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Rassegna Stampa del 11/11/2017

Indice Articoli

Sit-in dei giornalisti alla palestra di Spada. Ha un nome il guardaspalle

Radio Deejay e gli impianti abusivi nascosti tra le pareti

Rai, anche l’ etere è un flop: meno 6%

Sole 24 Ore, nei primi nove mesi margini in miglioramento al netto degli oneri non ricorrenti

Rcs torna in utile a fine settembre

Rcs, margini raddoppiati Profitti a quota 19,8 milioni

«Partnership con pubblico per digitale»

Pubblicità, il futuro è su misura

Ascolti, in vetta c’ è Rtl 102,5

Chessidice in viale dell’ Editoria

Rai spinge il digital

Rcs, l’ utile sale a 20 milioni

La sfida in onda media

«Un patto per il digitale»

Boom di Rtl 102.5, Virgin supera Radio2 Radiogiornale

Rtl, la radio più ascoltata in Italia

Radio, ascolti in crescita Deejay oltre 5 milioni

«Troppe insidie sul web bisogna tutelare i minori»

Sit-in dei giornalisti alla palestra di Spada. Ha un nome il guardaspalle

Il Fatto Quotidiano
Vincenzo Bisbiglia e Andrea Managò
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Stavolta le uniche testate che si sono viste in via Antonio Forni, a Nuova Ostia, sono quelle giornalistiche. Ieri mattina decine di cronisti, filmmaker e fotografi si sono ritrovati di fronte alla palestra dove Roberto Spada, martedì pomeriggio, ha rotto il setto nasale con una testata al giornalista Daniele Piervincenzi della trasmissione Nemo di Rai2, che tentava di chiedergli del suo appoggio a CasaPound alle elezioni per il Municipio X. Un presidio per testimoniare vicinanza al cronista Rai e ribadire che non deve prevalere la paura nel raccontare anche le realtà del Paese dove disagio sociale e malavita si intrecciano. Dal 2013 il Lazio è al primo posto per le minacce ai giornalisti. Il tam tam per organizzare la manifestazione è partito sul Web, sostenuto dalla rete di giornalisti Nobavaglio. “Queste testate qui avvengono quotidianamente, sono la legge che piega le persone e le porta a non denunciare”, racconta Federica Angeli, da anni sotto scorta anche per le inchieste sulla criminalità del litorale. Mercoledì il sindacato Stampa Romana e la Fnsi riceveranno il ministro dell’ Interno Marco Minniti. Ma la gente del circondario continua a difendere Roberto “il pugile”. Intanto proseguono le indagini dei carabinieri sull’ aggressione. In particolare, hanno identificato il presunto “guardaspalle” di Roberto Spada, che dopo la testata sferrata dal fratello del boss si è avventato su Piervincenzi e sull’ operatore colpendoli con calci e pugni. Non solo. Secondo la denuncia dei giornalisti, all’ episodio avrebbero assistito avventori della palestra e residenti della zona, senza che nessuno muovesse un dito per sedare l’ aggressione e, anzi, minacciando e inveendo contro i due malcapitati. I sospetti sono rivolti soprattutto all’ interno della famiglia Spada, o comunque del “sodalizio” (quindi il clan) citato nelle carte giudiziarie. Tutto ciò, in attesa dell’ udienza di convalida del fermo di Roberto Spada oggi a Regina Coeli, alla presenza del gip Anna Maria Fattori. I pm Giovanni Musarò e Ilaria Calò chiedono la convalida del fermo e la custodia in carcere per Spada, indagato per lesioni e violenza privata con l’ aggravante mafiosa. Anche in vista del ballottaggio del 19 novembre, il prefetto di Roma, Paola Basilone, ha convocato proprio a Ostia, martedì 14, il Comitato provinciale per l’ ordine e la sicurezza con la sindaca Virginia Raggi, i vertici delle forze dell’ ordine e il rappresentante della Procura: “Modulare un sistema di controllo” del territorio durante le operazioni elettorali.

Radio Deejay e gli impianti abusivi nascosti tra le pareti

Il Fatto Quotidiano
Tommaso Rodano
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Dietro segnali e frequenze radiofoniche si consumano guerre sconosciute e cruentissime. C’ è una piccola stazione capitolina, Radio Sportiva Roma, che combatte contro un gigante dell’ emittenza nazionale, il gruppo Gedi (l’ editore, tra le altre, di Repubblica, la Stampa e l’ Espresso, proprietario di Radio Capital, m2o e Radio Deejay). La battaglia che ha ingaggiato la piccola emittente è proprio contro Radio Deejay, la seconda più ascoltata del Paese, proprietaria di centinaia di frequenze in tutta Italia. Denunciano presunte pressioni, lecite e illecite, per impossessarsi del loro spazio radiofonico (Radio Deejay nel Lazio trasmette anche sulla frequenza 90.100 Mhz, Radio Sportiva trasmette su 90.0). Il Gruppo Gedi si sente tutelato da una sentenza del Tar, confermata dal Consiglio di Stato nel 2016, che riconosce le interferenze di Radio Sportiva sulle frequenze di Radio Deejay. Secondo Radio sportiva, invece, i potenti dirimpettai si sarebbero serviti di ripetitori abusivi per amplificare il proprio segnale, “simulando” così un’ interferenza altrimenti inesistente. La svolta è di poche settimane fa. Quest’ estate gli ispettori del ministero dello Sviluppo economico hanno rilevato un aumento anomalo nel livello di segnale delle trasmissioni di Radio Deejay provenienti da Monte Cosce, in provincia di Rieti. Il 21 settembre hanno quindi visitato l’ impianto, che trasmette Radio Deejay sulla frequenza 90.100 Mhz. Nel corso dell’ ispezione si sono imbattuti in una scoperta clamorosa. Attraverso una piccola porta su un muro hanno trovato l’ accesso ad uno stanzino ricavato tra le pareti del locale. All’ interno dell’ intercapedine era nascosto un doppio impianto di trasmissione non autorizzato. Entrambi i trasmettitori erano attivi e in funzione, collegati a un sistema di antenne a sua volta irregolare (una delle due antenne, collocata a 21 metri di altezza, era stata oggetto di una precedente ispezione da cui risultava una “difformità di esercizio”). Tutto ben nascosto: il sistema, per usare le parole del ministero, era “rinvenibile solo a un’ ispezione molto accurata e approfondita della postazione”. Radio Deejay aveva dichiarato un solo impianto di trasmissione dalla potenza di 250 watt. Gli altri due trasmettitori nascosti nell’ intercapedine avevano invece una potenza, rispettivamente, di 1.000 e 2.000 watt. Ecco le conclusioni degli ispettori: grazie al doppio impianto non autorizzato l’ emittente era in grado di utilizzare “una potenza ben maggiore di quella legittimamente prevista” e “di guadagnare sul territorio una ricezione di segnale di gran lunga maggiore rispetto a quella propria della configurazione legittima dell’ impianto”. Dopo i controlli Radio Deejay è stata diffidata a rimuovere i sistemi di trasmissione e le antenne non autorizzate. La radio ha provveduto immediatamente, come sottolinea il documento che il ministero ha trasmesso alle procure di Roma e Rieti: “A seguito di questo fortunato rinvenimento, cui è seguita la citata diffida, il segnale della Radio Deejay è repentinamente rientrato nei livelli che da sempre ci si attendeva di dover e poter riscontrare”. Il Gruppo Gedi se la caverà con pochissimo: rischia una sanzione compresa tra i 300 e i 5.800 euro. Ma replica: “Il Consiglio di Stato ha sancito il diritto di Radio Deejay di non essere interferita sul proprio impianto di Monte Cosce dall’ impianto della società Mediaradio (proprietaria di Radio Sportiva, ndr)”. Aggiungono: “L’ impianto di Radio Deejay risulta tuttora interferito da quello di Mediaradio, che opera con caratteristiche tecniche che eludono la sentenza”. I trasmettitori abusivi, secondo Gedi, sarebbero solo degli “apparati di scorta”. Una ricostruzione che non coincide con le osservazioni degli ispettori ministeriali.

Rai, anche l’ etere è un flop: meno 6%

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Se Atene piange Sparta non ride. Così si può definire la situazione della Rai tra tv e radio. Perché se Viale Mazzini perde telespettatori sul piccolo schermo, con il calo dei programmi-traino spesso sconfitti dai diretti competitor, non va bene nemmeno la radio del direttore artistico universale Carlo Conti. Lì si registra un pesante calo di ascoltatori. Cinquecentomila in meno – secondo le rilevazioni Ter, Tavolo editori radio – rispetto alla scorsa stagione (oltre il 6 per cento), secondo i dati del primo semestre 2017 pubblicati ieri, che vede Rtl 102.5 (8.483.000 ascoltatori giornalieri) vincere la partita, seguita da Rds, Radio Italia e Radio Deejay. Al quinto posto c’ è Rete 105 e solo al sesto si trova finalmente Radio 1 Rai (3.930.000). All’ ottavo posto, dopo Virgin Radio, ecco Radio 2 (2.699.000), mentre per trovare Radio 3 (1.385.000) bisogna scendere alla quindicesima posizione. Radio 1 rispetto a un anno fa perde il 5,8%, Radio 3 il 3,3%, mentre Radio 2 passa dal settimo all’ ottavo posto. Vero che rispetto alla precedente rilevazione è cambiato il metodo di raccolta – con un diverso sistema di interviste, di istituti di ricerca e di periodo di rilevazione -, ma il dato è che quasi tutte le radio aumentano gli ascolti tranne quelle di mamma Rai. Per la radio, infatti, non esiste l’ auditel, ma si procede con la tecnica dei sondaggi, facendo delle interviste. E il cambio di metodologia nei mesi passati ha provocato diverse polemiche tra le stesse emittenti, con alcune in aperto contrasto verso il nuovo sistema. Nonostante la flessione, la Rai però canta vittoria esprimendo “apprezzamento per i quasi 9 milioni di ascoltatori che ogni giorno si sintonizzano sui nostri canali”. Il risultato, dice il direttore di Radio Rai Roberto Sergio, “si conferma in linea con il pari periodo del 2016, premia l’ offerta di servizio pubblico di qualità dove affidabilità, autorevolezza e linguaggio sono parole chiave di un bouquet di canali unico per completezza e penetrazione”. Un entusiasmo che appare ingiustificato, come fa notare il deputato dem Michele Anzaldi. “I dati sulla radio sono molto preoccupanti per il servizio pubblico. Ed è sorprendente che il direttore di Radio Rai li accolga addirittura con soddisfazione. I tre storici canali radiofonici Rai perdono in un anno oltre mezzo milione di ascoltatori, mentre tutti i principali concorrenti privati aumentano il proprio pubblico”, scrive Anzaldi in un post su Fb. I risultati confermano le voci che si registrano da tempo dall’ interno della tv pubblica secondo cui i vertici di Viale Mazzini hanno relegato la radio in un angolo e poco se ne occupano. E il vorticoso cambio di direttori non aiuta. Solo negli ultimi tre anni a Radio 1 e al giornale radio se ne sono avvicendati tre: Flavio Mucciante, esperto del settore e infatti con lui gli ascolti si stavano risollevando; Andrea Montanari, parcheggiato lì dalla televisione in attesa di prendere il posto di Mario Orfeo alla guida del Tg1; e Gerardo Greco, anch’ egli in prestito dal piccolo schermo. Direttore artistico, invece, dal giugno 2016 è Conti, che però continua a stare in tv come prima. “Quando la questione radiofonica sarà affrontata dal Cda?”, si chiede Anzaldi. In Consiglio, infatti, di radio non si parla quasi mai. E men che meno se ne parla in commissione di Vigilanza. A esultare, invece, sono gli altri. Come Lorenzo Suraci, patron di Rtl 102.5. “Siamo molto felici e vogliamo condividere questa gioia con i milioni di italiani che ci seguono. Rtl 120.5 è la loro e la nostra famiglia radiofonica”, dice l’ imprenditore proprietario anche di Radio Zeta e Radio Freccia. Ma nella partita dell’ etere in campo c’ è pure Mediaset, proprietaria di Radio 101, 105, Virgin e Subasio. “Siamo soddisfatti dei risultati, abbiamo quattro brand molto forti”, dice Paolo Salvaderi, ad di RadioMediaset.

Sole 24 Ore, nei primi nove mesi margini in miglioramento al netto degli oneri non ricorrenti

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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MILANO Il margine operativo lordo del Gruppo 24 ORE nel periodo gennaio-settembre 2017, al netto di oneri non ricorrenti per 23 milioni, migliora di 8,8 milioni portandosi a -11,5 milioni di euro rispetto al valore negativo di 20,3 milioni del pari periodo del 2016 rideterminato. L’ ebitda di gennaio-settembre 2017, si legge in una nota del gruppo, è negativo per 34,5 milioni di euro e si confronta con un risultato negativo di 29,4 milioni di euro del pari periodo del 2016 rideterminato. Il risultato operativo (ebit), al netto di oneri non ricorrenti per 23 milioni, migliora di 13,8 milioni portandosi a -22,1 milioni di euro (-35,9 milioni di euro nel pari periodo del 2016 rideterminato). L’ ebit è negativo per 45,1 milioni di euro e si confronta con un ebit negativo di 51,0 milioni di euro di gennaio – settembre 2016 rideterminato. Il risultato netto al netto degli oneri non ricorrenti è pari – 20,4 milioni di euro (-35,1 milioni di euro nello stesso periodo del 2016 rideterminato). Il risultato netto è negativo per 51,2 milioni di euro e si confronta con un risultato negativo rideterminato di 61,6 milioni di euro del pari periodo del 2016. Nel periodo gennaio-settembre del 2017, il Gruppo 24 ORE ha conseguito ricavi consolidati pari a 168,3 milioni di euro che si confrontano con un valore rideterminato pari a 193,0 milioni di euro dello stesso periodo del 2016 (-24,7 milioni di euro, pari al -12,8%). I margini operativi beneficiano della significativa riduzione dei costi diretti e operativi pari a 27,6 milioni (-19,8% rispetto al pari periodo 2016). Il gruppo va verso la conclusione della manovra patrimoniale e finanziaria. È in itinere il processo dell’ aumento di capitale pari a 50 milioni di euro: Confindustria ha già versato 30 milioni per l’ esercizio dei diritti d’ opzione e i residui 20 milioni sono garantiti da un consorzio di collocamento. Sono già stati versati da Palamon in un escrow account 36,7 milioni come previsto negli accordi per la cessione del 49% dell’ area Formazione. I risultati del terzo trimestre 2017, si legge nella nota del gruppo, sono in linea con le previsioni del Nuovo Piano per l’ esercizio 2017 come da ultimo approvato in data 4 settembre scorso: a fronte di una perdurante debolezza dei ricavi prosegue la riduzione dei costi diretti e operativi. Pertanto la società ritiene di poter escludere la ricorrenza prospettica (nei prossimi dodici mesi) della fattispecie di cui all’ articolo 2446 del Codice Civile. La posizione finanziaria netta è negativa per 65,9 milioni al 30 settembre 2017. Il dato si confronta con un valore al 30 giugno 2017 negativo per 55,2 milioni, in peggioramento di 10,7 milioni. Tale variazione deriva dalla gestione operativa del periodo ed è principalmente dovuta al pagamento del canone trimestrale di affitto della sede di Milano, via Monte Rosa, alla penale per l’ uscita anticipata dall’ immobile di Pero (Milano), agli oneri contributivi relativi alle quattordicesime, al versamento della liquidità nella società Business School24 all’ interno dell’ operazione di conferimento del ramo d’ azienda Formazione, nonché all’ effetto stagionalità delle vendite che si riflette in un calo degli incassi dei mesi estivi. Il costo del personale, pari a 91,3 milioni, è in aumento di 9,1 milioni rispetto al pari periodo 2016. Su tale incremento di costi incidono in particolare oneri di ristrutturazione per 20,6 milioni. Complessivamente, il costo del personale al netto degli oneri di ristrutturazione è in diminuzione di 6,0 milioni di euro (-7,9%) rispetto al pari periodo del 2016, principalmente in relazione alla diminuzione dell’ organico medio. L’ organico medio dei dipendenti, al netto dell’ area Formazione, è pari a 1.088 unità e si confronta con un dato del pari perimetro del 2016 di 1.149 unità. Il calo dei ricavi è dovuto in particolare alla diminuzione dei ricavi editoriali pari a 10,8 milioni di euro (-11,8%), al calo dei ricavi pubblicitari pari a 8,4 milioni di euro (-10,4%). Il comunicato sottolinea come il calo dei ricavi pubblicitari nel terzo trimestre 2017 sia stato pari al 7,6% rispetto al calo registrato nel primo semestre 2017 pari all’ 11,5%. La diffusione cartacea media per il periodo gennaio – settembre 2017 è pari a circa 93 mila copie (-24,1% vs 2016). La diffusione digitale è pari a circa 86 mila copie (+0,5% vs 2016). La diffusione cartacea sommata a quella digitale è complessivamente pari a 179 mila copie medie (-14,0% vs 2016). Relativamente alle copie vendute medie nel periodo gennaio-settembre 2017, le cartacee sono pari a 83 mila copie (-23,1% vs 2016). Le copie vendute cartacee sono inferiori alle copie diffuse cartacee su pari periodo per l’ esclusione delle copie omaggio e di quelle distribuite tramite l’ Osservatorio Giovani Editori. Le copie digitali totali sono pari a 148 mila copie (-7,5% vs 2016), di cui 61 mila copie digitali multiple vendute a grandi clienti non dichiarate ad ADS nei dati diffusionali. Complessivamente le copie carta + digitale medie vendute nel periodo gennaio- settembre 2017 sono pertanto pari a 231 mila copie (-13,8% vs 2016). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rcs torna in utile a fine settembre

Il Sole 24 Ore
S.Fi.
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Milano Urbano Cairo sta facendo, in Via Solferino, quello che aveva promesso: risanare i conti del Corriere della Sera, storico quotidiano italiano, a un certo punto arrivato a essere schiacciato da quasi un miliardo di debiti. Si iniziano a veder gli effetti della cura maniacale dell’ imprenditore editorial-televisivo: nei primi nove mesi dell’ anno Rcs, la casa editrice del più prestigioso quotidiano italiano e della Gazzetta dello Sport, è ritornata in utile. Negli ultimi 5 anni, il gruppo editoriale aveva sempre perso soldi (incluso un passivo monstre di 500 milioni nel 2012): oggi sfoggia 19,8 milioni. Ancora l’ anno scorso, al 30 settembre, le perdite erano di 17 milioni. Il risanamento è tutto frutto di tagli dei costi: infatti i ricavi sono in calo a 657 milioni. Rcs ha perso 50 milioni di giro d’ affari in nove mesi: si vendono sempre meno giornali (-9% le vendita editoriali) e la pubblicità continua a calare (-10%). Tutta l’ industria dei giornali è in sofferenza e viene da ormai quasi un decennio di crisi di cui non si intravede un cambio di rotta. Cairo ha messo mano alla macchina operativa portando efficienza in una struttura in passato ridondante e gravata di sprechi: il segreto del risanamento sta in un margine operativo lordo raddoppiato da 40 a 84 milioni. Conti in utile significano anche liquidità (58 milioni di cassa generata), che va ad abbattere i debiti: la posizione finanziaria netta è migliorata a 335 milioni, scendendo di oltre 30 milioni. Peraltro pochi mesi fa Rcs ha rifinanziato oltre 300 milioni di debiti. Il cammino di risanamento ha avuto una battuta d’ arresto in estate: il terzo trimestre è tornato in perdita per 4 milioni. A giustificazione va detto che i tre mesi estivi sono stagionalmente i peggiori per chi stampa quotidiani (la pubblicità scarseggia, ma i giornali si stampano comunque ogni giorno) e che nel 2016 c’ erano stati gli Europei di calci o e le Olimpiadi a sostenere la raccolta pubblicitaria (dunque un confronto svantaggioso). La cosa non preoccupa Cairo che ha confermato l’ obiettivo di una Rcs che nel 2017 chiude il suo primo bilancio in utile dopo tanto tempo. C’ è una sola grossa incognita e si chiama Catalogna: Rcs pubblica vari giornali in Spagna (dal Mundo a Marca) e al momento nessuno è in grado i prevedere i possibili effetti sul mercato pubblicitario iberico della crisi politica scoppiata a Barcellona. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rcs, margini raddoppiati Profitti a quota 19,8 milioni

Corriere della Sera
Paola Pica
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Rcs torna all’ utile e raddoppia i margini nei primi nove mesi dell’ anno. Al 30 settembre, il risultato netto del gruppo che fa capo ed è guidato da Urbano Cairo è di 19,8 milioni, un dato che si confronta con la perdita netta di 17,4 milioni dello stesso periodo del 2016 e dunque mostra un miglioramento di 37,2 milioni. L’ Ebitda, il margine operativo lordo, è di 84,4 milioni e fa segnare una crescita più che doppia e pari a 44 milioni sui 40,4 milioni dei primi tre trimestri dello scorso anno. Il miglioramento, si legge in una nota, è dovuto ai risultati positivi degli investimenti sui contenuti editoriali e all’ impegno sulla riduzione dei costi. Che ha portato benefici per 47,8 milioni, di cui 30,8 milioni in Italia e 17 milioni in Spagna. L’ indebitamento finanziario è pari a 335,1 milioni, in significativa riduzione sia rispetto al 31 dicembre 2016 (366,1 milioni), sia rispetto al 30 giugno 2017 (363,2 milioni). I ricavi del gruppo si attestano a 657,7 milioni. La contrazione di 51,7 milioni, viene spiegato, sarebbe di 13,8 milioni escludendo dal confronto eventi disomogenei tra i quali principalmente la cessazione di alcuni contratti di raccolta pubblicitaria per conto di editori terzi, il diverso piano editoriale dei collaterali, e la revisione della politica promozionale in Spagna. I ricavi pubblicitari ammontano a 284,4 milioni (318 milioni a fine settembre 2016, il decremento sarebbe di 7 milioni a confronto omogeneo). I ricavi editoriali sono pari a 263,2 milioni, in flessione di 27,6 milioni (13,4 su base omogenea). Sul fronte quotidiani, si confermano le leadership nei rispettivi segmenti di riferimento di Corriere della Sera , La Gazzetta dello Sport , Marca ed Expansión. El Mundo conferma la seconda posizione tra i generalisti spagnoli. Per i settimanali, cresce del 14% la diffusione di Oggi. Sul web, il sito del Corriere migliora del 13,8% sui nove mesi 2016. «Le attività del gruppo si focalizzano sulla valorizzazione dei contenuti editoriali, sullo sviluppo dei brand esistenti e sul lancio di nuovi progetti», ricorda infine Urbano Cairo. Nel terzo trimestre, l’ offerta del Corriere è stata arricchita e potenziata, con l’ obiettivo di dare ai lettori più volte la settimana dei supplementi di altissima qualità. Il 19 settembre è stato lanciato il nuovo settimanale gratuito Buone Notizie – L’ impresa del bene – «testata caratterizzata da un importante contenuto etico ed informativo, dedicato al mondo del non profit». Viene segnalato infine «il successo della quarta edizione de Il Tempo delle Donne, evento tenutosi presso la Triennale di Milano sotto l’ egida del Corriere della Sera».

«Partnership con pubblico per digitale»

Corriere della Sera

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Partnership pubblico-privato, investimenti in innovazione e attenzione al ruolo delle persone al centro della trasformazione digitale dell’ Italia. Ad affermarlo, ieri, è stato il ceo di Wind Tre Jeffrey Hedberg intervenuto a un convegno della Rai: «La trasformazione digitale in Italia richiede una forte strategia costruita su una serie di partnership pubblico-privato tra imprese, governo, sistema universitario e organizzazioni sindacali per definire insieme una roadmap chiara ed efficace. Per realizzare questo processo c’ è bisogno di una grande attenzione agli investimenti tecnologici».

Pubblicità, il futuro è su misura

Italia Oggi
IRENE GREGUOLI VENINI
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In un momento in cui si cominciano a vedere segnali di ripresa economica, la comunicazione può diventare una delle leve del rilancio in Italia, a patto che le imprese riescano ad affrontare in modo vincente le sfide poste dai nuovi trend, come quello del benessere, del bio e di altre nicchie che stanno crescendo, e dall’ evoluzione dei consumatori che si aspettano un approccio sempre più personalizzato. Questo scenario, delineato durante la sesta edizione del Forum organizzato da Wpp e dalla società di consulenza The European House-Ambrosetti, si colloca in un contesto che presenta però ancora luci e ombre. «Il Pil è in crescita, sopra le attese», osserva Marco Costaguta, presidente di Ltp (azienda specializzata in consulenza), «l’ occupazione è aumentata e anche gli investimenti esteri. I consumi sono cresciuti perché sono legati all’ occupazione e alla fiducia ma c’ è ancora un forte divario tra il Nord e il Sud in Italia». A ciò corrisponde un incremento degli investimenti pubblicitari negli ultimi tre anni e anche per il 2018 le stime sono positive. «I nostri analisti ci indicano una crescita tra il 2 e il 3% per il prossimo anno», sottolinea Massimo Costa, country manager di Wpp Italia. «I provvedimenti di legge in via di definizione e il conseguente sgravio fiscale consentiranno alle aziende di prevedere investimenti in comunicazione maggiori e su più mezzi e canali», anche se il tessuto economico italiano continua ad avere una vocazione «imprenditoriale e non manageriale», il che «non aiuta la crescita del settore della comunicazione». Nella visione di Francesco Pugliese, a.d. di Conad, per far ripartire i consumi interni occorre anche «cavalcare i nuovi trend, come il biologico e il benessere, settori in cui le grandi marche hanno investito poco e su cui invece le marche commerciali dei distributori hanno puntato e grazie a cui sono cresciute». Inoltre, secondo Pugliese, «nell’ alimentare ci si orienta a consumare meno e meglio, il che coincide con i prodotti freschi e freschissimi che non vedono facilità di acquisto nell’ online». Un mondo che si sta muovendo verso il digitale è invece quello della cosmetica, in cui il peso dell’ e-commerce sta aumentando parecchio, pur essendo ancora limitato. «L’ Italia è il primo produttore al mondo di make up», spiega Cristina Scocchia, ceo di Kiko. «È un settore che è stato molto impattato dai millennial e che ha visto l’ affermazione di brand di nicchia rispetto a quelli storici che quindi hanno cominciato ad acquisire marchi indipendenti e a sviluppare prodotti vicini a due grandi trend, ovvero l’ etnicità e il biologico. Oltre agli investimenti in ricerca e sviluppo, la cosmetica investe tanto anche in comunicazione a 360 gradi, con strategie più granulari, dando più spazio ai social, agli influencer e allo storytelling». Considerando invece il mercato delle telecomunicazioni, «il settore è guidato dalla crescita dei dati grazie anche alla dinamica dei prezzi», sostiene Aldo Bisio, a.d. di Vodafone Italia. «Sul mobile non c’ è un grosso divario tra Nord e Sud, anzi c’ è un maggior uso al Sud che sta permettendo di recuperare il divario che permane per quanto riguarda la banda larga fissa». In tutto ciò, occorre non dimenticare che in Italia anche le città metropolitane e le regioni (sul cui ruolo si è concentrata parte dell’ evento, con interventi del presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni e del sindaco di Genova, Marco Bucci) possono essere luoghi creatività e competitività, con un ruolo attrattivo nel rilancio del paese. Sul fronte della comunicazione una delle sfide più importanti è costituita dall’ innovazione tecnologica e dai cambiamenti che comporta. «Bisogna misurare quello che il consumatore fa nel passaggio da un device all’ altro e non su un singolo dispositivo», afferma Luca Colombo, country manager di Facebook Italia, considerando che i consumatori «usano sempre di più il mobile e si aspettano una comunicazione sempre più personalizzata». E per proporre messaggi su misura sono fondamentali i dati, nella visione di Andrea Zappia, a.d. di Sky Italia, «in un mondo che si sta segmentando e dove il consumatore chiede semplicità, trasparenza, comodità e flessibilità». © Riproduzione riservata.

Ascolti, in vetta c’ è Rtl 102,5

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La nuova indagine Ter sugli ascolti delle radio in Italia vede di certo un trionfatore: Lorenzo Suraci e il gruppo Rtl 102,5. La sua emittente, infatti, è prima per distacco nella classifica degli ascolti nel giorno medio, con 8,4 milioni di aficionandos, e riesce a conquistare il primato (che in precedenza, nell’ indagine Radiomonitor di Gfk, apparteneva a 105) pure nella graduatoria degli ascolti nel quarto d’ ora medio, parametro utilizzato dai pianificatori pubblicitari, dove incassa 731 mila ascoltatori rispetto ai 598 mila di 105. Più in generale, l’ esito degli attesi dati Ter è ben riassunto dalla dichiarazione di Eduardo Montefusco, presidente di Rds, radio che si attesta al secondo posto con 5,7 mln di ascoltatori nel giorno medio: «Approfitto per fare i miei complimenti ai colleghi, concorrenti e pionieri della radio, Lorenzo Suraci e Mario Volanti. Le importanti soddisfazioni ottenute dimostrano come l’ esperienza nella produzione radiofonica faccia ancora la differenza». E infatti Radio Italia è al terzo posto con 5,2 mln di ascoltatori, allo stesso livello di Deejay (5,2 mln) e davanti a 105, a quota 4,9 mln. Nella classifica relativa, invece, agli ascolti nel quarto d’ ora medio c’ è qualche cambiamento, con Rtl 102,5 prima a quota 731 mila, a sopravanzare 105 (598 mila), Rds (459 mila), Deejay (438 mila) e Radio Italia (393 mila). Non ha alcun senso fare raffronti tra i dati di Ter e quelli dell’ indagine Radiomonitor: è cambiata la ricerca, ed è diverso il periodo di riferimento, poiché l’ intervallo 4 maggio-9 ottobre 2017 non è confrontabile con nessuna delle rilevazioni Radiomonitor. Dal punto di vista dello scacchiere radiofonico italiano (vedere tabella in pagina), si possono tuttavia valutare i pesi dei cinque principali gruppi, che assorbono la gran parte degli investimenti pubblicitari. Radio Mediaset, probabilmente non soddisfattissima dei risultati di Ter, vede comunque il suo polo pesare oltre 14 milioni di ascoltatori nel giorno medio e quasi 1,3 mln nel quarto d’ ora medio. Così come già accadeva in Radiomonitor di Eurisko, la sua leadership nel giorno medio è messa in discussione da Gedi-Gruppo Espresso, che può vendere agli investitori pubblicitari un bacino di quasi 13,9 milioni di ascoltatori, con 1,1 mln nel quarto d’ ora medio. Cresce la potenza di fuoco del gruppo Rtl 102,5, soprattutto grazie al boom della rete ammiraglia Rtl 102,5. La novità Radiofreccia si ferma invece a quota 667 mila ascoltatori (è il suo debutto nelle rilevazioni) e Radio Zeta l’ Italiana non decolla, e si attesta attorno a quota 700 mila. Con queste performance, comunque, il polo Rtl 102,5, con 9,8 milioni di ascoltatori nel giorno medio e 848 mila nel quarto d’ ora medio, supera il gruppo Rai Radio, che si conferma a quota 9 milioni nel giorno medio e vale 714 mila ascoltatori nel quarto d’ ora medio (nel 2016 le emittenti del servizio pubblico avevano avuto ascolti favorevoli anche grazie ad eventi sportivi come gli Europei di calcio e le Olimpiadi). Il quinto polo, quello di Rds, è vicino a quota 6,7 milioni nel giorno medio e raggiunge i 534 mila ascoltatori nel quarto d’ ora medio. Insomma, la badilata di spot andati in onda sulle reti Mediaset non sembra aver giovato più di tanto alle radio del gruppo (e forse la strategia di mandare in onda troppi personaggi televisivi non è premiante, come aveva già dimostrato l’ esperienza di R101), mentre sembra aver avuto qualche ragione chi sottolineava che la nuova ricerca Ter, conteggiando anche gli ascolti dei canali tv delle radio, avrebbe favorito qualcuno a scapito di altri. «Premesso che il nostro risultato premia l’ offerta di servizio pubblico, di qualità con tanti canali in onda», dice Roberto Sergio, direttore di Rai Radio, «devo però aggiungere che Rai, insieme con altri editori, ha consentito l’ uscita di questa indagine Ter per senso di responsabilità, nonostante i dati fossero relativi a un periodo anomalo, non coerente, non confrontabile con dati del passato. In questa rilevazione Ter ci sono incongruenze note a tutti. Ora mettiamoci insieme al lavoro affinché, entro il 2017, si risolvano in maniera definitiva i problemi che ancora oggi ci sono». Perché i passi successivi potrebbero anche portare a clamorose uscite dall’ indagine. Mario Volanti, editore e presidente di Radio Italia, è invece entusiasta: «Dire che siamo felici è riduttivo. Per la prima volta nella storia di Radio Italia vengono superati abbondantemente i cinque milioni di ascoltatori nel giorno medio e il dato di copertura nei sette giorni è veramente entusiasmante. Evidentemente il lavoro svolto negli ultimi anni, la passione, la tenacia e la coerenza rispetto al progetto editoriale, ci hanno premiati. Ovviamente continueremo su questa strada, coscienti che la competitività è sempre maggiore e che, quindi, dovremo moltiplicare i nostri sforzi». Contento anche Linus, direttore di Radio Deejay che si attesta a quota 5,2 milioni di ascoltatori nel giorno medio: «Mettiamola così, sapevamo già che sarebbe tornato Fiorello e gli abbiamo fatto trovare la casa piena di gente. Scherzi a parte, sono molto felice per questo dato che ci riporta ampiamente sopra quota cinque milioni». Ultima notazione: Radio Sportiva entra nel club delle emittenti sopra il milione di ascoltatori nel giorno medio, sfiorando quota 1,1 mln. Sopra di lei, in classifica, ci sono brand storici come Rai Radio Tre (1,38 mln) e Rmc (1,4 mln). © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Telecom, Genish: non faremo offerte per i diritti del calcio. Telecom Italia non ha intenzione di fare offerte per aggiudicarsi i diritti sul calcio. Lo ha affermato l’ a.d. Amos Genish ieri durante la conference call sui risultati. «Non stiamo pensando di entrare nelle gare per i diritti del calcio», ha detto, «è molto costoso. Lo sport sarà aggiunto ai nostri contenuti solo se ci sarà la giusta occasione ma non è nella nostra agenda di essere direttamente nelle gare per i diritti». Nieri (Mediaset): da Franceschini camicia di forza su film italiani. Le nuove regole per le tv che impongono film italiani in prima serata sono «una camicia di forza per le emittenti televisive». Lo ha detto Gina Nieri, direttore della divisione affari istituzionali di Mediaset, secondo cui «siamo in una condizione in cui facciamo business contro l’ ambiente regolamentare che ci presiede. L’ ultimo regalo è del ministro Franceschini che ci ha cucito una camicia di forza addosso. Nel 2017, dalle 18 alle 23, dobbiamo mettere un film italiano, ma perché? Stiamo facendo implodere il business model dell’ audiovisivo». Hedberg (Wind Tre): per il digitale serve una forte strategia di partnership pubblico-privato. «La trasformazione digitale in Italia richiede una forte strategia costruita su una serie di partnership pubblico/privato tra imprese, governo, sistema universitario e organizzazioni sindacali per definire insieme una roadmap chiara ed efficace». A sostenerlo è stato ieri Jeffrey Hedberg, ceo di Wind Tre. «Per realizzare questo processo c’ è bisogno di una grande attenzione agli investimenti in tecnologia, al ruolo delle persone e delle loro competenze all’ interno di un chiaro e certo quadro regolamentare. Questa responsabilità condivisa, nel rispetto di ciascun ruolo non solo assicurerà la sostenibilità di questi investimenti ma sarà un forte moltiplicatore per il futuro». News Corp torna in utile nel primo trimestre. News Corp ha chiuso il primo trimestre con ricavi in aumento del 5% a 2,06 miliardi di dollari (1,77 miliardi di euro) e con tutti i segmenti della società che hanno messo a segno performance positive grazie alle fluttuazioni valutarie, alle acquisizioni in Australia e Regno Unito e alla continua crescita del business del degli annunci digitali immobiliari. L’ utile netto distribuibile agli azionisti si è attestato a 68 milioni di dollari (58,3 milioni di euro), contro il rosso per 15 milioni di dollari (12,9 milioni di euro) dello stesso periodo dello scorso anno. Il business delle news e dei servizi di informazione, che rappresenta meno dei due terzi dei ricavi, è cresciuto del 2% a 1,24 miliardi di dollari di fatturato (1,06 miliardi di euro). Il risultato è stato trainato dal +3% della distribuzione di pubblicazioni, soprattutto dal +11% di Dow Jones. I ricavi pubblicitari hanno chiuso il trimestre in linea con quelli dello stesso periodo dello scorso anno, dopo trimestri in calo. Il Wall Street Journal ha registrato a fine settembre 1,31 milioni di abbonati al digitale, in aumento di 48 mila da fine giugno. I ricavi pubblicitari di Dow Jones, che edita il giornale, sono calati del 10%. I ricavi pubblicitari di News Uk, che edita Times of London, Sunday Times e Sun, sono scesi del 9% e quelli delle diffusioni del 5%. Walt Disney: lo streaming tv decollerà dal secondo semestre 2019. L’ amministratore delegato della Disney, Robert Iger, ha svelato i piani dell’ azienda sui servizi in streaming, sui quali, a partire dal secondo semestre 2019, dirotterà la programmazione televisiva più importante del gruppo. Iger ha spiegato che le nuove serie e i diritti televisivi più rilevanti, come Star Wars, Monster Inc., High School Musical e Marvel saranno trasmessi in streaming, cioè con abbonamenti tipo quelli di Netflix, a partire dal secondo semestre 2019, quando questa piattaforma decollerà. Star Wars in serie televisiva rappresenta una novità, che si aggiunge all’ annuncio da parte di Disney del lancio di una una nuova trilogia cinematografica della saga Guerre Stellari. Mediaset convoca assemblea il 15/12 per modifica statuto. Il cda di Mediaset ha deliberato all’ unanimità di convocare l’ assemblea straordinaria degli azionisti per il giorno 15 dicembre 2017. All’ ordine del giorno la modifica dell’ articolo 17 relativa alla variazione del numero minimo e massimo dei componenti del cda (che si propone di individuare fra un minimo di sette e un massimo di quindici), alla possibilità per il cda di presentare una propria lista di candidati e alla modalità di nomina del consiglio attraverso la previsione di un sistema cosiddetto «a liste bloccate» al posto dell’ attuale sistema dei quozienti. Più in particolare, la proposta prevede di riservare alle liste di minoranza due amministratori qualora il numero dei componenti del cda e da eleggere sia compreso tra sette e undici, e tre amministratori qualora il numero dei componenti del consiglio da eleggere sia compreso tra dodici e quindici. Pagina99 solo in digitale. Dal prossimo numero il settimanale diretto da Paolo Madron uscirà solo in formato digitale, dando così l’ addio alla distribuzione in edicola. News 3.0, società editrice di Pagina99, ha comunicato la scelta nell’ ambito del nuovo piano editoriale del gruppo in via di definizione, con la «volontà di coniugare il giornalismo di alta qualità con il mondo dell’ informazione. L’ ambizione è di diventare il punto di riferimento per un lettorato di alto profilo che necessita di una informazione libera, di contenuti esclusivi e di modalità di accesso social e digital». Inoltre, il piano prevede la costituzione di un laboratorio per sviluppare, insieme a Tinaba Media e Frejourn, «un modello in grado di coniugare l’ informazione di approfondimento con i nuovi modelli di distribuzione e consumo dei media».

Rai spinge il digital

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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RaiPlay è probabilmente il grande asset che la gestione di Antonio Campo Dall’ Orto ha lasciato in eredità a viale Mazzini. Un over the top per guardare i contenuti di Rai in live streaming, in modalità video on demand nei giorni successivi alla messa in onda, o accedendo al ricco archivio del servizio pubblico. Con una fruibilità e facilità di accesso che tanti altri big della tv italiana ancora si sognano. Gian Paolo Tagliavia, chief digital officer di Rai, ha raccontato l’ altra sera a Milano un po’ di novità che attendono lo sviluppo digital del broadcaster pubblico. Innanzitutto, la pubblicità su RaiPlay è stata ridotta, con limiti all’ affollamento, un solo inserzionista per ciascun break, e spot skippabili dopo 15 secondi. «Questo ha migliorato molto l’ esperienza del consumatore di contenuti su RaiPlay. Nel 2018, inoltre, metteremo mano alla nuova offerta digital per i bambini, a quella Rai cultura, del meteo e della viabilità. L’ 8 dicembre, invece, partirà RaiPlay Radio, poiché già ora il 9% degli ascolti radio vengono dalle app». Quando si è iniziato a pensare a RaiPlay, continua Tagliavia, «abbiamo sin da subito evitato di scimmiottare Netflix. RaiPlay è sviluppato tutto dentro Rai. Che è la più grande industria culturale italiana. E ricordiamo anche che Rai, tolta la Bbc che però ha cinque miliardi di sterline di canone pubblico annuo (ovvero 5,66 mld di euro, mentre Rai è a quota 1,7 mld di euro), è il primo servizio pubblico televisivo continentale. L’ offerta di RaiPlay, quindi, è proposta in lineare, con streaming live, e poi in quasi lineare, con l’ on demand nei giorni successivi. Infine, ha il catalogo che si arricchisce sempre di più attingendo all’ enorme archivio Rai. Il servizio pubblico deve consentire a tutti i cittadini di avere offerte di questo genere, anche a chi non vuole pagare Netflix. Il cui abbonamento, anche quello più basico, peraltro, faccio notare, costa più dei 90 euro del canone Rai. Con l’ introduzione delle nuove Smart tv, schiacciando il tasto blu non ci sarà più differenza tra guardare la tv tradizionale o RaiPlay». Perciò, come spiega Francesco Barbarani, direttore radio e web di Rai pubblicità, «su RaiPlay ci sono contenuti esclusivi, versioni estese, anteprime. Nello spirito di servizio pubblico, non più tutti guardano la stessa cosa in lineare, ma tutti possono formarsi sul non lineare con i contenuti che ciascuno ama. Nelle altre offerte in streaming il tempo medio investito è al di sotto dei 30 minuti al mese; su RaiPlay, invece, è di un’ ora e 21 minuti». La fruizione on demand accresce, poi, gli ascolti cumulati di un certo contenuto: «Le grandi fiction di Rai Uno, quelle da nove-dieci milioni di ascoltatori sul lineare, fanno già un altro 10-15% di ascolti aggiuntivi sul non lineare nei sette giorni successivi. E prima di RaiPlay il video on demand era concentrato al 75% nei primi due-tre giorni dalla messa in onda. Mentre oggi, con RaiPlay, si è esteso sui cinque giorni». © Riproduzione riservata.

Rcs, l’ utile sale a 20 milioni

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Rcs migliora i suoi margini chiudendo i primi nove mesi dell’ anno con un utile di 19,8 milioni rispetto alla perdita di 17,4 milioni dello stesso periodo dello scorso anno. E nonostante il mercato della carta stampata sia ancora molto incerto, per l’ intero 2017 conferma i target già fissati. Giusto un po’ di cautela per un elemento che potrebbe influire su questa previsione: la situazione creatasi in Catalogna, che potrebbe condizionare il «pieno raggiungimento di questi obiettivi». La casa editrice sottoposta alla cura del nuovo editore Urbano Cairo porta a casa miglioramenti nei principali indicatori. Unica voce in calo è quella dei ricavi, in diminuzione del 7,3% a 657,7 milioni di euro. Rcs spiega che a questa riduzione hanno contribuito anche alcuni fattori straordinari non considerando i quali i ricavi sarebbero calati soltanto di 13,8 milioni anziché di 51,7 milioni come è nei conti. Fra le altre cose Rcs cita la cessazione della raccolta pubblicitaria per conto di editori terzi (principalmente La Stampa), una voce che nei primi nove mesi del 2016 valeva 22,8 milioni mentre quest’ anno vale 1,2 milioni. Dei 657,7 milioni di ricavi totali, 284,4 milioni arrivano dalla pubblicità in calo del 10,6% per quanto detto prima e per la presenza di Europei e Olimpiadi l’ anno scorso, mentre 263,2 milioni arrivano dalle diffusioni, in calo del 9,5%. Una perdita quest’ ultima che si dimezzerebbe facendo un confronto a perimetro di prodotti omogeneo nei due anni. Fra le altre cose che Rcs segnala sui ricavi da diffusioni c’ è l’ incremento del 14% delle copie diffuse in edicola di Oggi, venduto sia singolarmente che in abbinata con altre testate, e la crescita del 12% degli abbonati al digitale del Corriere della Sera, arrivati a 38 mila. Voce in crescita nel fatturato è quella ricavi diversi (+9,4% a 110,1 milioni) nella quale si trovano fra gli altri i risultati dell’ area sport, quella del Giro d’ Italia e dei relativi diritti (+7,8%). Per quanto riguarda i margini, l’ ebitda dei nove mesi è più che raddoppiato, passando dai 40,4 milioni del 2016 agli 84,4 milioni di quest’ anno. La casa editrice spiega che il miglioramento è dovuto da un lato agli investimenti nei contenuti editoriali e dall’ altro alla riduzione dei costi per 47,8 milioni, la maggior parte dei quali, 30,8 milioni, in Italia. Di fatto tutte le aree del gruppo sono tornate in terreno positivo nel risultato operativo (47,1 milioni in totale rispetto ai -800 mila euro precedenti) o lo hanno incrementato (tranne l’ eccezione delle altre attività corporate). Il contributo maggiore è dato dai Quotidiani Italia, che oggi hanno un ebit di 45,4 milioni, rispetto a quello di 33,7 milioni di un anno fa. Infine l’ indebitamento finanziario netto al 30 settembre è sceso a 335,1 milioni contro i 366,1 milioni al 31 dicembre 2016. Nell’ attesa dei conti il titolo Rcs ha chiuso ieri in Borsa in crescita dello 0,24% a 1,26 euro. © Riproduzione riservata.

La sfida in onda media

Milano Finanza
ANDREA MONTANARI
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Se si escludono i fenomeni digitali Google e Facebook, la radio è l’ unico mezzo che negli ultimi anni ha vissuto brillanti performance in termini pubblicitari. Un trend che secondo gli esperti è destinato a proseguire. Ed è per questo che lo scorso anno Mediaset, ossia il primo gruppo televisivo commerciale del mercato, nonché primo destinatario degli investimenti in pubblicità, ha deciso di investire per entrare pesantemente nel settore. E a ottenere con R101, Radio 105, Virgin Radio e Radio Subasio il ruolo di primo operatore del mercato, con una quota di ascolti nel quarto d’ ora medio del 17,5%. Posizionamento che garantisce alla controllata RadioMediaset un fatturato, solo della parte industriale di 70-75 milioni, mentre considerando anche la raccolta per conto terzi (Rmc, Radio Norba e Kiss Kiss) il giro d’ affari complessivo raggiunge 100 milioni, come ha ricordato di recente Davide Mondo, ad della concessionaria Mediamond. L’ ingresso del Biscione nel mondo delle onde medie ha provocato un vero scossone e ha riproposto l’ eterna guerra tra le aziende che fanno capo alla Fininvest di Silvio Berlusconi e le società editoriali controllate dalla Cir della famiglia De Benedetti, ora alleata con gli Agnelli-Elkann. Insomma, dopo la guerra durata più di 20 anni sul Lodo Mondadori, ora i due sfidanti si ritrovano ancora in competizione sul terreno radiofonico. Questo perché prima dell’ arrivo di Mediaset, il Gruppo Gedi (ex Gruppo L’ Espresso) era l’ indiscusso dominatore della scena grazie a Radio Deejay, Capital e M2o, che per contrastare la potenza di fuoco del Biscione ha richiamato ai microfoni un pezzo da novanta come Fiorello. Una posizione conquistata nel tempo e mai attaccata dagli altri operatori privati quali la famiglia Suraci (gruppo Rtl 102.5) ed Edoardo Montefusco (Radio Dimensione Suono). Ovviamente, dalla partita, soprattutto quella commerciale, era e resta esclusa la Rai che è storicamente l’ altro grande polo (come in tv) con i suoi canali radiofonici. Schermaglie, entrate a gamba tesa, screzi e altre modalità di ingaggio, soprattutto in campo pubblicitario, sono all’ ordine del giorno nel settore. Ma il vero rischio è che si torni alla situazione del 2010, l’ anno dello sboom delle onde medie. All’ epoca, infatti, tutto era monitorato e tenuto sotto controllo da Audiradio, la società che rilevava i dati d’ ascolto delle emittenti e che fino a quel momento aveva calcolato dati impressionanti. L’ escalation era costante: gli ascoltatori crescevano di 1 milione all’ anno, fino ad arrivare al picco dei più di 39 milioni a fine 2010. Nell’ euforia generale iniziò la guerra tra i player del mercato, che portò alla fine dell’ avventura di Audiradio, posta in liquidazione nel 2011. Per un po’ fu il buio. Poi ci si sedette attorno a un tavolo e nella metà del 2012 arrivarono le indagini targate Radiomonitor. Un percorso che tra altri e bassi, lamentele e apprezzamenti, incoronava l’ emittente leader in assoluto: Rtl 102.5. Quella stessa radio (oggi affiancata da Radiofreccia e Zeta l’ italiana) che ora viaggia a quasi 8,5 milioni di ascoltatori in una giornata media. Ma anche Montefusco, come Suraci, per affrontare la concorrenza di Mediaset e tenere testa al gruppo Gedi, ha deciso di allargare l’ offerta con altre radio più piccole. Mentre grande attenzione c’ è sul capitale di Radio Italia di Mario Volanti: la società dei De Benedetti-Elkann, partner per la raccolta pubblicitaria, ha rilevato un 10% così come ha fatto lo stesso proprietario di Rds. E non è da escludere che in futuro si possa assistere sul mercato a nuove operazioni di aggregazione tra operatori di medie dimensioni. Così come non è da escludere che entrino in scena nuovi competitor ingolositi dagli investimenti pubblicitari. Il tutto sempre che regga l’ impianto di questa nuova rilevazione (RadioTer) che ufficialmente accontenta tutti, ma che sotto traccia viene già contestata. Anche per il periodo analizzato in questa prima ricerca. Perché se le radio, in particolare la Rai, nel periodo estivo sospendono la messa in onda delle trasmissioni di punta (così come avviene per la tv), le radio commerciali traggono vantaggio dal cambiamento di tipologia di ascolto. E se in estate i telespettatori mediamente calano, la platea di ascoltatori radiofonici resta la stessa. Di conseguenza bisognerà attendere la nuova rilevazione per rivedere i dati e aggiornare le strategie d’ azione. (riproduzione riservata)

«Un patto per il digitale»

Il Tempo

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Jeffrey Hedberg (nella foto) ceo di Wind Tre, intervenuto ieri a un convegno alla Rai, ha rilevato che «la trasformazione digitale in Italia richiede una forte strategia costruita su una serie di partnership pubblico/privato tra imprese, governo, sistema universitario e sindacati per definire insieme una roadmap chiara ed efficace». Per realizzare questo processo – ha aggiunto Hedberg, c’ è bisogno di una grande attenzione agli investimenti in tecnologia, al ruolo delle persone e delle loro competenze all’ interno di un chiaro e certo quadro regolamentare. Questa responsabilità condivisa, nel rispetto di ciascun ruolo, conclude il Ceo, non solo assicurerà la sostenibilità di questi investimenti, ma sarà un forte moltiplicatore per il futuro».

Boom di Rtl 102.5, Virgin supera Radio2 Radiogiornale

Il Giornale
Paolo Giordano
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Eccoli qua, i nuovi dati di ascolto delle radio nel primo semestre 2017 portano qualche sorpresa, alcune delusioni e una certezza: il primato di Rtl 102.5 è ancor più assoluto con 8 milioni 483mila ascoltatori nel giorno medio. Se si aggiungono i risultati degli altri due pianeti della galassia creata da Lorenzo Suraci (la neonata Radiofreccia con 667mila ascolti e Radio Zeta L’ Italiana con 697mila), il bacino sfiora i dieci milioni quotidiani. Un dato in linea con la tendenza degli ultimi anni ma che si conferma comunque come un «boom». Per il resto, occorre comunque fare una precisazione. Questa classifica è stata realizzata per la prima volta dal Tavolo Editori Radio (TER) e quindi non è confrontabile con quelle degli anni precedenti. In ogni caso, dati alla mano, Rds si attesta al secondo posto, Radio Deejay cede il passo a Radio Italia che diventa di poco la terza radio più ascoltata d’ Italia con oltre cinque milioni di ascoltatori. Al quinto posto Radio 105 che precede la prima radio Rai (Radio1, solo sesta) e la sorprendente Virgin Radio di RadioMediaset che supera Radio2 e si attesta a 2 milioni 754mila ascoltatori, ottimo risultato per una radio dedicata per intero al rock, anche a quello più estremo. Nel complesso, sono cifre che delineano chiaramente come l’ ascoltatore medio sia in netta «modernizzazione» rispetto a quanto alcuni possano ancora credere. Alla propria radio si chiede, certo, un flusso continuo di buona musica ma anche di informazioni e di condivisione. In sostanza, nell’ epoca digitale la radio deve essere «contemporanea» e non malinconicamente sganciata dalla realtà.

Rtl, la radio più ascoltata in Italia

Corriere della Sera

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Gli ultimi dati sugli ascolti «confermano che Rtl 102.5 è la prima radio italiana. La nuova rilevazione ha registrato per Rtl 8.483.000 ascoltatori nel giorno medio. Al secondo posto Rds con 5.701.00, terze a pari merito Radio Italia Solomusicaitaliana (5.5257.000) e Radio Deejay (5.232.000)». «Sappiamo di condividere questa gioia con milioni di italiani – ha detto l’ editore Lorenzo Suraci -. Rtl 102.5 è la loro e la nostra famiglia radiofonica».

Radio, ascolti in crescita Deejay oltre 5 milioni

La Repubblica

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L’ INDAGINE/ NUMERI POSITIVI ANCHE PER M20 E CAPITAL ROMA. La radio italiana attraversa un periodo di ottima salute e le emittenti del Gruppo Gedi chiudono un semestre ampiamente positivo. È la fotografia della situazione dei primi sei mesi del 2017 secondo l’ indagine di RadioTer realizzata attraverso 60 mila interviste da TER – Tavolo Editori Radio, in collaborazione con gli istituti di ricerca Gfk e Ipsos, tra il 4 maggio e il 9 ottobre 2017. La notizia più importante riguarda Radio Deejay che fa registrare un 10 per cento in più di ascoltatori rispetto allo stesso periodo del 2016 e torna così sopra i 5 milioni nel giorno medio; m2o raggiunge 1,75 milioni di ascoltatori con un incremento sul 2016 pari all’ 11%, mentre Radio Capital tiene nel giorno medio con 1,64 milioni di ascoltatori. Il totale degli ascoltatori giornalieri della radio italiana nel suo complesso supera i 35,5 milioni, in leggera crescita rispetto al dato annuale 2016 (fonte: Radiomonitor). Radio Deejay si afferma sempre di più come uno dei brand più seguiti in Italia se si considerano anche i valori complessivi sui propri profili nei social network, dove conferma il primato tra le radio con quasi 2,2 milioni di follower su Facebook, 2,4 milioni su Twitter e 385 mila su Instagram. Continua la leadership in Italia del suo sito internet dove con 112 mila utenti unici totali deejay.it si afferma come l’ unico sito di radio a rientrare tra le prime 100 posizioni dei siti italiani (fonte Audiweb settembre 2017). L’ incremento del 10 per cento rende molto soddisfatto il direttore di Deejay, Linus: «Sapevamo già che sarebbe tornato Fiorello e gli abbiamo fatto trovare la casa piena di gente! Scherzi a parte» conclude il direttore di Deejay, «sono molto felice per questo dato che ci riporta ampiamente sopra quota 5 milioni». Anche se rispetto alla precedente rilevazione di Radiomonitor, per l’ indagine RadioTer sono cambiati metodologia di raccolta, istituti di ricerca e periodo rilevato, rendendo impossibile un confronto omogeneo, è comunque notevole il dato che vede passare l’ emittente milanese dai 4 milioni 762 mila ascoltatori nel giorno medio del 2016 ai 5 milioni 232 mila ascoltatori nel primo semestre 2017. Nei prossimi giorni la ricerca sarà integrata dalle rilevazioni delle coperture fino ai 28 giorni condotte per TER su ulteriori 10 mila casi dall’ istituto Doxa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA IL DIRETTORE Linus è direttore artistico e conduttore di Radio Deejay.

«Troppe insidie sul web bisogna tutelare i minori»

Il Messaggero

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LA RICERCA Le potenzialità del web sono infinite eppure c’ è il rovescio della medaglia. La rete, attraverso i social, è diventata un moltiplicatore esponenziale di atteggiamenti violenti. Gli adolescenti appaiono più infelici e depressi. Secondo i dati Istat il 20% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni è vittima di bullismo e l’ età di chi subisce violenza online tende ad abbassarsi sempre di più. Paura, vergogna, solitudine sono i sentimenti con i quali convivono troppi adolescenti. Se ne è parlato ieri alla Camera dei Deputati nel corso del panel su La comunicazione multimediale tra web e social media: innovazione, rischi e nuove professioni. L’ evento, moderato dalla giornalista Myrta Merlino, è stato organizzato dalla Federazione Italiana Comunicatori e Operatori Multimediali con il patrocinio del Ministero della Giustizia, della RAI e di MSN (piattaforma contenuti di Microsoft). Il sottosegretario di Stato del Ministero della Giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha parlato della rete come di un mezzo per promuovere la democrazia e la giustizia, una risorsa fondamentale per l’ integrazione multiculturale e la crescita dei giovani. «Il web, recentemente oggetto dell’ attenzione del legislatore, è uno spazio virtuale aperto ha detto Ferri Occorre fare attenzione e tutelare gli utenti, soprattutto minori, dalle numerose insidie». Il Sottosegretario ha poi espresso un plauso verso la nuova applicazione della Polizia di Stato You Pol che consente l’ invio di segnalazioni di bullismo direttamente alle sale operative delle questure. Sensibilizzare l’ opinione pubblica e i ragazzi ai rischi del web è lo scopo del Progetto di tutela digitale dei minori, fortemente voluto dal presidente della Feicom, Davide Antonio Bellalba e dalla coordinatrice dell’ Osservatorio Multimedialità e Minori, Simona Durante. Centrale resta il ruolo della famiglia e la comunicazione tra genitori e figli. Barbara Carbone © RIPRODUZIONE RISERVATA.


Rassegna Stampa del 12/11/2017

Indice Articoli

La truffa delle «fake news»

«Bugie, insulti, gossip? L’ unico limite è il codice penale»

La guerra fredda del giornalismo

“È incredibile che nessuno risponda per questi risultati disastrosi in Rai”

Cronisti insultati al corteo per i giornalisti

Perché i giornalisti sono sempre nel mirino

La truffa delle «fake news»

Il Giornale
N.Porro
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Le fake news esistono, eccome. Cosìcome ieri non si poteva negare la dif-fusione di notizie false. Eppure sonodiventate un’emergenza. E questa èla prima delle fake news che dovremmo combattere. Cerchiamo di mettere un po’d’ordine.Oggi le notizie ritenute non veritiere (mada chi?) si incapsulano nella categoria fakenews, per dare loro una dimensione digitalee per distinguerle dalle banali notizie false,che spaventano meno. Le fake news non so-no dunque semplicemente notizie false, so-no qualcosa di più, per diffusione, persisten-za, e viralità; il passo per diventare un’emer-genza è dunque breve. Un americano me-dio tocca, verrebbe da dire accarezza, il pro-prio smartphone 2.600 volte al giorno. Le fake news, paradosso dei paradossi, combi-nate con i telefoni che sono invece smart,diventano micidiali: fake and smart news. Inun contesto in cui due sole aziende, Face-book e Google, si spartiscono metà dellapubblicità digitale mondiale e rappresenta-no il 40 per cento del consumoLe fake news esistono, eccome. Così come ieri non si poteva negare la diffusione di notizie false. Eppure sono diventate un’ emergenza. E questa è la prima delle fake news che dovremmo combattere. Cerchiamo di mettere un po’ d’ ordine. Oggi le notizie ritenute non veritiere (ma da chi?) si incapsulano nella categoria fake news, per dare loro una dimensione digitale e per distinguerle dalle banali notizie false, che spaventano meno. Le fake news non sono dunque semplicemente notizie false, sono qualcosa di più, per diffusione, persistenza, e viralità; il passo per diventare un’ emergenza è dunque breve. Un americano medio tocca, verrebbe da dire accarezza, il proprio smartphone 2.600 volte al giorno. Le fake news, paradosso dei paradossi, combinate con i telefoni che sono invece smart, diventano micidiali: fake and smart news. In un contesto in cui due sole aziende, Facebook e Google, si spartiscono metà della pubblicità digitale mondiale e rappresentano il 40 per cento del consumo (…) (…) digitale degli americani. Insomma l’ hardware, la pistola, sono gli smartphone. Il software, la pallottola, sono social network e motori di ricerca. E il dito sul grilletto è il nostro, quello di miliardi di individui che generano contenuti, news. Di queste tre categorie, le prime due guadagnano, quanto più la terza si mette a sparare, poco importa a chi. Quest’ ultima non ricava nulla dal meccanismo, se non visibilità, che scambia in modo irrazionale fornendo preziose informazioni personali. Ma questo è un altro discorso che non è il caso di confondere con la presunta emergenza da fake news. A cui velocemente ritorniamo. Le fake and smart news sono diventate un’ emergenza: è colpa loro se giovani e fragili ragazze si suicidano, governi saltano, campagne elettorali mutano direzione, politici e uomini eminenti vengono diffamati e così via. Per la prima volta grazie alle fake and smart news si può compromettere la reputazione di un membro qualunque dell’ establishment, mentre nel mondo pre-digitale era possibile al limite lo sputtanamento della sola «bocca di rosa» e per di più con strumenti di diffusione non proprio di massa. Per questo l’ establishment vuole correre ai ripari: la notizia falsa, ma non solo quella, del passato era in un certo modo arginabile grazie al rapporto con l’ editore. Oggi la proprietà è diffusa, parcellizzata. Ciò rende la situazione esplosiva poiché letteralmente incontrollabile. Come tutte le emergenze, a definirle è un piccolo club di decisori che tra la moltitudine di cataclismi sceglie, con criteri del tutto arbitrari anche se consolidati, quale affrontare. La prima conseguenza è che a occuparsi dell’ emergenza saranno proprio coloro che l’ hanno dichiarata e dunque necessariamente lo Stato, nelle sue diverse articolazioni. La seconda, collegata alla prima, è che il fallimento si ritiene essere sempre del mercato e dunque contro di esso si deve intervenire, presumendo che un pugno di decisori pubblici sappia come meglio affrontare e risolvere la questione. Che d’ altronde loro stessi hanno imposto in cima all’ agenda delle cose da fare. In un cortocircuito maledetto. Nel caso specifico a essere potenzialmente sotto attacco diventa così una nostra libertà fondamentale, quella di parola che gli americani alla fine del ‘700 hanno voluto codificare con il Primo emendamento. Come il welfare state, pensato con la buona intenzione di fornire risorse vitali a chi non le aveva, è stato il grimaldello con cui si è affermato il socialismo europeo, così la guerra alle fake news rischia di diventare una nuova e rinnovata forma di socialismo. Robert Spencer nel suo favoloso saggio sul free speech, non a caso nota come la battaglia per la libertà di parola, per il free speech, appunto, per il rispetto del Primo emendamento, sia stata abbandonata dalla sinistra liberal del secolo scorso, che tanto la rivendicò. La sinistra infatti persegue oggi i suoi fini di centralismo più o meno democratico con strumenti nuovi: con la scusa dell’ hate speech viene ricercato un controllo della parola, una sanzione, una riduzione della portata e della forza del Primo emendamento. L’ Economist, questa settimana, ha dedicato un approfondimento proprio alle fake news, sostenendo che i social media invece di diffondere cultura stanno diffondendo veleni. Lo stesso settimanale inglese nota però come gli americani, i cittadini governati dal Primo emendamento, solo nel 37 per cento dei casi si fidano delle informazioni recuperate sulla rete. Insomma, questa si chiama risposta di mercato. Le fake and smart news esistono, è ovvio. Ma la strada per combatterle non è, dice giustamente Spencer, scardinare il Primo emendamento che ci dovrebbe dare la possibilità anche di fare «discorsi di odio» poiché la loro censura sarebbe un male peggiore della loro diffusione. Si dovrebbe, dicevamo, attendere la risposta del mercato, che sa selezionare la buona informazione dalla cattiva. Almeno quanto è in grado di farlo chi ci governa. Pensiamo ad alcuni casi recenti e capirete bene come la presunzione che in pochi colti, intelligenti, savi possano capire meglio della moltitudine dei bruti che cosa sia fake e che cosa no, si rivela una bufala. Oggi molti si scagliano contro le intromissioni, operate attraverso i social, fatte da operatori interessati e forse russi nella campagna elettorale americana. Tutti volti a favorire Trump. La cosa è tutta da dimostrare, ma diamola anche per buona. Resta il fatto che gli americani hanno poi votato e usato la loro democrazia eleggendo Trump e avviando così un gigantesco cambio di poteri a cui stiamo assistendo a Washington. Gli stessi poteri forti americani scalzati e che criticano le ingerenze social dei russi pro-Trump adottarono i medesimi strumenti digitali di cui si sentono oggi vittime, come leve della loro politica estera. Qualcuno ci sa dire che cosa ci sia di diverso nell’ utilizzo che le passate amministrazioni americane hanno fatto per le altrettanto clamorose rivoluzioni arabe, per l’ estromissione del loro ex alleato Mubarak dall’ Egitto? Rivoluzioni che in molti oggi considerano essere state un pericoloso fallimento e strumento di destabilizzazione di un’ area dove sta prosperando il terrorismo fondamentalista. In quel caso la retorica dei social che facevano scendere i giovani in piazza, funzionava. La fake news, come si è rivelata a distanza di anni, di una rinnovata e laica società araba, allora nessuno riuscì a combatterla. Perché in quel caso stampa, opinione liberal, sinistra internazionale e digitale erano tutti dalla stessa parte. Ora le cose non stanno più così e gli stessi social che hanno alimentato piazza Tahrir, la rivoluzione ucraina e le rivendicazione dei diritti di Teheran sono diventati pericolosi. Ma chi lo ha deciso? Nicola Porro.

«Bugie, insulti, gossip? L’ unico limite è il codice penale»

Il Giornale
Luigi Mascheroni
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Luigi Mascheroni Fake news, decaloghi anti-bufale per gli studenti (lo hanno stilato il presidente della Camera Boldrini e il ministro dell’ istruzione Fedeli), incitamento all’ odio in Rete e falsi profili. L’ informazione ai tempi della post-verità. C’ è di che preoccuparsi. Ma qualcuno, come Giuseppe Cruciani, conduttore su Radio 24 del programma La Zanzara – voce dissonante e posizioni provocatorie – sostiene che non sono le notizie a essere false. È falso il problema. È così? Le prime fake news sono le fake news? «Le fake news non esistono. Esistono notizie che possono essere interpretate, anche se a qualcuno danno fastidio. E poi esistono notizie false, punto. Il problema delle fake news esiste solo per chi ha interesse a fare una campagna mediatica – cioè una propria propaganda personale – contro certe notizie, o interpretazione delle notizie, che non condivide. Sono i grandi moralizzatori che si scagliano contro il gossip, le posizioni politicamente scorrette, l’ inverificato… Ma non è mai successo nella storia, prima d’ ora, che qualcuno criminalizzasse il gossip, ad esempio. E che cos’ è il gossip, secondo le categorie di certi censori, se non una fake news? Ma il gossip fa parte di un’ informazione sana. Infatti nei Paesi in cui non c’ è gossip non c’ è democrazia». Per qualcuno la democrazia e la libertà di pensiero è messa a rischio anche dai poliziotti del politicamente corretto. «Basta non retrocedere di un passo, mai. Io ne so qualcosa. Se faccio l’ elogio della carne, i vegani mi vogliono silenziare. Se parlo di abitudini sessuali, insorgono i perbenisti. Se critico i musulmani, mi accusano di islamofobia. Se dico che non voglio clandestini in Italia divento un razzista senza diritto di parola. Se manifesto dubbi sul caso Weinstein, sono uno sporco sessista. Tutti vogliono insegnarti come devi parlare. Ecco: quando qualcuno mi chiede di moderare i termini, senza spiegarmi il perché, io continuo. Anzi, alzo i toni. La cessione di spazi di libertà d’ espressione è sempre la premessa alla cessione di spazi di sovranità. Mai retrocedere. Ci si ferma solo davanti al codice penale, oppure a un’ Authority». E l’ hate speech? Alcuni giuristi americani pensano che alcuni discorsi che potrebbero essere considerati incitamento all’ odio debbano essere esclusi dal Primo emendamento che tutela la libertà di espressione a 360 gradi. «Una follia. E non a caso sostenuta dalle stesse persone che denunciano il pericolo delle fake news, che vogliono zittire le voci dissonanti, che chiedono di oscurare i siti internet complottisti, suprematisti, negazionisti… Invece tutto ciò – anche se nessuno di noi condivide le idee degli incitatori all’ odio – è fondamentale in un sistema di informazione democratico. Prima deve rimanere ferma la libertà delle proprie opinioni, sempre e comunque. Dopo c’ è il codice penale e tutti i mezzi che lo stato di diritto prevede per rivalersi di eventuali offese, calunnie, diffamazioni…». Il punto è che la stragrande maggioranza dei cittadini si informa tramite i social network. E molti dicono che il web è incontrollabile, che molti siti sono vere fogne… «Non sopporto i giornalisti che vogliono emendare il web, renderlo più buono, togliere insulti e volgarità… È la negazione stessa del web. È come pensare un mondo senza delitti. Una posizione ridicola oltre che inutile. Internet, pur col suo lato oscuro, aiuta a fare emergere e riconoscere la parte nascosta di un Paese, di un mondo. Le aggressioni verbali, gli insulti, le falsità possono e devono essere perseguite per legge, anche se l’ iter è lungo e difficoltoso. Però, al netto di tutto questo, il web mostra ciò che altri mezzi non sono in grado di vedere. È un po’ quello che accadde con Radio parolaccia, quando Radio radicale trasmetteva senza selezioni e censure le telefonate del pubblico: fu lì, nei primi anni ’90, che si capì la pancia del Paese, l’ ascesa della Lega, la società che cambiava… Cose di cui i giornali non si erano accorti». Ecco, i giornali… «Perché? Nei giornali non ci sono fake news? Non raccontano bugie? Non fanno l’ interesse di qualcuno? Si condanna il web come immorale e poi si fa finta di non vedere i conflitti di interesse dei gruppi editoriali, i legami tra informazione e politica, tra giornalismo ed economia, l’ inesistenza in Italia di un editore puro… E comunque, non solo il web è più libero, ma anche meno ipocrita: è di parte, fazioso, anche violentemente fazioso a volte, pieno di spazzatura e volgarità magari. Ma non si erge a depositario della Verità, come fa la grande informazione».

La guerra fredda del giornalismo

Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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“I nostri soldati sono pronti a tutto, con il loro equipaggiamento possono affrontare ogni situazione, io li chiamo così i nostri giornalisti: soldati”. Irina Kedrovskaya si occupa di progetti web da un decennio e il suo successo maggiore è Sputnik: “In tre anni siamo diventati uno dei siti di informazione più importanti, sui social network raggiungiamo oltre 2 milioni di persone ogni giorno”. Basta un tour nella redazione centrale di Spuntik, a Mosca, per capire le ambizioni: centinaia di giornalisti lavorano in silenzio assoluto sui loro computer, maxi-schermi a parte proiettano le varie home page di Sputnik e Bbc, molti editor hanno davanti un doppio schermo, su uno ci sono testi in russo, su altri in arabo, perché è in Medio Oriente che si combatte una delle battaglie decisive sull’ opinione pubblica, la guerra in Siria si vince o si perde più sui media che sul campo, visto che quasi nessuno è in grado di verificare cosa accade davvero. Dal soffitto pende un cilindro su cui scorrono le news a rullo. Anche se il palazzo è sede dell’ agenzia governativa Rossotrudnichestvo (al piano terra si tengono conferenze stampa dei ministri), l’ atmosfera è quella di una vera agenzia stampa globale. Quando arriva una breaking news, per esempio un attentato, i giornalisti sanno perfettamente cosa fare: lanciano la notizia flash, poi si attivano i protocolli per preparare infografiche e approfondimenti, i cronisti sanno come muoversi, da Mosca gli editor coordinano il lavoro in 80 città nel mondo, gli algoritmi adattano le diverse home page in inglese, in russo e in tutte lingue in cui i contenuti vengono diffusi. A Sputnik non si considerano concorrenti di Tass o Interfax, due storiche e un po’ polverose agenzie russe, bensì di Reuters o Bloomberg. La “macchina della propaganda” Assieme al gruppo televisivo RT , già Russia Today, Sputnik è il principale strumento della “macchina della propaganda del presidente Vladimir Putin”, secondo un report della Cia americana datato 6 gennaio 2017. Il sito e la tv, scrive la Cia, “ha contribuito a influenzare la campagna elettorale (del 2016, ndr) come piattaforma per i messaggi del Cremlino al pubblico russo e internazionale”. A Sputnik e al Cremlino sono consapevoli di questa fama, ma la nuova Guerra fredda, come quella vecchia, si combatte anche sul piano psicologico. E la Russia considera un diritto contrattaccare. Irina Kedrovskaya è uno dei relatori alla “Scuola Sputnik per giovani giornalisti”, programma organizzato dall’ agenzia governativa Rossotrudnichestvo per rappresentanti dei media, cinque giorni a Mosca per “facilitare una percezione oggettiva dei cambiamenti economici, scientifici, culturali ed educativi che avvengono in Russia”. Quaranta giornalisti, da Cuba all’ Iran alla Serbia alla Slovacchia all’ Italia, anche il Fatto Quotidiano ha potuto partecipare. I giornalisti dei Paesi più ostili a Vladimir Putin mancavano: nessun americano, finlandese, francese o tedesco. Sputnik è il cuore di quella che Usa e Ue considerano la macchina della propaganda di Putin, capace addirittura di cambiare l’ esito delle elezioni negli Stati Uniti, a favore di Donald Trump. Twitter ha annunciato di non accettare più inserzioni a pagamento da RT e da Sputnik, “vogliamo proteggere l’ integrità dell’ esperienza degli utenti”, ha spiegato l’ azienda. “Non pensavo che Twitter fosse sotto il controllo dei Servizi segreti Usa, ma ora Twitter sembra ammetterlo”, ha risposto Margarita Simonyan, direttore di Rt e architetto di questa nuova era dei media governativi russi. Twitter donerà in beneficenza 1,9 milioni di dollari ricevuti da RT e Sputnik durante le elezioni del 2016. Dimitri Peskov, il potente portavoce di Putin, ha spiegato a Jim Rutenberg del New York Times che non è la Russia ad aver scelto di combattere questa guerra a colpi di news, si è limitata al “contrattacco”: tutto comincia con le “rivoluzioni colorate” nei primi anni del potere putiniano a inizio anni Duemila. Georgia, e poi Ucraina, Kirghizistan: al Cremlino si convincono che l’ Occidente usa organizzazioni non governative e media per sobillare le opinioni pubbliche nell’ area di influenza russa e si prepara a fare lo stesso a Mosca. Tra le controffensive, nel 2005, Putin decide di finanziare il progetto di Russia Today, affidato a una giornalista 25enne, Margarita Simonyan. L’ idea era di creare un network tv che trasmettesse ai russi all’ estero un’ immagine rassicurante del Paese, ma la Simonyan lo ribattezza Rt e lo trasforma nella risposta alla Cnn. Rt non parla di Russia, parla del mondo da una prospettiva russa. Nel 2014 la stessa operazione viene replicata sul web: la radio Voice of Russia e l’ agenzia di stampa Ria diventano Sputnik (il satellite lanciato nel 1957 è l’ ultimo trionfo tecnologico che la Russia può vantare). Modello Al Jazeera Il progetto nasce con una esplicita matrice governativa, da un decreto del Cremlino. “Quando qualcuno voleva scrivere di Russia, non poteva accedere direttamente a contenuti prodotti qui e doveva basarsi su media locali che li mediavano, con molte distorsioni, per questo è nato Sputnik – spiega Vasily Pushkov, responsabile dei progetti internazionali di Sputnik -. Il modello sono Al Jazeera del Qatar e l’ agenzia cinese Xinhua, Sputnik deve essere un prodotto competitivo con le grandi agenzie di stampa internazionali”. Ma che credibilità può avere una testata che è espressione diretta del potere di Vladimir Putin? Vasily Pushkov si aspetta la domanda, anzi, si può dire che è proprio per dare la risposta che organizza la “Scuola per giovani giornalisti”. E la risposta è articolata: “Io sono nato nell’ Unione sovietica, negli anni Ottanta, e voi in Occidente denunciavate un regime che bloccava la pluralità delle fonti di informazione, ci spiegavate l’ importanza di ascoltare ogni punto di vista, io ora guardo Euronews ogni mattina, ma perché dovrebbe bastarmi?”. Tradotto: avete voluto la libertà di espressione? Ora dovete accettare che pure la Russia si esprima. Propaganda e indipendenza, poi, sono due concetti scivolosi: “Ne parliamo ancora come se fossimo nella Guerra fredda, ma davvero oggi qualcuno pensa che si possano manipolare le opinioni, quando perfino in Corea del Nord la gente si informa con i telefoni comprati al mercato nero? A tutti i giornalisti piace definirsi indipendenti, ma c’ è sempre qualcuno che paga il loro stipendio e a nessuno piace spendere per leggere cose che non apprezza”. Se Sputnik fosse soltanto un sito che racconta l’ attualità con una prospettiva russa, nessuno lo noterebbe. Ma quello che scrive ha conseguenze politiche, tanto che il Congresso americano non accetta più gli accrediti dei suoi giornalisti, li tratta come rappresentanti di un governo estero invece che da cronisti. E il presidente francese Emmanuel Macron ha espulso il corrispondente di Sputnik dal team autorizzato a seguire l’ Eliseo: durante tutta la campagna elettorale il sito russo pubblicava articoli come “Macron potrebbe essere un agente americano, lobbista degli interessi delle banche” (Sputnik vuole sempre mantenere una patina di oggettività: non si tratta di un editoriale ma di un’ intervista a un oscuro deputato dei Republicains, Nicolas Dhuicq le cui parole il sito si limita a riportare). Decidere che posizione tenere sulle elezioni in Francia, o su quelle imminenti in Italia, sembra più una questione di politica estera che di linea editoriale. Anton Ansimov, giovane vicedirettore di Sputnik, rivendica: “Mai ricevuto una telefonata dal Cremlino per dirmi come coprire le elezioni in Francia”. Poi, forse con una punta di ironia, aggiunge: “Vorrei che fosse successo, così sarei stato sicuro di non sbagliare”. Non si tratta tanto di inseguire le dichiarazioni di Putin, o di anticiparle. Sputnik ha un metodo, prima che un contenuto: seminare il germe del dubbio sul Web e sui social, mettere in discussione la versione dei media tradizionali, cioè occidentali. Un esempio: il dittatore Bashar al Assad è sostenuto dalla Russia, ma è anche considerato il principale responsabile della morte di oltre 400.000 siriani dal 2011 a oggi. La principale fonte dei dati sulle vittime è l’ Osservatorio siriano per i diritti umani. “Sapete quanta gente ci lavora?”, chiede Oleg Dimitriev, consulente per la formazione di Spuntik, alla platea di 40 giornalisti internazionali. Risposta: “Una sola persona e da Londra”. Quindi non ha nessuna credibilità, come ha denunciato Rt nel 2015. Ma nel 2013, il New York Times aveva dato anche alcuni dettagli che i media russi omettono: a Londra, l’ Osservatorio è gestito soltanto da Osama Suleiman, che però si avvale di uno staff di quattro persone in Siria e 230 attivisti sul campo. Chi avrà ragione? Rt o il New York Times? Già farsi la domanda indica che qualche giorno nella “scuola” di Sputnik inizia a produrre i suoi effetti. A ciascuno le sue “fake news” Oleg Shchedrov, già giornalista e poi direttore della russa Interfax, un ventennio alla Reuters è il profeta supremo del dubbio: divide noi “giovani giornalisti” in quattro gruppi e assegna due temi: il veto della Russia nel Consiglio di sicurezza Onu sulla risoluzione anti-Assad sulle armi chimiche e il pericolo nucleare della Corea del Nord. Due gruppi devono analizzare la copertura dei media occidentali, altri due dei media russi in inglese, per identificare i pregiudizi, le “parole emozionali” che vogliono provocare reazioni nel lettore, il rispetto della regola che prevede di sentire sempre la controparte (cioè i russi). Non è difficile intuire lo scopo dell’ esercizio. “Se vuoi uccidere una storia, rendila molto oggettiva”, è una delle massime che Shchedrov dispensa per spiegare la linea della Russia sulla Corea del Nord (critica ma senza arrivare a trovarsi a fianco degli Usa contro Kim Jong-un). I “giovani giornalisti” ascoltano e prendono appunti: molti arrivano da agenzie di stampa o televisioni pubbliche di Paesi con una democrazia dalla qualità discutibile. Sono abituati a questi paletti. Per alcuni partecipare alla scuola di Sputnik è un problema: il gruppo di giornaliste bulgare viene criticato in patria, un giornalista di un Paese dell’ Europa ex sovietica (evitiamo il nome) evita di fare domande così non deve presentarsi e citare la testata per cui lavora. Teme di ritrovarsi sulla lista nera dei giornalisti filo-putiniani e di rovinarsi la carriera. Perché Sputnik è ancora piccolo e marginale in Paesi come l’ Italia – ci scrivono dal veterano Giulietto Chiesa a Marco Fontana, che è anche responsabile dell’ ufficio stampa dell’ Ordine dei pediatri – in zone più sensibili per gli interessi russi Sputnik è una voce influente: in Libano viene rilanciato da una tv, in Slovacchia l’ agenzia di stampa pubblica Tsar ha dovuto cancellare il suo contratto con Sputnik dopo un solo mese per le proteste. E così via. Ogni settimana, la Commissione europea produce una “Rassegna di disinformazione”, a cura di una specifica task force, che censisce i casi di fake news o manipolazioni dei media russi o filo-russi, Sptunik è spesso il bersaglio delle accuse. Ma il ministero degli Esteri guidato da Sergej Lavrov reagisce di conseguenza. “Abbiamo lanciato anche noi un progetto di lotta alle fake news, analizziamo gli articoli che parlano di Russia sui principali media e poi denunciamo sul sito del ministero quelli che contengono bugie”, spiega al Fatto Sergey Nalobin, il funzionario a capo delle strategie digitali del ministero degli Esteri. È uno degli ultimi incontri nel seminario di Sputnik e sembra confermare quanto negato a più riprese nei giorni precedenti, cioè che i nuovi e aggressivi media internazionali basati in Russia e voluti dal Cremlino siano strumenti della politica estera di Putin. “Noi vogliamo soltanto offrire risposte a chi viene privato delle informazioni corrette da parte di giornalisti poco professionali che neppure sentono il parere dell’ ambasciata o del ministero quando scrivono di Russia”, spiega Sergey Nalobin che ama citare Gandhi: “Prima ti ignorano, poi ridono di te, poi combattono, poi vinci”. Al ministero sembrano pensare di essere nella penultima fase: nessuno ride più ma si combatte. Tra le varie attività, il team di 85 persone che si occupa di informazione duella anche via Twitter e Facebook con le fake news anti-russe: “Cerchiamo di rispondere in tempo reale, valutiamo se l’ autore dell’ affermazione è un troll o un esperto, un politico o un giornalista e se l’ interlocutore è rilevante replichiamo subito”. L’ unica Russia da mostrare all’ estero Oltre ai seminari, la “scuola per giovani giornalisti” prevede anche una breve passeggiata sulla Piazza Rossa e una singolare scelta turistica per l’ unico momento dedicato alle visite di monumenti: il Cremlino Izmailovo, una specie di ricostruzione della Russia in miniatura, molto lontano dal centro dove guide autoctone in abiti finto-tradizionali di poliestere illustrano come si faceva il pane nelle campagne, la storia delle Matrioske e l’ arte ceramica. Tutto finto, incluse le chiese ortodosse di legno senza chiodi, questa imitazione risale al 2001, al debutto dell’ era Putin. Chissà, forse è un modo di trasmettere ai giornalisti dei Paesi considerati amici l’ immagine di una Russia che rimane connessa alle sue radici ma si è liberata di tutta la sua storia recente, dagli zar al comunismo al caos degli anni Novanta. C’ è il finto Cremlino e poi c’ è quello vero, da dove Vladimir Putin governa su una Mosca immacolata e ordinatissima pronta ad accogliere trionfalmente i Mondiali di calcio del 2018. E questa è la sola Russia che Sputnik e gli altri media di Mosca vogliono che venga raccontata.

“È incredibile che nessuno risponda per questi risultati disastrosi in Rai”

Il Fatto Quotidiano
Alessandro Ferrucci
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Appuntamento nel centro di Roma: c’ è sciopero. Caos, auto in tripla fila, vigili arresi. Massimo Giletti è in maglione, maglietta, giacchetto, casco sotto il braccio; cammina con passo da velocista, si alza sulle punte per controllare la situazione. “Si muove in macchina?” Sì. “È pazzo”. Lei è adrenalinico. “Dice? Non lo so. Forse sono solo concentrato, non vedo l’ ora di debuttare con Non è l’ Arena (questa sera alle 20.30 su La7): ci penso da mesi, aspetto questo momento come poche volte nella mia vita. Finalmente”. Ci sediamo da qualche parte? No, no, va bene la macchina, stiamo più tranquilli, si infili in quel buco, sterzi, non diamo fastidio (Giletti è talmente “concentrato” da dare anche le indicazioni su come manovrare l’ automobile). Giovedì in conferenza stampa le sono uscite le lacrime Non me lo aspettavo, pensavo che il tempo avesse maggiormente rasserenato il mio animo. Sbagliavo. Evidentemente quando riavvolgi il nastro e ripercorri la tua vita non sempre puoi calcolare tutto. In questo periodo si è sentito solo? A volte è capitato, ma credo sia normale quando stravolgi la tua quotidianità: lasciare la Rai mi ha impressionato, in viale Mazzini sono professionalmente nato e cresciuto, ho nella testa ogni sfumatura di quei corridoi, pure i suoi odori. Giovanni Minoli ha raccontato di quando le ha fatto passare l’ intera notte sotto casa di Andreotti Non proprio tutta. Mi ero informato sugli orari della messa, sapevo che la prima era alle sei del mattino, la seconda alle sette, quindi arrivai alle cinque meno un quarto, in motorino, e insieme all’ operatore. A un certo punto, ecco il Divo E stranamente ero solo nonostante l’ avviso di garanzia ricevuto. Oltre a me, dopo, anche Gian Antonio Stella e Paolo Guzzanti: presi le sue ultime parole prima di una sorta di silenzio stampa per via dei problemi giudiziari. A tu per tu con Andreotti. I suoi occhi, lo sguardo tagliato, sono una delle immagini del mio archivio mentale. Insomma, è sotto ansia da debutto Di solito non sono teso, ma questa è realmente un’ altra storia, una diversa consapevolezza, una differente avventura con accenti in grado di moltiplicare le emozioni. Sotto pressione. C’ è la responsabilità di essere un acquisto serio in una società nuova, più specializzata nell’ informazione e che con me sta cercando di aprire nuovi varchi. Con un bagaglio di quattro milioni di spettatori. Di pubblico Rai. Ora posso solo sperare di traghettare parte di quei numeri su La7; nella vita uno deve avere coraggio, altrimenti è finita. Non sempre chi è andato via dalla Rai ha ottenuto lo stesso successo. È sempre complicato, ho visto la fatica iniziale di Floris Comunque se non volevo azzardare, potevo restare in Rai: mi avevano offerto un varietà in prima serata. L’ ha stupita la vicenda della Gabanelli? No, perché conosco Milena. Forse sono loro a non sapere bene chi è, come non avevano capito chi sono io. Conoscere o non volere conoscere? Forse sono abituati a lavorare con i quaquaraqua, con gente che si accontenta di un posto di prestigio o di denaro. Una che è andata in Jugoslavia appresso alla tigre Arkan non si accontenta di due lustrini e un po’ di soldi. Lei è stato in Iraq Sono arrivato a 200 metri dall’ Isis e ho intervistato due miliziani appena catturati. Dicevamo: tutta la sua esperienza è in Rai E pensavo fosse meglio avere più padroni che uno solo. Tradotto Sono cresciuto in un’ azienda pluralista, con delle grandi teste pronte a dialogare. Oggi mi sembra si punti a una normalizzazione, che passa attraverso dei rischi. Con risultati non eccellenti. Ho fatto una scelta di non commentare i dati attuali: sono talmente tanti i programmi che non funzionano. Però mi domando: ma chi pagherà per questi errori? Se fosse una società privata, qualcuno ne avrebbe risposto. Tracollo economico. È tutto collegato: immagine, punti di share, pubblicità. Il suo passaggio dalla realtà pubblica a quella privata. Intanto è stato decisivo Urbano Cairo: mi ha incontrato, parlato, il confronto è proseguito a lungo e con la giusta pazienza. Mi ha colpito il dialogo. In Rai non dialogava? Certo. Però dopo la trasmissione ero quasi costretto a staccare il cellulare: venivo assalito dalle telefonate di dirigenti. Complimenti o proteste? Un giorno un direttore generale mi disse: “Non riesco a capire: lei da che parte sta?” E io: “Grazie per il complimento”. Comunque le pacche sulle spalle arrivavano il lunedì alle dieci del mattino, dopo aver letto i dati dell’ Auditel: per undici volte abbiamo raggiunto livelli più alti del serale di Rai1. Momenti difficili? Quando tocchi i reali poteri dai fastidio, altrimenti non saremmo oggi qui a parlarne. In particolare, in quale occasione? Ho avuto fastidi quando mi sono occupato dei limiti sulla ricostruzione post-terremoto: un episodio così palese era ed è un problema per questa classe politica. Quattro milioni di spettatori bisogna saperli gestire? Si impara, Rai1 non è una rete qualsiasi, è la più importante d’ Italia: la libertà di Rai2 o Rai3 non la puoi ritrovare; uno deve rivestire anche le proprie reazioni, vuol dire maggiore responsabilità Perché la seguono? Chi guarda ha fiducia in te, e bisogna lavorare sulla credibilità, essere disposti a lasciare perdere, o a rallentare pur di arrivare alla qualità giusta. Ha raccontato che il suo gruppo di lavoro non l’ ha mollata, sono ancora con lei. Siamo pochi, non raggiungiamo i quindici: basta una febbre condivisa e sono cavoli. Ma non smetterò mai di ringraziarli, il loro gesto è stato commovente. Del direttore di Rai1, Mario Orfeo, si definiva amico Amico è una parola esagerata, con lui ci siamo dimostrati sempre un forte rispetto; evidentemente in certi momenti si plana su qualunque atteggiamento o rapporto. Come ha passato l’ estate? Ho gestito una tempesta emotiva veramente faticosa, ne sono uscito, ma questa esperienza mi ha segnato, Ha pianto altre volte? Sì, soprattutto quando ho pensato alle persone che non avrei più rivisto in Rai. Ha iniziato presto a lavorare Ma non come giornalista. Inizialmente sono andato in Inghilterra, poi assistente universitario in Italia, quindi un’ avventura in Brasile insieme a una merchant bank, infine due anni in azienda con mio padre Alla catena di montaggio? Quando entrai il primo giorno, lui mi disse: ‘Prendi una sedia e vieni nel mio ufficio’. Invece finii in mezzo agli altri lavoratori: se non capisci e vivi la vera fatica, non puoi comandare. Era una vecchia regola di casa Agnelli Giocavo a pallone con Giovannino. Una volta abbiamo preso insieme un treno per Genova; mi stupii quando acquistò un biglietto di seconda classe: ‘È fondamentale conoscere le persone, e sarò sempre grato a mio padre per l’ educazione che mi ha trasmesso

Cronisti insultati al corteo per i giornalisti

Il Tempo
SUSANNA NOVELLI
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Una manifestazione squisitamente politica, a una settimana precisa dal ballottaggio decisivo tra 5 Stelle e centrodestra, per la guida del X Municipio. E come un paradosso, a dire il vero sfortunato almeno per le intenzioni del sindaco grillino, nel corteo contro la mafia indetto a sostegno della troupe Rai aggredita, sono volati insulti proprio ai giornalisti, prima da esponenti dell’ estrema sinistra, poi dai militanti grillini: «Fate schifo, siete delle mosche, servi del potere». Anche gli insulti insomma copia incolla del leader maximo Beppe Grillo. Alla testa del corteo «non politico» Virginia Raggi con al suo fianco, guarda caso, la sfidante al ballottaggio Giuliana Di Pillo, circondate da diversi rappresentanti dell’ amministrazione capitolina, dalla Giunta al consiglio comunale, alcuni parlamentari del M5s quali Alessandro Di Battista, Paola Taverna e la candidata alla Regione Lazio, Roberta Lombardi. Il centrodestra, che pure aveva aperto alla partecipazione alla manifestazione ha vben spiegato l’ assenza: «Abbiamo dato la nostra disponibilità a mezzo stampa a partecipare al corteo di oggi organizzato dalla sindaca Raggi, per dire no alla criminalità e per esprimere ancora la nostra solidarietà al giornalista e all’ operatore Rai aggrediti nei giorni scorsi da Roberto Spada. Ma dobbiamo constatare che purtroppo non ci sono le condizioni per marciare insieme perché la manifestazione è evidentemente di parte, mentre invece partecipammo a quella indetta da Veltroni anni fa perché dimostrò di essere capace a gestire una vera manifestazione unitaria», dichiarano in unanota congiunta, Monica Picca candidato del centrodestra alla presidenza del Municipio X, Massimo Milani commissario romano di Fdi-An, Davide Bordoni. Se la giocano invece diversi esponenti del Pd e di Sinistra Italiana, che tentano di sfilare la «bandiera politica» (non visibile ma ben presente) al MoVimento. Presenti allora tra gli altri l’ assessore alle Politiche sociali della Regione Lazio, Rita Visini e il Presidente dell’ Osservatorio regionale sulle Mafie, Giampiero Cioffredi, oltre a il sindaco dem di Fiumicino, Esterino Montino e Stefano Fassina, consigliere capitolino e deputato di Sinistra Italiana. Del resto, a onor di cronaca, il corteo di ieri era stato indetto da Laboratorio X la lista civica di sinistra, al quale poi si sarebbe “agganciata” la Raggi. «Non arretriamo di fronte alle mafie, non arretriamo di fronte alla criminalità, noi ci siamo ha detto il sindaco Raggi -. Le istituzioni ci sono e sono al fianco dei cittadini, come deve essere». La ciliegina sulla torta del corteo «non politico» ce l’ ha messa poi il capogruppo M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara: «Era una manifestazione contro la mafia e senza bandiere, chi non ha partecipato ha fatto capire da che parte sta. Del resto Picca non ha mai saputo dire una parola di roghi dei cassonetti in serie, non ha mai preso le distanze da Spada e Casapound». Ecco, appunto, non era politica. Era il 27 giugno e dopo il caso del minisindaco Andrea Tassone, il Movimento Cinque Stelle chiamava a raccolta i cittadini di Ostia per una fiaccolata dell’ onestà il 27 giugno alle 21 dal porto turistico di Roma. «Roma è ostaggio di criminali e politici corrotti. Il PD c’ è dentro fino al collo. Il 27 giugno ad Ostia ci sarà una fiaccolata dell’ onestà con i parlamentari del M5S». A chiamare a raccolta iscritti simpatizzanti e cittadinanza era il parlamentare del Movimento Cinque Stelle Alessandro Di Battista. Non mancarono riferimenti alla giornalista Federica Angeli rea, a detta loro, di essere una ex fan di Tassone. Allora i giornalisti erano i «cattivi», magicamente, dopo l’ aggressione a Daniele Piervincenzi, sono diventati «buoni».

Perché i giornalisti sono sempre nel mirino

L’Espresso

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Sul mestiere di giornalista è stato detto tutto il bene e tutto il male possibile, perché è un lavoro che si svolge nei pressi del potere, e (talvolta) al potere si oppone. Pensando alla grandezza storica di questa professione vengono in mente nomi di giornalisti che in tutto il mondo con il loro lavoro di ricerca e denuncia hanno salvato la vita a innocenti condannati a morte dai tribunali, oppure hanno realizzato inchieste fondamentali per la democrazia. E anche restituito un po’ di verità a questo Paese che ha sempre avuto paura di conoscerla. La tentazione di rimuovere la memoria è forte. Il lavoro svolto dai giornalisti è un vaccino contro l’ ignoranza e le fake news, necessario perché l’ opinione pubblica avvertita e responsabile sviluppi gli anticorpi. Ma è una pillola che non va giù, in particolare a potenti e criminali. Sarà anche per questo che non esiste altro Paese occidentale in cui sono stati assassinati tanti cronisti: uccisi dalle mafie e dal terrorismo politico. I giornalisti che muoiono in genere sono inviati di guerra. In Italia, invece, vengono uccisi e minacciati. Potenti e criminali, mafiosi e terroristi vogliono dare una lezione ai vivi, insegnare loro il dovere del silenzio, l’ obbedienza dell’ oblio. E se al silenzio non ci siamo abituati lo dobbiamo anche a questi uomini che non ci sono più. Tutti avevano un unico obiettivo, quello di informare e denunciare. Quarant’ anni fa il vice-direttore della Stampa Carlo Casalegno, ex partigiano e liberale democratico fu ucciso dalle Brigate rosse per le sue idee, come racconta Ezio Mauro. Nel 2014 Andrea Rocchelli è caduto in Ucraina per il suo lavoro di photoreporter, come tanti che si sono spinti all’ estero a raccontare traffici illeciti e i crimini contro l’ umanità. O i tanti cronisti vittime di Cosa nostra. Profili diversi che testimoniano come sia cambiato il mestiere, ma avevano in comune la passione per la notizia, senza alcuna vocazione all’ eroismo, solo al giornalismo. Vite che appartengono alla storia umana, politica e civile di questo Paese. Dovremmo affermare quotidianamente il diritto “a sapere” con il giornalismo d’ inchiesta, per sua natura il più scomodo e coraggioso, che si contrappone alla diffusa e purtroppo trasversale tentazione di dire che non conoscere è meglio. L’ ultima ad aver pagato con la propria vita è Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa con un’ autobomba. Assassinata perché raccontava troppo. Lasciata sola dalle autorità cui aveva denunciato minacce di morte. C’ è voluta una morte così violenta ed eclatante, nel tipico stile terroristico-mafioso, per far vedere che Daphne era una giornalista che doveva essere protetta, non solo dalle istituzioni, ma anche dalla società dell’ isola in cui viveva. Matthew, il figlio di Daphne, racconta nel nostro giornale la mattina di sabato 4 novembre, giorno successivo ai funerali di sua madre. È uscito presto da casa, e i poliziotti che dovevano vigilare su di lui e sulla sua famiglia, davanti alla sua abitazione, dormivano nelle loro macchine. Racconta di essere tornato sulla scena dell’ esplosione dove ha trovato un bloc-notes con l’ intestazione “Premio Sakharov” che pendeva da alcuni ramoscelli bruciati. Su una pagina c’ era scritto: «Ognuno ha diritto alla libertà di espressione». Al sacrificio di Daphne potrebbe essere dedicato il grande lavoro d’ inchiesta “Paradise Papers” del consorzio investigativo ICIJ firmata in Italia da L’ Espresso in sinergia con Report-Rai3. I giornalisti di queste due redazioni hanno scavato per mesi in una montagna di quasi quattordici milioni di documenti alla ricerca di politici, imprenditori, attori, cantanti e campioni sportivi che hanno investito nei paradisi fiscali. Dopo un lungo lavoro di riscontri e verifiche è stato possibile ricostruire vicende di grande rilievo politico e civile. Con ricadute anche sull’ Italia. Raccontiamo storie importanti e pesanti e lo facciamo in collaborazione con Report, mettendo in campo due modi di fare inchieste, due linguaggi giornalistici, quello della carta stampata e della scrittura e quello televisivo e delle immagini, con una concezione comune dell’ informazione. Di quel giornalismo d’ inchiesta, che non piace ai potenti. n.

Rassegna Stampa del 13/11/2017

Indice Articoli

Un sostegno a 360° per l’ arte

Tv: Topolino a caccia dello squalo Disney vuole Fox contro Netflix & Co.

Contributi editoriali due rinvii a giudizio

TUTTO L’ORO CHE CI GIOCHIAMO

La Figc senza Mondiale rischia un buco di 100 milioni

Un sostegno a 360° per l’ arte

Italia Oggi Sette
BRUNO PAGAMICI
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In arrivo il codice dello spettacolo e la riforma organica del settore, con agevolazioni fiscali e fondi a favore delle zone terremotate del Centro Italia. Con l’ approvazione, l’ 8 novembre, da parte della Camera del disegno di legge «Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al governo per il riordino della materia», già approvato dal Senato, è stato attuato un intervento normativo finalizzato a dare una risposta legislativa a un settore che attende una riforma da oltre 30 anni. Il provvedimento reintroduce il credito d’ imposta a favore delle imprese del settore, estende l’ Art bonus per favorire le erogazioni liberali a favore della cultura e dello spettacolo, prevede uno stanziamento di fondi per attività culturali nelle zone del Centro Italia colpite dal sisma, semplifica gli iter autorizzativi e gli adempimenti relativi allo svolgimento di attività di pubblico spettacolo, inclusa l’ autorizzazione di pubblica sicurezza. Con la nuova legge, lo spettacolo è riconosciuto come un fattore fondamentale per lo sviluppo della cultura ed elemento di coesione e di identità nazionale e veicolo indispensabile di diffusione della conoscenza della cultura e dell’ arte italiana in Europa e nel mondo, nonché componente dell’ imprenditoria culturale e creativa e dell’ offerta turistica nazionale. Viene anche richiamato il valore educativo e formativo dello spettacolo, come strumento per favorire l’ integrazione e superare il disagio sociale. La legge inoltre inquadra le attività di spettacolo nella disciplina del terzo settore dettata dal dlgs 117/2017. Delega al governo. Sul piano strettamente normativo, la legge reca una delega al governo ad adottare, entro 12 mesi dalla sua entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per: – il coordinamento e il riordino delle disposizioni legislative e di quelle regolamentari che disciplinano l’ attività, l’ organizzazione e la gestione delle fondazioni lirico-sinfoniche; – la riforma, la revisione, e il riassetto della disciplina nei settori del teatro, della musica, della danza, degli spettacoli viaggianti, delle attività circensi, dei carnevali storici e delle rievocazioni storiche. Al contempo, viene disposto che a ciò si dovrà provvedere mediante la redazione di un unico testo normativo denominato «Codice dello spettacolo». L’ intervento è finalizzato a dotare il settore di un assetto più efficace, organico e conforme ai principi di semplificazione delle procedure amministrative e di ottimizzazione della spesa, ed è volto a migliorare la qualità artistico-culturale delle attività, incentivandone la produzione e l’ innovazione, nonché la loro fruizione da parte della collettività, con particolare riguardo all’ educazione permanente. Tra i principi e i criteri direttivi per l’ esercizio della delega, la nuova legge di riordino dello spettacolo delega la razionalizzazione degli interventi di sostegno dello Stato, a cui sono attribuiti, fra l’ altro: – la gestione del Fondo unico per lo spettacolo (Fus); – la promozione della diffusione delle produzioni italiane ed europee dello spettacolo, nonché delle opere di «giovani» artisti e compositori emergenti, attraverso appositi spazi di programmazione nelle piattaforme radiotelevisive, anche mediante la previsione di specifici obblighi di trasmissione nel contratto di servizio tra il Mise e la Rai; – la promozione tra le giovani generazioni della cultura e delle pratiche dello spettacolo, anche mediante le nuove tecnologie, attraverso misure rivolte alle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado e agli enti o istituti di alta formazione; – la promozione dell’ integrazione e dell’ inclusione, attraverso attività formative, nonché mediante la pratica e la fruizione delle attività di spettacolo anche in contesti disagiati. Incentivi fiscali. La legge estende il c.d. art-bonus e promuove la produzione musicale delle opere di artisti emergenti. Innanzitutto, viene previsto che il credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura (pari al 65% delle erogazioni effettuate) spetti anche per le erogazioni liberali in denaro effettuate per il sostegno delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione. Inoltre, viene stabilizzato il «credito d’ imposta musica» a favore delle imprese produttrici di fonogrammi e di videogrammi musicali, nonché delle imprese organizzatrici e produttrici di spettacoli di musica dal vivo. Il beneficio fiscale verrà riconosciuto anche per le opere terze. Fondo per lo spettacolo. La legge incrementa la dotazione del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) di euro 9,5 milioni annui per il 2018 e il 2019 e di euro 22,5 milioni annui dal 2020. Inoltre, viene autorizzata per il 2018 la spesa di 4 milioni di euro in favore di attività culturali (spettacoli dal vivo) nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016. Il Fus, istituito dalla legge 163/1985 al fine di ridurre la frammentazione dell’ intervento statale e la conseguente approvazione di apposite leggi di finanziamento, è attualmente il principale strumento di sostegno al settore dello spettacolo dal vivo, e lo è stato, fino al 2016, anche per il settore della cinematografia (per il quale, dal 2017, è stato istituito, ai sensi della legge 220/2016, l’ apposito Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’ audiovisivo). Attualmente, le finalità del Fus consistono nel sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché nella promozione e nel sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all’ estero. Teatri, spettacoli e carnevali. La legge reca ulteriori principi e criteri direttivi specifici, riferiti ai settori del teatro, della musica, della danza, degli spettacoli viaggianti e delle attività circensi, nonché dei carnevali storici e delle rievocazioni storiche. Per tutti i settori indicati, si tratta, in particolare, di: – ottimizzare l’ organizzazione e del funzionamento dei diversi settori, sulla base dei princìpi di tutela e valorizzazione professionale dei lavoratori, efficienza, corretta, migliore e responsabile gestione, economicità, imprenditorialità e sinergia tra i diversi enti e soggetti operanti in ogni settore, o nell’ ambito di settori diversi; – riconoscere il ruolo dell’ associazionismo nell’ ambito della promozione delle attività di spettacolo; – ottimizzare le risorse attraverso l’ individuazione di criteri e modalità di collaborazione nelle produzioni. Giovani. Vengono introdotte norme volte all’ avvicinamento dei giovani alle attività di spettacolo, creando un efficace percorso di educazione delle nuove generazioni. In particolare, alla promozione di programmi di educazione nei settori dello spettacolo nelle scuole di ogni ordine e grado, si prevede che sia destinato (annualmente) almeno il 3% della dotazione del Fondo unico per lo spettacolo. Fondazioni lirico-sinfoniche. Viene posticipato (dal 31 dicembre 2018) al 31 dicembre 2019 il momento a partire dal quale le fondazioni lirico-sinfoniche saranno inquadrate, alternativamente, come «fondazione lirico-sinfonica» o «teatro lirico-sinfonico». Viene prevista inoltre la revisione dei criteri di ripartizione del contributo statale, anche tramite scorporo delle risorse ad esse destinate dal Fus. Lavoratori dello spettacolo. Il legislatore opera inoltre una revisione delle disposizioni in materia di lavoro nel settore dello spettacolo. In particolare, si prevede una disciplina che, in armonia e coerenza con le disposizioni generali in materia, regolamenti il rapporto di lavoro nel settore dello spettacolo in modo sistematico e unitario, con le opportune differenziazioni correlate alle specifiche attività, tenendo conto anche del carattere intermittente delle prestazioni lavorative con riferimento alle specificità contrattuali e alle tutele sociali anche previdenziali e assicurative. Internazionalizzazione. Viene previsto il sostegno alla diffusione dello spettacolo italiano all’ estero e ai processi di internazionalizzazione, in particolare in ambito europeo, attraverso iniziative di coproduzione artistica, collaborazione e scambio, favorendo la mobilità e la circolazione delle opere e lo sviluppo di reti. In particolare viene disposto il sostegno all’ internazionalizzazione delle produzioni di giovani artisti italiani, nonché degli spettacoli di musica popolare contemporanea, anche attraverso iniziative di coproduzione artistica e collaborazioni intersettoriali. © Riproduzione riservata.

Tv: Topolino a caccia dello squalo Disney vuole Fox contro Netflix & Co.

Affari & Finanza

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Stefano Carli V enderà o non venderà? La domanda cruciale attorno all’ affare Disney-Murdoch che ha infiammato listini, analisti e banche all’ inizio della scorsa settimana è tutta qui. Perchè la sola certezza nell’ ipotesi circolata a seguito di un lancio della Cnbc (il canale di business news che fa capo alla Comcast)e che non ha ricevuto alcun commento da nessuna delle due parti interessate, è che Disney ha tutte le intenzioni di comprare. Ma non si sa se la famiglia Murdoch sia davvero disposta a vendere la fetta più grossa del gruppo Fox: canali tv via etere e via cavo, gli studios di produzione della Fox e perfino le due grandi partecipazioni internazionali, Sky in Europa e Star in India, per tenersi solo Fox News e Fox Sport. Da un punto di vista industriale l’ operazione c’ è tutta. Il settore media negli Usa è alle prese con il ciclone della streaming tv: Netflix e Amazon stanno sconvolgendo, ancor più che in Europa, più tradizionalista, gli ascolti tv. «Le major hanno bisogno per poter competere di avere accesso diretto a piattaforme di distribuzione -spiega Augusto Preta, direttore di ItMedia Consulting – e soprattutto devono poter controllare direttamente il canale online per operare sullo stesso piano delle streaming tv. Anche perchè sono queste ultime che si stanno avvantaggiando del cosiddetto “cord cutting”, ossia il passaggio degli utenti da abbonamenti impegnativi come quelli delle pay tv, con vincoli contrattuali e costi elevati, a sistemi come Netflix, appunto, in cui si paga mese per mese un forfait onnicomprensivo. E tutto questo finisce così per erodere la base clienti delle pay tv tradizionali». Nel mondo prima di internet le major producevano e le tv compravano e a caro prezzo. Ora però con i grandi network tv sotto scacco tutto si complica. Come in una reazione a catena, la maggior richiesta di contenuti pregiati ha dapprima creato pressione sui prezzi dei diritti, a cui le streaming tv, sempre Netflix e Amazon in testa, hanno risposto iniziando a loro volta a produrre ed entrando in competizione diretta con le major. Come sempre in questi casi la risposta da parte del mercato è: concentrazione. A questo risponde la logica dell’ acquisizione da parte di At&t,la telco numero uno del mercato Usa, di Time Warner, operazione al momento ferma in attesa di autorizzazioni antitrust che stanno tardando più del previsto. Ma alla stessa logica risponde l’ offerta, anche questa in corso, da parte del gruppo Fox, per acquisire il 100% del gruppo Sky (pay tv via satellite in Italia, Germania e Gran Bretagna) di cui possiede il 39%. Detta così sembra poco ma è un’ Opa da 11 miliardi di sterline. Tutto assieme il gruppo Fox non è un boccone piccolo: 30 miliardi di dollari di ricavi sul mercato Usa, 50 d i capitalizzazione. È un gruppo in crisi? No, non oltre la media del settore. Certo, ha sofferto lo stop ricevuto tre anni fa al tentativo di acquisire a sua volta il gruppo Time Warner (ma all’ epoca venne stoppata anche una quasi contemporanea offerta di Comcast) ma non si può dire che il presente sia problematico. Anzi, mercoledì scorso, due giorni dopo l’ indiscrezione della Cnbc, sono usciti i dati della trimestrale che sono stati sopra le attese dei mercati, con ricavi pubblicitari in crescita. I problemi sono caso mai più dalla parte di Disney, la “House of Mouse” è un gigante. Oltre 55 miliardi di dollari di ricavi, 150 di capitalizzazione, il triplo di Fox. Negli scorsi anni ha fatto molto shopping tra le case di produzione e se il contenuto è il re, la Disney dovrebbe essere il suo regno. Ma è un regno senza infrastrutture. Soprattutto una volta andata in porto l’ operazione At&t-Time Warner, resterebbe “isolata”. Comcast è un gruppo integrato: è il maggiore operatore via cavo Usa, ha poi iniziato ad offrire connettività internet e ha un suo servizio di streaming tv. E indiscrezioni uscite sulla stampa Usa dicono che se davvero i Murdoch vendessero, anche Verizon, il concorrente di At&t, potrebbe entrare in partita. A spingere Disney verso l’ ipotesi di formulare un’ offerta per Fox potrebbe poi essere il fallimento di un tentativo di creare una sua streaming tv in casa. Lo ha fatto nel Regno Unito, lanciando due anni fa Disney Life, una streaming tv di cartoni e contenuti per bambini a 9,99 sterline al mese, ma la cosa non ha funzionato. Segno che la gestione di abbonati, pagamenti e software non è cosa che si possa inventare. Ora Bob Iger, il ceo di Disney, è corso ai ripari e si è rivolto al mercato, come già dieci anni fa, all’ inizio della rivoluzione internet e del trattamento digitale delle immagini, quando risolse i suoi ritardi comprando la Pixar. Nei mesi scorsi ha infatti perfezionato l’ acquisizione di Bam-Tech, una streaming video company creata dalla Major League di baseball: un investimento da 2,6 miliardi di dollari. Nelle scorse settimane ha annunciato il lancio di due nuovi servizi online nei prossimi 18 mesi. Uno legato allo sport (ma senza andare ad intaccare il ricco portafoglio di diritti di basket e baseball che la sua Espn vende alle pay tv), l’ altro di film. Ma, come si vede dalla tempistica, non sono soluzioni in grado di dare effetti nel breve periodo. Di qui le voci su un’ operazione più corposa. Gli incontri ci sarebbero dunque stati. Non alla presenza di banchieri d’ affari e avvocati ma solo di manager. Non si sarebbe quindi parlato di cifre né di aspetti operativi. Potrebbe anche essere stato solo un ballon d’ essay per vedere anche le reazioni dei mercati (positive per entrambi i titoli). Un’ iniziativa che oltretutto non bloccherà, come qualcuno aveva temuto all’ inizio, l’ Opa sul 100% di Sky, attualmente in attesa di un ok definitivo da parte del governo britannico, che tarderà ancora per i tentennamenti del debole premier Theresa May, ma che dovrebbe infine arrivare. C’ è però una possibilità più minimalista: che Disney e Fox si siano incontrati anche per decidere il futuro di Hulu, la streaming tv di film senza pubblicità nata in parte gratis e in parte in abbonamento. Hulu è nata nel 2007, un anno prima dello sbarco online di Netflix, ha circa 12 milioni di abbonati, un marchio ormai noto negli Usa ma è un’ arma commercialmente spuntata perché ha troppi azionisti pesanti. È infatti controllata con il 30% ciascuno da Disney, Fox e Comcast, con un ultimo 10% di Time Warner. Alla fine resta l’ incognita delle reali intenzioni dei Murdoch. Certo, molto dipenderà dall’ assegno che le casse di Topolinia potrebbero staccare in loro favore. Ma al fondo c’ è che si tratta di un impero familiare e le strategie del vecchio Rupert nel corso degli anni non hanno mai distolto lo sguardo dall’ obiettivo di preparare un passaggio del testimone ai figli James e Lachlan. Anche nel caso, un paio di anni fa, della divisione in due degli asset tra NewsCorp e Fox. Suona comunque singolare che alla fine i Murdoch possano ritrovarsi a fare la stessa cosa da cui sono partiti molti anni fa: news e giornali. Sicuramente però di gran lunga più ricchi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Contributi editoriali due rinvii a giudizio

Il Tempo
RICCARDO DI VANNA
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Riccardo Di Vanna M Sarà il tribunale a stabilire se dietro i contributi ricevuti dalla Nuove Politiche Editoriali, tra il 2009 e il 2012, si celi o meno un raggiro. Il giudice per l’ udienza preliminare di piazzale Clodio ha infatti rinviato a giudizio Francesco Nucara, già segretario del Partito Repubblicano Italiano, e Giancarlo Camerucci, legale rappresentante della società cooperativa. Secondo la procura, la presunta condotta degli imputati – ai quali contesta i reati di truffa e falso – avrebbe portato fondi a sei zeri all’ editrice che si occupava del giornale di partito. In particolare, stando agli inquirenti, i due, ciascuno con il pro prio ruolo, avrebbero stipulato due contratti quantomeno sospetti. In altre parole, il rappresentante del Pri e quello di Nuove Politiche Editoriali, «al fine di generare in favore di quest’ ultima» alcuni costi «inesistenti» o esistenti solamente in parte, avrebbero sottoscritto contratti «simulati». I costi caricati sulla società, come quelli relativi all’ affitto della sede, della distribuzione o del “servizio banca dati e archiviazione”, sarebbero poi stati regolarmente presentati al dipartimento editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Tratta in inganno, quest’ ultima struttura avrebbe poi erogato oltre un milione di euro all’ editrice.

TUTTO L’ORO CHE CI GIOCHIAMO

Corriere dello Sport

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Il calcio italiano, a livello diretto, incide per circa l’ 11% del Pil (Prodotto interno lordo) del calcio mondiale. Secondo i dati pubblicati nell’ ultimo bilancio integrato (2014-15), la Figc sviluppa attraverso le sue molteplici attività, in ambito domestico e all’ estero, ricavi operativi per 153,5 milioni di euro, un volume d’ affari di una grande impresa a livello nazionale. Il nostro sistema, nel complesso, è al quarto posto, in Europa, per numero di “calciatori tesserati” (1.062.294), dietro solo a Francia (1.744.071), Inghilterra (1.852.374) e Germania (2.220.234). Siamo un prodotto di assoluto valore economico -sportivo. É per questa ragione che la Fifa, massimo organo di governo del calcio, è seriamente preoccupata per una possibile esclusione dell’ Italia dalla fase finale della prossima Coppa del Mondo (Russia2018). La mancata partecipazione degli azzurri, infatti, ridurrebbe del 50% il valore dei diritti tv della competizione iridata per il nostro mercato. Il tutto è rafforzato dal fatto che la Nazionale italiana crea, da sempre, economia per se stessa e per le aziende che vi si legano, perché rappresenta, idealmente, la valorizzazione dell’ italianità come “brand value” (soprattutto all’ estero). Le sponsorizzazioni collegate agli azzurri valgono, a oggi, circa 57 milioni di euro. Non qualificandosi si perderebbero immediatamente 1,3 milioni di euro (parte variabile inserita nei contratti); altri 600mila euro per una serie di contratti in fase di definizione e infine 2 milioni di euro da aziende interessate a entrare solo se gli azzurri saranno presenti in Russia. In totale mancherebbero all’ appello circa 4 milioni di euro in sponsorizzazioni. LA TORTA DEI RICAVI FIFA. La mancata partecipazione a Russia 2018 può trasformarsi in un’ apocalisse, come sottolineato dallo stesso presidente della Figc (Carlo Tavecchio), soprattutto in ambito economico. Nel 2018, la Fifa metterà sul piatto delle 32 squadre iscritte al Mondiale una “torta” del valore di 345 milioni di euro. Una redistribuzione dei ricavi in crescita costante da oltre 10 anni: in Germania, nel 2006, aveva toccato la quota record di 200 milioni, per arrivare, otto anni più tardi, in Brasile, a 310 milioni. Qualificarsi a Russia2018 farà scattare, immediatamente, un bonus di 8,2 milioni di euro (in questa cifra sono inclusi anche 1,3 milioni, a copertura dei costi logistici e di preparazione). L’ ingresso negli ottavi di finale vale altri 3,4 milioni, così come per i quarti. Ulteriori 17,6 milioni di euro sono previsti in caso di semifinale e conquista del titolo, per un totale di oltre 32,7 milioni (24 milioni di euro per la finalista). Praticamente più del 20% di un fatturato medio della Figc, al di fuori dalla partecipazione alla Coppa del Mondo. L’ impatto di una mancata qualificazione è altrettanto forte anche all’ interno dei confini nazionali, soprattutto se si pensa agli investimenti pubblicitari a supporto della Nazionale in occasione delle gare ufficiali. Nel 2016, per esempio, il numero complessivo di telespettatori, che hanno assistito a programmi, con immagini e contenuti relativi alla Nazionale “A” e all’ Under21 (audience cumulata), è stato pari a 1,7 miliardi di contatti (2,2 miliardi, e una durata delle trasmissioni pari a 5mila ore, se si allarga l’ analisi al mercato mondiale), garantendo agli sponsor Figc circa 270 ore di esposizione televisiva. A conferma dell’ importanza del prodotto Nazionale di calcio, nelle prime 50 posizioni della classifica italiana dei programmi più visti di sempre in tv, figurano 49 partite di calcio, di cui 45 proprio collegate alle imprese sportive degli azzurri. La trasmissione più seguita nella storia dell’ Auditel (società che raccoglie e analizza i dati sull’ ascolto tv) è la semifinale del campionato Mondiale di calcio del 1990, in Italia, tra gli azzurri e l’ Argentina: 27,5 milioni di telespettatori, con uno share dell’ 87,25%).

La Figc senza Mondiale rischia un buco di 100 milioni

Il Messaggero

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IL FOCUS dal nostro inviato MILANO A San Siro, ma distanti. In tribuna e anche nel caso Nazionale. Giovanni Malagò, numero uno del Coni, e Carlo Tavecchio, presidente della Figc, saranno ovviamente allo stadio. Rigorosamente separati, però. Perché all’ unità deve pensare Ventura che è anche quello messo peggio. Il ct rischia di restare senza panchina anche se centra la qualificazione, il capo della Federcalcio, invece, non lascerebbe il Palazzo. Almeno spontaneamente. Se l’ Italia non ce la fa, in Consiglio Federale troverà subito chi gli si metterebbe di traverso, a cominciare dai Dilettanti del suo vicario Sibilia. Tavecchio non pensa alle dimissioni, ma sa bene che qualcuno proverà a spingerlo a lasciare. Ieri sera è andato a cena alla Pinetina per stare accanto al ct e ai giocatori: è la conferma di quanto pesa il risultato del playoff sulla sua gestione. CROLLO DA EVITARE Questione di faccia, quella che perderebbero Ventura e gli azzurri, e di cassa, quella che si svuoterebbe in via Allegri. Il bilancio della Federcalcio pagherebbe le conseguenze dell’ eliminazione, vedendo impoverito il suo asset principale: senza mondiale, il danno economico è stato calcolato in circa 100 milioni. Sono in ballo almeno 20 milioni che si incassano dalla Fifa fino all’ ingresso nei quarti (le prime 16 eliminate ricevono comunque 8 milioni). Ma sarebbe soprattutto il brand azzurro a svalutarsi: difficile quantificare le perdite. Di sicuro sono chiari gli introiti commerciali: 70 milioni tra sponsor (43) e contratti tv (26). La mancata qualificazione a Russia 2018 avrebbe poi un effetto depressivo sugli accordi da stipulare con i partner per il quadriennio che porta a Qatar 2022. E salterebbero alcuni bonus (soprattutto quelli della Puma). Ripercussioni anche sui contratti televisivi: perché ora la Rai versa 26 milioni all’ anno, ma le prossime partite avrebbero un appeal ben diverso se l’ Italia non andrà in Russia. U.T. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Contributi editoria giornali estero. Pubblicato in G.U il DPCM sulla modalità di concessione del sostegno

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM sulle Modalità per la concessione dei contributi per il sostegno alla stampa italiana diffusa all’estero, a norma del Capo V del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. (17A07474) (GU Serie Generale n.260 del 07-11-2017)

Il DPCM inquadra due macro categorie, ossia i quotidiani con una percentuale di venduto non inferiore al 60 per cento delle copie distribuite e i periodici. In realtà, in relazione al digitale, il DPCM classifica come imprese editrici di quotidiani anche quelle che editano testate telematiche la cui percentuale di utenti unici all’estero sia superiore al sessanta per cento di quelli complessivi. Si tratta, palesemente, di un’enorme apertura a imprese editrici di portali con particolare riferimento a tematiche internazionali, ma prive di quel carattere editoriale che ne ha caratterizzato fino ad ora le finalità d’intervento. Le disposizioni del decreto si applicano a decorrere dai contributi relativi all’anno 2018.

Per approfondimenti consulta la nostra circolare

Ue affila le armi contro fake news

La lotta contro le fake news entra nel vivo a Bruxelles, che affila le armi per contrastare non più solo i contenuti illegali diffusi online, ma anche le false informazioni che proliferano grazie ai social media. La Commissione Ue, in occasione di una Conferenza di alto livello aperta dalla commissaria al digitale Mariya Gabriel, ha lanciato oggi una consultazione pubblica aperta a media, piattaforme social, ricercatori, autorità pubbliche e cittadini sino a metà febbraio, chiedendo opinioni e proposte su cosa debba essere fatto a livello europeo per affrontare il fenomeno delle fake news.Tre gli aspetti chiave su cui Bruxelles chiede contributi: innanzitutto la definizione delle diverse dimensioni del problema, dalla percezione dei cittadini al loro comportamento mediatico, poi la valutazione delle misure già prese per contrastare il problema, e infine le possibili azioni future per rafforzare la diffusione di notizie affidabili e il loro accesso ai cittadini. Altra azione lanciata da Bruxelles, la costituzione di un gruppo di alto livello di esperti sulle fake news, per cui sono aperte le candidature sino a metà dicembre con l’obiettivo di avere una selezione equilibrata tra società civile, università, rappresentanti dei media, società civile e così via. Il gruppo di lavoro dovrà cominciare la sua attività subito a gennaio. L’obiettivo della Commissione Ue è quello di presentare così per la primavera 2018 una strategia ad hoc con una comunicazione sulle fake news e la disinformazione online, a cui contribuiranno anche a marzo un Eurobarometro sul tema e i risultati della consultazione pubblica, e ad aprile il rapporto del Gruppo di alto livello. La diffusione delle fake news “è sintomo di una malattia dell’informazione” che mostra “la vulnerabilità delle nostre società” che dovrebbero essere “vaccinate”, ha avvertito la commissaria Gabriel, invitando a fare attenzione anche alle competenze mediatiche e digitali dei giovani, sottolineando l’importanza del “ruolo dell’informazione nell’educazione”. Da qui il suo invito a unire le forze per “lottare contro l’epidemia di false informazioni online”, seguendo i “quattro punti cardinali” di “trasparenza”, “diversità dell’informazione”, la sua “credibilità” e la necessità di “soluzioni inclusive” per avere così una “informazione affidabile, plurale e di qualità”. A fine settembre la Commissione era già intervenuta con la pubblicazione di linee guida per le piattaforme online come Facebook o Twitter in merito ai contenuti illegali, come incitazione all’odio o al terrorismo, per la loro identificazione e rimozione rapida. Bruxelles valuterà a fine anno se queste si sono rivelate efficaci e, in caso negativo, non esclude di passare a una vera e propria azione legislativa in materia. (ansa)

Rassegna Stampa del 14/11/2017

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Chessidice in viale dell’ Editoria

Perché il Qn vende più di tutti

Usa, il gruppo Time chiude l’ edizione cartacea di People Style

Aiuti all’ editoria italiana all’ estero

Bonus pubblicità per la stampa

Lo strano ritardo dell’ Auditel: boom Giletti-Rosy Abate-Iene

l’ Auditel non se ne accorge

Il mistero dei dati da verificare E l’ Auditel diventa un caso

Sponsor e diritti tv: un buco da 100 milioni

Un colpo al Pil del paese la Figc perde 150 milioni i diritti tv sono dimezzati

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sky, anteprima in 300 sale per due episodi della terza stagione di Gomorra. Per la prima volta nella storia di una serie tv, oggi e domani in 300 sale italiane il pubblico potrà vedere in anteprima due episodi, il primo e il terzo, della terza stagione di Gomorra, che in televisione sarà trasmessa a partire da venerdì alle 21,15 su Sky Atlantic HD e su Sky On Demand. Lo ha annunciato Andrea Scrosati, executive vice president programming di Sky, sottolineando che è un vero e proprio evento, qualcosa che «è in collusione con le regole televisive e va a rompere i muri e gli steccati che in 40 anni si sono creati», come se tv e cinema fossero lontani e separati. «La serie ha un’ attesa tale che i fan sono disposti ad andare al cinema prima che la serie si veda in tv. E se funzionerà vuol dire che l’ operazione ha una potenzialità enorme, con grandi vantaggi anche per le sale cinematografiche». Mondo Tv, due nuove serie animate per mercato cinese. Mondo Tv ha siglato nuovi contratti di produzione per la realizzazione di due progetti di animazione. Il contratto ha come controparti le società di Hong Kong HKHZ media, incaricata della produzione esecutiva delle due serie, e la società HKYueke che sovrintenderà alla fase di pre-produzione. I due progetti, che dovranno essere completati entro il dicembre 2019 e saranno lanciati sul mercato cinese, prevedono un budget di 16 milioni di dollari. La ragazza nella nebbia film italiano al top della stagione. Il film scritto, diretto e tratto dall’ omonimo bestseller di Donato Carrisi, una produzione Colorado Film in collaborazione con Medusa Film, si conferma per la terza settimana il film italiano più visto della stagione con un box office di 3,3 milioni di euro. Lo riferisce Medusa Film (Gruppo Mediaset), segnalando inoltre che The Place, il nuovo film di Paolo Genovese, una produzione Medusa Film realizzata da Lotus Production (Leone Film Group), chiude il suo primo weekend con 1,7 milioni di euro ed è il migliore debutto italiano della stagione. Condé Nast forma influencer certificati. Condé Nast, con il contributo scientifico e didattico di Sda Bocconi school of management, lancia un’ academy rivolta agli operatori dell’ influencing marketing: blogger, youtuber e instagrammer. L’ obiettivo è quello di formare la prima generazione di influencer che alla pratica quotidiana dei digital e social media possa aggiungere le competenze necessarie nel campo della comunicazione e del marketing e delle tendenze di mercato. Pop si accende su Tivusat. Al 45 di tivùsat arriva Pop, il canale di intrattenimento dedicato ai ragazzi di Sony Pictures Television Networks. Fra le prime visioni assolute di Pop Power Rangers Ninja Steel, Transformers Rescue Bots, Codice Angelo. Con l’ arrivo di Pop, i canali visibili sulla piattaforma diventano 95, di cui 30 in HD, e 44 i canali radio. Imparare la storia con il cinema. Agis – Associazione generale italiana dello spettacolo, unitamente ad Agiscuola, e Iulm – Libera università di lingue e comunicazione lanciano in Italia Tehc – Teaching european history through cinema, il progetto co-finanziato dalla Commissione Europea nell’ ambito del programma Europa Creativa per l’ insegnamento della storia europea attraverso il cinema. Ciò avverrà attraverso la realizzazione di un programma annuale di proiezioni di film relativi a temi significativi per la storia europea. Gli appuntamenti della Fondazione Corriere della Sera a Bookcity 2017. Oltre a essere tra i fondatori e organizzatori della manifestazione milanese, Fondazione Corriere della Sera realizzerà a BookCity una quindicina di incontri con ospiti e tematiche differenti. Fra gli appuntamenti, la mostra Il colore delle parole, la festa per i 6 anni de La Lettura con l’ incontro #UnaParolaUnaStoria, la seconda edizione di Racconti di guerra per ricordare Maria Grazia Cutuli.

Perché il Qn vende più di tutti

Italia Oggi
PIERPAOLO ALBRICCI
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Chi, non dico trent’ anni fa, ma anche solo 10 anni fa, avesse scritto che il QN, il Quotidiano nazionale, sarebbe diventato il quotidiano più diffuso in Italia, sarebbe stato preso per pazzo. Questa leadership in edicola è diventata invece una realtà. Tra l’ altro tutt’ altro che effimera o occasionale. Ma molto solida anzi. E, per il momento, inscalfibile. Il QN, quotidiano nazionale è il fascicolo giornalistico con il quale sono veicolate nelle edicole italiane le varie testate del Gruppo Riffeser e cioè: la Nazione, il Resto del Carlino, il Giorno e il Telegrafo. Quale è la ragione del successo di questa catena di testate? Essa è essenzialmente dovuta al fatto di non aver compiuto, per paura o per prudenza, le cose a metà. Partiamo, ad esempio, dal formato. Dopo le costosissime prove sperimentali condotte dagli inglesi di The Times, non c’ è più dubbio: i lettori preferiscono il formato tabloid secco, cioè appunto il formato adottato dal QN. La soluzione tabloid secca è una scelta definitiva perché, per iniziativa di Rupert Murdoch che voleva ridurre a tabloid il The Times, dopo averlo acquistato, è stata fatta una costosissima prova sperimentale andando in edicola, per un semestre, con due The Times totalmente diversi, redatti da due redazioni diverse, stampati da due rotative diverse. Uno era broadsheet (cioè nel classico formato largo) e l’ altro era tabloid. Murdoch fu costretto a fare questa onerosissima prova perché tutti (ma proprio tutti) i suoi dirigenti lo imploravano in ginocchio di non commettere la sciocchezza di ridurre il formato di The Times. La loro preoccupazione era giustificata dal fatto che in UK, da sempre, il giornale di grande formato connotava tutti i giornali di qualità (destinati quindi alle èlite inglesi) mentre il tabloid era il formato tipico dei quotidiani popolari, quelli gridati, con la foto delle donne da camionista nella terza pagina. Ridurre il formato di The Times significava quindi proletarizzare una testata che fino a quel momento era impettita, con l’ acca giustamente ed esageratamente aspirata. Significava quindi declassarla, eliminando il suo specifico elitario e snob. Murdoch che invece, in tutti i paesi del mondo dove si era progressivamente trovato ad operare, dalla nativa Australia, agli Stati Uniti d’ America, aveva usato sempre e solo il formato tabloid, e in tutti i paesi aveva avuto successo, spesso clamoroso, opponeva ai suoi dirigenti terrorizzati, il convincimento che gli inglesi non potevano essere diversi dagli altri umani occidentali con i quali sinora aveva avuto a che fare. Ed ebbe ragione per cui, dopo la prova sperimentale, anche The Times divenne tabloid. In Italia l’ unico, fra i grandi editori, che ha avuto il coraggio di usare il tabloid secco è stato Andrea Riffeser. Non a caso Riffeser è un editore puro, che segue da vicino ogni giorno, la fattura dei suoi quotidiani e che ha una grande esperienza internazionale che mette sistematicamente a frutto nelle sue testate. Ma il formato tabloid secco, se è un ingrediente del successo del QN, non è il solo componente. Anzi la formula vincente è rappresentata dal desiderio di realizzare dei quotidiani popolari di qualità. Popolari, perché trattano gli argomenti in modo da interessare grandi platee di lettori. Di qualità, perché, per raggiungere platee più vaste di lettori, non diluiscono la qualità degli articoli che, nel QN, sono sempre scritti in un italiano semplice ma sempre molto corretto e con uno stile coinvolgente ma non appesantito da aggettivi superflui. Inoltre gli articoli del QN sono sempre brevi. Il QN pubblica dei fondi, lucidissimi, da 2 mila battute e, alle volte, anche meno (cioè di un quinto più brevi dei fondi dei quotidiani concorrenti). I fondi brevi del QN non è che siano meno esaustivi di quelli lunghi della concorrenza. Essi, semplicemente, non divagano ma entrano subito nel vivo annunciato dai titoli che, a loro volta, non sono mai affetti dal birignao dei redattori cosiddetti creativi che vogliono, con queste contorsioni, nutrire la loro autostima (spessa esagerata) anziché rispondere alle reali e concrete esigenze dei lettori. Il QN inoltre, cosciente che per un lettore è più interessante la notizia della cameriera che è caduta dal balcone nel suo quartiere, che un maremoto con duemila annegati dall’ altra parte del mondo, segue da vicino, e appassionatamente, la cronaca locale. Ma non la fa come lo fanno i grandi quotidiani concorrenti che pubblicano un fascicolo di cronaca locale che è costruito come se fosse una dependance/doppione del fascicolo nazionale, con tanto di articolo di fondo, cronaca culturale, dibattiti politici. I cronisti dei grandi quotidiani si ritengono dei piccoli Scalfari o Montanelli non compresi e pertanto relegati a parlare di mense scolastiche o di bus che non funzionano. Perciò, nella speranza di essere scoperti dal direttore e quindi promossi al rango che ritengono che a loro competa, scrivono degli articoli di cronaca locale nel quale il sindaco viene trattato come se fosse il presidente del consiglio e gli assessori come se fossero dei ministri: ma la gente del posto quando legge la cronaca locale vuole delle cronache locali. Sembrerebbe ovvio. Ma non lo è. Per capire come queste debbano essere fatte, è inutile perdere tempo: basta leggere le cronache locali del QN. E che dire delle pagine culturali che nei giornaloni concorrenti del QN occupano pagine intere, spesso composte da un solo e sterminato articolo senza tener conto che il lettori (in base a ricerche da loro stessi commissionate ma delle quali essi non tengono conto) i lettori, dicevo, dedicano alla lettura dell’ intero quotidiano una media di 8 minuti. Cioè questo tempo verrebbe assorbito dalla lettura di uno solo di questi sterminati lenzuoli sotto forma di articoli. Anche su questo argomento il QN segna una bella differenza persino nel suo fascicolo della cultura che non si propone di far sentire coglioni i suoi lettori ma vuole aiutarli ad allargare le loro conoscenze. Questo fascicolo della cultura non fa loro le prediche, non li redarguisce implicitamente ma li aiuta a capire e a crescere. Non è un fascicolo-preside d’ altri tempi (di quelli con la bacchetta in mano) ma un amico che ha delle idee nuove da comunicare. È alla luce di queste considerazioni che si spiega il clamoroso successo del QN, il Quotidiano nazionale che ha raggiunto il top assoluto italiano nella vendita in edicola. Il bello è che visto che le resistenze corporative sono tante, la concorrenza non riesce nemmeno a copiare le soluzioni (tipo QN) che hanno dimostrato, al di là di ogni dubbio, di avere successo. © Riproduzione riservata.

Usa, il gruppo Time chiude l’ edizione cartacea di People Style

Italia Oggi

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Il gruppo Time chiude People Style e, dopo l’ uscita prossimo numero di dicembre-gennaio, la testata sopravviverà solo online. Secondo alcune indiscrezioni di mercato che provengono da Oltreoceano, online People Style verrà strutturato come una serie di canali tematici verticali, per esempio dedicati alla bellezza o ai Millennial, uno dei target finora principali per la rivista. La casa editrice americana aveva già messo le mani sulla rivista che si chiamava StyleWatch e, dalla scorsa primavera, è stata rinominata People Style proprio per farla entrare nella famiglia delle pubblicazioni targate People e, verosimilmente, infonderle così maggiore forza in edicola. Il gruppo Time, poi, non solo ha ribattezzato il giornale ma ha anche diminuito le pubblicazioni della rivista dedicata alla moda, ai vip, alla bellezza. Le uscite sono scese da 11 a 8 l’ anno per concentrarsi solamente su alcuni momenti dell’ anno come gli acquisti per la stagione successiva al rientro dalle vacanze o la consegna dei vari premi musicali alle star, soprattutto quelle amate dai giovani. Con alle spalle circa 15 anni di stampa, adesso People Style si ferma ma in casa Time non sarà l’ unico magazine a conoscere un futuro diverso da quello atteso. Soprattutto fuori dai confini a stelle e strisce. Infatti, altre testate sono state messe in vendita. Tra queste c’ è la controllata britannica che pubblica la testata francese Marie Claire, Wallpaper, New musical express-Nme e Tv Times. A far propendere per la cessione sono stati gli ultimi dati relativi alla raccolta pubblicitaria sia su carta stampata sia su internet, in calo più del previsto. L’ editore Usa, che pubblica Oltreoceano l’ omonimo Time, Sports Illustrated e People, ha annunciato anche di voler vendere ulteriori attività e ha sottolineato che le singole procedure di vendita sono già arrivate a differenti stadi, più o meno vicini ad accordi definitivi. Obiettivo finale: concentrarsi solamente sulle riviste più importanti del gruppo. © Riproduzione riservata.

Aiuti all’ editoria italiana all’ estero

Il Sole 24 Ore
Paolo Stella
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Sono state fissate le modalità per la concessione dei contributi di sostegno alla stampa italiana diffusa all’ estero, applicabili dagli aiuto relativi al 2018. Sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale (la n. 260 del 7 novembre), con il decreto 15 settembre del Presidente del Consiglio dei ministri. Ora il dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria pubblicherà nel sito istituzionale la modulistica relativa ai documenti istruttori indicati nel decreto. Il decreto è stato emanato ai sensi degli articoli 19 e 23 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Le disposizioni del Dpcm si applicano: ai quotidiani italiani editi e diffusi all’ estero, a quelli editi in Italia e diffusi all’ estero in misura non inferiore al 60% delle copie complessivamente distribuite, nonché a quelli editi esclusivamente in formato digitale che raggiungono una percentuale di utenti unici mensili all’ estero non inferiore al 60% del numero totale di utenti unici mensili; ai periodici italiani editi e diffusi all’ estero o editi in Italia e diffusi all’ estero in misura non inferiore al 60% delle copie complessivamente distribuite. Le imprese editrici di quotidiani e di periodici editi e diffusi all’ estero devono presentare la domanda di ammissione al contributo e la relativa documentazione entro il 31 gennaio (per i quotidiani) e il 31 marzo (per i periodici), dell’ anno successivo a quello di riferimento del contributo. L’ istanza va presentata all’ ufficio consolare italiano di prima categoria territorialmente competente per il luogo della sede legale dell’ editore. Una volta verificata la completezza della domanda, l’ ufficio consolare la trasmette entro il 28 febbraio (per i quotidiani) e il 30 aprile (per i periodici) al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri. Le imprese editrici di quotidiani e periodici editi in Italia e diffusi prevalentemente all’ estero, devono presentare la domanda e la documentazione entro, il 31 gennaio per i quotidiani, e il 31 marzo per i periodici, direttamente al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria. I termini di presentazione sono perentori e pertanto le domande presentate oltre i termini del 31 gennaio (quotidiani) e del 31 marzo (periodici) si considerano inammissibili. Gli articoli 2 e 3 del Dpcm contengono gli elenchi dei documenti che dovranno essere prodotti dagli editori interessati al contributo. I criteri di calcolo del contributo sono indicati nell’ articolo 18 (per i quotidiani) e nell’ articolo 22 (per i periodici) del Dlgs 70/2017. Il procedimento per la concessione del contributo, si conclude, per i periodici, entro il termine del 31 ottobre dell’ anno in cui la domanda è presentata, mentre per i quotidiani, entro il 28 febbraio dell’ anno successivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Bonus pubblicità per la stampa

Il Sole 24 Ore
Emanuele ReichFranco Vernassa
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Come si preparano le imprese a usufruire del credito d’ imposta per gli investimenti pubblicitari introdotto dal Dl 50/2017? Quali saranno i costi agevolabili? Solo quelli di pubblicazione su stampa quotidiana e/o di acquisto degli spazi televisivi oppure anche i costi di preparazione? Come si conteggerà l’ incremento? Per massa oppure distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari? Queste le principali domande che imprese e consulenti si pongono per dare concretezza alla norma contenuta nell’ articolo 57-bis del Dl 50/2017, che non ha ancora avuto attuazione pratica a causa della mancanza del decreto attuativo (da pubblicare entro il 22 ottobre e ad oggi non ancora noto), e che già è oggetto di modifica tramite l’ articolo 4 del Dl 148/2017, in corso di conversione. Con il comma 3-bis, il Dl 148/2017 ha infatti integrato la disciplina del credito d’ imposta sugli investimenti pubblicitari, anticipandone in parte gli effetti, con estensione agli investimenti effettuati nel periodo dal 24 giugno 2017 e fino al 31 dicembre 2017, ma solo per la stampa quotidiana e periodica, anche online, escludendo quindi per tale periodo gli investimenti sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, sia analogiche sia digitali. Il valore degli investimenti deve superare almeno dell’ 1% l’ ammontare degli analoghi investimenti pubblicitari effettuati dai medesimi soggetti sugli stessi mezzi di informazione nel corrispondente periodo dell’ anno 2016 (ossia dal 24 giugno 2016 al 31 dicembre 2016). Soggetti interessati e coperture Il credito è rivolto ad imprese e lavoratori autonomi e spetta nella misura: del 75% del valore incrementale per imprese e lavoratori autonomi; del 90% del valore incrementale per piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative. Per il 2017 e il 2018 il Dl 148/2017 fornisce già le coperture finanziarie del beneficio, al fine di dare un grado di certezza alle imprese che intendono pianificare gli investimenti in tali anni. Per gli anni seguenti il limite massimo di spesa sarà stabilito annualmente mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. L’ applicazione Il credito di imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi del Dlgs 241/1997, previa istanza diretta al Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri. Poiché l’ articolo 57-bis del Dl 50/217 prevede che la concessione del credito d’ imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’ agevolazione con la normativa europea degli aiuti di Stato. Da un punto di vista contabile, se i costi di pubblicità sono spesati nella voce B7 del conto economico, il credito d’ imposta costituisce un contributo in conto esercizio spettante a norma di legge, da imputare nella voce A5. I costi possono ancora essere capitalizzati, se non ricorrenti ed aventi beneficio futuro (paragrafi 41-43 dell’ Oic 24). In tale caso il contributo dovrà essere portato a loro riduzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Lo strano ritardo dell’ Auditel: boom Giletti-Rosy Abate-Iene

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Giletti col botto, Fazio in calo ma tiene, mentre la notizia è il ritardo dei dati Auditel giunti nel tardo pomeriggio per una disfunzione nella raccolta. Ieri per gli addetti ai lavori della tv è stata una giornata di passione. Il giorno prima, domenica, infatti, è andato in scena l’ atteso derby tra Fabio Fazio e Massimo Giletti, che ha esordito sugli schermi di La7 con il suo nuovo programma, Non è l’ arena, dopo essere andato via sbattendo la porta dalla Rai a seguito della chiusura del suo programma – L’ Arena – da parte del direttore generale Mario Orfeo. Una rottura drammatica che ha visto Giletti uscire da Viale Mazzini nonostante i 4 milioni di telespettatori che il suo programma registrava la domenica pomeriggio. Due sere fa, finalmente Giletti è partito con la nuova trasmissione su cui la rete diretta da Andrea Salerno punta molto e il risultato è stato lusinghiero: 8,9% di share, quasi 2 milioni di telespettatori, dato ancor più clamoroso se si considera che la rete di Urbano Cairo non ha mai avuto la domenica tra i suoi giorni migliori. Nonostante l’ exploit di Giletti, Fazio cala ancora ma di poco: 14,1 contro il 14,8% di una settimana fa: una sostanziale tenuta da cui si evince che Giletti non è andato a rubargli telespettatori. Buon risultato anche per le Iene (11,4%), anche se la serata è stata vinta dalla nuova fiction di Canale 5, Rosy Abbate – La serie, che ha raccolto il 20,1% pari a 4 milioni e 920 mila telespettatori. Batte un colpo, invece, Domenica in delle sorelle Parodi con un rialzo: 11,2% contro il 10,7 della settimana precedente. Ma il vero giallo è stato il ritardo dei dati Auditel, che di solito arrivano puntuali entro le 10 della mattina successiva. Ieri, però, i risultati si sono fatti attendere per quasi tutto il giorno. “Non è la prima volta che i dati Auditel non escono, ma è certo curioso che proprio in una giornata così particolare non ci siano. Io lavoro e aspetto”, ha detto nel primo pomeriggio Giletti ospite della trasmissione radiofonica Un giorno da pecora. A far innervosire il vertice di La7 arriva anche un tweet dell’ ex direttore di Rai1 Giancarlo Leone. “Auditel rivendica il ruolo di co-protagonista nello scenario tv e dunque si fa attendere come fanno le star”, scrive l’ ex dirigente. Parole che fanno rizzare le antenne a Cairo. “Mi stupisce molto che proprio oggi (ieri, ndr), dopo il primo duello tra Fazio e Giletti, ci sia un ritardo così importante nella pubblicazione dei dati. Non voglio pensare male, anche se qualcuno diceva che si fa peccato ma ci si indovina”, osserva il patron di La7. Alla fine, verso le 5 di pomeriggio, i dati arrivano. Preceduti da una nota di Auditel per spiegare il ritardo, dovuto “a un rallentamento riscontrato in un server di produzione Nielsen”. Insomma, la trasmissione dagli apparecchi delle famiglie al sistema è andato in tilt. “Il ritardo della pubblicazione è dovuto esclusivamente ai protocolli di controllo qualità che prevedono, in circostanze di questo tipo, una doppia procedura di verifica a tutela della massima accuratezza delle informazioni”, continua il comunicato. Non è la prima volta che succede: capitò anche un mese fa. Da ricordare che la scorsa estate non solo è stato cambiato tutto il panel delle famiglie Auditel (dopo che una mail a un indirizzo sbagliato ne rivelò l’ identità), ma sono anche triplicate, passando da 5 mila a 15 mila. La Nielsen è la società cui Auditel ha appaltato la raccolta dei dati di rilevazione che, tramite gli apparecchi nelle abitazioni, consente di monitorare in tempo reale i dati di ascolto televisivo. Un terzo delle famiglie del campione, inoltre, è dotato di un telecomando speciale che consente di sapere quale membro della famiglia sta guardando un programma in un dato momento: questo è utilissimo alle reti ma soprattutto agli inserzionisti pubblicitari, che su questi risultati decidono come spalmare gli spot.

l’ Auditel non se ne accorge

Il Tempo
FRANCESCO PUGLISI
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Per tutta la giornata di ieri siamo stati tutti in attesa dei dati di ascolto perché curiosi si sapere come era andata una domenica televisiva pregna di importanti eventi e debutti eccellenti. Quello che normalmente avviene alle 10 di mattina (l’ ora canonica di pubblicazione) ieri non è avvenuto. I dati Auditel sono arrivati solo dopo le 17. Non si è fatta attendere la giustificazione di Auditel che ha fatto sapere che non c’ era nulla di strano: un inconveniente tecnico nel processo di trasferimento delle informazioni che necessitava di un riconteggio dei dati per evitare errori. In sostanza, durante la notte c’ era stato il rallentamento di una macchina Nielsen (lo società che rileva gli ascolti televisivi per conto di Auditel) adibita alla produzione. Ma i dati – hanno assicurato – erano integri e perfettamente raccolti: i protocolli di controllo qualità prevedono che in circostanze di questo tipo vi sia una doppia verifica sulla produzione che impatta sull’ orario di pubblicazione. Al netto dell’ inconveniente tecnico c’ è chi ha trovato singolare questa «interruzione di servizio» perché non è la prima volta che in una serata «impegnativa» e «attesa» i dati siano arrivati in ritardo. E in realtà quella di domenica è stata una calda serata con l’ imbarazzo delle scelta. Con il passare delle ore si è alzato un vero e proprio polverone, secondo il deputato del Partito Democratico Michele Anzaldi, il «grave ritardo» della diffusione dei dati Auditel alimenta «nuovi dubbi sul meccanismo di rileva zione degli ascolti televisivi. Ancora un incidente, ancora un disservizio, dopo il grave caso della pubblicazione dei nomi delle famiglie del panel nel 2015. Stavolta siamo di fronte ad un ritardo di oltre 6 ore sull’ elaborazione e diffusione dei dati. Come fa il servizio pubblico, socio Auditel, ad accettare il perdurare di una gestione così opaca e senza trasparenza? Chi controlla l’ operato dell’ Auditel? È urgente definire con chiarezza nuove forme di controllo sulla rilevazione degli ascolti televisivi, che non hanno solo una valenza di carattere pubblicitario ma servono, in particolare per il servizio pubblico, a valutare l’ efficacia delle trasmissioni e l’ interesse degli utenti». «Come era prevedibile, Massimo Giletti ha avuto un ascolto strabiliante con il nove per cento di share, che per una rete come La7 è un dato eccezionale. – Ha fermato Maurizio Gasparri (FI), vicepresidente del Senato- Ha fatto male la Rai a rinunciare alla sua presenza, visto tra l’ altro come sta andando “Domenica In” costantemente battuta dalla concorrenza. È poi francamente molto strano il ritardo con cui proprio oggi l’ Auditel ha reso noti gli ascolti. Un fatto veramente grave e anomalo del quale chiederemo conto affrontando la questione in commissione di Vigilanza». Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati ha sintetizzato i suoi dubbi nei 280 caratteri di Twitter: «Proprio oggi, guarda caso, dopo lo “scontro” tra Fazio (Rai1) e Giletti (La7), l’ Auditel va in tilt. Che dire… a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca». La pensa allo stesso modo anche l’ editore de La7 nuova casa di Giletti, Urbano Cairo, che ha fatto sapere: «Mi stupisce molto che proprio oggi, dopo il primo duello tra Fazio e Giletti, ci sia un ritardo così importante della pubblicazione dei dati Auditel. Non voglio pensare male, anche se qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma si indovina. Comunque domenica sera mi sono goduto la prima di Giletti che è stata eccellente».

Il mistero dei dati da verificare E l’ Auditel diventa un caso

Corriere della Sera
R. Fra.
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«A uditel rivendica il ruolo di coprotagonista nello scenario tv e dunque si fa attendere come fanno le star. Come dargli torto se tutti pendono dalle sue labbra?»: Giancarlo Leone, una vita in Rai e ora a capo della sua nuova società Q10 Media, aveva scelto la via dell’ ironia per ingannare l’ attesa di dati che non arrivavano mai. Ma sono stati in tanti a chiedersi come mai i numeri Auditel di domenica sera non fossero ancora disponibili ieri mattina in una giornata dove c’ era tantissima attesa per le diverse sfide incrociate. Niente dati alle 10 (l’ ora canonica di pubblicazione) e un ritardo che si è protratto fino alle 17, sette lunghe ore di attesa che hanno alimentato dubbi e polemiche. Auditel ha comunicato ufficialmente che non c’ era nulla di strano: era colpa di un inconveniente tecnico nel processo di trasferimento delle informazioni che necessitava di un riconteggio dei dati per evitare errori. In sostanza durante la notte c’ era stato «un rallentamento riscontrato in un server di produzione Nielsen» (la società che rileva gli ascolti televisivi per conto di Auditel). Ma i dati – hanno assicurato – erano «integri e perfettamente raccolti». Certo è che in tanti sono rimasti sorpresi. A partire da Urbano Cairo, editore di La7: «Mi stupisce molto che proprio dopo il primo duello tra Fazio e Giletti ci sia un ritardo così importante. Non voglio pensare male, anche se qualcuno diceva che a pensar male si fa peccato ma si indovina. Comunque mi sono goduto la prima di Giletti, che è stata eccellente». Anche il mondo della politica si è posto parecchie domande su ascolti e strategie televisive e la riflessione più articolata è stata quella di Michele Anzaldi. Secondo il deputato del Partito democratico il «grave ritardo» della diffusione dei dati Auditel alimenta «nuovi dubbi sul meccanismo di rilevazione degli ascolti televisivi. Come fa il servizio pubblico, socio Auditel, ad accettare il perdurare di una gestione così opaca e senza trasparenza? Chi controlla l’ operato dell’ Auditel? È urgente definire con chiarezza nuove forme di controllo sulla rilevazione degli ascolti televisivi, che non hanno solo una valenza di carattere pubblicitario ma servono, in particolare per il servizio pubblico, a valutare l’ efficacia delle trasmissioni e l’ interesse degli utenti».

Sponsor e diritti tv: un buco da 100 milioni

Corriere della Sera
p. tom.
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MILANO La cerimonia azzurra degli addii costa ben oltre 100 milioni di euro. L’ eliminazione dall’ Italia penalizza tutti: la Federazione, gli sponsor, le aziende, e ancora di più la Fifa e il Mondiale stesso, che sarà comunque il più ricco della storia, ma senza azzurri sarà più povero. Non solo di storia, ma anche di denaro, soprattutto quello dei diritti tv. Nella classifica dei 50 eventi maggiormente visti nel nostro Paese 49 sono legati a partite di calcio: l’ unica eccezione è il Festival di Sanremo vinto da Giorgia, mentre 32 sono le partite dei Mondiali. La Nazionale in media attira un’ audience di 8-12 milioni (più dell’ intera popolazione svedese, che supera di poco i 10 milioni…) che può sfondare i 20 milioni nelle partite più seguite di Europei e Mondiali. Così la mancata qualificazione degli azzurri a Russia 2018 costerà alla Fifa una perdita di circa 100 milioni di euro rispetto a Brasile 2014. Fra Rai e Sky la Fifa aveva incassato circa 180 milioni, mentre senza Italia sarà dura superare quota 80. La Rai paga 26,3 milioni l’ anno per gli azzurri, ma il nuovo bando sarebbe stato al rialzo. Perché per il Mondiale il prodotto in chiaro vale più di quello destinato alle pay tv ed era atteso anche un eventuale inserimento di Mediaset nell’ asta. È vero che la Federcalcio è reduce da due eliminazioni al primo turno, in Sudafrica e in Brasile, ma non essere nemmeno al via è un danno ben più grave. In Russia sono garantiti 1,2 milioni di euro per ciascuna delle 32 Nazionali al Mondiale, il più ricco di sempre con 342 milioni di euro di montepremi. Superare i gironi vale quasi 7 milioni di euro (e non superarli, come fece l’ Italia di Prandelli nel 2014 portò comunque 6,8 milioni di ricavi…) arrivare ai quarti può valere oltre 15 milioni, e via via a salire fino ai 24 milioni di euro per la finalista e i 32,5 per chi conquista la coppa. Gli accordi commerciali siglati dalla Federcalcio con Infront prevedono un minimo garantito sui 14 milioni di euro all’ anno, ma sui 43 milioni di euro di introiti commerciali nel bilancio 2016 quasi metà deriva dagli sponsor, e certi rapporti sarebbero difficili da mantenere o rinnovare alle stesse condizioni senza la vetrina russa. Nel 2016, grazie all’ Europeo di Francia, la Figc ha fatturato 174 milioni, nel 2015 erano 153. Il Mondiale brasiliano portò il 19% in più di ricavi da sponsor. Ma senza un’ Italia per cui tifare è previsto anche un drastico calo nella vendita delle magliette, che nel 2014 hanno rappresentato la metà dell’ intero merchandising azzurro, con circa 2,7 milioni di royalties. Puma ha un contratto fino al 2022, a quasi 20 milioni l’ anno tra parte fissa (18,7) e variabile. Un Mondiale senza Italia pesa anche sulle casse dell’ erario: può valere anche un milione di euro in meno per il Fisco, fu quello il gettito delle scommesse sugli azzurri all’ Europeo francese, che hanno mosso 19 dei quasi 268 milioni raccolti. Per la Figc, l’ Italia rappresenta l’ 11% del pil del calcio mondiale di uno sport che solo dalla Coppa del Mondo ricava oltre 4 miliardi di euro. La svalutazione in campo condanna l’ Italia alla serie B calcistica. Ma il marchio azzurro da oggi, se non è già retrocesso sul mercato, lotta per salvarsi.

Un colpo al Pil del paese la Figc perde 150 milioni i diritti tv sono dimezzati

La Repubblica
ETTORE LIVINI
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MILANO. L’ importante, diceva Pierre De Coubertin, è partecipare. Niente di più vero: l’ esclusione dell’ Italia dai Mondiali di Russia ha un costo altissimo non solo per il calcio, ma pure (potenzialmente) per il Pil e la Borsa tricolore. Figc e Pallone Spa hanno visto andare in fumo nella partita con la Svezia qualcosa come 150 milioni, 1,6 milioni per ogni minuto giocato al Meazza: circa 90 milioni di diritti tv, un bel po’ di mancati premi partita e qualche decina di milioni tra royalties per le magliette e sponsor in fuga. Il conto per l’ Italia, guardando al passato, rischia di essere ancora più salato. La vittoria degli Azzurri in Germania nel 2006 ha regalato al pil – secondo i calcoli di Coldiretti – un +1%. Qualcosa come 16 miliardi, mica noccioline. Gli Europei 2016, per dare un’ idea, hanno fatto decollare del 4% le vendite dei televisori, crollati del 10% sia l’ anno precedente e quello successivo. Un semplice buon piazzamento – come certifica Goldman Sachs – sarebbe stato sufficiente per risparmiare al paese una finanziaria: l’ approdo della nazionale ai quarti, dice uno studio della banca d’ affari Usa, tende storicamente a ridurre lo spread tra Btp e Bund tagliando il prezzo degli interessi sul debito (65 miliardi nel 2016). Un successo finale avrebbe regalato a Piazza Affari un 3% in più di rialzo rispetto alle medie europee. Più che i mancati guadagni potenziali, a bruciare in queste ore sono le perdite certe. La più consistente è la sforbiciata al valore dei diritti tv per Russia 2018. Quattro anni fa la Fifa li aveva venduti a Sky e Rai per 180 milioni circa. Quest’ anno le stime (l’ asta è in corso) prevedevano un prezzo di 175 milioni, «destinati a ridursi a 85 assicurano fonti di settore – ora che gli azzurri sono rimasti a casa ». Comprensibile, visto che 32 dei 60 programmi più visti di sempre sono partite dei Mondiali (49 su 50 se si considerano anche gli Europei). Capitolo premi: staccare il biglietto per Mosca significava per la Figc mettersi in tasca 1,2 milioni di dollari come bonus partecipazione. Cifra destinata a salire a 8 milioni con la qualificazione al girone, 16 per i quarti e 38 per la vittoria. Un gruzzoletto che avrebbe dato respiro a una federazione che ora rischia altri tagli dal Coni. Il colpo d’ immagine e portafoglio per la Nazionale è doppio. L’ anno di Mondiali ed Europei è quello in cui si vendono più magliette: le royalties sulle divise sono cresciute dai 799mila euro del 2013 ai 2,7 milioni di Brasile 2014 (malgrado la figuraccia rimediata). Non solo: la mazzata più pesante è la possibile fuga degli sponsor. La Puma da sola garantisce 18,7 milioni l’ anno agli azzurri, cifra che non solo è arrotondata da bonus risultati – difficili da immaginare dopo la partita di ieri – ma che ora, senza vetrine internazionali, potrebbe essere rivista al ribasso. Difficile che alla porta della Figc ci sia ora la fila per nuovi “inserzionisti” come è capitato invece alla vigilia del Mondiale 2014 quando il marketing ha garantito incassi suppletivi vicini ai 7 milioni. L’ impatto immediato e certo sui conti pubblici dell’ Italia è invece (per fortuna) più limitato e legato a filo doppio al mondo delle scommesse: le puntate sul calcio generano ogni anno circa 140 milioni di incasso per il Fisco. La parte del leone la fa come ovvio il campionato, ma Europei e Mondiali hanno visto crescere geometricamente negli ultimi anni il giro d’ affari legato alla Dea bendata. Le giocate sulle partite degli azzurri in occasione dell’ edizione brasiliana del 2014 sono state 19 milioni, quelle degli Europei 2016 43, di cui 14 solo per la sfida con la Germania. E l’ Agenzia delle entrate, solo per la manifestazione continentale, si era messa in tasca un milione di euro. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Previsto un crollo nelle vendite dei televisori Il titolo vinto nel 2006 portò invece 16 miliardi FOTO: © LAPRESSE Un’ immagine della nefasta notte di San Siro.

Circolare n. 40 del 14/11/2017 – Modalità di presentazione delle domande per i contributi alle emittenti radiofoniche e televisive locali

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 263 del 10 novembre 2017 il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico con il quale vengono stabilite le modalità di presentazione –  con procedura telematica –  delle domande per i contributi alle radio e tv locali previsti dal DPR n. 146/2017 (vedi nostra circolare n.39 del 30 ottobre 2017), nonché la relativa documentazione da presentare unitamente alle domande stesse.

La domanda in bollo, firmata digitalmente dal legale rappresentante del soggetto richiedente, deve essere trasmessa al Ministero esclusivamente nel periodo compreso dal 1° al 28 febbraio di ciascun anno. Per i contributi relativi agli anni 2016 e 2017 i termini di presentazione delle domande sono fissati rispettivamente nei periodi compresi dal 22 novembre al 21 dicembre 2017 e dal 2 gennaio al 31 gennaio 2018.

Tra le novità più significative, si segnala la necessità di presentare l’attestazione sulla regolarità dei versamenti contributivi rilasciata dagli enti previdenziali nei trenta giorni precedenti la data di presentazione della domanda e valida al momento della presentazione della domanda.

Rassegna Stampa del 15/11/2017

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TAXCREDIT PUBBLICITÀ

Gruppo24 Ore, Moscetti: gestione in linea con il piano

chessidice in viale dell’ editoria

Repubblica, parte il rinnovamento

Cairo, l’ utile sale a 17,3 milioni

Ventura, il ct dell’ apocalisse resta aggrappato allo stipendio

Class Editori, i ricavi del terzo trimestre in linea con il 2016

Tim, i sindaci alzano il tiro su Canal +

TAXCREDIT PUBBLICITÀ

Il Sole 24 Ore

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Il credito d’ imposta per le campagne pubblicitarie su quotidiani periodici e sulle radio e tv locali viene esteso anche agli spot sulle testate online. Si prevede poi che lo sconto – pari al 75% della quota incrementale dell’ investimento rispetto all’ anno precedente (aumenta al 90% nel caso di microimprese, Pmi e start-up innovative) – potrà valere anche per gli enti non commerciali.

Gruppo24 Ore, Moscetti: gestione in linea con il piano

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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«Il peggio dovrebbe essere ormai alle nostre spalle». È quanto ha detto ieri Franco Moscetti, amministratore delegato del gruppo Sole24Ore, a margine della visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Mudec a Milano. L’ aumento di capitale deciso dal gruppo «è un tappone di montagna particolarmente importante – ha aggiunto Moscetti -, non è la fine della corsa, abbiamo superato la cima ma dobbiamo stare attenti a non scivolare e cadere». La nuova gestione del gruppo «sta andando in linea con il piano – ha proseguito Moscetti – siamo impegnati nella concretizzazione della manovra finanziaria che è fatta da 50 milioni di aumento di capitale più 40 dalla vendita del 49% della formazione. La Consob ci ha dato il suo nulla osta quindi siamo sul mercato con 20 milioni con due banche che stanno lavorando. Confindustria, che ringrazio, ha già versato i suoi 30 milioni, la Palamon ha già versato i suoi 40, quindi la disponibilità di tutte queste somme avverrà il 30 novembre e a quel punto, l’ operazione sarà conclusa». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Channel 4 entra in Ebx. European broadcaster exchange (Ebx), partnership pubblicitaria digitale costituita da Mediaset Italia, Mediaset España, ProSiebenSat.1 e TF1, si allarga all’ emittente tv britannica. In contemporanea, Chris Le May, precedentemente svp & md Europe in DataXu, è stato nominato ceo della jv con sede a Londra, quartier generale delle maggiori agenzie media specializzate nella pianificazione di campagne pan-europee. Il nuovo a.d. selezionerà a breve il team di vendita, con l’ obiettivo di rendere la società operativa da inizio 2018. Radio Italia Live torna su Real Time con Tiziano Ferro. Il programma dedicato alla musica italiana e ai suoi cantanti, prodotto e realizzato da Radio Italia, torna sul canale 31 del digitale terrestre in chiaro, oltre che su Radio Italia, Radio Italia Tv (canale 70 dtt e 35 TvSat, in hd can 570 dtt, 725 Sky, 135 Tivùsat e via cavo su Video Italia HD in Svizzera) e in streaming sul sito radioitalia.it. Primo appuntamento oggi alle 21,10 con Tiziano Ferro.

Repubblica, parte il rinnovamento

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Esattamente tra una settimana Repubblica si presenterà in edicola come un giornale che si prende maggiormente l’ onere di selezionare i fatti più importanti del giorno prima, per poi approfondirne alcuni e quindi commentarli, indagarli con le proprie inchieste. Repubblica tralascerà di riportare l’ intero notiziario, per il quale c’ è già internet e con un clic si aprono tutti i link possibili. Di conseguenza, in uno sfoglio che diventa più fluido, cambiano le attuali testatine che separano i differenti argomenti (come esteri, cronaca) e quelle azzurre sui grandi avvenimenti (crisi bancarie, terremoti). Al loro posto, invece, ci saranno delle colonnine colorate a bordo pagina, sempre in azzurro, che aiuteranno il lettore a inquadrare il tema dell’ articolo fornendogli gli elementi essenziali di quello che c’ è da sapere sulla materia. Articoli, peraltro, che verranno diffusi non solo col quotidiano cartaceo ma anche con la nuova app a pagamento Rep, via abbonamento mensile. Il prossimo 22 novembre inizierà così il nuovo corso del quotidiano edito da Gedi (gruppo guidato dall’ a.d. Monica Mondardini e presieduto da Marco De Benedetti) e diretto da Mario Calabresi, coadiuvato dal neo-condirettore Tommaso Cerno. Nuovo corso a cui il direttore Calabresi lavorava da tempo e di cui già a inizio anno, dopo circa 12 mesi dal suo insediamento (vedere ItaliaOggi del 27/1/2017), aveva preannunciato le linee guida pensando a «un giornale che mette in evidenza, nella prima parte dello sfoglio, il tema più importante del giorno. Ma nelle pagine seguenti non è obbligato a riproporre la cronaca politica, economica e tutti gli altri argomenti tradizionali. Bisogna creare uno sfoglio che sia fluido per il lettore e, dopo il tema principale, sceglie, seleziona solo gli argomenti che secondo la redazione possono aiutare il lettore a comprendere quella giornata o quel momento storico». Quindi nella nuova cornice grafica ideata da Angelo Rinaldi e Francesco Franchi (con tanto di nuovo font chiamato Eugenio in onore del fondatore Eugenio Scalfari), non è importante la sequenza dei temi (per esempio politica, esteri e dopo cronanca) ma il susseguirsi di riflessioni e spunti per creare dibattito. E siccome Repubblica non è una testata a se stante ma vive al centro di un sistema editoriale tra gli altri con il sito www.repubblica.it (per la stretta attualità), il settimanale l’ Espresso (ora affidato a Marco Damilano) e vari inserti (a partire dal domenicale di cultura Robinson), i commenti e le riflessioni delle firme del giornale si danno una nuova occasione per essere diffusi: quello del nuovo servizio Rep. La nuova applicazione conterrà non solo i contenuti online della testata ma soprattutto anticiperà alla sera prima dell’ uscita in edicola una selezione di 10 articoli del quotidiano cartaceo. Nell’ abbonamento mensile (il cui costo non è ancora definitivo ma si aggira intorno ai 6-7 euro, secondo le prime indiscrezioni), saranno compresi anche nuovi prodotti come le newsletter e un servizio che consiglia ulteriori articoli in base a quelli già consultati, un po’ sul modello di una playlist musicale. Mentre è partita la campagna pubblicitaria firmata dall’ agenzia creativa Y&R (Young&Rubicam group) per la nuova Repubblica, sempre nel network editoriale del Gruppo Editoriale si attende il restyling dell’ altro quotidiano targato Gedi: la Stampa diretta da Maurizio Molinari, impegnata a varare il coordinamento editoriale di tutti i quotidiani locali ex Finegil del gruppo. © Riproduzione riservata.

Cairo, l’ utile sale a 17,3 milioni

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Da una parte l’ approvazione dei conti dei nove mesi, che migliorano pur dovendo fare i conti con un mercato non certo brillante per i periodici e per la tv. Dall’ altra la mancata qualificazione dell’ Italia ai Mondiali di calcio che avrà un impatto soprattutto sulla Gazzetta dello Sport in termini di mancato incremento della pubblicità e delle copie vendute. Così la giornata di ieri è stata di segno altalenante per Cairo Communication, la società di Urbano Cairo che da settembre dello scorso anno ha nel suo perimetro anche Rcs. Per avere un metro di paragone, nel 2016, in cui ci sono stati gli Europei e le Olimpiadi, i conti a settembre mostravano un’ area sport in forte crescita, con la pubblicità a +15,5% per la Gazzetta e a +11% per Marca. Nel 2014 (anno dei Mondiali) l’ intero gruppo Rcs aveva registrato una raccolta in crescita del 3,2%. A preoccupare gli analisti è il miglioramento del margine operativo lordo del gruppo che edita il Corriere della Sera oltre ai quotidiani citati prima. Già Cairo ha fatto un lavoro che ha permesso di raddoppiarlo in un anno di gestione e i Mondiali avrebbero aiutato con un’ accelerata. Un aiuto che invece non ci sarà o sarà molto più debole rispetto a quello di un torneo con l’ Italia in gara. A segnare questi fatti l’ andamento dei titoli in Borsa ieri dei due gruppi: Rcs ha chiuso pesantemente in calo dell’ 8,75% a 1,116 euro, trascinando anche un po’ il titolo Cairo Communication: -1,1% a 4,124 euro. Restando però alla fotografia fatta dai conti del gruppo Cairo al 30 settembre, questi riflettono come si è detto il miglioramento di margini e debito di Rcs mentre La7, a fronte di ricavi in leggero calo, porta in terreno positivo il margine operativo lordo. Giusto i periodici risentono un po’ più della situazione del mercato, ma mantengono comunque buoni margini. A livello consolidato i ricavi sono ovviamente in forte crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: 882,7 milioni di euro, contro i 272,1 milioni precedenti. Rcs è infatti entrata nel perimetro a settembre 2016, perciò il dato di quest’ anno la comprende interamente mentre quello del 2016 solo per l’ ultimo mese. Per lo stesso motivo il margine operativo lordo ha fatto un balzo a 104,7 milioni da 22,1 milioni, mentre il risultato netto è pari a 17,3 milioni contro i 5,3 milioni di dello scorso anno. Allo stesso modo l’ indebitamento di Cairo Communication, pari al 30 settembre a 307,7 milioni in riduzione di quasi 45 milioni, è per la gran parte dipendente da Rcs (335,1 mln). Facendo i conti come se l’ acquisizione di Rcs non ci fosse stata, a perimetro omogeneo i ricavi lordi consolidati di Cairo Communication (periodici, concessionaria, tv, Il Trovatore e l’ operatore di rete) sono stati di 180,8 milioni, in flessione rispetto ai 188,7 milioni precedenti, il margine operativo lordo è salito a 13,7 milioni (era a 10,3 milioni) e l’ utile sceso a 2,6 milioni dai 4,3 milioni dell’ anno scorso. Come detto, i periodici continuano a essere una voce in attivo del gruppo. I ricavi operativi lordi sono simili a quelli della tv, 68,1 milioni, anche se in calo rispetto ai 72,9 milioni precedenti, ma i margini sono buoni, con un mol da 10,1 milioni (era di 11,5) e un utile da 6,5 milioni (era a 7 milioni). Il gruppo prevede di continuare ad avere risultati positivi, oggi è leader in edicola con 1,8 milioni di copie medie vendute e continuerà comunque a cercare «segmenti di mercato con maggiore potenziale». Di La7 si è in parte detto: ricavi operativi in leggero calo (69,1 milioni contro 70,7 mln) ma mol in aumento da -2 milioni a +2,5 milioni e perdita in riduzione a 2,5 milioni (era a 2,8 mln). A completare il quadro ci sono poi la concessionaria che raccoglie anche per terzi con 120,5 milioni di ricavi operativi lordi e un mol di 600 mila euro e l’ operatore di rete che sta continuando a realizzare la copertura del multiplex nel quale da gennaio si trasmettono i canali di La7. © Riproduzione riservata.

Ventura, il ct dell’ apocalisse resta aggrappato allo stipendio

Il Giornale
di; Franco Ordine
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di Franco Ordine D i Cesare Prandelli ce n’ è uno solo. Un minuto dopo l’ eliminazione, dolorosa, dal mondiale del Brasile, estate 2014, presentò le dimissioni irrevocabili trascinandosi dietro l’ allora presidente federale Giancarlo Abete. Gian Piero (s)Ventura ha illuso il popolo in lutto con un sì pronunciato a denti stretti dinanzi al pressing dell’ inviato delle Iene che l’ ha pedinato nel volo da Milano a Bari per poi correggere con un sms indirizzato all’ agenzia Ansa lo scenario. «Mai parlato di dimissioni», la sua posizione ufficiale che certifica e tratteggia il temperamento dell’ uomo. A 69 anni, con alle spalle «una carriera dignitosa, non eccelsa» (dixit Arrigo Sacchi), il ct della storia azzurra che ha lasciato la Nazionale fuori dal mondiale dopo 60 anni, non è il tipo da fare un passo indietro. Anzi, nei mesi passati e nelle ultime settimane in particolare, si è mostrato intollerante alle critiche e persino ai paragoni inevitabili. Sbottò malmostoso con chi gli ricordò l’ europeo affascinante di Antonio Conte, si permise di replicare acido a una chiosa tecnica di Sacchi. Di ritorno da Solna sembra abbia avuto identica reazione con i senatori del suo gruppo che gli suggerivano un diverso schieramento. «Allora fatela voi la formazione», la brusca replica. Eppure al ritorno da Madrid, ai primi di settembre, lasciò fare allo spogliatoio una riunione tecnica dalla quale rimase fuori. C’ è stato un Ventura prima dell’ incarico di ct e un Ventura dopo l’ investitura azzurra. Persino Urbano Cairo, presidente del Toro e di Rcs, che pure ha tentato una disperata difesa del suo ex allenatore in granata, aprendogli gli ombrelli dei suoi giornali, ha ammesso pubblicamente ieri la sconfortante sconfitta. «Perché giocare con i lanci contro la Svezia di giganti? Non riconosco il Ventura ct, forse è più tecnico da squadra di club che da Nazionale. Sembrava un ospite», la frase. È sceso anche lui dal carro rimasto vuoto. Ai tempi di Cagliari e Bari, Pisa e Napoli, Ventura si mostrava umile e disponibile al dibattito delle idee, ai tempi di Coverciano ha tirato fuori una sicumera ingiustificata. Sono i rischi di chi diventa papa senza mai essere stato a Roma. I fischi di San Siro, prima di Italia-Svezia, hanno sancito la bocciatura da parte di un popolo in amore che ha cantato e sostenuto la Nazionale fino all’ ultimo, disperato, squinternato assalto. Ed è passato quasi inosservato l’ ultimo episodio, spia dello scollamento tra staff tecnico e panchina. De Rossi, interpellato per entrare nel finale, ha declinato l’ invito suggerendo il ricorso a Insigne («Dobbiamo fare gol, io che c’ entro?»). «Insigne non avrebbe risolto i problemi, non dimentichiamo che arriviamo da due mondiali fallimentari», la sottolineatura di Sacchi. Verissimo: nemmeno Maradona avrebbe tirato fuori gli azzurri dai guai. Lunedì notte, con la catastrofe davanti agli occhi, il ct ha preferito discutere con Uva (segretario) e Ulivieri (presidente dell’ associazione allenatori), salutare gli azzurri uno per uno, prima di dettare le poche parole («chiedo scusa agli italiani») e rinviare l’ appuntamento sul futuro al colloquio con Tavecchio. Il telefono non può allungargli la panchina, questo è scontato. Evidente lo scopo: trattare sulla parte di contratto rimasta in vigore, quello in scadenza fino a giugno 2018. Già perché il rinnovo, chiesto e ottenuto nell’ estate scorsa per rinsaldare la posizione, non ha alcun valore perché legato alla qualificazione mondiale. Senza Russia, niente rinnovo automatico quindi. 700mila la cifra per una possibile transazione: toccherà a Tavecchio e al gran consiglio federale convocato per oggi accettare oppure no. L’ unica ragione del Ventura ct è nell’ origine del suo mandato. Fu Lippi, promesso dt delle squadre nazionali poi uscito di scena per il conflitto d’ interessi col figlio Davide procuratore, a designarlo. Fosse rimasto Marcello in federazione lo avrebbe guidato e consigliato a dovere. Prima di Ventura altri candidati eccellenti, tipo Capello, interpellati, avevano rinunciato. La presenza della Spagna nel girone lasciava indovinare lo sviluppo successivo: spareggio come seconda e qualificazione in bilico.

Class Editori, i ricavi del terzo trimestre in linea con il 2016

Italia Oggi

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Il consiglio di amministrazione di Class Editori ha approvato il resoconto intermedio di gestione consolidato dei primi nove mesi dell’ esercizio 2017. I ricavi del terzo trimestre 2017, pari a 12,74 milioni di euro, per la prima volta dalla primavera del 2009 sono in linea con quelli dello stesso periodo dell’ anno precedente (nel 2016, 12,86 milioni di euro), mentre i costi operativi si sono ridotti dell’ 1,9% rispetto al terzo trimestre 2016. L’ ebitda del terzo trimestre 2017 è pari a -3,41 milioni di euro, in miglioramento di 0,19 milioni di euro rispetto al terzo trimestre 2016. Il risultato netto di gruppo è pari a -5,51 milioni di euro (-3,33 milioni di euro nello stesso periodo del 2016). I ricavi dei primi nove mesi del 2017 sono stati pari a 45,84 milioni di euro (48,89 milioni di euro del 30 settembre 2016) e la raccolta pubblicitaria è stata pari a 24,7 milioni di euro, -2% rispetto allo stesso periodo del 2016 a parità di perimetro, mentre il mercato pubblicitario italiano dei primi nove mesi del 2017 ha registrato un decremento del 3,3% (fonte Nielsen) rispetto allo stesso periodo 2016, che sale al -5% escludendo dal calcolo le tv generaliste (segmento in cui la casa editrice non è presente). I costi operativi dei primi nove mesi dell’ esercizio (53,01 mln) sono diminuiti di circa il 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2016 e il margine operativo lordo (ebitda), mostra un miglioramento di circa 0,64 milioni di euro, con un saldo pari a -7,17 milioni di euro rispetto ai -7,81 milioni di euro dello stesso periodo dell’ anno precedente. Il risultato netto di gruppo è pari a -12,35 milioni di euro rispetto ai -13,80 milioni di euro dei primi nove mesi del precedente esercizio. La posizione finanziaria netta della Casa editrice presenta al 30 settembre 2017 un indebitamento netto pari a 67,3 milioni di euro, in linea con quella di inizio anno. Il personale della casa editrice occupato in media durante l’ esercizio è pari a 269 unità, in diminuzione rispetto alle 282 dell’ esercizio 2016. In evidenza le performance positive della raccolta pubblicitaria della GO TV (+10%), della tv (+4%) e di Internet (+12%) che insieme rappresentano circa il 38% del fatturato complessivo. In flessione nei primi nove mesi la raccolta sulla stampa quotidiana, mentre migliora la performance per i periodici grazie alle iniziative speciali. Nei primi nove mesi dell’ esercizio 2017 il sito web di Milano Finanza ha registrato una marcata crescita (+27,2%) a livello di utenti unici mensili, che hanno toccato nei primi nove mesi del 2017 una media di 1,99 milioni, secondo quanto certificato dai sistemi Google Analytics, contro gli 1,56 milioni dei primi nove mesi del 2016. Secondo quanto riporta un comunicato della società, nel mese di ottobre la casa editrice ha registrato un aumento della raccolta pubblicitaria pari al 5% sullo stesso periodo del 2016 a perimetro omogeneo. Sul fronte dell’ efficientamento dei costi, la società ha proceduto alla chiusura di due testate periodiche e alla conseguente messa in cig a zero ore del relativo personale, con un effetto netto complessivo su base annua pari a 0,6 milioni di euro.

Tim, i sindaci alzano il tiro su Canal +

Il Messaggero

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IL CASO ROMA Amos Genish focalizza la strategia su Tim ma all’ interno del cda sindaci e consiglieri di minoranza restano sul piede di guerra per Tim Vision spa, joint venture fra Tim e Canal +. Il collegio sindacale, presieduto da Roberto Capone, secondo quanto risulta al Messaggero nel consiglio di venerdì 10 avrebbe contestato le modalità della partnership presentando un esposto alla Consob in base all’ articolo 149 del Tuf: nel mirino la gestione del processo che ha portato alla creazione della joint venture. In Borsa il titolo prosegue nel trend negativo: ieri ha chiuso a 67 centesimi (-2,8%) dopo che da fine luglio aveva bruciato il 22,63% del valore (2,9 miliardi) portando a circa 1,4 miliardi la perdita sull’ investimento di Vivendi. Nei giorni scorsi, anche Lucia Calvosa e Francesca Cornelli, due dei cinque consiglieri di Assogestioni, avrebbero manifestato la loro contrarietà all’ operazione sui contenuti, arrivando a produrre una dissenting opinion, cioè un parere contrario. Alla base dei rilievi di sindaci e consiglieri, il fatto che Tim abbia considerato la joint venture come operazione fra parti correlate di minore rilevanza laddove, secondo Calvosa e Cornelli, avrebbe invece dovuto essere applicato il concetto di maggiore rilevanza, data appunto la rilevanza strategica dell’ operazione, presentata al cda di Tim del 24 luglio dal presidente Arnaud de Puyfontaine in persona. La differenza fra le due tipologie non è di poco conto, visto che un’ operazione fra parti correlate di maggiore rilevanza avrebbe dovuto essere approvata dal plenum dei consiglieri indipendenti. Gli uffici della Consob sono ora al lavoro e il rischio è che la delibera possa essere invalidata. MINIMI GARANTITI A ben vedere, è difficile non pensare che la partnership, la quale prevede minimi garantiti da Tim a Tim Vision spa molto aggressivi, sia un modo attraverso cui Vivendi voglia dare un supporto a Canal+ che in Francia sta attraversando un periodo di difficoltà avendo perso oltre 400 mila clienti in un anno. Sino a oggi, il meccanismo dei minimi garantiti si è dimostrato molto poco conveniente per Tim: il contenzioso con Sky sul mancato raggiungimento degli obiettivi è in corso di definizione e l’ ex incumbent avrebbe già accantonato circa 100 milioni per far fronte alla transazione. Per questo Calvosa e Cornelli avrebbero evidenziato che l’ asticella dei minimi garantiti di Tim a favore di Tim Vision sarebbe troppo elevata. r. dim. © RIPRODUZIONE RISERVATA.


Circolare n. 41 del 15/11/2017 – Contributi editoria per la stampa italiana diffusa all’estero. Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM sulla modalità di concessione del sostegno

Facendo seguito alla nostra circolare n° 35/2017 del 05.10.2017 segnaliamo che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (GU Serie Generale n.260 del 07-11-2017) il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri relativo alle modalità per la concessione dei contributi per il sostegno alla stampa italiana diffusa all’estero, a norma del Capo V del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70. Ricordiamo che le disposizioni contenute nel Decreto si applicano a partire dai contributi relativi all’anno 2018.

Il Senato: “Stop ai piani di 28 giorni nella telefonia”

Giorni contati per i piani di fatturazione a 28 giorni degli operatori telefonici. La Commissione Bilancio del Senato ha approvato l’emendamento del Pd che blocca tale tipo di fatturazione per le offerte relative alla telefonia e al traffico Internet. Se gli operatori non si adegueranno alla normativa scatteranno sanzioni e indennizzi forfettari per i consumatori. L’indennizzo, sulla base della proposta di Stefano Esposito (Pd), ammonta a 50 euro con somma maggiorata di 1 euro per ogni giorno di fatturazione illegittima. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è responsabile di eventuali sanzioni, che vanno da un minimo di 240.000 euro ad un massimo di 5 milioni. Peraltro l’Autorità ha già inflitto maxi-sanzioni agli operatori per il mancato rispetto delle disposizioni relative alla cadenza delle fatturazioni. Infatti, con delibera 121/2017, l’Agcom ha vietato i piani di 28 giorni. Gli operatori si sono rivolti al Tar, continuando di fatto ad applicare gli aumenti.
Dopo le ultime novità legislative canta vittoria l’Unione Nazionale Consumatori, che sin dall’entrata in scena dei piani di 28 giorni si è battuta per il ripristino delle vecchie condizioni. Il relatore del provvedimento, Silvio Lai, afferma che era importante che si ponesse fine ad una vicenda che sta molto a cuore ai cittadini. Lai auspica inoltre una maggiore trasparenza da parte degli operatori in merito alle offerte proposte e una solerte vigilanza dell’Agcom per impedire la formazione di nuovi fenomeni di disequilibrio nel rapporto operatore-consumatore. La fatturazione a 28 giorni ha introdotto de facto una tredicesima mensilità non ufficiale in capo ai consumatori, ritrovatisi con un aumento annuale dell’8,5%. Non è comunque da escludere che le compagnie telefoniche mantengano i loro guadagni, decidendo di aumentare i prezzi delle singole bollette.

Rassegna Stampa del 16/11/2017

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L’ ultimo giorno di Gabanelli in Rai: “Proseguirò altrove”

L’ impresa modello di creatività su «How to Spend it»

Audiweb, ecco i pezzi mancanti

Il caso Brizzi mette sulle difensive i produttori di cinema e tv

A Marketing Media and Money protagonista la ristorazione

Chessidice in viale dell’ Editoria

Pubblicità, Libro bianco sulle gare

Rcs: per il gruppo benefici dai Mondiali anche senza gli Azzurri

Al via Audiweb 2.0, nuovo sistema di rilevazione dell’ audience online, più completo e preciso. I primi dati disponibili da gennaio

Cairo bacchetta Milano Finanza: dati non corretti e sovrastimati sui ricavi generati dai Mondiali. E rintuzza: al Campionato mondiale la Spagna c’ è e noi anche, con Marca

L’ ultimo giorno di Gabanelli in Rai: “Proseguirò altrove”

Il Fatto Quotidiano

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“Oggi ho consegnato il badge, la chiave della mia stanza, il telefono aziendale, la scheda del computer”. Inizia così il messaggio di saluto di Milena Gabanelli alla redazione di Report, pubblicato sulla pagina Facebook della trasmissione. Ieri è stato l’ ultimo giorno di Gabanelli in Rai. “Sono passata a salutare questo pezzo di famiglia – scrive -. Sì, più che colleghi sono la mia famiglia, e più che madre mi sento quasi una figlia che esce di casa”. Il messaggio è accompagnato da una foto di gruppo con tutta la redazione, nella quale Gabanelli indossa un paio di occhiali scuri, probabilmente per nascondere la commozione. “Ci siamo fatti belle risate sono davvero simpatici, e me ne vado con l’ orgoglio di lasciare una bella eredità. Proseguirò il mio mestiere su un altro mezzo, da un’ altra parte, ma prima dovevo salutarvi su questa pagina, dove di tanto in tanto ho consegnato un po’ dei miei pensieri e preoccupazioni. Un bacio a tutti voi. Uno per uno”. La storica conduttrice di Report aveva annunciato l’ addio alla televisione pubblica lo scorso 31 ottobre.

L’ impresa modello di creatività su «How to Spend it»

Il Sole 24 Ore
Nicoletta Polla Mattiot
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«P lanare sulle cose dall’ alto, non avere macigni sul cuore”. È l’ invito alla leggerezza, mai superficiale, della prima, forse la più letta, delle Lezioni americane di Calvino. Invito raccolto e rilanciato dal nuovo numero di How to Spend it, fin dall’ immagine di copertina: un nido da cui scendono fiocchi di neve e di brillanti. Anche quest’ anno, a novembre, il mensile di lifestyle del Sole 24Ore raddoppia e torna in edicola venerdì con uno speciale dedicato all’ alta gioielleria e al savoir faire artigianale. Idee per uno shopping delle feste che è anche un percorso dentro la creatività più estrema. Sarà per una particolare sensibilità per le pietre o per un’ attenzione personale alla vestibilità, ma la maggioranza dei creatori dell’ haute joiaillerie sono “creatrici”. Un mestiere nato al maschile, di cui le eredi di oggi sono le designer delle principali maison, da Chopard a Bulgari, da Damiani a Messika. «Anche se è composto dagli elementi più resistenti al mondo, metalli e diamanti, un gioiello deve sembrare plasmato da un soffio di vento», spiega Cindy Chao. «In ogni creazione cerco l’ assenza di peso, quello che indossi non dev’ essere un macigno». Ritornano le stesse parole della lezione sulla leggerezza: ci vuole invenzione, e tanto lavoro, per mettersi al servizio del più lieve volo di fantasia. D’ altronde, un componente essenziale dell’ arte è il rischio, senza il quale è difficile dar vita al nuovo. Si muovono in equilibrio fra poesia e follia sperimentale le sculture del Duchamp indiano, Subodh Gupta, che racconta la sua New Delhi dove persino il cibo è arte e «in ogni pentola è scritta una storia». Sono giochi in bilico fra kitsch ed emozione regressiva le macchine coccolavolti della designer Sara Ricciardi, che rintracciano, anche nell’ arredo, la ricerca di lavorazioni che vadano nella direzione opposta alla pesantezza. Persino il servizio di moda di questo numero viaggia a cavallo fra mondi opposti, produzione contemporanea e storia del costume, rivisitando le stampe ukiyoe e il maestro Kuniyioshi (a lui è dedicata la mostra, alla Permanente di Milano, Il visionario del mondo fluttuante, fino al 28/1). Se poi creare significa rompere le regole, arriva dalla storica Lucetta Scaraffia la proposta più radicale: «Proporre il dilemma fra creare in qualunque modo – la creazione di una collezione, un piatto, un gioiello – e generare, significa sottovalutare un tesoro. Il lusso è guardare il mondo con gli occhi delle donne». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Audiweb, ecco i pezzi mancanti

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Con il primo trimestre del nuovo anno, se tutto filerà liscio, arriveranno i primi dati dell’ audience online della nuova rilevazione Audiweb, chiamata 2.0 e realizzata insieme con Nielsen che ha vinto il beauty contest con cui si doveva individuare il fornitore. Una rilevazione che, secondo quanto annunciato ieri dal presidente della società Marco Muraglia, dovrebbe «dare il giusto valore» ai contenuti degli editori e una «fotografia trasparente agli investitori». L’ Audiweb dovrebbe insomma rispondere meglio a una realtà online che è profondamente mutata e che la vecchia rilevazione non rappresentava adeguatamente. Per esempio si pensi a come molti contenuti degli editori siano oggi fruiti all’ interno dell’ app di Facebook sui cellulari, traffico che Audiweb non registrava se non con una survey avviata lo scorso anno ma completamente staccata dalla rilevazione originale. Ma non è solo questo. Il nuovo impianto dovrebbe dare una foto più fedele del traffico sui siti, compresi quelli più piccoli e specializzati. Il banco di prova arriverà comunque a gennaio con la prima novità al vaglio degli editori: i dati saranno anche giornalieri e settimanali, «diffusi 72 ore dopo per via della complessità del digitale e non il giorno successivo come accade con l’ Auditel», ha spiegato Muraglia. Da aprile ci saranno poi i classici dati mensili con il giorno medio che soppianteranno definitivamente quelli diffusi finora. I dati sugli utenti unici riguarderanno tutto: non solo le pagine web tradizionali e mobile, ma anche i video su qualsiasi piattaforma (anche mobile, mentre ora sono misurati solo su pc), l’ in-app browsing (la navigazione sulla pagina di un sito direttamente dall’ app di Facebook, soprattutto), gli Istant Articles (gli articoli incorporati sul social di Zuckerberg) e le Accelerated mobile pages di Google. Sul mobile restano ancora fuori gli utenti i minori di 18 anni per le difficoltà legali ad espandere il panel con i minorenni. L’ ampliamento del campione di utenti è comunque previsto, si tratterà di lavorarci prossimamente. Fin qui un primo cambiamento che restituirà agli editori il traffico ora mancante. Poi c’ è il differente impianto di rilevazione: il panel di 40 mila individui resta, ma non sarà al centro come in passato. «Ora si parte dal dato censuario, che sarà colorato e arricchito dal panel», ha detto Filippo D’ Avanzo, Coordinatore del Comitato Tecnico di Audiweb. Si parte alla fonte, dai codici inseriti nei contenuti degli editori («gli Sdk di Nielsen, più avanzati rispetto ai tag tradizionali») rilevati nel momento in cui questi ultimi vengono fruiti da qualche parte. Così si potrà cogliere anche la coda lunga di internet, quei siti più piccoli a cui il panel non rende giustizia. C’ è però un nuovo ingrediente che servirà a produrre il dato finale, i big data. Nielsen ha a livello mondiale un accordo con Facebook che serve per attribuire le demografiche, età e sesso, ai dati grezzi ricavati dai tag. Il percorso sarà questo: si rileva il traffico sui contenuti, in maniera anonima viene mandato a Facebook che assegna le demografiche (com’ è l’ utente che in tal ora ha visitato il sito web? Facebook il più delle volte lo sa perché l’ utente resta collegato), poi si passa al panel per eliminare determinati errori e calibrare i dati ottenuti con il social. Infine si calcolano le metriche da distribuire. In questo passaggio si ottiene il dato sugli utenti unici, non duplicati nel caso uno stesso utente vedesse il sito attraverso differenti dispositivi. La scelta di utilizzare i dati di Facebook, che non è certificato da terzi, è stata spesso criticata in passato. «Abbiamo scelto Facebook perché ci permetteva di avere una qualità molto elevata del dato, dal momento che gli utenti che si registrano sono portati a mettere dati veri su sesso ed età», ha spiegato Luca Bordin, general manager media sales & solutions di Nielsen. «Ma Nielsen comunque controlla questi dati grazie al suo panel. Inoltre Facebook, al contrario di altri provider, rappresenta in maniera abbastanza equilibrata la popolazione online, non c’ è un eccessivo squilibrio per esempio sui giovani». Ad Audiweb potrebbero partecipare anche Facebook e YouTube («ci sono contatti», ha detto Muraglia) per essere misurati come gli altri editori (attualmente vengono rilevati ma solo con il panel) come richiede l’ Agcom. Parallelamente a tutto questo Muraglia ha anche confermato quanto già era circolato: Audiweb utilizzerà la ricerca di base di Auditel fatta da Ipsos, ovvero l’ indagine che descrive la popolazione italiana e i dispositivi che utilizza. Si parte da una base comune, insomma, poi ognuno realizza le proprie rilevazioni. In futuro, comunque, Auditel e Audiweb dovrebbero tornare a parlarsi: «Riprenderemo il dialogo nel momento in cui Auditel inizierà a rilevare i contenuti della tv online», ha concluso Muraglia. © Riproduzione riservata.

Il caso Brizzi mette sulle difensive i produttori di cinema e tv

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Ieri il regista Fausto Brizzi ha compiuto 49 anni. E il compleanno non sarà stato dei più felici tenuto conto del momento delicato che sta vivendo, travolto dallo scandalo sulle presunte molestie durante i provini ad alcune attrici che lo hanno accusato nella trasmissione tv Le Iene. Ma oltre alle vicende personali, ci sono quelle professionali che potrebbero avere effetti rilevanti su aziende e lavoratori del mondo del cinema e della tv. Brizzi, infatti, è tra i soci fondatori della casa di produzione Wildside, una delle più importanti sulla scena italiana ed europea (quasi 74 milioni di euro di ricavi nel 2016), e alla quale partecipa attraverso la Fw srl (la società ha il 37,5% di Wildside, che è invece controllata al 62,5% da Quarto piano srl, azienda al 100% di FremantleMediaGroup Uk). A sua volta la Fw srl è posseduta al 25,5% da Mario Gianani, al 25,5% da Lorenzo Mieli, al 15,67% dal regista Brizzi, al 15,67% dall’ altro regista Saverio Costanzo, al 15,67% dal terzo regista Marco Martani, e al 2% da Mauro Martani. Brizzi è stato pure amministratore di Wildside, carica che ha lasciato alcuni anni fa. Ma, nonostante quanto letto su alcuni giornali nei giorni scorsi («Brizzi ha ceduto le sue quote di Wildside») continua invece a esserne socio indiretto, attraverso la Fw, come risulta dalle visure camerali presso la Camera di commercio di Roma, aggiornate al 15 novembre 2017. Una presenza, quella di Brizzi, che a questo punto potrebbe risultare molto ingombrante, tenuto conto che Wildside è la casa di produzione che ha realizzato le serie tv The Young Pope (di cui sta curando anche la nuova The Young Pope 2) diretta da Paolo Sorrentino, In Treatment 1-2-3, 1992, 1993, La mafia uccide (di Pif), Romanzo famigliare (di Francesca Archibugi), L’ amica geniale (tratta dai romanzi di Elsa Ferrante e diretta da Costanzo), e ha prodotto, tra gli altri, tutti gli ultimi film di Brizzi, tra cui Poveri ma ricchi del 2016 e il nuovo cinepanettone Poveri ma ricchissimi, in uscita il prossimo 14 dicembre. E proprio su quest’ ultimo titolo si è espresso il gruppo Warner Italia, che co-produce e distribuisce la pellicola, confermando l’ uscita del film ma sospendendo «ogni futura collaborazione con Fausto Brizzi che non verrà associato ad alcuna attività relativa alla promozione e distribuzione del film Poveri ma ricchissimi». A questo punto c’ è da attendersi una catena infinita di «presa di distanze» dal regista, almeno finché non si sarà chiarito come siano andate veramente le cose in quei provini. Wildside, per esempio, è anche socia all’ 8% di Vision distribution, la nuova casa di distribuzione lanciata da Sky Italia e alla quale partecipano i principali produttori cinematografici indipendenti italiani. Insomma, il caos nella vita di Brizzi mette in fibrillazione il gioiellino Wildside, nato nel 2009 su iniziativa di Mario Gianani (attuale amministratore delegato della società) e Lorenzo Mieli (figlio del giornalista Paolo) e che sin da subito ha visto coinvolti i registi Brizzi, Costanzo (figlio di Maurizio Costanzo) e Martani. Nel 2016, come anticipato, la casa di produzione ha avuto un boom di ricavi, saliti a quota 73,6 milioni di euro rispetto ai 35,8 mln del 2015. La grande crescita è arrivata essenzialmente dallo sviluppo delle produzioni tv, e, in particolare, della serie The Young Pope con Jude Law per la regia di Paolo Sorrentino, serie che, in quanto produzione internazionale, aveva da sola un budget di 40 milioni di euro. Nel 2016 i ricavi per produzioni tv di Wildside sono ammontati a 42,6 milioni di euro (erano praticamente nulli nel 2015), mentre quelli per produzioni cinematografiche si sono stabilizzati a quota 11,2 mln, dopo i 9 milioni del 2015. I contributi governativi, sotto forma di tax credit o sovvenzioni varie, sono invece arrivati a 9,1 milioni, rispetto ai 4,4 del 2015. Nel 2017 i conti di Wildside, come spiegano gli amministratori, sono continuati a crescere (si sta già preparando The Young Pope 2). E adesso si tratterà di gestire con delicatezza e fermezza la vicenda Brizzi (che controlla indirettamente quasi il 6% di Wildside, quota che ovviamente, per essere liquidata, necessita di trovare un compratore disposto a sborsare un bel malloppo di euro). © Riproduzione riservata.

A Marketing Media and Money protagonista la ristorazione

Italia Oggi
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Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude il mese di settembre in crescita del 3,6% e l’ ultimo trimestre dovrebbe consolidare e affermarsi come il migliore del 2017 in termini di crescita. Questo e tanto altro nell’ ultimo rapporto pubblicato da Nielsen, brand storico che da anni aiuta le imprese a misurare quello che succede nel mondo dei consumi. A parlane è stato Alberto Dal Sasso, ospite a Marketing Media and Money (canale 507 di Sky, in onda martedì alle 21,05 e in replica mercoledì e sabato alle 10,10 e venerdì alle 13,30). Ma non solo dati, nella puntata infatti è stato protagonista il marketing della ristorazione con due marchi molto diversi tra loro. Crai che con il direttore marketing Mario La Viola ha parlato della nuova campagna pubblicitaria «Nel cuore dell’ Italia» e ha raccontato il modo in cui è stato realizzato il nuovo spot animato in 3D. A raccontare invece della comunicazione, ormai sempre più online, della ristorazione, Elena Collini, responsabile della Comunicazione di The Fork, brand di TripAdvisor, che permette di prenotare online i ristoranti. Anche questa settimana la classifica degli spot promossi e rimandati. Con la vittoria di Samsung e il suo nuovo spot comparativo ai danni di Apple, e lo scivolone di Audi, che ha dovuto ritirare uno spot trasmesso in Cina.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Mediaset, Fininvest raccoglie le deleghe degli azionisti in vista dell’ assemblea. Fininvest solleciterà gli azionisti di Mediaset ad affidarle la delega di voto in vista dell’ assemblea straordinaria convocata per il prossimo 15 dicembre con all’ ordine del giorno la modifica dello statuto. Fininvest ha trasmesso ieri a Consob, Borsa, Monte Titoli e alla stessa Mediaset l’ avviso relativo all’ attività di sollecitazione deleghe che intende effettuare in qualità di promotore. La sollecitazione, precisa Fininvest in una nota, «avrà ad oggetto il primo punto all’ ordine del giorno, la modifica dell’ art. 17 dello statuto sociale riguardante la composizione e la nomina del consiglio di amministrazione». È la norma con cui si vuole introdurre il sistema delle cosiddette liste bloccate per la nomina del cda, finalizzate a limitare la presenza di Vivendi ed evitare stalli decisionali. Fininvest darà voto favorevole alla proposta formulata dal cda Mediaset «riservandosi di indicare le motivazioni a sostegno di tale indicazione nei modi e nei tempi previsti dalla normativa». Rcs, dai Mondiali nel 2018 attesa in Italia buona parte di ricavi e margini. «È ragionevole attendersi che il forte e diffuso interesse per i Mondiali, anche in assenza della nostra Nazionale e in considerazione delle iniziative che potranno essere lanciate in tale occasione, consentirà comunque di realizzare in Italia nel 2018 buona parte di tali ricavi e margini incrementali». A sostenerlo è stato ieri il gruppo Rcs in una nota. «Si sottolinea inoltre che il gruppo Rcs pubblica in Spagna la testata Marca, leader tra i quotidiani sportivi, che beneficerà in termini di pubblicità e diffusione della partecipazione della nazionale spagnola ai Campionati Mondiali». Il gruppo editoriale ha evidenziato che nel 2014 la competizione mondiale ha generato per Rcs in Italia circa 7 milioni di euro di ricavi e circa 5 milioni di euro di margini incrementali. Time Inc. lancia Sports Illustrated Tv su Amazon Prime. Time Inc. lancerà oggi Sports Illustrated TV su Amazon Prime. Il canale televisivo sportivo includerà cinque show originali, documentari originali su star come LeBron James, interviste esclusive e programmi e film sullo sport acquistati da Amazon. Si tratta del primo servizio video a pagamento over the top di Time Inc. Gli utenti potranno provare gratuitamente il canale tv per una settimana; poi, i membri di Amazon Prime potranno accedere al costo di 4,99 dollari al mese. Eurosport rinnova l’ accordo per gli US Open di tennis fino al 2022. Eurosport continuerà a trasmettere, per i prossimi cinque anni, sulle proprie piattaforme in Europa (ad eccezione di Regno Unito e Irlanda) gli US Open di tennis. Il nuovo accordo, che resterà in vigore fino al 2022 e garantisce a Eurosport i diritti in esclusiva del torneo, permetterà agli appassionati italiani di seguire l’ Australian Open, Roland Garros e US Open – su Eurosport ed Eurosport Player.

Pubblicità, Libro bianco sulle gare

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Arriverà a inizio 2018 il nuovo Libro bianco sulle gare nel mondo della comunicazione. Una sorta di manifesto-decalogo con raccomandazioni su come assegnare alle agenzie creative i budget pubblicitari delle aziende, rispettando sia i desideri degli investitori sia il lavoro e il tempo speso dai pubblicitari. È così che Upa, Assocom e Unicom hanno deciso di redigere insieme, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, il manifesto e anche un vademecum di consigli pratici. Insomma, a partire dal Libro bianco sul digitale lanciato lo scorso giugno da Upa (Utenti pubblicità associati, che riunisce gli investitori italiani sotto la presidenza di Lorenzo Sassoli de Bianchi) e da altre sette associazioni di settore (Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Fedoweb, Fcp e Unicom-Associazione imprese e agenzie di comunicazione presieduta da Alessandro Ubertis), adesso emerge maggiormente dal mercato la necessità di fissare dei parametri di buona condotta, trasparenza ed efficienza un po’ in ogni ambito della comunicazione. Nel caso del Libro bianco sulle gare nel mondo della comunicazione, però, è altrettanto vero che si tratta di una pubblicazione attesa da tempo e al contempo molto delicata visto che coinvolge differenti soggetti (ognuno con diversi punti di vista), spaziando dai grandi gruppi pubblicitari a quelli più piccoli, dagli inserzionisti fino ai centri media. Sotto l’ iniziativa di Assocom-Associazione aziende di comunicazione guidata da Emanuele Nenna (co-fondatore e a.d. dell’ agenzia The Big Now), ora si è passati ai fatti e l’ obiettivo è stabilire nuovi parametri di condotta (dal momento che le associazioni di settore non hanno potere impositivo nei confronti dei loro membri). Se i consigli pratici si focalizzeranno sul fornire, da parte delle aziende investitrici, brief completi e precisi sulla campagna che si vuole realizzare oppure sul rendere noti i nomi di tutti i partecipanti alla gara, non mancheranno nemmeno proposte alternative allo strumento delle stesse gare. Ne sono solo alcuni esempi le consultazioni, che sono meno strutturate delle gare e assomigliano più a delle presentazioni, o la realizzazione (come avveniva in passato) di libri coi profili completi delle principali agenzie, in modo che ogni azienda possa scegliere fin da subito le sigle creative con uno storico più vicino ai propri desiderata. Ma soprattutto verrà toccato il punto dolente della remunerazione delle agenzie che partecipano a una gara, senza vincerla. Il punto di compromesso che sembra verrà definitivamente condiviso dalle parti è quello di caldeggiare il pagamento delle agenzie che partecipano a gare poi annullate. In realtà, regole simili sono state già delineate dal comparto, ma ai giorni nostri più che mai gli attori della comunicazione sentono, evidentemente, la necessità di ribadire che la buona norma rimane sempre remunerare l’ impegno e il tempo speso da parte dei creativi nelle gare in generale. O almeno, in ultima analisi, in quelle che non hanno poi esito. Non solo, secondo alcuni protagonisti del mercato, il nuovo Libro bianco potrà sfatare alcune bufale come il timore dei pubblicitari di vedersi scippare la paternità dei progetti resi noti durante le gare, dal momento che basta depositare presso lo Iap (Istituto autodisciplina pubblicitaria) i bozzetti del progetto per tutelarne il copyright. Infine, come già sottolineato da Nenna (vedere ItaliaOggi del 14/7/2017), vanno eliminati soprattutto «gli sprechi». È per questo che «rivediamo e aggiorniamo il protocollo presentato tre anni fa». Tanto per fare un esempio, è una gara su tre a venire annullata, disperdendo così risorse per circa 3 milioni di euro, secondo dati Assocom. © Riproduzione riservata.

Rcs: per il gruppo benefici dai Mondiali anche senza gli Azzurri

Corriere della Sera

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Rcs MediaGroup ieri ha diffuso una nota facendo riferimento all’ articolo di Milano finanza «Il flop Mondiali piega Rcs». Rcs rileva che si tratta di «dati non corretti ed esageratamente sovrastimati, che non riflettono gli impatti in termini di ricavi e margini generati in occasione delle ultime competizioni mondiali». «È ragionevole attendersi che l’ interesse per i Mondiali, anche in assenza della nostra Nazionale e in considerazione delle iniziative che potranno essere lanciate, consentirà comunque di realizzare in Italia nel 2018 buona parte di tali ricavi e margini incrementali». Rcs poi pubblica in Spagna Marca , «che beneficerà in pubblicità e diffusione della partecipazione spagnola ai Mondiali. Cairo communication ha diffuso i conti dei 9 mesi 2017, chiusi, a perimetro omogeneo, con ricavi a 180,8 milioni e utile a 2,6 milioni. Per l’ intero perimetro del gruppo (compresa Rcs) i ricavi sono pari a 882,7 milioni e l’ utile sale da 5,3 a 17,3 milioni.

Al via Audiweb 2.0, nuovo sistema di rilevazione dell’ audience online, più completo e preciso. I primi dati disponibili da gennaio

Prima Comunicazione

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Ci sono voluti più di due anni di lavoro, ma alla fine la nuova Audiweb 2.0 ha visto la luce. “Il nuovo sistema di rilevazione delle audience online, realizzato in collaborazione con Nielsen, restituisce agli editori il giusto valore dei contenuti digitali, misurati in modo corretto su tutte le piattaforme, e offre agli investitori una fotografia chiara, tempestiva e trasparente del mercato, in modo che possano valutare al meglio come pianificare”, ha affermato Marco Muraglia , presentando il 15 novembre a Milano la nuova ricerca, che – ha aggiunto con giustificato orgoglio il presidente di Audiweb – è “la più innovativa oggi presente al mondo”. In particolare è innovativa la metodologia della ricerca, basata su tre fonti di dati: la rilevazione censuaria mediante SDK, un particolare software messo a punto da Nilsen, che sostituisce i vecchi tag; l’ utilizzo dei big data (in particolare quelli demografici, come l’ età e il sesso) forniti da Facebook; il panel di 40mila persone, che consente di validare e calibrare i big data per produrre le informazioni corrette necessari per le pianificazioni pubblicitarie. Nella foto Marco Muraglia, presidnete di Audiweb; Filippo D’ Avanzo, responsabile del comitato tecnico; Luca Bordin, general manager media, sales& solutions di Nielsen Italia “La nuova Audiweb 2.0, ha aggiunto Muraglia, “fornirà una rilevazione completa e coerente di tutte le audience da pc e dispositivi mobili, anche di quelle attualmente non rilevate, come il traffico in-app mobile su Facebook, Twitter e gli altri social network, le Amp (accelerated mobile pages) di Google, una piena copertura video, e dati giornalieri e settimanali, oltre che mensili, colmando così un’ altra lacuna delle attuali rilevazioni”. I primi risultati del nuovo sistema di rilevazione saranno disponibili a partire dal prossimo anno: in gennaio saranno distribuiti agli editori i dati quotidiani e settimanali; in aprile saranno diffusi anche i dati mensili e quelli del giorno medio del nastro di pianificazione. Infine ci sarà un’ unica ricerca di base sull’ universo degli utenti di Internet, realizzata congiuntamente da Audiweb e Auditel , come auspicato dall’ Autorità per le comunicazioni. “Il tavolo di lavoro con Auditel è in fase avanzata”, ha detto Muraglia.

Cairo bacchetta Milano Finanza: dati non corretti e sovrastimati sui ricavi generati dai Mondiali. E rintuzza: al Campionato mondiale la Spagna c’ è e noi anche, con Marca

Prima Comunicazione

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Rcs Mediasgroup, in riferimento all’ articolo pubblicato oggi su Milano Finanza “Il flop Mondiali piega RCS” – sottotitolo “Il disastro degli Azzurri inciderà sulla diffusione e sulla raccolta pubblicitaria della Gazzetta dello Sport che contava su decine di milioni di introiti dall’ evento” ed anche “Un danno che potrebbe pesare per decine di milioni” – precisa che si tratta di dati non corretti ed esageratamente sovrastimati, che non riflettono gli impatti in termini di ricavi e margini generati in occasione delle ultime competizioni Mondiali, quando nel 2014 hanno generato per RCS in Italia circa 7 milioni di Euro di ricavi e circa 5 milioni di Euro di margine incrementali. Urbano Cairo (foto Olycom) E’ ragionevole attendersi continua la nota Rcs – che il forte e diffuso interesse per i Mondiali, anche in assenza della nostra nazionale ed in considerazione delle iniziative che potranno essere lanciate in tale occasione, consentirà comunque di realizzare in Italia nel 2018 buona parte di tali ricavi e margini incrementali. Si sottolinea inoltre che il Gruppo RCS pubblica in Spagna la testata Marca, leader tra i quotidiani sportivi, che beneficerà in termini di pubblicità e diffusione della partecipazione della nazionale spagnola ai Campionati Mondiali.

Neutralità della rete Telecom, l’Agcom annuncia decisioni per il 2018

Novità in merito alla neutralità e all’apertura della rete Telecom. Le ha annunciate il Commissario Agcom Antonio Nicita per il 2018, anno in cui l’Autorità concluderà la sua analisi dei mercati della rete di accesso. L’Agcom, in particolare, sta valutando se la direzione estera di Telecom, controllata da Vivendi, possa influire sul rispetto degli obblighi derivanti dal servizio universale. Il Garante deve decidere se: optare per una deregolamentazione o rafforzare i rimedi esistenti andando verso forme di separazione funzionale più incisive della rete. L’Agcom sta valutando se obbligare Telecom Italia a separare le attività della rete di telefonia fissa e a conferirle in una società controllata al 100%. Questo servirebbe a garantire una maggiore neutralità della rete. Verranno valutate anche possibili distorsioni delle dinamiche concorrenziali in relazione ad alcuni casi al vaglio dell’Antitrust: i bandi di Infratel e Flashfiber e la joint venture con Tim e Fastweb. In questi mesi Telecom può proporre il proprio piano di neutralità all’Agcom.
Intanto arriverà a breve la risposta dei commissari a Carlo Calenda, ministro per lo Sviluppo Economico, sempre in merito alla neutralità della rete. Nelle scorse settimane il Mise ha inviato ad Agcom una richiesta di approfondimento su aspetti quali la sicurezza e l’integrità delle reti ed i rimedi prospetticamente adottabili per un efficace raggiungimento degli obiettivi previsti dalla regolamentazione del settore delle comunicazioni elettroniche nel quadro dell’interesse strategico nazionale.

Via libera da Minniti al coordinamento per la sicurezza dei giornalisti

Un centro di coordinamento per la libertà di informazione costituito da Federazione nazionale della Stampa, Ordine dei giornalisti, ministero dell’Interno e Dipartimento di Pubblica sicurezza, per «lavorare insieme affinché non vi sia nessuno minacciato e nessuno tacitato». Questa la proposta lanciata dal segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso e subito accolta dal ministro Minniti, presente nella sede del sindacato dei giornalisti per l’incontro organizzato all’indomani dell’aggressione da parte di Roberto Spada, a Ostia, alla troupe del programma di Rai2 “Nemo”.

«Non possiamo che accogliere con soddisfazione la risposta positiva data dal ministro dell’Interno alla richiesta formulata da Federazione nazionale della Stampa e Ordine dei Giornalisti di istituire un centro di coordinamento che si ponga l’obiettivo di uno scambio permanente di informazioni sulle realtà dei cronisti minacciati, quelli già noti e soprattutto i tanti che non sono sotto i riflettori, e dei nuovi fenomeni di aggressioni che non vengono più solo da mafie, criminalità e corruzione, ma anche da organizzazioni neonaziste e neofasciste», commentano il segretario e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna.

Il coordinamento avrà anche il compito di definire le più opportune misure di sicurezza e di protezione nei confronti dei cronisti minacciati, della libertà di informazione e del diritto dei cittadini ad essere informati; di evitare che i cronisti minacciati vengano lasciati soli; di stabilire una strategia di attacco e prevenzione che consenta di impedire la nascita di fenomeni di ritorsione contro gli operatori dei media.

«Federazione nazionale della Stampa e Ordine dei giornalisti – proseguono i vertici degli enti di categoria – hanno inoltre apprezzato l’impegno del ministro, anche nella sua veste di senatore della Repubblica, affinché siano portate a rapida approvazione le parti della proposta di legge sulla diffamazione relative all’abrogazione del carcere per i cronisti e per giungere alla definizione di specifiche norme che scoraggino le cosiddette “querele temerarie”». Temi che il ministro Minniti ha affrontato anche nel suo intervento, a conclusione dell’incontro in Fnsi. «La previsione del carcere per i giornalisti e il fenomeno delle querele bavaglio non possono esistere in un Paese democratico. Quelle norme vanno cancellate. Mi impegno su questo, anche se siamo a fine legislatura», ha rilevato.

«Se viene meno la libertà di stampa viene meno l’ossigeno, la democrazia soffoca e siamo tutti più deboli, perché l’informazione è un pilastro della democrazia. La risposta più forte che si può dare dopo l’aggressione di Ostia è la convinta partecipazione al voto. Se posso suggerirlo, insieme a penne e Costituzione, alla manifestazione di domani va portato anche questo messaggio», ha detto ancora Minniti, che ha definito l’aggressione al giornalista Piervincenzi una «questione gravissima: per chi si è colpito e per il momento in cui è avvenuta l’aggressione, quello della competizione elettorale che è il momento più sacro di una democrazia». Un episodio contro il quale il mondo del giornalismo si è schierato da subito compatto e con forza. Per il segretario del sindacato dei giornalisti, Raffaele Lorusso, quella della categoria «non è una difesa corporativa ma una reazione ferma contro un attacco alla professione, alla libertà e al diritto dei cittadini ad essere informati. In Italia la stampa è libera, ma spesso non lo sono i giornalisti». Se viene a mancare questa libertà, ha sottolineato il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, «il giornalismo rischia di morire. Ci sono tantissimi cronisti minacciati che non hanno dalla loro la forza dell’immagine della testata di Spada a Piervincenzi, che ha portato l’indignazione anche fuori dai confini nazionali. È lì che dobbiamo intervenire. Noi siamo i “postini” del diritto di sapere dei cittadini, dobbiamo poter svolgere questo lavoro». (fnsi)

 

Rassegna Stampa del 17/11/2017

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Diritti televisivi in ribasso: adesso i club vogliono la loro tv

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Senza i Mondiali la Rai ci guadagna

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New York Times, un giorno uscirà solo la domenica

Antonio Di Rosa direttore della ‘Nuova Sardegna’

Ha il nome proprio di Scalfari, il fondatore di Repubblica:

Il Sole archivia l’ aumento Adesioni al 91%

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Il Mattino
Francesco Pacifico
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In attesa di rilanciare il buon nome della nazionale, il calcio italiano si ributta anima e corpo in una partita non meno complessa e decisiva per il suo futuro: incassare poco meno di un miliardo dalla vendita dei diritti tv per i campionati 20182021. In quest’ ottica Infront, l’ advisor della Lega Calcio, ha deciso di presentare il 27 novembre il nuovo bando, dopo che lo scorso giugno l’ asta fu annullata. Ma parallelamente lavora a quello che è più di un piano B: quel canale a pagamento della Lega, sul modello Nba che da sempre consiglia di seguire Aurelio De Laurentiis. Sì, perché non è detto che la prossima asta (i lavori si concluderanno a dicembre) non vada come la precedente, visto che come allora non si sono anche chiariti i destini di Mediaset Premium, la pay tv dei Berlusconi. I quali, dietro le quinte, starebbero cercando ancora un accordo con il gruppo Vivendi (è in corso una causa civile per la mancata acquisizione da parte dei francesi), ma sarebbero già diretti a uscire dal business del calcio, dopo aver accumulato un passivo, tra debiti e fondi per rilanciare il canale, di 375 milioni. Lo scorso giugno Premium non presentò un’ offerta perché considerava poco appetibile dal punto di vista commerciale il pacchetto per il digitale terrestre, che garantiva i diritti per le trasmissioni delle prime quattro squadre (Juve, Milan, Inter e Napoli, pari a poco meno del 70 per cento del bacino dei tifosi italiani), per l’ ultima arrivata nel campionato pretendente e per le tre neopromosse. Proprio per venire incontro alle esigenze di Mediaset, o per farla uscire allo scoperto, Luigi De Siervo, ad di Infront, ha deciso di fare poche ma sostanziali modifiche all’ architettura del bando per venire incontro alle esigenze di Cologno Monzese. Nell’ ultima riunione di Lega che si è tenuta lunedì scorso in via Rosellini, l’ advisor ha annunciato ai presidenti che il nuovo bando sarà presentato il 27 novembre e che quasi totalmente ricalcherà lo schema di quello annullato a giugno, quindi con i pacchetti destinati alle differenti piattaforme. Ma con un importante differenza: per quello B per il digitale terreste, accanto alle grandi squadre (Juve, Inter, Milan e Napoli) ci saranno tre o quattro formazioni di media classifica. In modo da ricalcare l’ attuale offerta di Mediaset Premium. Come detto, va avanti parallelamente l’ ipotesi B, la creazione di una LegaChannel, come prevede la legge Melandri in caso di fallimento nella vendita pubblica dei diritti. Il progetto, curato da Infront e Deloitte, prende sempre più forma. La prossima settimana De Siervo incontrerà le banche che potrebbero fare da partner finanziari della pay tv e anticipare il miliardo di euro promesso alle società: tra le altre, si sarebbero dette interessate IntesaSanpaolo, Merrill Lynch e Jp Morgan. Smentito invece un ruolo in questa partita dell’ ex ad di Infront, Marco Bogarelli. Sul versante dei contenuti confermato che il partner tecnico sarà il gruppo Discovery, che in questa veste sceglierà sia il direttore sia la redazione, pescando da Sky e Mediaset Premium. Sul versante finanziario e industriale si è saputo che il canale della Lega, trasmesso su tutte le piattaforme esistenti (innanzitutto Sky sul satellite e Premium sul digitale), chiederà alle due pay un minimo garantito in base ai loro abbonati. È stato stabilito anche il modo nel quale dividere gli introiti degli abbonamenti: al netto dell’ Iva, il 15% andrà alla piattaforma come fee per le spese di trasmissione, il 17,3 andrà a Infront, mentre il restante sarà incassato in parti uguali dalla Lega Calcio, da Discovery e dal socio bancario, editori del canale. Ora c’ è da capire se Sky e Mediaset saranno d’ accordo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sole 24 Ore, aumento di capitale sottoscritto al 91% per 45,5 milioni

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Il Sole 24 Ore ha comunicato che si è concluso ieri il periodo di adesione all’ offerta in opzione di 52.012.476 azioni speciali del Sole rivolta ai possessori di azioni ordinarie e speciali della società, rivenienti dall’ aumento di capitale a pagamento e in forma inscindibile deliberato dall’ assemblea straordinaria del 28 giugno 2017. Le azioni sono state offerte sulla base del rapporto di n. 4 Azioni ogni n. 1 azione della Società posseduta, ad un prezzo pari a 0,961 euro per azione. Durante il periodo di opzione, iniziato il 30 ottobre 2017 e conclusosi ieri, estremi inclusi, sono state sottoscritte 47.336.172 azioni, pari al 91,01% delle azioni e per un controvalore complessivo pari a 45.490.061,30 euro, per effetto dell’ esercizio di 11.834.043 diritti di opzione. La società ha poi reso noto che, in adempimento agli impegni in precedenza assunti, Confindustria ha esercitato 7.804.371 diritti di opzione alla stessa spettanti, corrispondenti a 31.217.484 azioni, per una quota pari al 60,02% del totale delle azioni e per un controvalore complessivo di 30.000.002,12 euro. Al termine del periodo di opzione risultano, dunque, non esercitati 1.169.076 diritti di opzione riguardanti la sottoscrizione di 4.676.304 azioni, pari all’ 8,99% delle azioni, per un controvalore complessivo pari a 4.493.928,14 euro. I diritti saranno offerti in Borsa dal Sole, ai sensi dell’ art. 2441, terzo comma, del codice civile, per il tramite di Intermonte SIM S.p.A., nelle sedute del 21, 22, 23, 24 e 27 novembre 2017, salvo chiusura anticipata dell’ offerta in caso di vendita integrale dei diritti. Nel corso della prima seduta sarà offerto l’ intero quantitativo dei diritti; nelle sedute successive alla prima saranno offerti i diritti eventualmente non collocati nelle sedute precedenti. I diritti acquistati potranno essere utilizzati per la sottoscrizione, al prezzo di 0,961 euro per ciascuna azione, di 4 azioni ogni diritto acquistato. L’ esercizio dei diritti acquistati nell’ ambito dell’ offerta in Borsa e conseguentemente la sottoscrizione delle azioni dovranno essere effettuati, a pena di decadenza, entro e non oltre il giorno 28 novembre 2017, con pari valuta, presso gli intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata di Monte Titoli S.p.A., salvo il caso in cui l’ offerta in Borsa si chiuda anticipatamente, a seguito della vendita di tutti i diritti offerti nelle sedute del 21 o del 22 novembre 2017. Nel caso di chiusura anticipata dell’ offerta in Borsa, l’ esercizio dei diritti acquistati nell’ ambito della predetta offerta dovrà essere effettuato anticipatamente, a pena di decadenza, entro e non oltre il terzo giorno di borsa aperta successivo a quello di comunicazione della chiusura anticipata e quindi: entro e non oltre il 24 novembre 2017, con pari valuta, in caso di chiusura anticipata il 21 novembre 2017; entro e non oltre il 27 novembre 2017, con pari valuta, in caso di chiusura anticipata il 22 novembre 2017. Resta comunque inteso che qualora i diritti offerti non siano integralmente venduti nelle prime due sedute di borsa sopra indicate, ossia nelle sedute del 21 novembre o 22 novembre 2017, il termine ultimo per la sottoscrizione delle azioni rimarrà il giorno 28 novembre 2017. Le azioni rinvenienti dall’ esercizio dei diritti saranno accreditate sui conti degli intermediari autorizzati aderenti al sistema di gestione accentrata Monte Titoli S.p.A. al termine della giornata contabile dell’ ultimo giorno di esercizio dei diritti e saranno pertanto disponibili dal giorno di liquidazione successivo. Il gruppo ricorda infine che l’ offerta è assistita dalla garanzia di un consorzio composto da Banca IMI S.p.A. e Banca Akros S.p.A. che si sono impegnate a sottoscrivere ai termini del contratto di garanzia, disgiuntamente tra loro e senza vincolo di solidarietà, le azioni eventualmente rimaste inoptate al termine dell’ offerta in Borsa, per un ammontare massimo pari a circa 20 milioni di euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Ascolti, La7 sorpassa Rete 4

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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I primi dieci mesi del 2017, per La7, non sono stati semplici, con un cambio di direzione di rete e un palinsesto autunnale che è andato a regime solo in novembre. E proprio tenuto conto di queste circostanze, bisogna dire che i risultati economico-finanziari di La7 nei primi nove mesi dell’ anno non sono da disprezzare: nonostante i ricavi, a quota 71,2 milioni di euro, siano diminuiti del 6,2% rispetto al periodo gennaio-settembre 2016, La7 infatti migliora sia l’ ebitda (positivo per 2,5 milioni rispetto ai -2 milioni del 2016), sia l’ ebit (-4,8 mln rispetto agli -8,2 mln del 2016), sia il risultato netto (in rosso per 2,5 mln rispetto ai 2,8 mln di deficit del 2016). Le performance più importanti dell’ anno, in termini di raccolta pubblicitaria, arrivano però nel trimestre ottobre-dicembre per tutti i broadcaster televisivi. E, come già accaduto nei passati esercizi, è proprio questo il periodo in cui si recupera in termini di marginalità e, quindi, di ultima riga del bilancio (nel 2016 La7 ha chiuso con 1,3 mln di perdite a livello consolidato, mentre aveva prodotto 2,2 mln di utili nel 2015). Inoltre, da novembre, La7 ha un palinsesto a regime. C’ è voluto più tempo del solito, attendendo le novità, una su tutte Non è l’ Arena di Massimo Giletti. Ma nei primi 15 giorni di novembre, in prime time, la media di La7 dalle ore 20,30 alle ore 22,30 sul target individui è stata del 4,32% (1.134.198 persone), rispetto al 4,02% di Rete 4 (ferma a 1.056.118 persone). Un sorpasso che, naturalmente, andrà consolidato nel tempo, ma che porta una ventata di fiducia alla televisione di Urbano Cairo e alla direzione di Andrea Salerno. Ora La7 ha almeno cinque prime serate solide: quella della domenica con Giletti (7-8%), del martedì con Giovanni Floris e diMartedì (5-7%), del mercoledì con Atlantide di Andrea Purgatori (3%), del giovedì con Piazza Pulita di Corrado Formigli (5-5,5%) e del venerdì con Diego Bianchi e Propaganda live (3%), che forse ha ancora margini di crescita, essendo, al momento, un po’ al di sotto delle aspettative. Tutti questi programmi godono poi della robusta base di Otto e mezzo di Lilli Gruber, che dall’ 1° al 15 novembre, in otto puntate, ha viaggiato a una media del 5,67% di share (con ascolti medi pari a 1.519.267 persone). L’ approssimarsi della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018, peraltro, darà a La7 un ulteriore impulso: tanto per dire, la puntata di diMartedì dello scorso 7 novembre con ospite Matteo Renzi ha avuto una media oltre il 9% di share, portando la rete al terzo posto assoluto dietro Rai 1 e Canale 5. Accantonati gli esperimenti con Makkox nella fascia oraria 19.30-20, e concluso il ciclo dedicato ai film di Nanni Moretti (con ascolti piuttosto bassi), ora Salerno potrà quindi dedicarsi al suo figliuolo prediletto, Propaganda live, di cui è autore, e che deve fare di più secondo le ambizioni dell’ editore Cairo. E poi, insieme con Purgatori, continuerà il lavoro ai fianchi su Corrado Guzzanti per convincerlo a tornare in tv. Cercando di non disperdere il grande seguito di Giletti. Perché, alla fin fine, la tv è anche una cosa semplice: basta portare in video volti molto popolari. © Riproduzione riservata.

Senza i Mondiali la Rai ci guadagna

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il 7 marzo 2016 Gabriele Romagnoli si è insediato alla direzione di Rai Sport. Nell’ autunno del 2018 il suo contratto scadrà e ci sarà un congedo piuttosto freddino tra le parti. Chiamato dall’ allora direttore generale Antonio Campo Dall’ Orto a modernizzare la narrazione dello sport in Rai a botte di storytelling, sarà invece ricordato per tre o quattro cose: la rottura quasi istantanea con una fetta importante della redazione (che, peraltro, avrebbe veramente bisogno di una bella rinfrescata e raddrizzata). E qui il carattere un po’ ombroso di Romagnoli non ha aiutato; l’ ingaggio di Mario Sconcerti come opinionista, strappato a Sky con un contratto da centinaia di migliaia di euro; la chiusura del canale tv Rai Sport 2. Archiviati senza nulla di memorabile sia gli Europei di calcio, sia le Olimpiadi di Rio 2016, la grande svolta dello sport Rai targato Romagnoli sarebbe potuta arrivare coi Mondiali di calcio 2018. Ma la spedizione, ovviamente, a questo punto nasce zoppa senza le partite dell’ Italia. Inoltre non è detto che la Rai, visto come si sono messe le cose, abbia interesse a fare follie per acquisirne i diritti tv (che non sono ancora stati assegnati, e che erano contesi pure da Mediaset). Quindi Romagnoli dovrà accontentarsi delle Olimpiadi invernali in Corea del Sud, delle partite di Coppa Italia di calcio (Rai ha i diritti tv fino a giugno 2018, e poi si vedrà), del Giro d’ Italia o dei frammenti di Formula 1 (dipende dai rapporti con Sky, ultimamente molto intensi, tanto che si parla anche di ipotesi di partita di Champions league di calcio del mercoledì in chiaro sulla Rai nel triennio 2018-2021), lavorando in questi ultimi dieci mesi di mandato con una redazione spaccata in due, con guerre tra gang quasi impossibili da governare, soprattutto ora che ci si prepara alle elezioni politiche e che Romagnoli ha perso le coperture di Campo dall’ Orto, di Carlo Verdelli e di Francesco Merlo, tutti usciti dalla Rai ormai da tempo. «Speravo, contavo di avere questa prospettiva Mondiale per mettere alla prova tutte le nostre capacità», ha detto Romagnoli in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport, «ed ero fiducioso. Per noi l’ eliminazione della Nazionale italiana di calcio è un danno enorme. Mi sento come chi si apprestava a sedersi a una bella tavola con un sacco di motivazioni e si trova lì con le forchette e i coltelli ma senza il piatto principale». Certo, da un punto di vista editoriale la mancata qualificazione dell’ Italia rappresenta uno smacco: meno interesse per la competizione, meno ascolti televisivi. Ma da un punto di vista strettamente economico-finanziario, per la Rai rappresenterà, invece, un bel guadagno. Viale Mazzini non dovrà, infatti, svenarsi per acquisire i diritti tv (non ancora aggiudicati), con valutazioni che, con l’ Italia qualificata, potevano arrivare a quota 120-150 milioni di euro, in una battaglia con Mediaset. Ora i Mondiali di Russia senza gli Azzurri non valgono più di 50 milioni di euro. Quanto alla raccolta pubblicitaria, come ampiamente dimostrato, queste manifestazioni, soprattutto per reti dagli affollamenti severamente contingentati come quelle Rai, non portano particolari incrementi rispetto a stagioni normali (al massimo 10-20 milioni di euro in più). Senza l’ Italia in gioco, infine, le spedizioni di giornalisti e tecnici Rai a Mosca e dintorni saranno di sicuro più morigerate. Perciò i bilanci della tv pubblica, alla fine, trarranno solo benefici dalla debacle azzurra. Che i vertici di viale Mazzini debbano quindi dire grazie alla Svezia? © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sole 24Ore, sottoscritto il 91,01% dell’ aumento di capitale. L’ aumento di capitale del Sole 24Ore è stato sottoscritto per il 91,01%. Al termine del periodo di offerta sono state sottoscritte, infatti, 47,33 milioni di azioni per un controvalore di 45,49 milioni di euro. Le azioni sono state offerte sulla base di 4 azioni per ogni possedute ad un prezzo di 0,961 euro per azione. Confindustria, in adempimento agli impegni assunti, ha esercitato 7,8 milioni di diritti corrispondenti a 31,2 milioni di azioni per una quota del 60,02% del totale e per un controvalore di 30 milioni. I diritti di opzione non esercitati ammontano a 1,16 milioni per un totale di 4,67 milioni di azioni, pari all’ 8,99% delle azioni con un controvalore di 4,49 milioni. L’ inoptato sarà offerto in Borsa dal 21 al 27 novembre salvo chiusura anticipata. Agcom, tavolo tecnico per contrastare la disinformazione online. L’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha istituito il «Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’ informazione sulle piattaforme digitali» che ha l’ obiettivo di promuovere l’ autoregolamentazione delle piattaforme e lo scambio di buone prassi per l’ individuazione ed il contrasto dei fenomeni di disinformazione online frutto di strategie mirate. Viacom, ok il terzo trimestre grazie a cinema e tv. Il gruppo Usa dei media Viacom ha annunciato un buon terzo trimestre, grazie ai risultati del cinema (Paramount) e della tv. Gli utili netti salgono da 254 a 674 milioni di dollari (da 215,8 a 572,5 milioni di euro) e i ricavi avanzano del 2,9% a 3,319 miliardi di dollari (2,8 miliardi di euro). Di Rosa direttore della Nuova Sardegna. A partire dal 1° dicembre Antonio di Rosa sarà il direttore della Nuova Sardegna. Prende il posto di Andrea Filippi che torna in Finegil, la società dei quotidiani locali del Gruppo Gedi che ha ceduto in affitto la testata alla DBInformation di Gianni Vallardi e Roberto Briglia. Di Rosa lascia la vicepresidenza di La Presse e in precedenza è stato direttore della stessa agenzia di stampa e del Secolo XIX, oltre che vicedirettore della Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera. Cozzi alla guida di Auto. Conti Editore (Gruppo Amodei) ha nominato Paolo Matteo Cozzi nuovo direttore di Auto al posto di Alberto Sabbatini. Al suo fianco, in qualità di vicedirettore, è stato chiamato Pasquale Di Santillo. Cozzi, milanese, 44 anni, ha esordito al Giorno, per poi specializzarsi in auto, costume e attualità scrivendo sulle pagine di Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, Repubblica e realizzando reportage, coordinando allegati, supplementi monografici e speciali per i periodici di Condé Nast e Mondadori. Il primo numero firmato dal neodirettore sarà in edicola il prossimo 15 dicembre. Torna Camorriste. Da oggi alle 22.55 su Crime+Investigation (canale 118 di Sky) va in onda la seconda stagione di Cammoriste, la serie che racconta la vita delle donne che hanno fatto parte della camorra con ruoli di primo piano. Girata a Napoli e nei paesi della provincia che sono stati teatro delle vicende raccontate, la serie è co-prodotta da A+E Networks Italy, DocLab e Mediamediterranea con la partecipazione di Autentic Germania. La regia è firmata da Paolo Colangeli, mentre il produttore è Marco Visalberghi. Sky, per Gomorra-La Serie al cinema 56 mila spettatori in due giorni. Trentamila spettatori il primo giorno, altri 26 mila l’ altroieri e un box office totale di oltre 500 mila euro. Chiude con oltre 56 mila presenze l’ evento cinematografico di Gomorra – La Serie, che ha portato per due giorni in sala i primi episodi della terza stagione della serie originale Sky prodotta da Cattleya e in onda su Sky Atlantic Hd e disponibile su Sky On demand a partire da oggi in prima serata.

New York Times, un giorno uscirà solo la domenica

Italia Oggi

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Un giorno il New York Times uscirà in edicola solo la domenica: è l’ anticipazione del suo a.d. Mark Thompson che non azzarda da quando la carta cederà il passo al digitale, se nel 2025 o nel 2030, pur continuando a far lavorare le rotative delle stamperie. Ma Thompson ha suggerito ai giornali, ieri durante un’ intervista al sito Niemanlab.org, di prepararsi a «quando l’ editoria cartacea renderà sempre meno». E sui big della rete come Facebook e Google l’ ex a.d. della Bbc ha dichiarato che assomigliano alle «compagnie telefoniche» che svolgono un servizio di «pubblica utilità» e che pertanto, «presto o tardi» attireranno su di loro le attenzioni dei «politici» per una maggiore «regolamentazione».

Antonio Di Rosa direttore della ‘Nuova Sardegna’

Prima Comunicazione

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La notizia di un possibile cambio di direttore alla ‘Nuova Sardegna girava da tempo negli ambienti giornalistici dell’ isola. Oggi viene ufficializzata la nomina di Antonio Di Rosa, a partire dal 1° dicembre, al posto di Andrea Filippi che torna all’ interno della Finegil, la struttura dei quotidiani locali del Gruppo Gedi che circa un anno fa aveva dato in affitto la testata alla DBInformation di Gianni Vallardi e Roberto Briglia. Antonio Di Rosa è un giornalista di grande esperienza e professionalità. Lascia la vice presidenza de La Presse, incarico assunto nel febbraio del 2017 dopo averne retto per anni la direzione giornalistica. Ma è soprattutto nei quotidiani che Di Rosa ha sviluppato la sua lunga storia giornalistica a partire dalla ‘Gazzetta del Popolo’ di Torino nel 1984, per passare poi alla ‘Stampa’, e ancora nel ’96 alla vice direzione del ‘Corriere della Sera’ con Paolo Mieli. Nel 2000 l’ avventura genovese alla direzione del ‘Secolo XIX’ per quattro anni, cui segue l’ esperienza alla vice direzione della ‘Gazzetta dello Sport’ di cui alla fine del mandato diventa editorialista. Insomma una vita nella carta stampata estesa al digitale, oggi alla base delle agenzie di stampa. Un mix perfetto per le ambizioni degli editori di DBInformation in Sardegna.

Ha il nome proprio di Scalfari, il fondatore di Repubblica:

La Repubblica

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Bodoniano disegnato per la titolazione Lineare per Cultura, Sport e Spettacoli Il carattere usato per comporre i testi Si chiama Eugenio ed è un carattere tipografico disegnato appositamente per il nostro giornale. Tra cinque giorni Eugenio sarà protagonista della nuova Repubblica. Il nome non è solo un omaggio al fondatore Eugenio Scalfari ma è molto di più: è il progetto di un cambiamento che guarda alle origini, al quotidiano che a partire dal 14 gennaio del 1976 arrivò in edicola rivoluzionando il modo di fare giornalismo. Fu subito evidente che Repubblica non era come gli altri. Tutto era diverso, a partire dalla grafica, che usava il carattere Bodoni. Il Bodoni è un tondo caratterizzato da grazie sottili al posto dei bastoni utilizzati dagli altri quotidiani. Il nuovo progetto grafico pensato da Angelo Rinaldi e Francesco Franchi parte da lì, da quei caratteri originari, per rilanciarli in modo innovativo e reinterpretarli in maniera contemporanea. «Potevamo affidarci a un carattere già esistente, abbiamo preferito invece commissionarne uno ad hoc. Lo studio a cui ci siamo rivolti è lo stesso che ha disegnato il font del Guardian », spiega Franchi. Si tratta dello studio Commercial Type, con sedi a New York e Londra, fondato da Paul Barnes e Christian Schwartz, grafici specializzati nel disegno tipografico, un ruolo che gli anglosassoni definiscono type design. Tra i loro clienti internazionali, oltre al Guardian, ci sono testate come il New York Times, Vanity Fair e il Wall Street Journal. «L’ idea è stata quella di partire dal carattere della tradizione tipografica italiana, il Bodoni, per pensare qualcosa di nuovo», dice Rinaldi. Il Bodoni è infatti il carattere per eccellenza e prende il nome dal suo creatore, il tipografo ed editore Giambattista Bodoni, che nel XVIII secolo dirigeva a Parma la Stamperia reale. Il font Eugenio scelto da Repubblica per la sua nuova veste grafica si ispira al Bodoni già di per sé nitido, per via dell’ alto contrasto tra le linee spesse e sottili, per renderlo ancora più leggibile attraverso tre caratteri: c’ è l’ elegante e classico serif con “grazie”, usato per la prima parte delle news, c’ è il sans senza “grazie” della sezione Cultura e Spettacoli, pulito e lineare, che serve a segnalare anche visivamente un cambio di ritmo introducendoci ad una lettura più rilassata. E infine c’ è il text, che come dice il nome stesso riguarda i testi, gli articoli, e che è stato pensato per la stampa dei quotidiani, ottimizzato per le rotative. Il risultato finale? Un giornale elegante, più chiaro, più leggibile. Un giornale pensato per i lettori. Ancora una volta Repubblica sfida i tempi, per essere all’ avanguardia. Oggi siamo alla viglia di un’ altra grande svolta: una rivoluzione editoriale che lancia il giornale in una nuova avventura.

Il Sole archivia l’ aumento Adesioni al 91%

La Repubblica

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MILANO. Si è chiuso ieri l’ aumento di capitale da 50 milioni promosso da Il Sole24 Ore, che ha raccolto adesioni pari al 91,01% corrispondenti a un controvalore di 45,49 milioni. Il primo azionista del quotidiano, ovvero la Confindustria, ha tenuto fede agli impegni esercitando 7,8 milioni di diritti di opzione, pari a 31,1 milioni di azioni (il 60,02% del totale), per un controvalore complessivo di 30 milioni di euro. I diritti di opzione non esercitati saranno ora offerti nuovamente sul mercato. Ad ogni modo l’ aumento è assistito dalla garanzia di un consorzio composto da Banca Imi e Banca Akros, che si sono impegnate a sottoscrivere le azioni eventualmente rimaste inoptate al termine dell’ offerta in Borsa, per un ammontare massimo pari a circa 20 milioni. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rassegna Stampa del 18/11/2017

Indice Articoli

GLI UNTORI DEL WEB

La comunicazione online diventa unidirezionale

I MARTIRI DELLA RAI

Comcast, Verizon e Disney in corsa per 21st Century Fox

Cassazione: non basta un blog per verificare notizia

Gli editori guardano ad Amazon Crescono gli accordi per canali televisivi, film e serie tv

Per Studio e Undici ricavi a quota 1 mln

Tutti vogliono 21st Century Fox

GLI 88 ANNI DI GIUSEPPE GALASSO

“Mio padre Enzo, un grande timido che sapeva far parlare i potenti”

GLI UNTORI DEL WEB

Il Foglio

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Questa è una storia di guasti moderni e di tecnologie avanzate che in sé ha poco o nulla di nuovo e di avanzato. Una storia di untori del web che agiscono con metodi medievali, forti di un concetto tolemaico di democrazia e della sua verità decotta (o appena impastata) al centro di un universo che, pensate un po’, dovrebbe brillare di luce riflessa. E’ una storia che inizia nel 1992 quando si diffonde per la prima volta il termine post -verità (dall’ inglese post -truth) per stigmatizzare l’ infor mazione distorta sulla Guerra del Golfo. Ventiquattro anni dopo, quando il web ne avrà ridisegnato i connotati, l’ Oxford Dictionary lo eleggerà parola dell’ anno. E l’ Accademia della Crusca parlerà di una dimensione “oltre la verità”: “Oltre è il significato che qui sembra assumere il prefisso ‘post’ (invece del consueto ‘dopo’), si tratta cioè di un ‘dopo la verità’ che non ha niente a che fare con la cronologia, ma che sottolinea il superamento della verità fino al punto di determinarne la perdita di importanza”. La lodevole leggiadria dei linguisti poco c’ entra con gli attori di questa storia per i quali la crusca è solo un antico rimedio contro la stipsi, però serve a introdurre un evocativo sintomo profetico nel gioco delle parole: post -verità ovvero verità dei post. Altro elemento fondamentale della nostra storia è lo slogan “uno vale uno” e anche questo arriva dal passato. Esattamente dal Movimento del 1968 quando la sfiducia nelle autorità costituite si sostanziava in quell'”uno vale uno” che in realtà pestava sotto i tacchi il talento del singolo nel nome di un’ uguaglianza ipocrita. Oggi il Movimento 5 stelle ha rimpastato tutti questi ingredienti e ne ha fatto un totem intorno al quale si celebra un rito crudele e spietato, quello delle fake news. Il gioco è stato smascherato lo scorso anno dal sito americano BuzzFeed e da alcuni debunker italiani, individui che conducono una vera campagna anti -contraffazione delle notizie guidati da un solo comandamento in forma di domanda: perché se uno vende una borsa di Hermès falsa può essere denunciato e se invece spaccia bufale per notizie se la può passare liscia? Secondo gli analisti di BuzzFeed il Movimento 5 stelle “è leader nel diffondere false notizie”. La macchina della propaganda ideata da Gianroberto Casaleggio e portata avanti oggi dal figlio Davide è complessa in quanto, si legge sul sito americano, “include non solo i blog del partito e i profili social ufficiali che hanno milioni di seguaci, ma anche una serie di siti redditizi che si descrivono come fonti di ‘notizie indipendenti’, ma in realtà sono controllate dalla direzione del partito”. Tra questi “La Fucina” (definito “un sito di salute che riporta post su cure miracolose alimentando anche cospirazioni anti vaccini”), “TzeTze” e “La Cosa”. Nella costruzione della loro democrazia tolemaica Grillo e Casaleggio hanno saputo sfruttare l’ errore più stupido che una persona intelligente possa compiere: presumere che una verità acclarata possa sconfiggere una bugia furba e rassicurante. E in questo sono stati dei precursori, puntando sul fallimento del debunking prima ancora che gli esperti di factcheckingdel Washington Post ci spiegassero che, al giorno d’ oggi, la verità o la falsità palese sono del tutto inin fluenti in termini di successo politico e che spesso a spararle davvero grosse, blandendo le peggiori emozioni, si vince alla grande. Insomma i fatti non esistono più nella strategia politica d’ assalto di un movimento politico nato a immagine e somiglianza di uno che dice che la mafia non uccideva i bambini sin quando non sono intervenuti i poteri forti della finanza, che crede alle palle di plastica che puliscono i vestiti, alle scie chimiche, all’ invenzione dell’ Aids, al finto sbarco sulla Luna, all’ inutilità delle mammografie per la prevenzione del cancro al seno, al complotto dei frigoriferi romani. Ma nell’ epoca degli untori del web contano davvero questi benedetti fatti? Purtroppo no, secondo il settimanale New Scientist che si è occupato del fenomeno ed è arrivato alla conclusione che, in questi anni di silicio e algoritmi, di clic e claque, di rumori di sottofondo che pretendono di farsi concerto, i fatti influenzano le nostre opinioni meno di quanto si pensi. E la conferma più semplice da riscuotere sta nel fatto che i movimenti populisti crescono in tutta Europa. L’ èra della post -verità ha uno strano effetto sui comici: se non fondano partiti, partoriscono correnti di pensiero. L’ umorista statunitense Stephen Colbert ha trovato la parola che inquadra magicamente il periodo che stiamo vivendo: truthiness, in italiano veritezza. Cioè l’ anelito per una realtà che sembra vera e/o giusta, ma che non è basata sui fatti: coinvolge selettivamente solo chi vuol credere ai propri preconcetti. Non è roba da ridere, assodato che i fatti sono un bene comune e che nel mondo reale, sino all’ altroieri, il ragionamento correva su una corsia opposta e contraria: si cercavano fatti che potessero scalfire o confermare quel che supponiamo di sapere. Morti i fatti, serve un altro bene comune su cui investire. Qualcosa di eterno, atavico e soprattutto gestibile. In “Supernova” l’ atto di accusa di Nicola Biondo, ex capo dell’ ufficio comunicazione del Movimento 5 stelle alla Camera, e Marco Canestrari, ex informatico presso la Casaleggio Associati, c’ è uno spunto che ci collega a scenari internazionali. “La tecnologia non è neutra: soprattutto i social network sono progettati per suscitare e raccogliere le reazioni spontanee e istintive degli utenti, non quelle più ragionate – scrivono Biondo e Canestrari – e ogni reazione ne alimenta altre, ogni provocazione suscita indignazione più facilmente che ispirare fiducia e positività. E’ un mercato in cui la ‘banca centrale’, governata da Davide (Casaleggio, ndr) attraverso le sue società, associazioni, prodotti editoriali più o meno chiaramente collegati a Grillo, stampa (…) il denaro della frustrazione e della rabbia per raccogliere i frutti elettorali attraverso lo sportello del consenso che è il Movimento 5 stelle”. La rabbia. Investire sulla rabbia. In un articolo sul Guardian lo scrittore Pankaj Mishra ha raccontato, come dalla xenofobia in Europa all’ ele zione di Duterte nelle Filippine, dalla Brexit a Trump, gli eventi degli ul timi anni siano incomprensibili per l’ occidente razionalista e liberale. E ha spiegato come in realtà sia il nostro modo di interpretare il mondo che non funziona più. La tentazione è quella di continuare a spiegare la crisi della democrazia – perché di questo si tratta – usan do dualismi rassicuranti come liberalismo e autoritarismo, islamismo e cristianesimo, impresentabili e santissimi sputtanatori, grillismo e tradizionalismo. “Ma – suggerisce Mishra – forse sarebbe più utile pensare alla democrazia come a una condizione emotiva e sociale particolarmente fragile che, aggravata dal turbocapitalismo, è diventata instabile”. Le cose cambiano mentre accadono, oggi molto più velocemente. Quando ci lasciamo incantare da un presentatore tv che urla e annichilisce un navigato politico, magari esperto nella politica -spettacolo, non dobbiamo dimenticare mai che un astioso troll di Twitter è diventato l’ uomo più potente del mondo calpestando fatti, verità e buona creanza. Il duo Grillo-Casaleggio, a differenza del mondo politico tradizionale arenato su un sistema che dalle “con vergenze parallele” di Aldo Moro (o di Eugenio Scalfari, l’ origine è tuttora tema di dibattito, pensate un po’) sta ancora cercando un contrappasso col “ciaone” di Matteo Renzi, ha messo in atto una strategia tragicamente geniale. L’ avversione e il desiderio sono facce della stessa medaglia: sia che moriamo dalla voglia di qualcosa, sia che la detestiamo sempre di ossessione si tratta. Un’ ossessione che tradotta in merchandising editoriale significa dare alla gente quel che la gente si aspetta, un po’ perché lo teme un po’ perché le piace temerlo. E la seconda è l’ ipotesi più fruttuosa. Gli inglesi parlano di echo -chambers, “camere dell’ eco”, zone franche del web (soprattutto dei social) dove la verità dei fatti è talmente temuta da non esistere nemmeno, tant’ è vero che ogni utente ha selezionato e quindi riceve solo le notizie e i commenti coi quali concorda a priori. E’ grazie a questa consapevolezza che Beppe Grillo si può permettere di rispondere a quelli di BuzzFeed ammonendoli dal diffondere notizie false ed esortandoli “a fare un articolo sulla libertà di stampa in Italia visto che il nostro Paese è al 77° posto nella classifica di Reporter senza Frontiere ed è considerato parzialmente libero”. Grillo sa di rispondere con una bufala a chi lo accusa di spacciare bufale, ma se ne frega perché le “camere dell’ eco” dei suoi elettori sono inso norizzate all’ urlo della verità. Basterebbe aver letto il rapporto di RsF, e non citarlo per sentito dire, per sapere che la causa della nostra arretratezza non è la stampa serva e asservita (veritah!, vergognah!, onestah!), ma sono le minacce e le violenze alle quali sono sottoposti i giornalisti italiani. E basterebbe aver letto l’ aggior namento del 2017 che ci vede promossi (poca cosa, ma ogni mollica a poco a poco fa pane) dal 77° al 52° posto per accorgersi che lo stesso Reporter senza Frontiere addita come minaccia alla libertà di stampa, proprio nell’ è ra delle fake news, personaggi come Donald Trump e Recep Tayyip Erdogan, ma anche i movimenti anti -sistema, come il britannico Ukip e, guarda un po’, il Movimento 5 stelle in Italia. Negli spettacoli di Beppe Grillo, e per incanto nelle dichiarazioni dei suoi adepti, torna spesso il mantra “queste cose non ve le dice nessuno” declinato in forme più perentorie (“vi nascondono la verità”) o maliziosamente interrogative (“perché i giornali non ne parlano?”). I siti della galassia Casaleggio campano di rivelazioni presunte, di verità alternative che promettono sorprese a sazietà perché in fondo – è il sottotesto – tutto ciò che sappiamo è falso. E qui la sfiducia sempre più diffusa nei confronti dell’ informazione ufficiale e della comunicazione istituzionale rende il gioco più facile. Se nessuno ne parla, sarà sicuramente vero. I vaccini che provocano l’ autismo? La prova è nel silenzio dei grandi scienziati. I 35 euro al giorno per i migranti? La politica ha paura di confessare. Le scie chimiche? Esistono perché i giornali non ne scrivono. Un tempo per avvelenare il dibattito politico e farlo deragliare nel caos di tesi urlate senza ragione si usava lo straw man argument, un metodo che consiste nel confutare un argomento proponendone una rappresentazione errata o distorta. Esempio. Io dico: “Mi piacciono i papaveri”. L’ interlocutore ribatte: “Dai papaveri si estrae l’ oppio quindi sei a favore delle droghe pesanti”. Oggi non c’ è più bisogno neanche dello sforzo dialettico dello straw man argument giacché basta invocare una presunta censura (“queste cose non ve le dice nessuno”) e il gioco delle tre carte è fatto. L’ invenzione di un complotto è il modo migliore per riverniciare una minchiata e rivenderla al prezzo di una verità scomoda. Come tutti gli untori, anche quelli del web hanno a che fare col tempo di incubazione e di diffusione del virus, in questo caso quello della panzana. Il romano Filippo Menczer, professore di Informatica e Computer Science all’ Università dell’ Indiana, negli Stati Uniti, a capo di un gruppo di lavoro che si occupa di social media e informazione, ha calcolato il tempo che passa tra la diffusione di una bufala e quella di un articolo che cerca di disinnescarla raccontando la verità: tredici ore. Un tempo infinito nel moltiplicarsi dei clic su siti e social network che, con la complicità dell’ algoritmo di Facebook, amplifica a tal punto l’ effetto delle fake news da rendere inefficace ogni rimedio. Pensate cosa sarebbe successo alle vecchie leggende metropolitane – dai rapimenti da parte degli alieni ai coccodrilli nelle fogne di New York – se si fossero diffuse in tempi recenti. Anziché vivere di rimbalzo nel passaparola sarebbero entrate nella to do list di qualche influencer o comunque avrebbero lasciato un segno nei prodotti editoriali costruiti per raccontarvi “quello che nessuno vi dice”. E non crediate che siano fesserie, poiché con quest’ andazzo le fesserie sono una cosa seria. Il filosofo statunitense Harry Frankfurt ha scritto un saggio sulle stronzate (On Bullshit) nel 1986, in tempi tecnologicamente non sospetti partendo da una considerazione: “Solo perché una cosa è una stronzata, non è detto che non sia stata accuratamente pensata”. E profeticamente ha avvertito: “Gli artisti della stronzata sono una minaccia molto più seria rispetto ai fanatici, perché sono più adattabili”. La storia, questa storia, ce lo dimostra.

La comunicazione online diventa unidirezionale

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“Tutto il mondo online () si sta trasformando in un immenso supermercato nel quale la comunicazione occupa un posto centrale” (da “Il crepuscolo dei media” di Vittorio Meloni – Laterza, 2017 – pagg. 110-111) Una delle peculiarità fondamentali della Rete e della comunicazione online, è – o dovrebbe essere – l’ interattività. Cioè la possibilità di interagire direttamente, in tempo reale; di scambiarsi notizie, commenti, opinioni con uno o più interlocutori. E questo vale anche per l’ informazione più o meno professionale, spontanea o diffusa come quella del cosiddetto citizen journalism. Sembra fare eccezione, invece, la comunicazione commerciale. Le grandi aziende, a cominciare dai fornitori dei servizi principali (energia, telefonia, televisione) comunicano a senso unico: ti scrivono o ti cercano a tutte le ore del giorno e della notte per proporre le loro “offerte speciali” o sollecitare il pagamento di una bolletta scaduta, ma poi il povero cliente consumatore – quando ne ha bisogno – non riesce più a interloquire con i loro operatori. Al massimo, se va bene, raggiunge faticosamente una segreteria telefonica, un “risponditore automatico”, che ti indica di digitare questo o quel tasto, e tanti saluti. Dobbiamo cercare, prenotare, acquistare online un biglietto aereo o ferroviario, senza poter chiedere una spiegazione, un chiarimento o magari un consiglio a nessuno. Dobbiamo litigare con la voce metallica di un messaggio pre-registrato per segnalare un guasto o un disservizio nella fornitura di luce, acqua o gas, affidandoci al buon cuore di questa o quella azienda, pubblica o privata. Rischiamo di dover pagare due volte un bollettino postale che è arrivato in ritardo o non è arrivato affatto, salvo chiedere un rimborso a futura memoria. Per non parlare dei “call center” che rispondono dalla Romania, da Malta o da chissà dove, in modo spesso generico e approssimativo. Siamo arrivati al punto che una pay-tv tecnologicamente avanzata come Sky, quando c’ è una perturbazione o anche solo un temporale che interferisce con le trasmissioni via satellite, liquida l’ utente trasmettendo sul teleschermo l’ indisponente avviso: “In caso di maltempo attendi un miglioramento del meteo”. Primo, perché mi dai del “tu”? Secondo, e se una volta chiedessimo noi un miglioramento delle nostre condizioni economiche per pagare l’ abbonamento? È sintomatico che a praticare la “comunicazione unidirezionale” siano per lo più proprio le aziende di telecomunicazione. Prima o poi, dovremmo ribellarci a questa nuova forma di “dittatura mediatica”, di cui siamo sudditi e vittime. Sarà che loro risparmiano sul costo del lavoro, ma noi utenti non ne ricaviamo alcun beneficio. E intanto, la disoccupazione aumenta Non sarebbe lecito perciò auspicare interventi più tempestivi ed efficaci in questo campo da parte delle Autorità preposte alla tutela dei diritti dei consumatori? Abbiamo già visto quanto tempo hanno impiegato rispettivamente l’ Authority sulle comunicazioni e l’ Antitrust a contestare l’ abuso delle “bollette corte”, cioè della fatturazione a 28 giorni. E ora, finalmente, è arrivato l’ ultimatum del governo contro gli operatori media e telefonici. Forse si potrebbe anche concordare un armistizio: se tu non mi rispondi, io non ti rispondo e ovviamente non pago. Ma sarebbe una ritorsione o una rappresaglia senza conseguenze pratiche. Meglio, allora, assumere qualche operatore e operatrice in più per la customer care, ovvero per il Servizio Clienti, dando un lavoro stabile ai giovani precari che ne hanno bisogno e che funzionano meglio di una qualche segreteria automatica.

I MARTIRI DELLA RAI

Il Foglio

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C’ è insomma questo curioso gioco delle parti. Il puro e dolente cinema italiano si scopre pieno di piccoli Weinstein mentre la Rai si trasforma in una fabbrica di martiri, personaggi scomodi, spiriti liberi. “E’ più difficile rimanere in Rai che andare via”, diceva Fazio quest’ estate, nel turbinio della famigerata trattativa. “Dopo ogni puntata dovevo staccare il cellulare”, racconta oggi Giletti, “per ché venivo assalito dalle telefonate dei dirigenti”. “Tornare a ‘Report’ sa rebbe mortificante per la trasmissione”, scrive Milena Gabanelli nella lettera di dimissioni da Viale Mazzini. Tutti contro la Rai. Una Rai bloccata, oppressa, vilipesa dalla politica, abbandonata persino dalla Nazionale di Ventura che si sgancia dai Mondiali spingendo molti spettatori a passare la prossima estate con Sky. Una Rai che è il miglior viatico alla carriera dentro e fuori la Rai. “Dentro”, come insegna il caso Fazio. “Dentro” e “fuo ri” come dimostra la nuova “Arena” di Giletti su La7. Format identici, spostati da una rete all’ altra, con risultati opposti ma speculari. Giletti ha avuto almeno l’ accortezza di mettere un bel, “Non è”, davanti al titolo, trascinan dosi l’ eco del clima insostenibile di Viale Mazzini, degli editti bulgari e di “Non è la Rai” di Boncompagni. Fino all’ ultimo abbiamo sperato in un programma con cento ragazze in costume da bagno che fanno i quiz sui vitalizi, invece niente. Resta solo il richiamo polemico. “Non è L’ Arena perché anche io non sono più lo stesso dopo la tempesta umana e professionale che ho attraversato”. Tutto nasce dalla proposta indecente di metterlo a tacere con un varietà. Non so se vi rendete conto della gravità della cosa, ma Giletti sì. “Fac cio giornalismo, non varietà”; “mio padre mi ha insegnato a non perdere la dignità: con un varietà avrei tradito 4 milioni di telespettatori”; “quando mi hanno proposto il varietà, non ho potuto fare altro che sbattere la porta e andare via”. Il varietà – da sempre arma di distrazione di massa della casta – diventa qui il segno indubitabile del potere più repressivo che esista, quello dello spettacolo. Il varietà come silenziatore. Il varietà come bavaglio. L’ oppio del varietà. Saperlo fare, il varietà, ma vabbe’. Pasolini ci ha spiegato un milione di volte che “la televisione è fascista e autoritaria come nessun mezzo di informazione al mondo”, ma Giletti ci ricorda che non tutti finiscono come dei piccoli Eichmann a eseguire gli ordini di un sistema che ci vuole prigionieri di “Ta le e quale show”. Con il passaggio a La7, “L’ Arena” termina quel lento, inesorabile processo di erosione interna di “Domenica In” iniziato vari anni fa. Un progressivo sganciamento della trasmissione dalle grinfie del varietà pomeridiano che finalmente rivela a tutti ciò che “L’ Arena” è sempre stato sin dagli esordi: un programma contro tutte le caste dei privilegi.”L’ Arena era scomoda perché faceva opinione”, spiega Giletti. Spostarlo di rete e di fascia oraria, trasferendolo dall’ ora di pranzo alla sera e mandandolo in onda contro Fazio, diventa così la rappresentazione plastica del conflitto tra il palazzo e la piazza. L’ uomo dallo stipendio d’ oro contro il fustigatore dei vitalizi. Il detentore dei privilegi e il giornalista vicino alla gente, quello che “dà fastidio”. Intanto, domenica scorsa la sfida Fazio-Giletti ci ha regalato una prima, significativa prova di grillismo a reti unificate. Mentre Fazio intervi stava Di Maio su RaiUno, Giletti snocciolava le cifre dei vitalizi su La7. Di Maio diceva “Dottor Fazio”, con una splendida, misuratissima pacatezza campana da Prima Repubblica. Spiegava il principio “uno vale uno”, diceva che il voto a M5s è un “voto contro i privilegi”, che vuole “far nascere il Facebook italiano”, che è andato all’ estero a incontrare “i suoi alter ego”. Parlava di “internet delle cose” con la stessa disinvoltura con cui Zuckerberg spiegherebbe la parmigiana di melanzane. Il tappeto soffuso di Fazio, la sua zona lounge, diventava così il palcoscenico ideale per esaltare il grillismo soft, quello che resta in Europa e sull’ euro vedremo, quello che fa “ripartire le aziende”, quello che ha il volto democristiano dell’ onore vole Di Maio, sereno e impassibile come i pesci rossi nell’ acquario di Fazio. “Che tempo che fa” si trasforma in un possibile terreno d’ incontro tra le professoresse democratiche, i devoti di San Gennaro e il grillismo “di centro” targato Di Maio. Scatta anche il paragone col giovane Andreotti, seppur filtrato da una citazione di Bruno Vespa. Sarebbe più calzante De Mita, ma Fazio non osa. Le elezioni sono vicine. Non si sa mai. L’ epoca del fact checking è ormai un ricordo lontano. Nel frattempo, su La7, si consumava un regolamento di conti in puro stile noir. Luci soffuse. Un’ ombra che cammina avvolta nell’ oscurità. L’ oc chio di bue che lo illumina nel buio dello studio. “Quando uno entra in una tempesta, non sa neanche se riesce a uscire vivo da quella tempesta, spera solo di attraversarla”. Siamo dalle parti dei grandi incipit del cinema noir, à la “Double Indemnity” di Billy Wilder (“L’ ho ucciso per denaro e per una donna, ma non ho preso il denaro e ho perso la donna… bell’ af fare”). Giletti guarda negli occhi il suo spettatore e spiega la proposta del varietà, la volontà di “chiudere per sempre l’ Arena”, impreziosendo il racconto con dettagli precisi, come quel “settimo piano di Viale Mazzini” che evoca subito il Mega -Direttore -Galattico di Fantozzi con l’ acquario di Fazio e gli epurati che nuotano dentro. Spiega come e perché se n’ è andato “sbattendo la porta”. Poi esce e scende le scale (non prende l’ ascensore, usa le scale) e scendendo le scale riavvolge “tutti i momenti, tutto quello che ho vissuto in questi ventisette anni all’ interno dell’ azienda che amavo” e incontra “tutte le persone che voi non conoscete ma che compaiono in quei titoletti di coda alla fine delle trasmissioni”. Poi pensa a quando ragazzo, carico di sogni, saliva le stesse scale che ora (nel suo racconto) stava scendendo. Poi l’ incontro col mentore, Giovanni Minoli. Poi l’ ingresso in Rai e un “grazie all’ azienda che ho amato”, un’ azienda in cui “sono entrato ragazzo e sono uscito uomo, ma non solo uomo… giornalista”, e qui ripete scandendo, “gior-na-li-sta”. Forse “c’ era qualcuno che non l’ aveva capito”. Ora è chiaro a tutti. “In fondo al tunnel c’ è sempre una luce e si arriva in un mondo migliore”. Dissolvenza. Nero. Sarà il nuovo orario serale, sarà la nuova produzione “Freamantle”, di sicuro i monologhi di “Non è l’ Arena” hanno guadagnato un “effetto -cine ma” e una dimensione epica che in Rai non s’ era mai vista. Arriva anche il saluto di Fiorello. “La Rai non ha capito, ti ha lasciato andare così”. Anche Giletti propone un grillismo moderato, presentabile, ragionevole, di lotta e di governo. Ovviamente, il grillismo di Giletti non ha nulla a che fare con l’ appartenenza politica o la dichiarazione di voto, ma con l'”esprit du temps” della nuova “egemonia culturale” (copyright Panebianco), della lotta senza quartiere ai palazzi, alle caste, alle gerarchie, ai privilegi. Da qui l’ insistenza ossessiva sui vitalizi come sineddoche della sopraffazione, degli sprechi, dell’ arroganza della politica. Visti in contemporanea, Di Maio da Fazio e Giletti su La7, tracciano i contorni di un grillismo soft con l’ idea fissa della purezza, ma senza la zavorra impresentabile dei microchip, delle scie chimiche, dei no vax, dell’ olio di palma, del sapone fatto in casa, delle coppette mestruali da scambiarsi tra amiche la domenica al parco per la festa della “decrescita felice”. Però tutta questa roba è anche la vera, profonda linfa vitale del M5s, della sua pesca a strascico di elettori su internet, insomma, della sua “ba se”, come si dice dalle parti della sinistra -sinistra. Questi però sono problemi di Di Maio. Giletti, invece, con la prima puntata di “Non è l’ Arena” ha mostrato di saper capitalizzare al meglio i propri cavalli di battaglia, partendo con un servizio sull’ affaire Tulliani che regalava passaggi da puro cinepanettone, tra latitanze a Dubai, inseguimenti all’ aeroporto, Ferrari a Montecarlo, società offshore e trame oscure legate al “Re delle slot”, Francesco Corallo. Poi i grandi classici. I servizi che si intitolano, “La pensione si allontana ma il vitalizio non si tocca”, “Padre e figlia uniti dal vitalizio”, con le cifre snocciolate sulle sceno grafie. Però Giletti specificava, anzi aveva l’ occasione di chiarire che lui non è contro i vitalizi, ma contro i privilegi. Quando affonda sui politici e il pubblico in studio applaude, lui attenua: “Non fate così che poi mi cacciano anche da qui”. “Lei tra un po’ avrà tre vitalizi”, dice al sindaco di Olbia, Settimo Nizzi, mentre il fornaio Mauro, in collegamento da Comacchio, si alza tutte le mattine alle quattro e non può andare in pensione. E’ giusto? No, non è giusto. Ma qui non si vuole esasperare l’ odio per i politici. Al contrario, Giletti vorrebbe riavvicinare la gente e la casta. La parte finale è tutta per il nostro “spaghetti Weinstein”, guest star Lele Mora, incazzatura femminista di Luisella Costamagna e nuovo, immancabile appuntamento con la saga, “avances e molestie, qual è il confine?” Il caso dei dati Auditel usciti in ritardo è solo l’ ultimo dei tanti regali della Rai. Ma il fatto è che Giletti mostra di conoscere il suo pubblico, traghettandolo da RaiUno a La7. Fazio no. “Che tempo che fa” e “Non è l’ Are na” prolungano in fascia serale il duello tra “Domenica In” e “Domeni ca Live” e come nei due show del lungo pomeriggio domenicale la Rai non riesce a tenere il passo. La narrazione costruita da Giletti è più compatta, espansa, irriverente. Esemplare l’ ospitata di Alessandra Moretti, cui Giletti dava del “lei”, che innescava così il doppio regime discorsivo del talk show e della soap coi retroscena del gossip “Cairo Editore”. Su Facebook, la pagina di “Non è L’ Arena” festeg gia già i diecimila followers.Fazio invece ha perso anche contro “Casa Pound”. Ospite della Annunziata dopo Veltroni, il leader post -neo fascista ha fatto in proporzione più ascolti di Di Maio, ma certo qui si cavalcava ancora l’ onda lunga della capocciata di Ostia. Giletti ha intercettato un consenso politico -giornalistico trasversale, pescando nel sentimento anticasta della linea Fatto Quotidiano Libero -Giornale e intascando gli endorsement di Fiorello e Salvini che tuìtta contro “i manovratori cui Gilet ti dava fastidio che si sono tenuti il Fazio -Flop”. Per fortuna c’ è “Rosy Abate”. Il “Kill Bill” di mafia targato Valsecchi ha annichilito la sfida Fazio-Giletti confermando la passione del paese reale per la fiction sgangherata. Certo, lo share non è tutto. Per quello basterebbe infilare una capocciata ai reporter ogni due, tre puntate e gli ascolti si impennano. Quello che stupisce semmai è la facilità con cui Mediaset riesce a entrare in sintonia con gli italiani che appare speculare a quella con cui la Rai riesce a incasinarsi da sola. Il martirologio di Viale Mazzini mantiene intatta la sua struttura schematica. Fazio ne ha approfittato questa estate, quando “parlava delle intollerabili ingerenze della politica”, quando minacciava di andarsene a La7 o Discovery, quando temeva per la sua famiglia e ha spiegato di non voler più accompagnare i figli a scuola e “guardarmi intorno per vedere se c’ è qualcuno pronto a insultarmi”. Giletti invecene ha approfittato per irrobustire il profilo di un personaggio politicamente sfuggente ma televisivamente compatto e costruirci sopra un “one -man -show” in linea coi tempi che corrono. Vedremo che tipo di eroina diventerà Milena Gabanelli. La Rai fabbrica di paranoie collettive, di martiri e di perseguitati politici è a suo modo un formidabile racconto del paese, col suo carico di complottisti, retroscenisti e fustigatori dei vitalizi. Un paese in cui un ritardo nella pubblicazione dei dati Auditel il giorno dopo la prima sfida Fazio-Giletti fa scattare un esposto del Codacons, perché si tratta di “un episodio grave sul quale deve indagare l’ Autorità per le Comunicazioni”. Così, non smetteremo di stupirci di come in oltre cinquant’ anni di sociologia dei media e saggistica apocalittica, gli intellettuali più raffinati e i pensatori più radicali abbiano speso fiumi di parole, elaborato teorie, proposto modelli di analisi per metterci in guardia dai pericolosi effetti che può avere la televisione su chi la guarda, mai però su chi la fa.

Comcast, Verizon e Disney in corsa per 21st Century Fox

Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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NEW YORK Sembra una vera e propria «danza della morte» quella cominciata attorno all’ impero di Rupert Murdoch e della sua progenie. All’ interesse della rivale Disney per le possibili spoglie di una 21st Century Fox scopertasi improvvisamente vulnerabile e in difficoltà nel tener testa alla concorrenza di nuovi e vecchi media, si sono aggiunte ieri a tambur battente le avance di Verizon e di Comcast, che avrebbe avanzato un’ offerta tutta in titoli. Mentre in agguato, oltre a leggendari tycoon quali John Malone di Liberty che vantano un tradizionale debole per “casa” Murdoch, sarebbero anche colossi d’ avanguardia dell’ hi-tech e del digitale, da Google a Facebook, da Apple, chissà, fino all’ asso pigliatutto Amazon. La corsa dei titoli della 21st Century Fox, saliti fino dell’ 8% al moltiplicarsi dei corteggiatori, dà credito a quella che potrebbe davvero diventare una svolta epocale nei media americani e globali scossi dalla rivoluzione digitale. Murdoch aveva finora sempre difeso a denti strettissimi il cuore del suo regno familiare – tuttora forte di 27,3 miliardi di entrate annuali e di una market cap da 55 miliardi – guidandolo semmai lui a espansioni a colpi di acquisizioni. Soltanto tre anni or sono aveva provato a rilevare Time Warner, deal finito nel nulla che ha poi visto subentrare AT&T come acquirente. Adesso, invece, sono in gioco tante gemme della sua collezione nazionale e internazionale di asset, dopo che la famiglia, a partire dai figli e top executives James e Lachlan, avrebbe acconsentito, al giusto prezzo, a ricevere in eredità un gruppo molto ridimensionato. In vendita sarebbero gli studi di produzione tv e cinematografica. Numerosi canali via cavo televisivi, quali National Geographic e FX. La tv satellitare Sky in Europa e Star in India. Per il clan Murdoch diventerebbe una resa ai nuovi leader dei media che oggi si fanno sotto. Rimarrebbe loro, piuttosto, il separato gruppo dalle radici originali, News Corp, che raccoglie gli asset giornalistici quali il Wall Street Journal. Per i grandi corteggiatori le ragioni dell’ assalto sono altrettanto esplicite: impadronirsi di marchi, contenuti, know how oggi cruciali per la distribuzione su molteplici piattaforme. Un trend che potrebbe intensificare al parossismo un’ ondata di mega merger nei mass media al di là di 21st Century Fox, tale da lasciare sul palcoscenico fra qualche anno, secondo analisti e operatori di mercato e senza interventi di regulators, una manciata ristretta di protagonisti assoluti. Segno di possibili operazioni all’ orizzonte, un’ altra società storica ma in declino, Viacom, ha visto i titoli lievitare nell’ ipotesi diventi a sua volta una attraente preda. Eccoli i nuovi – o potenziali – signori dei media. Verizon è già oggi leader assoluto nella telefonia mobile statunitense, in cerca di espansione dell’ offerta di prodotti in streaming su smartphone dopo essersi da poco rafforzata nel digitale con Aol e Yahoo, raggruppate nella neonata Oath che detiene 50 marchi. Comcast è ormai grande padrone delle reti per canali via cavo e connessioni Internet ad alta velocità. Di più: ha rilevato dal 2011 e integrato NBCUniversal e l’ anno scorso aggiunto Dreamworks Animation. A sua volta è ora impegnata a colmare di crescenti “tesori” di “content” il proprio impero. Una conquista dei prestigiosi asset targati Murdoch la vedrebbe alla pari con Disney per diversificazione nell’ offerta di intrattenimento e spettacolo su scala internazionale. Proprio la presenza estera, assieme alla quota nel servizio di streaming Hulu, rappresenterebbe il 70% dei desiderata di Comcast. Mentre un ritorno alla carica di Disney – se rischierebbe sovrapposizioni e una rottura rispetto a precendenti deal minori di successo quali Marvel, Pixar e Lucas Film – potrebbe far leva su un’ inedita posizione centrale nell’ universo mediatico del nuovo mega-gruppo e consentire risparmi e efficienze. La «somma» delle attività di simili player con gli asset di 21st Century rafforzerebbe anche l’ essenziale sfida per la raccolta pubblicitaria, che oggi cresce anzitutto nel digitale. Da qui, da questa spirale di contenuto e pubblicità, nasce anche l’ attenzione dei nomi hi-tech. Apple è reduce da nuovi investimenti nella produzione di film e spettacoli e i successi dei servizi di streaming di Amazon e Netflix sono tra i motivi del declino strutturale della tv via cavo, un tempo fatte di grandi profitti, a causa del cosiddetto cord-cutting da parte di milioni di abbonati. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Cassazione: non basta un blog per verificare notizia

Italia Oggi

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La verifica di una notizia non può essere compiuta esclusivamente affidandosi a blog e siti internet, ma il cronista deve sempre attivarsi per approfondire la veridicità del fatto. La quinta sezione penale della Cassazione ha confermato la condanna per diffamazione di un giornalista che, in un libro pubblicato nel 2008, aveva parlato di un tentato omicidio, che, però, non era mai avvenuto, ma era stato raccontato su un sito web. La difesa dell’ imputato aveva evidenziato che «la notizia pubblicata era già apparsa su almeno una decina di siti internet, senza mai essere smentita», ma questa tesi non è servita ad annullare la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d’ appello di Trento nei confronti del cronista. «In tema di diffamazione a mezzo stampa», ricorda la Suprema Corte, «ai fini della configurabilità dell’ esimente del diritto di cronaca giudiziaria, il giornalista deve esaminare e controllare attentamente la notizia in modo da superare ogni dubbio, non essendo sufficiente in proposito l’ affidamento in buona fede sulla fonte informativa, soprattutto quando questa sia costituita da un’ altra pubblicazione giornalistica, atteso che, in tal caso, l’ agente si limita a confidare sulla correttezza e professionalità dei colleghi, chiudendosi in un circuito autoreferenziale». Il giornalista, nel caso in esame, aveva sostenuto, ricorda la Cassazione, di «affidarsi normalmente al rilievo empirico dell’ esistenza di una pluralità di fonti» e che «qui “aveva fatto gioco”, la circostanza della pregressa pubblicazione della notizia» sul suddetto sito, e «poi riportata da più siti e blog». Per la Corte, «l’ imputato si accontentò di quel che “aveva fatto gioco” e che, a prescindere da come egli fosse aduso regolarsi, non poteva comunque intendersi sufficiente per fondare un suo ragionevole affidamento sulla rispondenza al vero della notizia».

Gli editori guardano ad Amazon Crescono gli accordi per canali televisivi, film e serie tv

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Prima c’ era il negozietto sotto casa, poi è arrivato il supermarket, quindi il grande centro commerciale. E infine le enormi piattaforme di e-commerce, che in realtà accorpano molto altro. Un po’ la stessa cosa sta capitando per il business dell’ editoria: c’ erano solo le edicole e le librerie, poi le modalità di acquisto dei prodotti sono via via cambiate. E adesso molti gruppi editoriali pensano che una delle soluzioni per sopravvivere sia proprio quella di allearsi alle grandi piattaforme distributive, che hanno bisogno di contenuti. Tipo Amazon. Negli Stati Uniti il colosso Time Inc., ad esempio, ha appena annunciato il lancio della Sports Illustrated tv, un servizio in streaming, al costo di 4,99 dollari al mese, accessibile su Amazon Prime, l’ offerta video di Amazon che veicola già altre 130 tv. Il nuovo canale prende ovviamente spunto da Sports Illustrated, lo storico settimanale (ma la periodicità sta cambiando) di Time Inc. che diffonde circa 2,8 milioni di copie medie, ma i cui conti non sono proprio scintillanti: la casa editrice ha già anticipato che nel 2018 il periodico uscirà solo in 27 numeri (compresa l’ edizione annuale dedicata all’ abbigliamento da spiaggia e nuoto), rispetto alle 38 uscite del 2017. Per Sports Illustrated tv sono già pronte 130 ore di documentari, show in studio, film dedicati allo sport, programmi di moda mare, mentre non proporrà nessun evento live, che è invece il pane degli appassionati di sport. Proprio per questo c’ è, tra gli analisti, qualche dubbio circa il potenziale di un canale del genere, tenuto conto che negli Usa esistono già oltre 204 offerte video in solo streaming a pagamento (erano 105 nel 2014), di cui parecchie già a tema sport. Va tuttavia detto che Time Inc. ha già una esperienza di successo nel campo dello streaming: dal 2016 ha infatti lanciato People Tv, ovviamente ispirata al popolare magazine People. Più in generale, comunque, Time Inc. sta provando una serie di strade alternative per compensare il calo dei ricavi dalla carta stampata, scesi del 9% nell’ ultimo trimestre. Grazie a questa strategia, nel 2017 i ricavi non-magazine di Time Inc. saliranno a circa un miliardo di dollari, di cui 700 milioni dalla pubblicità digitale, dal licensing di contenuti e dagli abbonamenti digitali, e 300 milioni di dollari dalle brand extension e dalla tv. Come si diceva all’ inizio, piattaforme tipo Amazon sono alla caccia di contenuti. E non è un caso che gli Amazon Studios, guidati da Sharon Tal Yguado, abbiano appena firmato un accordo con Talkien estate and trust, HarperCollins e New Line per iniziare a girare una nuova serie tv dedicata ai personaggi e alle storie del Signore degli anelli, un brand che al cinema, con le sue uscite, ha incassato circa 6 miliardi di dollari. Il rapporto degli editori tradizionali con queste nuove piattaforme distributive è, ovviamente, di amore e odio. Lo stesso Rupert Murdoch, in una recente convention di News Corp a Los Angeles, ha infatti ammesso che il suo gruppo non intende acquisire nuovi quotidiani cartacei, che i tre grandi successi sono testate nazionali come il Wsj, il Times di Londra e i giornali in Australia, che quasi tutti gli altri quotidiani combattono duramente per stare in vita, e che i veri nemici si chiamano Google e Facebook, perché «continuano a usare gratis i contenuti di News Corp». © Riproduzione riservata.

Per Studio e Undici ricavi a quota 1 mln

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Non si può fare brutta figura. E, in un certo milieu culturale, bisogna per forza dire di aver letto, almeno una volta, magari qualche anno fa, Rivista Studio e Undici. I due bimestrali, interessanti, intelligenti e innovativi per definizione anche se non li hai mai visti in vita tua, accolgono le firme che contano con pezzi bellissimi e assicurano discrete carriere a collaboratori e fondatori (da Timothy Small, diventato direttore di Esquire Italia, a Giuseppe De Bellis, attuale direttore di GQ Italia). Due anni fa la casa editrice di Studio e Undici, la Studio editoriale srl, è stata acquisita da News 3.0, la società editrice del gruppo di Matteo Arpe che, partendo da Lettera 43, voleva creare un solido polo con attività sia online, sia cartacee con il quotidiano Il Foglio (e poi tentativi di acquisto di altre testate), il settimanale Pagina99, e i due bimestrali Studio e Undici che, uscendo a mesi alternati, assicurano comunque un presidio mensile. Le ambizioni di Arpe si sono poi scontrate con un momento difficile dell’ editoria italiana e con una scarsa attitudine nei rapporti con la politica. Fatto sta che Arpe è stato costretto a uscire completamente dal Foglio, ha chiuso Pagina99 (che per ora resta solo online). E si ritrova sul groppone anche la Studio Editoriale, con tutte le sue perdite. Studio (dedicata ad attualità, cultura, stili di vita) è stata fondata da Federico Sarica (che ne è direttore responsabile) e da Alessandro De Felice (publisher); Undici (dedicata al calcio, ma da un punto di vista dotto) è stata fondata da Giuseppe De Bellis, ed è diretta da Sarica. Entrambi i periodici costano sette euro. La casa editrice dei due bimestrali, Studio Editoriale, ha sede in via Garofalo 31 a Milano, è presieduta da De Felice, mentre Sarica ne è consigliere, insieme con De Bellis e con Paolo Madron (che è anche consigliere di News 3.0). Come anticipato, i conti di Studio Editoriale srl non sono un granché: nell’ esercizio chiuso al 31 dicembre 2016 il patrimonio netto ammontava a soli 34 mila euro, dopo che nel 2015 era andato addirittura in negativo per 96 mila euro. Il valore della produzione sfiora il milione di euro (970 mila euro), ma i costi della produzione volano a 1,25 milioni di euro. Le perdite, perciò, ammontano a 278 mila euro, dopo il rosso di 117 mila euro del 2015 e di 46 mila euro del 2014. La concessionaria di pubblicità, così come indicato sul sito web delle riviste, è ancora la System del Sole-24 Ore. Con la quale, però, News 3.0, che controlla le due riviste, è entrata in conflitto da mesi. © Riproduzione riservata.

Tutti vogliono 21st Century Fox

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Dieci giorni fa si è parlato di un interessamento di Disney alla maggior parte degli asset della 21st Century Fox, il gruppo di Rupert Murdoch che possiede tv e studi cinematografici negli Usa oltre che pay tv in diversi altri paesi, compresa una quota del 39% in Sky. Questa settimana è la volta delle rivelazioni su altri due pretendenti: Comcast e Verizon, ovvero il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti con una capitalizzazione di mercato da 171 miliardi di dollari e l’ operatore di telecomunicazioni che di miliardi ne vale 185. Interesse poi sarebbe stato manifestato anche da Sony, sebbene quest’ ultimo avrebbe avuto soltanto approcci informali. Nessuno dei tre player ha ammesso il proprio interessamento e comunque, come accade in questi casi, il titolo di Fox è schizzato in Borsa a ogni nuova notizia sull’ argomento. Anche nel caso di Comcast, secondo quanto riportato dalla Cnbc che già per prima aveva parlato dei contatti con Disney, gli asset oggetto della trattativa sarebbero gli stessi: la produzione cinematografica e televisiva, il network via cavo e il business internazionale, tra cui la quota del 39% in Sky che ha attività nel Regno Unito e in Germania oltre che in Italia. Attualmente l’ intera 21st Century Fox ha una capitalizzazione di mercato di 56 miliardi di dollari. La famiglia Murdoch sarebbe intenzionata a tenere soltanto la parte broadcasting di Fox, compresi Fox News e Sport. Il motivo di una possibile vendita si fa risalire alle difficoltà a crescere ulteriormente in maniera organica per contrastare la concorrenza degli over the top e contemporaneamente alla mancanza di concorrenti da acquisire alla propria portata. Non sarebbero poi irrilevanti, sempre nella decisione di vendere, le difficoltà nell’ acquisizione del restante 61% del capitale di Sky non ancora posseduto a causa di uno scrutinio più duro di quanto atteso da parte delle autorità inglesi. Durante la presentazione dei dati trimestrali agli analisti la scorsa settimana, però, il presidente esecutivo del gruppo, Lachlan Murdoch, figlio maggiore del magnate dei media, ha rifiutato di rispondere a domande su una possibile vendita, dicendo però che la propria società ha «la scala necessaria per continuare a portare avanti la nostra strategia di crescita aggressiva e contemporaneamente offrire significativi rendimenti in aumento agli azionisti. I player che hanno una dimensione più piccola trovano difficoltà nello sfruttare la propria posizione sulle piattaforme video nuove ed emergenti. Lasciatemi essere molto chiaro: non siamo in quella categoria». Dal canto loro i pretendenti sarebbero ingolositi da due aree molto importanti: la produzione di contenuti, l’ elemento che fa la differenza nell’ attrarre abbonati, e l’ espansione fuori dagli Stati Uniti. Per Disney, che si prepara a lanciare una propria offerta in streaming, significherebbe incrementare ulteriormente il catalogo ed avere uno sbocco nella distribuzione europea. Anche per Comcast, che oltre all’ offerta della banda larga ha anche nel portafoglio la Nbc e gli Universal Studios, vale un discorso simile, visto è in stallo la domanda Usa della pay tv. A Verizon, invece, già proprietario di Aol e Yahoo, servirebbe soprattutto la produzione di video con cui rafforzare l’ offerta mobile. © Riproduzione riservata.

GLI 88 ANNI DI GIUSEPPE GALASSO

La Repubblica (ed. Napoli)

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AURELIO MUSI DOMANI Giuseppe Galasso compie 88 anni. Il professore sarà festeggiato lunedì alla Società Napoletana di Storia Patria (Maschio Angioino, ore 15,30), di cui è presidente onorario. Maurice Aymard, Martin Baumeister, José Enrique Ruiz Doménec, Andrea Giardina, coordinati da Luigi Mascilli Migliorini, interverranno sul tema: “Ragione e passione storica: Giuseppe Galasso e la storiografia europea”. Chi scrive presenterà un’ intervista allo storico napoletano che apparirà sul prossimo numero della “Nuova Rivista Storica” in occasione del centenario della sua fondazione. Proprio questa lunga conversazione con Galasso ha riservato non poche sorprese: non solo e non tanto per le innumerevoli precisazioni e riflessioni sul suo itinerario intellettuale, sui suoi interessi scientifici, sulla sua onnivora curiosità capace di dispiegare attenzione e sensibilità per tutte le forme di conoscenza, sulla sterminata massa di opere da lui prodotte, quanto per tutto quel che si apprende sulla sua biografia umana durante gli anni della guerra e del primo dopoguerra, sulla sua formazione, sulla continuità di un impegno che ha sempre mantenuto, in mirabile equilibrio, cultura e tensione etico- politica. Già quando i suoi allievi festeggiarono i settantacinque anni nella meravigliosa chiesa di San Marcellino a Napoli, si restò colpiti dallo stupefacente dato quantitativo della sua bibliografia: oltre quattromila titoli che avrebbero occupato un ideale volume di 250mila pagine! Ma poi non si è fermato. Ha continuato freneticamente a scrivere. Il maestro, per scaramanzia, ha poi rinviato e rinvia tuttora sine die la pubblicazione della bibliografia, che è andata arricchendosi in misura sbalorditiva. E arricchendosi è andata pure la capacità di ideatore e organizzatore culturale di Galasso. Basti ricordare alcune delle tante iniziative da lui promosse: le Dieci lezioni sulla storia di Napoli, svoltesi con straordinario successo di pubblico all’ Auditorium Rai di Napoli (oltre mille persone ad evento); le Letture delle pagine autobiografiche di Croce, che hanno visto protagonista, al teatro Bellini, Toni Servillo. Da ultimo, la lezione su Il resto di niente di Striano e sul 1799, tenuta sempre al Bellini domenica scorsa: uno spettacolo unico, con la fila di 50 metri al botteghino e il teatro pieno. Insomma, un intellettuale dagli interessi polivalenti, un’ eccellenza della cultura napoletana nel mondo. L’ allontanamento dalla politica attiva dopo il 1993, a differenza delle scelte compiute da altri esponenti della classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica che si sono riconvertiti alla seconda senza traumi nel segno del riciclaggio, non ha impedito a Galasso una presenza costante ed efficace nel dibattito politico anche attraverso le pagine della rivista da lui diretta, “L’ Acropoli”, e la collaborazione a quotidiani. Galasso, attraverso un’ intensa attività pubblicistica che ha caratterizzato l’ intero suo itinerario intellettuale, ha svolto un’ analisi, a volte impietosa, della classe dirigente nazionale e locale, una polemica, sferzante ma costruttiva, verso tutte le forme di meridionalismo revisionista tendenti a negare il dualismo Nord-Sud, dimostrando sempre di avere un solido ancoraggio alla cultura politica democratica. Intelligenza della ricerca storica, prodigiosa capacità di lavoro, curiosità del lettore onnivoro attento a leggere e recensire di tutto; ma anche gioia di vivere, disponibilità, rispetto, attenzione costante verso qualsiasi tipo di interlocutore: sono i lineamenti essenziali del ritratto di Galasso. Affettuosi auguri, professore! ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Mio padre Enzo, un grande timido che sapeva far parlare i potenti”

La Stampa
ALBERTO MATTIOLI
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«I libri di memorie dovrebbero essere pubblicati postumi», diceva Enzo Biagi. Detto fatto: a dieci anni dalla morte, ecco La vita è stare alla finestra (Rizzoli), l’ autobiografia che non ha scritto ma che è stata assemblata con le sue parole, nelle occasioni in cui raccontò la sua vita invece che quelle degli altri. Il Biagi che non t’ aspetti lo racconta la figlia Bice, giornalista pure lei. Perché Biagi è diventato Biagi? «Secondo me, per la chiarezza, la semplicità, sia in tivù che sui giornali. La gente lo trovava affidabile. A tutti i livelli: si fidava di lui il lettore e si fidavano di lui i grandi personaggi. Infatti li ha intervistati tutti». Compresi alcuni dei suoi amici. «Come Fellini, Mastroianni o Pertini, che aveva anche dei trascorsi giornalistici. Si stimavano molto, talvolta litigando. E allora mio padre gli diceva: “Come giornalista, era più bravo Mussolini”. Ci fu anche uno strano rapporto con Tommaso Buscetta: non certo d’ amicizia, ma il personaggio l’ aveva colpito. Ricordo una colazione a casa dei miei, c’ erano Buscetta, sua moglie e il figlio di cui non ci dissero mai il nome, per sicurezza. Lo chiamavano sempre e solo Junior. Poi c’ erano gli intervistati che lo colpivano negativamente. Una volta fece parlare un serial killer, poi raccontò: non ce l’ ho fatta a stringergli la mano». Uno dei capitoli più divertenti racconta il trasloco della famiglia Biagi da Bologna a Milano nel 1951. Sembra «La scoperta di Milano» di Guareschi… «Un altro dei suoi amici. Senza far torto a Bologna, la città di mio padre è stata Milano. Diceva che è la città che accoglie, quella che dà un’ opportunità a tutti». Era meglio allora o oggi? «Diversa. Forse all’ epoca c’ era un altro fermento. La sua era la generazione che usciva dal fascismo e dalla guerra. Era affamata di tutto, di cultura, di sapere, di confronto. Anche il suo primo viaggio in America fu epico, una specie di avventura. Ci portò delle bambole che non avevamo mai visto: erano le prime Barbie». Dal libro esce molto bene Angelo Rizzoli senior. «Non solo lui, anche Arnoldo Mondadori, che gli affidò Epoca perché lo avevano colpito i reportage sull’ alluvione del Polesine. Allora gli editori leggevano, e leggevano tutto. Rizzoli e Mondadori gli piacevano perché si erano fatti da soli e partendo dal nulla. C’ era un fondo di umanità che li accomunava». Anche della «Stampa» parla con affetto. «È il giornale che ha amato di più. “Mi ha sempre preso quando gli altri mi mandavano via”, diceva. E non gli ho mai sentito parlare bene di un direttore come di Giulio De Benedetti». Nonostante il famoso telegramma di dimissioni? De Benedetti non aveva messo in prima un suo pezzo, per inciso magistrale, sull’ assassinio di Kennedy visto dall’ America profonda. «Sì, tanto che poi con De Benedetti fece pace e alla Stampa tornò. In quell’ occasione si sentì umiliato e così ebbe una delle sue epiche arrabbiature». Arrabbiature? In tivù sembrava un uomo di una pacatezza zen. «Lui? Figuriamoci. Era un timido che s’ infuriava. Mia madre doveva continuamente portare a far riparare il cinturino dell’ orologio perché quando si arrabbiava picchiava dei grandi cazzotti sulla scrivania». E come padre com’ era? «Da ragazze l’ abbiamo visto poco, era sempre al lavoro. Quando c’ era, era molto severo. Se papà scriveva, non si poteva fare nemmeno una telefonata. “Non pago dei viaggi di nozze anticipati”, diceva se qualcuna di noi figlie voleva andare in giro con il fidanzato. Quando diventò anziano l’ abbiamo scoperto anche come padre affettuoso, perfino tenero. Faceva complimenti, ti diceva: “Sei elegante, oggi”. E ai nipoti permetteva di fare quel che sarebbe stato vietatissimo a noi». Diceva che era molto timido. «In maniera patologica. Non entrava mai in un negozio da solo. Lui, che aveva girato tutto il mondo. Anche la sua goffaggine era una forma di timidezza. Dopo che l’ avevo visto in tivù gli chiedevo: perché non sorridi di più? E lui, citando Paolo VI: “Dimmi che motivi avrei di sorridere”. Poi però quando si trovava davanti Kennedy o la Thatcher la timidezza spariva, e faceva il suo lavoro». Torniamo allora al Biagi pubblico: l’«editto bulgaro» di Berlusconi, quando fu cacciato dalla Rai con Santoro e Luttazzi. «Un brutto episodio. Intanto perché arrivò in un momento difficile, in un anno aveva perso mia madre e mia sorella Anna, dolori che lo hanno segnato. E poi perché lo visse come un’ umiliazione: “Togliere il lavoro è togliere la dignità”. Infine, perché era preoccupato non per lui, ma per chi da anni lavorava con lui, la sua redazione, la sua gente. Quel giorno diventò vecchio». Da collega, gli ha mai chiesto consiglio? «No, e non per presunzione. Però mi leggeva. Era ossessionato dalle ripetizioni. Frase tipica: “Ricordati: oltre che porta, si può anche dire uscio”. Quando diventai direttore di Novella 2000 si divertiva ai racconti che gli facevo, i pettegolezzi, questo sta con quella, ma davvero?». Internet lo frequentava? «Macché. Non ha mai avuto un computer, anzi nemmeno un cellulare. Era l’ uomo più privo di manualità che abbia mai conosciuto. Riusciva a stento a comporre il numero con i vecchi telefoni, quelli con il disco rotante. Quando gli feci vedere il sito della Pro Loco di Pianaccio, il paesino dov’ era nato, il suo stupore fu lo stesso del mio nipotino che guarda Peppa Pig». Il suo libro più bello? « Disonora il padre ». E il pezzo migliore? «Quello scritto dopo un intervento al cuore, uno dei tanti, dove racconta la sua notte in rianimazione e dice che la preghiera più bella è il Padre nostro ». Lei, Bice, cosa fa adesso? «Sono felicemente pensionata. Basta giornali, faccio solo la nonna. Ho un nipotino di due anni che si chiama Enzo, è nato in agosto come lui e per molti aspetti lo ricorda. La vita va avanti». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.


Rassegna Stampa del 19/11/2017

Indice Articoli

Torino, il Corriere Una storia nuova

Giornalisti aggrediti “Dopo le botte, omertà e tapparelle abbassate”

Se cambia è Repubblica

Incubo Facebook a Torino

Facebook vs Facebook «L’ abbiamo fatta grossa»

Torino, il Corriere Una storia nuova

Corriere della Sera
di Massimo Gramellini
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Quando nasci a Torino, cresci con l’ idea che i torinesi inventano le cose – la moda, la pubblicità, l’ editoria -, finché arrivano i milanesi e se le portano via. Lo sbarco del Corriere sotto la Mole ribalta il luogo comune. Stavolta sono i milanesi a portare a Torino qualcosa che hanno inventato loro: il giornale di Albertini e Barzini, Montale e Buzzati, Biagi e Montanelli, Fallaci e Terzani. Non si tratta di un’ invasione, semmai di un’ integrazione. Il Corriere è la voce delle regioni più intraprendenti d’ Italia. Ha la testa a Milano, un braccio possente nel Triveneto e il cuore un po’ dappertutto. Ma senza Torino era come se gli mancasse un pezzo. Adesso, grazie ai nuovi lettori piemontesi, sarà finalmente un organismo completo. Molti di loro mi hanno ripetuto per mesi: vi leggerei tanto volentieri, ma manca la cronaca locale e quindi «ai son (pronuncia sun) nen i mort», non ci sono i morti. Non fraintendeteli. Come a ogni altro lettore, anche a quelli sabaudi interessano le inchieste giornalistiche sui temi caldi della loro città e le campagne di stampa in cui il giornale si schiera dalla parte dei cittadini per aiutarli a risolvere un problema, insistendovi per giorni-settimane-mesi, fino allo sfinimento e possibilmente al raggiungimento dell’ obiettivo. E la nuova realtà editoriale – Stampa e Repubblica da una parte, Corriere dall’ altra – ha nella sua chiarezza la migliore garanzia di una concorrenza sana sulle notizie. Però è vero che a Torino più che altrove esiste un’ attenzione speciale per i defunti. Forse è l’ unica città del pianeta dove per strada e sugli autobus si stagliano le affissioni delle pompe funebri, in un tripudio di ali luminose e cieli stellati. A Napoli sarebbe impensabile. Per farsi apprezzare dai torinesi bisognerà dunque occuparsi anche dei morti. Senza però dimenticarsi dei vivi. Dopo l’ apoteosi dei Giochi invernali del 2006, quando Torino scoprì la sua vocazione turistica e addirittura gaudente, la città attraversa uno dei suoi periodici momenti di depressione. Ha un urgente bisogno di nuove sfide per interrompere il suo passatempo preferito – lamentarsi – e tornare a esprimere il suo talento migliore: creare. Come tutti i popoli montanari, i torinesi si smarriscono negli spazi aperti. Ma date loro un passaggio stretto e sapranno trovare un modo per attraversarlo a cui non aveva ancora pensato nessuno. La speranza è che l’ arrivo del Corriere e dei suoi nuovi giornalisti, talmente bravi che ad alcuni di loro il mio cuore granata riesce a perdonare persino di essere juventini, coincida con il secondo tempo della rimonta avviata con le Olimpiadi. C’ è da sempre un equivoco sui torinesi e ha a che fare con l’ appellativo di «bögianen» che è stato loro appiccicato addosso e che potremmo tradurre approssimativamente con «immobili». Senza farla troppo lunga con i riferimenti storici, esistono due modi di restare fermi: quello di chi non esplora e quello di chi non scappa. Ecco, il torinese è un «bögianen» nel senso che non scappa. Messo di fronte al nuovo borbotta, cincischia, tentenna. Ma appena ci entra dentro, se ne innamora e non lo lascia più. Se non ai milanesi, naturalmente. Che in questo caso, però, trattandosi del Corriere , saranno ben lieti di condividerlo.

Giornalisti aggrediti “Dopo le botte, omertà e tapparelle abbassate”

La Repubblica

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I VERBALI/ LA TROUPE RAI POI MINACCIATA DAGLI AMICI DI SPADA LORENZO D’ ALBERGO GIUSEPPE SCARPA IL silenzio dei testimoni. Peggio: gli sguardi divertiti di chi ha assistito alla testata sferrata da Roberto Spada, il boxeur del clan sinti, al giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi. Il racconto del cronista, ascoltato dai carabinieri, tratteggia i contorni di una Nuova Ostia spietata. Nel territorio degli Spada nessuno aiuta i feriti dopo l’ aggressione. «I passanti non solo non ci hanno prestato soccorso – racconta Piervincenzi – ma hanno rincarato la dose. Un uomo ci ha guardato e detto: “Avete visto cosa vi succede se venite qui? Ora andatevene”. A quel punto il giornalista cerca di mettersi in salvo, mentre un intero quartiere volta le spalle. «Durante l’ aggressione – ricorda il cronista davanti ai militari dell’ Arma del gruppo di Ostia – ho sentito il rumore di alcune tapparelle che venivano chiuse ». Il riepilogo di quei momenti continua scandito da singole immagini: «Quando ho cercato di recuperare il nostro veicolo per un momento mi sono guardato intorno incredulo del fatto che nessuno intervenisse e che nessuno ci avesse soccorso visto anche il sangue che ho perso. La gente presente era quasi divertita con una chiara tacita connivenza con i nostri aggressori». Gli allievi della palestra Spada escono in strada, ridono. E Piervicenzi tira le somme in un passaggio chiave, indicando alla procura su quali basi fondare l’ aggravante del metodo mafioso per il boss poi finito in manette: «Mi sono accorto della solidarietà dimostrata da parte degli abitanti della zona nei confronti dei nostri aggressori, ignorando totalmente il fatto che non in quel momento eravamo in seria difficoltà, in balia di due energumeni». Già, non uno ma due. Perché, subito dopo la testata che ha fatto il giro del web, Roberto Spada non è più solo. Accanto al boss c’ è una montagna: «Poteva essere alto più di 1.90 – racconta il giornalista Rai – peso superiore ai 100 chili, indossava un berretto nero con la visiera, poteva avere intorno ai 30-35anni. Aveva una barbetta con un po’ di pizzetto sul volto e un giubbotto blu». Ora a prendere la parola è il cameraman Edoardo Anselmi: «Mentre stavo riprendendo la scena (la testata che è costata l’ arresto a Spada, ndr), l’ altro uomo si è scagliato contro di me colpendomi con pugni e schiaffi sul capo e in faccia. Mi ha scaraventato contro il muro facendomi sbattere la testa, poi mi ha colpito con un calcio alla gamba dopo avermi fatto cadere in terra». L’ aggressione finisce qui. Ma il giornalista e il suo operatore sono ancora scossi. Hanno incassato capocciate, pugni, schiaffi, insulti, l’ indifferenza dei clienti del bar Music (altro avamposto degli Spada) e ora hanno paura. «Una volta in auto – continua Anselmi – ci siamo fermati al bagno del McDonald’ s per pulirci un attimo e poi ci siamo diretti al Sant’ Eugenio». Non all’ ospedale Grassi di Ostia. «Temevamo di essere localizzati e raggiunti di nuovo dagli Spada». Il servizio con aggressione di Nemo finisce qui. Il resto è cronaca: da una parte Piervincenzi con il naso rotto e una prognosi di 30 giorni, dall’ altra Roberto Spada arrestato per lesioni e violenza privata con l’ aggravante del metodo mafioso e ora in carcere a Tolmezzo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA I cronisti: “Nessuno ci ha soccorso anzi una persona ci ha detto ‘Vedete cosa vi succede se venite qui. Ora andatevene'” Il cameraman Anselmi “Mentre stavo riprendendo la scena un altro uomo mi ha pestato e sbattuto contro il muro” L’ AGGRESSIONE Nelle tre foto, le istantanee dell’ aggressione subita dal giornalista di Nemo Daniele Piervincenzi da parte di Roberto Spada il boxeur del clan sinti arrestato in un secondo momento e poi trasferito nel carcere di Tolmezzo Dall’ alto, la testata ricevuta dal cronista, la ferita e l’ arresto.

Se cambia è Repubblica

La Repubblica
RAFFAELLA DE SANTIS
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di Raffaella De Santis Dal 22 novembre nuova grafica e giornale nuovo “per distinguerci nel mare indistinto della Rete” dice il direttore Mario Calabresi “Una rivoluzione per tornare alle origini”. Dopo quarant’ anni di innovazioni Il giornale che troverete mercoledì in edicola è completamente nuovo ma sfoggia lo spirito pionieristico degli albori. Ha il piglio e la personalità del quotidiano corsaro fondato da Eugenio Scalfari che dal 14 gennaio 1976 continua a rivoluzionare il modo di fare giornalismo. Da allora Repubblica non si è mai fermata mostrando di essere sempre pronta al cambiamento e aperta all’ innovazione. Un giornale e uno stile di giornalismo che hanno fatto scuola e anticipato i tempi. Il senso del nuovo cambiamento lo spiega il direttore Mario Calabresi: «È una rivoluzione per tornare alle origini. Repubblica non è nata per raccontare tutto quello che accade ma per suggerire le cose che meritano approfondimenti, quelle su cui vale la pena soffermarsi e discutere. Tornare alle origini significa scegliere». E nel nuovo giornale sarà più facile orientarsi, aiutati da una grafica ariosa, chiara ed elegante. Diventerà così più immediato individuare gli argomenti messi in primo piano, selezionati tra i fatti e i temi del giorno rilevanti. Un esercizio di chiarezza per fornire una bussola a chi legge: «Dobbiamo distinguerci nel mare indistinto della Rete, prenderci la responsabilità di decidere cosa meriti di essere messo in evidenza. Solo così potremo vincere la battaglia dell’ attenzione e mettere fine a un certo gigantismo che ha dominato nei giornali» dice Calabresi. È questa la sfida di oggi: scommettere su un Paese che vuole leggere ed approfondire, che non si accontenta di slogan facili o di fake news spacciate per verità. Per fare questo, per aiutare a riflettere e stimolare il dibattito pubblico, Repubblica allarga lo sguardo sul mondo e sulla politica internazionale e raddoppia lo spazio dei commenti, facendone anche un elemento portante della prima pagina. Una vocazione ad ospitare la voce di studiosi, intellettuali, protagonisti della vita culturale contemporanea che il giornale di Scalfari ha nel suo Dna. La sezione commenti compare già nel primo numero del 1976: la prima volta che una pagina di editoriali di stile anglosassone viene accolta in un giovane giornale italiano. Nell’ idea originaria di Scalfari la cultura deve improntare tutto il quotidiano secondo la formula: «Nessun fatto senza un concetto, nessun concetto che non venga materializzato in un fatto». Nasce lo “stile Repubblica”: quello di una testata democratica liberal portatrice di una visione moderna del mondo, ricca di articoli chiari, vivaci, mai paludati. Innovare, capire dove vanno i tempi e se possibile giocare di anticipo. Repubblica ha sempre cercato di fare questo, a partire da quel formato berlinese con cui quarant’ anni fa debutta sulla scena editoriale. Quel formato tabloid più piccolo rispetto a quello degli altri giornali ne fa un prodotto diverso, più moderno e più facile da sfogliare. Ma non è l’ unica novità. L’ idea di trasferire la “terza pagina” e la cultura al centro del giornale fanno scuola, conquistando alla fine degli anni Settanta anche i giovani con l’ eskimo. Con lo stesso spirito nel 1978 Repubblica lancia Satyricon, il primo inserto di un quotidiano dedicato interamente alla satira, mostrando che la vita del paese e del mondo può essere raccontata anche attraverso lo humor, mettendone in evidenza le storture ma con leggerezza. L’ interesse dei lettori spinge a investire sui supplementi, tra cui il settimanale culturale Mercurio. Nel 1987, l’ anno del sorpasso al Corriere della Sera, sfondando il tetto delle 664 mila copie, arriva in edicola il primo magazine, il Venerdì, proprio a ridosso della nascita di Sette, il settimanale di via Solferino. Il debutto è il 16 ottobre: in apertura un reportage fotografico di Sebastião Salgado dall’ inferno delle miniere del Brasile. Quando nel 1996 Ezio Mauro prende il posto di Scalfari alla direzione del giornale è chiaro fin dall’ inizio che l’ anima innovatrice di Repubblica è destinata a dare altri frutti. Nel suo editoriale il neodirettore scrive: “Cambiare, restando noi stessi”. Nella primavera dello stesso anno debutta la prima versione sperimentale della pagina web. Il sito ufficiale viene lanciato invece il 14 gennaio 1997, nel giorno del ventesimo compleanno: nel giro di poco tempo diventerà il più importante sito di informazione italiana. La prima redazione, come in ogni cyber story che si rispetti, è in un sottoscala illuminato 24 ore al giorno. Nel 2005 è la volta di Repubblica Radio, la web radio che si trasformerà in Repubblica Tv, la prima tv online di un quotidiano in Italia arrichita nel 2009 dall’ introduzione del Visual desk, un settore digitale dedicato a video e immagini. La svolta del colore arriva nel nuovo millennio: di nuovo primi in Italia ad investire sul full color. La cultura, fiore all’ occhiello del quotidiano, si arricchisce intanto di iniziative originali: dal Diario (2003), tre pagine dedicate agli approfondimenti sviluppati partendo da una parola chiave, alla Domenica (2004), un contenitore innovativo che si muove tra libri, spettacoli e tecnologia, con illustrazioni che rilanciano la grande tradizione dei settimanali italiani. È il 2007 e Repubblica si sdoppia ospitando al suo interno R2, un giornale nel giornale che dà spazio ai reportage e alle inchieste sui maggiori temi di attualità. Il cambiamento è in linea con l’ idea di dar vita a un rotocalco di qualità. E l’ ultima creatura del giornalismo di Repubblica, nata un anno fa, è proprio Robinson, l’ inserto in cui “la conoscenza diventa esperienza” mettendo al centro i consumi culturali attraverso storie di persone e di luoghi, interviste, recensioni, incontri. La grafica all’ avanguardia è già un assaggio di futuro. Il passo ulteriore è il quotidiano che troverete in edicola mercoledì, con una veste elegante e ariosa, estremamente leggibile, disegnata dall’ art director Angelo Rinaldi e Francesco Franchi. Con un nuovo carattere tipografico chiamato Eugenio in onore del fondatore e creato appositamente per il giornale. Da qui si riparte. Da mercoledì la rivoluzione compie il suo giro: torna alle origini per sfidare il futuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Incubo Facebook a Torino

La Repubblica

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di Michele Mari, illustrazione di Agostino Iacurci Una strana biblioteca. Un meccanismo che profetizza la piattaforma di Mark Zuckerberg. Un viaggio allucinante, sotto forma di inchiesta, in una città imbevuta di esoterismo, nella drammatica spirale del 1977. Tra Borges e Romero ritorna, quarant’ anni dopo, il visionario romanzo di Giorgio De Maria, narratore e pianista, l’ intellettuale disorganico oggi quasi dimenticato che con Calvino, Straniero e Liberovici fondò i “Cantacronache” Una lezione che in tempi di social ci pone una terribile domanda: come sfuggire all’ apocalisse collettiva? TITOLO: LE VENTI GIORNATE DI TORINO AUTORE: GIORGIO DE MARIA EDITORE: FRASSINELLI PREZZO: 17,50 EURO PAGINE: 156 Narratore, drammaturgo, pianista, fondatore dei “Cantacronache” con Calvino, Straniero e Liberovici, critico teatrale e cinematografico, Giorgio De Maria (Torino, 1924-2009) è oggi un autore pressoché dimenticato. A questo oblio collaborò in parte egli stesso, non pubblicando più nulla negli ultimi trentadue anni di vita e letteralmente scomparendo dalla scena artistica per morire, racconta la figlia Corallina, “mezzo barbone, tutto matto, alcolizzato, distrutto dall’ Halcion”. Il suo testamento letterario, nel 1977, fu il romanzo Le venti giornate di Torino (sottotitolo: Inchiesta di fine secolo), che nonostante gli elementi di scandalo e di maledettismo, e soprattutto nonostante la sua bellezza, passò quasi inosservato. A risarcimento di tanta ingiustizia, più volte denunciata dallo studioso Luca Signorelli, si è adoperato il giornalista australiano Ramon Glazov, che dopo aver tradotto il romanzo lo ha fatto pubblicare in America all’ inizio di quest’ anno: non casualmente, visto il clamore suscitato oltreoceano, Frassinelli ha da poco provveduto a ristampare le Venti giornate. Clamore, diciamo subito, legato all’ idea che, con decenni di anticipo, De Maria avrebbe prefigurato Facebook. All’ incubo-Facebook (perché di questo si tratta, di un incubo) egli non arriva però, come ci si aspetterebbe, alla maniera di Philip Dick, ma a quella di Borges, immaginando una Biblioteca dove ognuno può depositare i propri testi autobiografici e chiederne altri in lettura, secondo una ratio che è quella dell’ esibizionismo e del voyeurismo, nello spregio totale di ogni considerazione d’ arte o di cultura (“Occorrevano ‘documenti veri’, quindi poco importava soffermarsi sulla forma. La penna poteva scorrere liberamente seguendo quanto lo spirito dettava. E come era difficile fermarsi dopo che si era incominciato!”). Alla fine, in quella Torino, tutti si faranno gli affari di tutti, in un processo di spersonalizzazione che culmina nelle eponime venti giornate, durante le quali moltissimi cittadini, in preda a una “insonnia collettiva”, incominciano a vagare per le strade come zombie per essere poi massacrati da misteriosi giganti che li usano come clave e proiettili. Romanzo dunque che nasce come giallo alla Fruttero-Lucentini (rasentando per un attimo l’ esoterismo nero), si sviluppa come apologo borgesiano, giunge al culmine nel segno di Romero e di Lovecraft, e precipita al finale in pagine tanto sovraeccitate quanto surreali che ricordano uno dei grandi libri semidimenticati del Novecento, L’ altra parte di Kubin. Non mancano (a convocare anche il Calvino della Giornata d’ uno scrutatore) i “mostri” del Cottolengo, oggetto secolare di leggende metropolitane e qui finalmente trasfigurati e riscattati per via estetica. Scritto in forma di diario investigativo redatto da un anonimo che potrebbe essere tanto un giornalista quanto un detective, il racconto vuole fare luce, nel tempo stesso della narrazione, su quanto accaduto a Torino dieci anni prima, al tempo di quella Biblioteca fondata e organizzata da garbati giovanotti (che in effetti potrebbero assomigliare a Zuckerberg) e presto soppressa dal governo in seguito agli efferati disordini delle venti giornate. La sapienza di De Maria pone il focus nel passato, sfruttando i topoi della ricerca d’ archivio e dell’ intervista a testimoni tanto sospettosi quanto reticenti (anche se il meta-topos che tutto tiene è lo stesso ruminamento intellettuale dell’ indagatore): in questo modo giungono inaspettati e beffardi i segni della continuità di quei fatti nel presente, perché se ufficialmente e materialmente la Biblioteca è stata chiusa, essa si è riprodotta a livello larvale ed endemico, in risposta a un bisogno di confessione e condivisione ormai inestinguibile. Saranno allora i cassonetti e i bidoni della spazzatura a ricevere, come offerte votive, i manoscritti anonimi che le avide mani dei lettori verranno a cercare sceverando il testo-spazzatura dalla spazzatura vera e propria: e va da sé che l’ atto stesso del leggere diverrà osceno come una forma di coprofagia (ovvero: il lettore come cesso, insegna che sarebbe piaciuta a Giorgio Manganelli). “Per la scrittura di questo libro, ho pensato a Il processo di Franz Kafka”, dichiarò De Maria in un’ intervista, ma il primo scrittore cui si corre col pensiero è Lovecraft, palesemente omaggiato nel riferimento a “divinità meschine e infami emerse dal cuore della roccia” e presagibili da “un odore insopportabile di muffa e di putrefazione” oltre che da abominevoli sonorità (“Sentii allora sopraggiungere un cupo gorgoglìo, un rimestare profondo di acque melmose, seguito da un risucchio, che manifestatosi dapprima come una discreta suzione a poco a poco andò trasformandosi in un avido, diffuso abbeveraggio, come se centinaia di bocche si stessero immergendo in un pozzo gigantesco intenzionate a prosciugarlo”). Certo, è difficile non lasciarsi suggestionare dalla vulgata di una Torino esoterica e satanista, fra seguaci di Gurdjieff (fra i quali la moglie dello stesso De Maria) o di Aleister Crowley e illustri tormentati (da Nietzsche, che vi impazzì, a Kafka, che nel proprio diario annotò: “Non andare a Torino. A nessun costo”): ma non si farebbe onore al romanzo se non lo si leggesse innanzitutto come una metafora dell’ inquietudine dell’ autore, che servendosi di Torino né più né meno che come di un fondale di genere inscena solennemente il dramma del proprio sgretolamento psichico, che è poi, quando leggiamo Potocki o Gombrowicz, quello di tutti noi. Non ricorda forse il suicidio di Potocki, che si sparò in testa un proiettile ricavato da un pomolo di teiera meticolosamente limato per anni, un passo come questo: “ripongo con cura il mio giornale e succhio per cinque minuti la mia ciliegia sotto spirito Allo scoccare della mezzanotte la rimetto quasi intatta nel suo barattolo di vetro dove ogni giorno vedo salire il livello della saliva?”. Come nell’ Horla di Maupassant c’ è qualcosa che preme per entrare in questo mondo, qualcosa di cui l’ autentico scrittore “nero” si mette al servizio in veste di biografo (di molte pagine di De Maria si potrebbe ripetere quanto Manganelli osservò dell’ incubo lovecraftiano: “sgomenta non la concretezza dell’ apparizione, ma la sua sacrilega aspirazione ad esistere”). E sarà una coincidenza, ma il 1977 fu anche l’ anno in cui venne pubblicato postumo un altro grande capitolo del fantastico italiano, Dissipatio H. G. di Guido Morselli, un libro in cui, come nelle Venti giornate, i mali della mente e i mali della società si combinano in una visione che ha un nome preciso: apocalisse. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Facebook vs Facebook «L’ abbiamo fatta grossa»

La Lettura

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Facebook ha più di due miliardi di utenti, che lo usano ogni giorno per condividere ricordi, emozioni e informazioni: il suo potere sembra illimitato. Se osserviamo la classifica dei social network più utilizzati vediamo che il podio è interamente controllato dall’ azienda, che possiede Messenger (al secondo posto con 1,3 miliardi di utenti) e WhatsApp, poco più sotto con un miliardo. Non solo: la creatura di Mark Zuckerberg controlla anche Instagram, gigante delle foto da 600 milioni di utenti al settimo posto della classifica, due posizioni sopra Twitter. Facebook è enorme, e questa non è una novità: a sorprendere è che alcuni dei suoi dipendenti se ne siano resi conto. E abbiano timore della loro stessa azienda. Lo scorso ottobre il giornalista tecnologico Nick Bilton ha raccolto alcune confessioni preoccupate e registrato un generale pentimento: «Molti ex dipendenti che conosco – ha riferito a “Vanity Fair” una fonte anonima – sono completamente sopraffatti da ciò che è diventato». Molti di loro raccontano di «aver avuto un momento in cui si sono detti: “Oh mio Dio, che cosa ho fatto!”». A guastare il sonno non è solo l’ indagine del Congresso sui centomila dollari spesi in annunci pubblicitari da parte di account riconducibili al Cremlino; è l’ esistenza stessa del social network a preoccupare alcune persone che hanno contribuito a costruirlo. Tra tutti Sean Parker, co-fondatore del sito, che la scorsa settimana ha attaccato i meccanismi su cui Facebook ha basato il suo successo. Parlando a un convegno organizzato dal sito di news politiche Axios, ha spiegato che prodotti come questo sono in grado di «sfruttare la vulnerabilità della psicologia umana» e raccontato di come sin dall’ inizio gli ingegneri che ci lavoravano erano al corrente delle potenzialità del mezzo. «Dobbiamo darvi un po’ di dopamina di tanto in tanto, quando qualcuno commenta o mette like a una foto o a un post o a quello che è. E quello ti spingerà a creare più contenuto e ciò porterà a più like e commenti». Parker, fondatore di Napster, è una figura mitologica nella Valley: è stato interpretato da Justin Timberlake nel film The Social Network e ha agito da nume tutelare di Mark Zuckerberg nei primi giorni del suo «The Facebook» . È stato proprio lui, per esempio, a consigliargli di eliminare l’ articolo dal brand. Oggi è impegnato con il Parker Institute for Cancer Immunotherapy, un ente di ricerca per la cura del cancro, ma si è definito «qualcosa di simile a un obiettore di coscienza» per quanto riguarda i social network e il mondo che ha contribuito a creare. E non è il solo. La Silicon Valley sembra essere stata travolta da un’ ondata di pentimento. A scatenare tutto sono state sicuramente le ultime elezioni americane, soprattutto l’ indagine del Congresso sull’ utilizzo di Facebook da parte delle troll farm russe (le fattorie di troll, i disturbatori della rete). Come ha scritto Massimo Gaggi su queste pagine («la Lettura» #308 del 22 ottobre), l’ accusa ritiene che il governo di Vladimir Putin abbia sfruttato Facebook e il suo algoritmo a suo favore, favorendo l’ ascesa di Donald Trump e dando eco a notizie capaci di polarizzare l’ elettorato, destabilizzando il Paese. A inizio novembre il Congresso ha reso noti più di tremila annunci pubblicitari pagati da aziende legate al Cremlino: molti di questi sono bizzarri e non appaiono minacciosi, ma tutti sembrano mirare a punti caldi del dibattito politico e culturale americano, come la questione razziale o il controllo delle armi. L’ accusa nei confronti di Facebook non è quella di collusione – che riguarda invece Trump -, quanto di non aver fatto nulla per fermare l’ invasione, trattando questi acquisti pubblicitari (centomila dollari per raggiungere dieci milioni di utenti, soprattutto in Michigan e Wisconsin, due Stati elettorali in bilico) come normali post e non propaganda di una nazione ostile agli Stati Uniti. In un articolo per la rivista «Foreign Policy» la specialista di affari cinesi Christina Larson ha esortato Zuckerberg a smetterla di «corteggiare la Cina e di concentrarsi sui Paesi in cui Facebook è davvero importante». Il riferimento è alle mire espansioniste del gigante digitale , da tempo desideroso di aprirsi una strada nel gigante geopolitico : una missione quasi impossibile che risulta pleonastica se il social network può essere dirottato da chiunque a fini di propaganda. Proprio nei giorni scorsi il premier britannico Theresa May ha accusato la Russia di aver infiltrato il dibattito sulla Brexit puntando il dito proprio su Facebook e Twitter. Facebook ha subito risposto con caute dichiarazioni che non smentiscono nulla («Non è stata registrata finora una significativa co-ordinazione» da parte di account russi sospetti) mentre, negli stessi giorni, l’ edizione inglese di «Wired» ha pubblicato le prime prove delle operazioni di disinformazione russa sulla Brexit avvenute su Twitter. Quanto a Twitter, in cima ai problemi c’ è proprio Donald Trump. Da presidente, ha firmato molti tweet aggressivi come quelli contro la Corea del Nord, che rientrano nelle «minacce di violenza (dirette o indirette)» che il social network sostiene di non tollerare. E allora, si chiedono in molti anche all’ interno di Twitter, perché Trump non è mai stato punito? Dopo mesi di richieste di chiarimento, l’ azienda ha risposto tirando in ballo la «notiziabilità» e il «pubblico interesse»; una risposta ritenuta non sufficiente che non ha risolto la questione e ha spinto un anonimo contractor di Twitter a cancellare il profilo del presidente nel suo ultimo giorno di lavoro. L’ atto di ribellione è durato appena undici minuti ma ha dimostrato le tensioni interne al social network (e alcuni suoi problemi legati alla sicurezza, verrebbe da dire). Dunque che cosa sta succedendo? La Valley, il luogo dove le start up nate in un garage diventano aziende in grado di cambiare il mondo, sta forse mostrando il suo vero (oscuro) volto? «Le aziende che un tempo erano divertenti e interessanti – ha detto Bill Maris di Alphabet, l’ azienda che contiene tutto l’ universo Google – stanno influenzando le nostre elezioni». È un timore condiviso da altri professionisti del settore, molti dei quali si sono confidati anonimamente con i media statunitensi. Poche settimane prima delle elezioni fu proprio l’ allora presidente Barack Obama a suonare il (tardivo) campanello d’ allarme, parlando del pericolo della filter bubble e dell’ isolamento tra nicchie di pensiero: «Per molti di noi è diventato più sicuro ritirarsi nelle nostre bolle», disse puntando il dito verso i social media. Proprio lui, il presidente che nel 2008 costruì il capolavoro della conquista della Casa Bianca anche grazie al web, ha trascorso gli ultimi mesi parlando di questo problema direttamente con Mark Zuckerberg. Senza alcun successo, pare, visto che il fondatore di Facebook ha sempre negato il potere della sua stessa creazione. Basti ricordarlo a pochi giorni dalla vittoria di Trump, un anno fa, quando definì «folli» le prime accuse sull’ influenza dei social nell’ elezione. Lo scorso settembre il miliardario trentenne s’ è detto pentito di aver stigmatizzato la teoria in quel modo, ma oggi sappiamo che lo scandalo delle fake news russe è già diventato la più grande crisi che abbia mai investito questi giovani colossi digitali.

Rassegna Stampa del 20/11/2017

Indice Articoli

Perché la radio non morirà mai

E nel futuro più stretta l’ integrazione con Auditel

La rivoluzione dell’ Audiweb 2.0 l’ audience ora si misura sulle app

Una raccolta di dati affidabili chiesta dal mercato

Campagna Tgr: l’ Italia delle opere compiute e incompiute

SE IL DIRITTO D’ AUTORE DIVENTA STRUMENTO DI CENSURA

Le alleanze elettorali dei dem e i margini stretti della manovra

Chi mangerà lo squalo? Parte L’ assedio a Murdoch

HastingsNetflix

IgerDisney

FACEBOOK, GOOGLE: LA CONCORRENZA CHE ANCORA NON C’È

Far pagare i giganti del tech garantisce equità fiscale e una concorrenza leale

Con una tassa sul fatturato si rischia che l’ onere ricada sui consumatori

Enel, Cdp, Tim, Mediaset e governo partita a cinque sulla scacchiera delle super reti a banda ultralarga

Perché la radio non morirà mai

Il Tempo

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Con la crisi dell’ editoria e della tv generalista e la rivoluzione del Web, la radio rimane forse uno dei pochi media tradizionali cui gli italiani non sembrano voler rinunciare. Ma come è cambiato lo scenario radiofonico italiano con la crescita dei grandi network radiofonici in questi ultimi anni? Lo abbiamo chiesto a giornalisti, speaker e noti conduttori radiofonici. Di certo il cambiamento anche in questo settore c’ è stato e si è sentito già da un po’. In molti infatti, ritengono che i primi veri cambiamenti risalgano agli anni ’90, quando l’ era delle radio locali cominciava a lasciare spazio a quella dei primi grandi network. Di fatto oggi gli ascoltatori sembrano premiare in termini di audience grandi colossi in grado di offrire un’ offerta ricca e completa come RTL, ai primi posti delle classifiche di ascolto, il gruppo Media set con Radio105, Virgin Radio, Radio 101 e recentemente anche Radio Subasio, il Gruppo l’ Espresso con Radio Deejaye Radio Capital, il network RDS e diverse altre realtà di primo piano senza contare ovviamente Radio Rai. E le care vecchie radio locali? «Oggi c’ è crisi per le radio locali – ci ha detto Renzo Di Falco, conduttore di RDS – e questo è un dispiacere per tuti noi che, ai loro microfoni, abbiamo fatto tanta gavetta, erano un’ ottima palestra. Con il taglio di investimenti pubblicitari spesso molte radio locali muoiono e vendono le loro frequenze a network più potenti. Altre invece provano a scimmiottare proprio i grandi network è questo è un errore. In ogni caso la loro crisi trovo che sia un vero peccato per tutti perché sono sempre state una risorsa del territorio e nel tempo hanno fatto crescere anche tanti professionisti». «È come nel mondo dei giornali – ci spiega Doctor Mann Stefano Mannucci, giornalista e critico musicale, conduttore di “Rock Morning” su Radiofreccia e autore de “Il suono del secolo”, successo editoriale del momento – Accanto ai grandi quotidiani nazionali ci sono quelli locali, del Veneto, della Campania, della Sicilia; tutt’ oggi esistono consorzi che, con il giusto approccio, continuano a funzionare. Sono realtà piccole e medie che mirano all’ inserzioniamo locale e che, come i giornali di provincia, sono appetibili per l’ ascoltatore di un certo tipo, per quello che vuole una radio del territorio». «Sicuramente le radio locali sono diminuite notevolmente negli ultimi anni ma ne esistono ancora e anche di qualità – ci ha detto Dario Spada speaker di Radio 105 – Certo è più difficile rispetto a un tempo che un giovane oggi si avvicini al mondo della radio attraverso una radio locale. Oggi la palestra per i giovani c’ è ancora ma la si fa nelle web radio, con internet e con i vari sistemi di podcast che permettono di auto crearsi dei format e pubblicarli in autonomia. Quello che dispiace è vedere tantissimi ragazzi che vogliono fare la radio attraverso internet scimmiottare noi che lavoriamo nei network. Questo è un errore perché con le tecnologie di oggi i giovani hanno la possibilità di essere più liberi e originali. Così come gli youtuber hanno innovato, sta a loro trovare strade nuove. Le idee forti e originali in radio come altrove vincono sempre». «Quelle che mancano di più oggi sono le vecchie talk radio-afferma Federico Vespa speaker di RTL di 102.5 . È indubbio che ormai il modello dei network sia un’ evoluzione necessaria per il nostro mondo ma a molti di noi speaker manca il parlato che, per carità, esiste ancora in alcune radio, ma sicuramente è molto meno presente di vent’ anni fa e questo è un peccato». «Il contesto di oggi è eterogeneo ma nella battaglia degli ascolti – dichiara invece Antonello Do sede “Il ruggito del coniglio” storico successo mattutino di Radio Due – noi abbiamo sempre fatto una radio di contenuti, mentre alcuni ci chiedevano di fare più una radio di flusso ricca di canzoni, ora abbiamo scoperto che anche molte radio private seguono il nostro modello. Anche se non c’ è un modello che funziona, la radio piace se è fatta bene». «Sempre più i grandi gruppi a livello hanno fagocitato realtà storiche della radiofonia nazionale peraltro promuovendo le star televisive più che i professionisti della radio. Ma a mio parere a Roma le radio locali mantengono tutt’ oggi una grande fetta di ascolti- ci ha detto Andrea Torre voce storica e porogram director di Radio Globo – qui il peso dei network si sente fino a un certo punto. L’ unico problema delle radio locali romane semmai è una certa monotonia del formato talk calcistico. Nel contesto radiofonico romano grande fetta è occupata da questo tipo di radio mentre manca molto il formato flusso del quale noi di Radio Globo siamo protagonisti. Continuiamo a credere in un prodotto radiofonico che sia la miscela giusta di contenuti e musica». Ad ogni modo tutti sembrano concordare su una cosa: gli italiani non rinunceranno mai alle radio, perché le tengono compagnia, informano, divertono e fanno parte della nostra quotidianità. «La radio è un mezzo agile – spiega Mannucci – e le novità tecnologiche oggi l’ hanno rilanciata. Oggi soprattutto puoi ascoltare le grandi radio in FM o sul sito o sullo smartphone con l’ applicazione, in digitale in auto o attraverso la radiovisione. La radio non muore mai perché rispetto alla televisione, che spesso risulta perdente rispetto alla Rete e a tanti altri nuovi mezzi, è più snella. La TV è un elefante che si muove con passo lento perché ha bisogno di investimenti importanti, in radio è tutto più agile». «È un mezzo di comunicazione che ti entra nel cuore – afferma Dario Spada di Radio 105- ti tiene compagnia ovunque e poi ha un modo di comunicare immediato, diretto, la radio è un mezzo caldo, è questo il suo segreto e questo il motivo per cui moti italiani fanno fatica a rinunciarvi “. «La salute della radio negli anni a mio parere- ci ha detto Massimo Cirri storico conduttore di Caterpillar programma pomeridiano di grande successo di Radio Due – è dovuta anche al minore interesse della politica nei suoi confronti, a differenza di quanto è sempre avvenuto per TV e giornali e, sinceramente, mi auguro che continui così. Di certo la radio è sempre più vicina alla vita delle persone, ora la portiamo anche addosso con noi nel nostro nel telefonino. Storicamente la radio è nata per non far sentire lontano chi era in mare e oggi avviene un po’ la stessa cosa: quando sei solo nella vita di oggi le voci della radio sono una presenza, creano un legame di compagnia che TV e giornali non sono in grado di creare». “Trovo che la radio sia il primo vero social network – afferma Di Falco -perché ancora di più oggi ti dà il senso del contatto con gli altri. E’ condivisione. Un tempo si cantava “Video killed radio star” ecco, non credo che i social oggi uccidano la radio, semmai in qualche modo la rafforzano, sono un sostegno in più per interagire con noi. Sono sempre di più infatti, gli ascoltatori che scrivono, commentano e danno feedback». E questo avviene soprattutto con alcune trasmissioni mattutine di successo che in radio oggi spopolano, format vincenti che sempre più spesso abbinano musica, intrattenimento e comicità. «La ripetitività, la riconoscibilità, la comicità e l’ intrattenimento sono quello che gli ascoltatori oggi vogliono quando ascoltano la radio- spiega Mannucci- soprattutto al mattino la gente magari è nel traffico e ha bisogno di questa leggerezza. E’ come una piccola medicina bonaria per superare lo stress. Per questo la radio è ripetitività come insegnavano i maestri Arbore e Boncompagni, devi avere l’ illusione di partecipare, di essere dentro quell’ arena, di sentirti un parente, un amico di quei personaggi”. “Sempre più oggi sono necessari contenuti di questo tipo- aggiunge Di Falco – la musica oggi si trova ovunque, se invece ci abbini intrattenimento, risate, personaggi, accompagni la quotidianità di quelle persone che ogni giorno vogliono seguirti, partecipare e iniziare la loro giornata con il buonumore». Il post, il tweet, il commento sono insomma in questo mondo all’ ordine del giorno con trasmissioni che quotidianamente vengono seguite e commentate da migliaia di followers. E così si torna al rapporto Radio -Social network. «Se la radio è una casa, una parete di questa casa oggi è sicuramente rappresentato dai social afferma Mannucci- grazie ai social è possibile continuare la frequentazione con gli ascoltatori anche quando finisci di andare in onda». «Il mondo sociale ha alimentatola nostra capacità di condividere – dichiara Dario Spada di Radio 105- ma a volte tutto questo feedback non è detto che sia sempre così positivo. Da un lato si creano dei bellissimi rapporti con gli ascoltatori. A volte però tutto questo scambio può creare dissapori, esistono critiche cattive, per cui bisogna anche stare attenti. Alla fine è sempre una questione di educazione». «I social anche da noi in radio sono uno strumento chiosa Federico Vespa – e come tutti gli strumenti bisogna saperli gestire». «Nei social puoi scrivere quello che vuoi, anche tante menzogne – aggiunge Antonello Dose -in radio invece la voce non mente». «I social nella vita di oggi sono imprescindibili – ammette Cirri ma rimangono ancora un qualcosa di scritto. La radio invece ha ancora il fascino della voce e sarà sempre più veloce. Le nuove frontiere arriveranno quando si riuscirà a coniugare, e in parte con messaggi vocali di whatsapp già sta avvenendo, social e voce, allora ne vedremo delle belle».

E nel futuro più stretta l’ integrazione con Auditel

Affari & Finanza

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[ LE PROSPETTIVE] L a rivoluzione Audiweb 2.0 procederà per gradi. Da gennaio 2018, in parallelo con l’ attuale sistema di rilevazione, saranno distribuiti agli editori dati quotidiani e settimanali dell’ audience completa delle property editoriali iscritte al servizio. Tali dati riguardano la fruizione dei contenuti dai device rilevati (Pc e Mobile), attraverso le differenti modalità e piattaforme. Dal secondo trimestre saranno prodotti anche i dati mensili che andranno a sostituire completamente l’ attuale sistema, e il dato del giorno medio che sarà reso disponibile nel nastro di pianificazione per spostare il digitale su un registro di interpretazione e utilizzo più simile agli altri mezzi e alla Tv in particolare. Viste le caratteristiche del nuovo sistema di rilevazione e delle specifiche fonti utilizzate, Audiweb ha predisposto controlli più accurati e solide procedure di auditing. Grazie al tavolo di lavoro che è in corso con Auditel sul progetto di Ricerca di Base, la nuova rilevazione Audiweb a breve poggerà su un’ unica sorgente qualificata per la stima degli universi, con informazioni sul profilo sociodemografico delle famiglie e degli individui e sulle dotazioni tecnologiche di accesso ai media. Ciò consentirà alle rilevazioni di dare agli investitori indicatori preziosi sulle audience cross media. (v.d.c.) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La rivoluzione dell’ Audiweb 2.0 l’ audience ora si misura sulle app

Affari & Finanza
Vito de Ceglia
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L a fase di transizione del progetto Audiweb 2.0 si è chiusa: dal prossimo 1° gennaio, l’ organismo “super partes”, che rileva e distribuisce i dati di audience di Internet in Italia, passerà ufficialmente da una era “pre” ad una “post” social media. Ci sono voluti più di due anni per selezionare il partner commerciale con cui costruire un sistema di misurazione della Rete al passo coi tempi, cioè sempre più basato sulla ricerca del dato qualitativo dell’ utente, alla fine la scelta è ricaduta su Nielsen: la società che ha battuto la concorrenza di Gfk e comScore, gli altri due fornitori di tecnologia di ricerca rimasti in gara. Perché Nielsen? Spiega Marco Muraglia, manager genovese esperto dei mezzi digitali, che da poco meno di due anni è presidente di Audiweb: «La base di partenza è che che tutti gli istituti coinvolti nel “beauty contest” avevano indicato come necessario affiancare al nostro panel di riferimento le informazioni derivanti da uno o più big data provider per concorrere alla definizione del profilo della audience. Il progetto di Nielsen è risultato il più completo di tutti». Audiweb è tecnicamente un Joint Industry Committee (Jic), cioè un organismo che riunisce la maggior parte de gli operatori del mercato: società che investono in pubblicità, agenzie, centri media e ovviamente le aziende editoriali. Tutte rappresentate dalle associazioni di riferimento che partecipano al capitale sociale (Fedoweb 50%, Upa 25% e AssoCom 25%). La decisione di puntare su Nielsen – fa notare Muraglia – rappresenta una scelta di continuità rispetto all’ originario progetto Audiweb 2.0 lanciato da Enrico Gasperini, uno dei fondatori e ceo dell’ incubatore di startup Digital Magics, un visionario che ha rifondato e guidato Audiweb dal 2007 fino alla sua scomparsa nel 2015, contribuendo all’ affermazione del nuovo sistema di rilevazione del Jic italiano. Il valore aggiunto della proposta che partì da Gasperini è stato sul metodo, spiega oggi Muraglia. «La scelta di Nielsen quale partner – aggiunge il manager – è innanzitutto dovuta al meccanismo del Digital content rating, il loro sistema per misurare i contenuti online anche su un data provider come Facebook, il più affidabile per copertura e qualità. Un metodo che ha già da due anni la validazione degli Usa: un mercato che vale 200 miliardi di dollari. Questo ci dà la possibilità di personalizzare la raccolta e l’ analisi per il nostro mercato, incrociando i dati del nostro Panel respondent level e creando un unicum a livello internazionale ». In sostanza, con questa operazione, Audiweb 2.0 entra di fatto in nuova fase di sviluppo virando decisamente dal mondo Pc verso quello del mobile, da dove oggi passano il 50% degli accessi da smartphone e tablet di Google e addirittura l’ 80% di quelli di Facebook. Da qui la decisione di cambiare anche la rappresentatività del suo panel di riferimento per rispondere alle richieste che arrivano dal mercato (Pc: passa da 41 mila a 35 mila utenti; Single source: da 1000 a 2000; Mobile: da 4500 a 12 mila). Non che sino ad oggi il traffico sui dispositivi mobili non fosse rilevato. Audiweb aveva già posto rimedio al problema tre anni fa. Quello che ancora manca e che sarà “coperto” da gennaio è il cosiddetto traffico “in-app”: ovvero, la navigazione di pagine web e video da applicazioni come Facebook e quello generato sulle piattaforme terze co- me Instant Article, sempre di Facebook, e Google AMP. Si tratta di un passaggio importante, soprattutto in vista della diffusione su scala mondiale degli instant articles , i formati degli articoli che permettono la visione immediata della pagina sui cellulari. Affidandosi alle rilevazioni di Nielsen, basate su evoluti Software Development Kit che superano la tradizionale rilevazione con Tag, Audiweb ha trovato il modo di riconoscere a Facebook la produzione di un contatto e ai produttori quello del traffico su quel contenuto. Tradotto: Facebook si comporterà come un vero e proprio browser come Chrome o Firefox. Una questione non certo secondaria perché in questo modo il Jic italiano potrà dare al mercato online delle metriche condivise per misurare la viewability delle inserzioni e delle campagne pubblicitarie – – un mercato che complessivamente, tra editori tradizionali e grandi piattaforme digitali, oggi vale in Italia 2,5 miliardi di euro – con cui investitori, centri media ed editori possano confrontarsi. Fornendo, nel contempo, ai clienti un profilo socio-demografico esatto per sesso ed età dell’ audience, con una copertura completa di navigazione in app Facebook, instant article, Amp, video (pc e mobile, browsing e app) e con una cadenza giornaliera (dopo 72 ore), settimanale e mensile. «In questo modo, riusciremo a restituire al singolo editore contenuti fruiti su piattaforme terze, in particolare gli Over-the Top, le imprese che forniscono attraverso Internet servizi e contenuti. Saremo l’ unico Jic al mondo a farlo in questo modo», puntualizza Muraglia. Che guarda avanti: «La sfida è ora portare all’ interno dell’ organismo colossi come Facebook o Youtube: le conversazioni sono in corso. La decisione, però, non dipende da noi». Nel medio termine, le sfide di Audiweb 2.0 sono invece legate all’ evoluzione della tecnologia e del mercato. «Nel primo caso, oggi copriamo tutti device di larga diffusione supportati da IoS e Android, ma non siamo in grado di rappresentare ad esempio le smart tv, come non lo sono nemmeno negli Usa. L’ evoluzione riguarda anche gli approcci di pianificazione pubblicitaria online come la pubblicità programmatic, cioè il processo automatizzato di compravendita di spazi pubblicitari. I cookie, ossia capire meglio quali sono i tempi di durata dello loro vita per fare delle inserzioni sempre più inerenti alle ricerche degli utenti. E i Bot, i software che generano traffico: qui sarà necessario misurare solo quello realizzato dalle persone». Nel frattempo, i due Jic italiani Audiweb e Auditel, la fonte “super partes” che rileva minuto per minuto tutti i dati della TV, hanno condiviso l’ opportunità di creare un’ indagine di base unica. «L’ obiettivo è realizzare una sorgente qualificata per la stima degli universi delle famiglie e degli individui con informazioni sul profilo socio-demografico e sulle dotazioni tecnologiche», conclude Muraglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Muraglia, 57 anni, un passato nel settore della pubblicità e del marketing, dall’ inizio del 2016 presidente di Audiweb.

Una raccolta di dati affidabili chiesta dal mercato

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[ LA SCELTA] Il progetto Audiweb 2.0 muove da una serie di precisa richieste del mercato: rilevazione tempestiva del totale delle audience degli editori online, sistema di rilevazione rispondente all’ evoluzione del mercato e alle dinamiche di fruizione multi-device, confrontabilità dei dati raccolti su più piattaforme e formati, per sviluppare campagne crossmediali. Disporre di una misurazione da una terza parte per la più ampia copertura di realtà editoriali (Big Player e siti verticali / locali), è necessario per le disposizioni di Agcom. La disponibilità di Big Data, nel rispetto delle norme sulla privacy, consente la produzione di dati finali migliori in termini di precisione, granularità e timing di distribuzione, e concorre alla definizione del profilo dell’ audience. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Campagna Tgr: l’ Italia delle opere compiute e incompiute

Il Messaggero

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Le opere pubbliche sono la dorsale infrastrutturale più importante ed evidente di un Paese. In Italia ci sono realizzazioni esemplari, ma anche scandalosi esempi di opere incompiute o solo progettate, con grande spreco di occasioni e di risorse. Su questi temi, la Tgr, Testata giornalistica regionale della Rai, diretta da Vincenzo Morgante, riprende, da oggi a sabato 25 novembre, una iniziativa che negli ultimi anni ha raccolto alti riscontri di interesse, partecipazione e ascolto: le campagne sociali di servizio pubblico, varate ogni mese a livello nazionale e portate avanti anche dalle oltre 20 redazioni regionali della Tgr. Per una intera settimana, i giornalisti Rai di ogni regione svilupperanno sul loro territorio il tema della campagna mensile, con servizi, inchieste, interviste, dirette e approfondimenti. «Una grande inchiesta nazionale, articolata a livello territoriale, sulle opere incompiute e compiute, offre l’ occasione di misurare il livello di sviluppo del nostro Paese afferma il Direttore della Tgr Vincenzo Morgante poiché le capacità organizzative, industriali, tecnologiche e ingegneristiche trovano nelle realizzazioni infrastrutturali la loro massima espressione, a favore del territorio su cui insistono e in nome della collettività». La campagna sulle opere pubbliche affronta i problemi di una burocrazia e di un sistema normativo che spesso rappresentano seri impedimenti all’ avvio e alla prosecuzione dei cantieri. «Quando una grande opera rallenta, ritarda o viene lasciata incompiuta sottolinea il Direttore Morgante è una ferita per il Paese».

SE IL DIRITTO D’ AUTORE DIVENTA STRUMENTO DI CENSURA

La Repubblica
GUIDO SCORZA
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«È ASSURDO soltanto pensare che io abbia pagato per avere rapporti con una donna. È una cosa che non mi è mai successa neanche una sola volta nella vita. È una cosa che considererei degradante per la mia dignità». È il gennaio del 2011, a parlare è Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio in carica. Lo fa con un video trasmesso dalle sue televisioni. Lo fa in risposta a un’ inchiesta della magistratura che gli contesta, tra l’ altro, di aver pagato una minorenne in cambio di sesso. Nel video le parole sono scandite una a una secondo un copione sfogliato, pagina dopo pagina, con navigata esperienza; tutti i dettagli del set, incluse le foto di famiglia sullo sfondo, sono evidentemente studiati con attenzione maniacale. Inutile cercare di raccontare il contenuto del video a parole con la pretesa che qualcosa non vada perduto. Quelle immagini sono tessere uniche e insostituibili del mosaico della storia: il capo del governo che usa le sue televisioni contro la magistratura. Eppure quelle immagini rischiano di essere sottratte, per sempre, alla cronaca di questi anni e, quindi, alla storia. Il tribunale di Roma con una sentenza confermata, nelle scorse settimane, dalla corte d’ Appello ha, infatti, accolto le domande di Rti s.p.a. e, di conseguenza, ha ordinato all’ editore di questo giornale di rimuovere il video in questione – insieme a decine di altri in gran parte di analoga natura – dalle proprie pagine web, dove era stato pubblicato a corredo di un articolo di informazione, e di astenersi dal pubblicarne di ulteriori. Secondo i legali delle televisioni della famiglia Berlusconi, la pubblicazione del video violerebbe i diritti d’ autore delle proprie clienti. Per mostrare quel video al mondo, per commentarlo, per parlare, anche attraverso le immagini, di Silvio Berlusconi, all’ epoca dei fatti capo del governo, servirebbe il permesso di Silvio Berlusconi o, almeno, delle televisioni controllate dalla sua famiglia. Sembra aberrante, eppure i giudici, per ben due volte, hanno dato ragione ai legali di Rti s.p.a., prova che le leggi in vigore, almeno, si prestano a essere interpretate sino a condurre a una conclusione tanto perversa: editori, giornalisti, storici obbligati per legge a chiedere il permesso al protagonista della loro storia se non prima di parlarne, almeno prima di utilizzarne una manciata di minuti di immagini. È, d’ altra parte, il video in questione, originariamente pubblicato online da tutti i principali quotidiani italiani e sulle pagine di YouTube, oggi praticamente introvabile, rimosso ovunque – o quasi ovunque – in nome del diritto d’ autore. «Questo video include contenuti Rti che sono stati bloccati dallo stesso proprietario per motivi di copyright », risponde YouTube a chi dopo averlo trovato, provi a lanciare le immagini. Il diritto d’ autore, nato come strumento di massimizzazione della circolazione del sapere, è piegato a strumento di censura, utilizzato e brandito per chiedere e ottenere che di certe persone e di certi fatti non si possa parlare o, almeno, non si possa parlare mostrando immagini e parole scandite dalla viva voce dei protagonisti. È una strada sbagliata, pericolosa, perversa. Non si può subordinare il diritto di cronaca al diritto d’ autore, non si può pretendere che per far cronaca si debba prima passare alla cassa e pagare il conto al potente di turno perché – sempre che voglia – stabilisca il prezzo e presti il consenso all’ utilizzo di una manciata di secondi di un video che lui stesso ha diffuso urbi et orbi sintanto che lo ha ritenuto opportuno. Non è una questione di soldi e non è neppure una questione di mercato o beghe tra concorrenti. È una questione di principio, di libertà, di democrazia e di futuro, un futuro nel quale se cronaca e storia non restano libere, autonome, terze e critiche, la democrazia è in pericolo. Contro la sentenza l’ editore di questo giornale ricorrerà in Cassazione perché tocca ai giudici e solo ai giudici rivedere e, eventualmente, correggere gli errori di altri giudici. Ma le leggi vanno cambiate: va scritto in caratteri cubitali nella legge sul diritto d’ autore che utilizzare frammenti di contenuti altrui per fare informazione, cronaca, per raccontare la storia, deve essere sempre lecito a prescindere dal permesso del titolare dei diritti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Le alleanze elettorali dei dem e i margini stretti della manovra

La Stampa
CARLO BERTINI
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Set timana di pausa per il Senato, ma la Commissione Bilancio è convocata a oltranza, anche domenica. «Abbiamo riunioni oggi e domani dei relatori col governo per il parere sui 750 emendamenti», spiega il presidente Giorgio Tonini del Pd. «E da martedì si comincia a votare». Ma se la trattativa Pd-Pisapia si incentra su una serie di correzioni alla manovra per spostare l’ asse a sinistra, i margini sono quelli che sono: bisogna capire come finisce la questione pensioni, la questione enti locali, perché le province hanno un problema serio di risorse, la questione sanità: c’ è un emendamento per aumentare il prezzo delle sigarette per finanziare i farmaci oncologici «e anche la web tax dovrebbe produrre entrate significative, ma non si può pensare di risolvere il nodo superticket o del lavoro precario con le sigarette», sorride Tonini. Che da renziano doc mette le mani avanti, «vedremo in questi giorni cosa si potrà mettere nella legge di bilancio, l’ importante è che siano cose che ci portano avanti e non indietro sulle riforme fatte: Draghi l’ altro giorno è stato molto chiaro…». Dentro il Palazzo Quando Roma non era ancora capitale d’ Italia, dal balcone del palazzo Montecitorio venivano letti al popolo i numeri del lotto. È una delle curiosità svelate nella serie di docu-film della Rai, “Montecitorio, dentro il palazzo”, dieci puntate che vengono mandate in onda questa settimana in un orario impossibile su Rai tre, il lunedì e mercoledì all’ una di notte; con repliche su Rai due martedì e giovedì alle 9,40 del mattino. Il format, montato con colonna sonora e interviste ai protagonisti dei lavori dietro le quinte, consente di entrare dentro gli ingranaggi della macchina legislativa del paese; e di capire i meccanismi che regolano la complessa struttura che supporta il lavoro degli onorevoli, specie ai piani alti dove operano le commissioni. Le telecamere entrano in un santuario inaccessibile, in tutti gli organismi dell’ amministrazione del Palazzo. Gli assistenti parlamentari ed i responsabili dei diversi servizi mostrano come nasce una legge, cosa c’ è dietro una seduta d’ Aula, come funziona il sistema di voto dei provvedimenti. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Chi mangerà lo squalo? Parte L’ assedio a Murdoch

L’Economia del Corriere della Sera
di Maria Teresa Cometto
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Di solito sono gli squali a nuotare intorno alle loro prede fino al momento in cui le divorano. Ma questa volta è lo squalo Rupert Murdoch ad essere l’ oggetto degli appetiti di altri colossi del business dei media e dell’ intrattenimento. La sua società 21st Century Fox, che controlla studi cinematografici e reti tv via cavo come Fox news, fa gola a una serie di società che vanno dalla Disney, il marchio di Topolino, alla Comcast, l’ operatore via cavo più grande d’ America, e da Verizon, che possiede l’ operatore di telefonia cellulare numero uno negli Usa, fino alla giapponese Sony, che negli States è attiva nel campo della musica e nel cinema. Le manovre attorno a Fox fanno parte di un’ ondata di consolidamento nell’ industria dei media, dove gli operatori tradizionali devono far fronte alla concorrenza sempre più aggressiva da parte dei nuovi protagonisti dell’ era di Internet come Netflix e Amazon. Questi ultimi sono capaci di investire cospicue risorse nella produzione di contenuti originali, per poi distribuirli sulle proprie piattaforme e conquistare un numero crescente di utenti, in alternativa all’ abbonamento alla «vecchia» televisione. Comcast, secondo le indiscrezioni, avrebbe contattato Murdoch dopo la notizia che Disney voleva comprare da Fox la casa di produzione cinematografica, alcuni canali tv via cavo e il business internazionale, compreso il 39% di quota di Sky, la tv europea con base a Londra. Le trattative fra Disney e Fox non sono andate in porto, ma sembra confermato che Murdoch voglia cedere un pezzo del suo impero – che a Wall Street vale circa 54 miliardi di dollari -, tenendosi però Fox news, la sua parte più profittevole, e i canali sportivi. Lui stesso aveva cercato di diventare più grande, tentando tre anni fa di comprare Time Warner, senza riuscirci; e ora sta cercando di conquistare il 100% di Sky, ma ha di fronte l’ opposizione delle autorità britanniche, ancora arrabbiate per lo scandalo – scoppiato nel 2011 – delle intercettazioni telefoniche illegali realizzate dal tabloid News of the World del gruppo News international, di cui era responsabile il figlio di Murdoch, James. Dall’ altra parte le attività internazionali di Fox interessano a Comcast per compensare il calo del suo business degli Usa, dove lo scorso trimestre ha subito la più grande perdita negli ultimi tre anni di abbonati ai suoi servizi via cavo. Comcast, la cui capitalizzazione in Borsa è di 173 miliardi di dollari, aveva già comprato nel 2011 Nbc Universal, che controlla gli studi cinematografici Universal e reti tv come Nbc. Mentre in America, soprattutto fra i giovani, aumenta il fenomeno del cord cutting – letteralmente «tagliare la corda», cioè il cavo che collega la tv a pagamento – Comcast vede nuove opportunità di crescita in altri Paesi, dove i servizi via cavo non sono ancora molto diffusi. A livello internazionale Fox si vanta di raggiungere oltre un miliardo di utenti in circa 50 lingue e oltre 170 Paesi, Italia compresa. I suoi studios producono numerosissime serie tv per i propri canali ma anche per i concorrenti. Verizon ha ancora pochi abbonati al suo servizio tv via fibre ottiche e punta soprattutto a espandere il suo business di media digitali, dopo aver acquistato due società veterane di Internet, Aol e Yahoo. In particolare la controllata Verizon wireless, operatore di telefonia cellulare, crede molto nella potenzialità degli affari generati dai video visti su apparecchi mobili: con Fox otterrebbe nuovi contenuti con cui arricchire la sua offerta online. Qualsiasi nuova fusione però incontrerà probabilmente resistenze da parte delle autorità antitrust americane. Le quali attualmente sono impegnate a valutare la proposta di acquisto di Time Warner da parte del gigante delle telecomunicazioni At&t. Il vento che tira Washington è contrario a questo tipo di operazioni, anche perché molti credono che proprio Comcast non abbia rispettato lo spirito dell’ ok alla sua acquisizione di Nbc universal sei anni fa. Dopo l’ eventuale vendita delle attività cinematografiche e internazionali, il gruppo Murdoch rimarrebbe – oltre che con il business di carta di News corp (editore fra l’ altro del Wall Street Journal ) – con una 21st Century Fox più snella, secondo un modello simile a quello di Cbs, il gruppo televisivo controllato da Sumner Redstone. Ma intanto i Murdoch negano di voler diventare giocatori di serie B nell’ industria dell’ informazione e dello spettacolo. «Si parla molto dell’ importanza crescente delle dimensioni di chi opera nel settore dei media – ha detto l’ altro figlio di Rupert, Lachlan Murdoch, co-presidente di 21st Century Fox, all’ assemblea societaria della settimana scorsa -. Gli operatori più piccoli trovano difficoltà a sviluppare le nuove piattaforme di video. Sia chiaro questo: noi non siamo in quella categoria». Almeno per ora.

HastingsNetflix

L’Economia del Corriere della Sera

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Non deve essere un momento semplice per Reed Hastings, né per il mondo dorato delle produzioni hollywoodiane in generale. Ma per Hastings, nello specifico, i recenti scandali sessuali che hanno coinvolto il gotha del cinema, hanno portato a una decisione drastica quanto giustificata: la chiusura anticipata della serie House of Cards, la punta di diamante di quell’ universo di altissima qualità che sono le produzioni firmate Netflix e che di fatto hanno portato la piattaforma di streaming creata da Hastings nel 1997 sugli schermi «smart» di milioni di utenti nel mondo. Il motivo, ormai noto, alcune rivelazioni che hanno colpito il protagonista delle seria, Kevin Spacey. Se le conseguenze non sono ancora ipotizzabili, la contro mossa però ha già un nome e un volto. Quello di Shonda Rhimes, genio assoluto della produzione seriale, strappata a suon di miliardi (la cifra ufficiale non è mai stata comunicata) alla rete Abc di proprietà proprio della Disney. A lei si deve la creazione di serie come «Grey’ s Anatomy» o «Le regole del delitto perfetto», prodotti che hanno fatto entrare nelle casse del gruppo circa due miliardi di dollari. Che i contenuti siano al centro della strategia di Netflix non è cosa nuova: negli ultimi due anni i titoli a disposizione sono aumentati del 207% e le previsioni per quest’ anno sono di investire 6 miliardi (contro i 5 dello scorso anno) per nuove produzioni originali. Una mossa che ha portato a un incremento del costo dell’ abbonamento che passa dai 9,99 euro al mese a 10,99. Un solo euro di differenza ma che moltiplicato per 90 (e più) milioni di utenti nel mondo diventa una potenza di fuoco senza eguali tra le piattaforme in streaming. E in generale della produzione: il 2017 è stato anche l’ anno del debutto (non senza intoppi o polemiche) di Netflix sul tappeto rosso di Cannes. Che Hastings ora produca anche film fa indiscutibilmente paura ai competitor. Ma la strada ormai è tracciata.

IgerDisney

L’Economia del Corriere della Sera

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Se Topolino resiste da quasi un secolo, un motivo in fondo ci sarà. E il motivo, forse, è la capacità della Walt Disney company di essere sempre un passo avanti. Per questo il mercato non è rimasto particolarmente stupito dall’ annuncio della casa di Topolino, di voler creare una piattaforma svod per ritagliarsi una fetta in quel mercato che piace così tanto alle nuove generazioni 4.0 (e per arrestare in qualche modo il calo degli introiti dei canali televisivi Disney Channel e Espn). Non solo. I contenuti saranno 100% «made by Disney». In esclusiva. Formula che ha un solo significato: i film Disney non compariranno più nella libreria Netflix. Certo, per il momento il divorzio Disney-Netflix riguarda solo gli Usa, ma quello che succede oltreoceano in questo settore di solito fa scuola anche per il Vecchio Continente. Del resto era ipotizzabile una mossa del genere da parte di Bob Iger, alla guida di Walt Disney Company dal 2005 (per dare un’ idea del ruolo da lui svolto in questi anni basta un numero: +350%, l’ incremento in Borsa del gruppo in dodici anni). Dal 2006 a oggi la società di Topolino ha acquisito Pixar, Marvel e Lucas Film, investendo una cifra vicina ai 15 miliardi. Senza scordare le recenti voci che vogliono Disney interessata alla 21st Century Fox di Rupert Murdoch. E se le voci sono momentaneamente congelate, occorre sempre tenere a mente che nel perimetro dell’ acquisizione, oltre a Sky ci sarebbe anche una quota di Hulu, piattaforma di streaming statunitense. Per rafforzarsi in questa specifica tecnologia, a settembre il gruppo è salito al 75% del capitale di BamTech (per 1,58 miliardi), specializzata proprio in questo campo. A rendere competitiva l’ offerta Disney, il prezzo dell’ abbonamento che sarà «decisamente più basso» dei competitor. Un dato questo che potrebbe in effetti rendere i due servizi in streaming non necessariamente in competizione, ma complementari.

FACEBOOK, GOOGLE: LA CONCORRENZA CHE ANCORA NON C’È

L’Economia del Corriere della Sera
di Gustavo Ghidini e Daniele Manca
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Alzi la mano chi ancora pensa che Facebook sia solo un modo molto divertente per restare in contatto con familiari e amici. O che Google abbia semplicemente sostituito faticose e lunghe ricerche di informazioni e risposte ai nostri interrogativi. O che Amazon, in fondo, sia una versione moderna di un supermercato. Non si tratta solo della pervasività di attori che, a partire da un servizio, moltospessogratuitoochepermette di avere sconti, costruiscono e consolidano posizioni spesso di monopolio. Sta avvenendo nel campo della comunicazione pubblicitaria come si evidenzia a volte inmododrammatico insettori come l’editoria e la televisione. E sono forse proprio questi ultimi due campi a mostrare quanto sia necessaria un ripensamento delle regole competitive. Di Antitrust. E di farlo a livello continentale. L’Europa lo sta facendo. E’ del maggio del 2016 l’ultima comunicazione della Commissione al Parlamento europeo sulle piattaforme online e il mercato digitale. Ma appunto, si vede dai tempi, lo sta facendo con movimenti da plantigradi: fermi all’enunciazione/raccomandazione di buonipropositi chenontogliedi certo il sonno a nessuno. Dimenticando che l’Antitrust moderno (quello americano) ha quasi 150 anni, quello europeo, che degli Usa ne è il nipote, oltre 60.Ilproblema cheoggi èdominante è quello del potere delle grandi piattaforme, potere che dall’economia si scarica sulla società. L’America sonnecchia confidando sul fatto che siano tutte società statunitensi a contendersi il passato come il futuro business. Le recenti vicende che hanno riguardato però i grandi imperi multimedialidallaDisney che conclamore divorzia da Netflix, o dalla Newscorp di Murdoch che ha iniziato una solitaria battaglia negli Usa contro i big dell’hitech,mostrano chenonè inatto solo una competizione per il mercato. C’è qualcosa di più che è accaduto in questi ultimi anni. Ed è per questo che a dover essere ripensato è il concetto stesso di «potere di mercato» che era alla base della normativa antitrust. I tradizionali indicatori di stampo microeconomico non aiutano (dalle dimensioni, ai mercati rilevanti) le Authority. Si pensi alla forza con cui alcunimercati sono stati stravolti, distrutti e altri, completamente nuovi, sono stati creati e si sono sviluppati. Ola velocità con la quale alcune posizioni (apparentemente dominanti) sono state messe in discussione. My Space che dominava i social network è stata spazzata via da Facebook. Piattaforme come Uber, Airbnb, Booking, Expedia, hanno profondamente cambiato le caratteristichedei trasporti urbani e dei viaggi. Hanno affermatonuoviprocessi emodellidi servizio. Non si è trattato di innovazioni incrementali quanto di innovazioni «rivoluzionarie» che hanno investito l’economia digitale e i media. L’operazione di acquisto di Instagram da parte di Facebook ha sicuramente permesso a Snapchat un successo che è stato solo parziale e peraltro non si sa quanto durevole. Anche l’hardware direttamente legato, come i telefonini, ha visto il di rompente sviluppo di Motorola, Nokia eBlackBerry e le successive eclissi a favore del software dei sistemi operativi come iOS di Apple e Android di Google con l’ascesa di nuovi attori, come la stessa Apple, Samsung, Huawei. In parte, soprattutto ancora una voltanei settori deimedia, si è cercato di cogliere questi cambiamentiradicali conteoriepiùsofisticate, volte a spiegare il funzionamento dei cosiddetti mercati a più versanti. Vale a dire ti offro un servizio gratuito come Google, ma guadagno sulla pubblicità che riesco a veicolarti. Suggerimenti utili ma non sempre soddisfacenti e ingradodi cogliere le nuove caratteristiche. E certamente solo parzialmente utili a sciogliere l’intreccio tra le preoccupazioni concorrenziali, quelle per il pluralismo e quelle legate alla concentrazione di potere tout court.Anche perché tra le aziende ormai c’è una competizione definita «dinamica». Mutevole al punto che il confrontoela concorrenza possono svolgersi prima della stessa nascita del mercato. Il caso di scuola è l’acquisizione sempre da parte di Facebook per una considerevole cifra (19 miliardi di dollari) della poco più che appena nataWhatsApp.Inaltritermininonè poco frequente che la competizione si sviluppi nella fase dell’innovazione e di ricerca e sviluppo. E questo per arrivare primi su un mercato futuro o anche solo per controllare in anticipo suoi asset fondamentali. In questi casi una lettura tradizionale del mercato rende difficile l’uso di strumenti «vecchi» per salvaguardare la concorrenza. A cominciare da concetti come la «dominanza» del mercato interessato. Il capitalismo digitale si muove con logiche ben diverse da quello sui quali si basava quello sul commercio di beni fisici che era possibile controllare, seguire e, by theway,tassare. Cosa, come noto, che i colossi dell’hi-tech sfuggono con energia. E’ difficile persino comunicare all’opinione pubblica che qualcuno che offre servizi gratuiti, come Google o Facebook, o che permette ai consumatori di avere prodotti a prezzi scontati, Amazon, rappresentino un rischio per la concorrenza,peri contipubbliciperlemanca te tasse e persino per l a democrazia. Non si tratta di iperbole. Si pensi al diffondersi di «fake news» che, ormai è chiaro, sono in grado di influenzare tanto o poco che sia le elezioni di un grande Paese come gli Stati Uniti o scelte rivelatesi poi più che dannose come la Brexit. La strada è appena iniziata. Il potere delle big tech che è evidente agli attori economici. E inizia a percepirsi anche tra consumatori e cittadini. Ma è ilmomentodifaredei passiinavanti. Di iniziare a immaginare come rendere evidente che il semplice fatto di fornire un servizio gratuito non può essere il grimaldello per ottenere la proprietà dei dati di chi usa quel servizio. E che quella proprietà non può essere in esclusiva. Come pure che eventuali acquisizioni di queste grandi compagnie debbano essere monitorate con un’attenzione speciale. E il tutto non può avvenire all’interno di confini nazionali. Ma l’Italia può iniziare a fare la sua parte.

Far pagare i giganti del tech garantisce equità fiscale e una concorrenza leale

L’Economia del Corriere della Sera
di Francesco Boccia
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La portata straordinaria dell’ economia digitale sul funzionamento del capitalismo globale impone una riflessione politico culturale profonda. La dematerializzazione della ricchezza necessita di un approccio radicalmente nuovo e l’ intelaiatura fiscale che regola i rapporti tra i vecchi Stati nazionali, società e imprese deve necessariamente adattarsi alle nuove regole del mercato. Una rivoluzione radicale in tutti i settori, di usi, costumi, business e stili di vita. Non era possibile chiudere il mondo quando non esisteva la rete e c’ erano solo muri e filo spinato. Figuriamoci ora. Non ha più senso distinguere l’ economia reale da quella digitale. Tutta l’ economia oggi è digitale. Dietro il dibattito sulla web tax c’ è tanto altro. Non solo equità, etica e modelli redistributivi che in un Paese democratico si garantiscono anche con una coerente architettura fiscale, ma anche privacy, sicurezza, informazioni, regolazione del commercio. Si chiama «Data Economy». Dati che valgono oro. La cosiddetta web tax non era e non è una nuova tassa ma il semplice riconoscimento di regole fiscali già applicate a tutti gli altri. In Italia l’ avevamo approvata già nel 2013, poi Parlamento e governo si sono fermati in attesa dell’ Europa che non è mai arrivata. Alla fine ci siamo arrivati, ma solo dopo le inchieste della Guardia di Finanza e della Procura di Milano e dopo il lavoro dell’ Agenzia delle Entrate. Per la prima volta nella storia del capitalismo, ad un aumento del Pil potrebbe non corrispondere un adeguato aumento del gettito fiscale. Far pagare almeno le imposte indirette alle multinazionali del web è un dovere per assicurare equità fiscale ai contribuenti e garantire leale concorrenza agli operatori economici. A questo serve la stabile organizzazione. Fino a poco fa gli effetti non si vedevano, ora sono devastanti: perdita di gettito e perdita di posti di lavoro. Non ci si può più appellare alla libertà di scelta della residenza fiscale che porta alla «non stabile organizzazione», tanto cara ai sostenitori del «ci pensa l’ Europa» o del «ci vuole una soluzione globale» senza mai indicare la strada. Quelle sono le tesi dei lobbisti (molto bravi) delle Over the Top (Ott): al tempo dell’ economia digitale, anche con pochi dipendenti a mio avviso c’ è stabile organizzazione. La norma approvata lo scorso giugno e chiamata web tax transitoria indica la strada della cooperazione con il fisco, riconoscendo autonomamente la stabile organizzazione in Italia sul modello dell’ accordo fatto da Google con la Procura di Milano e l’ Agenzia delle Entrate. In questi giorni il passaggio più delicato. Accanto al rafforzamento del concetto di stabile organizzazione inserito nell’ emendamento alla legge di Bilancio al Senato che è per me totalmente condivisibile, c’ è una proposta di tassazione delle transazioni che suscita alcune perplessità. L’ obiettivo è giusto, l’ applicazione merita un approfondimento. Se fosse pagata anche da aziende italiane non coglierebbe l’ obiettivo originario della web tax: l’ allineamento della tassazione tra Ott e aziende italiane. Capire se tassare flussi, transazioni o ricavi necessita di un’ ulteriore riflessione parlamentare. Intanto, chiediamo alle Ott, quando fanno business in Italia, di rispettare le stesse regole che rispettano le imprese italiane. Sapendo che, sullo sfondo, la sfida digitale ci porta già oltre la web tax, tra portabilità dei dati e necessità di cloud pubblici.

Con una tassa sul fatturato si rischia che l’ onere ricada sui consumatori

L’Economia del Corriere della Sera

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La soluzione alla tassazione delle imprese multinazionali dovrebbe essere trovata a livello internazionale o quantomeno di Unione Europea. Tuttavia, specie nel settore della cosiddetta web economy, il problema della sottrazione di base imponibile e della connessa concorrenza sleale nei confronti delle imprese locali sta assumendo dimensioni tali che è quasi inevitabile che, in mancanza di soluzioni condivise, i singoli Stati finiscano per adottare soluzioni nazionali, anche se altamente inefficienti. La soluzione che è attualmente all’ attenzione del Parlamento prevede nella sostanza che una società estera, del tipo di Google o Facebook, paghi una tassa sul fatturato che realizza in Italia – si parla di un’ aliquota del 6%, ma c’ è chi propone il 30% – a meno che non accetti di dichiarare la stabile organizzazione in Italia, che è la precondizione per pagare le tasse sugli utili nel nostro Paese. Questa soluzione non è del tutto peregrina, dal momento che se n’ è fatto qualche cenno anche nelle sedi internazionali, sia pure come estrema ratio. Essa ha però delle controindicazioni che de vono essere valutate. La prima e più ovvia attiene al fatto che una tassa sul fatturato ha una probabilità elevata, molto più di una tassa sugli utili, di essere traslata sugli acquirenti; sarebbe davvero una beffa se alla fine la tassa la pagassero i consumatori e le imprese italiane. Una seconda controindicazione riguarda il fatto che l’ imposizione unilaterale di una tassa o di una stabile organizzazione genera una situazione di doppia imposizione e quindi conflitti fra Stati riguardo alla ripartizione del gettito fiscale. I trattati internazionali specificano condizioni precise perché si possa individuare la stabile organizzazione e solo le tasse pagate in un dato Paese da una stabile organizzazione riconosciuta ai sensi dei trattati danno diritto a un credito di imposta nel Paese di origine dell’ impresa. Il conflitto si manifesterebbe sia con Paesi terzi sia all’ interno dell’ Unione Europea. In particolare, tutti i governi americani, di qualunque colore, hanno sempre sostenuto che il gettito fiscale delle grandi imprese del web spetta essenzialmente a loro perché è negli Usa che si produce la ricerca e il valore aggiunto di cui fruiscono i consumatori di tutto il mondo; questo argomento ha qualche fondamento dato che l’ ordine fiscale internazionale e con esso quello del libero commercio si basano sul principio che la tassazione spetta al Paese in cui si produce il valore aggiunto, non al Paese in cui si consuma il prodotto. È per questo motivo che le tasse sugli utili derivanti dalle esportazioni verso gli Stati Uniti di prodotti made in Italy, compresi prodotti come gli abbonamenti al Corriere della Sera online sottoscritti da residenti americani, spettano all’ Italia. In ogni caso, possiamo forse accettare un contrasto – limitato – con gli Stati Uniti, ma faremmo fatica a gestire il contrasto con l’ Europa dal momento che i quattro principali Paesi europei si sono impegnati a risolvere il problema ricorrendo, se necessario, al regime di cooperazione rafforzata. Il governo italiano ha spinto con grande forza per questa soluzione e perderebbe credibilità se oggi decidesse di procedere da solo. +Parlamentare Pd.

Enel, Cdp, Tim, Mediaset e governo partita a cinque sulla scacchiera delle super reti a banda ultralarga

Affari & Finanza
Stefano Carli
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segue dalla prima I nsomma, attorno alla banda ultralarga si gioca una delle più complicate vicende industrial- politiche di questi anni. E’ una scacchiera che può ospitare strategie e mosse diversissime e quasi infinite. Dipende da chi muove gli scacchi e dagli obiettivi di ciascuno dei giocatori. ENEL L’ ad Francesco Starace, riconfermato appena a maggio scorso per una altro triennio, ha due convinzioni. Che non ha alcuna intenzione di cedere il suo 50% di Open Fiber e che due reti in fibra, almeno nelle zone a successo di mercato non sono uno scandalo. Non più di quanto non lo siano le reti di distribuzione elettrica di altre utility in concorrenza con quella Enel (anche se in questo caso non coesistono sugli stessi territori). Insomma, non vuole uscire da Of e non è interessato nemmeno a prendersi la rete di Tim. O almeno così dice. Ma comunque sia, per giocare questa partita da protagonista (tanto più che fino al 2020 la governance della joint venture con Cdp assegna a lui la scelta di chi deve stare al timone di Of) oggi non ha che una sola mossa: accelerare sui cantieri. Finora, sotto la guida di Pompei, Of ha incassato tutto il possibile: Metroweb, le gare Infratel (ne mancherebbe una ma è poca cosa), l’ accordo con Acea, ossia la “conquista” di Roma. Ora deve far fruttare tutto questo potenziale. Fermarsi adesso non può. Of è appena partita, l’ unica città completa nel piano del cablaggio è Milano, ereditata da Metroweb. Ora ci sono cantieri aperti nelle 13 maggiori città italiane, nelle prime cinque i lavori sono già oltre il 50% e sui nuovi cavi ottici iniziano a passare i primi abbonati delle telco che hanno fatto accordi con Of: dai big come Vodafone e Wind ai piccoli operatori locali. Ma ora bisogna andare avanti. Per dare due numeri: l’ accordo con Wind è un impegno su 271 comuni. La vittoria nelle gare Infratel impone di connetterne in fibra altri 6.700. Bisogna aprire cantieri, impegnare risorse in estenuanti trattative con le amministrazioni locali. Soprattutto bisogna convincere le banche a sostenere un project financing da 6 miliardi che richiede risorse di finanziamento per 3,7 miliardi e in tempi rapidi, perché la scommessa è qui: i ritorni sono sicuri, nel tempo, ma i soldi vanno spesi subito, ora. Ed è proprio per convincere le banche che è stato messo in cantiere il cambio della guardia al vertice di Of. L’ impegno di Pompei con l’ Enel sarebbe scaduto a fine novembre, tra dieci giorni, e quello come ad di Open Fiber a fine dicembre. Tutto era già programmato, si dice ora in ambienti vicini al vertice Enel, e anche la scelta di Elisabetta Ripa sarebbe stata già deciso addirittura nella scorsa primavera. Le banche, a partire dai tre advisor Bnp Paribas, Société Générale e UniCredit, avrebbero richiesto un management stabile come condizione ineludibile. Ora ce l’ hanno. CDP Resta per ora un punto interrogativo. Troppe volte il presidente di Of Franco Bassanini si è espresso in termini molto espliciti in favore di un’ unica rete e contro uno scenario di competizione tra la rete Of e quella di Tim. E quasi sempre, dall’ esterno, si è applicato l’ automatismo di considerare queste posizioni come transitivamente riferibili anche all’ istituto guidato da Claudio Costamagna e Fabio Gallia. Ma non è detto che sia così. Anzi, forse, l’ assenza di dichiarazioni esplicite potrebbe iniziare a far dubitare del contrario. Comunque le esternazioni di Bassanini, in parallelo con le nuove fiammate polemiche sullo scorporo della rete Tim espresse in funzione anti-Bolloré, mentre producevano manifesto fastidio in casa Enel, non dovrebbero essere troppo dispiaciute nel palazzone della Cdp, proprio accanto al ministero dell’ Economia, perché, ne consolida la presenza e il ruolo su tavoli importanti. Diverso dire che l’ uscita di Pompei dal board di Of sia automaticamente un rafforzamento della Cassa. Elisabetta Ripa ha infatti operato una specie di cambio di casacca: entrata in cda in quota Cdp, diventerà ad dal primo gennaio 2018 in quota Enel. E infatti sarà proprio Cdp a nominare il membro mancante del board perché formalmente è la Cassa ad essere rimasta senza un rappresentante dei suoi tre, accanto a Guido Rivolta e lo stesso Bassanini. Si potrebbe pensare che con Ripa, vista la sua provenienza, Cdp ne abbia ora quattro di “uomini”, ma mentre il Dna di via Goito per Rivolta e Bassanini non si discute, per Ripa non è così. Quando venne nominata, veniva considerata piuttosto un’ esterna, visto che ha passato 26 anni in Telecom, nell’ investor relation, poi in ruoli di gestione e infine come ad di Sparkle prima e di Telecom Argentina poi. Comunque sia, Cdp non può che restare alla finestra in attesa di capire se verrà chiamata a giocare un ruolo nella soluzione della controversia Vivendi-Mediaset. Un ruolo che può oscillare dal diventare azionista di peso (e di solida contribuzione) di una ipotetica società unica della rete, fino al semplice ruolo di titolare di una quota minima di garanzia (e di scarso impegno) in un nuovo azionariato Tim, qualunque esso sia. GOVERNO Il primo rilievo potrebbe essere: quale? Quello di oggi, che scadrà tra qualche mese o il prossimo? Quello odierno, filiazione diretta del governo Renzi, ha interesse a che Open Fiber vada avanti così e rapidamente. In fondo quella sulla fibra è stata una delle poche promesse mantenute da Renzi a Palazzo Chigi. E di fatto è innegabile che la mossa a sorpresa, due anni fa, di creare quella che allora si chiamava ancora Enel Open Fiber sia riuscita in quella che sembrava una missione impossibile: far tornare Telecom Italia ad investire in cavi ottici dopo più di 15 anni. Era infatti dalla privatizzazione, con il susseguirsi di nocciolini, capitani, scalate e patti di sindacato che il primo problema della telco non era più investire ma ridurre il debito (senza diminuire troppo i dividendi). Certo, dall’ altra parte c’ è che la possibilità di far tornare sotto l’ ala dello Stato Padrone un boccone come la rete Telecom è un argomento che trova sempre un interesse maggioritario e trasversale a tutta la politica italiana. Ma un conto sono le tentazioni e un conto i soldi a disposizione. E oggi, all’ avvio di una campagna elettorale lunga e complicata, forse è meglio dare a Enel e Of un po’ di briglia di aprire cantieri e andare avanti con il progetto. E infatti già nel prossimo bando per il 5G da Palazzo Chigi si pensa di trovare il modo di far entrare Of nella partita. Per esempio inserendo una figura, quella del Neutral Host, ossia di operatore di rete che non offre il servizio a utenti e imprese ma ad altre telco. Cosa che finora nel mondo del mobile non c’ è mai stata ed è esattamente ciò che Of fa sulla rete fissa. Diverso invece il caso del prossimo governo. Se dovesse essere a trazione berlusconiana, chiunque sarà il premier, sarà sensibile a ciò che sarà intanto avvenuto ad Arcore. E di cui si dirà tra poco. TELECOM Il nuovo ad Amos Genish al contrario di Flavio Cattaneo sta conquistando, dopo il timone, anche il cuore della vecchia holding telefonica, dai manager ai dirigenti e più giù. Come ogni nuovo ad la sua prima trimestrale, dove ha messo la firma in fondo ma non le scelte, ha fatto emergere risultati in flessione. Ma questo è un classico. Viene considerata persona preparata sul piano industriale e dialogante. La persona giusta per ricucire con le istituzione e l’ establishment italiano. Questo non gli ha impedito di rispondere per le rime a Franco Bassanini che mercoledì ha ribadito la sua idea che Tim non possa investire sulla fibra perché così svaluta il rame che è ancora la maggior parte della sua rete di accesso. Questo invece è proprio quanto Genish ha dichiarato di voler fare: ossia accelerare la migrazione, a costo di finanziarla, che vuol dire, passaggio gratuito e automatico dall’ adsl alla fibra per tutti gli utenti. Certo, sembra si riferisse solo alla fibra che si ferma agli armadi e non alla fibra fino in casa, ma è comunque la volontà di rispondere alla gara con Open Fiber (perché di gara si tratta, a chi arriverà per primo da ogni singolo utente) abbandonando la strada dell’ ostruzionismo regolamentare e dei ricorsi. Va però detto che all’ Antitrust pende un ricorso, stavolta presentato da Vodafone, contro una cosa simile già provata da Cattaneo: offrire la fibra senza costi aggiuntivi per conquistare utenti. L’ Antitrust deve ancora pronunciarsi ma allo stato attuale delle regole Telecom deve garantire la replicabilità delle sue offerte e l’ iniziativa, in questi termini , non dovrebbe passare il vaglio. Ma la vera novità avanzata da Genish è nella dichiarazione di essere pronto ad utilizzare la rete di Open Fiber quando lo riterrà opportuno e conveniente. Tradotto: nelle zone bianche dove Tim ha perso la gara non si dissanguerà per realizzare una rete alternativa sua, come aveva detto Cattaneo. E questa è una buona notizia per azionisti e investitori. Sul piano industriale Genish ha dunque fatto chiarezza. Il resto non dipende da lui. Dalla decisione dell’ Amf, la Consob francese, se Vivendi controlla o meno Telecom, fino ad un eventuale accordo Berlusconi- Bolloré. BERLUSCONI Pare che tra l’ ex Cavaliere, candidato premier ombra del centro-destra, e il patron di Vivendi sia riscoppiata la pace. O almeno la voglia di farla. E pure in fretta, perché l’ appuntamento dell’ asta per la Serie A non può essere rinviata all’ infinito e si dovrà svolgere prima del voto politico di primavera, perché il nuovo triennio di diritti partirà solo pochi mesi dopo. Questo dicono le voci che arrivano da ambienti e persone vicine al leader di Arcore. Che poi tutto questo porti solo alla soluzione del caso Premium o invece arrivi fino ad un consistente ingresso “ufficiale” di Vivendi in Mediaset è tutto da vedere. Oggi Bollorè può tenersi Telecom sterilizzando le sue azioni Mediaset. Cosa potrebbe accadere dopo è in mente dei, e degli avvocati dei due tycoon. A tutto questo si intreccia poi l’ ipotesi di un nuovo governo in cui Silvio Berlusconi avrebbe un peso decisivo: che decisioni porterebbe sulla banda ultralarga? Difficile divinarlo oggi. Ma c’ è chi giura di aver sentito Berlusconi dire che il caso di Tim e Open Fiber gli ricorda quello delle prime pay tv in Italia: Telepiù e Stream, anche allora una pubblica e una privata, una italiana e una francese. Vuol dire che non c’ era spazio per due su quel mercato. E infatti arrivò. Sky. Peccato Silvio dimentichi che Premium era nata proprio per fare concorrenza a Sky. O forse lo ricorda fin troppo bene. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fake News, l’Agcom istituisce un tavolo tecnico di regolamentazione

Con delibera n. 423/17/CONS del 6 novembre u.s., pubblicata nel proprio sito il 16 novembre u.s., l’Agcom ha istituito il “Tavolo tecnico per la garanzia del pluralismo e della correttezza dell’informazione sulle piattaforme digitali”. Tale tavolo ha il compito di favorire lo scambio di dati e informazioni, il confronto e il consolidamento di buone pratiche tra i soggetti operanti nel settore dell’informazione, anche online, con riferimento: alle metodologie di rilevazione, alle strategie di prevenzione e agli strumenti di blocco o rimozione dei contenuti online qualificabili come lesivi della correttezza, dell’imparzialità e del pluralismo dell’informazione; al monitoraggio dei flussi economici, da fonti nazionali ed estere, volti al finanziamento dei citati contenuti lesivi; alla definizione delle tecniche di contrasto delle strategie di disinformazione online, con particolare riferimento a quelle alimentate da account falsi o inesistenti e legati a flussi economici, anche esteri, associati all’inserzionismo online.

Regolamento UE. Il Garante per la protezione dei dati personali incontra la Pa

Il prossimo 4 dicembre a Milano il Garante privacy illustrerà le novità introdotte dal Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali (Regolamento UE/2016/679), la cui piena applicazione è prevista a partire dal 25 maggio 2018. L’incontro – organizzato in collaborazione con la Regione Lombardia – è parte di un ciclo formativo avviato lo scorso giugno e finalizzato a promuovere la conoscenza delle nuove norme e a supportare nell’attuazione degli adempimenti tutti i soggetti (pubblici e privati) che effettuano trattamenti di dati per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico. Nella tappa milanese – ospitata nella sede della Regione Lombardia – i rappresentanti dell’Autorità affronteranno gli aspetti legati al principio di responsabilizzazione (accountability) e illustreranno le principali innovazioni introdotte dal Regolamento Ue, come la nomina del Responsabile della protezione dei dati (RPD) e la valutazione d’impatto privacy. Nei limiti della capienza della sala, sono ancora disponibili alcuni posti. Per quanti fossero interessati all’evento, l’indirizzo web a cui registrarsi è il seguente: https://it.research.net/r/ConvegnoPrivacy. Le informazioni riguardo al successivo incontro formativo sul Regolamento – previsto a Bari il 15 gennaio 2018 – e tutti i materiali informativi relativi agli eventi già svolti saranno pubblicati nell’apposita sezione informativa predisposta sul sito web del Garante (www.garanteprivacy.it/regolamentoue). Nella sezione sono già disponibili una guida per l’applicazione del Regolamento e vari documenti, come le Linee guida che il Garante ha contribuito a definire in sinergia con le altre Autorità privacy europee, utili a facilitare la comprensione e l’applicazione del nuovo quadro normativo.

Rassegna Stampa del 21/11/2017

Indice Articoli

Il Black Friday e il flop della Nazionale sotto i riflettori di Marketing Media and Money

Bonus réclame, ma non per tutti

Pubblicità online, frodi in crescita ma in Italia sono marginali

Piccola e media editoria a +6%

Diritto d’ autore, polemica tra Repubblica e Mediaset

Facebook: salgono Messaggero, Sky Sport e TgCom

Netweek punta sui periodici locali

Good Films rivede l’ utile

Un blog non basta come fonte per evitare la diffamazione. La Cassazione condanna un giornalista che aveva ripreso solo un blog (mai smentito e ripreso anche da altri): la notizia va verificata incrociando più fonti

Debutta in edicola Sport Tribune di Milano Fashion Library. A gennaio il secondo numero con ampio spazio agli sport invernali

I diritti tv valgono già la metà può vincere Uva, uomo di Agnelli

Fazio crolla e non lo sa: peggior risultato di sempre ma ringrazia pure il pubblico

Mille autori e 500 editori nella «Nuvola»

Il Black Friday e il flop della Nazionale sotto i riflettori di Marketing Media and Money

Italia Oggi
TWITTER: CLASSCNBCMMM
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Si avvicina il Black Friday, il più grande evento consumistico del mondo. È questo uno dei temi principali della puntata di stasera di Marketing Media and Money (canale 507 di Sky, in onda martedì alle 21,05 e in replica mercoledì e sabato alle 10,10 e venerdì alle 13,30). A parlarne sarà Giacomo Trovato, director consumer electronics, Italy and Spain di Amazon, che racconterà anche i preparativi all’ evento del colosso dell’ e-commerce. Altro tema importante sarà il calcio, dove Michele Ciccarese, ceo di GroupM Esp, analizzerà l’ uscita dai Mondiali della Nazionale italiana e le ricadute economiche che avrà ciò sul mondo della comunicazione e dei consumi. Di tutt’ altro genere invece la partecipazione di Giuliano Gherri. Il direttore Marketing di Parmalat sarà infatti ospite della trasmissione per parlare della straordinaria evoluzione del marchio Zymil e della campagna «Un abbraccio al giorno» selezionata da Facebook come caso di studio a seguito degli eccellenti risultati. Chiudono, come sempre, le classifiche dei promossi e rimandati, preparati dai ragazzi in studio.

Bonus réclame, ma non per tutti

Italia Oggi
CINZIA DE STEFANIS
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Il credito d’ imposta del 75% (90% per pmi e start up) per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne pubblicitarie incrementali sulle testate online può essere riconosciuto a patto che queste ultime siano iscritte al tribunale delle imprese e l’ editore iscritto al Roc (registro degli operatori di comunicazione). Per l’ anno in corso, le risorse (pari a 20 mln di euro) potranno essere richieste, già a partire da gennaio 2018, sulla base dei dati consuntivi. Per quelle relative all’ anno 2018 (dote 42,5 milioni di euro) la richiesta sarà a prenotazione sulla base dei singoli budget pubblicitari. Questo è quanto risulta ad ItaliaOggi in merito alle novità contenute nello schema di dpcm sul bonus pubblicità a cui stanno lavorando il dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dello Sviluppo economico e riservato a quei soggetti i cui investimenti supereranno nel periodo interessato dell’ 1% il valore degli di quelli effettuati nell’ anno precedente. Il decreto è attuativo dell’ articolo 57 bis del decreto-legge n. 148 del 2017 che ha previsto dal 24 giugno 2017 l’ avvio del credito di imposta per gli investimenti pubblicitari incrementali sulla stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali. Regolamentazione contenuta nel dpcm «Bonus pubblicità». Col dpcm, dovranno essere definiti: – le tipologie di investimento che danno diritto al beneficio; – i casi di esclusione; – le procedure di riconoscimento, concessione e utilizzo del credito; la documentazione richiesta; – il sistema dei controlli volti ad assicurare il rispetto dei limiti previsti dalla legge. Il credito sarà utilizzabile esclusivamente in compensazione, mediante il modello F24, previa presentazione di istanza diretta al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della presidenza del Consiglio dei ministri. Funzionamento. Il bonus fiscale in investimenti pubblicitari ha la forma di credito d’ imposta. I professionisti, i lavoratori autonomi e le imprese di qualsiasi natura giuridica, potranno beneficiare di un credito d’ imposta dal 75% al 90% massimo, qualora effettuino investimenti pubblicitari su tv, giornali, radio e testate online. Tra i requisiti richiesti per beneficiare del credito d’ imposta pubblicità è quindi quello di effettuare investimenti in campagne pubblicitarie in misura maggiore almeno dell’ 1% rispetto all’ anno precedente. Nel caso in cui poi, l’ investimento pubblicitario sia da parte di micro imprese, piccole e medie imprese e start up innovative, il credito d’ imposta è aumentato al 90% rispetto al 75% previsto per le altre categorie.

Pubblicità online, frodi in crescita ma in Italia sono marginali

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Durante il passaggio dell’ uragano Harvey, ad agosto scorso, sembra che fra i cittadini di Houston ve ne fossero molti intenti a utilizzare applicazioni sugli smartphone, in particolare di filtri fotografici e di musica. Un numero simile di persone stava utilizzando le stesse applicazioni in una cittadina del Montana chiamata Bozeman, a 2.400 chilometri di distanza dall’ uragano. Stranamente entrambi gli abitanti delle due città si sarebbero comportati allo stesso modo. Ancora più stranamente i cittadini di Houston avrebbero continuato a usare quelle applicazioni nonostante la mancanza di energia elettrica, i problemi alle reti cellulari e le procedure di evacuazione in corso. Tutto falso: quegli utenti non erano reali, erano computer che, da qualche parte nel mondo, simulavano l’ utilizzo delle app. Nelle applicazioni erano visualizzati banner pubblicitari e così qualcuno ha guadagnato come se le inserzioni fossero state viste da persone in carne e ossa. Quello di Houston e di Bozeman è stato un esperimento di una società che si occupa di consulenza per il marketing online che ha dimostrato come l’ ad fraud, la frode sulla pubblicità online, esista realmente. La Marketing Science Consulting ha infatti investito per pianificare una pubblicità soltanto nelle due città e per un target di utenti prestabilito, che guarda caso si è palesato nelle stesse applicazioni, almeno stando ai sistemi informatici. Le frodi pubblicitarie sono spesso fatte da società (o da loro intermediari) che hanno propri siti web o app sui quali riescono a convogliare audience fasulla venduta agli inserzionisti come reale. Secondo i dati di Juniper, l’ ad fraud raggiungerà nel 2018 i 19 miliardi di dollari (16 mld di euro) a livello mondiale, 51 milioni di dollari al giorno, ovvero il 9% della spesa pubblicitaria online. Nel 2022 questa cifra salirà a 44 miliardi di dollari (37,4 mld di euro). Per fortuna in Italia il fenomeno è ancora molto marginale. La società di rilevazione comScore ha stimato un 1,16% di traffico invalido su Internet, un fenomeno che comprende diverse tipologie (per esempio anche i motori di ricerca che visitano un sito per indicizzarlo) non solo l’ ad fraud. Negli Usa alla fine del secondo trimestre di quest’ anno la percentuale di traffico invalido era del 7% per la pubblicità display in modalità programmatic (pianificazione automatizzata) e del 4% per la pubblicità a pianificazione diretta ovvero acquisita direttamente su un sito specifico. La percentuale sale di molto sulla pubblicità video programmatic dove si arriva al 10%. Si capisce come le cifre in ballo siano differenti rispetto alle nostre e per questo come soprattutto Oltreoceano abbia fatto notizia qualche settimana fa il fatto che Google, una volta scoperti fenomeni di ad fraud, non rimborsasse l’ intero ammontare dell’ inserzione, ma soltanto il 7-10%, ovvero le sue fee sull’ annuncio (il costo è infatti diviso fra più attori che fanno parte al network pubblicitario della società di Mountain View). Questa politica però è stata cambiata: Google infatti ha annunciato che rimborserà integralmente i clienti che utilizzano la propria piattaforma Doubleclick. In Italia si osserva il fenomeno e ci si prepara. Nel Libro bianco sulla comunicazione digitale presentato lo scorso giugno da IAB Italia, Assocom, Fcp, Fedoweb, Fieg, Netcomm, Unicom e Upa c’ è un capitolo sull’ ad fraud in cui le associazioni dei diversi operatori si impegnano alla massima trasparenza e a contrastare con diversi mezzi le frodi. Fra gli attori che sono impegnati a garantire gli investitori dalle frodi sulla pubblicità online ci sono le agenzie media, che pianificano per conto di questi. «Sul 100% delle nostre campagne», racconta Andrea Di Fonzo, ceo di Blue449, agenzia media di Publicis Groupe, «noi abbiamo un’ ad verification con piattaforme che controllano la bontà dell’ advertising che facciamo e durante i monitoraggi non abbiamo rilevato un aumento del fenomeno. Finche la percentuale di traffico non umano resta fra l’ 1-1,5% è sotto controllo, anche perché questa tipologia non comprende soltanto l’ ad fraud. Ci si deve insospettire se la percentuale sale, ma oggi c’ è una maggiore diffusione degli strumenti di controllo che servono proprio per offrire sicurezza agli investitori». «Il lavoro per garantire che gli investimenti dei nostri clienti non siano intaccati dall’ ad fraud è continuo», dice Valentino Cagnetta, ceo di Media Italia-Armando Testa. «Un grande aiuto ci è dato dalle piattaforme tecnologiche, ma noi usiamo anche il sistema delle white list: non solo le black list che eliminano semplicemente siti sospetti con il rischio che se ne tengano altri fraudolenti, ma una lista di siti affidabili ampia quanto basta per arrivare ai giusti target. Per esempio nel momento in cui abbiamo in lista i primi mille brand di Audiweb già significa pianificare laddove è veramente importante». © Riproduzione riservata.

Piccola e media editoria a +6%

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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Cresce il numero dei piccoli e medi editori nazionali (+6%), aumentano i titoli novità (+1,5%), sale la quota di mercato dei piccoli e medi editori nelle librerie, online e grande distribuzione (è al 34,6%, +7,6% rispetto al 2015): i numeri diffusi ieri mattina a Roma, in occasione della presentazione di «Più libri più liberi», la fiera della piccola e media editoria indicano che la piccola e media editoria si sta ristrutturando e consolidando, pur avendo nelle problematiche distributive e promozionali il suo principale punto debole. Promossa e organizzata dall’ Aie, l’ Associazione italiana editori presieduta da Ricardo Franco Levi, la kermesse sarà ospitata dalla Nuvola dell’ Eur dal 6 al 10 dicembre. E positivi sono anche i numeri della fiera romana: circa 500 gli editori, 100 in più rispetto allo scorso anno, cinque giorni e più di 550 appuntamenti, 200 in più rispetto alla scorsa edizione, per incontrare gli autori, assistere a convegni o performance musicali. L’ edificio, con i suoi 8 mila posti complessivi, consente un aumento degli editori presenti: i metri quadrati dedicati agli editori passano da 2 mila a 3,5 mila. Con un intero piano di 5 mila metri quadrati dedicato agli spazi comuni e agli stand collettivi. Innovazione e internazionalizzazione sono le parole chiave del programma professionale di questa edizione: ampio spazio sarà rivolto alla sperimentazione di formule organizzative alternative rispetto a quelle tradizionali, spesso in anticipo rispetto ai tempi del mercato più generale, e su questo piano, dell’ innovazione, si gioca la sfida a cui la piccola e media editoria è chiamata a rispondere nei prossimi anni. «Più libri, più liberi» vuole potenziare inoltre la vocazione internazionale della piccola e media editoria con il Fellowship Program, il progetto a favore dell’ internazionalizzazione degli espositori che quest’ anno rientra nel progetto europeo Aldus e realizzato grazie anche all’ intervento di Ice, Agenzia per la promozione all’ estero e l’ internazionalizzazione delle imprese italiane e della Regione Lazio per il tramite di Lazio Innova. Il Fellowship porterà in fiera nei primi due giorni una ventina di operatori stranieri da 16 nazioni per far conoscere il meglio della produzione editoriale della piccola editoria e favorire così la cessione di diritti italiani all’ estero. Gli operatori verranno da Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Indonesia, Olanda, Polonia, Regno Unito, Romania, Russia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia, Ucraina. Oltre agli incontri B2B sono collegati al Fellowship, direttamente o indirettamente, diversi incontri professionali e in particolare «Per far viaggiare i vostri libri», in cui vengono presentati i dati aggiornati dell’ indagine import-export diritti realizzati da Aie e Ice Agenzia, e «Portali di scambio. Fiere in America Latina», realizzato in collaborazione con Iila. © Riproduzione riservata.

Diritto d’ autore, polemica tra Repubblica e Mediaset

Italia Oggi

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Botta e risposta tra Repubblica e Mediaset. Oggetto del contendere un articolo pubblicato ieri dal quotidiano del Gruppo Gedi dal titolo «Se il diritto d’ autore diventa strumento di censura». Il pezzo commentava la decisione del Tribunale di Roma, confermata dalla Corte d’ appello, di accogliere le domande di Rti (Mediaset) di rimuovere dal sito del giornale un video del gennaio 2011 trasmesso sulle televisioni del Biscione con le dichiarazioni dell’ allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi in quanto «secondo i legali delle televisioni della famiglia Berlusconi, la pubblicazione del video violerebbe i diritti d’ autore delle proprie clienti». La risposta di Mediaset non si è fatta attendere. «Il titolo è politico, «Se il diritto d’ autore diventa strumento di censura», e l’ impaginazione è nobile, la sezione «Commenti & Idee» del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari», scrive il Biscione in una nota. «Ma i lettori non possono sapere che la firma del pezzo appartiene a un avvocato difensore di Repubblica, Guido Scorza. Un legale che ha sentito il bisogno di usare le colonne del giornale suo cliente per esprimere la propria frustrazione professionale per aver perso una causa importante contro Mediaset sia in primo che in secondo grado. La causa persa è esattamente quella che l’ avvocato descrive – pur senza qualificarsi – in un articolo ovviamente a senso unico. Leggendolo, in effetti, parrebbe che le norme del diritto di autore siano state abilmente manipolate per impedire l’ accesso a uno specifico video del 2011 riguardante Silvio Berlusconi». Per il gruppo televisivo «naturalmente le cose non stanno così. La causa avviata da Mediaset riguarda lo sfruttamento pubblicitario (parassitario e abusivo) da parte del sito Repubblica.it non di un singolo contenuto ma di oltre cento filmati (124) prodotti e distribuiti dalle reti Mediaset. Nessuno dei video in questione», hanno stabilito i giudici in due gradi di giudizio esaminando ogni singolo contenuto oggetto di causa, «costituiva legittimo esercizio del diritto di cronaca o perché proveniente da programmi di puro intrattenimento (come Amici, Zelig e Grande Fratello) o perché (come nel caso citato nell’ articolo) mancante di attualità, essendo stato riprodotto sul web molti anni dopo la prima pubblicazione sulle reti Mediaset». Sempre secondo Mediaset, «la causa nasce per l’ illecito sfruttamento commerciale di quei 124 contenuti, altro dettaglio che l’ articolo dell’ avvocato Scorza dimentica. Si legge infatti nella sentenza che il Gruppo Editoriale L’ Espresso ha espressamente ammesso di aver incassato una somma di poco superiore a 17.000,00 euro dalla vendita di spazi pubblicitari “agganciati” ai video in parola».

Facebook: salgono Messaggero, Sky Sport e TgCom

Italia Oggi

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Nel passaggio da agosto a settembre calano gli utenti che arrivano ai brand degli editori all’ interno dell’ app di Facebook, ovvero ai contenuti visitati direttamente dal browser interno all’ applicazione o nelle Instant Pages del social network. I dati della Survey di settembre di Audiweb danno così ragione agli editori che sottolineano questo fenomeno: nei periodi estivi i navigatori usano soprattutto i cellulari e in questi dispositivi è l’ app del social network a farla da padrona e di qui loro ottengono una buona fetta dell’ audience. Tornando alla vita normale ecco che la quota di in app browsing e Instant Articles si riduce pur restando importante. Così gli utenti di settembre rispetto ad agosto attraverso Facebook sono in calo per molti: Fanpage registra un -13,9%, Repubblica -19,2%, Fatto -14,9%, Corriere della Sera -18,6%, Stampa -5,3%. Ci sono però diversi altri brand che crescono: Huffington Post +9,2%, Messaggero +4,3%, Sky Sport +11,1%, TgCom24 +14,6% (all’ 11esimo dal 13esimo posto), per restare soltanto ai primi in classifica. E a proposito della top ten, mentre Fanpage, Repubblica e HuffPost restano nel podio, il Messaggero sale al quarto dal sesto posto scambiandosi il posto con il Corriere, il fatto è stabile al quinto, così i quotidiani locali del gruppo espresso al settimo e la Stampa all’ ottavo. Sky Sport arriva al nono posto dall’ undicesimo e il Mattino passa al decimo.

Netweek punta sui periodici locali

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Lanciare nuovi magazine locali nel Centro Nord d’ Italia, grazie a 10 nuove testate cartacee in tutto tra Veneto e Toscana, entro il primo trimestre 2018. Pubblicare, prima della fine del 2020, altre 4 testate in Piemonte oltre che al rafforzamento della copertura territoriale in Veneto e Toscana. Il tutto accompagnato dallo sviluppo dei siti online (27 i portali che raggruppano le varie testate su carta) e da una serie di 12 allegati in edicola, verticalmente dedicati a bellezza, casa, motori e cucina. Sono questi i principali binari di sviluppo del primo piano industriale firmato Netweek (ex Dmail group) dopo il concordato (avviato ad aprile 2015 e ora concluso), il riposizionamento sull’ editoria locale (con la previsione di uscita dal mercato retail entro il 2020) e dopo l’ aumento di capitale da 16 milioni di euro. La nuova gestione è affidata al presidente e a.d. Alessio Laurenzano e al vicepresidente Marco Farina che, insieme al fratello e consigliere Gianluca Farina, rappresenta la famiglia azionista di riferimento dell’ editrice, di cui è capostipite Mario Farina, editore tra l’ altro del free press Metro e, nel caso di Netweek, socio all’ 86% circa tramite la società specializzata nella stampa di quotidiani Litosud (il restante 14% è sul mercato). Oggi, Netweek poggia su 62 giornali con 250 mila copie all’ attivo e, tra le più recenti operazioni, conta l’ acquisizione dell’ Eco di Biella, quella del Corriere di Novara e il varo di 5 testate in Veneto. Complessivamente il gruppo è presente in 6 regioni: Valle d’ Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto e Toscana. Ieri il titolo ha chiuso la giornata in Borsa su del 29,4% a 0,27 euro, dopo che sono stati presentati gli obiettivi al 2020 che prevedono: ricavi per circa 34 milioni di euro (a fine 2016 erano intorno ai 27 mln, a fine 2017 la previsione è sui 29 mln) con un cagr (compound annual growth rate, tasso composto di crescita annuale) al 5%, ebitda margin al 10% (dal 3% attuale) e il contenimento dei costi per circa 6 milioni di euro nell’ orizzonte di piano (anche riducendo la spesa sul personale, di cui sono oltre 80 i giornalisti e i grafici-giornalisti e con cui sono state già aperti i tavoli di confronto). Al 2020 il cash flow è atteso intorno ai 4 milioni e, sempre a chiusura del piano industriale, l’ obiettivo a livello di posizione finanziaria netta è l’ azzeramento dei debiti finanziari. In particolare, Netweek non ha messo in programma acquisizioni o iniezioni di liquidità da ricapitalizzazioni, considerando che «il cash flow generato dalla gestione congiuntamente alle linee di credito a disposizione sono sufficienti», secondo le proiezioni aziendali, «sia per sostenere la crescita sia per ridurre progressivamente i debiti finanziari nell’ orizzonte di piano». Da un punto di vista strettamente editoriale, infine, i ricavi da vendite in edicola hanno segnato un -6% nei primi 10 mesi dell’ anno, la raccolta pubblicitaria un +5,8% contro «un calo delle vendite edicola dei periodici del -9% e dei ricavi pubblicitari del -6%» a livello di mercato, hanno sottolineato dalla stessa editrice. Per sostenere i ricavi, quindi, Netweek punta sia sulle nuove pubblicazioni cartacee sia sulle loro edizioni online che vogliono raggiungere i 25 milioni di pagine viste al mese, entro il 2020. Sempre su internet, nelle intenzioni del gruppo, parte del fatturato arriverà anche dalla vendita di servizi marketing per le pmi presenti nei territori presidiati. A corredo dei magazine locali (sia sul fronte delle vendite sia su quello pubblicitario) ci saranno infine mensili allegati gratuitamente di cui In Casa è stato il primo esempio, lanciato nel giugno 2017. Adesso sono in rampa di lancio In Cucina, In Salute e In Motore. © Riproduzione riservata.

Good Films rivede l’ utile

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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I fratelli Ginevra e Lapo Elkann, nel 2012, erano partiti con la casa di produzione e distribuzione Good Films, controllando il 60% ma facendosi da subito affiancare dai veri grandi esperti di cinema Francesco Melzi d’ Eril (ex Mikado) col 30% e dalla casa di produzione Wildside con il 10%. Dopo una partenza brillante (per esempio distribuendo il film Dallas buyers club, premio Oscar 2014) le cose, nel 2014 e soprattutto nel 2015, hanno iniziato a traballare (con 1,18 milioni di perdite 2015), e un trend negativo proseguito nei primi mesi del 2016, nonostante un catalogo anche prestigioso, con titoli come The Lobster, Anime nere o Non essere cattivo. Insomma, per ripianare il passivo complessivo salito a 1,66 milioni di euro è stato necessario un aumento del capitale a un milione di euro sottoscritto solo da Ginevra (85%) e Lapo (15%) Elkann, e la conseguente uscita di entrambi i soci esperti di cinema (anche se Melzi d’ Eril è rimasto come consigliere di amministrazione). Sarà la casualità, la fortuna, oppure il fiuto di Ginevra Elkann (che di Good Films è presidente), ma senza Wildside e l’ ex Mikado già nell’ esercizio 2016 le cose sono migliorate molto: il bilancio di Good Films si è chiuso con un valore della produzione a quota 10 milioni di euro, rispetto ai 7,9 milioni del 2015 (+26,6%), e un piccolo utile per 41 mila euro. Certo, c’ è stata l’ operazione straordinaria di ripianamento delle perdite in corso di esercizio, ma i ricavi si sono sviluppati molto bene, sia per l’ andamento dei film al botteghino, sia per il rinnovo dell’ accordo triennale con Sky. Nel corso del 2016 hanno funzionato i titoli Il labirinto nel silenzio, Nemiche per la pelle, Escobar, Agnus dei, Captain Fantastic; risultati inferiori alle attese, invece, spiegano da Good Films, per le due pellicole Colonia e Demolition, che comunque hanno attirato l’ interesse delle pay tv. Rimane un po’ alta la struttura dei costi (9,7 milioni di euro nel 2016) e l’ ammontare dei debiti (9,9 mln, di cui 2,2 milioni con le banche). Però il momento di difficoltà sembra alle spalle e le prospettive di Good Films paiono buone. Nel 2017 ha distribuito i film Parigi può attendere, The Circle, Mal di pietre, La parrucchiera, Il padre d’ Italia. E a fine giugno la società romana aveva nove dipendenti in carico. © Riproduzione riservata.

Un blog non basta come fonte per evitare la diffamazione. La Cassazione condanna un giornalista che aveva ripreso solo un blog (mai smentito e ripreso anche da altri): la notizia va verificata incrociando più fonti

Prima Comunicazione

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Non si salva dalla condanna per diffamazione il giornalista che riprende una notizia da un blog senza verificarla con l’ incrocio di più fonti come i quotidiani, e facendo affidamento sul fatto che non è mai stata smentita e che il suo contenuto è stato rimbalzato anche da altri siti. Lo afferma la Cassazione confermando la condanna nei confronti di un cronista autore di un libro sui movimenti di estrema destra italiani che aveva scritto che un neofascista milanese era stato accusato di tentato omicidio per aver sparato alcuni colpi di pistola, per futili motivi, al suo datore di lavoro. (Ansa) La questione ben spiegata da Lettera 43: http://www.lettera43.it/it/articoli/cronaca/2017/11/17/diffamazione-giornalista-condannato-notizia-falsa-ripresa-blog/215749/

Debutta in edicola Sport Tribune di Milano Fashion Library. A gennaio il secondo numero con ampio spazio agli sport invernali

Prima Comunicazione

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Debutta in edicola martedì 21 novembre Sport Tribune con il suo allegato Soccer Illustrated. La nuova pubblicazione periodica bimestrale di Milano Fashion Library avrà un costo di 2,50 euro per una foliazione di 96 pagine complessive delle quali 30 di pubblicità a cui si sommano le due operazioni Ispo e Ficts – Federation Internationale Cinema Television Sportifs attraverso cui Sport Tribune e Soccer Illustrated sono stati media partner dell’ evento milanese “Sport Movies & Tv”. La diffusione edicola ricalca quella di un altro magazine di Milano Fashion Library (Riders) co 45mila copie a cui per i primi due numeri è stata aggiunta una distribuzione free presso 100 club di alto profilo dello sport amatoriale. Il layout grafico di Sport Tribune si ispira alle edizioni week end dei grandi quotidiani anglosassoni. Le prime 48 pagine sono dedicate a tutti gli sport tranne il calcio a cui invece viene interamente destinato Soccer Illustrated con altre 48 pagine. Le illustrazioni sono tutte grafiche realizzate attraverso numerosi disegnatori, mentre alla parte fotografica sono riservate solo le 8 pagine centrali del magazine. Il secondo numero di Sport Tribune e Soccer Illustrated verrà pubblicato i primi giorni di gennaio, con particolare attenzione agli sport invernali e alle Olimpiadi Invernali di PyeongChang (Corea del Sud) dall’ 8 al 25 febbraio. Il numero avrà una distribuzione supplementare presso tutte le località del turismo invernale: Corvara, Courmayeur, Sestriere, Cervinia, Bormio, Livigno, Madonna di Campiglio, Cortina fino a St. Moritz.

I diritti tv valgono già la metà può vincere Uva, uomo di Agnelli

Il Fatto Quotidiano
Paolo Ziliani
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Per prima cosa un bel segno di croce. Poi un’ occhiata all’ istantanea. Quella del calcio italiano che oggi, 21 novembre dell’ anno di (dis)grazia 2017, vede da un lato un presidente Figc fresco di dimissioni (Tavecchio) in piena operatività nelle funzioni di commissario della Lega di Serie A e di Serie B, e dall’ altro un presidente del Coni (Malagò) intenzionato a commissariare il commissario (e la sua Figc), impedendo a Tavecchio di gestire i 90 giorni di prorogatio della propria istituzione necessari per portarla a nuove elezioni. Considerando che gli estremi per commissariare la Figc, a norma di statuto, non ci sarebbero (Malagò tenta la forzatura parlando di “contesto eccezionale” determinato dalla catastrofe dell’ Italia non qualificata al Mondiale) e che Tavecchio, scaricato come un cane in autostrada, minaccia con la bava alla bocca di rivolgersi al Tar del Lazio per far valere le garanzie di legge e rimanere comunque in sella, i nuvoloni che aleggiano sul pianeta pallone invece di diradarsi potrebbero, addirittura, trasformarsi in ciclone e mietere nuova distruzione. Detto en passant (ma neanche troppo): lunedì prossimo, il 27, l’ assemblea di Lega voterà il nuovo bando per l’ asta dei diritti-tv chiusasi a giugno con un fiasco colossale (490 milioni di offerte contro il miliardo cui i presidenti puntavano). Entro il 15 dicembre verranno aperte le buste e anche se pochi ne parlano, dopo l’ Apocalisse 1 (Italia fuori dal mondiale) potrebbe avvenire l’ Apocalisse 2: la sparizione dei soldi dei diritti, che da sempre tengono in piedi il baraccone, visto che il prodotto “Calcio Italia” ha subito un ulteriore, drammatico deprezzamento e visto che Mediaset, impegnata nel contenzioso con Vivendi per la querelle della cessione, poi abortita, di Premium, si ritrova nelle stesse condizioni di giugno, quelle che fecero dire a De Siervo, Ad di Infront (l’ advisor della Lega): “Se non andasse in porto il polo Vivendi-Telecom-Mediaset, il canale della Lega sarebbe l’ unica ipotesi possibile”. E infatti: nel bando che lunedì 27 sarà presentato ai presidenti, ci sarà spazio anche per il tanto temuto (dai club) Piano B denominato “Lega Channel”: un progetto con rischio d’ impresa altissimo e di complicata realizzazione, visto che richiederebbe un partner industriale (Discovery?), un partner finanziario ( JP Morgan? Merrill Lynch?), il noleggio delle frequenze di Sky e Mediaset, la creazione di una redazione assemblata pescando tra i professionisti delle due emittenti e, buon ultimo, il problema dell’ accordo sulla divisione degli utili tra tutti i soggetti in campo (compreso Infront). Detto un bel Pater Ave Gloria, domani Malagò annuncerà il commissariamento della Figc. Il commissario potrebbe essere proprio lui in persona, ma c’ è chi parla (tenetevi forte) di un ritorno stile-zombie di Franco Carraro detto Il Collezionista (di poltrone), per l’ esattezza il presidente Figc ai tempi di Calciopoli che in questi giorni è uscito dal loculo con un libro-autobiografia in cui, tra le altre cose, dice che Moggi non era poi quel furfante che i giudici ci hanno fatto credere. E il nuovo presidente Figc? Per nominarlo c’ è tempo, ma segnatevi questo nome: Michele Uva. Nel 2013 direttore generale del Coni, nel 2014 direttore generale della Federcalcio, dall’ aprile 2017 membro del board Uefa. Difese la Juve dalla Commissione Antimafia e grazie a lui Agnelli e Tavecchio, un tempo nemici, avevano cominciato ad amoreggiare. Scommettiamo che?

Fazio crolla e non lo sa: peggior risultato di sempre ma ringrazia pure il pubblico

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Niente da fare, Fabio Fazio sprofonda sempre di più. Domenica scorsa Che tempo che fa ha battuto il suo record negativo stagionale, con il 13,2% nella prima parte del programma e il 12,5 nella seconda, quando gli ospiti si riuniscono intorno al tavolo, creando l’ ormai noto “effetto acquario”. Un trend in continua discesa, quella del popolare conduttore, che era partito superando il 18% per poi scendere senza soluzione di continuità. Una settimana fa si era attestato sul 14,1% e il 13,9. Non ha riacquistato spettatori nemmeno con il calo di Massimo Giletti: la seconda puntata di Non è l’ arena, su La7, si è infatti fermata al 6,3%, con 1 milione e 326 spettatori, segno che nella prima ha può aver giocato “l’ effetto attesa”. Molto bene le Iene, che registrano il 9,8%, ma la vera sciagura per Fazio è la nuova fiction di Canale 5, Rosy Abate, che sta facendo meglio anche di quella precedente con Gianni Morandi: 19,1% di share. Nonostante il trend negativo, Fazio tira dritto come niente fosse. “Grazie ai 3 milioni e mezzo di telespettatori che ieri sera hanno visto Che tempo che fa”, ha twittato ieri. E a quanto pare nessun correttivo è in vista nella fattura del programma. Se infatti a Domenica in i bassi ascolti (domenica 11% contro il 16,3% di Domenica live) hanno indotto a qualche correttivo che ha fatto riguadagnare punti, a Che tempo che fa non cambierà nulla, nonostante la schiera di autori ben pagati contrattualizzati da Officina. E gli inserzionisti pubblicitari non ne sono di certo felici. Da Viale Mazzini spiegano che l’ allarme rosso non è ancora scattato, perché la soglia di garanzia non è ancora stata superata. Ma una certa preoccupazione da parte dell’ ad di Rai pubblicità Fabrizio Piscopo c’ è. Quindici secondi di spot nella prima parte del programma, infatti, sono venduti dalla Rai a 90 mila euro, che scendono a 19 mila e 800 nella seconda parte. Tra i 25 e i 29 euro per ogni mille contatti. Sponsor che potrebbero esigere la rinegoziazione degli accordi. Anche se in questi casi di solito scatta una sorta di risarcimento tramite spot elargiti gratuitamente e spalmati sui palinsesti. Comunque sempre soldi persi. “Lo spostamento su Rai1 si sta rivelando un clamoroso flop: Fazio fa gli stessi spettatori dell’ anno scorso su Rai3. Precipitare al 13% significa dover risarcire gli inserzionisti, che per la prima serata della domenica acquistano spazi con media garantite ben maggiori”, osserva il deputato dem Michele Anzaldi. Nel frattempo la Rai si prepara alla campagna elettorale con due novità. La prima è l’ ufficializzazione della partenza, a metà gennaio, di un nuovo talk in quota centrodestra condotto dalla coppia Annalisa Bruchi (Night Tabloid) e Giancarlo Loquenzi (Zapping su Radiouno). Il nuovo programma, ancora senza nome, andrà in onda il giovedì in prima serata su Rai2, nello spazio che fu di Virus. Ma qualcuno dentro Forza Italia storce il naso, perché considera i due conduttori “non ascrivibili al centrodestra, ma semmai vicini al governo e a Matteo Renzi”. L’ altra notizia riguarda i sondaggi. La Rai ha presentato un bando di gara europeo (con scadenza il 6 novembre scorso) per la realizzazione di sondaggi politico-elettorali per il biennio 2018-2020, a partire dalle Politiche. La cifra è notevole: 5.394.000 euro più Iva. I partecipanti dovevano rispondere a certe caratteristiche, come aver già svolto sondaggi elettorali per emittenti nazionali, e dovranno garantire anche servizi di exit poll e proiezioni. A quanto si sa, in Viale Mazzini sono state aperte le buste e si sta valutando se i partecipanti hanno le caratteristiche richieste. Dopodiché verrà istituita una commissione che sceglierà l’ offerta migliore secondo il rapporto qualità/prezzo. Positivo è che si scelga con un bando e non a chiamata diretta – fa notare un addetto ai lavori – ma il rischio è però quello di avere poi un solo istituto a fare tutti i sondaggi su ogni rete.

Mille autori e 500 editori nella «Nuvola»

Corriere della Sera
LAURA MARTELLINI
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Più libri più liberi , stavolta a far parlare di sé è anche la cornice: la Fiera della piccola e media editoria, alla sedicesima edizione, dal 6 al 10 dicembre riempirà di stand ogni piano della «Nuvola» (info: plpl.it). Le immense vetrate dell’ edificio dell’ Eur, progettato dall’ architetto Massimiliano Fuksas, si offriranno per la prima volta al pubblico (finora sono stati ospitati incontri congressuali) con una rassegna, curata dall’ Associazione italiana editori, mai così ricca, anche in virtù del maggiore spazio disponibile. Circa 500 gli editori (cento in più rispetto allo scorso anno) e 550 gli appuntamenti. Una crescita che va in parallelo con quella del settore, nonostante permangano punti deboli nella distribuzione e nella promozione: più 6% di piccoli e medi editori nazionali, maggiori novità (più 1,5%) e aumenta anche la quota di mercato (34,6, oltre 7 punti di percentuale in più rispetto al 2015). La Nuvola, a polemiche non ancora sopite per via delle lungaggini nella realizzazione (ma il colpo d’ occhio offerto ai visitatori costituirà un’ ulteriore attrattiva) sarà palcoscenico per diversi focus sulla legalità, tema principale di questa edizione. Il presidente del Senato, Pietro Grasso, interverrà all’ apertura (ore 12.45), ospite di Speciale quante storie (Raitre) di Corrado Augias. Poco prima (11.45) sarà protagonista dell’ incontro Politica e antimafia . Di giustizia e corruzione parleranno Vincenzo Visco, Raffaele Cantone e Giovanni Bianconi. Un’ attenzione per l’ attualità confermata da un secondo approfondimento sui diritti umani: tra gli ospiti, il 10, Sergio Maldonado, fratello di Santiago, la cui morte ha riaperto in Argentina la ferita dei desaparecidos . Oltre mille gli autori, anche internazionali, a ribadire la forza d’ attrazione della fiera romana. Pronti a raccontarsi Luis Sepúlveda, Margo Jefferson con il mémoir afroamericano Negroland , l’ argentino Alan Pauls e Guus Kuijer, fra i più popolari scrittori olandesi. Fra gli italiani presenti, con i loro nuovi libri o come relatori, Andrea Camilleri, Walter Siti, Roberto Saviano, Marco Malvaldi, Francesca Comencini, Teresa Ciabatti. Dedicato a Roma l’ incontro fra Gigi Proietti e l’ ex sindaco della città Walter Veltroni, a colloquio il 10 dicembre. Spazio infine, ed è la prima volta, all’ editoria fotografica.

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