Indice Articoli
Il legale vinceva e i risarcimenti di «Libero» li incassava lui
La televisione pubblica non può dipendere dal tempo che fa
Sexgate anche all’ italiana: “Molestata da Tornatore”
Grazie a “Si muore tutti democristiani”, si ride anche con gli youtuber
«Repubblica» censura le vere ragioni della Gabanelli
Intervista inedita in ricordo di Enzo Biagi
Camilleri:Il mistero del nuovo libro scritto solo per gli amici
Il faccia a faccia tv Berlusconi-Costanzo è stato molto deludente per il Cavaliere
Bbc, 1.000 ore di sport in più
For Men, spot e un evento per il calendario 2018
Servizio pubblico come in Nuova Zelanda
Sky Italia, un autunno col botto
Chessidice in viale dell’ Editoria
Requiem per la gloriosa seconda serata tv
Renzi dà l’ Isola per persa e sfida in tv anche Silvio e Matteo
Occhio al telecommando
Tra mille canali tv il servizio pubblico serve ancora?
Antonio Angelucci condannato a un anno e 4 mesi per tentata truffa e falso per i fondi di ‘Libero’ e ‘Riformista’
Il legale vinceva e i risarcimenti di «Libero» li incassava lui
Corriere della Sera
di Luigi Ferrarella
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La casa editrice del quotidiano Libero tenuta ignara nel 2007-2012 di alcune cause legali nelle quali aveva vinto denaro incamerato invece proprio dall’ allora suo avvocato: è quanto attesta la sentenza del Tribunale di Milano che in primo grado condanna l’ avvocato Vincenzo Vitale (ex magistrato, ex docente della Cattolica, filosofo del diritto, nel 1994 vicecapo di gabinetto del ministero della Giustizia, ex columnist di temi giudiziari su Il Giornale , Libero , Il Giornale di Sicilia ) a 1 anno e 5 mesi per appropriazione indebita e patrocinio infedele, con sospensione condizionale della pena subordinata però all’ integrale pagamento di 65.000 euro di provvisionale sui danni da stabilire in sede civile. Il processo nasce dalla denuncia di Alfredo Baldisseri, all’ epoca liquidatore della società «Adri srl» (già «Adri spa», già «Vittorio Feltri Editore spa») che appunto editava il quotidiano Libero . Lo stimato avvocato Vitale aveva dal 2001 una procura alle liti in bianco, che per un compenso globale di 10.000 euro al mese gli dava il potere di firmare transazioni e riscuotere denaro per conto della società editrice nelle cause legali del giornale. Quando però la «Adri» cede l’ azienda e i diritti editoriali sul quotidiano Libero , con la nuova gestione inizia un rimpallo di pretese e recriminazioni, e i nuovi avvocati Comanducci e Grassi, lamentando che Vitale rifiuti di consegnare le carte sui processi pendenti, nel 2012 avviano un’ autonoma ricerca presso i difensori delle controparti a loro note. Così, quasi per caso, emerge che c’ erano stati processi nei quali Libero aveva ottenuto transazioni o restituzioni di risarcimenti che però l’ avvocato di Libero aveva incassato sul proprio conto corrente personale senza riversarli alla casa editrice. In aula l’ avvocato ha sostenuto di averli trattenuti a compensazione di asseriti mancati pagamenti da «Adri», dicendosi stupito ed indignato per le accuse rivoltegli, e annunciando a sua volta denunce per calunnia. Il giudice Luigi Varanelli ha però ritenuto questa tesi smentita dai documenti in atti, a suo avviso, provanti la «volontà di distrarre le somme percepite dalle controparti processuali della propria assistita Adri, tenendola sistematicamente all’ oscuro della gestione del rapporto professionale».
La televisione pubblica non può dipendere dal tempo che fa
Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“Non esiste controllo sulla memoria” (da “Io una volta abitavo qui” di Jean Rhys – Adelphi, 2017 – pag. 18) L’ uscita di Milena Gabanelli è la classica punta dell’ iceberg che segnala la crisi in cui versa il servizio pubblico. Un sintomo rivelatore, un marker che denuncia il processo degenerativo in atto. Non solo e non tanto per il valore professionale della prima conduttrice di Report, quanto per l’ identità della sua trasmissione di rottura e di denuncia, per il suo modo di intendere il giornalismo della tv pubblica. All’ interno della Rai, quello della Gabanelli è stato un modello – certamente non l’ unico e speriamo neppure l’ ultimo – di un’ informazione che vuole fare contro-informazione. Non nel senso di una contrapposizione pregiudiziale al potere, bensì nell’ accezione anglosassone del watch dog, del cane da guardia: cioè del controllo del potere e dei poteri. Da Sergio Zavoli a Enzo Biagi, da Andrea Barbato ad Angelo Guglielmi, la memoria storica dell’ azienda può vantare legittimamente numerosi precedenti. Eppure, oggi – sotto la direzione generale di Mario Orfeo – la Rai sembra amorfa, narcotizzata, in stato catatonico. Siamo arrivati al punto che secondo un articolo del settimanale L’ Espresso, a firma di Beatrice Dondi, bisognerebbe “ringraziare il programma di Fabio Fazio” perché nelle ultime puntate ha affrontato temi di rilevanza sociale come il “caso Regeni” e lo Ius soli. In polemica con chi recentemente ha attaccato Che tempo che fa per il flop degli ascolti, l’ esimia collega contesta queste critiche e finisce per difendere il conduttore-artista dalle accuse di “guadagnare troppo” (2,8 milioni di euro l’ anno). A suo parere, “è doveroso invece pretendere che un servizio pubblico che abbia il coraggio di definirsi tale, provi per una volta a trattare un macigno come il caso Regeni in prima serata rivolgendosi alla platea della prima rete nazionale”. Sul ruolo e sulla funzione della radiotelevisione pubblica, la giornalista dell’ Espresso sfonda non una porta, ma un portone aperto. Non si tratta, quindi, di attaccare o difendere Fazio e la sua trasmissione più o meno “artistica”. Né tantomeno di fargli i conti in tasca, per criticare o magari invidiare il suo maxi-compenso. Si tratta, piuttosto, di valutare se questo o altri “investimenti” del servizio pubblico, giustificati proprio in ragione del presunto ritorno pubblicitario, rendono o meno in termini di audience e di spot. E a quanto pare, non è così: tant’ è che il suo talk-show “meteorologico” su Rai1 è stato sospeso per due domeniche consecutive. L’ Autorità anticorruzione ha già chiesto all’ azienda la documentazione sul cachet d’ oro di Fazio, per verificarne la compatibilità con il “tetto” imposto ai dipendenti pubblici. E ora sarà la Corte dei Conti, dopo la decisione di aprire un’ indagine sulla congruità del contratto di Bruno Vespa e sulle spese per le trasferte della presidente Monica Maggioni, a pronunciarsi anche su questi altri due casi. Non c’ è da fare un processo alle persone, bensì da mettere sotto controllo una gestione che – è proprio il caso di dirlo – fa il bello e il cattivo tempo a suo piacimento. Ma è davvero paradossale assistere a certe difese d’ ufficio da parte di chi contesta le critiche alla trasmissione di Fazio, giuste o sbagliate che siano, mentre gli ascolti e gli spot deperiscono. È la nemesi del mercato. Quando la televisione pubblica affida le proprie sorti alla raccolta pubblicitaria, è fatale che la qualità della produzione – e in particolare quella dell’ informazione – ne risentano.
Sexgate anche all’ italiana: “Molestata da Tornatore”
Il Fatto Quotidiano
Andrea Valdambrini
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Giuseppe Tornatore avrebbe molestato Miriana Trevisan. All’ edizione italiana del settimanale Vanity Fair la showgirl – oggi ha 44 anni – rivela come il regista siciliano, premio Oscar per Nuovo Cinema Paradiso (1988), la inseguì fuori dal suo ufficio, cominciando a baciarla e spingendola contro il muro. L’ episodio, sostiene l’ ex di Non è la Rai risale a circa 20 anni fa, quando il suo agente le aveva organizzato un appuntamento con Tornatore in vista dell’ eventuale partecipazione al film La leggenda del pianista sull’ Oceano. “C’ era una segretaria che mi accolse ma poi se ne andò. Rimanemmo soli – racconta Trevisan – dopo qualche chiacchiera, quando ci stavamo salutando, mi chiese di uscire con lui per mangiare una pizza. Io risposi che avevo già un impegno, lo ringraziai e mi alzai per andarmene. Lui mi segui fino alla porta, mi appoggiò al muro e cominciò a baciarmi collo e orecchie, le mani sul seno, in modo abbastanza aggressivo. Ero entrata pensando di fare un film con un premio Oscar sono uscita sentendomi uno straccio”. Tornatore, 61 anni, è il primo nome che spunta fuori dalle rivelazioni sugli abusi sessuali emerse in seguito al caso Weinstein. In occasione delle denunce di Asia Argento sulle violenze subìte da parte del produttore Harvey Weinstein erano emersi i nomi del responsabile italiano di Miramax Fabrizio Lombardo, mentre anche la moglie di allora, Claudia Gerini, era finita nel mirino delle denunce di un’ attrice. Nei giorni scorsi, la trasmissione televisiva Le Iene ha raccolto testimonianze di attrici italiane, ma nessun regista era stato finora nominato. Proprio Miramax, la società fondata da Harvey e Bob Weinstein ha prodotto Nuovo Cinema Paradiso e altre pellicole del regista di Bagheria. E il caso Weinstein non si ferma. Ieri l’ attrice Paz de la Huerta ha affermato di essere stata violentata due volte a New York dall’ ex boss della Miramax nel 2010, quando lei aveva 25 anni. La nuova denuncia arriva ancora dalle colonne di Vanity Fair e la donna, che ha recitato nella serie tv Boardwalk Empire, afferma di essere stata forzata a fare sesso dopo che Weinstein le aveva offerto un passaggio a casa; prima le aveva chiesto di poterla accompagnare fin dentro casa, poi l’ aveva buttata sul letto. “È un maiale, mi ha stuprata”, ha detto. Le accuse contro Weinstein, che nega tutto, sono ormai decine, ma in questo ultimo caso potrebbero anche avere uno sviluppo di tipo giudiziario. La polizia di New York “è informata dei fatti e sta indagando”, ha affermato un portavoce, che non esclude gli estremi dell’ arresto. Anche Kevin Spacey non ha tregua. Dagli Usa arrivano accuse di molestie dallo staff di House of Cards. A Londra (dove l’ attore ha diretto per 11 anni l’ Old Vic Theatre), un uomo rivela al Sun di essere stato stuprato da Spacey nel 2008, a 23 anni, e di aver presentato denuncia a Scotland Yard.
Grazie a “Si muore tutti democristiani”, si ride anche con gli youtuber
Il Fatto Quotidiano
Fed. Pont.
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L’ insuccesso è consolidato. Il temibile Game Therapy (Lorenzo Ostuni, Federico Clapis, Leonardo Decarli e Daniele Sodano) del 2015, il disgraziato Sempre meglio che lavorare dei The Pills l’ anno scorso, flop clamorosi quanto prevedibili: l’ equazione successo sul Web uguale successo al cinema non solo non sta in piedi, non paga nemmeno. Eppure, ci si ricasca: alla Festa del Cinema, nella parallela Alice nella Città, altri youtuber si fanno sotto. In attesa del verdetto, peraltro appellabile, del pubblico, le analogie tra The Jackal e Il terzo segreto di satira non si sprecano. Con Addio fottuti musi verdi (dal 9 novembre in sala) i primi accoppiano Napoli e fantascienza, creatività e precarietà, senza tradurre i fortunati clippini in una sceneggiatura degna di tal nome, bensì puntando sulla comunione esoterica con i propri adepti, se così vogliamo spiegare le tre risatine che concedono al pubblico non eletto in 93 minuti. Che poi, sia chiaro, la colpa non è loro, ma di chi li produce (Cattleya con Rai Cinema) ritenendo che le dimensioni non contino, e nemmeno formati e supporti: non capire un tubo, anzi, non capire il Tubo. Ma un’ eccezione c’ è, e apre la via nazional-popolare al sottogenere “youtuber al cinema”: Si muore tutti democristiani, titolo peraltro condivisibilissimo. Produzione Beppe Caschetto con Rai Cinema, firma il collettivo che fa di Fatima satira, ma senza strafare: accostando l’ inedito medium si fa assistere in sceneggiatura dall’ esperto Ugo Chiti, per dare drammaturgia e solidità narrativa a un’ ironica commedia a tema sociale e precipitato sociologico. Come nei musi verdi protagonisti sono dei giovani che tirano a creare sul fronte audiovisivo, ma qui l’ etichetta “film per tutti” è esibita, non ci sono consorterie di senso e ammiccamenti inter nos, bensì risate ad ampio raggio. C’ è chi “paraculo” ha sposato la figlia di un mobiliere, chi si dilania sulla liceità morale di un documentario, chi doveva andare al G8 di Genova ma preferì fare il bagno a La Spezia e chi, i sindacati, vorrebbe uno spot per il Primo Maggio innovativo ma le coppie gay con figli anche no. Sì, si ride.
«Repubblica» censura le vere ragioni della Gabanelli
Il Giornale
di; Giancarlo Mazzuca
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di Giancarlo Mazzuca Mi trovo particolarmente d’ accordo con l’ editoriale di ieri di Alessandro Sallusti: le streghe son tornate. In tempi di Halloween, il fatto potrebbe anche sembrare normale ma, in questo caso, il direttore si riferiva al quotidiano la Repubblica che, alla vigilia delle elezioni siciliane, sentendo odore di bruciato, ha ricominciato a sparare ad alzo zero, dopo un periodo di tregua, contro Silvio Berlusconi definendolo «l’ impresentabile». Certo, «è la stampa, bellezza!», come diceva Humphrey Bogart, ma c’ è modo e modo di fare informazione. E, a conferma di quanto oggi sia attendibile certa stampa, vi racconto un piccolo episodio personale che riguarda la Rai di cui sono consigliere d’ amministrazione. Conosciamo tutti gli ultimi sviluppi della vicenda della Gabanelli che, dopo un lungo braccio di ferro con la Rai, non ha accettato le offerte di viale Mazzini e si è dimessa in polemica con i vertici aziendali. In un’ intervista rilasciata proprio a Repubblica, la giornalista bolognese (ricordo quando su Report condusse un’ inchiesta sui giornali attendibile) ha cercato di addossare tutte le colpe sulle spalle dei consiglieri di minoranza (Arturo Diaconale e il sottoscritto) e mi ha tirato in ballo come «il consigliere Mazurca, o come si chiama». In effetti, in gennaio avevo obiettato sul fatto che il precedente dg, Antonio Campo Dall’ Orto, non aveva informato preventivamente il consiglio sulla sua nomina ma i miei dubbi d’ allora non erano certo legati all’ indubbia professionalità della collega, tanto è vero che in seguito, a differenza di altri, ho sempre difeso l’ operato di Milena. Anche per questo il «Mazurca o come si chiama» mi è sembrato una caduta di stile così grossolana e gratuita che mi ha molto amareggiato. Se ne è resa conto pure la Gabanelli che, all’ indomani della sua intervista, ha mandato una precisazione al quotidiano romano in cui affermava di non aver mai storpiato il mio nome. Tutto bene, tranne un piccolo particolare: «Mazurca», nella lettera scritta da Milena, diventa «Mazzucca», che è pur sempre un’ altra storpiatura perché il mio cognome ha una sola «c». Sono io, a questo punto, che mi rivolgo a Repubblica: dopo avere ringraziato Milena del chiarimento (anche se, poi, ha ribadito di non condividere la mia posizione assieme a quella del collega Arturo Diaconale diventato, in un primo momento, «Diagonale»), aggiungevo, in un secondo capoverso, che Milena aveva, comunque, continuato a storpiare il mio cognome. Come d’ incanto, quest’ ultima parte, che dava il senso della mia lettera, sull’ edizione di ieri di Repubblica è sparita: un solerte giornalista aveva tagliato al punto giusto e la «mail» si è, così, trasformata in un inno sperticato a Milena con un titolo particolarmente significativo: «Grazie Gabanelli». Che fare? A questo punto, quasi quasi vado all’ anagrafe e, per accontentare Repubblica e Milena, mi faccio davvero cambiare il cognome in Mazzucca: sale in zucca con questa informazione.
Intervista inedita in ricordo di Enzo Biagi
Il Giornale
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A dieci anni esatti dalla scomparsa di Enzo Biagi, Raitre ricorda il grande giornalista con uno Speciale realizzato da Loris Mazzetti dal titolo: Enzo Biagi Testimone del tempo. Il giornalista racconta di sé, della sua tv, di come dovrebbe essere la televisione, del rispetto che un giornalista deve portare per chi la guarda e del suo amore per la Rai. Un’ intervista che Mazzetti ha realizzato nel 2004, e che va in onda per la prima volta, lunedì in seconda serata su Raitre. Biagi entrò in Rai nel 1961 come direttore del Telegiornale, mise alla conduzione un giornalista al posto dell’ annunciatore, portò come collaboratori due amici: Indro Montanelli, che parlò di Trotsky e Stalin e Giorgio Bocca. Arrivarono le prime contestazioni politiche che hanno accompagnato il giornalista in tutta la sua carriera.
Camilleri:Il mistero del nuovo libro scritto solo per gli amici
Il Messaggero
CARLO OTTAVIANO
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IL CASO Chissà se almeno Salvo Montalbano, commissario di polizia a Vigata, riuscirà a svelare il mistero? Il problema è che il giallo da risolvere, stavolta, non è tra le righe di un romanzo di Andrea Camilleri, ma è lo stesso romanzo. Che nei giorni scorsi è arrivato a 1500 amici dell’ anziano autore siciliano: giornalisti, critici letterari, editori, altri scrittori, docenti universitari, attori, registi, addirittura vecchi compagni di liceo. Non una copia – la prova della pistola fumante viene però fuori, in un gioco di società dove tutti si sentono vincolati alla fedeltà e alla sottile soddisfazione di trovarsi nel novero ristretto degli amici dello scrittore. C’ è addirittura chi ha pubblicato su Facebook la foto della copertina del libro, salvo cancellarla poche ore dopo. PARTICOLARITÀ Le prime copie di Parla, ti ascolto – questo il titolo – sono apparse il giorno del novantaduesimo compleanno di Camilleri, il 6 settembre. Poi, pian piano, sono iniziate ad arrivare casa per casa con un biglietto vergato di pugno dallo scrittore: «Ho il piacere di farti avere questo libro che vorrei leggessero solo i miei amici». Una scelta precisa, quindi; un invito con quel «solo i miei amici» – garbatamente sottinteso a non prestarlo, a non parlarne, e anzi a custodirlo gelosamente. Una discesa nella clandestinità per lo scrittore più venduto in Italia (oltre 30 milioni di copie), il più tradotto all’ estero (120 lingue), il più prolifico (103 romanzi), conosciuto da tutti grazie anche allo straordinario successo televisivo del suo Commissario Montalbano. Essendo anche lo scrittore più citato e intervistato dai giornali italiani, tanto di cappello per essere riuscito a custodire fino a oggi il segreto del nuovo romanzo. Chi l’ ha letto ha confessato di averlo fatto tutto d’ un fiato e ne ha apprezzato la pulizia di un testo privo di giochi linguistici e del dialetto d’ invenzione tanto caro a chi ama Catarella & Co. L’ edizione in proprio è quasi una rivincita sulle origini: nel 1978, non trovando nessuno disposto a puntare su di lui, Camilleri pubblicò a sue spese Il corso delle cose. Oggi qualunque editore italiano farebbe carte false per annoverarlo tra i propri autori. Sellerio, Mondadori, Rizzoli, Giunti, Chiarelettere: chiunque l’ abbia fin qui pubblicato ha riscosso grandi soddisfazioni economiche, come del resto lo stesso scrittore. E invece lui ha deciso di fare da sè, stampando il volume a Milano da Campi 1898, rinunciando a una sicuramente enorme cifra di diritti d’ autore. TEMA Perché? Forse è la prima risposta per l’ argomento del romanzo. Scabrosissimo, duro, al limite ma nella letteratura e nell’ arte non ce ne è del lecito. È la torbida storia del cardiologo romano Barreca, marito della bella Giulia, che vive il tormento di una insana passione per la piccola Elena, una vicina di casa di quattro anni. Pensieri orribili, lo sa bene, tanto da confidare la morbosa coazione a padre Giacomo, un giovane sacerdote. Fin qui sembra uno dei migliori e più cupi Simenon, del quale Camilleri è grande estimatore. O forse, leggendolo, si potrebbero scoprire rimandi alla letteratura russa, ai demoni meschini come quelli di Fedor Sologub, o ai temi della salvezza attraverso la sofferenza di Delitto e Castigo di Dostoevskij. Chissà? Comunque c’ è il confronto con padre Giacomo che a sua volta, roso dal tormento dell’ apparente ineluttabilità del corso degli eventi, chiede aiuto sono tra le pagine più intense – al suo mentore, l’ anziano padre Gioacchino. E qui si potrebbe abbozzare un’ altra teoria. Questo è il primo testo a sfondo religioso dell’ ateo Camilleri. Vorrà dire qualcosa? Sta facendo delle riflessioni sull’ aldilà come è pure capitato ad altri importanti intellettuali di sinistra? A rafforzare la teoria c’ è il titolo che ricorda un post del marzo 2014, ancora on line. «Se posso cercherò di ascoltarti» aveva scritto Camilleri, presente allora sul social. Tra i commenti alcuni avevano fatto riferimento all’ invito all’ ascolto lanciato proprio in quei giorni da Papa Francesco. GIUDIZI Oppure, molto più banalmente, il grandissimo Camilleri sta solo inscenando l’ ennesima caccia al tesoro che però vuole giocare solo con chi decide lui. Perché anche chi ha successo sembra volerci dire ha il diritto di selezionare con chi confrontarsi, con chi condividere tensioni e emozioni, a chi chiedere giudizi senza offrirsi a tutti. Carlo Ottaviano © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il faccia a faccia tv Berlusconi-Costanzo è stato molto deludente per il Cavaliere
Italia Oggi
ANDREA MONTANARI
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#Poverosilvio. E povera Mediaset. Il ritorno in prime time del proprietario e fondatore del primo polo televisivo privato italiano su Canale5, la rete ammiraglia dell’ impero di Cologno Monzese non sfonda, anzi è un mezzo flop. Un vero autogol, se Berlusconi fosse ancora il proprietario del Milan. Perché il one-to-one con Maurizio Costanzo, decano dei talk show televisivi, in prima serata non ha fatto centro nel cuore dei telespettatori, ed evidentemente anche degli elettori. In una serata non certo scoppiettante, dal punto di vista dell’ offerta mediatica (c’ era l’ Europa League, non la Champions) con l’ assenza di grandi serie tv o programmi di richiamo, L’ Intervista di Costanzo al suo datore di lavoro ha chiamato a raccolta davanti al piccolo schermo solo 2,2 milioni di italiani. Per uno share risicato: l’ 8,7%. Un dato che se fosse quello delle urne, in Sicilia come a Roma, sarebbe una disfatta per Forza Italia. Il faccia a faccia Costanzo-Berlusconi ha incassato la metà di spettatori dell’ onirica e fiabesca, oltre che inverosimile, serie tv Sirene di Rai1 (4,175 milioni di aficionados per uno share del 17,33%). Ma quel che è peggio è che il dato d’ ascolto de L’ Intervista è di poco superiore alla metà della media di rete, Canale5 appunto, in prime time (14,23% nel mese di settembre, sul target Auditel). Una mezza sconfitta, o se vogliamo anche intera, perché il calcio giocato proponeva su Tv8 (Sky) la Lazio (5,4%) contro il Nizza di Mario Balotelli, passato dal Milan, e il reality X-Factor (5,6%), su SkyUno, oltre al solito Piazzapulita che non è andato oltre il 4,43% uscendo sconfitto, Corrado Formigli, nella sfida con Nemo (Rai2, 4,6%). Ma se limitando l’ analisi alla sola presenza scenica e scenografica di un Berlusconi, che è stato a un passo dalla lacrimuccia nel momento in cui il secondogenito Pier Silvio, capo di Mediaset, gli ha dedicato un lungo e struggente messaggio familiare (prima erano passate anche la immagini della compianta Mamma Rosa), bisogna riconoscere che il Cav sta perdendo lo smalto dei tempi migliori. Nonostante la dieta che gli ha fatto perdere 11 kg, i 5 km di corsetta quotidiana, oltre al nuoto, (starà mica preparandosi al triathlon?), il fondatore del Biscione ha lasciato sul terreno diversi punti di share rispetto all’ ultima apparizione di peso: quando sul finire dello scorso giugno si presentò nel salotto di Bruno Vespa fece, con Porta a Porta, un importante 12,4% di media d’ ascolto. Vero, diranno i puristi dell’ Auditel, era la seconda serata e non certo la prima. E difatti ad ascoltarono ci furono «solo» 916mila italiani. Inutile, a questo punto, anche per non infierire sull’ 81enne imprenditore di Arcore ricordare a lui e ai lettori che nel gennaio del 2013 ad ascoltarlo sul ring, o meglio nell’ arena di Michele Santoro, su La7 – erano i tempi di Servizio Pubblico – richiamò davanti allo schermo qualcosa come 8,67 milioni di italiani per uno stratosferico 33,58% di share, roba da Nazionale. A questo punto, chissà se Silvio tornerà rapidamente in tv? Gira voce, a viale Mazzini, che se lo voglia portare in studio Bianca Berlinguer, che ha appena perso la sfida con Giovanni Floris per il faccia a faccia tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio. Ma, nei corridoi della Rai, c’ è chi sostiene che toccherà ancora una volta a Vespa, in edicola con il nuovo libro sui leader e capi di Stato, Soli al comando, rivitalizzarlo, concedergli l’ aspirina per il rilancio in grande stile.
Bbc, 1.000 ore di sport in più
Italia Oggi
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La Bbc aumenterà la sua programmazione sportiva aggiungendo fino a 1.000 ore in più all’ anno da vedere gratuitamente nel sito web dell’ emittente pubblica britannica così come nel servizio di streaming iPlayer. Lo ha annunciato il direttore generale, Tony Hall, spiegando che si tratta del più grande sconvolgimento di questo secolo nella strategia dell’ offerta sportiva dell’ emittente. Il maggior spazio di questo incremento sarà dato agli sport olimpici, tra cui hockey, nuoto e basket. Il tutto attraverso un servizio personalizzato con alert che avvertiranno gli utenti prima dell’ inizio del proprio sport preferito. Si tratta di un recupero che la Bbc sta tentando di fare: negli ultimi dieci anni, a causa del taglio dei costi l’ emittente si è vista costretta a ridurre le trasmissioni di eventi sportivi: ha diviso il Sei nazioni di rugby con la Itv, ha perso l’ Open di golf andato a Sky e una serie di altri diritti. Giusto il cricket tornerà sui canali pubblici nel 2020 dopo 20 anni di assenza. La trasmissione via streaming ha un prezzo molto più basso rispetto al broadcasting e l’ emittente per contro ha accordi pluriennali per diritti relativi a incontri che non potrebbe interamente trasmettere in altro modo: dalle Olimpiadi al tennis di Wimbledon, ai Mondiali. «Vogliamo utilizzare il servizio di live streaming della Bbc Sport per trasmettere più di quei momenti che ispirano le persone a partecipare», ha detto Barbara Slater, a capo della Bbc Sport. «È un’ enorme espansione della disponibilità di sport gratuiti nel Regno Unito». Slater ha ammesso che la riduzione di live è stata determinata dai problemi di budget, ma ha anche sottolineato come lo sport sia un contenuto molto importante per competere oggi. Parallelamente, la trasmissione via streaming consentirà di avvicinarsi maggiormente al pubblico più giovane. «Siamo privilegiati a essere finanziati con il canone, ma non è un segreto che non abbiamo le stesse tasche profonde rispetto ai soggetti con cui ora dobbiamo competere. Abbiamo però qualità uniche, essenziali per quegli sport che devono arrivare, e ispirare, il pubblico più ampio possibile». © Riproduzione riservata.
For Men, spot e un evento per il calendario 2018
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Non c’ è dubbio che l’ editore Urbano Cairo abbia ancora fiducia nella carta stampata, nel mondo dei quotidiani e dei periodici cartacei. E l’ ottimismo verso quell’ universo lo dimostra in varie maniere. Una, ad esempio, è quella di essere rimasto l’ unico grande editore a credere nel potere dei calendari per soli uomini e a costruire una campagna di comunicazione e un evento attorno al lancio di quel prodotto, allegato al mensile For Men magazine diretto da Andrea Biavardi. Ai vecchi tempi, in questo periodo dell’ anno, c’ erano feste ovunque per i calendari di Max, Panorama, Maxim, GQ, ecc. Ora è rimasto solo Cairo, che riunirà tutti gli amici il 6 novembre al Just Cavalli di Milano per presentare Ria Antoniou, protagonista del calendario 2018 di For Men magazine. È una modella greca, apparsa quattro volte sulla cover di Esquire, e con partecipazioni tv a Ballando con le stelle, Colorado, Tiki Taka. Certo, per la gran parte del pubblico rappresenta una perfetta sconosciuta, non avendo nulla a che spartire con le Cindy Crawford, Eva Herzigova, Anna Falchi, Alessia Marcuzzi, Monica Bellucci, Sabrina Ferilli, Megan Gale ed Elisabetta Canalis apparse sul calendario di Max tra il 1993 e il 2003. Tuttavia, una volta data una occhiata alle foto di For Men, non credo che in molti si lamenteranno. © Riproduzione riservata.
Servizio pubblico come in Nuova Zelanda
Italia Oggi
* DELEGATO ITALIANO ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
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Con l’ avvicinarsi della fine della legislatura e l’ incombere delle elezioni politiche si accendono, com’ è consolidata tradizione da noi, aspre polemiche sul mondo Rai. Si dibatte su tutto: ora sugli ascolti; ora sui compensi; ora sui palinsesti; ora sul pluralismo; ora sul potere dei grandi agenti e non può mancare il sempiterno tema della possibile privatizzazione. Insomma niente di nuovo. Eppure qualcosa di realmente nuovo in questa legislatura c’ è stato e due grandi cambiamenti hanno toccato la Rai: la riforma delle governance (che prevede, tra l’ altro, la tanto auspicata figura dell’ amministratore delegato con reali poteri di gestione e d’ indirizzo) e l’ introduzione del pagamento del canone attraverso le bollette elettriche (cosa che ha sicuramente stabilizzato le risorse aziendali). Quello che, forse, è mancato e continua a mancare anche nel dibattito di questi giorni, è una riflessione approfondita sul senso autentico del servizio pubblico radiotelevisivo, partendo dalla necessità di porsi una domanda «a monte»: l’ esplosione della multicanalità e delle multipiattaforme giustifica ancora la necessità di un «servizio pubblico»? In altre parole, la domanda per programmi che possano essere definiti di servizio pubblico può comunque essere soddisfatta dall’ offerta autonoma di mercato attraverso centinaia di canali televisivi e attraverso l’ interattività permessa da Internet senza bisogno di una (o più) emittenti ad hoc? Ad esempio l’ esistenza di canali tematici facilmente accessibili per il teatro, lo sport, la scuola, la cucina, il meteo ecc. può rendere superflua la necessità di un palinsesto specifico di un broadcaster «pubblico»? La risposta non è facile anche perché presuppone una definizione compiuta della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo che invece è, dal punto di vista giuridico, tra le più complesse e tormentate essendo variabile di epoca in epoca, da paese a paese. Se un filo rosso si può trovare tra i diversi concetti e le diverse esperienze internazionali è che l’ intervento dello stato nel settore televisivo (come attore e non come mero regolatore) si giustifica con l’ importanza attribuita al mezzo, alla sua influenza sui comportamenti politici e sociali nonché con l’ opportunità di tutelare «le radici e le identità nazionali». In questo senso mi sembra che le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo nel nostro paese continuino pienamente a sussistere anche se è lecito interrogarsi «de iure condendo» e guardando al futuro se lo strumento usato sinora (un solo broadcaster specializzato, finanziato in parte dal canone in parte dal mercato) sia quello più efficiente e/o più utile. Alzando un po’ lo sguardo a livello internazionale le soluzioni adottate sono essenzialmente tre: paesi in cui esiste una sola tv pubblica o con funzioni pubbliche (oltre l’ Italia, l’ Austria, la Svezia, la Finlandia, la Svizzera, il Portogallo, la Francia, il Regno Unito, seppur quest’ ultimo con qualche distinguo); paesi dove esistono più emittenti pubbliche (Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Australia, Usa); un servizio pubblico focalizzato sui programmi e non sull’ emittente. È questo il caso della sola Nuova Zelanda (e, in parte, di Singapore) dove pur esiste una tv di stato ma che si finanzia in toto sul mercato con la pubblicità mentre il canone viene raccolto da strutture pubbliche che poi lo distribuiscono a chiunque faccia programmi di «sevizio pubblico». Un modello interessante e moderno (anche perché molto più dinamico e flessibile degli altri) e che, in qualche modo, ricorda quanto attuato in Italia, con successo, in tema di finanziamento pubblico delle opere cinematografiche e dell’ editoria. © Riproduzione riservata.
Sky Italia, un autunno col botto
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Un autunno da fare girare la testa in tutti i sensi quello di Sky Italia nel 2017. Ci sono i buoni successi di audience sia per la pay, sia per Tv8; il lancio imminente, nella seconda metà di novembre, del nuovo decoder Sky Q; l’ asta sui diritti tv 2018-2021 della serie A di calcio che ormai, come sembra, si terrà a metà dicembre; la pax con Mediaset (con una delle stelle di Sky, Diletta Leotta, concessa a RadioMediaset per un programma quotidiano su 105) poiché il Biscione, per ora, pare intento più che altro a battagliare con Vivendi; il trasferimento di Sky Tg24 da Roma a Milano e le questioni sindacali relative ai tagli del personale; l’ aumento dei prezzi degli abbonamenti Sky dell’ 8,6%, col nuovo sistema di fatturazione ogni 28 giorni sotto la lente di governo, Antitrust e Agcom. Insomma, tanta carne al fuoco, col rischio di perdere di vista qualcosa. Dopo aver conquistato tutta la Champions league e l’ Europa League in esclusiva per il triennio 2018-2021, Sky Italia dovrà ora decidere se fare offerte monstre pure per la Serie A, oppure muoversi di concerto con Mediaset, chiedendo a Infront e a Lega Serie A pacchetti di vere esclusive e di incontri di cartello ad orari televisivamente appetibili. Le linee guida su cui si muoverà il bando d’ asta in preparazione sono le stesse che avevano ispirato il bando precedente, quello per l’ asta andata deserta lo scorso mese di giugno. Ora i club attendono l’ elezione dei nuovi vertici di Lega Serie A (con un presidente, che avrà funzioni di rappresentanza, un amministratore delegato e un direttore generale) e poi avvieranno il bando per un’ asta che sarà operativa probabilmente a metà dicembre e dalla quale le squadre di calcio si aspettano di incassare almeno un miliardo di euro all’ anno. E Sky, se le cose andranno come si prevede, dovrà investire almeno 600 milioni di euro all’ anno. C’ è poi una delle più massicce campagne pubblicitarie che si ricordi negli ultimi tempi: quella degli spot Sky con le musiche di Riz Ortolani e che spunta ovunque a qualunque ora. Il claim è: «Ci sono emozioni che non hanno ancora un nome. Provale su Sky», e in effetti la colonna sonora è molto evocativa, essendo stata pensata nel 1971 per il docu-film sull’ America schiavista Addio zio Tom dei registi Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi. Era da molti mesi che Sky non comunicava in maniera così diffusa, e la pubblicità serve soprattutto a preparare il terreno alla «ripartenza del modo di guardare la tv» che, in base alle previsioni del broadcaster, ci sarà dalla seconda metà di novembre col lancio del nuovo decoder Sky Q (in grado, in sostanza, di connettere in tempo reale tutti i device di una famiglia, ovvero tv, smartphone, tablet, pc, alla memoria centrale del sistema Sky). Naturalmente, restano centrali i contenuti di Sky. Con le nuove modalità di visione che, come spiega su Twitter Andrea Scrosati, executive vice president programming di Sky Italia, hanno portato gli ascolti su Sky Uno del primo live di X-Factor (1,387 milioni nella serata del 26 ottobre scorso), a quota 2,4 milioni nei sette giorni, con un +25% sul 2016. Giovedì 2 novembre il secondo live è arrivato a quota 1,318 milioni su Sky Uno (+4% sul 2016), con una share del 5,6% e 3.320.395 voti, +49% sull’ anno precedente. E, come trionfalmente twitta Scrosati, Sky Uno con X-Factor e Tv8 con la partita di Europa League (5,4% di share), nella prima serata di giovedì vanno «oltre il 10% di share come quinta e sesta rete nazionale». Il talent musicale, quindi, piace ancora molto nonostante una certa stanca artistica che si respira in giuria. E, il prossimo 17 novembre su Sky Atlantic, prende il via la terza serie di Gomorra. Un altro di quei prodotti che, negli ascolti differiti e on demand, va a nozze: pesavano per il 41% al termine della seconda stagione. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Cda Rai a Fico: il confronto Renzi-Di Maio al servizio pubblico. «Non può che essere la Rai la sede naturale del confronto tra Luigi Di Maio e Matteo Renzi. Così come di tutti i confronti che dovrebbero riguardare i leader delle altre forze politiche in occasione della prossima campagna elettorale. Per la missione, per la funzione, per i risultati, per la facilità d’ accesso, per la modalità d’ uso, la televisione pubblica è garante di autorevolezza, trasparenza e qualità della copertura». È quanto scrivono, all’ indirizzo del presidente della commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico, i consiglieri di amministrazione della tv pubblica Guelfo Guelfi, Rita Borioni, Franco Siddi, Arturo Diaconale, Carlo Freccero e Giancarlo Mazzuca. La7 al 4,49% in prime time. Ascolti positivi giovedì scorso per la La7 che con il 4,49% di share è la quinta rete in prime time (20,30-22,30), superando Rai2 e Rete4 ferme rispettivamente al 4,45 e al 3,82%. Otto e Mezzo di Lilli Gruber ha conquistato il 5,41% di share con 1.440.307 telespettatori medi e un picco del 6,26%, Il Tg delle 20,00 di Enrico Mentana ha fatto segnare il 4,95% di share con 1.235.204 telespettatori medi e un picco del 5,42%, Piazzapulita di Corrado Formigli ha realizzato il 4,43% di share con 5.095.377 contatti e picchi del 6,46% e 1.343.519. Il Network La7 (La7 e La7d) ha ottenuto il 3,81% di share nella giornata (07,00-02,00) con 11.535.951 telespettatori contattati nelle 24 ore (02,00-02,00) e il 4,97% in prime time (20,30-23,30). Il cast di Genius: Picasso. National Geographic e Fox 21 Television Studios hanno annunciato il cast della seconda stagione di Genius prodotta da Ron Howard e che vedrà protagonista Antonio Banderas nei panni di Pablo Picasso. Le riprese dei 10 episodi di Genius-Picasso, prenderanno il via nel mese di novembre e si sposteranno in diverse città d’ Europa. Prodotta da Brian Grazer e Ron Howard Genius: Picasso andrà in onda nel 2018. Alex Rich (Glow, True Detective), vestirà i panni del giovane Picasso. Clémence Poésy (Harry Potter e il calice di fuoco) sarà Francoise Gilot, la pittrice francese che fu la sua compagna per 10 anni ed ebbe da lui 2 figli, Poppy Delevingne (Kingsman: Il cerchio d’ oro, King Arthur: Il potere della spada) sarà Marie-Thérèse Walter, amante e musa di Picasso e madre della sua prima figlia; l’ attrice di origini italiane Aisling Franciosi (Game of Thrones, The Fall: caccia al serial killer) sarà Fernande Olivier, l’ artista e modella francese che posò per Picasso per oltre 60 ritratti. Genius-Picasso vedrà inoltre il ritorno di alcuni attori protagonisti della prima stagione quali T.R. Knight (Grey’ s Anatomy,The Catch) nei panni di Max Jacob, uno dei migliori amici di Picasso, Seth Gabel (Salem) Samantha Colley e Johnny Flynn. Al direttore del Giffoni Experience, Claudio Gubitosi, il «Luminaries Awards 2017» della George Washington University. Dagli Stati Uniti un riconoscimento per il Giffoni Experience. Presso la George Washington University (GWU) è stato analizzato, studiato e promosso il «case history» del Gex, unico progetto culturale italiano. Due giorni per raccontare storia e prospettive future del Giffoni: docenti e ricercatori presenti alla GW October Conference hanno accolto l’ iniziativa illustrata nelle aule dell’ università americana. Promotori dell’ evento sono stati il direttore del Lisa Lab dell’ Università degli Studi di Salerno, Roberto Parente, e il docente di management dell’ ateneo americano e direttore del network International Council for Small Business, Ayman El Tarabishy. I due hanno sviluppato un progetto di ricerca internazionale focalizzato sul Gex, raccontandone il cambiamento attraverso una logica imprenditoriale. A confrontarsi con il pubblico internazionale, spiegando come l’ idea Giffoni sia nata, cresciuta ed evoluta in quasi 50 anni, sono stati il direttore, Claudio Gubitosi e il ceo di Giffoni Innovation Hub, Luca Tesauro. In un gala party, poi, la George Washington University ha insignito Claudio Gubitosi del premio «Luminaries Awards 2017 per Social Entrepreneurship in Practice». Gli altri due riconoscimenti sono stati assegnati a Young Sup Joo, ministro della Corea del Sud per le medie imprese, e George Solomon, ricercatore e docente di management. Come spiega lo stesso El Tarabishy l’ onorificenza è «destinata a chi ha compiuto opere favolose nel mondo e in questo Giffoni rispecchia un vero miracolo italiano». I Monchhichi su DeAJunior con Victoria Cabello. A partire da ieri andrà in onda tutti i giorni alle 19,30 su DeAJunior (in esclusiva su Sky, canale 623) Monchhichi, la nuova serie animata in cui tornano protagoniste le famose scimmiette nate in Giappone e diventate cult negli anni Ottanta. A cantare la sigla e a introdurre ogni episodio saranno le clip ispirate al Giappone della conduttrice televisiva Victoria Cabello. Visibilia Editore, dopo l’ aumento capitale sociale a 580 mila euro. Visibilia, gruppo editoriale quotato sull’ Aim Italia, ha reso noto che l’ attestazione di aumento di capitale sociale gratuito da 0,7 mln di euro è stata depositata. Il capitale sociale a seguito dell’ iscrizione a registro dell’ aumento è composto da 29.703.812 azioni corrispondenti a 580.171,91 euro.
Requiem per la gloriosa seconda serata tv
La Verità
ANTONELLO PIROSO
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aNTONELLO pIROSO Parlare di tv è senz’ altro più facile che farla, per questo non mi sogno minimamente di perculare Tizio, Caio o Sempronia, memore della replica di Adriano Panatta a un tifoso che lo rimproverava durante un incontro di tennis: «Viecce te», vieni a giocare tu.Ciò detto, siam qui a celebrare la morte della seconda serata, la fascia tv che inizia tra le 22.30 e le 23, e che si rivolge a quello che Renzo Arbore ha sempre definito, alla napoletana, il pubblico più «scetato», sveglio e reattivo (lì lui ha piazzato in Rai i suoi programmi cult, Quelli della notte e Indietro tutta!). Anche per Mediaset quello spazio ha sempre rivestito un’ importanza particolare, con il successo del Maurizio Costanzo Show, 4.417 puntate dal 1982 al 2009, tra Rete 4 e Canale 5. E Maurizio Costanzo è ancora lì che se la gioca tuttora.Dirò di più, con un bel coming out: siccome mi piacciono le sfide alla mission impossible, mi piacerebbe cimentarmi in quella fascia in coppia con Giuseppe Cruciani, una mina vagante peggiore di me, ai microfoni di Radio24 con La Zanzara (lo so, penserete che ognuno ha le sue perversioni, ma quando un editore televisivo mi ha chiesto un progetto, e io gli ho raccontato un’ ideuzza per accontentare i nostalgici del programma che conducevo su La7 con Panatta e Fulvio Abbate, Ah(i)Piroso, al nome di Cruciani ha sbarrato gli occhi, e c’ è mancato poco chiamasse l’ esorcista).Ma a leggere gli ascolti di ottobre, sul sito del blogger Davide Maggio, delle «7 sorelle», le 7 reti generaliste, i programmi che vanno – saltuariamente – sopra il milione di telespettatori sono eccezioni.Certo, le tv anche per problemi di costi puntano a programmare trasmissioni che dal prime time possano tracimare, «occupando» anche la seconda serata.Vedi il Grande Fratello Vip, che lunedì 16 è rimasto in onda fino all’ 1.08 per oscurare il talk show di Fabio Fazio in onda su Rai 1, che ne ha risentito fermandosi al 9% di share pur essendo partito alle 23.45 (quindi quasi in terza serata).Sulla parcellizzazione degli ascolti pesa poi anche la moltiplicazione dell’ offerta attraverso i canali digitali, il satellite e lo streaming.Risultato? La radiografia della seconda serata è decisamente impietosa.In 217 casi (7 come le reti esaminate, per 31 giorni) il muro del milione di teste, come vedete in tabella, è stato sfondato solo 34 volte: 12 volte da programmi sportivi (8 volte su Rai 2, 1 su Rai 1, 1 su Rete 4, 2 su Canale 5), in 7 casi da Fazio (ma in 3 casi si tratta dello «spezzatino» con l’ allungamento domenicale di Che tempo che fa), in 4 casi da Bruno Vespa (ma uno è in realtà la presentazione del programma), in 6 casi dal Grande Fratello Vip, 2 volte da Costanzo, una volta da Tv7, 2 volte da uno speciale del Tg5.Nella classifica per canali, Rai 1 compare 13 volte, 12 volte Canale 5, 8 volte Rai2 solo con lo sport, 1 volta Rete 4 con il calcio (Rai3, Italia 1 e La7: mai).In circa l’ 85% dei casi, insomma, i programmi di seconda serata raggranellano poche centinaia di migliaia di aficionados.Piero Chiambretti, per dire, venerdì 6 è tornato in video con Matrix Chiambretti: 804.000 teste, share del 9,3 (e venerdì 13: 712 mila, 8,49). Venerdì 27, starring Barbara D’ Urso, 899.000, 11.2%.Il Matrix a trazione Chiambretti (intrattenimento) ha più appeal del Matrix a trazione Nicola Porro (approfondimento), che quest’ anno ha debuttato il 12 settembre con 658.000, share del 7.85, ma il 10 ottobre è precipitato a 353 mila, 5.15. Martedì 17, con il traino di Manchester City-Napoli, è arrivato a 644 mila, 7,2%. Martedì 24 è stato visto da 513.000 spettatori, 7.5% (è andata un po’ meglio martedì 31: 631.000 spettatori, 6.6%, però senza che Matrix riuscisse ad avvantaggiarsi del traino della partita Roma-Chelsea e del successivo Speciale, che pure ha raccolto in media 2 milioni di telespettatori).TikiTaka, il programma di calcio di Pierluigi Pardo, lunedì 2 ha raccolto 429 mila anime belle, con il 5.95. Lunedì 23, 469.000 con il 6.4%.Sbandati, su Rai2, è partito il 19 settembre con 450.000 teste (5.1), ma martedì 3 ottobre ne ha attratte 388.000, 3.81 (martedì 17 ancora peggio: 350.000, 3.6%). Martedì 31 risale a 488 mila con il 6.3%, ma non è mai arrivato al mezzo milione.Stato civile su Rai3: partito con 416 mila fan, il 4.3%, lo scorso 24 settembre, domenica 8 ne ha avuti 348.000, 3% di share.La stessa Intervista di Costanzo giovedì 5 ottobre, pur toccando l’ 11.845, si è fermato a 979.000 teste.Terra!, su Rete 4, il 2 ottobre ha raccolto 205.000 persone (3.06), il 9 ottobre 131.000 (2.02).Già Mercoledì, cioè lo scavallamento della mezzanotte fatto da Giovanni Floris con DiMartedì su La7, martedì 3 ha avuto 312.000 telespettatori con il 3.67, martedì 10 invece erano 261.000 con il 3.17.FuoriRoma, il programma itinerante di Concita De Gregorio su Rai 3, lunedì 2 ne ha inchiodati 353.000, share 1.95: cioè, meno degli abitanti di un quartiere di Roma.Forse era meglio non uscire dal Grande raccordo anulare.
Renzi dà l’ Isola per persa e sfida in tv anche Silvio e Matteo
Libero
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GIANLUCA VENEZIANI Più che da front runner, sembra missione da Blade Runner. Per riaffermare la sua leadership, Matteo Renzi, come nel film di Ridley Scott, intende dare la caccia a tutti i replicanti dentro e fuori il Pd, quei “renzoidi” che potrebbero scalzarlo dal partito e dal potere. E allora eccolo pronto a uno scontro aperto, e ad armi pari. Dopo aver accettato la proposta di Luigi Di Maio per un dibattito a due in tv, per il quale si sa già il giorno (martedì 7 novembre) ma non ancora il luogo (se lo contendono la Rai e il programma di Floris su La7), Renzi ieri ha dato la sua disponibilità anche per un confronto televisivo con un leader di centrodestra, Berlusconi o Salvini, in attesa che abbiano «deciso chi è il loro front runner»; ma «se non si trovano d’ accordo, e vogliono venire tutti e due, io sono disponibile anche a un confronto a quattro» (il quarto, s’ intende, sarebbe Di Maio). La mossa di Renzi ha un doppio significato. Da una parte, mira a distogliere l’ attenzione dalle elezioni siciliane di domenica, che il Pd di fatto ha già perso. Il candidato dem Micari, peraltro abbandonato dai vertici del partito (mentre infuriava la campagna elettorale, Renzi se ne stava beatamente a Chicago, ospite della Obama Foundation) non potrà che arrivare terzo, staccatissimo dai candidati 5 Stelle e di centrodestra, Cancelleri e Musumeci. E allora Matteo da Rignano spariglia, si proietta già sulle prossime elezioni, quelle Politiche, anticipa i tempi, rottamando il presente misero in nome di un presunto futuro roseo. Ma la strategia renziana ha anche un valore di consolidamento della sua figura all’ interno del Pd stesso. In un momento in cui le acque in area dem sono parecchio agitate, e non passa giorno che un esponente illustre del partito non si defili o abbandoni la scialuppa, da Grasso a Bassolino, Renzi ha tutta l’ esigenza di ribadire (a quei pochi che sono rimasti) che è lui il leader, il segretario e quindi anche il candidato premier. È una sorta di autoinvestitura sul campo, che ormai non è più quello delle piazze o delle urne ma degli schermi. Ed è insieme un modo per compattare il suo fronte identificando un nemico esterno: no, il rivale di minoranze e correnti Pd non sono io, dice Renzi, ma Di Maio, e Salvini e Berlusconi. La lotta continua, sì, ma fuori dal partito. A livello di strategia complessiva, potremmo dire non sia neppure malaccio. Il problema è capire con quali contenuti e quali carte vincenti Renzi potrà presentarsi al confronto. Da una parte c’ è Di Maio che, nonostante le tante esperienze fallimentari al potere dei grillini, porta con sé ancora la forza della Protesta, della rabbia contro legge elettorale, vitalizi, inciuci. Dall’ altra ci sono Salvini e Berlusconi, che hanno dalla loro la forza della Proposta, la credibilità (tipica di chi sta da tempo all’ opposizione) di suggerire un’ Italia diversa, che segni uno scarto netto su temi caldi come immigrazione, tasse, Europa. Renzi invece che fiches potrà giocarsi? Si trascina dietro il fardello di un Progetto mancato e fallito, di un’ occasione persa, di una Riforma gattopardesca che ha lasciato il Paese com’ è, se non l’ ha addirittura peggiorato. Curiosamente, tra i quattro leader, Renzi appare oggi il più vecchio e il più usurato. Stavolta Blade Runner rischia di soccombere ai replicanti. riproduzione riservata Matteo Renzi, classe 1975, è stato presidente del Consiglio dal febbraio 2014 al dicembre 2016. È segretario del Partito democratico dal 2013 LaPresse Noi preferiamo la Rai che è la Tv di tutti. A me va bene anche Floris, se è la condizione di Di Maio A DI MAIO Quando avranno deciso chi è il loro «front runner» sono pronto al dibattito anche con Salvini e Berlusconi. Ma sono disponibile anche a un confronto a quattro AL CENTRODESTRA.
Occhio al telecommando
Milano Finanza
ANDREA MONTANARI
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In ottobre gli investimenti pubblicitari in tv, secondo indiscrezioni di mercato, non saranno positivi. L’ attesa per il rilancio dopo un settembre difficile e un anno che deve far fronte all’ assenza di grandi eventi (nel 2016 c’ erano gli Europei di calcio e le Olimpiadi) sarà tradita. Perché, molto probabilmente le aziende hanno deciso di rallentare la corsa agli spot e mettere da parte fondi per novembre e l’ inizio di dicembre. Questo sostengono gli analisti più ottimisti. I contrarian, invece, parlano di stop alla spesa dovuto all’ incertezza da elezioni, nonostante il via libera del Quirinale al Rosatellum e l’ avvio della campagna elettorale, in vista della chiamate alle urne, attesa per la primavera del 2018. Ma nonostante questa percezione poco rosea per gli investimenti sul principale mezzo di comunicazione (la tv assorbe il 60,5% dell’ intera spesa in advertising) c’ è chi continua a scommettere sul business con il lancio di nuovi canali. Solo negli ultimi sei mesi – il primo significativo lancio di quest’ anno è stato a febbraio quello di Paramount Channel – sono arrivate altre 6 novità. A farsi avanti per affollare il telecomando sono soprattutto i network stranieri. Segno evidente che da oltreconfine l’ Italia viene considerata non solo una terra di conquista ma anche un Paese nel quale la televisione tradizionale, quella digitale terrestre gratuita, non soffre della concorrenza degli over-the-top (Netflix, Youtube e Hulu) che, invece negli Usa, stanno obbligando i broadcaster e gli operatori delle tlc a definire aggregazioni mirate. Del resto è arcinoto che il mercato italiano è quello che, su scala europea, ha la più alta penetrazione del mezzo tv, sia in fatto di ascolti che di risorse pubblicitarie. È così che Viacom, guidata in Italia, Turchia e Medio Oriente da Andrea Castellari, ha presentato Spike, canale 49 (l’ obiettivo a breve è uno share dello 0,6% con il target a medio-lungo periodo dell’ 1%), e al contempo ha stretto una joint venture con la De Agostini per il canale Super (cartoni animati) in onda dal 2010 (su Sky) e poi dal 2012 sul free. Mentre la stessa azienda editoriale di Novara, per puntellare gli ascolti che storicamente si concentrano sull’ offerta per bambini (Dea Kids e Dea Junior), sta per lanciare il maschile Alpha (tasto 59). Chi, dagli Usa, ha deciso di rivedere la propria strategia è Scripps che, ceduto Lcn 49 a Viacom, ha rilanciato con Food Network (Lcn 33) e potrebbe non fermarsi qua. Sempre dall’ estero intende mettere radici Sony Pictures: dopo Pop (cartoons, canale 45) ha promosso il nuovo Cine Sony (55). Una vera e propria legione straniera che vuole invadere il palinsesto tricolore dopo che Sky Italia, leader indiscussa sul satellite a pagamento, ha investito non solo sul free (Tv8, Cielo e SkyTg24) ma anche in produzione di contenuti originali e di distribuzione cinematografica e dopo che Discovery ha dato una accelerazione alla sua strategia locale, consolidando il ruolo di quarto operatore del mercato grazie anche al potenziamento dell’ offerta di Eurosport. Sono i numeri a certificare questo rinnovamento e questo maggiore interesse da parte dei player Usa e non solo per l’ Italia. Basta confrontare i dati d’ ascolto su base quinquennale: se nel settembre 2012 Rai e Mediaset si accaparravano il 71,36% dello share, lo scorso mese di settembre lo share complessivo dei primi due gruppi del settore era sceso al 66,17%. Nello stesso periodo, Sky, Discovery, Viacom e Disney sono saliti dal 10,83% al 17,99%. Una scalata che pare non arrestarsi anche perché nel frattempo, la La7 di Urbano Cairo è ferma allo stesso valore di cinque anni fa: 3,35%. Questo cambio dello spettro televisivo nazionale ha avuto ovviamente un impatto diretto sulla raccolta pubblicitaria. Perché se Sky Italia è accredita di una raccolta 2017-2018 (il bilancio si chiuderà il 30 giugno prossimo) di 400 milioni, Discovery chiuderà quest’ anno con un totale di 225 milioni di spot (+10%). «Molti broadcaster sarebbero interessati a investire in nuovi canali free to air, ma i loro progetti sono bloccati dal collo di bottiglia rappresentato dalla indisponibilità di posizioni Lcn (Logical channel numbering, il numero sul telecomando) commercialmente appetibili», sostiene l’ avvocato Ernesto Apa, socio dello studio legale Portolano Cavallo. «Le Lcn pregiate sono una risorsa limitata, attualmente allocata in modo inefficiente, in quanto circa il 40% delle numerazioni sotto il 100 sono occupate da emittenti locali, alle quali la legge riserva anche il 30% delle frequenze, sebbene l’ emittenza locale generi circa il 5% del fatturato delle emittenti nazionali». Questo perché, «il piano per il nuovo Lcn, approvato dall’ Agcom nel 2013 e finora rimasto sulla carta», prosegue Apa, «pur salvaguardando l’ emittenza locale di qualità, prevede la redistribuzione di una parte delle posizioni sul telecomando». Pertanto, «qualora fosse attuato, questo piano consentirebbe il lancio di nuovi canali», conclude l’ avvocato. Ed è a questa opzione che guardano altri editori, italiani e stranieri, che stanno progettando il lancio di nuovi canali tematici. Se le aree intrattenimento e cinema sono presidiate, c’ è interesse per musica e sport. In quest’ ultimo caso, dopo che la Rai ha di fatto spento RaiSport2 e la GazzettaTv è durata meno di un anno, resiste solo Sportitalia. In questo scenario, infine, non va trascurato un fatto: Mediaset da pochi mesi si è aggiudicata il canale 20, ex TeleCapri. Sul mercato c’ è attesa per la strategia del Biscione sul riposizionamento. (riproduzione riservata)
Tra mille canali tv il servizio pubblico serve ancora?
Milano Finanza
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Con l’ incombere delle elezioni politiche si accendono, com’ è tradizione in Italia, aspre polemiche sul mondo Rsi. Si dibatte su tutto: ascolti, compensi, palinsesti, pluralismo, potere dei grandi agenti. E non manca il sempiterno tema della possibile privatizzazione. Insomma niente di nuovo. Eppure qualcosa di nuovo in questa legislatura c’ è stato e due grandi cambiamenti hanno toccato la Rai: la riforma delle governance (che prevede la tanto auspicata figura dell’ amministratore delegato con reali poteri di gestione e indirizzo) e l’ introduzione del pagamento del canone attraverso le bollette elettriche (che ha stabilizzato le risorse aziendali). Quello che continua a mancare anche nel dibattito di questi giorni è una riflessione approfondita sul senso autentico del servizio pubblico radiotelevisivo, partendo da una domanda: l’ esplosione della multicanalità e delle multipiattaforme giustifica ancora la necessità di un servizio pubblico? La risposta presuppone una definizione compiuta di servizio pubblico radiotelevisivo, che dal punto di vista giuridico tra le più complesse e tormentate essendo variabile da epoca a epoca e da Paese a Paese. Un filo rosso è che l’ intervento dello Stato come attore nel settore televisivo si giustifica con l’ importanza attribuita al mezzo, alla sua influenza sui comportamenti politici e sociali nonché con l’ opportunità di tutelare le radici e le identità nazionali. In questo senso mi sembra che le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia continuino a sussistere, anche se è lecito interrogarsi se lo strumento usato sinora (un solo broadcaster specializzato, finanziato in parte dal canone in parte dal mercato) sia quello più efficiente e/o più utile. A livello internazionale le soluzioni adottate sono tre: una sola tv pubblica o con funzioni pubbliche (Italia, Austria, Svezia, Finlandia, Svizzera, Portogallo, Francia, Regno Unito); più emittenti pubbliche (Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Australia, Usa); servizio pubblico è focalizzato sui programmi e non sull’ emittente. Quest’ ultimo è il caso della Nuova Zelanda, dove esiste una tv di Stato che si finanzia in toto sul mercato con la pubblicità, mentre il canone viene distribuito a chiunque faccia programmi di sevizio pubblico. Un modello interessante e moderno che in qualche modo ricorda quanto attuato con successo in Italia in tema di finanziamento pubblico delle opere cinematografiche e dell’ editoria. *delegato italiano alla Proprietà Intellettuale.
Antonio Angelucci condannato a un anno e 4 mesi per tentata truffa e falso per i fondi di ‘Libero’ e ‘Riformista’
Prima Comunicazione
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Il deputato del Pdl Antonio Angelucci è stato condannato ad un anno e 4 mesi di reclusione per falso e tentata truffa nell’ ambito di un processo legato ai contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani ‘Libero’ e il ‘Riformista’. Lo ha deciso il giudice monocratico del tribunale di Roma che ha condannato a un anno di reclusione i rappresentanti legali delle sue società ‘Editoriale Libero’ e ‘Edizioni Riformiste’, che editavano i quotidiani, Arnaldo Rossi e Roberto Crespi. Per tutti la pena è sospesa. Il tribunale che ha dichiarato prescritta l’ accusa di truffa, spiega Ansa, ha inoltre disposto una provvisionale in favore della presidenza del Consiglio di 100mila euro oltre al risarcimento da stabilire in sede civile. Il pm Francesco Dall’ Olio aveva chiesto per Angelucci, difeso dall’ avvocato Pasquale Bartolo, una condanna a 4 anni. Per questa vicenda, nel giugno del 2013, la Guardia di Finanza eseguì un sequestro preventivo di 20 milioni nei confronti delle due società che, secondo l’ impianto accusatorio, hanno dichiarato di appartenere ad editori diversi per aggirare il divieto di richiedere contributi pubblici per più di una testata da parte dello stesso editore.