Per il recupero dei crediti accertati (la cui quota di crediti contributivi, nell’esercizio 2016, e’ pari a circa 240 milioni su 300 milioni totali) INPGI ha intensificato i sistemi di riscossione ed attuato politiche di gestione del recupero contributivo volte a ridurre al minimo l’avvio di contenziosi. Una quota significativa del volume di crediti contributivi non ancora riscossi (150 milioni su 240 milioni) e’ costituita non tanto da fenomeni di “morosita’” da parte delle aziende quanto da crediti derivanti da accertamenti ispettivi o d’ufficio, fondati su irregolarita’ riscontrate nell’assolvimento degli obblighi di denuncia dei rapporti di lavoro. I crediti dell’ evasione contributiva rimangono per anni incagliati nelle pratiche burocratiche dei contenziosi, determinando una progressiva stratificazione dell’ammontare delle somme.
Per quanto riguarda le attivita’ di gestione del patrimonio immobiliare e, in particolare, dell’eventuale rapporto tra la quota di immobili conferiti nel Fondo Immobiliare “Giovanni Amendola” (di proprieta’ dell’Istituto) e la quota residuale di investimenti diretti nel settore immobiliare, la politica dell’INPGI e’ stata quella di far confluire tutto il patrimonio immobiliare all’interno del predetto Fondo e di gestire tale asset, così come gli altri strumenti mobiliari presenti in portafoglio, in base a criteri di efficienza, redditivita’ e tutela del rischio. Piu’ in generale, sul piano degli investimenti, l’Istituto ha adottato un nuovo modello di gestione del patrimonio, passando dal tradizionale sistema di allocazione strategica delle risorse in eccedenza (c.d. “asset allocation”) ad un sistema di reperimento della liquidita’ in funzione delle esigenze (c.d. L.D.I.). Tale revisione risponde all’esigenza di attingere ad una parte del rendimento del patrimonio per reperire le risorse necessarie a fronteggiare il disavanzo della gestione previdenziale per la durata del lasso temporale intercorrente tra l’introduzione delle misure di riforma del sistema previdenziale gia’ adottate e gli effetti concreti che le stesse produrranno sul piano economico.
Contributi evasi. Per l’INPGI un danno di 240 milioni
Confermato il divieto di accesso per le aziende alle dichiarazioni rese dai giornalisti
Con sempre maggiore frequenza accade che le aziende sottoposte ad un accertamento ispettivo – concluso con la contestazione del mancato versamento di contributi previdenziali e con applicazione delle conseguenti sanzioni civili – tentino di acquisire copia dei verbali delle dichiarazioni rese ai funzionari ispettivi dai dipendenti e dai collaboratori ascoltati nel corso dell’ispezione.
Se da un lato appare di tutta evidenza quale possa essere l’interesse da parte aziendale all’acquisizione di tale documentazione, risulta altrettanto imprescindibile la necessita’ di sottrarre al c.d. “diritto di accesso” tutti quegli atti dalla cui divulgazione possa sorgere un pregiudizio alla riservatezza di soggetti che in qualche modo abbiano contribuito con obiettivita’ e onesta’ a formare il convincimento degli ispettori allo scopo di evitare qualunque rischio di ingiustificabili azioni discriminatorie o ritorsive nei loro confronti.
Ne’ puo’ valere il pur rilevante diritto vantato dalle aziende di ottenere la disponibilita’ di tutti gli elementi probatori per una compiuta ed efficace difesa in giudizio, laddove tale disponibilita’ lederebbe inevitabilmente la riservatezza di chi rilascia le dichiarazioni ai funzionari ispettivi.
In tal senso, a tutela della riservatezza del lavoratore e della possibilita’ per lo stesso di non subire conseguenze in seguito alle dichiarazioni rese agli ispettori, il Consiglio di Amministrazione delI’Inpgi aveva adottato fin dal 1994 un apposito regolamento che sottraeva all’accesso di terzi – tra l’altro – proprio le “dichiarazioni dei lavoratori in sede di processo ispettivo e redazione del relativo verbale”.
Sulla materia, peraltro fin da subito avallata dalla Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in questi giorni si e’ nuovamente espressa la stessa Commissione alla quale si era rivolta un’azienda di fronte al rifiuto da parte dell’Inpgi di accedere a tutte le dichiarazioni che erano state rilasciate da dipendenti e collaboratori nel corso dell’attivita’ ispettiva; la Commissione, nel respingere il ricorso, ha infatti ribadito che solo un giudice ha il potere di disapplicare una norma regolamentare quale quella in tal senso adottata dall’Istituto.
Anche il “Codice di comportamento ad uso degli ispettori del lavoro” adottato dal Ministero del Lavoro, non a caso, afferma che “nessuna copia delle dichiarazioni deve essere rilasciata al lavoratore e/o al soggetto ispezionato da parte del personale ispettivo”.
Con questa ulteriore pronuncia della Commissione per l’Accesso ai Documenti Amministrativi appare ulteriormente salvaguardata la liberta’ e la serenita’ di tutti quei lavoratori e collaboratori che in presenza di un accesso ispettivo si trovino a dover evidenziare le situazioni di sfruttamento o comunque di irregolarita’ eventualmente presenti all’interno di quelle aziende pubbliche o private che scelgano di avvalersi della professionalita’ dei giornalisti senza garantire loro le giuste tutele retributive e contributive. (Inpgi)
Rassegna Stampa del 01/10/2017
Indice Articoli
Prix Italia e le fake news: «L’ antidoto è la tv sul territorio»
Bindi contro Confindustria e Caltagirone: “La stampa fa gli interessi dei costruttori”
La carta che salva il giornalismo
Sul diritto d’ autore dalla Ue soluzioni ancora controverse
Rivoluzione in tv film italiani d’ obbligo in prima serata
Digitale e carta stampata: la convivenza è possibile
Prix Italia e le fake news: «L’ antidoto è la tv sul territorio»
Corriere della Sera
R. Fra.
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MILANO L’ anno scorso Lampedusa, luogo simbolo di confine, per parlare di immigrazione. Quest’ anno Milano, luogo chiave di concretezza, per tornare ai fatti e confutare le fake news. La 69ª edizione del Prix Italia – il concorso internazionale organizzato dalla Rai che premia ogni anno il meglio di tv, radio e web – si chiude oggi a Milano e ha acceso il dibattito sul tema che è stato scelto come titolo della manifestazione («Back to Facts. La realtà contro le false notizie»). «Il Prix conferma il radicamento sul territorio della Rai, che ha da sempre una caratteristica glocal: tante sedi che presidiano il territorio, ma allo stesso tempo uno sguardo nazionale e sovranazionale. È questo il tratto distintivo delle emittenti europee di Servizio pubblico – spiega Karina Laterza, segretaria generale del Prix Italia -. La nostra presenza capillare sul territorio è anche un antidoto alle fake news, agli abbagli e ai falsi costruiti in malafede». Milano era il luogo ideale per questo confronto: «Abbiamo scelto Milano per l’ energia di una città in pieno sviluppo europeo, avendo a fianco nella preparazione, con convinzione e generosità, il sindaco Sala e il presidente della Regione Lombardia Maroni». C’ è quasi un aspetto positivo in quest’ epoca di notizie gassose, che si gonfiano e sgonfiano alla stessa velocità: «Questo caos informativo è anche un’ occasione per ritrovare un’ identità, per fortificare la responsabilità che noi editori abbiamo nei confronti della trasparenza e della chiarezza». Il pericolo ora sono anche le echo-chamber, ovvero quei luoghi del web dove le idee scambiate, essenzialmente, si confermano le une con le altre. «Si cercano rassicurazioni alle proprie opinioni, si insegue solo chi la pensa come te, alla fine è come parlarsi allo specchio». Così la Rete diventa luogo di conforto anziché confronto, pulpito per una predica ai già convertiti. Il racconto della realtà passa anche attraverso le vie della fiction del Servizio pubblico, con la valorizzazione delle diversità territoriali e culturali. Dall’ autunno scorso Rai Fiction ha sfruttato tutte le varietà del territorio, non c’ è regione in cui non sia stata ambientata una serie, dalla Sicilia di Montalbano alla Valle d’ Aosta di Schiavone. Uno dei prossimi progetti è una fiction ambientata a Milano: La compagnia del cigno segue 7 ragazzi tra i 14 e i 17 anni che frequentano il Conservatorio Giuseppe Verdi. Un romanzo di formazione tra musica e talento, tra la paura di diventare grandi e l’ appiglio dell’ amicizia vissuta come balsamo per le ferite di un’ età inquieta in cui tutto accade per la prima volta.
Bindi contro Confindustria e Caltagirone: “La stampa fa gli interessi dei costruttori”
Il Fatto Quotidiano
l. vend.
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Certa stampa fa gli interessi degli editori. E se gli editori sono anche costruttori o imprenditori, ecco che la levata di scudi contro il nuovo codice antimafia si spiega facilmente. Rosy Bindi, presidente della Commissione antimafia e senatrice del Pd, difende il provvedimento (“è garantista”) e attacca Confindustria e il gruppo Caltagirone, pur senza farne mai il nome: “Mi indigno perché vedo che ci sono alcuni direttori di giornale che fanno gli interessi dei loro editori non in quanto editori, ma in quanto costruttori, e attaccano questa legge in qualche modo per minare tutto il sistema delle misure di prevenzione”. Il riferimento, implicito ma chiaro, è al fuoco incrociato partito negli ultimi giorni contro il nuovo codice antimafia. Giovedì Il Mattino di Napoli, di proprietà dei Caltagirone, è uscito in edicola con la prima pagina nera, in segno di lutto. Mentre Il Messaggero – sempre con proprietà Caltagirone – titolava “Schiaffo al codice”. E i giornali del costruttore romano non sono i soli: il Quotidiano nazionale (gruppo Riffeser) ha ospitato il severissimo parere di Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale. La riforma approvata in settimana prevede infatti il sequestro preventivo anche per i casi di presunti reati contro la pubblica amministrazione, come peculato e corruzione (per i reati associativi). E questa novità evidentemente non è stata molto apprezzata da una certa classe imprenditoriale e quindi dalla stampa che fa capo ad essa. Bindi risponde anche a Confindustria, che aveva stroncato apertamente la riforma, parlando di possibili elementi di incostituzionalità: “Prima di criticarla, almeno la si legga. Anche Confindustria ha fior fior di uffici legislativi, facciano approfondire la legge: è una riforma più garantista per coloro ai quali sono sottratti i beni”. Con l’ associazione degli industriali, però, prosegue la polemica a distanza. Immediata, infatti, la replica del presidente Vincenzo Boccia: “Il testo lo abbiamo letto molto bene e sembra che i profili di incostituzionalità non sono solo la nostra riflessione, ma anche di altri. Vale la pena evitare dogmi che in questo Paese fanno solo danni: l’ ipotesi di presunzione di colpevolezza e di sequestro di imprese è un danno grave, perché gli imprenditori vivono di reputazione e una volta che si fa un errore quando restituiamo l’ impresa, l’ impresa è fallita”. Il timore della presidente della Commissione antimafia è che gli attacchi e le critiche incrociate possano in qualche modo delegittimare il nuovo codice: “Non si deve mettere a rischio tutta la riforma perché qualcuno ha paura: questa legge, se ci si comporta bene, non toglie nulla. Quindi diamoci una calmata.” L’ appello sembra rimasto inascoltato: “È ovvio che alla Bindi il codice antimafia piaccia: chi si somiglia, si piglia”, è il commento di Luca d’ Alessandro, deputato di Scelta Civica-Ala. L’ attacco al codice continua.
La carta che salva il giornalismo
Il Fatto Quotidiano
Iris Chyi
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Negli ultimi 20 anni molti giornali americani hanno sperimentato la diffusione di notizie online, ma hanno avuto un successo limitato. I consumatori ricevono continuamente notizie online, ma la maggior parte di loro si rivolge a “news aggregator” come Yahoo News e Google News o social media come Facebook. Ma la maggior parte degli aggregatori e i siti di social media non producono contenuti originali di notizie. Ripubblicano le notizie prodotte dai giornalisti e beneficiano di tali contenuti senza dover pagare niente o quasi. Con un vasto bacino di utenti che attrae una grande quantità di pubblicità, Google e Facebook sono diventati giganti tecnologici. Al contrario, la maggior parte dei 1.300 quotidiani americani operano in aree geografiche ristrette con una media giornaliera al di sotto delle 30.000 copie in circolazione, numero destinato a scendere. Per questi giornali competere online con Google e Facebook è come per un ristorante locale sfidare McDonald’ s. Non c’ è possibilità di vincere. È in questo scenario che la News Media Alliance chiede al Congresso un’ esenzione alle limitazioni dell’ antitrust, in modo che i quotidiani possano negoziare insieme a Google e Facebook. Ma la maggior parte dei giornali sta condividendo attivamente i propri contenuti su queste piattaforme, molti hanno assunto redattori di social media per distribuire gratuitamente contenuti su Facebook e Twitter. Di conseguenza, tanti lettori online hanno smesso di visitare i siti web dei giornali: il 44% degli adulti americani ora riceve notizie su Facebook. Dopo 20 anni di sperimentazione digitale, i ricavi delle pubblicità online dei giornali sono rimasti insignificanti: da 3,2 miliardi di dollari nel 2007 a 3,5 miliardi nel 2014. Google, invece, ha registrato 89,6 miliardi di dollari di entrate globali e Facebook 27,6 miliardi di dollari nel 2016. E la spesa pubblicitaria digitale degli Stati Uniti totale è stata di 72,5 miliardi di dollari nel 2016. Tutti gli indizi suggeriscono che i giornali americani hanno perso la battaglia digitale. Il motivo per cui sono ancora qui è che le edizioni in carta stampata, nonostante le sostanziali perdite, producono ancora delle entrate, grazie alla pubblicità e agli abbonamenti. La buona notizia è che i principali quotidiani delle metropoli vengono acquistati da un terzo degli adulti locali e, sorprendentemente, si tratta di lettori disposti a pagare per le notizie sulla carta stampata. Questa è una buona notizia perché i giornali rimangono le istituzioni più importanti che forniscono una copertura locale necessaria che nessun Facebook, nessun Google, Twitter o Instagram prenderebbero mai in considerazione. Ora i giornali stanno cercando di ridefinire i loro rapporti con Facebook e Google attraverso un’ esenzione da parte dell’ antitrust. Questa esenzione, anche se concessa, non modificherebbe facilmente il risultato di una partita perdente, come quella tra un ristorante locale e il McDonald’ s – soprattutto se l’ industria dei giornali non affronta le conseguenze di alcune scelte sbagliate e di breve respiro prese soltanto in nome di una “trasformazione digitale”. Ma è importante che i politici arrivino a riconoscere come il potere di mercato si sia spostato verso i giganti digitali che stanno davvero inghiottendo il giornalismo (e tutto il resto).
Sul diritto d’ autore dalla Ue soluzioni ancora controverse
Il Sole 24 Ore
Lionel BentlyValeria Falce
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Dopo un percorso tortuoso e i pareri disallineati delle commissioni del Parlamento Ue, l’ approvazione della direttiva sulla modernizzazione del diritto di autore è alle porte. I punti di partenza sono fermi: adeguare il copyright all’ ecosistema digitale e alle sfide delle nuove tecnologie; rafforzare l’ effettività dei diritti e promuovere un più maturo bilanciamento tra l’ interesse degli autori/editori e quello generale, a salvaguardia «della stampa libera e pluralista» e a garanzia del «giornalismo di qualità e l’ accesso dei cittadini all’ informazione». I nodi da sciogliere sono condivisi: fronteggiare i cambiamenti radicali imposti dall’ economia digitale, che travolge l’ industria dell’ editoria e i modelli di business tradizionali; facilitare la circolazione delle opere e il sistema delle licenze; consentire ad editori e autori di partecipare “ad armi pari” alla catena del valore. Le soluzioni proposte sono controverse, perché Commissione, Consiglio e Parlamento Ue continuano ad oscillare tra tentativi di compromesso e ripensamenti repentini. I fronti “spaccati” sono almeno due: l’ articolo 11, con il quale la Commissione Ue intende introdurre un nuovo diritto a favore degli editori di opere giornalistiche, per assicurare «la sostenibilità» del settore attraverso la compartecipazione alle nuove forme di sfruttamento promosse da aggregatori e operatori online; l’ articolo 13, attraverso il quale si intende “responsabilizzare” le piattaforme e gli Internet service provider (Isp) ogni volta che svolgono un «ruolo attivo» anche attraverso «l’ ottimizzazione della presentazione dei materiali o la loro promozione». Ora, l’ articolo 11 ha degli illustri precedenti. Germania e Spagna hanno introdotto regole non del tutto simili, ma certamente ispirate alla medesima finalità. Quanto all’ Italia, il sistema nazionale già fornisce una tutela soddisfacente: l’ editore esercita i diritti economici sull’ opera giornalistica e lo sfruttamento sleale di titoli ed estratti è illecito. In questo scenario, mentre per alcuni Stati la previsione risulta inutile, per altri può essere fonte di incertezze, perché nel tentativo di definire un modello “a taglia unica” sovrappone i soggetti (autore ed editore) e le condizioni di acquisito del diritto (creazione o licenza), e non chiarisce quale sia livello di originalità richiesto o il comportamento che qualifichi un’ infrazione. Discorso a parte merita l’ attuale formulazione dell’ articolo 13, che richiede un approfondimento in chiave sistematica, soprattutto se letta in combinato disposto con i considerando 38 e 39. Innanzitutto, il legislatore sembra incerto sui soggetti di diritto interessati dai nuovi obblighi, rivolgendosi agli Isp che memorizzano e danno pubblico accesso ad un «grande numero di opere o altro materiale protetti dal diritto di autore e caricati dagli utenti». In secondo luogo, nella bozza di direttiva si legge che tali soggetti «dovrebbero adottare misure appropriate e proporzionate per garantire la protezione di tali opere, ad esempio tramite l’ uso di tecnologie efficaci». Il riferimento è alle tecniche di filtro e monitoraggio dei contenuti, già utilizzati in altri settori (industria musicale, in primis). Tuttavia, mentre i concetti di «messa a disposizione», «accesso» e «atto di comunicazione al pubblico», tendono a sovrapporsi nella bozza di direttiva, secondo l’ articolo 3 della direttiva 2001/29 si tratta di concetti ben distinti. Ancora, le tecniche di filtering, stando alla bozza di direttiva, andrebbero adottate in via orizzontale, senza eccezioni e limitazioni (come invece previste dall’ articolo 6 (4) della direttiva 2001/29/EC), avrebbero carattere generale (così confliggendo con gli articoli 15 e 16 della direttiva sul commercio elettronico e rischiando di interferire anche con il regolamento Data protection) e non è detto che non contrastino con i diritti fondamentali (articoli 8,11 e 16 della Carta dei diritti). Insomma, il legislatore persegue l’ obiettivo di rivedere poteri e doveri delle piattaforme attraverso una formulazione normativa coraggiosa. Ma, senza raccordarsi con il sistema “a stella” entro il quale si collocano le responsabilità degli Isp e delle piattaforme, l’ articolo 13 rischia di diventare un boomerang che incrina le fondamenta del diritto autoriale europeo e rende incerti se non opachi gli obblighi dei soggetti coinvolti.
Rivoluzione in tv film italiani d’ obbligo in prima serata
La Repubblica
MAURO FAVALE
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ROMA. Almeno un film italiano a settimana in prima serata su ogni canale tv, due nel caso delle reti Rai: dalle opere di Matteo Garrone a quelle di Paolo Sorrentino, dalle pellicole di Paolo Virzì a quelle di Silvio Soldini, dal 2019 i palinsesti delle nostre tv, nella fascia oraria 18-23, non potranno fare a meno dei registi italiani. Pena sanzioni milionarie. È questo uno degli strumenti mutuati (seppur in forma ridotta) dal modello francese che, secondo il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, dovrebbero rilanciare il cinema nostrano. I dettagli e le quote di programmazione (insieme a quelle di investimento in «opere cinematografiche di espressione originale italiana») a cui dovranno sottostare i broadcaster sono contenute nella bozza di decreto che domani, dopo un’ estate di trattative con gli operatori del settore, approderà finalmente in consiglio dei ministri. E questo nonostante la ferma opposizione di Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney e De Agostini (preoccupate di una “migrazione” di spettatori verso piattaforme “on demand”) che ha già fatto slittare due volte il via libera. Due giorni fa un nuovo strappo: dopo la lettera di metà settembre, le emittenti tv ne hanno firmata una seconda, sempre indirizzata al Mibact, ancora con l’ obiettivo di fermare la riforma dell’ articolo 44 del Tusmar, il Testo unico della radiotelevisione: «Il provvedimento, estremamente rilevante per gli effetti che avrà all’ interno del comparto audiovisivo sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale – scrivono i broadcaster – risulta costituire di fatto una nuova imposizione insostenibile a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali». Da parte sua, il ministro ritiene invece che «la nuova legge e gli obblighi di investimento e programmazione per la Rai e le tv private servano ad aiutare e tutelare il cinema, la fiction e la creatività italiane. So bene – aggiunge Franceschini a Repubblica – che riforme e cambiamenti se sono veri scatenano sempre resistenze e proteste. Per questo non mi stupisco e non mi fermo». E così, domani, il consiglio dei ministri approverà una norma che, per la prima volta, ha messo dallo stesso lato della barricata tutte le emittenti tv che parlano di testo «peggiorativo rispetto alla versione iniziale» nonostante un sostanzioso ritocco al ribasso rispetto alla bozza di due settimane fa. Nella nuova formulazione gli obblighi non scatteranno più nel 2018 ma dal 2019 e le quote sono state ridotte arrivando a comprendere i programmi di intrattenimento prodotti in Italia: da X Factor a Masterchef Italia, anche queste trasmissioni contribuiranno a raggiungere (dall’ attuale 50%) la quota del 55% di programmazione giornaliera di opere europee nel 2019 e del 60% nel 2020 (con la metà riservata a quelle «di espressione originale italiana»). Obbligo specifico per il prime time: le tv private dovranno riservare il 6% della programmazione settimanale in quella fascia a film, serie tv, documentari italiani, la Rai il doppio, il 12% (di cui almeno un film). Pena, appunto, sanzioni che dovrebbero dare il via a una corsa all’ acquisto (e alla produzione) di film italiani. A preoccupare i broadcaster, però, sono soprattutto gli investimenti obbligatori in cinema italiano ed europeo che passano dall’ attuale 10% del fatturato annuale al 15% nel 2020 (non più il 20, come nella prima versione) e per la Rai dall’ attuale 15% al 20% (non più il 30%) sempre entro il 2020. Percentuali che i broadcaster giudicano ingestibili e fuori mercato tanto da definire il decreto come «anacronistico e dirigistico».
Digitale e carta stampata: la convivenza è possibile
Libero
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Il digitale non ha ancora vinto. O meglio, non ha cancellato la carta. E chi pensava che sarebbe scomparsa sotto ai colpi delle nuove tecnologie deve ormai ricredersi, perché una coesistenza è possibile. Ne è convinta Iris Chyi, che ne parla oggi a Ferrara al Festival di Internazionale, in uno dei 130 incontri organizzati all’ interno dell’ evento voluto dal settimanale. Docente alla scuola di giornalismo dell’ Università del Texas, Chyi nel suo libro Trial and error: US newspapers digital struggles toward inferiority parla di un futuro del giornalismo nel quale la carta stampata è ben presente. Ma il problema, più che limitarsi a una mera questione di alternativa tra due modalità di fruizione delle notizie, riguarda piuttosto la prospettiva (non a caso tema cardine di questa edizione del festival) di un giornalismo ridotto ai minimi termini dalla mancanza di lungimiranza di molti editori, gettatisi sul digitale senza consapevolezza e senza capire quali opportunità potessero essere realmente sfruttate. «Molti si sorprendono per questo, ma il prodotto di carta, dato per moribondo, continua a garantire risultati migliori di quello digitale da ogni punto di vista: economico, qualitativo, pubblicitario e di affezione del lettore», spiega Chyi. «Non parlo per preferenze personali, ma con 20 anni alle spalle di evidenze empiriche. I quotidiani dovrebbero tornare a concentrarsi sulla carta, che non è solo ciò che sanno fare meglio, ma anche quello che il lettore vuole. E anche chi si occupa di pubblicità: il prezzo medio per un banner pubblicitario online è di 7 dollari ogni mille impression, mentre per una pubblicità equivalente su carta la cifra diventa di 60 dollari». Insomma, nessuno può negare che i giornali vendano meno, ma la responsabilità non è di Internet in sé, piuttosto di come è stato utilizzato da editori non pronti a gestire una transizione forzata e non necessaria.
Rassegna Stampa del 02/10/2017
Indice Articoli
Google cambia modello per gli editori
Radio24 festeggia i 18 anni con gli ascoltatori
La radio interagisce con Internet
Caltagirone cambia pelle: finanza e più estero nel portafoglio
Viacom Italia: “Più canali e pubblicità così la tv italiana attira investimenti esteri”
Google aiuterà gli editori a vendere abbonamenti online
Addio al «patron» di Vogue e New Yorker
Da oggi sul sito la nuova economia di Repubblica.it
L’ informazione Netweek, il futuro della carta e la sfida di internet
Ecco cosa accadrà dal gennaio 2018 per uomini e donne
Giornalisti, tutti eletti al primo turno
Google cambia modello per gli editori
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Niente più svantaggio nell’ indicizzazione sulle ricerche su Google per gli editori che hanno un loro modello incentrato sui paywall. Si chiamava “first click free” il modello che da un lato permetteva agli utenti di leggere gratuitamente alcuni articoli (almeno il primo) attraverso Google News prima di far scattare il paywall (il pagamento per visionare il contenuto), ma che dall’ altro chiedeva agli editori di mettere a disposizione almeno tre contenuti gratuiti al giorno, prima del paywall, per essere indicizzati al meglio. Google ha ufficializzato la fine del programma “first click free” e da stamattina mette agli atti una azione in tre mosse per tendere la mano agli editori, alle prese con un momento di grande incertezza dal punto di vista del business che con il tempo altro non ha fatto che esacerbare i rapporti fra publisher e Big G e in generale fra gli editori di tutto il mondo e i giganti della Silicon Valley, spesso messi all’ indice come usurpatori di contenuti senza dividere i benefici economici. In questo quadro, va detto che Facebook e Google procedono pressoché appaiati nei loro annunci volti a creare un clima disteso con gli editori. La piattaforma creata da Mark Zuckerberg ha confermato qualche giorno fa quanto annunciato a luglio, dando agli editori l’ opportunità di offrire notizie a pagamento dentro al servizio di Instant Articles su smartphone. Il colosso di Mountain View dal canto suo, che sul versante del miglioramento dei rapporti con gli editori annovera la Digital News Initiative (con cui mette a disposizione fondi per progetti innovativi degli editori, anche italiani), tende “un ramoscello d’ ulivo” con un tris di azioni. La prima è il passaggio alla policy “Flexible Sampling” da quella First Click Free, che chiedeva agli editori di fornire un minimo di 3 articoli gratuiti al giorno attraverso Google Search e Google News prima di mostrare il paywall. Il tutto con una mossa che – almeno nelle speranze dei publisher – dovrebbe portare a un aumento degli abbonamenti sui siti che richiedono una registrazioni. «In generale – si legge in una nota di Google – gli editori riconoscono che offrire alle persone l’ accesso ad alcuni contenuti gratuiti è il modo per persuaderli ad acquistare il loro prodotto. L’ approccio tipico al sampling (prova gratuita) è un modello chiamato “metering”, che consente alle persone di vedere un numero predeterminato di articoli gratuiti prima che si attivi il paywall». L’ approccio raccomandato è per un un metering da 10 articoli gratuiti al mese prima di far scattare il paywall. In aggiunta le altre due mosse: «Nel lungo periodo, stiamo sviluppando una suite di prodotti e servizi per aiutare gli editori a raggiungere nuovi lettori, far crescere gli abbonamenti e il fatturato». Il machine learning può rappresentare una chiave di volta, all’ interno di un porcesso in cui Mountain View si dice pronta a lavorare con gli editori per «capire come possiamo semplificare il processo di acquisto e rendere più semplice per gli utenti di Google sfruttare a pieno all’ interno delle diverse piattaforme Google tutti i vantaggi degli abbonamenti che hanno sottoscritto con gli editori». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Radio24 festeggia i 18 anni con gli ascoltatori
Il Sole 24 Ore
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Radio 24, l’ emittente del Gruppo 24 ORE, compie 18 anni. Era il 4 ottobre 1999 quando per la prima volta si sono accesi i microfoni della prima emittente news & talk privata nel panorama radiofonico italiano. Una radio che ha conquistato stabilmente oltre 2 milioni di ascoltatori. Ogni giorno la redazione di Radio 24 aggiorna i suoi ascoltatori sulle notizie dall’ Italia e dal mondo, offre spunti di riflessione e li accompagna sempre con le sue cifre distintive: la competenza e l’ autorevolezza dei contenuti, grazie anche a una programmazione ampia e “fresca”. Dalla cronaca all’ economia, dalla politica allo sport, ogni giorno 16 finestre informative dalle 6 alle 24, 16 ore di programmazione in diretta, dando spazio ad analisi e inchiesta, con i reportage, le breaking news e la programmazione speciale dedicata ai grandi eventi. Per festeggiare l’ importante traguardo Radio 24 invita tutti gli ascoltatori a scrivere all’ indirizzo buoncompleanno@radio24.it un pensiero sul perché amano Radio 24: diciotto di loro verranno selezionati e potranno assistere dal vivo alle dirette della radio e vivere il backstage dei programmi più amati proprio nel giorno del suo compleanno. In questi diciotto anni Radio 24 è cresciuta imparando ogni giorno a migliorarsi, trovando nuovi stimoli e dandosi nuovi obiettivi, garantendo agli ascoltatori la massima obiettività e chiarezza, perché non c’ è notizia che non possa essere spiegata e posta alla portata di tutti. In questi anni non ha mancato gli appuntamenti più importanti che hanno fatto la storia dell’ Italia e del mondo: l’ 11 settembre 2001 fu tra i primi media a dare la notizia di quello che stava accadendo a New York. Le elezioni nazionali e internazionali sono sempre state seguite con speciali in diretta “All night long”. La grande elasticità e velocità del gruppo di lavoro permette di seguire gli eventi di cronaca modificando i palinsesti in tempo reale per dare aggiornamenti e informazioni in diretta con inviati sul territorio. Eventi di rilevanza internazionale come il Forum Ambrosetti e il G7 vedono la presenza dei giornalisti e spesso degli studi da cui si trasmette in diretta. Radio 24 porta gli studi anche alle grandi manifestazioni fieristiche del made in Italy, dal Salone del Mobile a Vinitaly. E non mancano gli eventi, da quelli sportivi – Mondiali di calcio, Giro d’ Italia, Tour de France, Sei nazioni di rugby – seguiti con una programmazione speciale agli eventi dello spettacolo, come il Festival di Sanremo o il Festival del cinema di Venezia, raccontati dagli inviati della radio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La radio interagisce con Internet
Affari & Finanza
Francesca Tarissi
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[ AXIS E NS12] A scoltare, guardare e interagire con la radio come mai si è fatto prima: è quanto promette un innovativo sistema che, interfacciando l’ infrastruttura radiofonica Fm e Dab+ con quella web e viceversa, consente all’ utente di sfruttare sei funzionalità del tutto inedite. Ideato e brevettato da Axis (www.axis.international/it/), in collaborazione col partner tecnologico NS12 SpA, il sistema sarà a breve integrato nell’ unica Radio 4G al mondo. Si tratta di un dispositivo radiofonico wi-fi, dotato di display touch e slot 4G, che garantisce l’ ascolto e la navigazione Internet, anche in assenza di segnale Fm/Dab+. Senza alcuna interruzione del programma seguito, diventerà così possibile effettuare l’ acquisto immediato dell’ oggetto del quale sta passando on air lo spot pubblicitario, partecipare a giochi in tempo reale o farsi autorizzare per la visione in streaming di concerti ed eventi live a pagamento. Mediante la funzione “Cross su emittente radiofonica”, per esempio, durante l’ ascolto di un brano su Spotify, Apple Music ecc, il sistema attiva un microfono in stile Shazam, che identifica l’ artista e attiva una serie di link alle radio che mettono a disposizione le playlist di quell’ autore. E mentre l’ utente riceve la playlist richiesta, il “Click da cross per continuous artist” fa sì che il sistema invii all’ utente solo pubblicità in linea con i suoi gusti musicali, trasformando il contenuto pubblicitario in informazione. In caso si voglia poi seguire un dato concerto ma non si abbia la possibilità di recarsi nel luogo dell’ evento, il “Click da cross per live streaming” permette di munirsi di ticket pay per view dalle biglietterie on line e seguirlo da casa o ufficio in diretta video. Il “Click da cross per play” è riservato all’ aspetto prettamente ludico: si tratti di partite di calcio, incontri sportivi o game, durante la visione o l’ ascolto, cliccando su un pulsante, l’ utente può scegliere di essere indirizzato al sito web corrispondente, interagendo in vari modi. All’ e-shopping, invece, provvede il “Click da commercial button”. Durante la pubblicità di una trasmissione radiofonica, il sistema fa apparire sul display touch della radio un pulsante che consente l’ acquisto del prodotto reclamizzato. Nel caso delle smart tv, lo stesso pulsante può essere attivato dall’ utente premendo un tasto del telecomando, in modo da approdare alla pagina web giusta sullo smartphone o sul televisore stesso. Infine riservata alle emittenti radiofoniche, la funzione “Radio Remarketing” consente alle stazioni radio d’ inviare spot audio o audiovideo in target e on demand, sulla base delle preferenze dell’ utente. “Dopo anni di sviluppo”, dice Paolo Novelli, Ceo di Axis srl e ideatore della Radio 4G, “siamo convinti che il nostro sistema risponda perfettamente alle richieste di immediatezza e interattività degli utenti: siamo in procinto di rivoluzionare l’ universo della radiodiffusione da un punto di vista funzionale e commerciale”. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il dispositivo garantisce l’ ascolto e la navigazione Internet, Acquisti, playlist, giochi in tempo reale o streaming di concerti ed eventi live diventano facili.
Caltagirone cambia pelle: finanza e più estero nel portafoglio
Affari & Finanza
Sara Bennewitz
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segue dalla prima S tesso concetto per le utility, dove una quota non liquida e ingessata dentro Acea (la cui partecipazione si è ridotta al 5%), è stata convertita nel 3,5% del colosso francese Suez. La famiglia Caltagirone è entrata nel cda del gruppo transalpino, candidandosi a diventare il secondo azionista dato che progressivamente potrà salire fino al 6% e parallelamente, a tendere, dovrebbe rigirare ai francesi anche quel 5% di Acea che ad oggi è ancora in mano alla dynasty romana. Il principio che vale per le partecipazioni, vale anche per le aziende non quotate, come la Vianini Lavori che ha appena acquisito una commessa da 400 milioni a Stoccolma, e per quelle quotate tra cui la principale, Cementir, ha appena tagliato tutti i ponti con l’ Italia. Luci e ombre Nel 2015 Caltagirone ha ritirato dalla Borsa Vianini Lavori con un’ Opa che ha avuto successo a metà, non essendo riuscita a procedere al ritiro dal listino (squeeze out) prima di pagare un congruo dividendo ad alcuni soci come Fidelity. Nel 2017 è stata la volta di un’ Opa volontaria sulla Caltagirone Editore. L’ operazione è partita in salita, e nonostante un rilancio del 22% sul primo prezzo offerto, ha raccolto adesioni minime e pertanto non ha avuto successo. Anche in questo caso lo stop è stato causato dall’ ingresso di un grosso investitore, il fondo Amber – che avrebbe rastrellato una quota vicina al 9% con l’ obiettivo di ottenere un prezzo più alto. Era andata meglio nel 2016. Il riassetto della Vianini Industria, trasformata da holding industriale in società immobiliare, aveva permesso di inglobare i cespiti della ex Domus, che non aveva trovato il gradimento del mercato nel 2015, quando ne ra stata tentata la quotazione. Nonostante l’ opposizione di un fronte di soci pari al 10% del capitale al cambio di oggetto sociale, la richiesta del diritto di recesso e l’ avvio di una causa risarcitoria l’ operazione si è conclusa positivamente. Adesso in Borsa c’ è una sola Vianini , che da azienda liquida con alcuni cespiti a reddito, si è trasformata in una società che ha assorbito i debiti di Domus e ed è impegnata in investimenti nello sviluppo immobiliare. Fatto sta, che a guardare i numeri delle varie società quotate della galassia che si dipana dalla capogruppo Caltagirone Spa, tutte le aziende sono sottovalutate per vari motivi. Perchè? Valore nascosto Un trait d’ union che accomuna tutte le aziende del gruppo è che hanno un flottante inadeguato ad attrarre gli investimenti dei grossi fondi (come ha dimostrato il caso della Vianini Lavori). Si parte dalla capogruppo. Il flottante della Caltagirone Spa è ridotto al 12,4%, sale al 18% nel caso della Vianini, al 29% di Cementir e al 33% della Caltagirone Editore. Quindi su quattro aziende quotate il gruppo è sempre padrone di oltre due terzi del capitale ed esercita perciò un presidio forte sulle aziende, sui vertici e sui cda, dove spesso la famiglia è largamente rappresentata. Questa governance familiare di direzione e coordinamento è un altro fattore che preclude la possibilità di attrarre nel capitale investitori qualificati. Nel cda della capogruppo Caltagirone Spa ci sono 6 familiari su 10 consiglieri. Non c’ è da stupirsi quindi se tutta la società, che peraltro non ha debiti, capitalizza meno di Cemen-tir, che è solo uno dei tanti asset del gruppo. Nella semestrale della Caltagirone Spa si legge infatti che «la capitalizzazione in Borsa al 30 giugno, pari a 323 milioni risulta inferiore al patrimonio netto di competenza del Gruppo di 1 miliardo », e quindi «significativamente distante dalla valutazione basata sui fondamentali ». E questo secondo la società sarebbe da giustificarsi alla luce del fatto che «il mercato sconta il costo della struttura di holding e attribuisce una diseconomia gestionale rispetto all’ acquisto dei singoli asset sottostanti, che, separatamente considerati, esprimono valori intrinseci superiori alle loro quotazioni di Borsa». È un fatto che attualmente la holding sia trattata ad uno sconto del 70% sul valore degli asset netti detenuti, Ed anche la miniholding Caltagirone Editore da mesi vale meno della liquidità che possiede. Fondi in manovra Il rapporto tra il gruppo Caltagirone ed alcuni fondi non è sempre idilliaco. Prendiamo il caso dell’ Opa sulla Caltagirone Editore. Secondo l’ analisi di alcuni fondi azionisti con il 4,4% del capitale, tra azioni proprie (2,3 milioni di titoli), liquidità (134 milioni di euro), partecipazioni immediatamente liquidabili come la quota in Generali (altri 83 milioni), immobili (60 milioni di euro ai prezzi di costo) e l’ attività editoriale valutata per due quinti rispetto ai valori di bilancio (100 milioni su 250) la valutazione prudenziale suggeriva un prezzo di 3,85 euro per azione. L’ Opa promossa dalla famiglia Caltagirone era arrivata a offrirne 1,22. Secondo i fondi pertanto era inferiore del 70% rispetto al loro valore. Qui è sceso in campo Amber Capital, fondo attivista già entrato a gamba tesa in diverse partite tra cui Parmalat, convinto di valorizzare al meglio l’ investimento. Amber è una vecchia conoscenza del gruppo Caltagirone, dato che a cavallo tra il 2005 e il 2006, aveva già incrociato le strade di Vianini Industria e Vianini Lavori. Nessun grande fondo si è invece finora fatto vivo sulla Vianini, e così il neo-gruppo immobiliare vale infatti in Borsa poco più degli 1,21 euro offerti un anno fa come prezzo per esercitare il diritto di recesso dall’ avventura Domus. E mentre la Consob ha acceso un faro sull’ operato del collegio sindacale e ha in corso una sanzione amministrativa per l’ operazione del 2016, Vianini questanno ha già affittato la metà del portafoglio dei suoi 1.480 appartamenti destinati alla locazione, e iniziato a dismettere una quarantina di appartamenti. Il grosso dell’ attività immobiliare si perfezionerà tra fine 2017 e il 2018. Acquisizioni future Infine, anche Cementir, vero fiore all’ occhiello del gruppo nonché maggiore delle società controllate dalla famiglia, è sottovalutata in Borsa. Il gruppo ha peraltro appena perfezionato la cessione delle attività italiane liberando 315 milioni di risorse per investire ancora di più all’ estero. E così l’ indebitamento finanziario netto a fine 2018 dovrebbe essere pari ad appena a 0,5 volte il margine operativo lordo atteso. Forte di questa solida posizione finanziaria la conglomerata guidata da Francesco Caltagirone Jr potrebbe fare un’ operazione da 700-800 milioni per espandere ulteriormente la propria attività. Gli stabilimenti che ha appena ceduto alla Italcementi (che fa capo a HeildebergCement) a fronte di un fatturato 2016 pro forma di circa 136 milioni, quest’ anno dovrebbero apparire per l’ ultima volta sul bilancio di Cementir per circa 30 milioni. E in attesa di future acquisizioni di successo, come quella fatta in Belgio, gli analisti di Mediobanca hanno portato il giudizio sul titolo a neutrale con un target di 6,4 euro. Più generosa la valutazione di Fidentis, che consiglia di acquistare le azioni fino al prezzo di 8,9 -9,3 euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nella foto, un’ immagine di Fonte Laurentina, nuova area di espansione edilizia a Tor Pagnotta, periferia sud di Roma; sotto Francesco Gaetano Caltagirone.
Viacom Italia: “Più canali e pubblicità così la tv italiana attira investimenti esteri”
Affari & Finanza
Stefano Carli
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[ L’ INTERVISTA / 1] Roma 2017 è stato un annus mirabilis per la tv italiana: mai come quest’ anno sono stati lanciati tanti nuovi canali da quando c’ è il digitale terrestre: ne sono già partiti 3, entro fine anno ne arriveranno altrettanti: Alpha di De Agostini e il nostro Spike, più uno di Mediaset. E va detto che a parte quest’ ultimo, di tutti questi nuovi canali saremo noi a curare la raccolta pubblicitaria». Andrea Castellari, ad di Viacom Italia, che vuol dire canali come Paramount, Mtv, Vh1, Nickelodeon o Comedy Central, rimarca che in Italia la tv ha ripreso a crescere come raccolta pubblicitaria, che sul mercato c’ è attivismo specie da parte di grandi gruppi esteri, che lo scenario è positivo, ma quello che lo soddisfa di più sono ovviamente le ultime operazioni targate Viacom. Ha appena rilevato il tasto 49 del telecomando (oggi è più importante la posizione nelle numerazione delle frequenze, che si affittano ormai a costi ragionevoli) ossi a quello dove finora c’ è stato il canale Fine Living, e a fine ottobre ci lancerà il nuovo canale targato Viacom, ossia Spike, con contenuti misti, film, serie e factual. Ha poi rilevato da De Agostini il 50% del canale per bambini- adolescenti Super (a cui fornisce già una buona quantità di contenuti). Con queste due operazioni, soprattutto con Spike, la quota di audience targata Viacom inizia ad avvicinarsi a quella delle tv del gruppo Cairo, La7 e La7d». Puntate al sorpasso? «Lasciamo stare le classifiche. Quello a cui puntiamo è di consolidare Viacom Italia tra i primi operatori tv del paese. Siamo una realtà in crescita. Stiamo investendo molto attraverso una ricca offerta pay grazie alla collaborazione con Sky, partner fondamentale, e con una selezionata offerta in chiaro. Ma non solo sul fronte dei contenuti ». Cioè? «Stiamo lavorando per rafforzarci sul mercato della raccolta pubblicitaria. Un mercato che ha ripreso a crescere. E soprattutto sta crescendo la raccolta dei nuovi canali, quelli nati con il digitale, quelli che sono oltre il tasto numero 20 del telecomando per dire. Sono canali tematici, verticali, ciascuno con le proprie peculiarità (film o serie, sport, crime, factual, cibo, cucina arredamento, stili di vita) Sono tutti contenuti che ci differenziano dalla vecchia tv generalista ereditata dall’ era analogica e che pubblicitariamente funziona bene, perché raggiunge target definiti. Per questo piacciono agli inserzionisti, per questo il mercato italiano, che è uno dei più aperti d’ Europa, sta attirando nuovi giocatori. c’ è molto fermento. De Agostini lancia un nuovo canale, il gruppo Scripps, che è stato appena acquisito negli Usa da Discovery, ha venduto a noi Fine Living ma si rafforza su Food Network. La stessa Sony è sbarcata sul digitale terrestre italiano lo scorso maggio con il canale per bambini Pop e ora appena lanciato un secondo canale, Cine Sony, ovviamente dedicato ai film della sua library». In che modo vi coinvolge tutto ciò? «Perché noi, con la nostra concessionaria Viacom Media, raccogliamo pubblicità per tutti questi canali. Siamo la maggiore concessionaria non captive in Italia, nel senso che raccogliamo non solo la pubblicità per i nostri canali ma anche per terzi. Puntiamo ad avvicinarci in tempi brevi al quarto operatore qui sul mercato italiano, Discovery. Sky ma soprattutto Publitalia, la concessionaria di Mediaset e Rai Pubblicità sono ancora distanti. Troppo». E’ una polemica? «Voglio solo sottolineare che mentre l’ audience italiana si è ‘democratizzata’ molto negli ultimi anni, la raccolta pubblicitaria è ancora molto, troppo polarizzata sui due maggiori attori. Bastano due numeri: i canali generalisti di Rai e Mediaset assieme fanno il 55% degli ascolti ma il 70% della raccolta pubblicitaria. Nonostante che Rai, beneficiando del canone, abbia gli affollamenti contingentati Questo dato configura il nostro mercato in modo un po’ anomalo. Di solito chi fa grandi numeri di ascolto fa anche grandi numeri di raccolta di spot, ma il costo procapite di uno spettatore dovrebbe andare a scendere. Tanto più che i grandi numeri oggi li fa ancora la tv generalista, che ha però una audience anziana. Su Rai, per dire, il 57% del pubblico ha oltre 60 anni e sta davanti alla tv anche più di 7 ore al giorno. Noi invece puntiamo con decisione al pubblico tra i 25 e i 54 anni. Che è un pubblico pregiato ma difficile». Perché? «Perché sono i cosiddetti ‘light explorative viewer’, perchè vedono meno tv degli anziani, e poi perché sono velocissimi nel cambiare canale, catturare la loro attenzione è una alchimia complicata. Ma è il pubblico che piace agli investitori pubblicitari ed è a caccia di questo pubblico che arrivano sempre nuovi investimenti dall’ estero. Noi, per dire, potremmo facilmente aumentare gli ascolti del nostro canale Paramount riposizionandone il palinsesto verso una audience più anziana. Ma non ci conviene perché economicamente non funzionerebbe più bene come ora». È per questo che siete così preoccupati del decreto a firma del ministro del Mibact Dario Franceschini? Cosa contestate, voi di Viacom ma anche tutto il sistema dei broadcaster italiani, visto che avete firmato una posizione comune, tutti assieme? «La situazione italiana si è aggiustata sulla regolamentazione corrente e tutto il mercato delle produzioni si è uniformato. Quello che si contesta è l’ aver disegnato un progetto che non tiene conto del fatto che dietro a quello che si manda in onda c’ è un modello di business che non può essere stravolto. Centinaia di milioni di investimenti in acquisto di contenuti anche italiani, di uffici, di tecnologia, di team e di lavoro in fumo. Il business della tv è difficile, si lancia un canale, si accetta il rischio e se va bene si arriva a breakeven dopo anni. E sono tutti investimenti trasparenti, di aziende che qui in Italia pagano le tasse. In questo contesto la pressione governativa per valorizzare e promuovere i contenuti europei e soprattutto italiani deve essere pensata a partire dall’ operatore pubblico, garantito dal canone, attraverso la giusta flessibilità e gradualità per gli operatori ma anche forme innovative di aiuto come agevolazioni fiscali … altrimenti il rischio per tutti è il fallimento e basta». E cosa resterebbe sul mercato? «A quel punto solo lo streaming via web: Netflix, Amazon e Facebook ». © RIPRODUZIONE RISERVATA Andrea Castellari ad di Viacom Italia, Medio Oriente e Turchia visto da Massimo Jatosti Sopra, un frame dagli Mtv Music Award Italia e il logo della Paramount che dà il nome ad uno dei canali Viacom.
Google aiuterà gli editori a vendere abbonamenti online
La Stampa
BENIAMINO PAGLIARO
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Google vuole aiutare gli editori di tutto il mondo a vendere più abbonamenti online e supportare così il giornalismo che vive una delicata era di transizione verso l’ ambiente digitale. Per farlo, il motore di ricerca metterà a disposizione degli editori una serie di strumenti che possano rendere più semplice vendere gli abbonamenti digitali. Può apparire un paradosso ma Google, che incassa quasi 90 miliardi di dollari all’ anno dalla pubblicità digitale dei propri servizi, compie questa scelta perché dall’ industria editoriale, spiegano, «arriva il segnale che la pubblicità da sola non può più sostenere il modello economico del giornalismo». La decisione fa parte di una strategia di collaborazione che Google attua da anni dopo qualche incomprensione e attrito con il settore. «Le persone usano Google per cercare contenuti di qualità e il nostro lavoro è aiutarli a trovarli», dice il vicepresidente della società con delega alle News, Richard Gingras. Ma le novità arrivano nello stesso periodo in cui le piattaforme che organizzano i contenuti online, inclusa Google, sono sotto accusa per non aver vigilato a sufficienza sulla diffusione di notizie false, in particolare negli Stati Uniti nel corso dell’ ultima campagna presidenziale che ha visto vincere Donald Trump. Anche Facebook sta lavorando a un piano per vendere abbonamenti ai contenuti. Il primo strumento messo a disposizione degli editori è un nuovo metodo che consenta ai siti d’ informazione a pagamento di mostrare agli utenti una prova gratuita, decidendo autonomamente il numero degli articoli visibili gratuitamente prima di convincere l’ utente ad abbonarsi. Il secondo strumento, probabilm ente il più interessante, sfrutterà le tecnologie di Google per consentire agli editori di conoscere meglio i propri lettori, definendo i gruppi che a giudicare dal loro comportamento online dovrebbero essere più propensi ad abbonarsi. Google offrirà poi agli editori la possibilità di usare il proprio sistema di pagamento per velocizzare l’ esperienza di acquisto, senza applicare una commissione e garantendo il completo accesso ai dati degli utenti. Infine, i risultati di ricerca di Google e la sezione Google News potranno mettere in evidenza gli articoli della testata a cui l’ utente è abbonato, garantendo così una più alta percezione del valore dell’ abbonam ento. @bpagliaro BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Addio al «patron» di Vogue e New Yorker
Corriere della Sera
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Samuel Irving Newhouse Jr, noto anche con lo pseudonimo S. I. Newhouse, è morto ieri all’ età di 89 anni. È stato per molto tempo numero uno dell’ impero di Condé Nast, editore, fra l’ altro, di prestigiose riviste come The New Yorker, Vogue e Vanity Fair. Sotto la sua direzione, Condé Nast è stata rilanciata acquisendo quell’ aura di glamour che caratterizza le sue pubblicazioni. A S.I. Newhouse si devono infatti le assunzioni di Tina Brown a Vanity Fair e Diana Vreeland e Anna Wintour a Vogue. Il valore delle sue ricchezze è stato stimato attorno agli otto miliardi e mezzo di dollari americani. Fino a ieri era considerato il magnate dell’ editoria più ricco e il trentasettesimo negli Stati Uniti. Ha studiato alla Horace Mann School di New York. L’ atto più importante di filantropia di Newhouse è stata la donazione di 15 milioni di dollari alla Syracuse University .
Da oggi sul sito la nuova economia di Repubblica.it
La Repubblica
DATI MACRO
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IL WEB. IMPAGINAZIONE AGGIORNATA E CONTENUTI AMPLIATI NELLA SEZIONE FINANZIARIA, ONLINE DALLE 12. NEWS E VIDEO IN LINGUA INGLESE CON BLOOMBERG MILANO. «Mi conviene accedere all’ Anticipo pensionistico e lasciare il lavoro o perdo troppi soldi? ». «Ho disdetto il contratto del telefono, ma l’ operatore mi chiede di pagare un recesso salato perché non ho spedito una raccomandata, come era specificato in un codicillo nel regolamento: come posso difendermi?». Sono alcune delle domande che ci poniamo nella vita di cittadini e consumatori. Domande alle quali i lettori di Repubblica potranno trovare risposta. La sezione di Economia&Finanza con Bloomberg di Repubblica. it si rinnova nel look e nei contenuti, mantenendo fermo l’ obiettivo di offrire un’ informazione snella e aggiornata, al fianco di approfondimenti e articoli di servizio. La nuova home page è online da oggi a mezzogiorno. Viviamo in un mondo in cui le parole sussurrate da un governatore centrale pesano sulla rata del mutuo, scenari macroeconomici e problemi quotidiani dialogano di continuo. Ecco perché sbarca sul sito lo spazio «Diritti e consumi», nel quale i lettori possono sottoporre agli esperti di Repubblica i quesiti su Lavoro, Pensioni, Trasporti, Fisco, Energia, Famiglia, Diritti dei consumatori, Casa, Banche e Assicurazioni, Telefonia. Negli anni dell’ Industria 4.0, con la nuova rivoluzione che bussa alle porte delle fabbriche, le questioni del lavoro conquistano la ribalta con una sezione dedicata. Così come i dati macroeconomici dell’ Italia e dei Paesi del G20, facilmente reperibili in uno spazio ad hoc: un prontuario per decifrare perché gli «zero virgola» hanno tanto peso nella dialettica con la Ue. Le inchieste e gli approfondimenti del settimanale economico di Repubblica, Affari& Finanza, trovano posto accanto alla cronaca di tutti i giorni. Infine, lo sguardo internazionale: arriva una finestra in lingua inglese con gli articoli e i contenuti multimediali della rete Bloomberg. ©RIPRODUZIONE RISERVATA DIRITTI E CONSUMI Dieci specialisti rispondono alle domande che i lettori di Repubblica.it potranno inviare in redazione Uno sguardo aggiornato sull’ andamento delle variabili macroeconomiche dell’ Italia e degli altri grandi Paesi.
L’ informazione Netweek, il futuro della carta e la sfida di internet
Giornale di Lecco
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MERATE (ces) Formazione doveva essere e formazione è stata. Uno dei punti cardine su cui intende puntare Netweek Spa nell’ immediato futuro è proprio la formazione dei suoi giornalisti e dei suoi venditori. L’ amministratore delegato di Dmedia Group, Mauro Albani, l’ aveva sottolineato solo una settimana prima durante la convention aziendale; e subito si è dato applicazione al primo corso. Sabato 23 settembre, nella sede di Merate, si sono ritrovati ben 130 giornalisti. Tema del corso: “Netweek: il sistema editoriale e la nuova piattaforma web”. «Era da tempo che ripetevo ai vostri direttori: facciamo formazione – ha detto Albani introducendo il corso – Oggi, finalmente partiamo. Voglio che sia la prima tappa di un percorso costante che vi permetta di essere sempre all’ altezza del lavoro che siete chiamati a svolgere». Insomma, l’ obiettivo, per dirla alla giornalista, è «stare sul pezzo». E i temi affrontati andavano proprio in questo senso: un’ introduzione a cura del direttore editoriale Angelo Baiguini sul tema “Le nuove sfide: la notizia tra carta e web”, lo sviluppo delle modalità operative illustrate da Roberto Negri che ha parlato di “Sistema editoriale: conoscerlo e utilizzare tutte le sue funzioni”, e le novità sul fronte web spiegate da Gianluca Papa, con un intervento dal titolo: “I siti e l’ integrazione carta web: le nuove frontiere di Netweek”. Un percorso di crescita dei giornalisti come quello dell’ azienda, di cui ha parlato ancora Albani: nuove iniziative editoriali, cinque nuove testate in Veneto, l’ avvio di 22 portali internet, il progetto ambizioso degli allegati verticali. «L’ azienda guarda ai risultati, sorprendenti, che altri editori non stanno ottenendo, anche in edicola nonostante le difficoltà del settore», ha aggiunto l’ amministratore delegato, che ha concluso con un incoraggiamento: «Massima serenità, io lo sono! Tutti dobbiamo metterci impegno, e sono convinto che potremo raggiungere ottimi risultati».
Ecco cosa accadrà dal gennaio 2018 per uomini e donne
Messaggero Veneto
DAVIDE VICEDOMINI
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di Davide VicedominiDal primo gennaio 2018 tutti i lavoratori e le lavoratrici accederanno alla pensione di vecchiaia al perfezionamento di 66 anni e 7 mesi di età. Non ci sarà, quindi, più alcuna distinzione tra uomini e donne. Ma la speranza di vita, introdotta a partire dal 2013 come requisito anagrafico utile per l’ accesso alla pensione, ha allungato ulteriormente i tempi. Così i nati dal 1980 in poi dovranno lavorare almeno fino a 70 anni per raggiungere l’ agognata prestazione. Almeno, dicevamo, perché le stime di vita sono destinate progressivamente a innalzarsi e quindi i dati successivi al 2018 (vedi tabella) sono passibili di scostamenti rispetto ai valori esposti. Dalla Legge Fornero a oggiLa pensione di vecchiaia è quella prestazione erogata dall’ assicurazione generale obbligatoria, dai fondi a essa sostitutivi, esclusivi o esonerativi, nonché dalla gestione separata dell’ Inps al compimento di una determinata età anagrafica unitamente al possesso, di regola, di almeno 20 anni di contributi. Dal primo gennaio 2012 la legge Fornero ha inasprito in generale i requisiti di accesso fissandoli a 66 anni per gli uomini (dipendenti e autonomi) e per le lavoratrici del pubblico impiego; a 62 anni per le dipendenti del settore privato; a 63 anni e 6 mesi per le autonome e la parasubordinate. Riguardo a queste ultime, però, la riforma ha previsto un innalzamento graduale dei requisiti anagrafici con l’ obiettivo di parificare l’ età pensionabile tra uomini e donne entro il 2018. L’ innalzamento è avvenuto con due scatti nel 2014 e nel 2016, pari ciascuno a un anno e sei mesi per le lavoratrici dipendenti, di un anno ciascuno per le autonome e le parasubordinate. Nel 2018 l’ adeguamento si completerà con un ulteriore scatto di un anno per le dipendenti del settore privato e di sei mesi le autonome e le parasubordinate, cosicché tutti andranno in pensione al perfezionamento di 66 anni e 7 mesi di età. La speranza di vitaI requisiti sopra esposti sono soggetti, come detto, a partire dal primo gennaio 2013, agli adeguamenti alla speranza di vita che hanno già prodotto un ulteriore slittamento, per tutti i lavoratori sia donne che uomini, sia dipendenti che autonomi, pari a 3 mesi nel 2013 e di altri 4 mesi dal primo gennaio 2016. Il prossimo adeguamento, la cui entità non è ancora nota in via ufficiale, è previsto dal 2019. Successivamente a tale data l’ adeguamento avverrà ogni due anni. Ciò interessa in linea generale tutte le prestazioni erogate dalla previdenza pubblica obbligatoria. Si pensi, in particolare, alla pensione di vecchiaia, all’ anticipata, all’ opzione donna, ai lavoratori derogati dalla legge Foriero, al comparto difesa e sicurezza, ma anche all’ assegno sociale. Con la legge 232/2016 i futuri quattro adeguamenti (2019, 2021, 2023 e 2025) non trovano, invece, applicazione nei confronti dei lavori usuranti. Gli adeguamenti alla speranza di vita non trovano applicazione, di regola, anche nei confronti degli enti previdenziali privatizzati, le casse professionali (unica eccezione l’ Inpgi, la cassa dei giornalisti), in quanto tali enti non risultano non risultano destinatari né della riforma del 2010 né della legge Fornero. Il sistema retributivoVediamo dunque di riassumere le condizioni attualmente vigenti per l’ accesso alla pensione di vecchiaia, che si distingue tra sistema retributivo o misto e contributivo. I lavoratori dipendenti del settore privato o del settore pubblico, nonché gli autonomi che possono vantare contribuzione al 31 dicembre 1995 e che, quindi, rientrano nel sistema retributivo o misto hanno potuto accedere alla prestazione di vecchiaia, dal primo gennaio 2016, al perfezionamento di 66 anni e 7 mesi. Tale requisito è stato richiesto anche alle lavoratrici del settore pubblico. Alle dipendenti del settore privato sono stati richiesti requisiti di un anno inferiori pari a 65 anni e 7 mesi mentre le lavoratrici autonome hanno perfezionato l’ operazione a 66 anni e 1 mese. Dal primo gennaio 2018 comunque tutti i lavoratori e lavoratrici accederanno alla prestazione di vecchiaia a 66 anni e sette mesi. Unitamente al requisito anagrafico sopra descritto è necessario vantare, congiuntamente, almeno 20 anni di contribuzione, a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’ assicurato (da lavoro, riscatto, volontaria e figurativa)I “quindicenni”Resta salva la possibilità per alcuni lavoratori di accedere alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi. L’ Inps ha chiarito infatti che resta in vigore, anche dopo la riforma Fornero, la possibilità di accedere alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi. Riguarda lavoratori con attività discontinue (servizi domestici e familiari, lavoratori agricoli, lavoratori dello spettacolo). Gli interessati alla deroga devono tuttavia perfezionare il requisito anagrafico previsto dalla Legge Foriero. Il sistema contributivoI lavoratori per i quali il primo accredito contributivo decorre dal primo gennaio 1996, possono ottenere la pensione al perfezionamento dei medesimi requisiti anagrafici e contributivi previsti per i lavoratori nel sistema retributivo o misto sopra descritto. Tuttavia, a differenza di questi, per conseguire il diritto, oltre alla presenza del requisito contributivo di 20 anni e del requisito anagrafico, devono ulteriormente soddisfare il requisito di avere un importo della pensione superiore a 1, 5 volte l’ importo dell’ assegno sociale. In caso contrario possono accedere al trattamento di vecchiaia al compimento di 70 anni di età con almeno 5 di contribuzione “effettiva” (cioè obbligatoria, volontaria e da riscatto) – con esclusione della contribuzione accreditata figurativamente a qualsiasi titolo – a prescindere dall’ importo della pensione. Anche il requisito anagrafico di 70 anni è soggetto agli adeguamenti in materia di stima di vita (nel 2018 sono quindi necessari 70 anni e 7 mesi). Come funziona l’ ApeL’ anticipo finanziario a garanzia pensionistica (Ape) è entrato in vigore dal primo maggio 2017. La misura serve a raggiungere la pensione. Tre le prestazioni previste: l’ Ape volontaria, ovvero il prestito erogato da una banca, da restituire (il decreto attuativo, come sottolineano anche dal patronato Inas Cisl, non è ancora stato pubblicato, comprese pure le circolari interpretative); l’ Ape sociale, ovvero l’ indennità pagata dallo Stato, corrisposta ad alcune categorie di lavoratori in situazioni di disagio; e la pensione per lavoro precoce, ovvero la possibilità per chi ha iniziato a lavorare presto, di accedere alla pensione anticipato con meno anni di contributi. Per l’ Ape volontaria bisogna avere raggiunto i 63 anni, con almeno 20 anni di contributi e avere un importo della pensione almeno 1,4 volte al netto della rata di ammortamento. La prima rata si paga con il primo rateo della pensione e avrà durata di 20 anni. L’ Ape sociale riguarda, invece, i disoccupati senza più diritto alla relativa prestazione da almeno tre mesi; gli invalidi almeno al 74%; i lavoratori dipendenti che svolgono da almeno 6 anni lavori pesanti; i soggetti che assistono da almeno 6 mesi il coniuge o un parente convivente di primo grado di handicap grave. Bisogna però avere raggiunto i 30 anni di contributi per chi è disoccupato o è invalido o assiste parenti disabili, 36 anni per chi svolge lavori pesanti. In questo caso l’ indennità è erogata dallo Stato per 12 mesi. Per tutte queste ultime categorie di beneficiari è possibile anche accedere alla “pensione per lavoro precoce” con almeno 41 anni di contributi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Giornalisti, tutti eletti al primo turno
Il Roma
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NAPOLI. Giornalisti campani alle urne con le elezioni del nuovo Consiglio regionale e dei consiglieri nazionali. Sono stati tutti eletti al primo turno, avendo superato il quorum previsto. Ecco gli eletti del consiglio regionale: i professionisti Ottavio Lucarelli, Paolo Mainiero, Vincenzo Coli moro, Vincenzo Esposito, Titti Improta e Pino De Martino; i pubblicisti Mimmo Falco, Salvatore Campitiello e Massimiliano Musto. Revisori dei conti: i professionisti Francesco Marolda e Concita De Luca; il pubblicista Francesco Ferraro. I neo consiglieri nazionali eletti sono Carlo Verna e Antonio Sasso per i professionisti e Alessandro Sansoni per i pubblicisti.
Notizie a pagamento su Facebook, ci siamo
La piattaforma creata da Mark Zuckerberg ha confermato qualche giorno fa quanto annunciato a luglio, dando agli editori l’ opportunità di offrire notizie a pagamento dentro al servizio di Instant Articles su smartphone. Il colosso di Mountain View dal canto suo, che sul versante del miglioramento dei rapporti con gli editori annovera la Digital News Initiative (con cui mette a disposizione fondi per progetti innovativi degli editori, anche italiani), tende “un ramoscello d’ ulivo” con un tris di azioni. La prima è il passaggio alla policy “Flexible Sampling” da quella First Click Free, che chiedeva agli editori di fornire un minimo di 3 articoli gratuiti al giorno attraverso Google Search e Google News prima di mostrare il paywall. Il tutto con una mossa che – almeno nelle speranze dei publisher – dovrebbe portare a un aumento degli abbonamenti sui siti che richiedono una registrazioni. «In generale – si legge in una nota di Google – gli editori riconoscono che offrire alle persone l’ accesso ad alcuni contenuti gratuiti è il modo per persuaderli ad acquistare il loro prodotto. L’ approccio tipico al sampling (prova gratuita) è un modello chiamato “metering”, che consente alle persone di vedere un numero predeterminato di articoli gratuiti prima che si attivi il paywall». L’ approccio raccomandato è per un un metering da 10 articoli gratuiti al mese prima di far scattare il paywall.
Crisi edicole, Fieg ed Anci firmano un protocollo per modernizzare la rete di vendita
Bonus Cultura, ecco come funziona
Il “Bonus cultura” a favore dei neo diciottenni è un’iniziativa prevista a sostegno della cultura sia dalla Legge di Stabilità 2016 che dalla Legge di Bilancio 2017, con le modalità stabilite dal DPCM 4 agosto 2017, n. 136 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del n. 218 del 18/09/2017. La misura prevede l’assegnazione di una Carta elettronica ai giovani che compiono 18 anni nel 2016 e nel 2017 residenti in Italia, inclusi gli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, per un importo di 500 euro da spendere nell’acquisto di prodotti e servizi culturali. I diciottenni potranno utilizzare la carta elettronica per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’acquisto di libri, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo e, novità del 2017, anche per l’acquisto di musica registrata, nonché di corsi di musica, di teatro o di lingua straniera. I nati nel 1999 per poter usufruire del Bonus dovranno iscriversi sulla piattaforma 18App entro il 30 giugno 2018 e potranno spendere il bonus entro il 31 dicembre 2018.
Contributi tv locali. Il Mise pubblica l’elenco dei beneficiari per l’anno 2015
Il Ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato nel sito internet del Ministero, all’interno , due elenchi (relativi ai due piani gestionali di pagamento in cui sono suddivisi) dei primi 300 beneficiari cui sono stati erogati, alla data del 19 settembre 2017, i contributi spettanti per le misure di sostegno alle emittenti televisive locali per l’anno 2015. Gli elenchi sono comprensivi dei relativi importi e della percentuale di erogazione del contributo (100% ovvero del 90%). In quest’ultimo caso, il rimanente 10% verrà erogato non appena la Presidenza del Consiglio dei Ministri avrà provveduto all’invio al Ministero del DPCM relativo al riconoscimento delle provvidenze editoria.
Contributi 2015
Rassegna Stampa del 03/10/2017
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Sky inizia a licenziare oltre 100 persone
Sky non ascolta il giudice del lavoro e manda 102 lettere di licenziamento
Sì al decreto Franceschini tv: più morbido, almeno per la Rai
Sì alle quote italiane ma le tv non ci stanno
Più spazio in tv ai film italiani. Per decreto
Più film italiani in prima serata Il decreto contestato dalle tv
Altro regalo di Franceschini ai registi di sinistra
In tv il cinema italiano ora ha il posto in prima fila
Più fiction tv italiane le quote non bastano
Broadcaster delusi, produttori felici
Cinema, i tre decreti che completano la riforma
Accordo tra Comuni e Fieg per rilanciare la rete delle edicole
Tv, si rafforzano Rai 1 e Canale 5
Google aiuterà gli editori a trovare abbonati online
Editori, l’ Ue discute sul copyright
Al via il progetto “Buon Senso” per orientare i ragazzi tra le notizie
Addio a “Si” Newhouse il magnate dell’ editoria che amava la cultura
Fieg e Comuni patto per rilanciare le edicole italiane
Articoli web gratis Google si arrende: decide l’ editore
«Servizi ai cittadini nelle edicole»
L’ allarme degli Editori per i rischi dell’ E-privacy
Sky inizia a licenziare oltre 100 persone
Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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Funziona così nell’ azienda cool e friendly, nella società coi conti benedetti da aumenti degli utili a tre cifre (+139% nel 2016/2017), nell’ impresa impegnata nel sociale (ora vuole salvare gli oceani), che premia la creatività e che sparge le sue magiche stelline su questa povera provincia dell’ impero anglofono. Funziona, dicevamo, così. Uno (o una) è lì che lavora in sala montaggio o in regia a Roma quando gli arriva una telefonata: “Puoi presentarti in Hr?”. In quell’ azienda cool eccetera sarebbe l’ ufficio del personale, le risorse umane: una volta arrivato lì, magari prendendo l’ auto o il bus da una sede distaccata, il tizio o la tizia che prima erano in sala di montaggio o in regia riceve dalle mani di “Hr” una lettera. È il suo licenziamento con effetto immediato. A quel punto il tizio o la tizia se ne vanno a casa, qualcuno piangendo e qualcuno no, e da quel momento inizia la loro nuova vita di esuberi Sky. È Sky Italia, infatti, l’ azienda che ieri pomeriggio ha iniziato – sulla base di procedura di licenziamento collettivo avviato a maggio (ringraziare il Jobs act) – a cacciare in questo modo non proprio urbano 102 suoi dipendenti della sede di Roma considerati “esuberi” vuoi in sé, vuoi perché non hanno accettato il trasferimento a Milano (ma, pare, ai più fortunati si concede ancora la possibilità di ripensarci, scegliendo tra la ghigliottina e la lettera d’ addio). Commenti dell’ azienda non pervenuti, reazioni dei sindacati confederali o di quello dei giornalisti (per lo più al riparo dalla mannaia) al momento impercettibili. Questa, però, non è solo una storia di scarso bon ton aziendale, né solo l’ ennesima dimostrazione che il rispetto per il lavoro (articolo 1 della Costituzione) e la responsabilità sociale delle imprese (articolo 41) arrivano esattamente nel punto in cui si rischia di intaccare i profitti o i ricchi benefit dei manager. Non è solo questo. Sky Italia, infatti, avviando le procedure di licenziamento in questa maniera, sta anche dimostrando palese indifferenza rispetto a una recente sentenza della magistratura, che l’ ha condannata per comportamento anti-sindacale. Il problema è questo. Ormai, dopo un decennio in cui il diritto del lavoro è stato manomesso in ogni modo dai governo, sui licenziamenti le speranze legali sono poche. I trasferimenti collettivi, però, sono regolati dalla legge se si tratta di decisioni “unilaterali” dell’ azienda. E qui – dice la sentenza del 22 agosto – lo sono: in sostanza, dice il giudice, Sky non ha né spiegato come doveva (codice civile) le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” dietro la chiusura della sede di Roma; né ha attivato le procedure previste dal Contratto nazionale di categoria (art. 57), prima tra tutte il coinvolgimento del sindacato, preferendo scegliere a suo piacimento – cioè senza tener conto di norme e leggi che tutelano, per dire, chi vive situazioni particolari come una malattia – chi cacciare e chi no. Sky non è interessata a lacci e lacciuoli, cavilli, leggi e sentenze: da ieri manda a casa anche chi rifiuta un trasferimento deciso in maniera censurata da un giudice. Ma se va bene, però, salverà gli oceani.
Sky non ascolta il giudice del lavoro e manda 102 lettere di licenziamento
Il Manifesto
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II Incurante della sentenza del giudice del lavoro, Sky Italia va avanti imperterrita. E ieri ha inviato decine e decine di lettere di «licenziamento immediato» per tecnici e amministrativi che lavorano nella sede di Roma, che a breve sarà dunque chiusa. Ieri tra i corridoi di via Salaria, da dove ancora trasmette Sky Tg24, si sono vissuti momenti di grande tensione. Le lettere sono arrivate all’ improvviso e molti tecnici hanno lasciato il posto di lavoro provocando ritardi nel montaggio e nella messa in onda dei servizi. Al momento il Comitato di redazione dei giornalisti ha solidarizzato con i colleghi licenziati tramite un comunicato ma non prevede forme di protesta per oggi, tanto meno scioperi. La procedura di licenziamento collettivo aperta lo scorso 16 maggio per 124 persone (14 gior nalisti, di cui 5 hanno rifiutato il trasferimento) ha avuto un iter assai accidentato. Se l’ Fnsi – il sindacato dei giornalisti – il 6 aprile ha firmato un accordo che aumenta da 27 a 31 il numero di posti rimanenti «nella nuova sede di Roma Centrale Montecitorio» e aumenta gli incentivi al trasferimento, per tecnici e amministrativi il 2 agosto si è arrivati ad un «verbale di mancato accordo» che ha aperto le porte ai licenziamenti, quantificati in 102 dalla stessa azienda. Nel frattempo però il 22 agosto il giudice Laura Baiardi del tribunale del Lavoro di Roma ha sancito il comportamento antisindacale di Sky Italia, accettando il ricorso proposto dal sindacato Ugl. Nel dispositivo il giudice contesta il «mutamento volontario della sede di lavoro» verso Milano, considerandolo invece «imposto». Il trasferimento della sede romana di Sky a Milano infatti è stato fatto senza le «comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive» previste dall’ articolo 57 del contrato nazionale di lavoro, così come Sky non aveva aperto le procedure di contrattazione che permettono al sindacato di avanzare controproposte. La sentenza aveva dato speranza ai tanti lavoratori non in grado di potersi spostare a Milano- molti usufruiscono della legge 104 per assistere familiari – o che avevano scelto di «non accettare con riserva» il trasferimen to. II 20 settembre anche i sindacati confederali avevano chiesto a Sky di tenere conto della sentenza del tribunale di Roma e di far riaprire la trattativa. Ma l’ azienda ha deciso di andare allo scontro. La scorsa settimana a 34 lavoratori più tentennanti è arrivata un’ ultima offerta per trasferirsi, ma è stato solo uno stratagemma aziendale per confondere ulteriormente le acque. Si prepara dunque una lunga battaglia legale. «L’ illegittimità del trasferimento trascinava con sé anche la procedura di licenziamento collettivo – ribadisce l’ avvocato Pierluigi Panici che assiste molti lavoratori e giornalisti – . Quello di Sky Italia è un atto di protervia e di disprezzo e di aperta ribellione agli ordini dell’ autorità giudizia ria». m. fr.
Sì al decreto Franceschini tv: più morbido, almeno per la Rai
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Il Consiglio dei ministri ha approvato una versione docile del cosiddetto decreto Franceschini – da chiamare Franceschini Tv – per obbligare le televisioni tradizionali a spendere di più per i prodotti audiovisivi europei e italiani e gli italiani a guardare di più cinema e fiction europee e italiane. Non si tratta di mezzo miliardo di euro all’ anno da aggiungere ai 750 attuali, ma di circa la metà – perché le quote d’ investimento sono dimezzate rispetto alle bozze della legge – e con gradualità fino al 2020. Ora lo schema prevede lo sfrenato entusiasmo del ministro per la Cultura, che può rivendicare le regole imposte a un mercato domestico falcidiato da quello globale (non regolato, appunto) e le proteste delle emittenti private, non tanto la pubblica Rai, che lamentano un’ invasione governativa nei bilanci e, peggio ancora, nei palinsesti. Palazzo Chigi ha corretto il testo di partenza che aveva causato la ribellione unanime – fenomeno molto raro per l’ Italia – di Sky, Rai, Mediaset e sorelle. Per esempio, Viale Mazzini parte dall’ odierno 15 per cento e arriva al 20 del fatturato per l’ audiovisivo, non più al 30; mentre le private passano dal 10 al 15. Per onorare il modello francese, il ministro ha importato la fascia oraria 18-23 per la prima serata in cui va trasmessa un’ opera italiana, un film, una fiction, un documentario originale o un cartone animato. Il risultato è sostenibile per Viale Mazzini: 252 minuti ogni 7 giorni per il cinema tricolore non impone rivoluzioni di palinsesti, mentre le private – alcune a digiuno di pellicole – dovranno reperire un film alla settimana. Siccome la Rai è in gran parte sostenuta dal canone e dunque pianifica gli investimenti con un’ entrata sicura e più o meno precisa, Viale Mazzini non è stravolta dal decreto di Franceschini e può rischiare di perdere un paio di punti di share con un prodotto scadente. Mediaset e sorelle, invece, che vivono di pubblicità, non possono sacrificare una serata per rianimare la fabbrica autoctona del cinema. Come sempre, le parole aiutano. Cosicché Franceschini non prescrive più un’ opera in lingua italiana, ma un’ opera di “espressione italiana”: un film girato in Marocco con attori giapponesi, montaggio cinese, ispirato ai Promessi Sposi è considerato senz’ altro un’ opera di “espressione italiana”. Un’ emittente privata può farcire il palinsesto con prodotto modesto, ma se il pubblico scappa, chi ripaga il danno? Non Franceschini. Il ministro è impegnato a celebrare il decreto delegato, incurante del percorso che lo separa dal varo, fra commissioni parlamentari, regolamenti dell’ Autorità di controllo (Agcom), parere del Consiglio di Stato e deroghe per i canali tematici. Il decreto sfornato dal Cdm potrà subire dei ritocchi; vacillano già le sanzioni fino a 5 milioni di euro o al 2 per cento del fatturato per chi non si adegua alla legge. È vero che in quest’ ultima stagione di impenitenza collettiva le televisioni hanno ignorato l’ Agcom felice di essere ignorata, ma è pur vero che bullonare un mercato nazionale nella flessibilità del mercato globale è uno sforzo più inutile che deleterio. Se fossero sufficienti poche decine di milioni di euro per portare Rai o Sky a competere con Netflix o con Google – che fanno economia di scala e spalmano le spese ovunque – oppure a ritornare all’ epopea di Cinecittà, oggi Franceschini sarebbe osannato e sarebbe il capo della sinistra. Non pare.
Sì alle quote italiane ma le tv non ci stanno
Il Mattino
Oscar Cosulich
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È arrivato ieri dal Consiglio dei ministri l’ ok al decreto che modifica il Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici (il cosiddetto «Tusmar») e nel mondo dello spettacolo c’ è una netta spaccatura. In che cosa consiste il decreto Franceschini? Presto detto: il Tusmar prevede l’ obbligo di aumentare progressivamente gli investimenti e la programmazione di prodotti audiovisivi italiani ed europei da parte delle emittenti televisive e delle piattaforme a pagamento e on line (Netfilx, Amazon e agli altri operatori on demand, in questo caso recependo in anticipo una direttiva europea in corso di approvazione). Il decreto obbliga le televisioni italiane ad aumentare la quota di film e fiction italiane messe in onda in prima serata: nel prime time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione deve essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni italiani: 12% per la Rai, 6% per gli altri fornitori. Si tratta di almeno un film, o una fiction italiana a settimana per ogni canale tv (due per la Rai). Il nuovo impianto è mutuato dal sistema francese: viene definita una quota minima per tutte le opere europee pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% dal 2020); a decorrere dal 2019, è introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, pari per la Rai ad almeno la metà della quota prevista per le opere europee e per le altre emittenti ad almeno un terzo. Per gli investimenti obbligatori il testo prevede che passino gradualmente dal 10 al 15% per le private (l’ entrata a regime è fissata al 2020) e dal 15 al 20% per la Rai. Le sanzioni previste per chi non si adegua saranno sancite dall’ Agcom: da 100.000 euro a 5 milioni. Il decreto è sostenuto, oltre che dal ministro, dalla maggior parte delle firme del cinema, dalle associazioni degli autori e dai produttori indipendenti. Dall’ altra parte i broadcaster hanno definito come «insostenibili» le quote: le nuove regole sarebbero troppo stringenti e penalizzanti e metterebbero a forte rischio l’ occupazione del settore. Le emittenti private parlano di «impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva». «Già quando fu approvata la direttiva Tv senza frontiere sugli obblighi per la televisione di mandare in onda prodotti europei», ricorda il regista e sceneggiatore Maurizio Sciarra, «ci fu una levata di scudi, eppure è stata proprio quella direttiva l’ occasione della nascita della fiction italiana, da Montalbano a Gomorra. Questo decreto è un’ opportunità di svecchiare il nostro prodotto e renderlo più rilevante a livello europeo: combatterlo è una forma di miopia di chi vuol tenere le mani libere su produzione e autorialità». Ma potrebbe essere difficile garantire una programmazione così intensiva di film italiani in prima serata? Sciarra «trova strano che Rai Cinema produca o coproduca una così grande mole di film, senza poi utilizzare il diritto d’ antenna per mandarli in onda, lasciandoli cadere in un buco nero dove non saranno mai visti». Riccardo Tozzi, fondatore e presidente della società di produzione indipendente Cattleya (dalla sua, appunto, «Gomorra», venduto in 190 paesi) scinde l’ aspetto televisivo da quello cinematografico: «La mia impressione è che l’ incremento delle quote, specialmente per quanto riguarda la fiction, sia graduale e sostenibile, anche perché spinge le televisioni verso un settore in amplissima espansione, quindi fa sicuramente il loro interesse». «Il discorso si fa più sensibile dal punto di vista cinematografico», prosegue Tozzi, «perché per le tv il cinema non è il prodotto primario e quindi per loro non è un settore cruciale. D’ altra parte, mentre il prodotto televisivo italiano ora è fortissimo, del nostro cinema non si può certo dire lo stesso. Il vero problema è capire in che direzione vogliamo andare: mi rendo conto che per una televisione le quote di diffusione vanno a toccare la libertà di palinsesto», conclude il produttore, «il fatto è che in Italia si realizzano 250 film all’ anno, che sono un’ enormità, ma la maggior parte di questi non è programmabile in prima serata. Starà a noi produttori e agli autori entrare in una visione produttiva che permetta di realizzare tutti i tipi di film, per avere un’ offerta più equilibrata. Nelle serie tv questo prodotto già c’ è, nel cinema bisogna impegnarsi insieme per farlo, perché non basta un decreto per creare qualcosa che non c’ è». Non ha dubbi nemmeno Andrea Purgatori, sceneggiatore e portavoce dell’ associazione 100 autori: «Più risorse significano più concorrenza, più qualità. Il fatto che siano investiti 400 milioni l’ anno sull’ audiovisivo può sembrare tanto, ma in Francia (sul cui modello si basa questo decreto) ne investono 800. In questo provvedimento, sicuramente, ci saranno nel tempo aggiustamenti e rettifiche, ma è un importantissimo primo passo perché non si limita a finanziare, ma obbliga anche a garantire una diffusione di quello che si è finanziato». E le critiche delle emittenti? «Noi dobbiamo pensare a un prodotto audiovisivo pronto per il mercato internazionale, non possiamo accontentarci di avere solo Gomorra, ci vuole un ventaglio di offerte diverse. Abbiamo sempre pensato che i produttori dovessero essere al nostro fianco, se invece loro vorranno fare le barricate è bene che sappiano che ne troveranno altrettante contro di loro». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Più spazio in tv ai film italiani. Per decreto
Italia Oggi
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Più spazio in prima serata tv a film e fiction made in Italy. Almeno il 55% dovrà essere di produzione europea. E tra questi almeno la metà (per la Rai) e almeno un terzo (per le altre emittenti) dovrà essere di produzione italiana. Nel prime-time, in particolare, oltre a quote minime variabili per le produzioni italiane, vengono definite quote minime di investimento da parte delle aziende tv su lavori made in Italy. È quanto prevede un dlgs, varato ieri in prima lettura dal Cdm, sulla promozione delle opere da parte dei fornitori di servizi media audiovisivi. Il decreto prevede anche una moratoria al 2018 per consentire ai fornitori di adeguarsi. Sarà l’ Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni; queste vengono aumentate (fino a un massimo di 5 mln di euro o 2% del fatturato). Il provvedimento introduce anche obblighi di programmazione e investimento per l’ on demand. Altri due schemi di dlgs, licenziati sempre ieri in prima lettura dal Cdm, intervengono sempre nell’ audiovisivo. Uno perfeziona la disciplina dei rapporti di lavoro in coerenza col «Jobs Act» e definisce le professioni. L’ altro delinea un nuovo sistema di tutela dei minori nella visione delle opere, abolisce la censura e responsabilizza gli operatori cinematografici. Obblighi di programmazione. Il nuovo impianto normativo è mutuato dal sistema francese. In particolare: 1) viene definita una quota minima per tutte le opere Ue pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% a partire dal 2020); 2) dal 2019 verrà introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, di qualsiasi genere, pari: per la Rai, ad almeno metà della quota prevista per le opere europee; per le altri emittenti, ad almeno un terzo della quota prevista per le opere europee; 3) il rispetto delle percentuali va riferito all’ intera giornata di programmazione; 4) nel prime-time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione dovrà essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni italiani: 12% per la Rai, 6% per gli altri fornitori. Si tratta di un film o fiction o documentario o animazione italiani a settimana. Per la Rai l’ obbligo sarà di 2 opere italiane a settimana, di cui una cinematografica. Obblighi di investimento. Per i fornitori diversi dalla concessionaria di servizio pubblico: 1) gli introiti netti annui sono la base per il calcolo degli investimenti richiesti; 2) la quota di investimento riservata all’ acquisto o al pre-acquisto o alla produzione di opere Ue è pari ad almeno il 10% (quota elevata al 12,5% da gennaio 2019 e al 15% dal 2020). Per il 2018 la quota sarà riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti. Dal 2019 a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste; 3) all’ interno della quota prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane la quota minima del 3,5% degli introiti netti annui. Tale percentuale viene innalzata al 4% per il 2019 e al 4,5% dal 2020. Oggi è il 3,2%. Per la Rai: la base per il calcolo degli investimenti richiesti sono i ricavi annui da canone, più i ricavi pubblicitari connessi; la quota di riserva al pre-acquisto o all’ acquisto o alla produzione di opere Ue è pari ad almeno il 15% dei ricavi annui. Tale quota è elevata al 18,5% dal gennaio 2019 e al 20% dal 2020. Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste. All’ interno della quota complessiva per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane, la quota minima del 4% dei ricavi complessivi netti. Percentuale che sale al 4,5% per il 2019 e al 5% dal 2020. Oggi è il 3,6%.
Più film italiani in prima serata Il decreto contestato dalle tv
Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA «Sono norme concrete che servono ad aiutare, tutelare e valorizzare la creatività, la fiction e il cinema italiani. Il decreto legislativo sosterrà le produzione di cinema e opere italiane anche portandole in prime time tv». Ieri Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali, appariva molto soddisfatto dopo l’ approvazione in Consiglio dei ministri del decreto legislativo sulla promozione delle opere italiane ed europee da parte dei network televisivi che introduce obblighi di programmazione e investimento anche per l’ universo on demand, come Netflix o Amazon. Secondo Franceschini l’ impianto è mutuato dal sistema francese che, sostiene il ministro, «dagli anni Ottanta rappresenta uno degli esempi più virtuosi in materia di promozione di opere europee e nazionali». Il decreto, secondo il ministro, anticiperebbe il nuovo testo della direttiva dell’ Unione Europea sui media tv. Ed ecco di cosa si tratta. Aumenta la quota minima di programmazione quotidiana per emittente riservata a film, fiction e programmi di produzione europea: 50% nel 2018, 55% nel 2019 e 60% nel 2020. Le opere italiane dovranno essere per la Rai almeno la metà della quota europea e un terzo per le emittenti private. Il rispetto delle percentuali è riferito all’ intera giornata. Ed ecco il punto più contestato dalle emittenti, Rai compresa. Nel prime time, dalle 18 alle 23, una quota del tempo settimanale di programmazione deve essere riservata a film, fiction, documentari, cartoni italiani: il 12% per la Rai, il 6% per le altre tv. Ovvero due opere italiane a settimana per la Rai, di cui un film; e un film o fiction o documentario o cartone per gli altri. Il testo prevede anche un obbligo di quote di investimenti di acquisto o pre-acquisto o alla produzione di opere europee degli introiti netti annui: almeno il 10% nel 2018, 12,5% dal gennaio 2019 e 15% nel 2020. Di questa quota il 3,5% va alle opere italiane nel 2018, il 4% nel 2019 e il 4,5% nel 2020. Per la Rai le quote per le produzioni europee salgono al 20% nel 2020 (15% nel 2018, 18,5% nel 2019) e al 5% per le opere italiane (4% nel 2018, 4,5% nel 2019). Positiva la reazione dell’ Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive multimediali (Anica). «Nei cambiamenti globali dirompenti con cui si misurano le nostre industrie, è una riforma che va sostenuta, perché può permettere ai produttori e creatori di contenuti di fare un salto di qualità e di dimensioni, e non limitarsi a subire processi troppi grandi per un paese come il nostro». Giancarlo Leone, presidente dell’ Apt, l’ Associazione Produttori Televisivi: «Il provvedimento mette sempre più al centro del sistema televisivo l’ audiovisivo italiano dei produttori indipendenti e questo è un elemento di crescita per tutti». Nessun commento ufficiale dai network televisivi (Rai, Mediaset, La7, Sky Italia, Discovery Italia, Viacom, Fox, Walt Disney Italia, De Agostini editore), ma fonti di alcuni broadcaster privati lasciano trapelare la fortissima insoddisfazione, sottolineando che «l’ impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva del ministro Franceschini è rimasta sostanzialmente immutata nel testo condiviso dal Consiglio dei ministri. Ad essere danneggiata sarà così l’ intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull’ occupazione del settore».
Altro regalo di Franceschini ai registi di sinistra
Libero
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ENRICO PAOLI Per il rampante ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il decreto su cinema e televisione, approvato dal Consiglio dei ministri, garantirà all’ intero settore dell’ audiovisivo «equilibrio e trasparenza», valorizzando «la creatività del cinema italiano». Nelle intenzioni dell’ esponente dell’ esecutivo guidato dal premier, Paolo Gentiloni, può darsi che sia così. Anche perché sarebbe stato lo stesso capo del governo, sempre attento a mantenere in equilibro la bilancia dei rapporti con i mondi che contano, a chiedere all’ antagonista di Matteo Renzi nel Pd una limatura del testo. Le emittenti televisive, unite nella protesta come non era mai capitato in passato, hanno sempre sottolineato il fatto che «subiranno» gli effetti del provvedimento varato governo, mutuato dal sistema francese senza un vera interpretazione, visto che il mercato italiano è molto diverso da quello transalpino. Non solo. La scarsa concertazione sul contenuto del provvedimento, tanto che nella fase finale Franceschini ha incontrato solo i favorevoli e non i contrari, è la dimostrazione del fatto che si tratta di una operazione politica più che tecnica. Il risultato, non molto brillante a dire il vero, sarà quello di vedere i palinsesti di Rai, Mediaset, Sky, La7 e di altri canali presenti sia sul digitale che sul satellite, scritti da Palazzo Chigi, confermando la delusione degli editori. Il «decreto Franceschini», contestato dagli editori con ben due lettere puntute inviate a Palazzo Chigi nel giro di poche settimane, prevede che «almeno» il 55% dei film e delle fiction trasmesse dalle tv dovranno essere di produzione europea. Tra queste, almeno la metà per la Rai e almeno un terzo per le altre emittenti, dovranno essere rigorosamente «Made in Italy». Per il cosiddetto prime time (la fascia della prima serata) sono fissate quote minime variabili per produzioni italiane, e vengono stabiliti delle quote minime di investimento da parte delle aziende televisive su lavori italiani. Regole che, una volta a regime, rischiano di mettere seriamente in crisi le emittenti italiane. Non a caso la corte dei conti francese, non molto tempo fa, ha sottolineato la necessità di rivedere la legge transalpina. Aspetto, questo, non secondario dato che Franceschini, ospite di Otto e mezzo, il programma de La7 condotto da Lilly Gruber, ha candidamente ammesso di aver copiato il dispositivo legislativo dai colleghi parigini. Le pressioni degli editori televisivi e le indicazioni arrivate da oltralpe hanno indotto il titolare del Mibact, che con il decreto approvato dal Cdm punta a conquistare le simpatie (ovviamente elettorali) della cosiddetta intellighenzia di sinistra che trova nel «cinema d’ autore» la sua sublimazione, a prevedere una moratoria sino al 2018, per consentire ai fornitori di servizi media il progressivo adeguamento alla nuova disciplina. Sarà l’ Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni, che il decreto aumenta sensibilmente: fino a un massimo di 5 milioni di euro o il 2% del fatturato. Tanto per avere un’ idea se trasmettessero un porno in prima serata la multa sarebbe al massimo di 300mila euro. Ma tant’ è, evidentemente il cinema d’ autore batte la tutela dei minori. Inoltre, almeno per sterilizzare in partenza la rivolta delle emittenti, l’ entrata a regime del decreto è stata spostata al 2020. Le percentuali di investimento nelle opere europee con la previsione di una percentuale minima per quelle italiane, salgono sia per la Rai (dal 15 al 20% dei ricavi complessivi annui, con una rivisitazione della gradualità dell’ aumento rispetto all’ ultimo bozza circolata) che per le tv private (dal 10 al 15% degli introiti netti annui). Obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. Peccato che quest’ ultimi trasmettano solo film e serie tv, zero intrattenimento. E che programmando qualche filmetto inglese e francese, mettendoci dentro anche una produzione regalata al Belpaese, alla fine se la caveranno, non avendo una vera e propria «prima serata», giusto per dire. Il «decreto Franceschini, passa ora all’ esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni per i pareri. per tornare in Consiglio dei ministri entro l’ 11 dicembre, quando scade la delega. A rendere ancor più problematica la «digeribilità» del provvedimento, come hanno ampiamente spiegato i broadcaster nelle loro lettere inviare al ministero, l’ anticipazione di quanto previsto nel nuovo testo della direttiva Eu sui «servizi media e audiovisivi». Provvedimento, quello europeo, in via di definizione. Dunque potrebbe anche finire con il confliggere con quello voluto da Franceschini. twitter@enricopaoli1 riproduzione riservata LE CONTESTAZIONI Il «decreto Franceschini» fissa delle quote sui film e le fiction trasmesse dalle televisioni pubbliche e private: «almeno» il 55% di questi dovrà essere di produzione europea. E tra queste produzioni almeno la metà per la Rai e almeno un terzo per le altre emittenti, dovranno essere rigorosamente «Made in Italy». Il decreto è stato contestato con ben due lettere inviate dagli editori a Palazzo Chigi. IL RINVIO Le pressioni degli editori televisivi hanno portato a una moratoria sul provvedimento. L’ entrata a regime del decreto, infatti, è stata spostata al 2020. Da ricordare, inoltre, che gli obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. IL CONFLITTO L’ approvazione del provvedimento è messo a rischio anche dalle anticipazioni che emergono sul nuovo testo della direttiva dell’ Unione Europea sui «servizi media e audiovisivi». Si tratta di una normativa ancora in via di definizione e che alla fine potrebbe confliggere con quello voluto dal ministro Dario Franceschini.
In tv il cinema italiano ora ha il posto in prima fila
La Stampa
FULVIA CAPRARA
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Film, fiction, cartoni animati, documentari italiani ed europei guadagnano finalmente un posto in prima fila in tv. Le quote di programmazione e di investimenti nel settore aumentano e così le sanzioni per chi non dovesse adeguarsi alla nuova normativa. Dopo i mugugni e le contrapposizioni, il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri il decreto legislativo che impone ai canali tv (compresi Netflix, Amazon e altri operatori del web) regole precise sulla messa in onda di opere made in Italy. Per il 2018 è prevista una moratoria, ma, a partire dal 2019, uno spazio del prime-time (fascia oraria 18-23) dovrà essere settimanalmente riservato alla nostra produzione. Per la Rai l’ obbligo è di 2 opere italiane a settimana di cui una cinematografica, mentre la quota degli investimenti sale dal 15% fino (nel 2020) al 20% dei ricavi complessivi annui. Per le tv private si passa dal 10 al 15% degli introiti netti dell’ anno: «È un provvedimento concreto – dichiara il ministro Franceschini – che serve a tutelare e valorizzare il cinema, la fiction, la creatività italiani». Il modello di riferimento, spiegano al Mibact , è «mutuato dal sistema francese che, fin dagli Anni 80, rappresenta uno degli esempi più virtuosi in materia». Il testo, cui sono state apportate modifiche dovute alle polemiche degli ultimi giorni, passa adesso alle Commissioni parlamentari, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni, quindi non è ancora definitivo: «Il provvedimento – commenta il presidente dell’ Apt Giancarlo Leone – mette sempre più al centro del sistema l’ audiovisivo italiano dei produttori indipendenti, e questo è un importante elemento di crescita». Eppure non tutti sono soddisfatti, anzi, tra i broadcaster la protesta cresce: «Mi rendo conto che certe quote elevate del cinema possano creare problemi di accettazione, ma credo sia compito dei produttori individuare, con i rappresentanti delle emittenti, tutti i modi per trasformare quello che oggi sembra un vincolo in una straordinaria opportunità». In un post su Facebook la produttrice di Indigo Francesca Cima commenta con soddisfazione: «Il governo crede davvero che l’ audiovisivo italiano possa rappresentare una risorsa importante per l’ economia, per l’ identità e per la crescita culturale, industriale e professionale di questo Paese. Anche noi. Grazie». I broadcaster, invece, si scagliano contro «l’ impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva» adottata dal Ministro: «Ad essere danneggiata – dichiarano – sarà così l’ intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull’ occupazione del settore. Le imprese di broadcasting, duramente penalizzate dalle nuove disposizioni di legge, sono quelle che con i loro investimenti garantiscono lo sviluppo dell’ industria creativa e difendono la cultura in ambito europeo». La battaglia più importante è vinta, ma l’ impressione è che ne seguiranno altre. BY NC ND ALCUN DIRITTI RISERVATI.
Più fiction tv italiane le quote non bastano
Il Mattino
Valerio Caprara
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Non c’ è niente da fare, siamo fatti così. Gli opposti estremismi all’ italiana rischiano di guastare gli umori e le opere di un politico tendente al moderato, al colto e al suadente come Dario Franceschini. Ieri il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, peraltro generato dalla «sua» Legge sul cinema che ha interrotto un periodo annoso di vuoto. Attorno a questa legge, infatti, salutata con grande favore dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori – che impone vincoli alquanto pesanti alle tv nazionali e alle aziende come Netflix o Amazon che operano nella distribuzione via internet di film, serie e altri contenuti d’ intrattenimento sembra riaccendersi – si registra l’ aspra contesa tra liberisti e protezionisti. È lecito al proposito esimersi dal ruolo di ultrà? Diamo un’ occhiata, intanto, ai punti cruciali del decreto: nella (teoricamente) benemerita intenzione di ridare ossigeno alla perenne spossatezza del prodotto tricolore, la nuova normativa si muove essenzialmente sul doppio binario dei palinsesti e degli investimenti. La riforma obbliga, in effetti, le emittenti statali e private ad aumentare la quota di film italiani trasmessi in prima serata (addirittura con una ricetta da farmacia culturale: un film o una fiction alla settimana su ogni canale, ben due invece sul groppone di mamma Rai) e a portare gli investimenti in prodotti nostrani sino al 15% per le private e al 20% per la Rai. Senza parlare delle multe, oggettivamente spropositate, stabilite per chi non rispetta le costrizioni: da centomila a cinque milioni di euro, oppure sino al 3% del fatturato nel caso che il valore di tale percentuale superi i cinque milioni. Per i nostalgici dello slogan – già oggetto qualche anno fa di una marea di trombonate patriottiche e subdoli fraintendimenti soprattutto in Francia, «l’ arte e la cultura non sono merci come le altre» – il decreto è troppo blando e quindi inadatto a rieducare il popolo bue con le auspicabili manette legislative e le necessarie piogge di dazi. Per gli esponenti più veementi di matrice liberale il passo del ministro Pd riporta il comparto ai nefasti diktat dell’ autarchia, ai muri che difendono l’ Arte del malvagio straniero, al delirio dirigista che sogna da sempre di portare gli spettatori a vedere i film giusti con l’ ausilio dei carabinieri. Con l’ inevitabile risultato futuro di farli riparare ancora di più di quanto notoriamente fanno nelle cospicue e libere braccia dei nuovi mezzi di comunicazione come pc, tablet o smartphone. È la stessa preoccupazione, per la verità, espressa dalla lettera recapitata a Franceschini dai principali broadcaster dalla Rai a Mediaset, da Sky a La7, da Fox a Disney e De Agostini- in cui si sostiene che il provvedimento, estremamente rilevante per gli effetti peggiorativi sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale, «risulta costituire di fatto una nuova imposizione insostenibile a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali». Non è per trasformarli in arbitri salomonici ed esangui, però, che le reazioni di tutti gli «utilizzatori» da quelli appassionati, competenti e aggiornati a quelli, generici, occasionali o solo curiosi- dovrebbero essere sintonizzate su un solido pragmatismo. Il decreto promuove il bene o il male dell’ industria dell’ audiovisivo? Il massiccio aiuto promesso al made in Italy servirà davvero a farlo procedere in una direzione sprovincializzata e competitiva? Il principio delle quote obbligatorie (strumento di per sé ambiguo e assai scivoloso, se non puramente demagogico) servirà a qualcosa di concreto una volta applicato alle opere di finzione? Le risposte sarebbero positive solo qualora si nutra fiducia e non è un’ impresa facile- nell’ efficacia della loro attuazione. È ancora vivido il ricordo, infatti, delle tante volenterose leggi a cominciare da quella del 1994 voluta da produttori importanti come Cristaldi collegati una tantum alle associazioni più barricadiere dei cineasti cosiddetti «autori» – che costruirono ponti d’ oro per il cinema nazionale ottenendone in cambio una valanga di film indecenti, inutili o mirati a poche decine di fanatici cinéfili. Insomma i produttori specialmente quelli italiani, possono certo avere bisogno di tutele e riconoscimenti, però se li devono meritare. Il segreto (di Pulcinella) sta nell’ impegnativa congiunzione «se»: il giro di vite autonomista, un po’ alla catalana, a dirla tutta, placherebbe i tormenti dei sospettosi o riottosi solo se si tradurrà in un maggior numero di prodotti che sfidino lealmente gli stranieri sul piano della qualità e nello stesso tempo coinvolgano fortemente il pubblico disamorato per colpa loro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Broadcaster delusi, produttori felici
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Ci saranno più cinema italiano in prima serata in tv e più investimenti da parte delle emittenti in produzioni indipendenti europee ed italiane. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma le norme in materia di promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi. E alla fine, il day after sembra quello di un campo di battaglia con vincitori e vinti. I broadcaster ci hanno provato a far desistere il ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini, dal procedere su un atto che, nei fatti, è in attuazione della Legge sul cinema e l’ audiovisivo nella parte in cui viene richiesta la riscrittura dell’ articolo 44 del Tusmar sulle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti. Qui le tv hanno giocato una partita, anche con fermezza, stringendo fra di loro una santa alleanza e contestando con due lettere il decreto che poi, però, alla fine è stato approvato ieri in Consiglio dei ministri, con qualche modifica rispetto all’ ultima bozza. A taccuini chiusi si parla nel mondo delle tv di «profonda delusione» e di «impostazione anacronistica, dirigistica, quasi ad personam, e punitiva del Ministro Franceschini ». Differente, come immaginabile, il mood nel mondo del cinema e delle produzioni tv. «Il governo crede davvero che l’ audiovisivo italiano (cinema, serie, animazione, documentari) possa rappresentare una risorsa importante per l’ economia, per l’ identità e la crescita culturale, industriale e professionale di questo Paese», scrive su Facebook Francesca Cima (presidente dei produttori Anica). «Sono certo – punta a stemperare i toni Giancarlo Leone, presidente dei produttori televisivi (Apt) – che la massima collaborazione tra i produttori indipendenti aderenti all’ Apt e le emittenti televisive riuscirà ad esprimere in modo proattivo quegli elementi critici che oggi vengono vissuti negativamente dalle emittenti. Lo sforzo congiunto delle parti consentirà alla televisione ed al cinema di espressione italiana di essere sempre più presenti anche sul mercato internazionale». Parole, queste ultime, da vivere più che altro come un auspicio, dopo settimane di muro contro muro attorno a un provvedimento pensato per andare incontro alle necessità dell’ audiovisivo come del cinema italiano. Il primo ha dimensioni molto inferiori rispetto ai battistrada europei, Uk in testa, e i nuovi player come Netflix e Amazon con le loro produzioni originali pongono non pochi interrogativi a tutto il sistema. Il cinema italiano, dal canto suo, continua a perdere appeal e quote. Dalle tv è però arrivato un no secco a un provvedimento vissuto come un “conto” posto sul loro tavolo. Certo, a confrontare le bozze successive del decreto, hanno ottenuto sia la moratoria per il 2018 sia un aumento delle quote inferiore a quanto inizialmente previsto: dal 15% degli introiti netti attuali al 18,5% nel 2019 al 20% nel 2020 per la Rai ; dal 10% al 12,5% nel 2019 al 15% nel 2020 per le tv commerciali. Quote ancora eccessive secondo le tv, sottoposte anche a obblighi di programmazione : dovrà esserci almeno un film o una fiction italiana a settimana per ogni canale tv in prime time, due per la Rai. A questo si è aggiunto un elemento di forte scontro: le sottoquote previste per le opere cinematografiche italiane. La Rai dovrà investire una percentuale (in salita dal 4% al 5% del 2020) in opere cinematografiche italiane e lo stesso (dal 3,5% al 4,5%) dovranno fare le tv commerciali. E a far litigare è stato anche il nodo sanzioni: alzate fino a 5 milioni e, secondo indiscrezioni, al 2% (dal 3% previsto nelle ultime bozze) del fatturato per le più grandi. Per il Ministro Franceschini si tratta di «un provvedimento concreto che serve a aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane». Il testo, spiega una nota del Mibact, contiene «obblighi di programmazione e investimento imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione». Il provvedimento passa adesso alle Commissioni parlamentari, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato Regioni per i pareri di merito. Dovrà tornare in Cdm per l’ approvazione definitiva entro l’ 11 dicembre, quando scade la delega. Un tempo supplementare cui con ogni probabilità le tv guarderanno con molto interesse. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Cinema, i tre decreti che completano la riforma
Il Sole 24 Ore
Antonello Cherchi
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Il puzzle della riforma del cinema, arrivata con la legge 220 dell’ anno scorso, si è completato. Dopo i vari decreti ministeriali, diversi già operativi, ieri è stata la volta dei provvedimenti più attesi: i tre decreti legislativi che danno attuazione alle altrettante deleghe contenute nella riforma. Si tratta del provvedimento sulle quote di programmazione e di investimenti delle Tv da destinare ai film e fiction di produzione europea, di quello che riscrive le regole della censura delle pellicole e, infine, del decreto sui profili professionali di chi lavora sul set. I tre Dlgs hanno ricevuto ieri il via libera preliminare del Consiglio dei ministri e ora dovranno affrontare un impegnativo iter: conferenza Stato-Regioni, parere del Consiglio di Stato, giudizio delle commissioni parlamentari. L’ obiettivo è arrivare al traguardo del via libera definitivo di Palazzo Chigi entro il 13 dicembre, data di scadenza della delega. Sulla carta, i tempi ci sono, ma bisogna anche mettere in conto che da metà ottobre il Parlamento, a partire dal Senato, sarà impegnato dalla legge di bilancio. I nuovi aiuti al cinema – in particolare il provvedimento sui “passaggi” in Tv dei film europei – si aggiungono a quelli già previsti, come il tax credit, che fa registrare nel 2016 un’ ulteriore crescita delle agevolazioni da parte del sistema: si è, infatti, passati dai 160 milioni di euro del 2015 ai 162 milioni di credito d’ imposta utilizzati l’ anno scorso. E,intanto, per il 2017 ci sono disponibili 221 milioni. L’ attuazione delle deleghe «Un provvedimento concreto che serve ad aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane»: così il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha commentato il decreto sulla promozione del cinema approvato ieri dal Consiglio ministri. Si tratta del provvedimento che più ha dato da fare, soprattutto dopo la presa di posizione delle emittenti sulle nuove quote. Il tavolo di lavoro con il ministero è rimasto aperto fino a qualche giorno fa e il testo – che, insieme agli altri due era atteso a Palazzo Chigi da tempo – è stato ulteriormente limato. A partire dal 2019 cresce la quota che i gruppi televisivi – comprese le Tv on demand – dovranno riservare alla programmazione dei film, delle fiction e dei programmi di produzione europea, fino ad arrivare nel 2020 al 60% del palinsesto (al netto dei tempi di trasmissione dedicati a telegiornali, sport, quiz, televendite e pubblicità). La metà di quella quota la Rai dovrà riservarla alle pellicole italiane (si scende a un terzo per le altre emittenti). Crescono anche gli investimenti delle televisioni nelle produzioni cinematografiche: nel 2020 la Rai dovrà mettere a disposizione per tale obiettivo il 20% dei propri introiti netti (con il 5% da destinare al made in Italy), mentre per le altre Tv la quota sarà del 15% (con il 4,5 per i film italiani). Sul sistema vigilerà l’ Agcom, che avrà a disposizioni sanzioni più severe. Sulla censura si passerà a un sistema di autoregolamentazione (sarà il produttore a indicare l’ eventuale divieto, che poi passerà al vaglio di una commissione dei Beni culturali) e viene introdotto il “bollino” sulle visioni per i minori di sei anni (se consigliabili o meno). Il terzo decreto interviene sulle professioni del set, i cui profili sono stati in buona parte già oggetto del jobs act. Il nuovo provvedimento, dunque, sistematizza il tutto. Il tax credit Continua a crescere l’ utilizzo del credito d’ imposta messo a disposizione del cinema. Negli ultimi anni è aumentata la dote: nel 2016 era di 227 milioni, con 162 milioni effettivamente chiesti, a vario titolo, dai produttori. «Le somme inutilizzate – spiega Nicola Borrelli, responsabile della direzione cinema dei Beni culturali – sono state in parte utilizzate per l’ operazione Cinecittà , mentre 20 milioni vanno a incrementare il fondo di sostegno al cinema per il 2017». Quest’ anno sono disponibili complessivamente 420 milioni, di cui 221 per il tax credit. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Accordo tra Comuni e Fieg per rilanciare la rete delle edicole
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Comuni ed editori scendono in campo, insieme, per salvaguardare la rete delle edicole. È un obiettivo sicuramente ambizioso quello del protocollo sottoscritto ieri a Roma fra Fieg (Federazione editori di giornali) e Anci (Associazione nazionale Comuni Italiani). Un atto che prenderà corpo in un tavolo di lavoro bilaterale per declinare tutta una serie di misure per tendere una mano a vittime di questa lunghissima crisi che sta colpendo l’ editoria cartacea. Per combattere questa crisi il settore attende con sempre maggior impazienza il varo del Dpcm con cui si darà completa attuazione all’ avvio del credito d’ imposta al 75 o 90% per chi investe in pubblicità. Non c’ è dubbio però che, al di là delle misure che arriveranno, a fare le spese della crisi dell’ editoria siano state migliaia di edicole, strette tra il calo di vendite dei giornali di carta e l’ aumento dei costi di gestione. «La funzione dei quotidiani nel dibattito è fondamentale», commenta il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro. Con il protocollo, spiega dal canto suo il presidente Fieg Maurizio Costa, «si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunità locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo». Alla base ci sono le novità introdotte dalla manovrina estiva, che vanno dalla liberalizzazione degli orari alla possibilità di aprire edicola con la semplice Scia. Questo protocollo arriva dopo una anche dopo la legge per favorire i piccoli comuni. Il protocollo – che ha avuto una prima sperimentazione nell’ area di Firenze – prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali, a partire dai comuni capoluogo di regione/provincia, affinché riducano considerevolmente i canoni delle edicole per le occupazioni permanenti e temporanee di suolo pubblico ed esonerino dall’ imposta le locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici esposti nei locali pubblici. Si punta anche a dare agli edicolanti la possibilità di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti ai cittadini e turisti (pagamento ticket, prenotazioni visite mediche, spedizioni e recapiti corrispondenza, eccetera) garantendo che la parte maggioritaria degli spazi del punto vendita sia comunque destinato all’ esposizione e alla vendita della stampa. Altri obiettivi: promozione di iniziative per assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa, anche nelle aree periferiche; individuazione dei criteri volti alla liberalizzazione degli orari e dei periodi di chiusura dei punti vendita con l’ obiettivo di garantire la presenza di rivendite di giornali in ogni momento possibile; previsione di iniziative per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa con politiche di sostegno per la ristrutturazione/sostituzione dei manufatti utilizzati per la vendita. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tv, si rafforzano Rai 1 e Canale 5
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Lo scenario televisivo autunno 2017 descrive bene quella che potrebbe essere la tv italiana dei prossimi anni: si rafforzano sia Rai 1, sia Canale 5, che in prima serata in settembre dominano senza se e senza ma, tracciando un gap incolmabile e con ascolti tripli rispetto agli inseguitori. Potrebbero essere loro, quindi, gli unici due canali veramente generalisti del futuro. Gli altri cinque canali tradizionalmente considerati generalisti, invece, soffrono tutti, in particolar modo La7, Rai 3 e Rai 2. E soffrono per la impetuosa avanzata di Tv8 (Sky), Nove (Discovery) e Rai 4, tutte reti che, rispetto al settembre 2016, crescono a ritmi tra il 30 e il 45%. Molto dipende dal calendario dei palinsesti: qualche canale ha scelto di partire subito con le produzioni a maggiore impatto. Qualcuno, invece, si è preso del tempo per capire il da farsi. La nuova direzione di La7, ad esempio, ha scelto questa strada, lasciando piuttosto scarico il palinsesto della tv di Urbano Cairo in settembre, in attesa del via alle novità targate Diego Bianchi (partito in prime time venerdì scorso 29 settembre), Nanni Moretti (ciclo di film al sabato sera dal 30 settembre) e Massimo Giletti (al via nelle prossime settimane al mercoledì sera). Per tutto il mese di settembre, quindi, La7 ha giocato la sua partita in pratica solo al martedì sera con Giovanni Floris e al giovedì sera con Corrado Formigli. E le audience, di conseguenza, ne hanno risentito: la share media del mese, infatti, è del 3,3% nella prima serata Auditel (20.30-22.30), e del 3% nella prima serata effettiva dalle ore 21 alle 23. In entrambi i casi La7 perde il 21%, ovvero un quinto degli ascolti, rispetto al settembre 2016. Peraltro i debutti di Diego Bianchi (3% di share) e di Moretti (2,2%) non è che lascino intuire grandi stravolgimenti delle medie nei prossimi mesi. Il problema più grosso è che alle spalle di La7 si fa ormai minacciosa la presenza di Tv8, canale in chiaro che, potendo attingere alla ricchissima library di contenuti e di diritti di Sky, cresce in maniera decisa. Sale al 2,6% medio in settembre nella prima serata Auditel (+45% sul settembre 2016) e al 2,7% nel prime time 21-23 (+33%). La tendenza parla da sola: dal 13 settembre al 1° ottobre Tv8 ha battuto La7 in prima serata per 11 volte su 19. Sul target commerciale 15-64 anni, inoltre, come vedremo più avanti, Tv8 è già sopra a La7 di quasi un punto di share in prime time. Bene Rai 4 all’ 1,6% di share, con un +31% rispetto al settembre 2016 quando già era in posizione privilegiata sul bouquet di Sky, e un buon +34% di Nove (che diventa +46% nella prima serata 21-23). Il canale ha raggiunto Real Time (altro brand di Discovery Italia) all’ 1,5% di share (1,6% per entrambi nel prime time 21-23) e si coccola, ovviamente, il suo prodotto di punta, ovvero Fratelli di Crozza. Il programma ha centrato il 3,5% di share su Nove (5,5% complessivo su tutte le reti Discovery) al debutto lo scorso 22 settembre e il 3,8% solo su Nove lo scorso 29 settembre. Insomma, circa la metà degli ascolti che faceva su La7, ma andando in onda su una rete, Nove, che di base faceva meno di un terzo degli ascolti medi di La7. Per questo motivo a Discovery sono più che soddisfatti del lavoro di Crozza e della sua squadra. Analizzando gli ascolti di settembre non in base al target individui (le persone dai 4 anni in su) ma considerando quello commerciale 15-64 anni, su cui i centri media impostano le pianificazioni pubblicitarie, la realtà televisiva italiana ha in effetti già subito cambiamenti: in prima serata prevale Canale 5 (15,49% di share, circa 0,75 punti in più sul settembre 2016), davanti a Rai 1 con il 14,31% (cresce di 0,4 punti). Rai 2 (7,2%), Italia Uno (6,5%) e Rai 3 (4,9%) sono in calo, tiene botta Rete 4 (3,4%), tallonata da vicino da Tv8 di Sky col suo 3,33% (1,1 punti di crescita sul settembre 2016), che supera di slancio La7 (scesa al 2,58%, giù di 0,6 punti rispetto a 12 mesi fa). In nona posizione Nove con l’ 1,8% (0,5 punti in più).
Chessidice
Italia Oggi
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Sky, prime lettere di licenziamento. Sono arrivate le prime lettere di licenziamento ai dipendenti tecnici e amministrativi di Sky che non hanno accettato il trasferimento da Roma a Milano. Il trasferimento riguarda varie direzioni aziendali e, da un punto di vista giornalistico, coinvolge anche la redazione di Sky Tg24 (vedere ItaliaOggi del 18/1/2017). Nella capitale resteranno la redazione politica del telegiornale e quella che copre il Centro Italia (in tutto poco più di 30 giornalisti). Sky Tg24 inizierà a trasmettere da Milano da fine mese. Vodafone Tv, nuove funzionalità per i canali Viacom. Con l’ accordo tra Vodafone Italia e Viacom International Media Networks Italia per la Vodafone Tv, i canali Paramount Channel e VH1 (già disponibili nell’ offerta lineare) adottano una serie di nuove funzionalità avanzate che consentono di mettere in pausa, registrare i programmi preferiti e vedere contenuti già andati in onda. Citynews sbarca in Europa. Il gruppo editoriale specializzato nell’ informazione locale online lancia il quotidiano Europa.Today.it. La nuova testata avrà una redazione europea a Bruxelles gestita dai giornalisti Dario Prestigiacomo e Alberto D’ Argenzio, che presiederanno le sedi del Parlamento Ue sia a Bruxelles sia a Strasburgo, in modo tale da seguire le decisioni delle istituzioni comunitarie e in particolare quelle dell’ Europarlamento. Triboo, risultato netto nel semestre per 1 mln di euro. La società quotata all’ Aim e specializzata in e-commerce e servizi digitali ha chiuso il primo semestre 2017 con un risultato netto adjusted pari a 1 mln euro (-38% rispetto allo stesso periodo dell’ anno scorso). I ricavi netti consolidati hanno raggiunto quota 31,6 mln di euro (+3,6%), l’ ebitda adjusted consolidato è pari a 4,5 mln (-6%). L’ indebitamento finanziario netto, invece, si è attestato a 1,4 mln rispetto a disponibilità liquide di 4,16 mln al 31 dicembre 2016. Variazione, hanno fatto sapere da Triboo, in larga misura dovuta al pagamento di dividendi e ai significativi investimenti in partecipazioni e immobilizzazioni.
Google aiuterà gli editori a trovare abbonati online
Italia Oggi
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Google lancerà questa settimana nuovi strumenti che dovrebbero aiutare gli editori a ottenere maggiori ricavi online attraverso la vendita dei contenuti. In primo luogo il motore di ricerca abbandonerà il First click free il programma che richiedeva ai siti di news a pagamento di concedere almeno tre articoli gratuiti al giorno agli utenti che raggiungevano il contenuto passando da una ricerca o da un link su Google News. Al suo posto sarà lanciato un nuovo programma chiamato Flexible sampling con cui sarà l’ editore a decidere quanti articoli lasciare gratuiti al mese a ciascun utente prima di richiedere il pagamento. Google consiglia che gli articoli liberi siano una decina al mese, ma comunque continuerà a indicizzare tutti i contenuti dell’ editore al di là delle scelte in tal senso. In passato chi non partecipava al First click free, invece, non aveva indicizzati interamente i contenuti e per questo era in genere meno preminente nei risultati di ricerca. Il Wall Street Journal, per esempio, ha visto calare il traffico dal motore del 45% nel momento in cui ha deciso di uscire dal programma First click free. Infine Google metterà a disposizione strumenti che attraverso le informazioni sull’ utente e le sue preferenze dovrebbero aiutare a vendere abbonamenti online più semplicemente.
Stampa, raccolta a -9,2%
Italia Oggi
MARCO LIVI
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Ancora un segno negativo per gli investimenti in comunicazione sulla carta stampata. Secondo i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-agosto 2017 il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha registrato un calo del 9,2% rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente raggiungendo i 564,7 milioni di euro. In particolare, nei primi 8 mesi dell’ anno i quotidiani nel loro complesso hanno segnato un andamento negativo sia a fatturato (-10,3%, a quota 360 milioni di euro) sia a spazio (-4,8%). Per quanto riguarda le singole tipologie, la commerciale nazionale ha evidenziato un -13,7% a fatturato e un -11,2% a spazio, la commerciale locale un -6% a fatturato e un -2,7% a spazio, la legale un -11,9% a fatturato e -12,3% a spazio. La tipologia Finanziaria ha ottenuto un -16,4% a fatturato e un -12,8% a spazio, la Classified un -4,3% a fatturato e un -3,4% a spazio. I periodici hanno visto un calo sia a fatturato del 7% (pari a 204,7 milioni di euro) sia a spazio del 4%. I settimanali hanno registrato un decremento sia a fatturato (giù del 5% a 111,3 milioni di euro) sia a spazio (-3,5%), i mensili evidenziano invece una diminuzione dell’ 8,6% a fatturato (pari a 86,6 milioni di euro) e del 4,5% a spazio. Le altre periodicità hanno chiuso il periodo con un -16,4% a fatturato (a quota 6,7 milioni di euro) e un -6,2% a spazio. © Riproduzione riservata.
Editori, l’ Ue discute sul copyright
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Continua il suo percorso nel Parlamento e nel Consiglio Ue la proposta di direttiva che riconosce in capo agli editori di giornali uno specifico diritto connesso al diritto d’ autore sugli articoli. Ma mentre in Parlamento due commissioni su tre incaricate di fornire il proprio parere hanno appoggiato la formulazione che darebbe piene garanzie agli editori, un indebolimento della proposta originaria potrebbe arrivare dal Consiglio Ue. La presidenza estone ha infatti adottato una bozza di compromesso che intende inviare al Parlamento per raggiungere un accordo sul testo presentato dalla Commissione europea a settembre dello scorso anno che ha visto l’ opposizione della maggior parte dei paesi e per contro l’ appoggio di Italia, Germania, Francia, Spagna e Portogallo. La bozza di compromesso della presidenza estone contiene due ipotesi: l’ eliminazione dall’ ambito di applicazione del diritto degli estratti degli articoli (gli snippet) utilizzati dagli aggregatori come Google News, oppure la sostituzione del diritto connesso con una generica «presunzione di rappresentanza dei diritti degli autori delle opere editoriali». Quest’ ultima ipotesi è persino peggiorativa rispetto all’ attuale legislazione italiana sul diritto d’ autore. Il diritto connesso nella legislazione europea è già presente per esempio per i broadcaster radio e tv, le cui trasmissioni sono sempre protette sebbene essi a volte non siano titolari del diritto d’ autore di ciò che trasmettono, per esempio un film o una serie tv. In altre parole, il broadcaster può agire contro terzi che per esempio ritrasmettano online il proprio canale in virtù del diritto connesso e non in virtù del diritto d’ autore che resta in capo a chi ha creato il contenuto. La proposta di direttiva presentata a settembre dello scorso anno, che modifica l’ attuale copyright europeo per tenere conto delle innovazioni del digitale, riconosce un diritto connesso anche in capo agli editori per l’ utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, accanto al diritto d’ autore dei giornalisti. Sicuramente il diritto connesso per gli editori sarà esteso anche alla carta, non solo all’ online, grazie a emendamenti presentati sia in Parlamento che in Consiglio. Le norme italiane in quest’ ambito (del 1942) sono già avanti, perché gli editori sono titolari del diritto d’ autore su giornali e riviste quali opere collettive, mentre non accade così in altri paesi. La direttiva permetterebbe perciò di uniformare il diritto europeo e di chiarire cosa accade nel digitale in quei paesi in cui le leggi fanno riferimento ancora soltanto alla carta come per l’ Italia. Si tratta di dare agli editori certezza sullo sfruttamento dei propri contenuti anche online e maggiore potere contrattuale nei confronti degli operatori del web e degli aggregatori di notizie. Anche perché nella formulazione originaria la tutela del diritto connesso vale anche sugli estratti degli articoli, gli snippet, che per esempio si trovano su Google News. Le associazioni europee degli editori, tra cui l’ Enpa (quotidiani) presieduta da Carlo Perrone e l’ Emma (magazine), nelle quali è presente la Fieg, premono perché la formulazione della direttiva resti quella originale formulata dalla Commissione europea che darebbe pieno controllo dei contenuti, anche negli estratti. Il risultato peggiore di un possibile compromesso, però, non sarebbe tanto l’ esclusione degli snippet dall’ ambito di applicazione della direttiva, quanto dalla sostituzione del diritto connesso con la presunzione di rappresentanza dei diritti degli autori delle opere editoriali. Ciò significa che l’ editore è ritenuto rappresentante del diritto d’ autore in capo al giornalista con il rischio di dover dimostrare volta per volta a terzi questa rappresentanza. «Una stampa libera e indipendente», spiegano le associazioni degli editori, «può esistere solo se ci sono sufficienti ricavi per pagare giornalisti, fotografi e freelance e per finanziare la loro formazione e la sicurezza. Oggi, la prospettiva è sempre più ridotta, a causa della diminuzione dei ricavi dalla carta stampata che non sono stati recuperati con il digitale nonostante l’ aumento dei lettori». I motivi di tutto ciò dipendono dal fatto che i grandi motori di ricerca (ma non solo Google, chiariscono) e altri player rendono il contenuto degli editori disponibile gratuitamente e che parallelamente si perdono anche gli introiti pubblicitari perché gli utenti passano direttamente alla ricerca e ai social network. © Riproduzione riservata.
Arrivano le edicole 2.0
Italia Oggi
FRANCESCO CERISANO
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Sconti fiscali per le edicole. I comuni potranno applicare alle rivendite di giornali canoni ridotti per l’ occupazione di suolo pubblico, nonché esentare gli edicolanti dalle imposte pagate sulle locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici. E persino valutare riduzioni delle imposte immobiliari (Imu e Tasi). Le edicole si trasformeranno in veri e propri centri servizi per i cittadini dove sarà possibile richiedere certificati anagrafici, pagare i ticket, prenotare visite mediche, spedire o ricevere corrispondenza. Il tutto h24 perché i comuni potranno liberalizzare gli orari di apertura delle edicole con l’ obiettivo di garantire l’ offerta del servizio in ogni momento possibile. Sindaci ed editori di giornali si stringono reciprocamente la mano per offrire più servizi ai cittadini sul territorio, sfruttando la presenza capillare delle edicole e porre un freno alla crisi profonda dell’ editoria. E lo fanno con un protocollo d’ intesa, sottoscritto ieri da Anci e Fieg, che punta a ripensare il ruolo delle rivendite di giornali, ampliando le categorie di beni e servizi offerti al pubblico. Editori e sindaci scommettono sul fatto che una rete di rivendite potenziata e moderna, in grado di offrire all’ utenza servizi ad alto valore aggiunto, possa porre un freno alla progressiva riduzione delle edicole e al contempo, moltiplicando «le occasioni di incontro tra le testate e il lettore», far bene ai giornali. Con il protocollo d’ intesa, l’ Anci si impegna a sensibilizzare tutte le amministrazioni comunali (a partire dai comuni capoluogo di regione e di provincia) affinché riconoscano alle edicole le agevolazioni individuate come necessarie per rilanciare il settore. Non solo. Le amministrazioni comunali dovranno assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa anche nelle aree periferiche. I municipi potranno inoltre attuare politiche di sostegno per la ristrutturazione delle edicole Nella loro progressiva trasformazione in centri servizi per il cittadino, le edicole dovranno comunque destinare la maggioranza degli spazi all’ esposizione e alla vendita della stampa. Il protocollo d’ intesa prevede la costituzione di un tavolo bilaterale che valuterà le modalità delle iniziative previste dall’ accordo e ne verificherà l’ andamento. Il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha sottolineato l’ utilità per i cittadini dell’ ampliamento dei servizi offerti dalle edicole. «Con l’ accordo che abbiamo sottoscritto, si amplia l’ offerta di beni e servizi sul territorio, aumentando l’ accesso dei cittadini», ha osservato. Mentre per il presidente della Fieg, Maurizio Costa, con il protocollo firmato con l’ Anci, «si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunità locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo»,
Sgravi per la solidarietà
Italia Oggi
DANIELE CIRIOLI
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Solidarietà fa non più rima con produttività. Da quest’ anno, infatti, lo sgravio contributivo del 35% spetta «a pioggia» alle imprese che riducono l’ orario di lavoro oltre il 20% per evitare i licenziamenti, con stipula di un contratto di solidarietà difensiva. Non è più necessario, in altre parole, realizzare un miglioramento della produttività in misura pari allo sgravio, condizione prevista dalle vecchie regole. A stabilirlo è il decreto n. 2/2017. Imprese in Cigs. Lo sgravio, operativo dal 21 marzo 2014, è stato introdotto dal dl n. 34/2014 (convertito dalla legge n. 78/2014), a favore delle imprese soggette a Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria), nel caso stipulino contratti di solidarietà difensivi che prevedano la riduzione generalizzata dell’ orario di lavoro al fine di evitare licenziamenti per motivo oggettivo. Per gli anni 2014 e 2015 la disciplina è stata quella del dm n. 83312/2014, poi sostituito dal dm n. 17981/2015 efficace per l’ anno scorso. Incentivi a pioggia. Novità essenziale, che si applica da quest’ anno (anche per gli anni futuri), è la scomparsa della condizione della «produttività». Infatti, finora, requisito base per poter accedere allo sgravio, è stato l’ individuazione di strumenti di miglioramento della produttività di misura almeno pari allo sgravio. A tal fine, la disciplina prevedeva, entro il primo anno di validità dell’ accordo di solidarietà, lo svolgimento di specifici accertamenti ispettivi finalizzati, appunto, alla verifica dell’ effettiva adozione di strumenti di miglioramento della produttività. Lo sgravio contributivo. Lo sgravio si applica alle contribuzioni dovute a Inps e Inpgi da parte del datore di lavoro, con riferimento ai lavoratori interessati alla riduzione dell’ orario oltre il 20%. Lo sconto è del 35% per un periodo massimo pari alla durata del contratto di solidarietà e, comunque, non oltre 24 mesi. In ogni caso, lo sgravio è riconosciuto fino a esaurimento delle risorse pubbliche, pari a 30 mln di euro annui. In caso di esaurimento, il ministero ne dà comunicazione sul proprio sito internet, www.lavoro.gov.it, insieme all’ elenco delle imprese ammesse allo sgravio (vale l’ ordine cronologico di presentazione). La domanda. Lo sgravio è riconosciuto a domanda che l’ impresa deve produrre esclusivamente a mezzo Pec (posta elettronica certificata) al ministero del lavoro, con modulistica e modalità che saranno rese note sul sito dello stesso ministero. Per quanto riguarda i termini, invece: a) con riferimento all’ anno 2017 l’ istanza è presentata dal 30 novembre al 10 dicembre dalle imprese che al 30 novembre hanno stipulato un contratto di solidarietà, nonché dalle imprese che hanno avuto un contratto di solidarietà in corso nell’ anno 2016; b) a partire dal 2018 l’ istanza va presentata dal 30 novembre al 10 dicembre di ogni anno dalle imprese che al 30 novembre dello stesso anno hanno stipulato un contratto di solidarietà, nonché da quelle che hanno avuto un contratto di solidarietà in corso nel secondo semestre dell’ anno precedente.
Google aiuterà gli editori a vendere le news online. Finisce il modello ‘first click free’, arriva il ‘flexible sampling’: gli editori decideranno quando passare al pay
Prima Comunicazione
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Google fa un nuovo passo verso gli editori e mette fine alla politica del “First click free”, che consentiva di leggere un minimo di tre notizie gratis prima di arrivare a quelle a pagamento, inaugurando il ‘Flexible Sampling’. Lo ha annunciato online il colosso di Mountain View, precisando che in base a questa nuova policy gli editori saranno in grado di decidere autonomamente quanti contenuti mettere gratuitamente a disposizione del lettore prima di attivare il ‘paywall’, ovvero la consultazione a pagamento. Richard Gingras (foto Niemanlab.org) Nel dare il via a quello che definisce un “processo a lungo termine”, Google, nel nome della condivisione, presterà la sua assistenza agli editori per capire come semplificare il processo di acquisto dei contenuti da parte dell’ utente e, nel lungo periodo, intende “aiutare gli editori a raggiungere nuovi lettori, far crescere gli abbonamenti e i ricavi sviluppando una suite di prodotti e servizi”. Infatti, “sebbene le ricerche mostrino che le persone stanno cominciando ad abituarsi a pagare per le notizie – sottolinea Mountain View -, talvolta la macchinosità del processo per attivare un abbonamento può rappresentare un disincentivo e ovviamente questa non è una buona notizia per gli editori di news che vedono negli abbonamenti una fonte di fatturato di crescente importanza. Il nostro obiettivo è far si che gli abbonamenti funzionino in modo semplice ovunque e per tutti”. La decisione di passare alla ‘prova flessibilè arriva dopo un periodo di ricerche e di esperimenti congiunti con il New York Times e il Financial Times. Proprio da questi due quotidiani vengono i primi commenti positivi. “Siamo anche incoraggiati dal desiderio di Google di considerare altri modi di supportare i modelli di business in abbonamento e siamo felici di continuare a lavorare con loro per costruire soluzioni intelligenti al problema”, ha commentato Kinsey Wilson, adviser di Mark Thompson, ceo del New York Times. E per Jon Slade, chief commercial officer di Ft, “è importante ora costruire su quanto finora discusso e e accelerare il processo” ( Repubblica )
Siglato protocollo Anci-Fieg per salvaguardare le edicole e trasformarle in ‘rete di servizi al cittadino’
Prima Comunicazione
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“Comuni ed editori insieme per salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino”. Con questo obiettivo l’ Anci e la Fieg hanno sottoscritto oggi a Roma un protocollo d’ intesa. “La funzione dei quotidiani nel dibattito e’ fondamentale – commenta il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro – sono infatti media che, mettendo a confronto opinioni ed analisi, esprimono diverse posizioni su temi di carattere generale e di attualita’, consentendo all’ opinione pubblica di approfondire l’ informazione. Non si puo’ ridurre la discussione ai soli, se pur utili, passaggi televisivi o ai post sui social network”. Il presidente dell’ Anci ha sottolineato poi l’ utilita’ per i cittadini dell’ ampliamento dei servizi che le edicole possono offrire. “Con l’ accordo che abbiamo sottoscritto, si amplia l’ offerta di beni e servizi distribuendola sul territorio, aumentando l’ accesso dei cittadini”. “La profonda crisi che attraversa il settore dell’ editoria quotidiana e periodica – ha dichiarato Maurizio Costa, presidente della Fieg – ha avuto pesanti conseguenze anche sulla rete di distribuzione della stampa. Le recenti novita’ legislative volte alla liberalizzazione del sistema distributivo della stampa e della vendita di giornali costituiscono una prima utile risposta per moltiplicare le occasioni di incontro tra i giornali e i lettori. Con il protocollo firmato oggi, insieme ai Comuni, si compie un ulteriore passo avanti: si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunita’ locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, puo’ chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo”. Il protocollo prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali, a partire dai comuni capoluogo di regione/provincia, affinche’: riducano considerevolmente i canoni delle edicole per le occupazioni permanenti e temporanee di suolo pubblico ed esonerino dall’ imposta le locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici esposti nei locali pubblici; diano agli edicolanti la possibilita’ di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti ai cittadini e turisti (pagamento ticket, prenotazioni visite mediche, spedizioni e recapiti corrispondenza, eccetera), garantendo che la parte maggioritaria degli spazi del punto vendita sia comunque destinato all’ esposizione e alla vendita della stampa; promuovano iniziative volte ad assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa, anche nelle aree periferiche; individuino criteri volti alla liberalizzazione degli orari e dei periodi di chiusura dei punti vendita con l’ obiettivo di garantire la presenza di rivendite di giornali in ogni momento possibile; prevedano iniziative volte a riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa con politiche di sostegno per la ristrutturazione/sostituzione dei manufatti utilizzati per la vendita. Il protocollo prevede, inoltre, la costituzione di un tavolo bilaterale che valutera’ le modalita’ delle iniziative previste dall’ accordo e ne verifichera’ l’ andamento. (ITALPRESS)
La pubblicità sulla stampa in calo del 9,2% ad agosto. I dati Fcp: quotidiani -10,3%, settimanali -5%, mensili -8,6% (TABELLA)
Prima Comunicazione
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I dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-agosto 2017 raffrontati con i corrispettivi 2016. Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -9,2% . Lo dicono i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp (xls). In particolare i quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato -10,3% che a spazio -4,8%. Le singole tipologie segnano rispettivamente: La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato -13,7% a fatturato e -11,2% a spazio. La pubblicità Commerciale locale -6,0% a fatturato e -2,7% a spazio. La tipologia Legale ha segnato -11,9% a fatturato e -12,3% a spazio. La tipologia Finanziaria ha segnato -16,4% a fatturato e -12,8% a spazio La tipologia Classified ha segnato -4,3% a fatturato e -3,4% a spazio. I periodici segnano un calo sia a fatturato del -7,0% che a spazio del -4,0%. I settimanali registrano un andamento negativo sia a fatturato del -5,0% che a spazio del -3,5%. I mensili segnano un calo a fatturato -8,6% e a spazio -4,5%. Le altre periodicità registrano -16,4% a fatturato e -6,2% a spazio. – Leggi o scarica i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp di agosto 2017 (xls)
Citynews lancia Europa.Today.it quotidiano online dedicato alle news sulle istituzioni comunitarie. Fernando Diana: progetto sostenuto dal Parlamento Europeo
Prima Comunicazione
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Il Gruppo Editoriale Citynews annuncia la pubblicazione del quotidiano digitale Europa.Today.it. La nuova testata Citynews avrà una redazione europea a Bruxelles gestita da due giornalisti di lunga esperienza, Dario Prestigiacomo e Alberto D’ Argenzio, i quali saranno presenti nelle sedi del Parlamento Ue sia di Bruxelles che di Strasburgo in modo tale da poter dare notizie in diretta sui fatti inerenti le istituzioni comunitarie ed in particolare l’ Eurocamera. “Questo progetto, che riceve per il suo primo anno di vita il sostegno economico del Parlamento Europeo – dichiara Fernando Diana, co-founder del Gruppo Editoriale Citynews -, è la nostra prima iniziativa al di fuori del territorio nazionale e si prefigge l’ obiettivo di creare un innovativo sistema editoriale che sposi l’ informazione europea con quella locale. Con Europa.Today, Citynews si ripropone di colmare il vuoto informativo sulle iniziative del Parlamento Ue in Italia, sottolineato da Eurobarometro Parlameter del 2016, promuovere il dialogo nella cittadinanza e tra gli attori sociali sulle attività del Parlamento e degli eurodeputati e ridurre la distanza tra gli italiani e le istituzioni comunitarie. La nostra presenza fisica presso le istituzioni europee di Bruxelles e Strasburgo ci fornirà, inoltre, un punto di osservazione privilegiato e una capacità unica di riportare nei nostri territori locali le attività e iniziative che li riguardano direttamente”. Dario Prestigiacomo, dopo brevi esperienze all’ Ansa e al Giornale di Sicilia, ha collaborato con La Repubblica dal 2006 al 2014. Nel 2012 si trasferisce a Bruxelles dove inizia a collaborare con l’ Agenzia Vista e con l’ Huffington Post. “Il nostro progetto è molto esteso – afferma Dario – e l’ idea di fondo che ha portato Citynews alla sua realizzazione è stata quella di poter diffondere notizie europee di prossimità. Faremo un ampio uso di contenuti video (reportage ed interviste), di infografiche e contrasteremo il fenomeno delle fake news, che affligge da sempre tutte le attività svolte dal Parlamento europeo, affrontandone e smontandone almeno una ogni settimana. Alberto D’ Argenzio vive a Bruxelles dal 2000, quando inizia l’ attività di giornalista free lance, occupandosi principalmente di Europa. Collabora con l’ Ansa ed ha coperto per diversi media italiani e stranieri la guerra in Georgia del 2008. “Il progetto prevede di utilizzare il portale Europa.Today non come uno spazio impermeabile in cui concentrare le notizie sul Parlamento Ue – precisa Alberto -, ma come un contenitore da cui attingere le notizie stesse e riversarle, attraverso la presenza di widget fissi nelle home page, nei quotidiani del Gruppo Editoriale Citynews, in modo da ampliarne la visibilità e catturare in maniera trasversale l’ attenzione dei lettori. A questo scopo la nuova piattaforma Europa.Today.it pubblicherà articoli utilizzando un linguaggio meno burocratico e soprattutto realizzerà un’ importante e scrupolosa attività di Fact Checking, analizzando i principali temi al centro del dibattito del Parlamento Ue”.
Al via il progetto “Buon Senso” per orientare i ragazzi tra le notizie
La Repubblica
RAFFAELLA DE SANTIS
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L’ INIZIATIVA DI LATERZA CON IL MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE ROMA. Orientarsi nel flusso continuo delle informazioni e capire come scegliere le notizie e come comunicarle. È questo l’ obiettivo del progetto Buon Senso lanciato dagli editori Laterza e dal ministero dell’ Istruzione e della Ricerca. «È diventato prioritario investire energie sulla scuola», ha detto Giuseppe Laterza presentando il progetto nella sede del Miur. Insieme all’ editore c’ erano la ministra Valeria Fedeli, la direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli, il direttore del Tgr Rai Vincenzo Morgante. La Rai è partner dell’ iniziativa insieme a Repubblica, La Stampa, la Gazzetta del Mezzogiorno e altre realtà, tra cui la Fondazione Giovanni Agnelli e l’ Istat. In questa prima fase sperimentale saranno coinvolti alcuni istituti di Torino, Roma e Bari. Gli studenti saranno seguiti da giornalisti, scrittori, registi, sociologi, tra cui Fabio Geda, Alessandro Leogrande, Igiaba Scego, Francesco Remotti, Andrea Segre, Sergio Rubini. Si tratterà di aiutare i ragazzi a strutturare e consolidare le loro competenze per leggere la realtà, capendo come si riconosce una notizia, come si risale alle fonti, come ci si documenta. Il tema scelto per il primo anno è l’ immigrazione. La sfida, ha spiegato Laterza, sarà trasformare il senso comune in buon senso: «Buon senso implica un giusto equilibrio tra razionalità ed emotività, tra interessi immediati e di lungo periodo, tra idee generali ed esperienza individuale». Gli studenti saranno chiamati a mettersi alla prova con video, saggi, reportage e spettacoli teatrali. Alla fine, il 28 maggio, si terrà una manifestazione all’ Auditorium Parco della Musica per presentare i lavori. «Questa sperimentazione in futuro potrà riguardare anche altre scuole», ha detto la ministra Fedeli. E sul significato dell’ iniziativa, ha aggiunto: «Quelli proposti in questo progetto sono percorsi di cittadinanza attiva e consapevole». Laterza ha concluso facendo proprio l’ invito di Piero Calamandrei a considerare la scuola come agente di mobilità sociale e garanzia di democrazia. LA PRESENTAZIONE Giuseppe Laterza con la ministra Valeria Fedeli.
Addio a “Si” Newhouse il magnate dell’ editoria che amava la cultura
La Repubblica
ANTONIO MONDA
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NEW YORK Con la morte di Samuel Irving Newhouse Jr, scomparso domenica a New York all’ età di quasi novant’ anni (li avrebbe compiuti a novembre), se ne va uno degli ultimi rappresentanti di un mondo che ha forgiato e dominato la cultura, non solo americana, degli ultimi cinquant’ anni. “Si”, come era chiamato dagli amici, era un titano dell’ editoria ma soprattutto un uomo che incarnava come pochi altri la più imprescindibile delle qualità di coloro che hanno reso grande l’ America: la visione, lo sguardo aperto e profetico sul futuro. Per comprenderne il potere basti pensare che in occasione del suo compleanno bloccava il Mo-MA per un’ anteprima mondiale del film più atteso dell’ anno, e chiedeva ad Andrew Sarris, il più grande critico americano, di presentare la pellicola spiegandone l’ importanza. Le serate proseguivano quindi nel suo spettacolare appartamento affacciato sul fiume Hudson, dove interveniva la crema della città, in un rito che contemplava sempre lo stesso menù, a cominciare dalla torta inglese al rabarbaro. E quelle cene esclusive consentivano di ammirare anche una delle più belle collezioni d’ arte del mondo: alle pareti opere di Van Gogh, Cézanne, Jackson Pollock, Jasper Johns, Lucian Freud, Francis Bacon e molti altri, affidate a un curatore privato, che ogni tanto cambiava posizione ai capolavori. Una collesione che negli ultimi anni si è arricchita con le opere di Damien Hirst, Jeff Koons e Giacometti. È stato un filantropo e un mecenate delle arti, ma anche un uomo d’ affari dal fiuto ineguagliabile: nel 1978 acquistò Random House, la più importante casa editrice americana, per 60 milioni di dollari, per rivenderla poco più di quindici anni dopo per 1,4 miliardi. Il suo nome è associato soprattutto alla proprietà del gruppo editoriale Condé Nast, nonostante ciò rappresentasse soltanto una parte del suo impero. La acquistò nel 1959 per accontentare la prima moglie Mitzi, che amava Vogue, ma poi cominciò ad appassionarsi alla nuova avventura: la sua linea editoriale era quella di non pubblicare riviste che vendessero meno di un milione di copie, con l’ eccezione di AD. Fanno parte dell’ impero anche Vanity Fair, GQ, Condé Nast Traveller. E il New Yorker, la più importante rivista culturale del mondo, tenuta in vita da lui anche quando perdeva fino a 20 milioni di dollari l’ anno. Newhouse intuì prima di ogni altro come stava cambiando il mondo dell’ informazione e mutò radicalmente il modo di proporre le notizie: il glamour acquista un ruolo centrale, arricchito tuttavia di pezzi di primissima qualità. In particolare su Vanity Fair. Si è trattato di una rivoluzione irreversibile, che lui realizzò offrendo compensi straordinari quanto inediti, e teorizzando che nel mondo dell’ arte e della cultura «lo spreco è essenziale per ottenere qualcosa di valido». Chi lo ha frequentato recentemente lo ricorda molto provato nel fisico ma ancora attento alle scelte imprenditoriali: è stato lui a occuparsi in prima persona del trasferimento del quartier generale della Condé Nast nella Freedom Tower, il grattacielo costruito sulle rovine di Ground Zero. Negli ultimi tempi ricordava spesso i genitori, ebrei russi, e l’ università di Syracuse, la sua alma mater, dove poi ha finanziato la più importante scuola di giornalismo del paese. E a chi gli chiedeva di raccontare le sue maggiori passioni parlava degli unsung heroes, gli eroi anonimi, i grandi non celebrati dai media: «Tutti ricordano Joe Louis e Rocky Marciano: ma io voglio bene a Ezzard Charles, ha perso con entrambi ma è stato anche lui campione del mondo». ©RIPRODUZIONE RISERVATA LA FOTO A destra, Si Newhouse fotografato con la direttrice di Vogue Anna Wintour e lo stilista Oscar de la Renta nel 2011 CON TRUMP Sopra, Newhouse stringe la mano al futuro presidente americano Donald Trump nel 1987.
Fieg e Comuni patto per rilanciare le edicole italiane
La Repubblica
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ROMA. «Comuni ed editori insieme per salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino». Con questo obiettivo l’ Anci, l’ Associazione dei Comuni, e la Fieg, la Federazione degli editori di giornali, hanno sottoscritto ieri a Roma un protocollo d’ intesa. Il protocollo prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali affinché riducano i canoni delle edicole per le occupazioni di suolo pubblico; diano agli edicolanti la possibilità di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti dalle prenotazioni delle visite mediche ai recapiti di corrispondenza; liberalizzino gli orari. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Articoli web gratis Google si arrende: decide l’ editore
La Repubblica
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ROMA. Gli editori accolgono con favore la decisione di Google di rivedere il sistema “First Click Free” che obbligava gli editori a offrire ogni giorno tre articoli gratis prima della consultazione a pagamento. Con l’ adozione del “Flexible Sampling” saranno ora gli editori a decidere in autonomia quali e quanti contenuti offrire gratis. La svolta sul “futuro degli abbonamenti digitali”, illustrata sul blog di Google dal vicepresidente News Richard Gingras, nasce da «ricerche che mostrano come le persone si abituano a pagare per le notizie». Tuttavia, si spiega, la macchinosità del processo per attivare un abbonamento può essere un disincentivo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
«Servizi ai cittadini nelle edicole»
Corriere della Sera
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Èstato firmato ieri a Roma, dalla Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) e dalla Federazio-ne italiana editori giornali (Fieg), un protocollo per «salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino». Antonio Decaro, presidente di Anci, ha sottolineato «la funzione fondamentale dei quotidia-ni che con opinioni e analisi consen-tono all’ opinione pubblica di appro-fondire l’ informazione». Per il presi-dente di Fieg, Maurizio Costa, «si av-via un percorso per riqualificare e ri-definire ruolo e funzione dei tradizio-nali punti vendita della stampa, favo-rendone l’ ammodernamento: il citta-dino con il giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medi-ca, acquistare l’ ingresso a un museo». Il Sindacato nazionale autonomo giornalai è «rammaricato per non essere stato coinvolto» e sottolinea che «la Fieg non può rappresentare la rete di vendita della stampa. Chiedia-mo di essere convocati con la massi-ma urgenza per valutare i contenuti del protocollo».
L’ allarme degli Editori per i rischi dell’ E-privacy
Corriere della Sera
Ivo Caizzi
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L’ Associazione europea degli editori di giornali e new media Enpa di Bruxelles, presieduta da Carlo Perrone, sta facendo pressione sull’ Europarlamento per far modificare le proposte di nuova regolamentazione a tutela della privacy dei cittadini sulla Rete. Gli editori sostengono che, invece di offrire maggiori garanzie ai lettori dei giornali, finiscono per consentire l’ accesso ai loro dati personali ai giganti del web come Google o Facebook «in totale contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e penalizzando in Europa la stampa libera, indipendente e pluralistica». All’ Enpa temono che l’ impatto delle nuove regole Ue sulla E-privacy possa essere così preoccupante da mettere a rischio il futuro dell’ informazione digitale. Google ha però lanciato un segnale di dialogo agli editori di giornali, proponendo un nuovo sistema per favorire la sottoscrizione dei loro abbonamenti a pagamento. Un primo periodo di prova con i quotidiani New York Times e Financial Times avrebbe dato risultati positivi. Anche Facebook intenderebbe lanciare un progetto in grado di aumentare gli introiti di un gruppo di testate preventivamente selezionate.
Consiglio dei Ministri, approvata la riforma delle opere audiovisive
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, ha approvato, in esame preliminare, tre decreti legislativi che, in attuazione delle deleghe previste dalla legge sulla “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo” (legge 14 novembre 2016, n. 220), riformano in modo organico il settore della produzione audiovisiva, introducendo nuove norme sul lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo, sulla tutela del pubblico non adulto e sulla promozione delle opere italiane ed europee. Palazzo Chigi ha corretto il testo di partenza che aveva causato la ribellione unanime – fenomeno molto raro per l’ Italia – di Sky, Rai, Mediaset e sorelle. Per esempio, Viale Mazzini parte dall’ odierno 15 per cento e arriva al 20 del fatturato per l’ audiovisivo, non più al 30; mentre le private passano dal 10 al 15. Per onorare il modello francese, il ministro ha importato la fascia oraria 18-23 per la prima serata in cui va trasmessa un’ opera italiana, un film, una fiction, un documentario originale o un cartone animato.
Il decreto delinea inoltre un nuovo sistema di tutela dei minori nella visione di opere cinematografiche e audiovisive, ispirandosi ai princìpi di libertà e di responsabilità, tanto degli imprenditori del settore cinematografico e audiovisivo, quanto dei principali agenti educativi, tra i quali in primo luogo la famiglia, e sostituisce le procedure attualmente vigenti relative al “nulla osta” alla proiezione in pubblico dei film rilasciato dalla Direzione generale per il Cinema del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Il nuovo sistema è caratterizzato da tre principali innovazioni:
- a) è abolita la possibilità di vera e propria censura dell’opera. Non è infatti più previsto il divieto assoluto di uscita in sala di un opera, né l’uscita condizionata a tagli o modifiche della pellicola;
- b) è definito un sistema di classificazione più flessibile, maggiormente conforme alle diverse tipologie di opere e coerente con il generale allargamento del pubblico in sala, che comprende oggi anche bambini molto piccoli;
- c) si introduce il principio di responsabilizzazione degli operatori cinematografici, che sono chiamati a individuare la corretta classificazione dell’opera in base alla fascia d’età del pubblico destinatario e a sottoporla alla validazione di un apposito organismo di verifica, la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, che va a sostituire le attuali sette Commissioni per la revisione cinematografica.
Il decreto, inoltre, prevede l’adozione di un apposito regolamento dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, con il quale è disciplinata la classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi, al fine di assicurare, anche per tali opere, il giusto e equilibrato bilanciamento tra la tutela dei minori e la libertà di manifestazione del pensiero e dell’espressione artistica.
Privacy, editori europei contro il testo del nuovo regolamento che vieta loro l’uso dei cookies
L’associazione europea degli editori (Enpa) ha chiesto al Parlamento Ue di trovare un “approccio bilanciato” sul regolamento E-privacy, perché l’attuale testo in discussione, vietando ai siti delle aziende editoriali di usare i cookies, dà “il pieno controllo” dei dati degli utenti europei “a pochi big” della tecnologia, che restano invece liberi di usarli.
“La bozza di regolamento darebbe ai principali player tecnologici Usa il pieno controllo dei dati dei consumatori, allo stesso tempo impedendo alla stampa online di dare accesso a contenuti giornalistici professionali su base libera e aperta”, ha detto il presidente dell’ENPA, Carlo Perrone, sottolineando come questo sia “in totale contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e contro una stampa libera, indipendente e pluralista”. Gli editori avevano già espresso preoccupazione per il “forte impatto” del regolamento “sul futuro della stampa digitale, in particolare sulla pubblicità”, con il semplice bando dell’utilizzo dei cookies. Perché dando al browser il potere di rigettarli, si dà solo “l’illusione di un livello elevato di protezione dei dati per i cittadini”. In realtà, “si dà a pochi player dominanti il pieno potere” su quei dati, mentre si toglie agli editori “la possibilità di raggiungere direttamente i propri lettori e fornirgli offerte e servizi personalizzati”.
Giornalisti, tutti gli eletti in Campania al Consiglio regionale e nazionale dell’Ordine
Domenica primo ottobre si sono svolte anche in Campania le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale e del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. Tutti eletti al primo turno i professionisti e pubblicisti della lista “Giornalisti per la Campania”. Non ci sarà dunque ballottaggio. Per i professionisti sono eletti al Consiglio regionale Ottavio Lucarelli (509 voti), Titti Improta (416), Paolo Mainiero (407), Vincenzo Esposito (369), Vincenzo Colimoro (353), Pino De Martino (349). Revisori dei conti Francesco Marolda (404) e Concita De Luca (365). Al Consiglio nazionale eletti Carlo Verna (481) e Antonio Sasso (470). Per i pubblicisti eletti al Consiglio regionale Mimmo Falco (932), Salvatore Campitiello (874), Massimiliano Musto (832). Revisore dei conti Francesco Ferraro (811). Al Consiglio nazionale Alessandro Sansoni (859). Entro il mese di ottobre Consiglio regionale e Consiglio nazionale si riuniranno per eleggere le cariche di presidente, vice presidente, segretario e tesoriere.
Rassegna Stampa del 04/10/2017
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Il Sole 24 Ore
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Fra i crediti d’ imposta di maggior interesse da indicare a quadro RU si ricorda in primo luogo il credito per recupero contributo Ssn autotrasportatori (codice 38), che corrisponde al recupero delle somme versate nel 2016 a titolo di contributo al Servizio sanitario sui premi assicurazione Rc, per i danni derivanti alla circolazione da veicoli adibiti a trasporto di merci di massa complessiva non inferiore a 11,5 tonnellate e omologati ex Dm Ambiente 23 marzo 1992, fino a concorrenza massima di 300 euro per veicolo. Ulteriore credito interessante per tipologia è quello del teleriscaldamento con biomassa ed energia geotermica (codice 1), introdotto dalla legge 448/1998 nei comuni ricadenti in zone climatiche E) ed F) di cui al Dpr n.412/1993. Si tratta di un credito la cui fruizione richiede però presentazione di autodichiarazione del credito maturato agli uffici locali dell’ Agenzia. La collocazione dei dati Nel 2014 la percentuale del credito è ridotta al 15 per cento. Per quanto attiene la compilazione del quadro RU sezione 1 nel rigo RU5 a colonna 1 va inserito l’ ammontare del credit maturato nel periodo d’ imposta di riferimento ex articolo 29, legge n. 388/2000 già compreso nell’ importo di colonna 3; a colonna 3 quindi l’ importo del credito maturato complessivamente nel periodo di riferimento, compreso l’ importo di colonna 1. Nel rigo RU11 va apposto l’ ammontare del credito chiesto al rimborso, ricordando che in alternativa questo credito è utilizzabile successivamente in compensazione (codice tributo 6737). Sempre nell’ ottica della tutela ambientale si inserisce il credito d’ imposta per le imprese importatrici, costruttrici e gli installatori di impianti di alimentazione a gas metano Gpl per il recupero dell’ importo del contributo statale riconosciuto agli acquirenti persone fisiche e persone guiridiche (codice 20) per acquisto di autoveicoli elettrici, a metano o a Gpl, motocicli e ciclomotori elettrici e bici a pedalata assistita o l’ installazione di un impianto alimentato a metano o Gpl. Credito d’ imposta sempre destinato al quadro RU è quello derivante da trasformazione di attività per imposte anticipate (codice 80), che interessa sostanzialmente il mondo bancario. L’ articolo 2, commi da 55 a 58, del Dl 29 dicembre 2010, n.225,convertito, con modificazioni, con la legge 26 febbraio 2011, n.10, ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità, al verificarsi di particolari condizioni, di trasformare in credito d’ imposta le Dta (Deferred tax assets) iscritte in bilancio relative alle svalutazioni di crediti non ancora dedotte ai sensi dell’ articolo 106, comma 3, del Tuir e relative al valore dell’ avviamento e delle altre attività immateriali i cui componenti negativi sono deducibili ai fini delle imposte sui redditi in più periodi d’ imposta. Successivamente, l’ articolo 9 del Dl 6 dicembre 2011, n.201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n.214, riformando l’ originaria disciplina, ne ha di fatto significativamente ampliato l’ ambito di applicazione, prevedendo – tra le altre – la conversione delle Dta iscritte in presenza di perdite fiscali rilevanti ai sensi dell’ articolo 84 del Tuir. Attualmente la normativa individua ipotesi di trasformazione delle Dta: in presenza di perdita civilistica; in presenza di perdita fiscale; in caso di liquidazione volontaria o assoggettamento a procedure concorsuali o di gestione della crisi d’ impresa. Più recentemente, l’ articolo 1, commi da 167 a 171 della legge 27 dicembre 2013, n.147, ha ulteriormente esteso l’ applicazione della trasformazione in esame anche alle Dta afferenti l’ Irap relative ai medesimi componenti negativi di reddito (ovverosia, la svalutazione dei crediti, l’ ammortamento/svalutazione dell’ avviamento e delle altre attività immateriali) in ipotesi di: perdita civilistica; valore della produzione netta negativo. Questo credito è utilizzabile in compensazione senza limite e il residuo è rimborsabile e inoltre può essere ceduto al valore nominale ai sensi dell’ articolo 43-ter, Dpr 602/1973. Un altro credito di tipo settoriale e oggetto di estensione temporale sino al 31 dicembre 2017 è quello previsto dall’ articolo 4, comma 1, Dl 63/2012 per sostenere l’ adeguamento tecnologico degli operatori della filiera distributiva, editori, distributori e rivenditori, finalizzato alla modernizzazione del sistema di distribuzione e vendita della stampa quotidiana e periodica. Il credito è attribuito nel rispetto della normativa de minimis, può essere utilizzato solo in compensazione e va indicato nella dichiarazione del periodo di concessione. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il Parlamento decide che film possiamo vedere in tv (anche sulle private)
Italia Oggi
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Nei primi sei mesi dell’ anno la quota di mercato del cinema italiano, in Italia, ha fatto registrare un misero 18%. Senza Checco Zalone nelle sale, i numeri sono questi. Tanti film di interesse culturale realizzati col sostegno pubblico (Ministero, Fondi regionali, Rai Cinema, ecc.) che però non hanno interessato le persone. Al governo non resta quindi che costringere gli italiani a guardare nazionale in tv, più di quanto non fosse già. Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri, con decreto legislativo, l’ aumento delle quote di tempo settimanale da riservare nella prime-time televisiva alla produzione italiana: il 6% per i canali privati, il doppio per la Rai, oltre all’ aumento degli obblighi di investimento delle emittenti televisive a favore delle opere europee e italiane. Si tratta di imposizioni che limitano l’ autonomia editoriale di imprese private e che hanno ricadute nella loro determinazione dei palinsesti, nei bilanci e nella direzione, come se fossero tutte aziende pubbliche che devono rispondere alle politiche editoriali del governo. Ma se si guarda la decisione dalla prospettiva degli spettatori, la novità è ancora più insensata. Non è facendo affluire ulteriori risorse sia dal pubblico che, in maniera coercitiva, dal privato, e obbligando le televisioni a programmare opere nazionali, anche in prima serata, che si possa fare innamorare gli spettatori del cinema italiano. Dargli una seconda chance, dopo quella dei contributi pubblici con cui la maggior parte delle produzioni sono realizzate, potrebbe solo voler dire continuare a farlo vivacchiare di modesti risultati e successi, protetto com’ è dall’ aiuto di Stato. Se avessimo solo poche reti televisive per guardare un film, come era fino a non molti anni fa, dovremmo preoccuparci che sia lo Stato a dirci cosa dobbiamo vedere. Esiste ancora per fortuna il telecomando e, chissà, forse il prossimo tentativo sarà proprio quello di requisirli tutti, casa per casa. Istituto Bruno Leoni.
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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24 Ore Cultura, ok dall’ assemblea all’ azione di responsabilità contro l’ ex a.d. L’ assemblea dei soci di 24 Ore Cultura, in linea con la delibera del consiglio di amministrazione della stessa società del 29 marzo scorso, ha approvato ieri l’ azione di responsabilità nei confronti del precedente amministratore delegato della società, Natalina Costa. L’ obiettivo, fa sapere la stessa società, è «di reintegrare il patrimonio sociale del pregiudizio patito, anche in termini di mancato guadagno». Il Cameo Video di Riccardo Ruggeri. È sul Blog e su Youtube il terzo prodotto informativo elaborato da Riccardo Ruggeri. Si chiama Cameo Video, ha una cadenza settimanale ed esce il martedì. Ruggeri commenta in questo modo la sua nuova iniziativa mediatica: «Potrebbe rivelarsi una banalità o un modo innovativo di raccontare la politica ai nati dopo il 2000. Lo deciderà il mercato». Il riferimento: Blog riccardoruggeri.eu https://youtu.be/YTiDfNJfN2I Franceschini: il decreto tv farà crescere la creatività italiana. «Rafforzare gli obblighi di investimento e trasmissione delle opere italiane farà crescere la creatività italiana». Lo ha detto il ministro dei beni e delle attività culturali, Dario Franceschini, commentando, a margine di una visita al Colosseo, il contenuto del decreto legislativo approvato lunedì dal consiglio dei ministri che riforma le norme per quanto riguarda la promozione delle opere europee e italiane da parte di fornitori di servizi di media audiovisivi. «Avere il timore che ci sia una perdita di entrate pubblicitarie a causa di queste nuove norme significa non credere che le produzioni italiane possano crescere, sia come pubblico che come qualità, arrivando a fare dei programmi adatti al prime time», ha aggiunto il ministro. Rai Torino, apertura straordinaria del museo Radio e Tv. Il 4 ottobre 1957, dalla base di Tyuratam, in Kazakistan, veniva lanciato lo Sputnik I, il primo satellite artificiale. Una ricorrenza alla quale il Centro di Produzione Tv Rai di Torino dedica l’ apertura straordinaria del Museo della Radio e della Tv oggi dalle 10 alle 23.
Rtl 102,5, utili per 7,8 milioni
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Rtl 102,5 chiude un bilancio di esercizio 2016 molto positivo, con utili pari a 7,8 milioni di euro (dopo i 6,7 milioni del 2015) e ricavi che complessivamente crescono del 3,3% a quota 46,7 milioni di euro. La raccolta pubblicitaria della emittente radiofonica, nel corso del 2016, è salita dell’ 1,6% raggiungendo i 40,6 milioni di euro. E il patrimonio netto tocca i 67 milioni di euro, rispetto ai 61 milioni dell’ esercizio 2015. Numeri buoni per l’ emittente radiofonica che fa riferimento al presidente Lorenzo Suraci. Ma, nonostante questo, l’ assemblea dei soci preferisce optare per la prudenza e delibera, quindi, di non distribuire dividendi: annulla la distribuzione di 2 milioni di euro, già approvata nel 2016, e decide di trasferire a riserva straordinaria pure la gran parte degli utili dell’ esercizio 2016. Ci sono, infatti, alcune questioni che suggeriscono di non eccedere in troppa euforia: i primi mesi del 2017 presentano, secondo gli amministratori di Rtl 102,5, una raccolta pubblicitaria in calo del 6,5%. Preoccupa, soprattutto, lo strapotere di RadioMediaset. C’ è poi un forte indebitamento col mondo bancario: pur disponendo di depositi bancari pari a 42 milioni di euro, infatti, i vertici di Rtl hanno deciso di sviluppare gli investimenti senza intaccare direttamente le proprie finanze, ma attingendo al credito approfittando dei favorevoli tassi di interesse. Perciò si è passati dagli 1,5 milioni di euro di debiti verso le banche del 2015 agli 11,4 milioni del 2016. Circa 6 milioni di euro arrivano dal Banco Popolare-Credito bergamasco, e circa 4 milioni da Banca Intesa. Peraltro va anche detto che sui 7,8 milioni di euro di utili 2016 ci sono 2 milioni che arrivano a Rtl 102,5 sotto forma di dividendo dalla controllata Open Space, concessionaria del gruppo. Insomma, una serie di motivazioni che hanno fatto prevalere un atteggiamento di prudenza, tenuto conto che poi Rtl 102,5, attraverso altre società del più vasto gruppo, sta investendo parecchio per provare a creare un polo radiofonico (con Radio Zeta e Radiofreccia) in grado di competere con i big del comparto, da RadioMediaset a Gedi, passando per Rai o Rds. Tornando al bilancio di esercizio di Rtl 102,5, nel 2016 ci sono state quattro acquisizioni di ramo di azienda per potenziare il segnale radiofonico sul territorio: 13 impianti da Punto Radio di Borgomanero (Novara) per un controvalore di tre milioni di euro; due impianti da Ecomedia di Roma per 1,2 milioni; 13 impianti da Veronica my radio di Pesaro per 1,3 milioni; 12 impianti da Radio Padania soc coop di Monza, per 800 mila euro. In questo modo Rtl 102,5 può contare su un sistema di trasmissione di 950 impianti su tutta la Penisola. Investito poi quasi un milione di euro per la creazione di nuovi studi radiotelevisivi presso la sede di Cologno Monzese, e quasi 3 milioni di euro per la comunicazione pubblicitaria nel corso del 2016 (1,68 mln nel 2015). A fine 2016 lavoravano 73 dipendenti a Rtl 102,5, di cui cinque dirigenti, cinque quadri, 53 impiegati e dieci altre figure, esattamente come a fine 2015. Al presidente, Lorenzo Suraci, è stato confermato il compenso di 288 mila euro annui. © Riproduzione riservata.
La nuova Italia della comunicazione
Corriere della Sera
Leonard Berberi
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Un Paese in piena frattura generazionale, senza più un paradigma sociale di riferimento, con scale di valori rovesciate tra genitori e figli, sempre meno interessato alla politica, che si informa attraverso i suoi propri canali – ma che continua ad affidarsi ai giornalisti competenti e all’ informazione di qualità – ed è in piena transizione dal vecchio al nuovo contesto. Dove del «nuovo» non sono ancora chiari gli elementi costitutivi. Eccola l’ Italia di oggi nella fotografia scattata dal 14esimo rapporto Censis sulla comunicazione che sarà presentato oggi. Una nazione «in cui la rivoluzione digitale ha compiuto il suo corso e ha dispiegato i suoi effetti», esordisce il dossier. E questo ha prodotto effetti anche sull’ immaginario collettivo degli italiani, l’«insieme di valori, simboli, miti d’ oggi che informano le aspettative, orientano le priorità, guidano le scelte, insomma definiscono l’ agenda condivisa della società». Da un punto di vista dei consumi mediatici la tv (in tutte le sue piattaforme) resta al primo posto (per il 95,5% degli italiani), anche se cede terreno, la radio tradizionale perde punti (59,1%), il telefono cellulare (86,9%) si avvicina ai valori della tv, mentre lo smartphone (69,6%) è il vero protagonista, avendo più che quadruplicato la sua quota in otto anni. Internet cresce (75,2%), ma a ritmi meno sostenuti e soprattutto grazie agli smartphone, che a loro volta trascinano WhatsApp, l’ applicazione di messaggistica istantanea. Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%) sono le piattaforme più popolari, Twitter non sfonda (13,6%), ma Instagram sì, tanto da raddoppiare gli utenti (dal 9,8% del 2015 al 21% di oggi). Si conferma il divario digitale tra 14-29enni e over 65enni. Grande attenzione sui servizi digitali audio (Spotify) e video (Netflix): gli abbonati sono ancora pochi (tra 10 e 11%), «ma rappresentano il veicolo principale del cambiamento che si sta verificando nel sistema generale dei media». I libri restano in una fase critica: 43 italiani su cento ne hanno letto almeno uno (di carta) all’ anno, uno su dieci si è concentrato sull’ e-book. Tutti questi sono gli elementi dell’ era «biomediatica», come la chiama il Censis, che ha trasformato l’ immaginario collettivo. «Quest’ ultimo definisce l’ agenda sociale condivisa di un Paese», spiega Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. «Dopo la crisi delle grandi ideologie e delle forti narrazioni come l’ Ue e la globalizzazione, questa è una nazione in transizione, frammentata, senza un’ agenda sociale condivisa da una maggioranza, polverizzata da smartphone, social network e web, utilizzati sempre più per esprimere i propri interessi». «In dieci anni siamo passati da una dimensione verticale della comunicazione a una orizzontale, dove ognuno – dotato di telefonino e connessione Internet – pensa di poter produrre informazione», sottolinea Valerii. Ma restano delle certezze. Nelle tabelle del rapporto emerge l’ importanza attribuita all’ informazione. Perché, alla domanda su chi sia la figura che esercita più di tutte un’ influenza sui fattori ritenuti centrali nell’ immaginario collettivo, dopo genitori (31,9%) e persone frequentate abitualmente (13,2%) compare il giornalista competente (12,8%). La crisi economica del 2008 è stato il vero spartiacque, secondo Valerii. «Da quel momento il Paese ha perso l’ innocenza, ha visto rompersi quel patto sociale che si basava sull’ assunto per cui i giovani sarebbero stati meglio dei loro genitori. È successo l’ opposto: i ragazzi oggi stanno peggio dei loro parenti. Mi preoccupa, per esempio, lo scarso valore che viene dato al titolo di studio da parte dei giovani: prima era il biglietto per accedere ai meccanismi di ascesa sociale, oggi non è così. Siamo nella fase del liberi tutti».
Gli editori dei quotidiani locali hanno i conti in ordine. Almeno gran parte di loro. Lo dice DataMediaHub che fa le pulci ai bilanci delle principali realtà del comparto – INFOGRAFICHE
Prima Comunicazione
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Rispetto ai grandi gruppi editoriali ed agli altri quotidiani nazionali, i quotidiani locali, pur nella negatività generale del comparto, presentano conti più in ordine e flessione meno accentuata dei fatturati. Questo il dato principale che emerge da un’ analisi del sito DataMediaHub , realizzata mettendo sotto la lente di ingradimento la situazione di alcuni delle pubblicazioni locali nel nostro Paese. Fatturato, margine operativo lordo, utile/perdita di esercizio e numero di dipendenti, sono i parametri presi in considerazione per valutare lo stato di salute delle queste realtà editoriali, negli anni tra il 2011 e il 2016, mentre le realtà esaminate sono: Gruppo Finegil (quotidiani locali gruppo GEDI), Il Messagero, Il Mattino, Il Gazzettino, Quotidiano di Puglia, Eco di Bergamo, La Provincia di Como (incluse le edizioni di Lecco e Sondrio), Libertà (PC), La Provincia di Cremona, La Prealpina, Corriere Adriatico, Corriere dell’ Umbria, Brescia Oggi e Gazzetta di Parma. Ecco un approfondimento per ciascuna di loro. Finegil, del gruppo GEDI , dopo la cessione di alcune testate per rientrare nella soglia dell’ antitrust, comprende: Il Corriere delle Alpi, Il Mattino di Padova, Il Piccolo, Il Tirreno, la Gazzetta di Mantova, Gazzetta di Modena, la Gazzetta di Reggio, La Nuova Venezia, La Nuova Ferrara, La Provincia Pavese, La Sentinella, La Tribuna Treviso ed il Messaggero Veneto. Il fatturato, spiega l’ analisi, è calato di 50 milioni, ma il gruppo presenta sempre conti in positivo, con un utile che supera in alcuni anni il 10% dei ricavi totali. Calato di 65 unità il numero dei dipendenti. (Rielaborazione DataMediaHub) Del Gruppo Caltagirone , fanno parte il ‘Messaggero’, ‘Mattino di Napoli, ‘Gazzettino’ e ‘Quotidiano di Puglia’. Tra il 2011 e il 2016 ‘Il Messaggero’ ha perso 30 milioni di euro di fatturato (-33.5%). “Il margine operativo lordo, ad esclusione del 2011, è negativo in tutti gli esercizi presi in considerazione e complessivamente in sei anni vengono accumulate perdite per 21.5 milioni di euro”, si legge nel report, dove si sottolinea anche il taglio degli organici, passando dai 335 dipendenti del 2011 a 168 a fine 2016. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘Il Gazzettino’ , fresco di festeggiamenti per il suo 130° anniversario, ha registrato un calo nei ricavi del 27.5%, passando da 39.2 milioni del 2011 a 28.4 di fine 2016, e il margine operativo lordo è costantemente in negativo. In più, nonostante i tagli al numero dei dipendenti, si accumulano poco meno di dieci milioni di euro di perdite. Tutti numeri che fanno definire dal report ‘Il Gazzettino’ come il giornale “che presenta il peggior rapporto tra fatturato e perdite tra tutti i giornali in portfolio al Gruppo Caltagirone”. (Rielaborazione DataMediaHub) Per quanto riguarda ‘Il Mattino’ , il fatturato è passato da 34.5 milioni a 22.2, pari al -35.6%, segnando quella che l’ analisi definisce “la peggior performance dei quotidiani del Gruppo Caltagirone se si esclude il free press Leggo”. Mai in utile tra il 2011 ed il 2016, il giornale ha accumulato perdite per 17.8 milioni di euro. Significativa anche in questo caso la riduzione degli organici (-40.8%). (Rielaborazione DataMediaHub) ‘Il Quotidiano di Puglia’ , il più piccolo per dimensioni tra le pubblicazioni del Gruppo Caltagirone, in 6 anni ha registrato un calo del fatturato di oltre un quarto (26%). “Sempre negativi nel periodo di riferimento sia il margine operativo lordo che i conti del giornale che non generano mai utili, anzi, in sei anni”. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘L’ Eco di Bergamo’ è di proprietà del gruppo Sesaab (acronimo di Società Editrice Santi Alessandro, Ambrogio, Bassiano), casa editrice fondata nel giugno 1988 della diocesi di Bergamo, che pubblica anche La ‘Provincia di Como’, ‘La Provincia di Lecco’, ‘La Provincia di Sondrio’, ed il bisettimanale ‘Il Cittadino di Monza e Brianza’, oltre a gestire una serie di attività televisive, radiofoniche e nel campo della pubblicità e della comunicazione. Per ‘L’ Eco di Bergamo’ – che nota DataMediHub ha vendite superiori a molti quotidiani nazionali ed dieci volte maggiori rispetto all’ edizione locale del Corriere della Sera – il fatturato ha registrato un calo del 23.9% tra il 2011 ed il 2016 ma, dopo 2013 e 2014 in perdita, sia il 2015 che l’ ultimo esercizio hanno chiuso in positivo producendo utili. Un risultato ottenuto, anche, grazie ad un taglio degli organici del 30%. Secondo il rapporto, il giornale è “un piccolo gioiellino” nel panorama editoriale italiano, con un fortissimo presidio del terrritorio e della comunità di riferimento. (Rielaborazione DataMediaHub) Situazione diversa per ‘la Provincia di Como’ , con le edizioni di Lecco e Sondrio. Il fatturato è calato del 32.7% in sei anni e, soprattutto, non vengono mai prodotti utili nel periodo preso in considerazione tranne che nel 2012. In più, in 6 anni si sono accumulati circa tre milioni di euro di perdite. Tra le cause il peso del costo del lavoro con un numero di dipendenti che, seppur in riduzione del 21.2% tra il 2011 ed il 2016, resta molto elevato, ma sicuramente “un minor radicamento sul territorio”. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘Libertà’ è il quotidiano di riferimento della provincia di Piacenza. Nonostante un calo del 23.9% dei ricavi negli ultimi sei anni, il giornale piacentino continua a macinare utili, con 7.4 milioni di euro di profitti nel periodo preso in esame. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘La Provincia di Cremona’ , quotidiano di riferimento di Crema e Cremona, nonostante un calo dei ricavi di un terzo negli ultimi due esercizi, è riuscito a recuperare redditività e, dopo quattro bilanci in negativo, a produrre utili nel 2015 e nel 2016 portando l’ utile dell’ ultimo anno al 10% dei ricavi. “Esercizio virtuoso”, raggiunto con una pesante sforbiciata agli organici, che calano di circa il 30% tra il 2011 ed il 2016. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘La Prealpina’ è il quotidiano storico di Varese e provincia. Il giornale non naviga in buone acque. A fronte di ricavi sostanzialmente stabili attorno ai 7 milioni di euro, altrettanto stabili nel tempo sono le perdite che, seppure complessivamente di lieve entità, continuano ad accumularsi nel tempo. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘Il Corriere Adriatico’ , è il giornale delle Marche sin dal 1860. La testata copre le diverse province della regione, ed è nel portfolio prodotti del Gruppo Caltagirone. Se il fatturato si riduce nel tempo relativamente di poco, passando da 8.3 milioni del 2011 ai 7 milioni di euro del 2016, margine operativo e utile sono invece costantemente in rosso, costantemente. Il giornale marchigiano ha accumulato perdite per circa 7.5 milioni di euro negli ultimi sei anni, nonostante il personale dipendente sia stato ridotto quasi del 50%, passando da 64 a 37 persone. (Rielaborazione DataMediaHub) Storia più travagliata per ‘Il Corriere dell’ Umbria’ , giornale che, oltre all’ omonima regione copre anche parte di Toscana e Lazio con diverse edizioni, che per un breve periodo ha visto le sue pubblicazioni sospese. Pur essendo presi in esame dal report solo i bilanci dal 2013, il quadro di netta difficoltà è comunque evidente. Con un fatturato che si aggira attorno ai 7 milioni di euro, il giornale negli ultimi 4 esercizi ha accumulato perdite per oltre 8 milioni. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘Brescia Oggi’ , del gruppo Athesis, è il rivale del ‘Giornale di Brescia’. Se in sei anni la flessione dei ricavi è stata solamente di circa mezzo milione di euro, le perdite sono invece permanenti. Sono 3.9 milioni di euro quelle accumulate tra il 2011 ed il 2016 nonostante, al solito, la riduzione del numero di dipendenti. (Rielaborazione DataMediaHub) ‘La Gazzetta di Parma’ , nata come periodico, contende alla ‘Gazzetta di Mantova’ l’ onore di essere il più antico giornale d’ Italia (il primo numero conosciuto è datato 19 aprile 1735). L’ attuale società editrice, nata nel 1947, è controllata come azionista di maggioranza dall’ Unione parmense degli industriali dai primi anni Sessanta. Il fatturato ha registrato una flessione del 21.5%, ma dopo tre anni di negatività, la testata pare essere in ripresa ed è tornata all’ utile (Rielaborazione DataMediaHub)
IL CONCORSO Il mare nei servizi giornalistici: un premio del Circolo Posillipo
Il Roma
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Premio di giornalismo organizzato dal Circolo Posillipo e dedicato al mare. Tre le sezioni per cui è possibile concorrere: quotidiani e periodici, radio e televisioni, on-line. Possono partecipare gli autori di scritti in forma di articoli, interviste e brevi saggi, o servizi radiotelevisivi mandati in onda sulle principali reti regionali e nazionali. Coloro che intendono partecipare devono far pervenire, entro il 31 marzo, i propri lavori in cinque copie, per i servizi relativi a quotidiani e periodici, in unica copia per i servizi radio -televisivi e online. Ai vincitori sarà consegnato un trofeo.
I sindacati pronti a portare Sky Italia in tribunale
Il Giornale
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Oltre 100 licenziati, tra tecnici e amministrativi: Sky Italia va avanti per la propria strada, nonostante la sentenza del giudice che ha condannato la controllata del gruppo Murdoch per comportamento antisindacale. Nelle intenzioni dell’ azienda, infatti, l’ operazione di trasferimento da Roma a Milano e di trasformazione tecnologica deve andare avanti senza ripensamenti. Ma i sindacati non ci stanno e annunciano un’ azione legale contro Sky per modalità illegittime nei licenziamenti, mentre la sindaca di Roma Virginia Raggi, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio e al ministro Calenda per rivolgere un «appello al Governo affinchè svolga un ruolo di mediazione». «Il prezzo più caro del ridimensionamento della sede romana di Sky sarà pagato dai dipendenti – afferma Stefano Maullu di Forza Italia – . Si tratta di una decisione davvero curiosa: anziché giungere a un accordo con i propri collaboratori, Sky ha permesso che le conseguenze del riassetto strategico si abbattessero sui dipendenti, sulla loro stabilità lavorativa». In una nota congiunta le segreterie nazionali Slc Cgil, Uilcom Uil e Ugl Telecomunicazioni annunciano intanto una mobilitazione che «porterà ad un sciopero nazionale» e denunciano che a essere stati messi alla porta sono anche quei lavoratori che avevano dato disponibilità al trasferimento a Milano.
«Buon Senso», i media nelle scuole
La Stampa
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Fornire a studentesse e studenti gli strumenti per imparare a decodificare il flusso dell’ informazione. Questo l’ obiettivo del progetto «Buon Senso», promosso dal ministero dell’ Istruzione e dagli Editori Laterza e rivolto alle alunne e agli alunni di 9 istituti scolastici di tre città – Bari, Roma, Torino. L’ iniziativa è stata presentata al Miur dalla ministra Valeria Fedeli. Anche la Rai è partner dell’ iniziativa.
Google News, al via la sperimentazione per i contenuti a pagamento
Google ha infatti una svolta nel processo di indicizzazione delle notizie rimuovendo l’obbligo di leggibilità in chiaro di almeno un articolo al giorno. Si tratta della misura “First Click Free” (seguita da Secondo Click Fatal) che penalizzava tutte le testate che ottengono parti rilevanti del loro fatturato dagli abbonamenti online. Secondo la stessa Google, il venir meno di questo requisito dovrebbe sortire effetti immediati sulle società editrici in affanno, con benefici positivi sulla professione giornalistica. “Ci rendiamo conto che non esiste un modello buono per tutti”, ha spiegato Richard Gingras, vicepresidente della società di Mountain View e responsabile dell’area News. Il gruppo statunitense ha però mantenuto la raccomandazione di consentire l’accessibilità su 10 articoli al mese anche se non sarà un parametro tassativo. Già da ieri le case editrici hanno sperimentato degli accorgimenti per approntare dei “paywall” e richiedere il pagamento fin dal primo articolo letto, senza che questo causi penalizzazioni sulle ricerche tramite Google.
Social e contenuti violenti. In Germania multe fino a 50 milioni di euro
A partire da domenica 1° ottobre, in Germania, i social con più di due milioni di iscritti hanno l’obbligo di cancellare quelli diffamatori e inneggianti odio e violenza entro 24 ore. Con sanzioni che vanno dai 5 ai 50 milioni di euro. La ‘Legge Facebook dà ai colossi della rete 3 mesi di tempo per adeguarsi, ed entrerà in vigore da gennaio 2018. A vigilare sull’applicazione della norma, sarà uno staff di 50 dipendenti del ministero della Giustizia, al quale spetta anche il compito di stabilire l’entità delle multe. Ogni social interessato dalla norma ha dovuto inoltre nominare un responsabile per le denunce nel Paese, e impegnarsi a stilare un report semestrale nel caso in cui in quest’arco di tempo abbiano ricevuto più di 100 segnalazione per contenuti d’odio.
Rassegna Stampa del 05/10/2017
Indice Articoli
Verdini deve pagare 5 milioni di euro evasi come editore
Così finì la Rai (e pure l’ intellighenzia)
Corsa a quattro per la Serie A
LaPresse diversifica i business
Chessidice in viale dell’ Editoria
Tg1, ok gli ascolti ma da ringiovanire
Il M5S vuole imbavagliare Vespa
Canone Rai in bolletta ma l’ evasione resiste il 10% non paga ancora
Ieri la tv, oggi il web: così si informano gli italiani
Nel Far West della rete finalmente regole anche per i big
Verdini deve pagare 5 milioni di euro evasi come editore
Il Fatto Quotidiano
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La commissione regionale tributaria della Toscana ha stabilito che Denis Verdini dovrà pagare 5 milioni di tasse evase tra Ires, Iva, Irap e Irpef in relazione alle sue attività editoriali. A riferirlo, l’ edizione fiorentina di Repubblica. L’ anno scorso, la commissione tributaria aveva accolto il ricorso del senatore contro l’ Agenzia delle Entrate in base al favor rei, la norma più favorevole. Fino al 2015, in caso di reato le norme assicuravano il raddoppio dei termini (da 5 a 10 anni) per la notifica degli accertamenti fiscali. Le indagini sulle attività di Verdini si sono concluse nel 2014. Il 16 luglio 2014 l’ Agenzia delle Entrate gli ha notificato gli avvisi di accertamento per il 2005, 2006 e 2007. La legge di stabilità 2015 aveva poi eliminato il raddoppio dei termini con una clausola di salvataggio per gli avvisi entro il 2 settembre mentre un emendamento di Scelta Civica alla legge di stabilità 2016 aveva eliminato la clausola. Verdini aveva vinto il ricorso. La decisione è stata ribaltata sulla base di una sentenza della Cassazione, che ha ritenuto valida la clausola di salvataggio.
Così finì la Rai (e pure l’ intellighenzia)
Il Fatto Quotidiano
Daniela Ranieri
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Un destino comune, come una colla, o piuttosto come la corda che col masso si porta dietro il suicida, tiene insieme la diciamo intellighenzia di sinistra di oggi e la classe dirigente “democratica” a cui afferisce e a cui somiglia per attitudine morale, slancio progressista, analisi del contesto e sensibilità allo Spirito del Tempo. Se anche volessimo fare, come ama fare il segretario del Pd, della spacconeria basata sul mero share, ci toccherebbe registrare come tutta la sinistra aristocratica televisiva che un tempo brillava dalle pagine di Repubblica per superiorità antropologica sulla masnada berlusconiana e poi, all’ avvento di Renzi, lo ha apertamente sponsorizzato oppure (il che è peggio) si è adagiata in un placido conformismo, oggi va a picco esattamente come il Pd distrutto da Renzi, mentre il kitsch originale e supremo, il Berlusca appunto, riaffiora a galla con tutto il suo circo di canare, paraculi patentati e malamente. Così avremmo buon gioco, se fossimo come il cyberbullo Matteo che twittò ilare “I talk show fanno meno ascolti di Rambo” (con tutti gli scagnozzi a fargli eco), a sottolineare che il milionario Fazio promosso alla seconda serata di Rai1 perde 300 mila spettatori e che l’ amico storyteller Baricco fa il 2,15% su quella Rai3 che doveva essere rivoluzionata da Daria Bignardi e invece non si è riavuta nemmeno dopo che quest’ ultima, preso atto del bel lavoro compiuto, s’ è fatta da parte. Ma siamo consapevoli della ghigliottina logica cui costringerebbe un simile basso mezzuccio. Prendiamo Baricco. Si sa come vanno a finire le cose, quando c’ è di mezzo lui (ce l’ ha insegnato il maestro Edmondo Berselli): noi diciamo che Baricco fa il 2,15% (più o meno quanto fa il jingle della rete) portando in Tv Furore di Steinbeck, ed ecco che gli diamo un’ implicita autorizzazione a pensarsi quale profondo intellettuale-divulgatore che fa cose così sofisticate che un popolo col 40% di analfabeti funzionali non può che preferirgli il Grande Fratello Vip (ma anche la fiction su Bocelli, assai renziano). Ma il sillogismo (il popolo è scemo; Baricco è un genio; il popolo non guarda Baricco), può andare bene per le menti semplici come quella di Renzi, per il quale peraltro, quando gli fa comodo, il numero è sinonimo di Verità; noi piuttosto dobbiamo chiuderlo con un’ altra evidenza: Baricco (il baricchismo) non guarda il popolo. Allora: c’ era Baricco, carismatico come l’ abbiamo fatto credersi per anni, coi suoi silenzi, le sue finte reticenze di divo e il suo turpiloquio chic, in piedi come un cantante, il libro in mano, la voce flautata e, sotto, una musica spaccacoglioni suonata, si fa per dire, dal cantante dei Baustelle, davanti a un pubblico, come sempre con Baricco, di donne incantate e uomini con acconciature rétro, tutti rigorosamente, intensamente, scomodamente in piedi (la cultura è scomoda o non è). Che poi andrebbe anche bene, in fondo peggio per loro (oltre che per noi che paghiamo il canone con la bolletta della luce), se questi non fossero quelli che avevano capito tutto (“Renzi? Deve andare avanti con la stessa ferocia e determinazione con cui altre generazioni hanno fatto la guerra e costruito l’ Europa”, disse Baricco, e Renzi nel suo diciamo libro: “Baricco? Una delle persone più intelligenti che conosca”), e invece portano il canale un tempo della cultura di sinistra al suo minimo storico e si trascinano dietro pure il programma molto intenso di Concita De Gregorio, altra stella del firmamento di ottimati di Repubblica (oggi più pisapian-renziano che renziano tout court), che parte con un competitivo 1,22%, ¼ delle ventennali repliche della Signora in giallo su Rete 4. A pensar male si fa peccato e noi da peccatori associamo mentalmente l’ endorsement al Sì e le lisciate alla furbata costituzionale di Renzi col premio della prima serata Rai, anche se per fare due più due aspettiamo il mega-show di Benigni, al quale il direttore generale Orfeo (imposto da Renzi) sta facendo una corte spietata che immaginiamo già come si concluderà. Questo succede quando si epurano tutte le coscienze critiche dalla Rai (Gabanelli, Floris, Giannini) e a loro si preferiscono i cialtroni, i guru, gli yes men, le mezzecalzette, i servi. Purtroppo venti milioni di connazionali hanno deciso che Renzi, quello di “fuori i partiti dalla Rai”, non dovesse andare #avanti ma a casa, sennò chissà come sarebbe ridotta, oggi, questa azienda piena di pubblicità che licenzia lavoratori, sfrutta precari, esternalizza servizi. Forse avremo tutti quelli che hanno votato Sì in prima serata a turno sulle tre reti, e Oscar Farinetti, socio della scuola Holden di Baricco, nella fascia che fu di Biagi e prima del maestro Manzi, ad insegnare “Le sette mosse per il coraggio” (corso vero, c’ è gente che paga per seguirlo).
Corsa a quattro per la Serie A
Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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In corsa per i diritti tv internazionali della Serie A sono rimasti in quattro ed entro la fine della prossima settimana, la Lega e l’ advisor Infront definiranno le trattative in forma privata in corso di svolgimento a Londra. C’ è grande ottimismo sulla possibilità di incassare una cifra superiore ai 300 milioni. È questa la quota indicata come obiettivo nelle scorse settimane e che segnerebbe un incremento consistente rispetto ai 186 milioni stagionali ottenuti di media nel triennio 2015/18. All’ asta per i diritti audiovisivi esteri del campionato, della Coppa Italia e della Supercoppa relativi alle stagioni sportive 2018-2021 hanno partecipato 30 diversi operatori di tutto il mondo con 95 offerte per le diverse aree geografiche. Fino al bando 2015/18, in effetti, i diritti per l’ estero erano stati ceduti, sempre attraverso il meccanismo di un’ asta pubblica, a un unico intermediario abilitato poi a rivenderli nei vari Paesi. A vincere gli ultimi bandi è stato Mp&Silva. A contendersi il pacchetto internazionale della Serie A 2018/21 ora sono rimasti in quattro. I nomi sono ancora top secret, ma le intenzioni della Lega e di Infront restano quelle di procedere a cessioni differenziate. Si vorrebbe cioè vendere direttamente in alcune realtà territoriali di grande impatto mediatico, come potrebbero rilevarsi Cina e Nordamerica, e affidarsi a intermediari specializzati in grado di penetrare negli altri mercati tv. Decisa la partita per l’ estero, la sfida sui diritti tv del triennio 2018/21 si sposterà poi in Italia. Un esito positivo della vendita internazionale avrebbe senza dubbio la conseguenza di semplificare l’ iter interno. I rappresentanti della Lega e Luigi De Siervo, alla guida di Infront Italy, dovranno infatti riformulare il bando nazionale, dopo il fallimento dell’ asta dello scorso giugno, in un clima che non si è certo rasserenato. Lo dimostrano plasticamente le lettere di protesta spedite la scorsa settimana alla Lega da Mediaset Premium e Sky contro la programmazione dei match che penalizzerebbe ascolti e investimenti, con le gare di Inter e Milan spostate negli orari pomeridiani per favorire le tv cinesi e asiatiche e con la concorrenza low cost delle trasmissioni web da parte di Tim, Eleven Sport e dello stesso canale della Lega. Proprio quest’ ultima, d’ altro canto, sarà chiamata nei prossimi giorni a darsi una nuova governance più spiccatamente manageriale per uscire dal commissariamento e soprattutto per poter amministrare con pieni poteri il dossier diritti tv. Un’ altra questione di grande importanza per i destini industriali del calcio italiano è quella dei diritti tv per i Mondiali 2018. Le offerte presentate da tutti gli operatori, a quanto risulta, al momento sono state fatte in maniera duplice, considerando la qualificazione o anche la mancata qualificazione della Nazionale italiana attesa, salvo clamorose sorprese, dai playoff di novembre. In questo caso a svolgere il ruolo di advisor per la Fifa è Mp & Silva. A concorrere, in questa occasione, sono sia Rai sia Mediaset. Gli ultimi due Mondiali sono stati aggiudicati per circa 180 milioni ciascuno. Mediaset ci punta, soprattutto per sollevare con il prodotto premium per eccellenza, il calcio, le audience della sua tv free. Non saranno i Mondiali invece a decidere i destini della Premium, se con o senza calcio. Gli occhi, in questo caso, sono puntati sulla Serie A. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
LaPresse diversifica i business
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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L’ agenzia multimediale LaPresse di Marco Durante prosegue nella sua operazione di diversificazione dei business. E consolida l’ attività tv con un accordo, che verrà reso pubblico a breve, per la produzione e realizzazione di Milan Tv, il canale televisivo ufficiale del Milan, trasmesso sulla piattaforma Sky. LaPresse, peraltro, realizza e produce pure Toro Channel, il canale ufficiale del Torino (anch’ esso su Sky), e, nel mondo del calcio, ha accordi pluriennali per la comunicazione integrata sia del Milan, sia della Roma. La parte video è diventata il core business di LaPresse, nata come agenzia fotografica (archivio con oltre 30 milioni di immagini dal 1938 a oggi), e che via via si sta trasformando in un polo multimediale, con videoclip per Tgcom24, il Corriere della Sera, Gazzetta dello sport e altri importanti quotidiani, e la realizzazione del tg dei canali Discovery Italia. E proprio a rafforzare questa area arriva dal 16 ottobre Nicola Assetta, con la carica di vicedirettore, alle dirette dipendenze del direttore Vittorio Oreggia. Assetta ha lavorato a Euronews, Play Radio, è stato direttore della Redazione contenuti digitali di Rcs e, successivamente, consulente media di diverse società. Diventa effettivamente complicato classificare l’ attività di LaPresse: al tradizionale lavoro di agenzia stampa, foto e video, infatti, Durante ha voluto affiancare la produzione televisiva (e, oltre ai canali sportivi, si sta pensando anche a format televisivi chiavi in mano), l’ attività di management legata ad alcuni artisti dello spettacolo (per esempio Barbara D’ Urso o Malika Ayane), e il lavoro di comunicazione e ufficio stampa. In questo ambito, per esempio, LaPresse cura la comunicazione estera del gruppo Fca nei paesi dell’ area Emea, e ha aperto uffici a Madrid, Londra, Amburgo, Parigi, con Varsavia e Mosca di prossima inaugurazione. Si occupa pure dell’ ufficio stampa di Cairo periodici e della comunicazione di prodotto per Discovery Italia. «Basti pensare che nel solo 2017 abbiamo fatto oltre 30 assunzioni», racconta Oreggia, «e comprato un intero palazzo di quattro piani a Milano in cui abbiamo spostato la nostra sede, prima a Torino». Al momento a LaPresse lavorano circa 130 persone (i dipendenti erano appena 47 a inizio 2015), per un esercizio 2016 che si è chiuso con ricavi netti per 11,4 milioni di euro (10,1 mln nel 2015), ebitda a 2,3 mln (2,4 mln nel 2015), debiti verso le banche per 5,6 mln (4,9 mln) e utili netti pari a 150 mila euro (60 mila nel 2015). Interessante che, a differenza di altre agenzie di stampa, la gran parte dei ricavi di LaPresse arrivi da contratti con privati (70%), il 12% da ricavi per servizi fotografici, il 7% da vendite on demand, e solo l’ 11% (1,3 mln) dalla convenzione pubblica con la presidenza del consiglio (voce che per altre agenzie stampa rappresenta invece oltre il 40% dei ricavi). Oreggia, 54 anni di cui 32 passati al quotidiano Tuttosport dove ha ricoperto ogni incarico, da redattore a direttore, è entrato in LaPresse nel febbraio 2016, e un anno dopo ne è diventato direttore: «È un esperienza che mi ha fatto rinascere, molto diversa dalla precedente, un bellissimo mondo nuovo. Noi siamo una agenzia multimediale dove i video sono il core business. Pur facendo anche attività di ufficio stampa, io sono molto attento alla deontologia: tutto resta separato, senza situazioni pericolose o promiscue. Non siamo un canale privilegiato per le notizie di Fca, e chi lavora all’ ufficio stampa fa solo quello. In LaPresse», aggiunge Oreggia, che da ragazzo è stato compagno di scuola di Durante, «ci sono una cinquantina di giornalisti. Seguiamo gli eventi più importanti in Italia, con una rete di oltre 500 fotografi che produce oltre 2 mila foto al giorno, e abbiamo anche una intesa con Mediaset per curare le loro trasmissioni di punta, per le quali realizziamo videoclip poi distribuiti su TgCom24. Produciamo, inoltre, pagine chiuse già pronte per i quotidiani del gruppo Athesis». © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Fox, lancio globale in 183 paesi per la nuova serie sugli X-Men. Fox Networks Group ha annunciato il lancio su scala globale di The Gifted sui canali Fox di 183 paesi, subito dopo la partenza della serie negli Usa. In Italia sarà in onda dal 18 ottobre su Fox (Sky, 112) alle 21. La nuova serie ambientata nell’ universo degli X-Men è prodotta da 20th Century Fox Television assieme a Marvel Television. Internet Festival 2017 a Pisa con oltre 200 eventi. Sono le fake news (come nascono, come si riconoscono e come si «smontano») uno dei fili conduttori di Internet Festival, che si svolge da oggi a domenica a Pisa, con oltre 200 eventi a ingresso gratuito e decine di ospiti internazionali. È #sentiment la parola chiave di questa settima edizione, che si apre con Juan Fontcuberta, uno dei fotografi più famosi al mondo, intervistato dal giornalista Michele Smargiassi proprio in tema di «Post-verità: immagini di troppo e immagini mancanti». A chiudere #IF2017 diretto da Claudio Giua sarà una vera fake news: grazie all’ installazione progettata dall’ architetto Luigi Formicola di Fondazione Sistema Toscana, domenica 8 ottobre dalle 18, sul Ponte di Mezzo si assisterà a una nevicata a beneficio di fake-selfie e video da condividere sul web. Cinema: dai Beatles a Kennedy, documentari in rassegna a Firenze. Un focus sull’ evoluzione del potere nelle sue varie forme, i tanti volti del Giappone contemporaneo, le guerre in Medio oriente raccontate in prima persona, i 100 anni di John Fitzgerald Kennedy. E poi la forza e la vita del ballerino più famoso al mondo, Sergei Polunin, la nascita della casa discografica Apple Corps dei Beatles, la celebre band heavy metal giapponese X Japan e il suo frontman Yoshiki, la lenta ripresa di Kobane attraverso la voce di una radio. Sono questi i temi negli 82 documentari protagonisti della 58esima edizione del Festival dei Popoli, rassegna internazionale del film documentario, che si terrà dal 10 al 17 ottobre a Firenze (cinema La Compagnia, Spazio Alfieri e Istituto Francese). Facebook: cercò di evitare la trasparenza sulle pubblicità politiche. Il social media ha fatto di tutto in passato per evitare di essere totalmente trasparente sulle pubblicità politiche. Lo ha scritto Bloomberg secondo cui, per le stesse ragioni avanzate da Google, dal 2011 Facebook ha chiesto alla Federal election commission, l’ agenzia Usa preposta a regolare i finanziamenti alle campagne elettorali, di essere esentato dalla normativa che regola la comunicazione di dati sulle pubblicità politiche. La richiesta di Facebook non fu soddisfatta e quindi un suo inserzionista era comunque soggetto alla normativa adottata nel 2006. Eppure, scrive Bloomberg, l’ azienda permise a quelle pubblicità di circolare anche senza i richiesti disclaimer lasciando agli inserzionisti il compito di rispettare le regole. Una trasparenza massima avrebbe potuto aiutare a evitare quella che l’ intelligence americana dà per certa: l’ interferenza della Russia nelle elezioni presidenziali americane del 2016. La regola in questione, che negli Usa si applica ai media tradizionali come radio e tv, non vale per l’ online: cosa questa, scrive Bloomberg, che ha permesso a Facebook di guadagnare centinaia di milioni di dollari vendendo inserzioni politiche negli ultimi anni. Da quelle in salsa russa, viste da 10 milioni di persone, a inizio settembre disse di avere ricavato 100 mila dollari. DeA Planeta pubblicherà il romanzo di Alessandro Milan. DeA Planeta ha acquisito i diritti del primo romanzo di Alessandro Milan, giornalista di Radio 24, in accordo con Donzelli Fietta Agency. Milan racconterà la storia d’ amore e di resilienza con Francesca Del Rosso, la giornalista conosciuta al grande pubblico con il soprannome di Wondy scomparsa nel dicembre 2016. La loro vicenda ha avuto enorme visibilità anche grazie alla lettera di addio che Milan ha scritto a Francesca su Facebook e che ha avuto oltre 7 milioni di visualizzazioni. Parte da Genova il nuovo tour di Vanity Fair e Fay. Vanity Fair presenta un tour in collaborazione con Fay per celebrare il brand e la sua storia. La prima tappa a Genova oggi. Online il nuovo sito di Domus. Domusweb, il sito della rivista Domus, si trasforma ma mantiene viva la sua identità segnando un’ importante innovazione per quanto concerne il concept, l’ art direction e il trattamento delle notizie. A firmare la nuova veste grafica è lo scozzese Mark Porter, uno dei punti di riferimento globali del news design. Focus Junior, a Milano un evento dedicato alle famiglie e ai più piccoli. Nostrofiglio, Focus Junior e Focus Pico, i brand del Gruppo Mondadori rivolti a bambini e ragazzi, organizzano la prima edizione de «La città dei mestieri. Mettiamo in gioco il talento dei bambini», un evento dedicato alle famiglie con figli da 2 a 13 anni e ai loro insegnanti organizzato in partnership con l’ istituzione educativa Happy Child. La manifestazione è in programma il 7 e 8 ottobre presso La Triennale di Milano.
Tg1, ok gli ascolti ma da ringiovanire
Italia Oggi
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Il Tg1 ha «una platea più anziana di altri competitor ma stiamo lavorando per ringiovanirla». Lo ha detto ieri il direttore del telegiornale di Raiuno, Andrea Montanari, durante un’ audizione nella commissione di Vigilanza Rai. Montanari ha sottolineato come il suo tg sia il più seguito in Italia: «A settembre il tg delle 20 ha segnato un distacco verso i competitor di oltre sei punti. Ad agosto abbiamo fatto il 25-26% di share con picchi del 27 e 28% che pensavamo fossero irraggiungibili. Dati importanti arrivano dai contatti, dalla rilevazione che misura interesse: nella settimana media sono 25 milioni gli spettatori che seguono un’ edizione del tg, 4 milioni in più del principale competitor». Per quanto riguarda i contenuti del tg, è «finita senza rimpianto la stagione dei pastoni e dei panini» e l’ obiettivo è di rendere comprensibile ai telespettatori la politica italiana: «Abbiamo aumentato il numero di schede con grafica, le dirette tematiche dal luogo in cui la notizia prende forma, allungheremo quando necessario anche la durata dei pezzi». Il Tg1, inoltre, ha avviato la collaborazione con gli spazi informativi di Rai1 come Uno mattina, viatico per le collaborazioni come con la Vita in diretta. «Il nostro obiettivo», ha aggiunto Montanari, «è che negli spazi informativi della rete, il Tg1 sia presente quando si tratta di puntare su qualità e professionalità». Sul tema del pluralismo, Montanari ha ricordato che «nell’ ultima settimana di settembre M5S ha avuto come tempo dedicato il 29% nel Tg1 contro il 17% del Pd. A settembre (dato settimanale 16-22) M5S ha avuto appuntamenti di grande importanza. «Non vedo un grande problema, potremmo certo fare ancora meglio. Fuori dalla par condicio c’ è comunque l’ applicazione dei principi giornalistici. A guardare i numeri, io non vedo un grande problema quando si parte dal 29%».
Il M5S vuole imbavagliare Vespa
Libero
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I grillini, attaccando frontalmente Bruno Vespa, hanno dato ufficialmente il via alla campagna elettorale. Roberto Fico, presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, tornato in pista dopo la bagarre interna al Movimento ha annunciato di voler mettere la sordina a «Porta a porta». «La cosa che proporrò in Commissione è che chi ha avuto una deroga al tetto dei compensi, perché ha avuto un contratto artistico, non possa essere ricondotto sotto una testata, a maggior ragione durante la par condicio». Il direttore del Tg1, Andrea Montanari, in audizione a San Macuto, aveva parlato della possibilità di ricondurre la trasmissione sotto la testata del telegiornale. L’ innesco perfetto per la polemica grillina, sempre più determinati nel voler controllare l’ informazione. Secca la replica del conduttore della cosiddetta «Terza Camera dello Stato», come la definì il presidente Giulio Andreotti. «Non so se la proposta del presidente Fico sarà approvata o no», sostiene Vespa, «ma visto che ho lo stesso contratto dal 2001, temo che debbano essere annullate le elezioni degli ultimi 16 anni perché inquinate dalla presenza artistica di «Porta a porta» in tutte le campagne elettorali». Difficile immagine una tornata di voto senza «Porta a porta», considerando momenti topici come il contratto con gli italiani di Silvio Berlusconi nel 2001 e il duello tra il Cavaliere e Romano Prodi nel 2006, fino all’ ospitata di Beppe Grillo per le europee di tre anni fa.
Raddoppia il numero di italiani che usa la mobile tv. Ma crolla la spesa per libri e giornali. La fotografia del Censis: il 75% dei cittadini è connesso e quasi il 70% ha uno smartphone
Prima Comunicazione
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Smartphone in crescita, radio e televisione stabili, libri e giornali di carta in flessione. Questo il quadro del rapporto degli italiani con i media, nella fotografia scattata da Censis e Ucsi nel 14esimo Rapporto sulla comunicazione – dal titolo ‘I media e il nuovo immaginario collettivo’ – presentato oggi a Roma. Dalla ricerca, promossa da Facebook, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre, è emerso che la crescita degli utenti di internet nel paese ha rallentato il suo ritmo, ma prosegue . Nel 2017 gli italiani sul web, grazie a smartphone e social network, sono il 75,2% della popolazione, l’ 1,5% in piu’ rispetto all’ anno scorso (e il 29,9% in piu’ rispetto al 2007). Il cellulare è usato dall’ 86,9% degli italiani, lo smartphone, in particolare, dal 69,6% del totale (la quota era solo del 15% nel 2009). Gli utenti di WhatsApp (il 65,7%) coincidono praticamente con le persone che usano lo smartphone, mentre circa la metà usa i due social più popolari, Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%). Notevole anche il passo in avanti di Instagram, che in due anni ha raddoppiato la sua utenza, passando dal 9,8% del 2015 al 21% di oggi, mentre Twitter resta attestato al 13,6%. Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis Mentre tra il 2007 e il 2016 il valore dei consumi complessivi degli italiani ha subito una significativa flessione (-3,9% in termini reali), la spesa delle famiglie per gli smartphone ha segnato anno dopo anno un vero e proprio boom: +190% nel periodo 2007-2016, per un valore di poco meno di 6 miliardi di euro nell’ ultimo anno. Anche gli acquisti di computer hanno registrato un rialzo (+45,8% nel periodo) mentre i servizi di telefonia si sono assestati verso il basso per effetto di un riequilibrio tariffario (-14,3%, per un valore pero’ di oltre 16,8 miliardi di euro nell’ ultimo anno). La spesa per libri e giornali ha subito invece un crollo verticale (-37,4%). Complessivamente, nel 2016 la spesa per smartphone, servizi di telefonia e traffico dati ha superato i 22,8 miliardi di euro. Passando al fronte televisivo, la tv tradizionale conferma di avere un seguito elevatissimo , pur registrando un calo nel numero degli spettatori (il 92,2% di utenza complessiva, il 3,3% in meno rispetto al 2016), mentre quella satellitare raggiunge quasi la metà degli italiani (il 43,5%). Cresce la tv via internet, con web tv e smart tv attestate sul 26,8% di utenza (+2,4% in un anno). Decolla la mobile tv , che ha raddoppiato in un anno i suoi utilizzatori, passati dall’ 11,2% al 22,1%. La radio tradizionale perde 4 punti percentuali di utenza, scendendo al 59,1% ma la flessione, stando a quanto evidenziato dai dati, è compensata dall’ ascolto via internet attraverso il pc (utenza al 18,6%, +4,1% in un anno). L’ autoradio rimane lo strumento preferito dagli italiani per ascoltare le trasmissioni che vanno in onda in diretta (utenza al 70,2%). Complessivamente, la radio si conferma ancora ai vertici delle preferenze degli italiani, con una utenza complessiva dell’ 82,6% considerando tutti i vettori dei programmi. La grande novità dell’ ultimo anno è rappresentata dalle piattaforme online che diffondono servizi digitali video e audio, come ad esempio Netflix o Spotify. Oggi l’ 11,1% degli italiani guarda programmi dalle piattaforme video e il 10,4% ascolta musica da quelle audio. Il dato è più elevato tra le persone più istruite, diplomate e laureate (rispettivamente, il 14,1% e il 13,3%). E praticamente raddoppia tra i più giovani: il 20,6% degli under 30 si connette ai servizi video e il 22,6% a quelli audio. Oggi solo il 35,8% degli italiani legge i giornali. E negli ultimi dieci anni, mentre i quotidiani a stampa hanno perso il 25,6% di utenza, i quotidiani online ne hanno acqusito solo il 4,1% (oggi l’ utenza complessiva e’ al 25,2%). Nel campo dei periodici nell’ ultimo anno si e’ registrata una ripresa sia dei settimanali (il 31% di utenza, +1,8%), sia dei mensili (il 26,8% di utenza, +2,1%) ma solo il 42,9% degli italiani legge libri a stampa e il 9,6% e-book. Complessivamente, i lettori di libri si attestano al 45,7% della popolazione, confermando la ancora scarsa capacita’ dei libri elettronici di attirare nuovi lettori. Passando al rapporto della popolazione con la rete , la quota di utenti tra i giovani (14-29 anni) arriva al 90,5%, mentre è ferma al 38,3% tra gli ultrasessantacinquenni: ‘l’ 89,3% dei primi usa telefoni smartphone, mentre lo fa solo il 27,6% dei secondi. Il 79,9% degli under 30 e’ iscritto a Facebook, contro appena il 19,2% degli over 65. Il 75,9% dei giovani usa YouTube, come fa solo il 16,5% degli ultrasessantacinquenni. Quasi la metà dei giovani (il 47,7%) consulta i siti web di informazione, contro appena il 17,6% degli anziani: il 40,9% dei primi guarda la web tv, contro appena il 7,4% dei secondi. Il 39,9% dei giovani ascolta la radio attraverso lo smartphone, mentre lo fa solo il 3,5% dei longevi. Su Twitter c’ e’ piu’ di un quarto dei giovani (il 26,5%) e un marginale 3,2% degli over 65. Situazione opposta per i quotidiani, dove l’ utenza giovanile (23,6%) è ampiamente inferiore rispetto a quella degli ultrasessantacinquenni (50,8%). Tuttavia, i comportamenti mediatici di giovani e adulti sono sempre più omogenei , a dimostrazione di come la rapidità di accesso, la flessibilità nell’ impiego dei mezzi e la personalizzazione dei palinsesti siano fattori che – evidenzia la ricerca – iniziano a essere avvertiti come essenziali non solo dagli adolescenti Nel 2017 viene praticamente colmato il gap nell’ accesso a internet , con una utenza dell’ 87,8% tra i 30-44enni e del 90,5% dei 14-29enni. Lo stesso avviene per i social network (l’ 80,4% e l’ 86,9% di utenza rispettivamente), gli smartphone (l’ 84,7% e l’ 89,3%), la tv via internet (il 39,5% e il 40,9%) e gli ebook (il 15,4% e il 15,2%). Tra i media tradizionali si registra l’ allontanamento degli adulti dai quotidiani a stampa, letti nel 2017 dal 27,5% rispetto al 46,6% del 2012. Anche in questo caso gli adulti si avvicinano ai giovani, tra i quali nel 2017 i lettori di quotidiani scendono al 23,6% rispetto al 33,6% del 2012.
Canone Rai in bolletta ma l’ evasione resiste il 10% non paga ancora
La Repubblica
VALENTINA CONTE
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ROMA. Inserire il canone Rai nella bolletta della luce è stato un successo sul piano della lotta all’ evasione. Nel 2016 lo hanno pagato il 41% delle famiglie in più. Assicurando un incasso aggiuntivo, rispetto al 2015, di oltre 420 milioni. Finito per due terzi alla Rai (280 milioni), il resto all’ erario. I furbetti del canone si sono ridotti così dal 36% al 10%. Rimanendo comunque tantissimi. Superiori ai 2 milioni e mezzo, secondo quanto emerge dalla Relazione sull’ evasione, commissionata dal ministero dell’ economia al gruppo di lavoro guidato dall’ ex presidente Istat, Enrico Giovannini. Ma non è l’ unica sorpresa. Incrociando dati Istat e dell’ Agenzia delle entrate, salta fuori che 446 mila e 730 famiglie con ogni probabilità hanno pagato i 100 euro del canone nel 2016 (quest’ anno sceso a 90 euro). Ma non dovevano farlo. Semplicemente perché non hanno la tv. Da una parte quindi, gli incalliti dell’ evasione che riescono ancora a farla franca, aggirando persino gli automatismi del prelievo in bolletta. Grazie per lo più alle seconde case affittate in nero, visto che il canone è dovuto una sola volta, per chi possiede diversi immobili. A patto però che le seconde e terze abitazioni non siano destinate ad attività redditizie, dunque tassabili, come un bed&breakfast. Perché in questo caso il canone si deve ripagare. Dall’ altra parte, ci sono gli ignari. Non hanno nemmeno una tv e non dovrebbero versare alcunché alla Rai. Ma non sanno o hanno dimenticato che il possesso dell’ apparecchio si presume per legge in presenza di un’ utenza elettrica: se hai la luce, hai anche un televisore. In caso contrario, tocca a te farlo presente. Altrimenti scatta il prelievo automatico. Il modulo per la “dichiarazione di non possesso” si trova pure online. Eppure oltre 400 mila famiglie non ha potuto o saputo inviarla. Pagando nella bolletta elettrica un sovrappiù non dovuto. Il dato emerge confrontando l’ indagine Istat sugli aspetti della vita quotidiana, laddove si stima che il 96% delle famiglie italiane (24 milioni e 512 mila) ha almeno una tv in casa. Mentre quasi 994 mila ne sono prive. Ebbene di queste solo 547 mila hanno dichiarato nel 2016 di non possedere televisori: dato ufficializzato nel maggio 2017 dall’ ex direttore dell’ Agenzia delle Entrate, Rossella Orlandi, in audizione al Parlamento. Quindi oltre 446 mila famiglie si sono dimenticate di farlo, per ignoranza o trascuratezza. Va anche detto che quella dell’ Istat è un’ indagine campionaria, dunque soggetta ad errori. Benché il campione (28 mila famiglie) sia ritenuto sufficientemente ampio e affidabile. Rai e Agenzia delle Entrate d’ altro canto sono a conoscenza dello scostamento nel dato. E hanno affidato a un gruppo di esperti il compito di approfondire il caso. Se fosse così però, la televisione di Stato potrebbe aver incassato oltre 40 milioni di euro non dovuti. Mentre agli ignari pagatori non resterebbe che attivare la procedura di rimborso, sempre che si accorgano dell’ errore. Quanto agli evasori, c’ è ancora molta strada da fare. E oltre 250 milioni da recuperare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Ieri la tv, oggi il web: così si informano gli italiani
Avvenire
ALESSIA GUERRIERI
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ROMA Italiani sempre più internauti, anche nella ricerca di news, ma con un vecchio grande amore: il piccolo schermo. Ma per guardare la tv, personalizzando i palinsesti nel percorso già solcato della disintermediazione digitale, sempre più spesso si usa lo smartphone e la televisione in mobilità. Un settore in cui gli italiani nello scorso anni sono riusciti a spendere cifre da manovra di bilancio: 22,8 miliardi di euro. E così tra un messsaggio Whatsapp e un post, non di rado si finisce vittime delle bufale in rete a cui crede più della metà di chi va online. Un allarme a cui danno meno peso i giovani (44%). Il nuovo rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione in Italia, presentato ieri al Senato, incorona i tg come prima fonte d’ informazione degli italiani (60%) con al secondo posto – in alternanza tra vecchio e nuovo – Facebook, divenuta la piazza delle news per un italiano su tre. Dalla ricerca, promossa da Facebook, Mediaset, Rai, Tv2000 e Wind Tre, infatti è emerso che la crescita degli utenti di internet ha rallentato il suo ritmo, ma prosegue. Nel 2017 gli italiani sul web, grazie a smartphone e social network, sono il 75,2% della popolazione, l’ 1,5% in più rispetto all’ anno scorso. Con la quasi perfetta coincidenza, soprattutto nei giovani e negli adulti che ormai si sono ‘svecchiati’ rispetto alle tecnologie, tra chi ha un telefono di ultima generazione e chi usa Whatsapp. Ma nel continuo rimando tra la società e il mondo dell’ informazione – la riflessione del presidente del Censis Giuseppe De Rita – «è la società spesso che incide sui media e impone in qualche modo un suo immaginario collettivo che poi i media continuano». Anche perché, conclude, «la società va avanti, crede solo in se stessa. Quindi sarà l’ informazione a doversi difendere». Ma difendere da cosa? Dalla supremazia dell’ algoritmo e dai big data. Certo oggi grazie alla rete gli italiani continuano «a personalizzare i palinsesti », ricorda il direttore generale del Censis Massimiliano Valerii, a utilizzare sempre più le piattaforme online che diffondono servizi audio e video (11%). Tutti cambiamenti che si è cercato di capire quale impatto hanno avuto sull’ immaginario collettivo. «Nel dopoguerra questo era molto compatto e caratterizzato da forti simboli e valori – spiega ancora – la laurea, il lavoro, la casa». Oggi la rete ha introdotto «elementi di rottura epocali, soprattutto nell’ immaginario giovanile », portando in testa alla lista dei miti contemporanei il posto fisso, seguito dai social network, la casa di proprietà e lo smartphone. All’ ultimo posto l’ auto nuova, simbolo invece del boom economico. Sul fronte dei media, invece, in perdita soprattutto la carta stampata che negli ultimi dieci anni «ha perso il 60% di pubblicità e il 24% di lettori». A confermarlo il presidente Fieg Maurizio Costa, per cui esiste «una società dell’ informazione fatta di professionisti e una società della mormorazione», che vanno distinte con chiarezza di ruoli e di regole. Così «a un’ informazione dilettantesca, i giornalisti devono rispondere con l’ algoritmo della credibilità». Questo per superare le fake news, «il cui antidoto è il giornalismo qualificato», dice la presidente Ucsi Vania De Luca, convinta che quando s’ inizia a comprendere la pericolosità del meccanismo delle bufale «vuol dire che il sistema comincia a far emergere, se non degli anticorpi, almeno dei campanelli d’ allarme». Ecco perché va recuperata «l’ autorevolezza di dire la verità» da parte dei media, spiega il direttore generale di Tv 2000 Lorenzo Serra, per cui «il pericolo delle fake news è sottostimato dai giovani». Quel che è vero è che ci troviamo in piena fase di «autodeterminazione digitale», secondo il chief digital officerRai Gian Paolo Tagliavita, in cui «finalmente si divide la tv dal televisore, lo schermo dal contenuto». Davanti a questa sfida, gli fa eco Gina Nieri, consigliere di amministrazione Mediaset, «noi dovremo cercare d’ integrare il mezzo tradizionale con una fruizione personale e discontinua». RIPRODUZIONE RISERVATA Il rapporto.
Nel Far West della rete finalmente regole anche per i big
La Provincia Pavese
CLAUDIO GIUA
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di CLAUDIO GIUAQuando sei anni fa alcuni commentatori, imprenditori e politici italiani – ricordo Massimo Mucchetti, Carlo De Benedetti, Francesco Boccia e Stefano Graziano – segnalarono l’ urgenza di verificare come le aziende globali digitali venivano tassate nei paesi dell’ Unione Europea, la risposta prevalente fu un formidabile “buuuh!”. Da Matteo Renzi ai pasdaran teleguidati dalla Casaleggio Associati, fu un coro d’ insulti: passatisti, sabotatori della crescita felice via web, malati di tassatite acuta, provinciali senza visione. Lo stesso era accaduto nel 2010 quando la Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’ Antitrust di intervenire sull’ abuso di posizione dominante da parte di Google nel trattamento dei contenuti giornalistici indicizzati dal motore di ricerca.Tacciono tutti, adesso che da Bruxelles la Commissione s’ è messa a multare a raffica, senza più timori reverenziali, Google, Apple e Amazon proprio per le elusioni fiscali di cui si sarebbero resi responsabili per anni, tra il plauso generale e con la complicità di alcuni paesi, e per le infrazioni delle regole sullaconcorrenza.L’ ultima azione è di ieri. La commissaria Margrethe Vestager l’ ha annunciata con un tweet definitivo: “I vantaggi fiscali di cui gode @amazon in Lussemburgo sono illegali secondo le regole comunitarie sugli aiuti di Stato. Amazon deve restituire circa 250 milioni per risarcire tali vantaggi”. Il meccanismo per pagare meno tasse adottato dall’ azienda di ecommerce fondata da Jeff Bezos è lo stesso già sanzionato dall’ Unione a fine agosto 2016 a carico di Apple. Funziona così: i ricavi delle vendite effettuate in Europa sono convogliati dove il regime fiscale è più favorevole, così da non versare le tasse negli altri paesi comunitari. L’ obiettivo di Irlanda, Lussemburgo, Olanda, Cipro è attirare gli investimenti delle multinazionali. Apple, che ha seimila dipendenti in Irlanda, chiuse accordi ulteriormente migliorativi con il governo locale, accusato ora di aver dato aiuti di Stato illegali: le tasse non pagate tra il 2003 e il 2014 – e da restituire – vanno calcolate intorno ai 13 miliardi di euro. Sia Apple che Dublino (che vuole evitare che Tim Cook, capo supremo dell’ azienda di Cupertino, trasferisca altrove i propri quartieri generali) hanno fatto ricorso. È probabile che presto l’ Unione avvii una procedura di infrazione contro l’ Irlanda, che per ora non ha voluto riscuotere i 13 miliardi di euro che Apple le deve.La riscossa legale e fiscale di Bruxelles nei confronti degli Over the Top “è appena cominciata”, come ha scritto il mese scorso il Washington Post. Google ha presentato meno di un mese fa ricorso contro la multa da 2,4 miliardi di euro che la Commissione le ha comminato per l’ abuso di posizione dominante perpetrato per anni attraverso il servizio di comparazione prezzi Shopping. Il motore di ricerca ha annunciato la scorsa settimana che Google Shopping s’ è trasformata in una società autonoma: d’ ora in poi i suoi “consigli per gli acquisti” saranno trattati, nelle pagine di risposta, come quelli di qualsiasi altra azienda del settore. Attenzione: non è stata una scelta di trasparenza ma dettata dalla necessità, visto che a partire dal 28 settembre Google avrebbe dovuto pagare salatissime multe quotidiane nel caso non avesse cambiato la natura del servizio. Anche su Facebook sentiremo presto notizie bruxellesi.Pur nel grave ritardo con il quale la Commissione Europea è intervenuta su queste materie, la sensazione è che alcuni rimedi si possano finalmente mettere in atto. Di natura, più che sanzionatoria, di metodo. Che servano a far capire che la rete non è più il Far West in cui abbiamo vissuto per decenni. I comportamenti etici devono essere anzitutto dei generali, che sono i più grandi, i più forti, i più ammirati. Oltre che i più ricchi. La fanteria seguirà.
Siae, chiusa infrazione UE per mancato ricevimento direttiva
La Commissione europea ha deciso di chiudere la procedura d’infrazione aperta nei confronti dell’Italia per il mancato recepimento della direttiva sulla gestione collettiva dei diritti d’autore sulle opere musicali, attività svolta dalla Siae. Resta tuttavia aperto il confronto tra Roma e Bruxelles sulla nuova norma messa a punto dall’Italia per essere in linea con il diritto europeo. E’ quanto si è appreso oggi a Bruxelles da fonti europee in occasione dell’esame del ‘pacchetto infrazioni’ da parte dell’esecutivo comunitario. La Commissione ha anche deciso di chiudere l’infrazione aperta a suo tempo contro l’Italia per il mancato recepimento di disposizioni con cui sono state aggiornate le norme per il risanamento e la risoluzione di enti creditizi e imprese d’investimento. Il numero complessivo delle procedure d’infrazione contro l’Italia scende così da 65 a 64, poiché nel frattempo un nuovo dossier è stato avviato per il mancato recepimento di norme Ue su dispositivi e norme per la sicurezza di navi passeggeri.
Tv locali, ecco le linee guida del Ministero dello Sviluppo Economico
Il DPR, che era stato approvato in via definitiva lo scorso 7 agosto (Consiglio dei Ministri n.41), ora, dopo la firma del capo dello Stato, è passato all’esame della Corte dei Conti per essere registrato e quindi emanato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Affinché il provvedimento esplichi i suoi effetti, però, è necessario l’intervento del Ministero dello Sviluppo economico: le domande per il 2016 e 2017 – telematiche e da formularsi entro il 28 febbraio di ciascun anno – dovranno infatti essere presentate secondo modalità da definirsi mediante decreto attuativo del MiSE. Le linee guida illustrano i criteri e le procedure sugli elementi maggiormente rilevanti della riforma, utili ai fini della successiva elaborazione del nuovo Regolamento che disciplinerà l’erogazione dei benefici statali a sostegno dell’emittenza televisiva e radiofonica locale.
Inpgi, il 31 ottobre termine per il pagamento a saldo gestione separata 2016
Scade il prossimo 31 ottobre il termine per il versamento della contribuzione a saldo riferita ai redditi professionali prodotti nell’anno 2016 dai giornalisti iscritti alla Gestione separata dell’INPGI. Il versamento – a seconda della scelta effettuata nella compilazione della comunicazione reddituale eseguita con scadenza 31 luglio 2017 – riguardera’ l’intero importo in unica soluzione o la prima delle tre rate mensili previste.
Il pagamento – a scelta del giornalista – potra’ essere effettuato:
A) mediante bonifico bancario, IBAN: IT24W0569603200000020000X28, avendo cura di indicare nella causale: “SU (per i versamenti in unica soluzione) oppure S1 (per la prima rata), seguiti da 2016 e dal codice fiscale e/o matricola INPGI”;
B) mediante F24-accise, utilizzando il codice tributo G002 (per i versamenti in unica soluzione) o G003 (per i versamenti in tre rate), indicando il codice identificativo 22222, il codice Ente P e nei campi mese/anno di riferimento 01/2016. Il modello deve obbligatoriamente essere intestato al giornalista interessato.
Circolare n. 35 del 05/10/2017 – Legge riforma editoria – Decreto legislativo di ridefinizione della disciplina dei contributi diretti: adozione DPCM per la definizione delle modalità di concessione dei contributi diretti per i quotidiani e i periodici editi e diffusi all’estero
Facendo seguito alla nostra circolare n. 32/2017 del 18.09.2017 segnaliamo che è stata pubblicata la bozza del DPCM, attualmente in attesa di registrazione alla Corte dei Conti per la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, relativa al procedimento amministrativo per le imprese editrici di quotidiani e periodici editi e diffusi all’estero.
In analogia con la precedente disciplina, il DPCM inquadra due macro categorie, ossia i quotidiani con una percentuale di venduto non inferiore al 60 per cento delle copie distribuite e i periodici.
In realtà, in relazione al digitale, il DPCM classifica come imprese editrici di quotidiani anche quelle che editano testate telematiche la cui percentuale di utenti unici all’estero sia superiore al sessanta per cento di quelli complessivi. Si tratta, palesemente, di un’enorme apertura a imprese editrici di portali con particolare riferimento a tematiche internazionali, ma prive di quel carattere editoriale che ne ha caratterizzato fino ad ora le finalità d’intervento.
I quotidiani editi all’estero devono presentare, entro la data del 31 gennaio, tutta la documentazione al consolato competente, mentre quelli editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero presentano tutta la documentazione richiesta direttamente al Dipartimento dell’Informazione e l’Editoria. Nell’ipotesi di presentazione al consolato, questi saranno tenuti a trasmettere a loro volta la documentazione al predetto Dipartimento entro il 28 febbraio.
La presentazione della domanda entro i termini prestabiliti è condizione per accedere ai contributi, mentre la completezza della documentazione richiesta è necessaria per accedere all’acconto che viene erogato entro il 31 maggio.
Tutta la documentazione relativa i bilanci, alla rendicontazione dei costi di testata ed alla diffusione va inviata, a pena di decadenza entro il 30 settembre.
Il termine per la chiusura del procedimento per i quotidiani editi e fissati all’estero è fissato al 28 febbraio dell’anno successivo a quello di presentazione della domanda.
Analogamente, i periodici editi all’estero dovranno trasmettere tutta la documentazione al consolato competente, mentre quelli editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero presenteranno tutta la documentazione richiesta direttamente al Dipartimento dell’Informazione e l’Editoria. Per entrambi questi tipi di soggetti, la scadenza per presentare tutta la documentazione è fissata al 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi.
Il termine per la chiusura del procedimento per i periodici editi e fissati all’estero è fissato al 31 ottobre dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi.