguato in Afghanistan in cui morirono anche l’ inviato di El Mundo Julio Fuentes e due corrispondenti della Reuters, l’ australiano Harry Burton e l’ afghano Azizullah Haidari, arriva la prima sentenza di condanna in Italia. Emessa ieri dalla Corte di assise per due afghani ritenuti appartenenti al commando di killer: Mamur e Zar Jan, entrambi di etnia Pashtun. 24 anni per i due ora detenuti in patria dove, per l’ agguato del 19 novembre 2001 sulla strada che da Jalalabad porta a Kabul, stanno scontando rispettivamente 16 e 18 anni. La Corte di assise ha inflitto ai due imputati, che hanno ascoltato il verdetto in videoconferenza, anche il risarcimento danni ai familiari della giornalista e alla Rcs per 250 mila euro. I difensori dei due imputati hanno annunciato ricorso in appello. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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