Nasce l’Osservatorio permanente sulle realtà editoriali digitali avviato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in collaborazione con l’Associazione Nazionale della Stampa Online (Anso). Obiettivo primario è quello di monitorare lo stato e l’evoluzione dell’editoria digitale nonché le sue reali dimensioni nel più ampio contesto di analisi dei media al fine della tutela del pluralismo e alla luce della nuova legge sull’editoria (n° 198 del 26 ottobre 2016) che definisce, per la prima volta, il quotidiano online e le sue peculiarità. L’Osservatorio consente per la prima volta di censire, attraverso una rilevazione statistica omogenea, un settore in continua evoluzione e trasformazione, fino all’analisi delle dimensioni locale e iperlocale. Il quotidiano locale ha una funzione strategica e spesso è lo strumento principale di informazione per i cittadini, conservando una propria identità anche grazie alle piattaforme social che consentono un feedback costante con il territorio. Agcom avrà il ruolo di garante nell’accuratezza della raccolta dei dati in questo progetto innovativo che consente, per la prima volta, di conoscere l’entità e le caratteristiche peculiari di un mercato vivace come quello locale, ancora oggi capace di intercettare un’utenza ampia e variegata, comparabile a quella dei grandi siti di informazione, in grado di generare un flusso notevole di contenuti. Al fine di conoscere e comprendere le profonde trasformazioni che stanno interessando il settore dell’editoria locale ed esaminare i modelli economici e di business sottostanti, l’analisi si avvarrà di uno specifico questionario qualitativo ad integrazione dei dati e delle informazioni raccolte tramite la comunicazione obbligatoria alla Informativa Economica di Sistema (IES).
Agcom, nasce l’osservatorio delle testate digitali nazionali e locali
Rassegna Stampa del 24/06/2017
Indice Articoli
Imprenditoria e cultura, a Cairo il premio Roma
«Una scelta strategica nell’ interesse della tv pubblica»
Lezioni per l’ Italia dalla vendetta digitale di Axel Springer
L’ informazione pende sempre a sinistra Sparisce perfino «L’ Arena» di Giletti
«In Repubblica-Stampa comanda sempre la Cir» Ma il futuro è un rebus
Repubblica.it e Tgcom24 i siti più seguiti
Fazio, 11 milioni in 4 anni Ma è lite tra i consiglieri
Al via Class Digital Experience Week
Chessidice in viale dell’ Editoria
Gruppo Gedi De Benedetti lascia il vertice al figlio Marco
Il Cda Rai approva i palinsesti a Fazio 11,2 milioni in 4 anni
Fake news, il tallone d’ Achille di Facebook e Google
Fabio Fazio resta in Rai per 11,2 milioni in quattro anni
Imprenditoria e cultura, a Cairo il premio Roma
Corriere della Sera
Laura Martellini
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ROMA L’ editoria al cuore della crescita culturale e insieme economica. Libri e competitività. Arte e comunicazione. Così succede che al premio Roma per la narrativa italiana e straniera e la saggistica vengano assegnati riconoscimenti speciali a Urbano Cairo, numero uno di Rcs, il gruppo del Corriere, di Cairo Communication, e di Torino calcio, e all’ attore Roberto Benigni. Ad Antonio Tajani presidente del Parlamento europeo e Raffaele Cantone presidente dell’ Autorità anticorruzione, e a Paola Gassman, Ugo Pagliai e Piotr Adamczyk, interpreti della scena teatrale e televisiva. La cerimonia di consegna della Lupa capitolina in bronzo s’ è svolta ieri a Roma, nell’ Aula Magna del Rettorato dell’ Università Sapienza gremita. A Cairo, già miglior imprenditore del 2016, in testa alla classifica Reputation Manager, è andato il premio speciale per l’ imprenditoria. Ha sottolineato Cairo: «Il mondo dei media è in evoluzione, oggi ancor più impegnativo. Quel che ho sempre cercato di fare, nel risanare aziende, è stato mantenere fermi i posti di lavoro, e dare occasioni ai giovani. Ho scovato in posti nascosti persone che dandogli un’ opportunità si sono dimostrate bravissime. Un po’ di fortuna aiuta!». «La bellezza dell’ Italia» il filo con cui sono stati legati i successi del manager a quelli inanellati da Benigni durante la carriera. Un protagonista «che ha ricordato al mondo, con i suoi tre Oscar per La vita è bella – è la motivazione – come siamo intrisi di grazia, storia, arte, cultura, letteratura, ma anche memoria e sentimenti forti». Per la narrativa straniera, Lupa capitolina a Alex Connor («Il dipinto maledetto», Newton Compton). Per la narrativa italiana, a Matteo Nucci autore di «È giusto obbedire alla notte» (Ponte alle Grazie). Ed è stato Alan Friedman con «Questa non è l’ America» (Newton Compton) ad aggiudicarsi la Lupa per la saggistica.
«Una scelta strategica nell’ interesse della tv pubblica»
Corriere della Sera
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Consigliere Franco Siddi, lei ha sempre sostenuto la libertà della Rai di agire sul mercato. «La legge sul tetto ai compensi rappresentava una pesante limitazione per la Rai, per la sua possibilità di agire pensando al bene della Tv pubblica. Con il contratto a Fazio siamo noi ad agire sul mercato, smettendo di subirlo Siamo riusciti a coniugare l’ interesse pubblico con le esigenze di una scelta strategica di valore». Ma le cifre sono al centro di attacchi politici: 11,2 milioni di euro in quattro anni. «Abbiamo fatto l’ interesse della Rai e dei suoi lavoratori, perdere Fazio avrebbe significato mettere a rischio una fetta della nostra capacità di competizione. Fazio passa da Rai3 a Rai1 allo stesso costo e assicurando un maggior numero di ore di trasmissione. È un investimento in termini strategici: portando Fazio su Rai1 è del tutto chiaro che cresce il suo valore in termini pubblicitari, quindi il ritorno economico sarà considerevole. C’ è poi un altro aspetto che va sottolineato: il cambio di programmazione di Rai1, con Fazio, fa risparmiare la Rai» In che senso, Siddi? «Fazio costa il 50% in meno di una classica trasmissione di intrattenimento su Rai1. Questi sono fatti industriali».
Il caso Fazio Su Rai1 avrà oltre 2,2 milioni annui e più serate Proteste da Pd, FI e Lega. Orfeo: rilancio dell’ azienda
Corriere della Sera
Paolo Conti
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Fabio Fazio resta alla Rai, dopo le polemiche sui compensi per i «divi» e il tetto di 240 mila euro l’ anno, poi superato grazie a un parere dell’ Avvocatura dello Stato. Fazio passa, come era nelle previsioni, da Rai3 a Rai1, diventando uno dei personaggi-chiave della rete ammiraglia sia la domenica in prima serata con «Che tempo che fa» dalle 20.30 alle 23.30 sia il lunedì con un programma dalle 23.30 a mezzanotte e mezza. Compenso pattuito: 2,2 milioni l’ anno per quattro anni ma con un aumento di 30 ore prodotte rispetto al passato. Un pacchetto quadriennale da 11,2 milioni di euro al quale, fanno sapere al settimo piano di viale Mazzini, vanno sommate le voci legate alla produzione e al resto del cast del programma. Il compenso comprende anche altre voci legate ai diritti e al format delle sue trasmissioni: senza di loro, spiegano a viale Mazzini, il compenso sarebbe inferiore al precedente, sotto i 10 milioni. Lo ha deciso il Consiglio di amministrazione di viale Mazzini, riunito ieri sotto la presidenza di Monica Maggioni. Le proposte di palinsesto del direttore generale Mario Orfeo hanno avuto 6 sì, il no del consigliere Arturo Diaconale (che però ha votato sì sul contratto di Fazio), assenti Carlo Freccero («il direttore generale non ha risposto a nessuna mia obiezione sui palinsesti») e, per motivi personali, Giancarlo Mazzucca. Il Cda ha così varato i palinsesti che verranno presentati martedì 28 a Milano agli inserzionisti pubblicitari. Soddisfatto il direttore generale Orfeo sull’ operazione Fazio: «Ringrazio il Cda perché la presenza e la valorizzazione di Fabio Fazio nel palinsesto della Rai è un passaggio importante per il consolidamento della leadership della tv pubblica e per il rilancio dell’ attrattività innovativa dell’ azienda». E così la presidente Maggioni: «Lo sforzo fatto per non perdere il valore e la capacità di racconto di Fazio è direttamente connesso alla volontà di garantire un futuro all’ azienda tenendola ancorata al mercato». Ma il compenso ha attirato dure polemiche politiche. Per Michele Anzaldi, Pd, «il rinnovo del contratto a Fazio per ben 4 anni, con un aumento del 50% sul compenso, è un vero schiaffo agli italiani che fanno sacrifici e alla povertà, al Parlamento che ha approvato una legge ora disattesa con il tetto a 240 mila euro e alla commissione di Vigilanza». Maurizio Gasparri, Forza Italia, parla di «vergognosa pioggia di euro». Il segretario della Lega, Matteo Salvini: «Pare che la Rai voglia regalare a Fabio Fazio un contratto da più di 11 milioni di euro per quattro anni, 2,8 milioni di euro all’ anno. E poi chiedono il canone a disoccupati e pensionati. Per me è una vergogna». Le novità nei palinsesti sono molte. Sparisce «L’ Arena» di Massimo Giletti il pomeriggio domenicale su Rai1: «Domenica in», fanno sapere al settimo piano di viale Mazzini, torna alla sua vocazione di contenitore di intrattenimento e di racconto, affidato alla conduzione di Cristina Parodi. Nella seconda parte, da ottobre, sei o sette puntate de «La vita è una figata» di Bebe Vio, la schermitrice italiana, campionessa paraolimpica e mondiale di fioretto individuale. Poi quattro puntate speciali, sotto la direzione artistica di Carlo Conti, dedicate al sessantesimo anniversario dello Zecchino d’ Oro. In quanto a Massimo Giletti (la cancellazione della sua «Arena» potrà provocare polemiche, visto il forte legame professionale del giornalista con quello spazio) i vertici Rai gli hanno offerto la conduzione di 12 grandi serate-evento musicali su Rai1 il sabato sera. Collocazione di indubbio prestigio, sempre nell’ ottica di una forte sottolineatura di Rai1 come Rete ammiraglia della tv pubblica. Altri spostamenti: Eleonora Daniele mantiene «Storie vere» su «Unomattina» su Rai1 ma viene «promossa» anche al sabato pomeriggio, Francesca Fialdini lascia «Unomattina» per condurre «La vita in diretta». L’ abbinata «Presa diretta» – «Report» su Rai3 torna al lunedì sera, com’ era una stagione fa, durante l’ ultima conduzione di Milena Gabanelli prima del suo addio. Varate anche alcune nomine: Roberto Sergio va alla direzione Radiofonia, incarico che già ricopriva ad interim da gennaio, una conferma attesa da tempo. Luciano Flussi, attuale direttore generale di Rai Pubblicità, torna alla Direzione delle Risorse umane che ha già diretto nel periodo 2007-2013 mentre Paolo Galletti, attuale Direttore di Risorse umane e organizzazione, avrà la responsabilità del progetto Rai Academy, scuola di formazione per i lavoratori della tv pubblica, considerata strategica per il futuro.
Lezioni per l’ Italia dalla vendetta digitale di Axel Springer
Il Foglio
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Roma. Prima di lasciare il suo impero editoriale al figlio, il prominente imprenditore della carta stampata Carlo De Benedetti ha proposto di convocare gli Stati generali dell’ editoria per agevolare un confronto utile per l’ anemica industria nazionale a mitigare l’ aggressione dei giganti digitali globali, come Google, Facebook, Apple, che drenano lettori e piombano il business giornalistico. “L’ Italia dovrebbe essere solo l’ inizio: mi piacerebbe che questa si trasformasse in una iniziativa che coinvolga l’ intera Europa”, ha detto il 21 giugno. Come ultima operazione De Benedetti, 82 anni, ha concentrato tre quotidiani rilevanti (Repubblica, Stampa, Secolo XIX) nella società Gedi, da ieri guidata del secondogenito Marco, 54 anni. Pur pertinente col senso d’ urgenza del momento, l’ appello agli Stati generali forse non è bene augurante: è mutuato dagli États généraux, l’ assem blea convocata per l’ ultima volta nel 1788 da re Luigi XVI per discutere tra i rappresentanti di clero, aristocrazia e popolo il contenimento della grave crisi politica, economica, sociale e finanziaria che concimava l’ immi nente Rivoluzione francese. Quando la monarchia fu rovesciata, Luigi Capeto ci rimise l’ onore e la testa. La Francia non è un archetipo cui ispirarsi e, in editoria nello specifico, nemmeno l’ Italia, al momento, può ambire a guidare un cambio di paradigma epocale. Quindi, che fare? Forse la Germania può indicare la via d’ uscita in quanto avanguardia nel settore da secoli. I tedeschi, pionieri dell’ industria della stampa, sono considerati i primi a diffondere un foglio di notizie nel 1563, mentre la prima edizione in copie numerate risale al 1612. Quattro secoli più tardi gli imprenditori tedeschi segnano ancora la strada. Negli ultimi anni Axel Springer, colosso editoriale di rango europeo famoso per il tabloid Bild, il quotidiano conservatore Die Welt e l’ edizione nordeuropea di Rolling Stone, ha rapidamente sterzato dalla carta stampata al business digitale, aggredendolo e guadagnandoci. La “metamorfosi”, come l’ ha definita l’ Economist, è avvenuta in fretta, fino al 2000 non aveva ricavi da digitale, l’ anno scorso sono arrivati al 72 per cento sul totale e da quella fonte deriva l’ 88 per cento della pubblicità. Alla presidenza del consiglio di sorveglianza c’ è sin dal 2002 Giuseppe Vita, manager italiano di lunghissimo corso – è presidente di Unicredit ed è stato in vari cda, compreso quello di Rcs Media Group, editore del Corriere della Sera. Vita spiega al Foglio la genesi di un cambiamento che già era nella filosofia del fondatore, da cui l’ azienda prende il nome, morto nel 1985 a 73 anni lasciando l’ impero alla quinta e ultima moglie Friede Springer. “Con l’ arrivo della tv, Springer aveva visto che il mondo della comunicazione non sarebbe stato più la carta stampata o la radio, e ha lasciato come testamento di difendere e di diffondere il lavoro dei giornalisti con tutti i mezzi possibili presenti e futuri. Cinque anni fa – dice Vita – siamo andati nella Silicon Valley con un centinaio di giornalisti, alcuni membri del cda e la signora Springer visitando in dieci giorni quasi tutte le aziende rilevanti, Google, Twitter, Facebook, e anche quelle allora meno conosciute come Airbnb e Uber (dove la società ha una partecipazione finanziaria utile a diversificare il business, ndr). Era interessante capire con che velocità il mondo andava in quella direzione. Google era la nostra principale preoccupazione perché prende i contenuti e li pubblica gratis facendoci perdere fatturato e mettendo sotto pressione l’ organico. Cercammo un accordo, ma l’ offerta non fu ritenuta sufficiente. Abbiamo cercato di modificare la legge editoriale in Commissione europea e si è arrivati a un buon livello di soddisfazione non solo per noi ma per tutti gli editori. Tuttavia non basta, si disse, o entriamo nel business o la carta scomparirà con la nuova generazione. I miei nipoti non hanno mai comprato un giornale…”, dice Vita che ha 82 anni. La Bild, popolare tabloid dai toni aggressivi, all’ epoca vendeva 6 milioni di copie con 12 milioni di lettori, oggi ha dimezzato le copie vendute. Vita dice che l’ editoria ha un futuro fino a che i contenuti sono qualificati ma servono altre fonti di guadagno per potere sostenere i conti. “Non si potevano mantenere 20-25 testate quando non avevamo più il nostro core business perché il mondo di lingua tedesca, dove eravamo da anni, non ci dava più l’ op portunità di aumentare la quota di mercato”, dice. Così quattro anni fa la Axel Springer, guidata dal ceo Mattias Döpfner, ha venduto diversi giornali e riviste per circa 1,2 miliardi di euro. Nel 2015 ha tentato di comprare il Financial Times ma è stata battuta dalla giapponese di Nikkei, con sollievo dei suoi azionisti. Le operazioni di acquisizione nel digitale invece sono arrivate a 150 nell’ ultimo decennio con investimenti per oltre 2 miliardi di euro. Tra queste, Business Insider, giornale esclusivamente online in lingua inglese di informazione economica e non solo abile nell'”acchiappare” click. “Solo nel mese di gennaio ha fatto 3 miliardi di video visti – micro video da un minuto”, dice Vita. E poi l’ ameri cana eMarketer, fornitore di informazioni sul mercato digitale, e la collaborazione con la sudcoreana Samsung per avviare il servizio di informazioni personalizzate Upday sui suoi smartphone. Axel Spinger ha poi aggredito il business dell’ inserzionistica che la società di comparazione prezzi online e di e commerce avevano precedentemente soffiato alla carta stampata che per anni l’ aveva ritenuto suo bacino esclusivo. Una vendetta secondo il metodo Springer. Ha comprato Step stone, il sito più visitato da chi cerca lavoro in Germania, una piattaforma di condivisione anche per chi cerca un’ auto usata, case vacanza, appartamenti. Un contenitore di inserzioni e pubblicità lucroso. Un altro è Idealo, sito web di comparazione prezzi nell’ ecommerce. “Siamo uno dei principali editori d’ Europa e non siamo usciti dall’ editoria, ci siamo rimasti aggiungendo un servizio in più per i lettori a traino della lettura degli articoli. Ci siamo emancipati dai limiti della lingua tedesca e dal mondo della carta stampata – dice Vita – ed è la stessa cosa che avrebbero dovuto fare gli italiani”. Nel 2016 Axel Springer, fondata nel 1946 ad Amburgo ma trasferitasi a Berlino dopo la caduta del muro, ha chiuso il bilancio con un fatturato di 3,29 miliardi, il margine operativo in crescita del 6,5, l’ utile netto balzato del 46,7 per cento con le operazioni straordinarie, e di un ragguardevole 7,4, pari a 300 milioni, per la sola gestione. “La malattia italiana -dice Vita -è appoggiarsi alla politica e parlare tedesco, per modo di dire, solo quando si tratta di leggi elettorali. A differenza della Germania non esistono o quasi editori puri. Rcs -dove Vita è stato consigliere fino al 2013 – era nato come editore puro, e ora è tornato ad esserlo con Urbano Cairo, ma prima si era dovuto affidare alle banche e sono entrati industriali e imprenditori. Ma nessuno aveva come primo interesse la partecipazione nella Rizzoli, ma solo quello inconfessato di dire che avevano un piede nel giornale principale d’ Italia e quindi se c’ era qualcosa che poteva riguardare il loro core business potevano fare valere la loro presenza. In Italia insomma non c’ è stata quella preoccupazione di dire ‘dove va a finire l’ editoria’ ma dove vanno a finire i miei affari”. Forse, quando ci saranno gli Stati generali, vale la pena ripartire da qui.
IL TETTO RAI NON SCOTTA PIU’
Il Foglio
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La ricorderemo come la tormentata stagione degli addii immaginari alla Rai. La stagione della trattativa stato -Fazio. Tra pizzini a forma di tweet, arrovellamenti esistenziali, dubbi iperbolici, palinsesti appesi a un filo, lettere di Bruno Vespa a Dagospia e pareri dell’ avvocatura di stato. Siamo artisti o giornalisti? Siamo la casta o l’ anticasta? Siamo il servizio pubblico o il mercato? Mi si nota di più se vado a “Discovery” o se resto? “A La7! A La7!”, dicevano a un certo punto i nostri eroi. Ma si era già sconfinati dalle parti di Molière più che in preda alle disperate lamentazioni di Cechov. Più cechoviano di tutti però è stato Fazio. Un po’ ama reggiato, un po’ immalinconito, un po’ “passive -aggressive”, ha sfoderato tutti i suoi registri migliori. La carta della nostalgia, la Rai di “quando avevo diciannove anni”, le “cose belle fatte insieme”, il “pubblico con la P maiuscola”, il “cavallo unico punto fermo di Viale Mazzini”, l'”ingerenza della politica mai vista prima” e via così, fino al coup de théâtre da sferrare in piedi nella penombra della stanza guardando verso la finestra mentre fuori nevica: “Ormai per me è più difficile restare che partire”. Sipario. Applausi. Ma la stagione degli addii è già diventata quella dei ritorni. Torna Pao la Perego “ferita da due donne”, come spiega nell’ intervista al settimanale Oggi. E’ tornato “Sarabanda” di Enrico Papi che mancava dal ’97. Il calciomercato è quello che è, così ci si appassiona al destino dei conduttori televisivi. Chissà se il pubblico di Fazio e Giletti tirerà falsi dollari ai conduttori come hanno fatto i tifosi con Donnarumma. Vedremo. Resta agli atti che la vicenda del “tetto-sti pendi”, o meglio il mirabolante psicodramma del “tetto -stipendi”, s’ im pone come un racconto esemplare dell’ italianità. Una delle tante parabole del nostro imperscrutabile rapporto con le regole, giuste o sbagliate che siano. Un segno dei tempi, un famigerato “specchio del paese”. Perché quando ci si appassiona solo alle regole del gioco, vuol dire che il gioco se la passa male. Succede con lo sfibrante dibattito sulla legge elettorale – bellissimo, giustissimo, per carità, salvo che poi tutti ci dimentichiamo cosa bisognerebbe fare una volta al governo. Succede con la tv di stato. Se prima il servizio pubblico doveva inseguire le tv private e i partiti, ora deve inseguire le tv private, i partiti, il populismo, il mercato, Lucio Presta, Caschetto e Ballandi. Ma andiamo con ordine. Torniamo all’ impennata moralizzatrice dello scorso settembre. Quando il Senato, a larghissima maggioranza, dà il via libera alla proposta avanzata dal Pd, ovvero attenersi a un “limite massimo retributivo di 240.000 euro”, come recitava l’ emendamento, relativamente “agli amministratori, al personale dipendente e ai consulenti del soggetto affidatario della concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale”, insomma un po’ tutti. Di critiche in quei giorni se ne sentono poche. Anzi. Esulta Calderoli che parla di “fine del Bengodi”, esulta il Pd che parla di “salto di qualità” della tv di stato, di “gesto di grande responsabilità”, di “ritrovata autorevolezza e credibilità” della Rai. Esulta più di tutti il M5s che lo rivendica come “un nostro successo”. Praticamente, un Comitato di liberazione nazionale. Si astiene solo Giovanni Endrizzi dei Cinque stelle che con un guizzo beffardo vuole “lascia re al Pd tutto il merito di passare la paletta dove il M5s ha indicato di pulire” (un po’ come a Roma con la mondezza). Bisognerà “limitare le retribuzioni tenendo conto dei tetti ma preservando il valore e la capacità dell’ azienda”, chiosa su tutti Campo Dall’ Orto. “Dire che non si possa mai avere un manager con uno stipendio sopra i 240 mila euro è molto pericoloso”, ricorda invece Monica Maggio ni. Poi, subito la strada si mette in salita. A novembre, il Cda fa sapere in una nota che “per i contratti di natura artistica, verrà chiesta un’ inter pretazione puntuale del testo di legge all’ azionista ministero dell’ Econo mia e finanze e al ministero dello Sviluppo economico”. Ci sono i dubbi dell’ Avvocatura di stato sui compensi degli “artisti”. Ci sono le preoccupa zioni degli agenti delle “star”. Ci sono le perplessità di Massimo Giletti che invita tutti a “vedere costi e ricavi dei top player”. “Artisti”, “star”, “top player”. Le parole sono importanti. Quelle che circolano dentro il dibattito sul tetto stipendi rivelano la fragilità di tutto l’ impianto. Quantomeno, la confusione di una Rai che storicamente ha sempre privilegiato il giornalismo e l’ informazione rispetto all’ entertain ment e ora deve appellarsi all’ arte. Rispetto agli altri paesi europei, l’ in vestimento italiano in intrattenimen to prende solo il 3,9 per cento del valore dell’ interno mercato televisivo. Nella gran parte dei casi parliamo di format acquistati all’ estero e adattati per il nostro paese. Secondo un pregiudizio che da noi è duro a morire, lo spettacolo è “frivolo” oppure è roba della concorrenza, mentre l’ informa zione, la fiction civile e la serata “Falcone e Borsellino” sono il segno dell’ indubitabile supremazia morale della tv di stato. Quando si cita, quasi sempre a sproposito, il modello Bbc ci si dimentica dei suoi precisi obblighi di produzione indipendente nell’ area dell’ intrattenimento. Una produzione che si prende un miliardo e mezzo di euro, circa il 9 per cento dell’ intero mercato televisivo. Ecco che in una Rai cucita sui partiti, sulla supremazia dell’ informa zione e sulle rovine della missione pedagogica improvvisamente si fa largo e si erge su tutto e tutti l'”arti sta”. Il termine, lo si intuisce, evoca in questo caso personalità molto diverse: da Van Gogh a Antonella Cleri ci, da Mozart a Amadeus, da Klimt a Carlo Conti. All’ Avvocatura di stato il compito di fare chiarezza. Così, come in ogni recita che si rispetti, ecco al secondo atto del dramma l’ arrivo puntuale della lettera. La scrive il ministero dello Sviluppo economico e riporta il parere dell’ Avvocatura di stato: “I contratti di prestazione artistica non sono inclusi nel perimetro di applicazione del limite ai compensi Rai previsto dalla legge”. L’ arte non si spiega, il conduttore non si piega. Si sa, i manager rubano tutti ma gli artisti svettano sopra il tetto come i Beatles sul palazzo della Apple. Va bene. Ma chi sono gli artisti della Rai? Qui le cose si ingarbuglia no un po’. A scioglierle ci pensa Bruno Vespa. “Caro Roberto”, scrive in una lettera aperta a Dagospia, “forse ti interesserà sapere che dal 2001 ho un contratto per prestazioni artistiche”. Ovvero, dal 2001 non sono più un giornalista ma un artista come Carlo Conti e Flavio Insinna. Come le 95 tesi di Lutero inchiodate sulla porta della Chiesa di Wittenberg, la lettera in cinque punti di Vespa affissa sul sito di Dagospia diventa l’ emblema dello scisma. Mentre tutti guardano il dito dell’ Avvocatura di stato, Vespa indica la luna: “Tra un Fabio Fazio che si occupa di Falcone e un Bruno Vespa che fa un programma su ‘Ballando con le stelle’, chi è l’ artista e chi il giornalista?”. La faccenda signori è tutta qui. Facciamo televisione, pardon, “arte televisiva” o facciamo giornalismo? Non se ne esce. Come scrive Vespa, e lo scrive in modo davvero limpido, “riconoscere carattere esclusivamente giornalistico a trasmissioni come ‘Porta a porta’ o altre comporterebbe ovviamente la mutazione in giornalistici di tutti i contratti in essere per chi vi collabora”. Chapeau. Nonostante le furibonde sfuriate civili sulla piaga dei vitalizi, anche “L’ Arena” di Massimo Giletti è puro spettacolo (francamente l’ avevamo intuito). Appena pochi mesi dopo gli applausi unanimi del Senato, la Rai riscopre dunque la necessità di stare dentro il mercato e la concorrenza. Dalla vicenda Donnarumma al tetto -stipendi siamo paralizzati dalla pulsione pauperista, anzi ossessionati dallo stipendio degli altri, come ha scritto Salvatore Merlo sulle pagine di questo giornale. Solo che invece di legittimare il mercato ci attacchiamo alla fede nella maglia o alla potenza misterica dell’ arte e dei “contratti a prestazione artistica”. Non siamo riusciti a trattenere “Zoro” ma se non volete che Alberto Angela finisca a Sky o Discovery, basta chiamarlo artista. Prima o poi tornerà. E poi c’ è Fabio Fazio. Qui la faccenda è più complessa. Perché Fazio è giornalista, ma ha chiesto la cancellazione dall’ Albo (per via dello spot in cui scrutava il mare, passeggiava sui monti, spiegava “l’ apertura celestiale della mente” e lanciava la banda larga della Tim). Fazio è artista, su questo non c’ è dubbio, ma fa anche la televisione civile con la fascia tricolore, Saviano e l’ inno di Mameli. Fazio è tutto. Alla fine viene naturale optare per la trinità: giornalista, artista e “produttore di me stesso”, così “prima o poi da qualche parte mi vedrete”, annuncia al culmine delle sue esternazioni sul tetto -stipendi. Alla fine, lo vedremo su RaiUno. Quantomeno vuol dire che ne è valsa la pena. Agitare lo spettro indignato della lottizzazione, esaltare le virtù del mercato, strizzare l’ occhio alla concorrenza passando da una prova generale con Falcone e Borsellino prima di accomiatarsi dal pubblico come un vecchio crooner alla sua ultima esibizione, infine preparare la rinascita con una nuova stagione di “Che tempo che fa” sul primo canale. Addio tetto -stipendi, addio forza di gravità. Che il limite di duecentoquarantamila euro fosse una scemenza lo sapevamo tutti (“è una scemenza” fu il commento di Montanelli all’ approvazione del Senato di un tetto -stipendi ai giornalisti di aziende pubbliche nel lontano 1995). Aveva ragione Monica Maggio ni quando parlava di “deriva populista che rischia di minare il servizio pubblico”. Ma non bisognerebbe sottovalutare la funzione catartica del gioco del tetto -stipendi. Anzitutto quella di tenere in piedi un doppio tavolo delle trattative. Su uno me ne vado, sull’ altro passo al rialzo. Su uno strizzo l’ occhio all’ indignazione e alle responsabilità del servizio pubblico, sull’ altro invoco i “top player”, la concorrenza, il mercato, la qualità, Von Hayek, la scuola austriaca e i “Chicago boys”. E’ un gioco che viene da lontano. Anzi, non si capisce granché della vicenda tetto -stipendi se non la si inserisce nella lunga, accecante operazione trasparenza che inizia a prendere forma negli anni Novanta, all’ ombra del Garante per la privacy Stefano Rodotà. Quando contro gli “stipendi d’ oro” della Rai si scagliano l’ Osservatore Romano, la Cei, Liliana Cavani e Francesco Storace, all’ epoca presidente della Commissione di vigilanza. A ridosso di Tangentopoli fioccano sui giornali le tabelle coi nomi dei manager, le cifre a caratteri cubitali e l’ immancabile box con intervista a Rodotà dove si spiega il valore supremo della trasparenza nello stato. Quanto fosse labile il confine tra la ricerca di un’ amministra zione pubblica efficiente e la deriva populista l’ avremmo capito meglio anni dopo. Allora eravamo troppo presi a inseguire l’ ideale democratico degli stipendi on-line. Poi, nel 2010, un colpo di genio. Un emendamento della commissione di vigilanza prevede la pubblicazione nei titoli di coda dei programmi di tutti i compensi e i costi della trasmissione, inclusa la retribuzione degli opinionisti. Scriveva Francesco Merlo su Repubblica: “Quando la proposta verrà accolta il titolo di coda diventerà il momento più atteso, il più seguito, quello dello sfogo, del godimento malsano, della rivincita contro la televisione che ti esclude, contro il divo che non vale niente, perché ogni poltrona è un tribunale e c’ è gente che guarda la televisione e straparla con la televisione, insulta, irride e spesso, tra le quattro mura di casa, dà il peggio di sé, con l’ accusa, generica ma sempre pronta, di avere fatto dell’ Italia una mangiatoia”, e così via. In seguito alla proposta degli stipendi nei titoli di coda, l’ Antitrust inviò una lettera al Mise in cui chiedeva di evitare di rendere pubblici i compensi poiché, tralasciando l’ ef fetto-gogna, questo regime di pubblicità avrebbe creato una “evidente asimmetria nel settore televisivo”, avvantaggiando le emittenti private. Poco tempo dopo, il Fatto lanciava l’ idea di una “tenda della trasparenza” da piazzare davanti a Viale Mazzini. Peccato non abbia preso piede. Si può ritentare adesso con l’ appoggio della giunta Raggi. Magari ci scappa un bel “campeggio della legalità” sot to Monte Mario. Così alla fine il tetto stipendi si inabissa di nuovo. Per un po’ non ne sentiremo parlare. Ma tornerà a trovarci ogni volta che dovremo nascondere sotto il tappeto del populismo e della dittatura della trasparenza i problemi reali del servizio pubblico, a cominciare da quello più profondo, ovvero il suo deficit di legittimità. Nel frattempo, godiamoci i nostri artisti di stato che volteggiano sopra i tetti degli stipendi.
L’ informazione pende sempre a sinistra Sparisce perfino «L’ Arena» di Giletti
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LR
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L’ unico programma non di sinistra che sarà in palinsesto da settembre è Porta a Porta. Sparisce infatti anche L’ Arena di Giletti. Passano i governi, i direttori generali, i segretari di partito, gli editti bulgari, ma alla fine, gira che ti rigira, l’ informazione in Rai rimane saldamente in mano a giornalisti culturalmente orientati a sinistra, qualunque sinistra sia. Tutti grandi professionisti, ovviamente, ma la Rai dovrebbe garantire, essendo azienda pubblica, pluralismo ed equilibrio. Richiesta che hanno fatto più volte i consiglieri di area di centro destra, Arturo Diaconale (che infatti ha votato contro l’ approvazione dei palinsesti) e Giancarlo Mazzuca, cui è stato risposto che, forse, da gennaio verrà allestito un talk in seconda serata su Raidue più aperto al mondo moderato e di destra. Una promessa fumosa. Dopo la chiusura di Virus di Nicola Porro, è rimasto infatti solo Vespa a non essere schierato. È un mistero la decisione di cancellare alla domenica L’ Arena di Massimo Giletti, programma un po’ anarchico che non ha si è mai schierato politicamente, ha fatto interessanti e coraggiose inchieste e soprattutto ha una media alta di ascolti. Conoscendo quanto il giornalista ami la sua creatura, è molto difficile che prenderà bene la decisione. A lui sarà chiesto di guidare gli show del sabato sera di musica e intrattenimento. Chissà se accetterà. Mentre l’ intero pomeriggio della domenica sarà occupato da un contenitore guidato da Cristina Parodi (con all’ interno una rubrica divulgativa di Alberto Angela). Dunque, in base ai palinsesti approvati ieri dal cda, ecco come si presenterà il settore approfondimento da settembre. Oltre a Fazio, di cui riportiamo ampiamente sopra, che si guadagna grandi spazi su Raiuno, Lucia Annunziata alla domenica pomeriggio su Raitre si vede raddoppiare il suo programma In mezz’ ora passando a un’ ora intera. Cartabianca di Bianca Berlinguer (che si disse fosse uno dei motivo d’ attrito tra Campo Dall’ Orto e l’ area renziana) mantiene le posizioni in palinsesto sia nella striscia settimanale del preserale sia in seconda serata. Sempre su Raitre arriva da Raidue Michele Santoro al giovedì con i suoi programmi tra teatro, inchiesta e talk. Su Raidue al posto di Gazebo arriveranno Le storie di Gramellini, dal lunedì al venerdì alle 20,30 e il giornalista manterrà anche lo spazio del sabato sera. La domenica Fazio sarà sostituito da vari programmi come Andiamo a governare .
«In Repubblica-Stampa comanda sempre la Cir» Ma il futuro è un rebus
Il Giornale
Marcello Zacché
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Un breve cda ha ieri confermato le anticipazioni: Carlo De Benedetti, dopo 35 anni, lascia il gruppo Espresso di cui era presidente. Manterrà la carica onorifica, mentre al suo posto arriva il secondogenito Marco, cooptato su proposta del fratello Rodolfo, consigliere in quota Cir, e nominato presidente seduta stante. In un comunicato l’ Ingegnere ha ringraziato tutti e ha spiegato che la tempistica non è casuale ma arriva alla conclusione «dell’ operazione di integrazione tra Espresso e Itedi, che ho fortemente voluto». Fine delle note ufficiali. E inizio di tutto il resto, cioè della domanda che si fanno in tanti: che ne sarà del nuovo gruppo chiamato Gedi? Che nasce venerdì prossimo con il «closing» della fusione tra le società che controllano Repubblica-Espresso e Stampa-Secolo? Sulla carta non succederà niente: la Cir dei De Benedetti ha il 43% del capitale mentre la Exor degli Agnelli e di John Elkann parte dal 4,2%. Marco De Benedetti, che ieri ha incontrato insieme con il papà le rappresentanze sindacali del gruppo, a Roma, ha detto loro che la scelta del nuovo presidente è nella continuità: c’ è un socio di controllo che si chiama Cir al cui fianco si sono aggiunti soci di minoranza che hanno condiviso un progetto. Punto. E la governance del gruppo è ancora più convincente: patto di sindacato che prevede presidente e ad di nomina Cir, con l’ impegno di Exor a votare la lista del socio di maggioranza. Eppure la suggestione di un gruppo destinato a spostare il baricentro a Torino, soprattutto dopo l’ uscita dell’ Ingegnere, resta forte in tutti gli ambienti più informati e sensibili: dalla politica, alla finanza, alle redazioni dei giornali. Perché mai? Un peso ce l’ hanno i profili personali: da un lato Rodolfo e Marco De Benedetti mai realmente folgorati dall’ editoria e dunque possibili futuri venditori; dall’ altro Elkann, che invece folgorato lo è eccome, orgoglioso di incarnare in questa indole quella del nonno Gianni Agnelli. Che però sceglieva lui direttori, di Stampa e Corriere. Manca ancora qualcosa, dunque. Sul lato editoriale, invece, tutto ruota intorno al difficile momento di Repubblica, dove comanda un direttore, Mario Calabresi, che arriva proprio dalla Stampa di Elkann, ma che sembra aver colpito più il portafoglio dell’ Ingegnere, per il cattivo andamento del bilancio cartaceo, che il suo cuore di editore. A questo si è aggiunto il buon momento del Corriere della Sera, il concorrente che con Urbano Cairo ha ritrovato vitalità e prodotti e riconquistato saldamente il primo posto nelle vendite. Tra le novità targate Cairo la prossima sarà il lancio del dorso torinese del Corriere, entro metà settembre: un bel disturbo per la Stampa, proprio a casa sua. Un primo segnale arriverà presto: con il closing di fine mese si vedrà che fine farà quel circa 10% di capitale Gedi che verrà assegnato agli azionisti Fca (come avvenne per Rcs): se Exor dovesse presto attingere da qui (sul mercato) per aumentare di molto la sua quota del 4,2%, la «suggestione» di cui sopra diventerà un po’ meno tale.
Repubblica.it e Tgcom24 i siti più seguiti
Il Giornale
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È il sito di Repubblica il principale brand di informazione italiano al quale si affida chi cerca notizie online, seguito da vicinissimo da Tgcom24. Nella classifica dei top brands Repubblica.it è utilizzato settimanalmente dal 28% degli utenti, TgCom24 da 27% e Sky Tg24 dal 26%. Poi il sito dell’ Ansa, usato settimanalmente dal 21%. Quinto il sito del Corriere della Sera con il 20%. Poi i siti di Rainews (16%), del Fatto quotidiano a pari merito con Yahoo! News (15%), Notizie Libero (14%), l’ Huffington Post, i siti dei quotidiani regionali e locali e il sito del Sole 24 Ore (tutti con una percentuale del 14%), il TgLa7 online (13%), MSN News (12%), La Stampa online (11%), i siti delle radio commerciali (9%).
Fazio, 11 milioni in 4 anni Ma è lite tra i consiglieri
Il Messaggero
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Fazio resta in Rai a caro prezzo. Spicca la cifra del suo compenso (proposto) nei palinsesti autunnali presentati dal nuovo direttore generale Mario Orfeo che ieri in Cda sono stati approvati con cinque sì. Ha votato contro il consigliere Arturo Diaconale. Assenti invece Giancarlo Mazzuca che aveva annunciato impegni famigliari e Carlo Freccero che invece ha abbandonato il consiglio in forte polemica con il dg a cui ieri continuava a fare osservazioni rimaste senza risposta. «E allora io non ho voluto essere complice e me ne sono andato», ha detto Freccero. L’ ESCLUSIVA Fabio Fazio non guadagnerà 240 mila euro, questo era il famoso tetto. Il conduttore di Che tempo che fa passerà dalla terza rete alla prima. Un balzo che comporta maggior impegno, costi più alti e remunerativi, come quelli legati alla pubblicità. E quindi, spiegano dalla Rai, la promozione si rifletterà sul suo portafoglio. Il contratto di Fazio prevede 32 domeniche in prima serata e 32 lunedì in seconda serata, un’ esclusiva di 4 anni con un cachet annuale di 2,2 milioni l’ anno più altri 500.000 annui legati al format e alla produzione. Prima il conduttore prendeva meno: 1,8 milioni l’ anno. Ora lo stipendio totale sfiorerebbe gli 11 milioni di euro che comprenderebbero anche comparsate al Festival di Sanremo. Ma Fazio è la Rai, è un «personaggio identitario» secondo i consiglieri Rita Borioni e Franco Siddi. Un contratto che ha ottimizzato le risorse, non certo uno spreco per il consigliere Guelfi, «L’ azienda rimane ancorata al mercato»,commenta la presidente Monica Maggioni. Il dg ha ringraziato il cda inaugurando una nuova era più fluida con la politica, anche se al prezzo di dissensi forti (Freccero annuncia una conferenza stampa molto battagliera) e dove prima sugli stipendi erano prevalsi imbarazzi e contorte definizioni di artista e conduttore tv. E infatti non tutti hanno festeggiato. Per Forza Italia e per la Lega è una «vergogna», per il dem Michele Anzaldi uno «schiaffo al Parlamento» e si dice pronto a coinvolgere Vigilanza e Corte dei Conti. Vittorio Di Trapani del sindacato Rai si chiede ironico cosa segna l’ aumento di ingaggio da 1,8 a 2,8 milioni riprendendo una considerazione di Fazio che aveva parlato della Rai come di un’ azienda termometro delle ingerenze politiche. Altri contratti importanti per il prossimo autunno sono stati siglati con Luca & Paolo che condurranno Quelli che il calciO su Rai2. I palinsesti approvati ieri vedono il ritorno di Michele Santoro su Rai3, la cancellazione dell’ Arena di Massimo Giletti (che andrà a condurre un ciclo di speciali il sabato sera), il ritorno di Domenica In con la conduzione di Cristina Parodi e una rubrica divulgativa di Alberto Angela, Marco Liorni e Francesca Fialdini alla conduzione di La vita in diretta, Benedetta Rinaldi a Unomattina. Restano I soliti ignoti condotto da Amadeus. Venerdì 15 settembre ci sarà una serata speciale con un concerto di Andrea Bocelli ed Elton John dal Colosseo. Tra le altre novità, il programma della campionessa paralimpica Bebe Vio, La vita è una figata e il programma quotidiano Pointless , game show matematico importato dalla BBC. Attesi anche due speciali di Giorgio Panariello prenatalizi. Su Rai3, confermato il doppio appuntamento di #Cartabianca. Al Posto di Gazebo ci saranno Le storie di Gramellini. Al posto di Che tempo che fa, il sabato, ci sarà una versione più lunga di Blob e poi di nuovo Gramellini con il programma Le parole. La domenica, invece, Raitre sperimenterà un nuovo format alla Rovazzi: Andiamo a governare, in cui una strada, un quartiere o un piccolo centro viene messo in condizione di autogovernarsi.
Al via Class Digital Experience Week
Italia Oggi
MARCO LIVI
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Prenderà il via lunedì la seconda edizione di Class Digital Experience Week, la settimana dedicata allo sviluppo della conoscenza dell’ innovazione digitale e delle sue straordinarie opportunità a servizio di tutti i cittadini, per vivere al meglio nella nuova era. Ideata e organizzata da Class Editori, la manifestazione (www.classdigitalweek.it) trasformerà Milano nella capitale mondiale del digitale durante la settimana che va dal 26 giugno al 2 luglio: il pubblico avrà la possibilità di assistere e partecipare, gratuitamente, a un ricchissimo calendario di conferenze, workshop e prove pratiche aperte. Ad inaugurare la conferenza di apertura a Palazzo Mezzanotte (sede di Borsa Italiana), lunedì 26 alle ore 10, sarà Roberto Maroni, presidente di Regione Lombardia che interverrà insieme a esperti e scienziati di rilievo internazionale per affrontare uno dei temi di maggior interesse e attualità per lo sviluppo della città di Milano e per l’ Italia 4.0: «Il caso Human Technopole, Milano capitale del digitale e delle scienze per la vita?». Il workshop del pomeriggio, dedicato a «I Protagonisti del digitale: idee e progetti a confronto», vedrà invece l’ intervento di Martin Ford uno dei massimi esperti di intelligenza artificiale e robotica autore del best seller “Il futuro senza lavoro. Accellerazione tecnologica e macchine intelligenti. Come prepararsi alla rivoluzione economica in arrivo”. La sette giorni dedicata al digitale è realizzata con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano e vede la presenza di importanti partner & driver: a2a, Allianz, Amsa, CheBanca!, Enel, Generali, Geox, Gufram, EY, Intesa SanPaolo, Ivri, Luiuc, Mondadori store, Posete Italiane, Rds, Samsung, Schindler, Sorgenia, ST, Tim, Ubi, Unicredit, Università Bicocca, Università vita-salute San Raffaele, Young&Rubicam group, Ibm, Akamai. Location partner, oltre a Borsa Italiana, Pegaso università telematica, Mondadori Megastore e Rizzoli galleria. Outfit partners: Xacus e Rrd, per una produzione The next event. «Class Digital Experience Week rappresenta una straordinaria occasione di visibilità per le aziende che hanno aderito perché hanno la chance di entrare in contatto diretto con la gran parte della cittadinanza milanese, e non solo», ha dichiarato Angelo Sajeva, Consigliere per lo sviluppo e le strategie editoriali di Class Editori e presidente di Class Pubblicità. «Con quest’ iniziativa la casa editrice conferma la propria capacità di ideare e realizzare eventi unici, che coniugano l’ innovazione espressa e comunicata in modo creativo con la ricchezza e l’ ampiezza dei contenuti trattati». Fra le novità dell’ edizione 2017, Il Bosco Digitale, un’ installazione ideata dall’ architetto Italo Rota che sarà posizionata in piazza Duomo, in pieno centro di Milano, su un’ area di complessivi 400 metri quadrati, a rappresentare il punto nevralgico da cui si snodano i diversi percorsi di Class Digital Experience Week. In tutte le culture il Bosco è il luogo simbolico della conoscenza, ecco perché «ho pensato a questo spazio techno magico nel quale il cittadino può vivere l’ incantamento dell’ era digitale recuperando la gioia della scoperta felice», ha detto Italo Rota. «Il Bosco Digitale è così un’ oasi nella quale ricaricare le batterie, proprie e dello smartphone; un’ isola urbana dove incontrare Biancaneve e il Coniglio con i loro messaggi video a flusso continuo; dove scaricare le app, modernissime monete d’ oro che seminiamo nei nostri device e, a differenza delle monete di Pinocchio, generano incredibili semi di conoscenza; e dove essere accolti da sorridenti Digital Ranger che, come moderni folletti, illustreranno soluzioni e innovazioni con un linguaggio che mescola tecnologia, rigore e gioco» conclude Rota. Ad accogliere i visitatori il robottino TJ Bot di Ibm, che interagirà con i visitatori registrando il sentiment della digitalizzazione milanese. All’ interno del Bosco Digitale ci saranno anche i tricicli a pedalata assistita E-clò di Amsa. Rota definisce quella tra il Bosco digitale «un’ avventura nel centro di Milano, un safari alla caccia di informazioni e suggestioni che rimbalzano tra grandi alberi pensati nella loro essenza strutturale», spiega. Il pubblico di ogni età, potrà camminare tra i futuristici alberi alti 9 metri, che con i loro rami retro-illuminati creeranno di sera un effetto di bosco magico. Al suo interno i visitatori si potranno perdere scoprendo le nuove tecnologie e soluzioni digitali che sono oggetto della manifestazione e che stanno cambiando, migliorandolo, il nostro modo di vivere. Fra gli alberi dei video proietteranno non stop le risposte alle domande sul digitale e sull’ evoluzione della tecnologia, oltre che tutte le informazioni relative agli appuntamenti della settimana. Il Bosco Digitale avrà anche una funzione pratica grazie all’ area Download & Reload che consentirà ai visitatori di scaricare le app dei Partner & Driver della manifestazione, ricaricare le batterie del proprio smartphone e navigare in internet nell’ area wi-fi free. Fra gli appuntamenti della settimana ci saranno diversi workskop di approfondimento che si terranno nelle sedi dei partner e driver della manifestazione oltre. Gli incontri saranno dedicati ai temi più significativi e attuali dello sviluppo tecnologico (il programma completo è pubblicato sul sito, http://www.classdigitalweek.it/workshop), fra cui «The Rise of Robots, L’ intelligenza artificiale sfida i nostri modelli di sviluppo», «Occhio al digitale! Come le nuove tecnologie aiutano il medico e soprattutto il paziente», «YouTube me publisher: I segreti della nuova editoria», «Bip future forum: resizing robots. How social collaboration can augment the human advantage», «Millenials e nativi digitali, Industria 4.0», «Live the exceptional EY experience».
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Si è dimesso Salvatore Padula, vicedirettore de Il Sole 24 ore. Padula, 58 anni, 28 dei quali passati a Il Sole ha preferito la strada delle dimissioni al posto della richiesta di prepensionamento avanzata dal giornale. Salvatore Padula è stato per 15 anni caporedattore di Norme e Tributi e da 4 anni guidava la sezione del giornale che in precedenza era affidata a Elia Zamboni. Padula sarebbe stato uno dei circa 40 prepensionamenti, in programma entro la fine del 2017, previsti dai vertici del giornale di Confindustria. Il 30 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro. Al momento la sezione di Norme e Tributi dunque è coordinata dai due caporedattori Jean Marie Del Bo e Mauro Meazza. Fastweb, la fibra fino a 200 Megabit arriva in 19 nuove città. La fibra di Fastweb arriva in 19 nuove città, dove oltre 250 mila famiglie e aziende avranno a disposizione connettività a banda ultralarga per navigare a una velocità fino a 200 Megabit al secondo in download e 20 Megabit in upload. Dopo aver lanciato a Milano e Torino l’ Ultra Fibra a 1 Gigabit in download e fino a 200 Megabit in upload, Fastweb amplia la copertura attorno al capoluogo lombardo con i Comuni di Buccinasco (Mi) e Cesano Boscone (Mi) ed estendendo la copertura nelle province di Bergamo e di Monza e Brianza raggiungendo Agrate Brianza (Mb), Bovisio-Masciago (Mb), Limbiate (Mb), Meda (Mb) e Seriate (Bg). Secondo lo stesso approccio, l’ estensione della rete in fibra ha riguardato anche due importanti centri limitrofi alla città di Roma (Ciampino e Guidonia Montecelio), Sesto Fiorentino (Fi), Molfetta e Trani in Puglia ed infine Trapani. Inoltre, nel mese di luglio, la rete in fibra ottica di Fastweb raggiungerà, nell’ hinterland milanese, anche i Comuni di Carugate, Pieve Emanuele e Settimo Milanese. Tim lancia la fibra a 1.000 Mega. Tim accelera con la banda ultralarga fissa e mobile, lanciando la connessione superveloce fino a 1.000 Mbps in 70 comuni e, da luglio, quella fino a 700 Mbps della rete 4.5G. Tutti i nuovi clienti possono aderire all’ offerta «Fibra e Mobile» in promozione direttamente dal web e possono richiedere connessioni da 100 fino a 1.000 Mbps e l’ opzione Mobile Special con 1 Giga di traffico fino al 4.5G, a 19,90 euro/4 settimane per 1 anno (poi 34,90 euro per ulteriori 3). Oggi Enigmistica si rinnova. Il settimanale di enigmistica edito da Rcs e diretto da Umberto Brindani martedì sarà in edicola completamente rinnovato. Cambia anche il giorno di uscita, adesso in edicola il martedì, e il prezzo della rivista che per il lancio sarà di 0,50 euro (0,30 euro se acquistato in abbinata a Oggi, in edicola dal giovedì). Con una tiratura di lancio di oltre 300 mila copie, il nuovo Oggi Enigmistica sarà sostenuto da una campagna multimediale. Il Tirreno regala 16 prime pagine storiche per i suoi 140 anni. Il Tirreno compie 140 anni e per celebrare il compleanno stamperà 16 riproduzioni di prime pagine storiche. Un modo per raccontare il passato ai lettori di adesso e per confrontare il giornale livornese che una volta si chiamava Il Telegrafo, nella sua impaginazione e impostazione grafica di un tempo, con quello di oggi. La prima delle riproduzioni da collezionare sarà in regalo oggi in edicola. RadioItalia e Citroën Italia sostengono Alice for Children. Il marchio automobilistico ha messo a disposizione della onlus milanese un furgone Jumper per i trasferimenti dei bambini delle baraccopoli di Nairobi, in Kenia, mentre RadioItalia, che crede nei progetti di Alice for Children dal 2009, sostiene la comunicazione e la promozione dell’ associazione in Italia attraverso spazi radio, interviste, materiale audio e video. L’ emittente ha attivato 10 adozioni a distanza a favore di ragazzi e bambini kenioti e segue da vicino il lavoro della onlus.
Gruppo Gedi De Benedetti lascia il vertice al figlio Marco
La Repubblica
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L’ Ingegnere resterà con l’ incarico di presidente onorario ROMA. Carlo De Benedetti lascia la presidenza di Gedi. Il nuovo presidente è il figlio Marco, classe 1962, manager esperto di finanza e telecomunicazioni. GIOVANNI PONS A PAGINA 14.
Il Cda Rai approva i palinsesti a Fazio 11,2 milioni in 4 anni
La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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MILANO LA FUMATA è bianca, i palinsesti della nuova stagione, grosso modo, sono approvati: ma soprattutto la Rai, per via del Cda riunito ieri, ha impugnato lo spadone e tagliato di netto il nodo principale. Fabio Fazio, cioè, il rinnovo del suo contratto, il futuro che resta targato Rai: a prezzo oneroso – lontanissimo da tutti i tetti possibili, siamo in pratica sulla luna che guarda i tetti – quattro anni di esclusiva, 11,2 milioni di euro tutto compreso – annessi e connessi vari. Con distinguo che interessano solo gli assatanati (ci sono dentro diritti e format etc per cui in teoria la cifra diretta sarebbe uguale al passato). Ma soprattutto c’ è il passaggio di Che tempo che fa a Rai1, la domenica sera e, qui sta il punto, un programma del lunedì in seconda serata, sempre Rai1, da cui potrebbero nascere meraviglie, forse. Nei commenti del neo-direttore generale Mario Orfeo e della presidente Monica Maggioni, il senso è univoco: «Non potevamo permetterci di perdere Fazio, con lui la Rai resta ancorata al top della tv». E Orfeo è ancora più netto: «Fazio è determinante per la leadership della Rai». E quindi che gli vuoi dire? È stato un Cda contrastato il giusto – Carlo Freccero se n’ è andato via in polemica, ma sul resto dei palinsesti, su Fazio e compensi non ha mai eccepito, anzi – ma alla fine, anche pressati dalla scadenza imminente della presentazione pubblica, la decisione. Che un minuto dopo è finita sotto l’ attacco pesante dei soliti noti, vedi il piddino Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza e, peraltro, portavoce di Renzi, pasdaran assoluto sul tema, che si è scatenato: «Il raddoppio del compenso a Fazio è uno schiaffo al Parlamento e agli italiani che fanno sacrifici. Per di più da un Cda che decide contratti ben oltre la durata del proprio mandato. La presunta riduzione del 10 per cento dei compensi annunciata nei giorni scorsi si è rivelata una presa in giro». Al momento Anzaldi forma una sorta di trio meraviglia con Maurizio Gasparri («È una vergogna, ci vediamo in Vigilanza») e Matteo Salvini («È una vergogna regalare undici milioni a Fazio e poi chiedere il canone a disoccupati e pensionati»). Ma il tono della polemica politica, se succederà, si alzerà davvero solo nelle prossime ore: se non succederà, vorrà dire che alla fine sotto sotto sono tutti un po’ contenti. Intanto in ambienti Rai, quelli giusti, si giudica «scomposta ma coerente » la reazione di Anzaldi, mentre si fa sapere che Fazio non stava bluffando e aveva almeno un’ offerta importante dalla concorrenza. L’ effetto Fazio – che in teoria ha solo ricevuto la proposta di contratto ma che nella realtà ha firmato eccome – sorvegliato saldamente nella trattativa dal super-manager Beppe Caschetto (Anzaldi fa allusioni pesanti al corroborante aumento anche per quest’ ultimo), scende a cascata sulle altre situazioni un po’ in bilico. Ovvero restano anche Carlo Conti e soprattutto Alberto Angela, più varie ed eventuali, Giletti che lascia l’ Arena e avrà dei sabato sera e cose così. Resta però quella suggestione Fazio del lunedì sera, per non parlare di apparizioni possibili a Sanremo (come ospite e poi chissà). Il conduttore ha chiuso il suo Che tempo che fa di stagione con la puntata in cui ha ospitato Fiorello ed è stato come una sorta di dimostrazione-show di cosa si potrebbe fare in quella Rai1 se, insomma, metti il caso. Presto per fare ipotesi vere, ma come si dice con decisione negli ambienti Rai di cui sopra: se c’ è uno che può riportare Fiorello in Rai, si chiama Fabio Fazio. ©RIPRODUZIONE RISERVATA L’ accordo prevede che il conduttore faccia un numero maggiore di ore di trasmissione “Che tempo che fa” passa su Rai1 la domenica sera Oltre a un programma in onda il lunedì PERSONAGGI In alto, Fabio Fazio resta alla Rai con un contratto da 11, 2 milioni di euro per quattro anni e il passaggio su Rai1 Sopra, Fiorello.
Fake news, il tallone d’ Achille di Facebook e Google
La Stampa
MAURO LUGLIO
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Caro Molinari, si discute sul futuro del giornalismo: con l’ avvento prepotente di Internet & C. gli addetti alla cara vecchia carta stampata si interrogano sul loro ruolo. Nel capolavoro «Alla ricerca del tempo perduto», Marcel Proust quasi un secolo fa si era rivelato buon profeta scrivendo: «Quel che io rimprovero ai giornali è di farci prestare attenzione ogni giorno a cose insignificanti, mentre non leggiamo che tre o quattro libri in tutta la vita dove ci sono cose essenziali. Bisognerebbe invertire le cose e mettere nel giornale i Pensieri di Pascal. Mentre è in uno di quei volumi che apriamo una volta ogni dieci anni che dovremmo leggere che la Regina di Grecia è andata a Cannes e che la Principessa di Leon ha dato un ballo in costume». Quotidiani sempre più simili a settimanali di gossip e telegiornali gemelli dei reality: è questo il panorama giornalistico attuale. Quello futuro? Mauro Luglio Caro Luglio, l’ interrogativo che pone è lo stesso che ha affrontato la conferenza internazionale sul futuro dei giornali svoltasi il 21 giugno a Torino, nella sede del nostro centro stampa. Il punto di convergenza fra giornalisti, direttori, editori e proprietari provenienti da quattro continenti è stato nella necessità di rispondere con la qualità alla sfida delle piattaforme digitali. Google e Facebook al momento dominano il mercato dell’ informazione digitale ma il fenomeno delle fake news ne mette in evidenza la debolezza: è la loro stessa struttura che li porta, volontariamente o meno, a essere vettori di informazioni non fondate nella realtà ma frutto di interessi specifici. Il tallone d’ Achille dei giganti digitali è nell’ incapacità di accertare la consistenza e l’ affidabilità della mole gigantesca di informazioni che diffondono senza interruzione sul mercato globale. Ciò significa che la risposta da parte della carta stampata sta nell’ affidarsi alla ricetta opposta: un’ informazione di qualità, frutto di un controllo minuzioso delle notizie da parte di professionisti competenti nelle singole materie. La credibilità delle testate giornalistiche è la miglior garanzia di affidabilità per i lettori contro le fake news. Da qui la necessità da parte dei quotidiani di investire su due fronti: la produzione di contenuti sempre più qualificati, competitivi, e lo sviluppo delle più innovative tecnologie per divulgarli su ogni piattaforma. Ed è una sfida che può essere vinta, nell’ interesse di tutti.
Fabio Fazio resta in Rai per 11,2 milioni in quattro anni
La Stampa
TIZIANA LEONE
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Un contratto di quattro anni con Rai 1. Undici milioni e 200 mila euro di stipendio. Per trentadue prime serate e altrettante seconde serate. Calcolatrice alla mano, due milioni e 800 mila euro l’ anno. Un milione in più rispetto al contratto precedente. Questa sarebbe la proposta che il direttore generale della Rai Mario Orfeo e il consiglio di amministrazione Rai avrebbero avanzato a Fabio Fazio per convincerlo a restare. E lui, ovviamente, è restato. Anche se da Viale Mazzini fanno notare che l’ incremento allo stipendio sarebbe dovuto a un impegno maggiore del conduttore e sulla rete ammiraglia Rai. Come anticipato da La Stampa, Fazio traslocherà la prossima stagione su Rai 1 con il suo Che tempo che fa la domenica in prima serata e il lunedì in seconda, costringendo persino l’ inamovibile Bruno Vespa a lasciare il suo appuntamento del lunedì che mai nessuno gli aveva toccato. «Non mi sento valorizzato», lamentava il conduttore un mese fa, ora potrà dormire sonni tranquilli tra le braccia di Orfeo o di qualsiasi direttore generale arriverà dopo di lui. Per un Fazio che lascia Rai 3, c’ è un Michele Santoro che è invece pronto a tornarci: per lui il direttore di rete Daria Bignardi ha già prenotato tre serate speciali in onda a dicembre in prima serata. Così come Gad Lerner sarà nuovamente in seconda serata con un’ altra serie di suoi reportage. Senza più l’ intrattenimento cultural-chic di Fazio, Rai 3 avrà sempre più una vocazione informativa, garantita anche dall’ arrivo della docu-fiction su mafia capitale e dal debutto di un format dal titolo abbastanza significativo Andiamo a governare . Rai 2 resta invece la rete in cerca di pubblico giovane e l’ arrivo di Luca e Paolo a Quelli che il calcio servirà proprio a garantire questa non facile missione: per il duo comico nel prossimo palinsesto c’ è anche Camera Café . Ai due comici genovesi, strappati dalla copertina di diMartedì di Giovanni Floris, costretto ogni anno a ripartire dal via, il direttore di rete Ilaria Dallatana ha affidato le uniche vere novità della prossima stagione che saluterà il ritorno di Mika, ma anche quello dell’ Ispettore Coliandro e di due puntate di Giovani e Ricchi , il format sui ragazzi esageratamente ricchi ed esageratamente sbruffoni che tanto aveva fatto gridare alla scandalo. Motivo per cui invece di una sola puntata, Rai 2 ne proporrà due. Si attendono interrogazioni parlamentari ed esposti del Codacons. L’ intrattenimento e la grande fiction sono invece il piatto principale del menù di Rai 1, che oltre allo speciale dal Colosseo con Andrea Bocelli e Elton John proporrà Un, due, tre Fiorella , tre prime serate con Fiorella Mannoia tra musica e ospiti. La musica tornerà protagonista anche nel day-time con Dimmi di te , programma a base di racconti musicali guidato da Niccolò Agliardi. Ad aprire invece la stagione della fiction saranno Luca Argentero con la serie fantasy Sirene , Bianca Guaccero con la fiction su malavita e danza Sulle punte e Elio Germano con il film-tv su Nino Manfredi In arte Nino.
Rassegna Stampa del 25/06/2017
Indice Articoli
«Facciamo coesistere carta e web»
Facebook: noi impegnati su fake news»
“Il dg Orfeo non capisce nulla di palinsesti. Sa fare il panino”
Ecco i tagli della Rai alle maxi -paghe dei big: undici milioni a Fazio
La Rai e il caso Fazio Bordate da Fico, esposto di Anzaldi
Il direttore generale è soddisfatto: così l’ azienda guadagna in pubblicità
La Rai epura il giornalista non allineato e senza agente
Rai, gli 11 milioni a Fazio mandano in bestia gli italiani
«Facciamo coesistere carta e web»
Il Sole 24 Ore
Paolo Bricco
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Per un paradosso della storia, in Italia – Paese senza una vera borghesia nazionale – in realtà, di borghesie, ce ne sono state tante. Paolo Bricco Irene Enriques, capoazienda della Zanichelli, è erede di una famiglia che rappresenta bene una particolare specie novecentesca: positivista nel metodo di conoscenza del mondo, anti-moraviana nello spirito, non fallita nell’ impresa e non parassitaria verso lo Stato e la pubblica amministrazione, perdente nel bilancio complessivo di un sistema nazionale in cui altre tribù – anno dopo anno, decennio dopo decennio – hanno preso il sopravvento. «È stato insieme difficile e facile crescere in una famiglia come la mia», racconta Irene, 50 anni e il fare simpatico e trattenuto della persona timida che esercita la responsabilità senza istinti di sopraffazione gerarchica o pulsioni padronali. Da Leonida, Irene – ultima generazione insieme al fratello Luca, giurista, e ai cugini Giovanni e Ferrante – ordina un piatto di gnocchi al sugo rosso e una insalata verde, mentre io prendo una bistecca ai funghi e una terrina di pomodori. Acqua minerale gassata per entrambi. In questa trattoria di Bologna, che si trova in un vicolo che dà su Strada Maggiore, capita che pranzino gli editori del Mulino. L’ ultima volta che ho mangiato qui – qualche anno fa – pochi tavoli più in là erano seduti Romano Prodi e Marco Tronchetti Provera. Bologna, Roma, Torino, Ivrea, Milano e di nuovo Bologna. Gli Enriques hanno fatto parte di quel sistema di famiglie del Nord Italia – prospere ma con più investimenti che liquidità, devote alla cultura più che al desiderio di arricchirsi, abili e dure negli affari ma con una morale non scevra di moralismi – che hanno segnato una parte minoritaria delle classi e dei ceti dirigenti italiani. Gli intellettuali un poco folli e gli industriali irrequieti di Lessico famigliare di Natalia Ginzburg, i commercianti e i nouveaux entrepreneurs dell’ Adalgisa di Carlo Emilio Gadda e i volti vitali, felici e tristi dei quadri di Carlo Levi: sono tutti morti, o quasi. Nell’ arco di un secolo la parabola degli Enriques mostra quello che è stato, quello che non è stato e quello che poteva essere. Spiega Irene, che quasi con timidezza prova a raccontare di sé e dei suoi maggiori, riconoscendo la valenza simbolica della sua famiglia: «La radice profonda della mia famiglia è culturale. In particolare, ci sono sempre stati due noccioli duri intellettuali: la giurisprudenza e la matematica». Il fratello Luca – già commissario Consob e oggi docente di corporate law a Oxford – appartiene al primo nocciolo duro. «Quando, a vent’ anni – dice quasi con una punta di imbarazzo Irene – iniziai senza convinzione la facoltà di legge e poi dopo decisi di cambiare, agli occhi della famiglia salvai la faccia iscrivendomi a matematica». Nata nel 1967, Irene è stata bambina nella Bologna degli anni Settanta («Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua, viene ucciso l’ 11 marzo 1977 a pochi passi dalla casa editrice, ricordo mio padre che porta me e mio fratello Luca in giro in macchina in una Bologna deserta e con camionette che sembrano piccoli carrarmati e che, a un certo punto, ci dice: “state giù”»). Poi, è stata adolescente nella Bologna degli anni Ottanta, l’ età del riflusso. Nel 1996 si è sposata con Özalp Babao lu, figlio di diplomatici della Turchia kemalista che, dopo il dottorato di ricerca a Berkeley e l’ insegnamento a Cornell, è diventato uno dei padri del sistema Unix e dell’ Open Industry Standards e che, oggi, insegna informatica all’ università di Bologna. Irene e Özalp hanno due figli: Nicola, matricola universitaria a fisica, e Emilia, che l’ anno prossimo farà la maturità scientifica. L’ albero genealogico di Irene dispiega il bisnonno matematico Federigo Enriques, professore universitario di geometria fra la fine dell’ Ottocento e l’ inizio del Novecento a Bologna e, dal 1921, a Roma; il nonno ingegnere Giovanni Enriques – amico da studente dei ragazzi di Via Panisperna, in particolare del futuro Premio Nobel Emilio Segrè – dal 1930 al 1953 è collaboratore di Adriano Olivetti e propugnatore della internazionalizzazione dell’ impresa di Ivrea. Il papà Federico, laureato in legge, e lo zio Lorenzo, in fisica, sono stati entrambi impegnati in Zanichelli e tuttora si alternano alla presidenza della società. Lo spirito del Novecento si è incarnato in questa famiglia in almeno due forme: la cultura scientifica e politecnica di stampo europeo, con il portato di razionalismo scientista e di magnifiche sorti e progressive, e la cultura industriale, che ha consentito ad un’ Italia agricola e fatta da piccoli mercati locali – per dirla alla Luigi Einaudi – di approdare a una industrializzazione tecnologicamente avanzata – come nel caso della Olivetti – e poi allo sviluppo – fra registro classico, scolarizzazione di massa e organizzazione di impresa – della Zanichelli. Scienze esatte e sistema industriale: due cuori del Novecento occidentale. Che, oggi, sembrano in parte atrofizzati e in parte consegnati alla memoria, in un Paese in cui è tornata a prevalere una slabbrata attitudine umanistica, peraltro languidamente degenerata nel pop, e in cui le tecnostrutture delle grandi imprese – bisognose di formalizzazione e di metodi quantitativi – hanno ridotto sempre più il loro spazio. «Quella doppia matrice – riflette Irene – si è ben integrata quando mio nonno, uscito dalla Olivetti, prese in mano nel 1956 la Zanichelli, che già da tempo era nel perimetro della famiglia. Da subito, in un settore alieno alle nuove tecnologie, dotò la Zanichelli di calcolatori, che in particolare servivano a gestire la distribuzione. In questo, il segno olivettiano è risultato notevole. Un altro elemento olivettiano è stata la cura nella costruzione di una rete commerciale diretta, importata da mio nonno, su scala minore ma con la stessa efficienza, dall’ impresa di Ivrea». Anno dopo anno, concentrandosi sui dizionari, l’ editoria per la scuola e l’ università, la Zanichelli – con gli Enriques azionisti al 90% e 350 dipendenti, di cui 120 a Bologna e 90 a Torino per il marchio Loescher – è diventata una realtà che, nel 2016, ha avuto un fatturato netto di 140 milioni di euro e un Ebit da 16 milioni (l’ 11,4% dei ricavi). «Cerchiamo il più possibile di difendere i margini – afferma Irene, che è direttrice generale dal 2006, quando il padre Federico venne eletto senatore con i Democratici di Sinistra – anche se questi ultimi sono strutturalmente calanti. Vent’ anni fa l’ Ebit era del 15 per cento. Il nostro punto di resistenza è il 10%: sotto questa soglia si esce dall’ area di sicurezza, perché l’ autofinanziamento non è garantito e si rischia la dipendenza dal credito bancario. A parte la tipografia, continuiamo a controllare tutto il ciclo produttivo: la fase editoriale, la distribuzione e la rete commerciale. Stiamo cercando di fare coesistere la carta e il web. In particolare, oggi, nella scuola il digitale è un complemento della carta. Ogni anno investiamo in esso fra i 3 e i 4 milioni di euro». Il lavoro culturale, la gestione oculata del patrimonio immobiliare e nessuna forma di sfarzo o di spreco, come si intuisce dal palazzo di Via Irnerio, un edificio di architettura fascista con gli uffici dotati di porte in legno e a doppio battente da anni Sessanta. Cento anni di investimenti e di risparmi. In una recente razionalizzazione societaria, è stata creata la Laboravi 2 con l’ esatto duplicato della compagine azionaria della Zanichelli, la quale – attraverso un patto parasociale – ha una priorità sulle risorse contenute, in caso di difficoltà sul mercato editoriale. A questa nuova società sono state conferite le attività non editoriali e l’ abbondante liquidità accumulata in tre generazioni. Sotto tutti i punti di vista – culturale, sociale e finanziario – questa particolare e minoritaria borghesia italiana ha sviluppato una traiettoria che non ha avuto – come invece è capitato la maggioranza delle volte – la forma della parabola con schianto finale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Facebook: noi impegnati su fake news»
Il Mattino (ed. Napoli)
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«Noi siamo una piattaforma, non editori. Siamo arrivati qui per parlare di fake news e di quello che si può fare su questo tema. Non è un fenomeno nuovo visto che le notizie false sono sempre esistite. L’ unica arma contro di esse è l’ educazione e il senso dell’ istruzione e rendere le persone in grado di essere padrone del contenuto che scrivono». Lo ha detto Delphine Reyre, responsabile public policy Europa di Facebook, intervenendo a Barletta a Digithon, la maratona delle idee digitali in corso in Puglia. «Noi abbiamo fatto un partneriato con un’ iniziativa della presidente della Camera Boldrini e il ministro dell’ Istruzione proprio per fare questo e cioè educare nella gestione di queste nozioni».
“Il dg Orfeo non capisce nulla di palinsesti. Sa fare il panino”
Il Fatto Quotidiano
Giampiero Calapà
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“Non capisco l’ uscita di Roberto Fico, sarà mica colpa di Fazio se l’ azienda gli offre più soldi?”. Carlo Freccero, consigliere d’ amministrazione della Rai reagisce così alle parole del presidente della Vigilanza, che ha definito Fazio “il classico comunista col portafogli a destra” per il nuovo contratto da 11,2 milioni di euro concesso dalla tv di Stato al conduttore per quattro anni. E anche per il resto Freccero, che ha lasciato l’ ultimo consiglio d’ amministrazione sbattendo la porta, ha le idee molto chiare: “Il nuovo direttore generale Mario Orfeo non capisce nulla di palinsesti e la tv di Stato è manipolata dall’ ex premier Matteo Renzi”. Su Fazio si è scatenato un ciclone, giusto o sbagliato? Quegli stessi membri del cda – uno fra tutti Marco Fortis, nominato dal Tesoro – che erano contrari a rimuovere il tetto con Campo Dall’ Orto, si sono improvvisamente convinti del contrario con Orfeo. Pare non interessi tanto la legge, in quanto tale, ma appoggiare o rimuovere un manager più o meno gradito a quella politica che fa le nomine. Il vero problema che stava dietro al teatrino dei compensi alle star era l’ esito del referendum. Perché? È dopo il 4 dicembre che Renzi decide di togliere la spina ad Antonio Campo Dall’ Orto, ritenendo che la Rai avrebbe dovuto fare di più per il “Sì”. Addirittura Renzi manipola la Rai. Dalla nomina di Campo Dall’ Orto ad oggi, ci siamo dovuti misurare, noi consiglieri, con la natura ambigua della Rai divisa tra servizio pubblico e televisione commerciale. Io volevo che fosse salvata sia la dimensione culturale del servizio pubblico che la sua redditività di grande azienda statale. Ora è emersa, però, una nuova dimensione della Rai che Renzi si era proposto di rimuovere: la dimensione politica, se non governativa. In breve, è la politica a dettare l’ agenda al Cda, in base alla presenza di persone più o meno gradite. Questo Cda ha un mandato che scade tra un anno, avremmo dovuto fare contratti di non oltre dodici mesi. Sì, ma così si sarebbe rischiato di perdere Fazio. Ci possono essere eccezioni. Ma, soprattutto, io ho chiesto che un contratto importante come quello di Fazio, per cui il dg Orfeo ha parlato di coerenza con il servizio pubblico, fosse alla base di una precisa strategia di programmazione. Faccio l’ esempio clamoroso della seconda serata di Fazio programmata su Rai1. Era l’ occasione per richiedere la rimodulazione della seconda serata per armonizzarla con quella di Fazio. In che modo? Se Fazio va il lunedì, allora Bruno Vespa il martedì, il rilancio del settimanale d’ inchiesta Tv7 il mercoledì, un programma sperimentale di Michele Santoro il giovedì e Renzo Arbore il venerdì: proposte che ho fatto a Orfeo. E invece di questa Telesogno-Freccero ? Constato che son rimaste le tre seconde serate di Vespa e addirittura il programma Petrolio è stato spostato il sabato sera alle 23.30, che io avrei trasferito a Rai3 per restituire lustro e importanza anche alla terza rete. L’ impressione è che non interessi a nessuno né la linea editoriale dell’ azienda, né le sue esigenze economiche. La Rai è oggi vista in chiave propagandistica per il governo e per i partiti. La domenica sparisce L’ Arena di Massimo Giletti. Certo, un contenitore dove potevano succedere “incidenti”. Meglio non avere nessun problema. Ho addirittura proposto Vespa per la domenica pomeriggio, ma niente. Questi palinsesti sono disorganici. Orfeo è un giornalista competente, ma non può applicare le sue strategie dell’ informazione alla programmazione, perché dimostra di non capire nulla di palinsesti. Il suo modello è il “panino” dell’ informazione unica, sadico con le opposizioni che disturbano la maggioranza. Report rischia di ritrovarsi di nuovo al lunedì su Rai3, contro le fiction di Rai1. La sua collocazione naturale sarebbe la domenica, ma tutto ciò che può dar fastidio va eliminato o contenuto per il direttore generale Orfeo.
Ecco i tagli della Rai alle maxi -paghe dei big: undici milioni a Fazio
Il Tempo
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Più di undici milioni in quattro anni: naufragato il tetto dei compensi per i big della Rai Fazio Fazio passa all’ incasso e si porta a casa un assegno a otto cifre. Un compenso annuo di 2.2 milioni che comprende il «trasloco» di Che tempo che fa su Rai 1 e che rappresenta quasi un raddoppio del cachet precedente. Ieri la proposta di accordo è stata approvata dal cda di viale Mazzini su indicazione del direttore generale Mario Orfeo che parla di «passaggio determinante nella strategia di consolidamento della leadership» mentre la politica, in un nutrito schieramento, parla di «vergogna», come Forza Italia e Lega, e di «schiaffo al Parlamento da una piccolissima casta di intoccabili» come Michele Anzaldi del Pd che minaccia di rivolgersi a Vigilanza e Corte dei Conti. Fazio secondo quanto si apprende guadagnerà 2.2 milioni di euro all’ anno per realizzare 32 puntate da tre ore in prima serata la domenica e altrettante da un’ ora in seconda serata il lunedì. Vanno sommati però circa 500mila euro l’ anno di crediti legati al format e alla produzione di Che tempo che fa che passa su Rai1. Pallottoliere alla mano, fanno oltre 11 milioni, che potrebbero aumentare se il conduttore geno vese dovesse ricoprire, come trapela da viale Mazzini, un qualche ruolo nel prossimo Festival di Sanremo. Ma come, si penserà, la deroga al tetto sui compensi dei big Rai prevedeva «riduzioni graduali» e Fazio si mette in tasca il doppio del precedente contratto? Fanno notare da viale Mazzini che la cifra annua sarà la stessa percepita su Rai3 ma con numerose ore di trasmissione in più, riducendo così il costo medio della puntata. Soluzione che fa comunque gridare allo scandalo Maurizio Gasparri che punta il dito sulla «vergognosa pioggia di milioni di euro con cui vengono innaffiati i conti bancari del capo dei valletti della sinistra tv», mentre il se gretario dell’ Usigrai, Vittorio Di Trapani, ironizza: «Il termometro di Fazio della “ingerenza politica” in Rai cosa segna oggi, con un aumento ingaggio da 1,8 a 2,8 milioni?». I palinsesti – che saranno presentati il 28 giugno alla Statale di Milano e il 4 luglio alla Nuvola di Roma -sono sta ti approvati a maggioranza dal cda, con cinque voti a favore. Contrario il consigliere Arturo Diaconale, assenti Carlo Freccero e Giancarlo Mazzuca, il primo in aperta polemica, il secondo per motivi personali. Curati i mal di pancia di Fazio a suon di milioni, anche un altro potenziale transfugo è stato assicurato al servizio pubblico. Alberto Angela condurrà Passaggio a Nord Ovest su Rai1 e Ulisse su Rai3 mentre a Massimo Giletti saranno affidate serate -evento del sabato. Infatti scomparirà L’ Arena mentre Domenica in sarà affidata a Cristina Parodi. Spazio alla prima della Scala, show con Fiorella Mannoia e Roberto Bolle e un concerto con l’ inedita coppia Andrea Bocelli-El ton John nel palcoscenico naturaledel Colosseo. Altra novità il nuovo game show Zero e lode mentre Luca e Paolo si accasano a Quelli che il calcio e portano Camera Cafè al posto di Gazebo. Confermati Mika, Il collegio, Pechino Express, Presadiretta, Report. In arrivo il rovazzianoAndiamo a governare, programma che affida la gestione di un quartiere odi un paese ai cittadini. Chissà cosa accadrebbe adottandola stessa formula alla Rai.
La Rai e il caso Fazio Bordate da Fico, esposto di Anzaldi
Corriere della Sera
Fabrizio Caccia
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ROMA «Sul nuovo contratto a Fabio Fazio si pronuncino l’ Anac e la Corte dei conti». È durissima la presa di posizione del deputato Pd, Michele Anzaldi, segretario della commissione parlamentare di Vigilanza dei servizi radiotelevisivi, all’ indomani del cda della Rai, che venerdì ha approvato le proposte di palinsesto del nuovo direttore generale, Mario Orfeo. E sancito che l’ azienda punta sul conduttore per il rilancio. Anzaldi ha inviato ieri una lettera-esposto al presidente dell’ Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone e al procuratore regionale del Lazio della Corte dei conti Andrea Lupi, chiedendo loro di accendere un faro sul rinnovo del contratto (pacchetto quadriennale da 2,2 milioni a stagione) al popolare conduttore di «Che tempo che fa», che dal prossimo autunno passerà da Rai3 a Rai1. «Oltre ad alimentare perplessità e indignazione in termini di opportunità morale per un’ azienda pagata per due terzi dal canone degli italiani – dice Anzaldi – il contratto solleva gravi dubbi in ordine alla legittimità e al possibile danno erariale causato al servizio pubblico». Dall’ Anac, però, fanno notare che «non esiste un potere d’ intervento sugli stipendi Rai da parte dell’ Autorità», che piuttosto ha un compito di «verifica del rispetto delle regole del piano anticorruzione» della tv pubblica. Insomma, la materia-stipendi non le compete. Ma quello di Anzaldi, ieri, non è stato l’ unico attacco sferrato dai partiti nei confronti dell’ anchorman savonese. Roberto Fico, presidente della commissione di Vigilanza della Rai ed esponente di spicco dei 5 Stelle, ha definito Fazio «il classico comunista col cuore a sinistra e il portafogli a destra» e ha parlato di «scandalo» e di «comportamento vergognoso» del conduttore. «Quando era stato preventivato di toccargli lo stipendio, Fazio voleva scappare in un’ altra tv – ha spiegato Fico, ricordando le polemiche sui compensi per i divi e il tetto inizialmente fissato a 240 mila euro l’ anno -. Ma ora che gli aumentano lo stipendio non vuole più scappare…». A questo proposito, suona curioso il paragone proposto dal senatore Pd, Salvatore Margiotta, che avvicina Fazio a Mauro Icardi, il capitano dell’ Inter, uno di «quei calciatori che alimentano le voci sul trasferimento ad altra squadra fino a che non gli venga ritoccato l’ ingaggio». «Lungi da me difendere Fazio simile a Icardi – conclude Margiotta – difendo invece un principio: per pochi, pochissimi artisti, è giusto fare eccezione a un tetto compensi». Ma tuonano anche Lega e Forza Italia: «Gli 11,2 milioni in quattro anni per 64 serate su 365 giorni gridano vendetta – attacca Jonny Crosio, senatore del Carroccio e membro della commissione di Vigilanza -. L’ ennesimo affronto etico e sociale di una rete pubblica solo a parole». E c’ è un tweet al vetriolo anche di Maurizio Gasparri, senatore azzurro: «Fazio, simbolo negativo, vero scandalo, vicenda illegale, sia obiettivo di una campagna popolare ostile». Da segnalare, poi, le parole di Carlo Freccero, che venerdì scorso aveva abbandonato la seduta del cda prima del voto e ora annuncia che darà battaglia «dall’ interno» al nuovo dg Mario Orfeo, perché «il mio dissenso non era solo per Fazio ma per tutto». Del contratto di Fazio la commissione di Vigilanza chiederà conto al cda Rai nell’ audizione prevista già dopodomani, 27 giugno. Il suo presidente “grillino”, Fico, annuncia interrogazioni «su tutta la questione palinsesti».
Il direttore generale è soddisfatto: così l’ azienda guadagna in pubblicità
Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA Al settimo piano di viale Mazzini, nei corridoi che uniscono gli uffici della presidente Monica Maggioni e del direttore generale Mario Orfeo e dove si affacciano quelli dei consiglieri di amministrazione, il dossier Fazio è noto: tra marzo e aprile, nelle ore bollenti delle polemiche sul tetto di 240 mila euro annui, il conduttore di «Che tempo che fa» ha avuto proposte consistenti per lasciare la Rai. Si parla di un’ offerta informale di Mediaset per il trasloco dell’ intera macchina produttiva all’ ombra del Biscione con un compenso superiore a quello poi siglato con la Rai. Si sarebbe fatta avanti anche Sky. Così come non sarebbero state chiacchiere gli interessamenti di Discovery (e della stessa Sky) per Alberto Angela e di nuovo di Mediaset per Carlo Conti (Dagospia a febbraio svelò un progetto per riportare il Festivalbar su Canale 5 con Conti). Tutti effetti del tetto introdotto dall’ articolo 9 della legge 198 del 26 ottobre 2016. Se non ci fosse stato il parere dell’ Avvocatura dello Stato che ha aperto la strada alle deroghe per i «divi» (e trasmesso al consiglio di amministrazione Rai dal sottosegretario allo Sviluppo economico Antonello Giacomelli) la Rai, dicono negli uffici della direzione generale, avrebbe registrato un esodo perdendo conseguenti, importantissimi contratti pubblicitari in un anno non proprio di vacche grasse nel settore. Per questa ragione il direttore generale Mario Orfeo, che segue gli attacchi politici al contratto a Fazio da 2,2 milioni di euro annui per quattro anni (più le voci legate alla produzione e al resto del cast del programma), dice comunque di essere «tranquillo e molto soddisfatto»: ritiene che la firma del contratto con Fazio rappresenti un consolidamento della leadership della Rai, soprattutto visto il passaggio della macchina di «Che tempo che fa» dalla prima serata domenicale di Raitre a quella molto strategica di Raiuno. Orfeo ha diretto il Mattino , il Tg2, Il Messaggero e il Tg1, quindi non sottovaluta le contestazioni dei partiti. Ma ora, da capo azienda di viale Mazzini, ripete che con la conferma di Fazio alla Rai, per di più su Raiuno, la tv pubblica può rilanciare l’ offerta all’ insegna dell’ innovazione (il contenitore di Fazio modificherà il proprio passo, vista la collocazione sulla rete ammiraglia caratterizzata da un pubblico più popolare rispetto a Raitre). Il nuovo direttore generale, parlando con i suoi collaboratori nelle ore della stesura definitiva dei palinsesti destinati alla presentazione mercoledì 28 a Milano, ha ripetuto che Carlo Conti, Alberto Angela, Fabio Fazio sono «pezzi pregiati» dell’ offerta Rai, cresciuti professionalmente nell’ azienda e capaci di proporre un prodotto strettamente connesso alla missione di servizio pubblico. Un loro addio sarebbe stato un «grande impoverimento dell’ offerta Rai», in termine di contenuti, di immagine e di ricavi pubblicitari. Il budget dei palinsesti 2017-2018, fanno sapere alla direzione generale, non è stato sforato rispetto alle previsioni: segno che ci sono stati altri tagli e risparmi. In quanto a Massimo Giletti, e alle polemiche sulla cancellazione de «L’ Arena», la risposta dei vertici Rai è nota da venerdì: al conduttore sono state offerte dodici grandi serate su Raiuno e «Domenica in» tornerà alla sua vocazione editoriale di grande intrattenimento. Fin qui la posizione di Orfeo. Ma fino a mercoledì è facilmente prevedibile che il barometro Rai dovrà registrare altre perturbazioni politiche.
La Rai epura il giornalista non allineato e senza agente
Libero
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PIETRO SENALDI «Ma tu da che parte stai?» bercia al telefono il commissario politico Rai di turno. «E se non l’ hai capito, significa che ho fatto bene il mio mestiere» risponde il conduttore dell’ Arena, Massimo Giletti. Un siparietto che in questi tredici anni di vita del programma d’ informazione del pomeriggio domenicale di Raiuno ha avuto luogo svariate volte ma che dall’ autunno prossimo pare che non ci sarà più. La nuova direzione della tv pubblica infatti ha pensato bene di non correre il rischio di rovinarsi la siesta del dì di festa con un programma e un giornalista di successo ma che fanno discutere, non controllabili e senza referenti politici. Meglio chiudere uno dei rari talkshow d’ informazione non in crisi d’ ascolti piuttosto che farsi mandare di traverso il pranzo della domenica dalle telefonate di qualche politico insoddisfatto, e chi se ne importa se lo share scenderà Comprendiamo, ma la scelta è discutibile, anche perché è la prima volta che alla vigilia della presentazione dei palinsesti la rete ammiraglia Rai abbatte un suo programma di punta, croce della concorrenza e capace di mettere in fila due mostri sacri come Maria De Filippi e Barbara D’ Urso. Sarebbe un po’ come se, per quieto vivere, un calciatore decidesse di amputarsi il piede destro o un pianista di infilare la mano nell’ affettatrice. La decisione infatti, senza nulla togliere a chi sarà chiamato a sostituire Giletti, non risponde a ragioni logiche né di mercato, visto che l’ Arena, con i suoi quasi 4 milioni di telespettatori, è per distacco la trasmissione leader del primo pomeriggio domenicale e, con 40 spot a puntata, assicura entrate pubblicitarie per 7-8 milioni a stagione. Per non essere tacciato di partigianeria, denuncio subito il mio conflitto d’ interessi. Da che sono direttore responsabile di Libero, poco più di un anno, l’ Arena mi ha invitato come ospite tre volte, per un totale di otto o nove interventi di pochi minuti. Ebbene, la cosa ha contribuito alla mia popolarità televisiva in maniera fondamentale. Ma questo forse, più che mio, è merito della trasmissione, straordinariamente vista, popolare e trasversale. Devo ringraziare Giletti anche per aver affrontato la «Patata bollente» del nostro titolo sulle rocambolesche gesta personali e governative del sindaco di Roma, Virginia Raggi, in una puntata in cui l’ opportunità della nostra scelta giornalistica è stata dibattuta in modo professionale, garbato e soprattutto laico, senza pregiudizi di sorta e dando voce a tutte le fazioni. Ciò detto, non è per questo che Libero si prende la briga di piangere l’ Arena. A roderci, è il tarlo del dubbio. In una Rai che, libera dal tetto degli stipendi, misura che abbiamo sempre contestato, ha deciso di puntare su grandi professionisti dell’ informazione, davvero non c’ era spazio per Giletti? Torna Santoro, la Annunziata raddoppia, la Berlinguer sarà riproposta sia in preserale, tutti i giorni, che il martedì sera, Gramellini andrà in onda sei giorni su sette, Fazio, dopo aver a lungo pianto miseria e ricoperto la tv pubblica di contumelie, si vede aumentare lo spazio e il compenso di un milione l’ anno (fino a quasi tre complessivi) e Giletti, l’ unico dei succitati non dichiaratamente di sinistra, chiude. Non vogliamo parlare di editto bulgaro o intonare il solito ritornello «se l’ avesse fatto Berlusconi», ma qualcosa non torna; o meglio, torna troppo. Giletti, che pur occupandosene, in tv non ha mai fatto politica, paga il fatto di essere fuori dal coro. Non appartiene al partitone Rai di tendenze prevalentemente sinistre che ogni volta che c’ è un vuoto di potere si allarga ed è pure sprovvisto di agente, ahilui, che conta solo sulla propria professionalità. Certo, dati i 27 anni al servizio dell’ azienda pubblica e i 13 al timone dell’ Arena, il nostro non sarà cacciato ma verrà rimosso con il dovuto garbo. Come Nicola Porro, al quale quando tolsero Virus fu offerto un programma di consolazione che il giornalista rifiutò per migrare a Mediaset, anche Giletti non sarà lasciato a piedi. Lo attende la serata del sabato sera, quanto di meglio; e allora perché si lamenta? D’ accordo, dirottato all’ intrattenimento il giornalista non potrebbe più fare il suo lavoro, quei servizi di cronaca e denuncia che tanto hanno dato fastidio al Palazzo, dalla battaglia sui vitalizi alla denuncia della mancata ricostruzione post-terremoto, alla riproposizione dello scandalo Fini, alle inchieste sugli sprechi pubblici in stile forestali calabresi. Tutti schiaffi al Paese sparati in diretta davanti a un pubblico in altri contesti disattento. Ma per il disturbo è previsto un lauto risarcimento; non certo alla Fazio ma comunque ben più dei circa 500mila euro percepiti da Giletti oggi, visto che la conduzione in prima serata, in termini economici vale il doppio. Insomma, per mutuare altri gerghi, si tratterebbe di un’ offerta che l’ interessato non può rifiutare. Forse confidando in questo l’ Arena è stata cancellata senza neppure informare l’ interessato. Il programma infatti è già stato montato nel video promozionale dei palinsesti 2017/18, che saranno presentati mercoledì. Resta da vedere se alla Rai non abbiano fatto i conti senza l’ oste. Chissà se Giletti accetterà lo scambio e rinuncerà a fare il giornalista dopo un trentennio di onorata professione? Glielo chiederemmo, se non gli fosse vietato parlare in questo momento, pena una multa alquanto salata. Certo è possibile che la vicenda si risolva nell’ ennesimo autogol di viale Mazzini. Un finale alla Floris o alla Porro, tanto per intenderci, con il professionista umiliato dalla tv pubblica che finisce a fare la felicità della concorrenza. Detto tra noi, ce lo auguriamo, in attesa che la privatizzazione della tv di Stato ci liberi, oltre che del canone, di certe logiche di Palazzo. riproduzione riservata.
Rai, gli 11 milioni a Fazio mandano in bestia gli italiani
Il Giornale
Paolo Giordano
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Paolo Giordano Stavolta Fazio ha messo d’ accordo tutti. Contro di lui. Raramente sui social network (una volta dalla sua parte) si è vista una contestazione così frontale. Migliaia di tweet e post contro le piroette strategiche e lamentose che in pochi mesi hanno portato «Fabiolo» da povero profugo Rai indignato (vedasi memorabile intervista a Repubblica del 31 marzo sul’«insuperabile vulnus» dell’ ingerenza politica a Viale Mazzini) a strapagato uomo di punta di Raiuno. Strapagato mica tanto per dire. Se è vero che incasserà 2 milioni e 200mila euro all’ anno per quattro anni (perché secondo alcuni bene informati le ulteriori clausole contrattuali farebbero salire il compenso a circa 20 milioni), Fabio Fazio porta a casa 7.600 euro al giorno, l’ equivalente di una quarantina di smart tv da 32 pollici. Come minimo, ora si attende un’ altra intervista a Repubblica per spiegare come sia stato sanato l’ nsuperabile vulnus. «Ogni sardo sborserà 1,5 euro per il suo stipendio» recita uno dei tweet meno feroci. In Lombardia o Lazio sono molto di più. Forse questa reazione così unanime ha spaventato persino chi, diciamocela tutta, ha consentito l’ operazione. Renzi, per capirci. Non a caso, viste le bordate sui suoi amati social, l’ ex premier ieri ha fatto filtrare a Dagospia il suo malumore: «Proprio ora il dg Orfeo doveva portare il contratto in cda? A tre giorni dai ballottaggi?». Però sono in pochi a credere a un Renzi ignaro della vicenda. È molto più probabile che, visto l’ imprevedibile patatrac nell’ opinione pubblica, stia provando a prendere le distanze per evitare di «metterci la faccia». L’ ennesima valutazione sbagliata del rottamatore. Il risultato è che, non soltanto sui social, Fazio è stato eletto coram populo come l’ ennesimo «comunista col Rolex». Michele Anzaldi, piddino in commissione Vigilanza, ha annunciato un esposto all’ Anac di Cantone e alla Corte dei Conti: «Il caso Fazio alimenta perplessità e indignazione in termini di opportunità morale». Roberto Fico, presidente grillino della stessa commissione, lo ha definito senza giri di parole «un classico comunista con il cuore a sinistra e il portafogli a destra». Persino l’ Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai solitamente molto cauto, si è scatenato. E non si conoscono le reazioni dei suoi colleghi in Rai. Ma si dice siano tutti comprensibilmente allibiti di fronte a una Rai che, con la scusa della crisi, elargisce spiccioli a collaboratori importanti e ricopre d’ oro un conduttore che fa molti meno ascolti di altri. Già, in fondo il vero «vulnus» è questo. È legittimo, per carità, aspirare a guadagnare di più e a migliorare la propria carriera anche se sei strafamoso e straricco come Fazio. Ma imbellettare questa bramosia con il cerone della «battaglia per la libertà» manda in bestia anche i più tolleranti. Specialmente in questo momento. E specialmente quando il servizio pubblico mostra limiti evidenti di lentezza informativa e anacronismo di tanti format dopo i tagli sanguinosi fatti a personale, autori e redazioni. Per farla breve, la solita vicenda all’ italiana, la tipica manfrina gattopardesca del «cambiare tutto per non cambiare nulla»” e favorire i soliti noti. Di nuovo, nel copione c’ è un Fazio che ha ballato meglio di Roberto Bolle sul filo della trattativa. Mostrando all’ esterno, anzi ai suoi compiaciuti supporter dall’ indignazione facile, un finto malessere per il controllo politico, proprio lui che ha fatto il casting dei suoi programmi con il manuale Cencelli. E poi lasciando circolare voci su trattative con La7 per un programma in prima serata (ma quando mai) e addirittura con Mediaset, una volta il tempio del male ma ora possibile approdo dopo la fuga dalla politica cattivona. Infine la firma e il passaggio su Raiuno. Un capolavoro strategico che rischia di rivelarsi una vittoria di Pirro. Soprattutto nel giudizio dei telespettatori. Mai sottovalutarlo.
Rassegna Stampa del 26/06/2017
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Pietrangelo Buttafuoco
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Jeff Bezos, il fondatore di Amazon e ras del Washington Post, dice che “il giornale di carta diventerà un oggetto di lusso”. Il giornalismo di qualità – ha spiegato il potente editore a Torino durante un incontro per i 150 anni de La Stampa – non è qualcosa che si può dare gratis. “Sarà come comprare un cavallo”, ha spiegato, “oggi nessuno lo usa per trasporto, ma perché è bello. E gli amici quando lo vedranno potranno dire wow!” Wow, è fatta. Tutta la fatica è dunque nel trovare i lettori disposti a spendere. John Elkann, il proprietario del quotidiano torinese, ha chiosato da par suo: “Solo un giornale che è in attivo può permettersi di essere indipendente”. Wow, è il caso di dire, visto che nessuno in attivo. E la malizia è d’ obbligo anche perché nella discussione piuttosto cerimoniosa, Bezos dà un affondo – “l’ obiettivo è raccontare il governo e fare il giornalismo d’ inchiesta” – e poi dice anche questo: “Non si può tagliare per raggiungere profitti”. Sono i famosi tagli – la riduzione dell’ organico, e la chiusura delle sedi periferiche – che nel caso italiano, soprattutto nelle testate più autorevoli, richiede una terza squisita qualità: lo sfruttamento dei giovani professionisti ridotti al rango di precari. Contratti a tempo determinato, manco a dirlo, e paghe miserabili. Non certo il passaggio obbligato dell’ apprendistato, anzi, la proletarizzazione del giornalismo – messa in atto da giornali che si sciacquano la bocca con la creolina dell’ autorevolezza – passa attraverso una beffa: quella di affidare poi ai precari il compito di riempire, non certo le note rosa o le necrologie, ma le delicate pagine della politica. Ed è così che importanti firme – cronisti agguerriti, alcuni dei quali portatori sani di notizie in un mondo sempre più paludato di veline – si ritrovano ad apparire tre mesi al Corriere della Sera, tre mesi a Repubblica e tre mesi a La Stampa, in uno psicotico carosello dove non si è più giornalisti, bensì giornalieri. Questi cronisti – sempre complimentati – come i braccianti agricoli “a giornata” si ritrovano a sperare di essere reclutati giorno dopo giorno nello stretto stagno del mercato. Il capo redattore, nel dorato mondo del giornalismo autorevole, è sempre un facente funzione di caporale agli ordini del soprastante – il direttore – concentrato più sulle cautele e prodigo solo nell’ attività di relazione: banchieri, politici, amici degli amici e, va da sé, amici cui elargire quei contratti negati ai veri lavoratori. “La terra ai contadini”, urlavano i giornalieri chiamando alla lotta i compagni durante l’ occupazione dei feudi. “Meno complimenti e più contratti” è la parola d’ ordine dei giovani giornalisti professionisti sfruttati nel frattempo che un John Elkann, caduto da cavallo, impari a dire wow!
Condé Nast: “La qualità informativa la via per battere Google e Facebook”
Affari & Finanza
Giorgio Lonardi
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[ L’ INTERVISTA] D al primo settembre Condé Nast Italia avrà un nuovo amministratore delegato. La promozione di Fedele Usai, attuale direttore generale dell’ editore di Vogue Italia, Vanity Fair, Wired, Glamour, è stata voluta da Giampaolo Grandi, che rimane presidente del gruppo. «Grandi – dice il futuro amministratore delegato – di cui condivido visione e strategie, ha investito molto sulla mia figura professionale ». E lo stesso presidente sottolinea il ruolo di Usai nel successo del progetto “Reinvent the Business”, l’ atterraggio del gruppo nel digitale. Il nuovo ad ha fatto carriera nelle principali agenzie di pubblicità italiane diventando nel 2009 amministratore delegato di Tbwa dopo essere passato per il Lingotto chiamato da Sergio Marchionne a guidare la comunicazione della Fiat . Quanto pesa il digitale sui conti di Condé Nast Italia? «Il digitale di Condé Nast negli ultimi anni ha raddoppiato il fatturato che nel 2017 supera i 20 milioni con una crescita del 18%. L’ aspetto più interessante è che il peso del digitale sui ricavi complessivi raggiungerà il 20%. Per il settore editoriale italiano è una quota di tutto rispetto. A questo proposito vorrei sottolineare che i siti di Condè Nast hanno 20 milioni di utenti unici al mese. Oltre a questi possiamo contare possiamo contare su una base di 13 milioni di fan sui principali social network». Però il fatturato del gruppo è diminuito durante gli ultimi anni, non è vero? «Nel corso degli ultimi otto anni il mercato nazionale della carta stampata ha perso il 47%: nello stesso periodo Condé Nast ha ceduto solo la metà di questo valore riuscendo a mantenere i conti in ordine grazie allo sviluppo del digitale e a un’ opera intelligente di controllo dei costi». Ci può dire qualcosa di più sull’ andamento della redditività? «Nel 2013 il giro d’ affari di Condé Nast Italia era di 150 milioni con un Ebitdadi 5,7 milioni. Quattro anni dopo, nel 2016, i ricavi sono calati a quota 128 milioni ma l’ Ebitda è cresciuto fino a 6,4 milioni. E per il 2019 contiamo di accelerare la crescita nel digitale che raggiungerà il 30% dei ricavi complessivi per passare al 37% nel 2020». Come avete raggiunto questi risultati nonostante Google e Facebook stiano prosciugando il mercato pubblicitario delle aziende editoriali? «Bisogna fare una premessa. Noi ci consideriamo una band mentre Google e Facebook sono dei jukebox. Oltre al targeting nel mondo della pubblicità c’ è molto di più e tutto gira attorno alla capacità di produrre contenuti di qualità. Noi editori dobbiamo puntare sulla centralità dei nostri brand e sulla bontà dei nostri contenuti: news, video, gallerie fotografiche, analisi. E tenerci stretto il lettore, il più possibile. Ma non è tutto». Che altro? «La qualità dei contenuti ci consente di avere un rapporto più intenso e stabile con i lettori. In questo quadro cambia la relazione con la pubblicità che per essere proficua deve risultare trasparente e performante. È il caso del native advertising per cui facciamo storytelling sul mondo dei brand che investono su di noi. O del più recente commerce content per cui proponiamo contenuti che hanno l’ obiettivo di favorire l’ e-commerce sul sito del cliente o sui market place che i clienti utilizzano ». Sul native advertising, John Elkann ha avuto recentemente parole piuttosto dure, sostenendo che questa pratica rischia di rovinare il rapporto con il lettore. Lei che ne pensa? «L’ importante è che tutto sia trasparente, che il lettore sia informato. E che dunque sappia che non lo stai tradendo». Su cosa punterà Condé Nast Italia nel prossimo futuro? «Intanto investiremo sempre di più sulle nostre testate pricipali: Vogue Italia, Vanity Fair, Wired. E poi punteremo sull’ incrocio fra contenuti e dati. Le faccio un esempio: grazie a Glamour abbiamo scoperto di avere in casa il più grande database italiano nel settore della bellezza: 116mila donne profilate per il colore dei capelli, il tipo di pelle, eccetera. Una scoperta che ci ha spinto a creareil primo osservatorio sulla bellezza assieme alla Bocconi». Parliamo di carta stampata: ha ancora un futuro? «Penso proprio di sì. A patto che sappia innovarsi e cambiare. In questa cornice sono molto orgoglioso che quest’ anno Wired Italia sia stato premiato come miglior magazine al mondo. Un riconoscimento che arriva dagli Spd Awards, gli “Oscar” che premiano le più belle riviste presenti sui mercati internazionali. Abbiamo battuto testate come The New York Times Magazine e lo stesso Wired Usa. Ma non è tutto perché dopo aver raggiunto il pareggio nel 2016 da quest’ anno Wired Italia è in utile. Gran parte del merito va al boom del Wired Next Fest di Milano che si è concluso da poche settimane con oltre 150mila presenze». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il settimanale Vanity Fair Il mensile Wired Il mensile Vogue , nella foto grande Fedele Usai, neo amministratore delegato dell’ editoriale Condé Nast.
Marchetti va controcorrente E stampa un giornale di carta
L’Economia del Corriere della Sera
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Ci sarà naturalmente Federico Marchetti per presentare domani a Londra il nuovo Tech Hub di Ynap (Yoox Net-à-porter), il gruppo leader nell’ ecommerce del lusso che unificherà i team tecnologici che il gruppo ha nel Regno Unito. Un nuovo polo pensato per sviluppare, in casa, soluzioni avanzate per rispondere alle richieste dei consumatori digitali. L’ area, come preannunciata, è quella di White City Place, 6.500 metri quadrati che potranno accogliere fino a 650 dipendenti. Tra le tante innovazioni che saranno presentate domani, a partire dalla logistica pensata per adattarsi via via ai bisogni di chi occuperà gli spazi, colpisce il fatto che in una società ipertecnologica come Ynap resista, e cresca, un prodotto molto tradizionale: un giornale di carta. Si chiama Porter ed è una rivista patinata dedicata ovviamente alla moda con tanto di redazione dedicata di cui Ynap stampa e distribuisce più di 180 mila copie ogni due mesi. Perché il cliente del lusso ama ancora una delle cose più tradizionali che c’ è, la carta. Pure se al gruppo tengono a precisare che non è una rivista del tutto classica dal momento che attraverso un’ app dedicata permette il riconoscimento visivo in negozio e di fare acquisti. Ma tant’ è, anche la rivista – dicono al gruppo – è parte integrante del successo del marchio. Anzi, l’ ultimo audit ha messo in evidenza una crescita del 6% anno su anno. Ad amare di più il magazine sono gli americani: al primo posto la California, seguita da New York e Florida. Secondo Paese per apprezzamento il Regno Unito, cui seguono Germania, Italia e Francia. Poi si va dall’ altra parte del mondo, a Hong Kong. Intanto domani Marchetti racconterà il nuovo progetto, annunciato subito dopo il referendum per l’ uscita del Regno Unito dall’ Europa, la Brexit. Nel presentare il nuovo hub, l’ amministratore delegato di Ynap aveva detto: «Penso che il nostro technology team possa prosperare in un ambiente all’ avanguardia, che riflette i valori e la visione futura delle vendite online di lusso. Sir Nicholas Grimshaw (l’ architetto britannico che ha progettato il nuovo quartiere di Ynap, ndr. ) e il suo staff hanno brillantemente trasferito la nostra cultura e le nostre esigenze in uno spazio di lavoro che sarà un punto di vanto per il gruppo». M. S. S.
Il digitale è più veloce dei Codici
Il Sole 24 Ore
LucaDe Biase
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Le dimissioni da ceo di Travis Kalanick il duro – pure troppo – co-fondatore di Uber potrebbero aprire una nuova pagina per la storia di quella società che è stata prima simbolo di ciò che è la sharing economy e poi di ciò che di solidaristico ha poco o nulla. In effetti, il rapporto di Uber con le regole è sempre stato controverso, con conseguenze ambigue sulla sua immagine, legittimazione e legittimità. In ogni città e in ogni paese la piattaforma che ha creato un’ alternativa al trasporto urbano si è trovata a combattere le norme che governano il servizio dei taxi: godendo, all’ inizio, dell’ appoggio degli innovatori favorevoli all’ introduzione di un sistema competitivo in un settore che appare invece corporativo; ma generando, in seguito, anche dubbi per il modo in cui tratta i lavoratori, per le modalità della formazione del prezzo del suo servizio, per una cultura aziendale eccessivamente aggressiva. Con l’ uscita di scena del ceo di Uber, accusato di essere disinteressato alle norme legali ma anche alle norme sociali che governano una civile convivenza tra i generi, il tentativo di ripristinare una certa credibilità della piattaforma è avviato. Ma la storia di Uber, eccessiva da molti punti di vista, è esemplare: molte di queste società, da Uber ad AirBnb, da Apple a Facebook, da Google ad Amazon, sembrano sempre in rotta di collisione con i sistemi legali. Da un lato, mettono a nudo le inefficienze e le rendite di posizione garantite anche da leggi più adatte al passato che al futuro; dall’ altro lato, sono accusate di prosperare aggirando i vincoli fiscali, le regole per la protezione dei dati personali, le norme sulla concorrenza, le garanzie per i consumatori, i diritti dei lavoratori. Quale può essere l’ evoluzione di tutto questo? L’ accelerazione innovativa impressa dalle piattaforme digitali in alcuni settori si configura innanzitutto come una sfida sul piano dei modelli di business. Editoria, turismo, commercio sono tra i settori che molto hanno risentito della digitalizzazione. La tecnologia abbatte i costi di transazione, rimette in discussione le ragioni di scambio, riduce le barriere protettive per settori e categorie professionali, modifica le strutture dei mercati. E, appunto, sfida le norme tradizionali: creando dimensioni operative che consentono di aggirarle o riformularle e imponendo alle autorità politiche o giudiziarie un ritmo di adeguamento che non sempre queste istituzioni sembrano in grado di tenere. Ma il primo passo è quello di definire di che cosa stiamo parlando. La sagacia di molte di queste piattaforme è stata quella di richiamarsi a concetti socialmente avvertiti e di sollecitare la sensibilità di chi pensa che i sistemi tradizionali non siano altrettanto consapevoli: definire sharing economy il lavoro di Uber, per esempio, è stato un colpo magistrale. Condividere asset non sfruttati appieno per offrire servizi in mercati poco efficienti era un bel modo di presentare le idee di Uber, di AirBnb e altri. Aiutava la legittimazione, se non la legalità delle loro operazioni. Ma col passare del tempo, l’ aspetto finanziario ha sovrastato quello sociale. In certi casi, come appunto in Uber o Foodora o altri, le logiche di governo dei lavoratori hanno assunto forme che apparivano progressivamente dure nei loro confronti e i tribunali che hanno considerato quelle società non come piattaforme che abilitavano un mercato socialmente utile ma come sistemi di gestione di lavoretti on demand, con vantaggi eccessivamente asimmetrici si sono moltiplicati. Nello stesso tempo le prese di posizione delle autorità, per esempio europee, contro la condotta economica dei giganti digitali come Google, Facebook, Apple, in termini di protezione della privacy, di garanzia della concorrenza, di lotta all’ elusione fiscale, si sono fatte progressivamente più dure. La difesa delle categorie attaccate dall’ innovazione, come gli albergatori, ha trovato una formulazione normativa innovativa nella distinzione di trattamento tra chi fa un’ attività di ospitalità amatoriale e chi ci costruisce una vera e propria professione. Ma il problema in genere non è di mancanza di leggi. Il problema delle autorità è quello di non arrivare troppo tardi con troppo poco nell’ applicazione delle leggi esistenti alle condizioni economiche in accelerato mutamento che si determinano nel contesto digitale. In effetti, la materia di cui sono fatte le piattaforme digitali è il software, cioè – come dicono i programmatori – il codice: proprio come le leggi diventano i codici che regolano la società, anche il software, gli algoritmi, le interfacce, sono codice che regola la società. E le due accezioni del termine codice tendono a farsi concorrenza: essendo le leggi determinate da processi lenti ma teoricamente democratici ed essendo il software generato da processi veloci ma di solito orientati a perseguire gli interessi e i valori particolari di chi lo scrive o lo finanzia. L’ equilibrio per ora è lontano, ma si troverà in un salto di qualità nella consapevolezza delle autorità politiche e giudiziarie per quanto riguarda l’ importanza della dimensione digitale nella vita quotidiana. Una classe dirigente finalmente alfabetizzata è da tempo necessaria per le società digitalizzate. Questa tecnologia non è più il futuro. È la realtà nella quale è immersa la società. Solo da qui può partire un legislatore sagace che si attrezza ad avere senso nel contesto attuale e modifica i processi per soddisfare le necessità di coesione sociale e convivenza civile. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fiorello fa il mattatore al Premio Biagio Agnes
Il Tempo
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I l caso Fazio aleggia a SorrentomaFiorelloèunmaestro nello sdrammatizzare. «Fazio suRai1 eDonnarumma presentaSanremo.Nelcasoarrivo anch’io. Per la Rai lavorerei gratis», scherza con il direttore generale Mario Orfeo il mattatore siciliano sul palco del Premio Biagio Agnes. La manifestazione,presentata da Alberto Matano e Francesca Fialdini e ripresa dalle telecamere di Rai 1, ha assegnato sedici riconoscimenti a illustri giornalisti e protagonisti della comunicazione che si sono contraddistinti per innovazione e professionalità. Dall’ economia alla cronaca fino allo sport senza dimenticare medicina e spettacolo: sono stati i protagonisti della IX edizione del premio intitolato all’ ex direttore generale Rai ideato e promosso dalla Fondazione Biagio Agnes, presieduta dalla figlia Simona. Degli illustri ospiti spiccano le testimonianze del direttore di Bloomberg News, John Micklethwait, a lui la giuria ha riconosciuto il Premio Internazionale. Il Premio Stampa Periodica è stato attribuito al direttore di Panorama Giorgio Mulé, da una sua idea è nato il progetto Panorama d’ Italia sbarcato anche in America. A Massimo Gramellini va il Premio Giornalista scrittore. Mario Ajello vince il Premio Cronaca e Attualità mentre Carla Massi si aggiudicala sezione Medicina e Informazione Scientifica. Mail protagonista della serata è stato l’ animo poliedrico e innovatore di Fiorello che si aggiudica il Premio Nuove Frontiere con la trasmissione Edicola Fiore, su Sky Uno e su TV8. A Carlo Conti, direttore artistico e conduttore delle ultime edizioni del Festival di Sanremo, è stato consegnato uno dei cinque Premi Speciali previsti quest’anno dalla giuria presieduta da Gianni Letta. Gli altri quattro sono stati consegnati a Uno Mattina (per i 30 anni della messa in onda); Scarp de tennis,mensile di impegno sociale; Correo de Andalucia del gruppo Maldonado e Premio Speciale alla Memoria di Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai scomparso meno di un anno fa. Il Premio alla Carriera quest’ anno è stato riconosciuto a Gianni Clerici per il suo modo di raccontare il tennis. Premio per la Carta Stampata al direttore de La Stampa Maurizio Molinari mentre nella categoria Under 35 trionfa Caterina Dall’ Olio, videomakere inviata di Tv2000. Il Premio perla Televisione va al divulgatore scientifico Alberto Angela per il suo racconto di mondi vicini e lontani attraverso il mezzo televisivo. A Carmela Giglio, Radio Rai, è stato attribuito il Premio per la Radio. La Fondazione Agnes, in linea con lo spirito che la anima, anche quest’ anno ha assegnato una borsa di studio ad un giovane giornalista praticante dell’ Università Luiss Guido Carlo di Roma. Appuntamento per l’ anno prossimo con la decima edizione del Premio Biagio Agnes tra continuità e innovazione.
L’ evoluzione dell’ editoria digitale: via al monitoraggio dell’ osservatorio delle testate nazionali e locali
Corriere dell’Umbria
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AROMA -E’ nato l’ Osservatorio permanente sulle realtà editoriali digitali avviato dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in collaborazione con l’ Associazione Nazionale della stampa online (Anso). Obiettivo primario- spiega una nota dell’ Autorità- è quello di monitorare lo stato e l’ evoluzione dell’ editoria digitale nonché le sue reali dimensioni nel più ampio contesto di analisi dei media al fine della tutela del pluralismo e alla luce della nuova legge sull’ editoria (n 198 del 26 ottobre 2016) che definisce, per la prima volta, il quotidiano online e le sue peculiarità. Il quotidiano locale ha una funzione strategica e spesso è lo strumento principale di informazione per i cittadini, conservando una propria identità anche grazie alle piattaforme social che consentono un feedback costante con il territorio. Agcom avrà il ruolo di garante nell’ accuratezza della raccolta dei dati in questo B progetto innovativo.
Circolare n. 23 del 26/06/2017 – Legge riforma editoria – Decreto legislativo di ridefinizione della disciplina dei contributi diretti: criteri di calcolo dei contributi nell’ipotesi di testate digitali
Facciamo seguito alla nostra circolare n. 7 del 03.04.2017 relativa allo schema di decreto legislativo recante la ridefinizione della disciplina dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, adottato ai sensi dell’articolo 2 della legge 26 ottobre 2016, n. 198.
Nella scorsa circolare abbiamo affrontato il tema relativo ai criteri di calcolo dei contributi nell’ipotesi di testate cartacee e digitali.
Come abbiamo anticipato, in questa circolare analizzeremo i criteri di calcolo dei contributi per le imprese editrici di quotidiani e periodici diffusi esclusivamente in formato digitale.
Ricordiamo, inoltre, che come segnalato nella nostra circolare n. 18/2017 è entrato in vigore il decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 che entrerà in vigore a partire dai contributi relativi al 2018. Il decreto legislativo ha modificato alcune delle norme contenute nello schema del decreto, ma riteniamo opportuno prima concludere la rassegna dei singoli articoli e, successivamente, tornare sulle modifiche.
Ci auguriamo di chiudere prima dell’estate l’analisi delle nuove disposizioni in modo da poter predisporre un testo che consenta una lettura unitaria della nuova disciplina.
L’impianto generale del sistema rimane, come per l’edizione cartaceo, lo stesso; infatti, nella sostanza, il contributo viene distinto in una componente calcolata sui costi ammissibili e in una calcolata sulle copie digitali diffuse. E’ evidente che nell’ipotesi di edizioni digitali, l’influenza del contributo sui costi sarà molto più elevata rispetto a quello sulle copie diffuse.
I costi ammissibili rimangono quelli previsti dalla normativa attuale, con alcune differenze che segnaliamo:
- il costo per il personale dipendente fino ad un importo massimo di euro 120.000 per i giornalisti e di euro 50.000 per i pubblicisti, poligrafici, web master ed altre figure tecniche assunte con contratto di lavoro a tempo indeterminato. Rispetto al precedente sistema, si deve tener conto che i pubblicisti vengono raggruppati insieme ai non giornalisti; nonostante le evidenti perplessità sull’esclusione di una categoria di giornalisti dalla categoria dei giornalisti, si perdoni il gioco di parole, una interpretazione letterale della norma porterebbe ad applicare il limite di 50.000 euro anche ai giornalisti pubblicisti;
- il costo per l’acquisto degli abbonamenti ai notiziari delle agenzie di stampa;
- il costo per l’acquisto e l’installazione di hardware, software di base ed applicativi per l’edizione digitale;
- il costo per la progettazione, realizzazione e gestione del sito web e per la sua manutenzione ordinaria ed evolutiva;
- il costo per la gestione e l’alimentazione della pagina web;
- il costo per l’installazione di sistemi di pubblicazione che consentano la gestione di abbonamenti a tiolo oneroso, di aree interattive con i lettori e di piattaforme che permettano l’integrazione con sistemi di pagamento.
Chiaramente, per i costi che hanno natura pluriennale è rimborsabile solo la quota di ammortamento di ciascun esercizio.
La percentuale di copertura del costo è pari al 75 per cento degli stessi.
Condizione per accedere ai contributi sui costi è avere non meno di 40.000 utenti unici mensili.
Come per l’edizione cartacea, la somma degli costi ammissibili non può essere superiore al cinquanta per cento di quelli sostenuti per il personale dipendente.
Rimane il principio che i costi sono rimborsabili sono nell’ipotesi in cui siano stati effettuati i relativi pagamenti (quindi, prima della presentazione della relativa documentazione) e che gli stessi siano tracciabili.
Il contributo sulle copie digitali è pari al minor valore tra 0,40 euro ed il prezzo di effettiva vendita.
Le copie digitali devono essere vendute singolarmente, in abbonamento o, nell’ipotesi in cui vengano cedute in abbinamento con la testata cartacea, abbiano un prezzo non inferiore al venti per cento della stessa. Si segnala che non sono ammesse al calcolo le copie vendute a seguito di un’unica transazione economica che individui più utenze individuali.
Il contributo sulle copie digitali non può essere superiore a 300.000 euro, mentre il contributo sui costi per le edizioni esclusivamente digitali non può superare il valore di 1.000.000 di euro.
Come per le imprese che editano giornali anche in edizione cartaceo è stato, inoltre, previsto un articolato sistema di incentivi e disincentivi sul sistema di calcolo del contributo.
In particolare, è previsto un ulteriore rimborso pari al settantacinque per cento degli oneri previdenziali per l’assunzione di figure professionali dedicate alla produzione di contenuti informativi originali; un ulteriore rimborso pari al venti per cento dei costi per la gestione delle piattaforme e degli applicativi dedicati all’ampliamento dell’offerta informativa telematica e per l’utilizzo della rete da parte dell’impresa editrice; una quota aggiuntiva di contributo calcolata sulla base degli utenti unici raggiunti e, in particolare, del due per cento del contributo spettante per un numero di utenti unici mensili finali da 40.000 a 100.000 e del tre per cento nell’ipotesi di un numero di utenti unici finali mensili superiori a 100.000.
Come per le imprese che editano il giornale anche in edizione digitale, è previsto un ulteriore rimborso pari al cinquanta per cento degli oneri previdenziali per l’assunzione di figure professionali di età inferiore a 35 anni; inoltre, nell’ipotesi di attivazione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, viene riconosciuto un incremento dell’1 per cento del contributo spettante; dalla lettura della norma sembrerebbe che detta quota vada aggiunta per ogni percorso attivato; infine, sempre nell’ambito degli incentivi, viene previsto un rimborso pari al 5 per cento dei costi per azioni di formazione ed aggiornamento professionale.
Il contributo calcolato viene, comunque, ridotto in ragione di un importo pari all’eccedenza degli stipendi lordi riconosciuti ai dipendenti, ai collaboratori ed agli amministratori rispetto al valore stabilito dal comma 1 dell’articolo 13 del decreto legge 24 aprile 2014, n. 66 convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 pari a 240.000 all’anno.
Il contributo calcolato, comunque, non potrà eccedere il cinquanta per cento dei ricavi incluso il contributo percepito. La formulazione della norma lascia intendere non pochi problemi per le imprese nell’ipotesi di accesso al contributo successivamente all’entrata in vigore della norma in quanto il riferimento letterale è al contributo percepito, quindi, già incassato, e non spettante, e, quindi, appostato a bilancio.
Al fine di fornire un quadro più chiaro, abbiamo provato a fornire delle esemplificazioni raccolte nelle tabelle allegate.
Nella prossima circolare prenderemo in esame il procedimento di liquidazione del contributo.
Cambio al vertice di Raicom, Tavaglia nuovo Presidente
Il Consiglio di amministrazione Rai riunitosi sotto la presidenza di Monica Maggioni e alla presenza del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto ha votato le modifiche statutarie correlate all’entrata in vigore della legge di riforma della governance Rai: le modifiche dovranno essere approvate dall’Assemblea degli azionisti che sarà convocata a breve. Campo Dall’Orto ha successivamente illustrato le linee guida del Piano industriale per il triennio 2016-18 indicando come principale obiettivo dei prossimi anni la piena realizzazione del ruolo nel Paese di ‘servizio pubblico universale’.
Informazione completa e pluralista, racconto della realtà e dei territori, sostegno all’istruzione e all’alfabetizzazione digitale, promozione dell’immagine dell’Italia all’estero: questi alcuni dei pilastri da cui si svilupperà la realizzazione del piano industriale con cui procedere a un profondo rinnovamento editoriale completando al contempo la trasformazione della Rai da broadcaster tradizionale a digital media company.
Il Cda, oltre ad approvare il Piano triennale di prevenzione della Corruzione, ha anche votato la designazione di nuovi consiglieri di amministrazione nell’ambito degli organi sociali delle società controllate: Gian Paolo Tagliavia assumerà la presidenza di Raicom ed entrerà nel Cda di Auditel, e Cinzia Squadrone farà parte del Consiglio di Rai cinema.
Bando agenzie di stampa, ecco i risultati per l’assegnazione dei fondi
Sono stati resi noti i risultati del bando per l’assegnazione dei fondi alle agenzie di stampa nazionali. A dare la notizia è il direttore dell’agenzia Dire, Nico Perrone, in un articolo pubblicato sul sito web dell’agenzia.
Questi i risultati pubblicati da Dire.
Il primo lotto, la cui base d’asta era di 28.128.000 di euro in 36 mesi è stato aggiudicato all’Ansa.
Il lotto 2 è andato deserto.
Tre le agenzie partecipanti alla gara per i lotti 3 e 4: Agi, Askanews e AdnKronos. Il lotto 3, la cui base d’asta era di 18.816.000 euro in un triennio è stato aggiudicato a AdnKronos; il lotto 4 (18.144.000 di euro in tre anni) all’Agi, in Ati con Italpress e in avvalimento con Public Policy.
Lotto 5, base d’asta 7.872.000 euro in 36 mesi alla Dire.
Lotto 6 (7.104.000 in 36 mesi) all’agenzia LaPresse.
Lotto 7 (4.410.000 in 36 mesi) a Radiocor.
Lotto 8 (990.000 in 36 mesi) all’agenzia 9 Colonne.
Lotto 9 (720.000 in 36 mesi) all’agenzia Nova.
Lotto 10 (666.000 in 36 mesi) a Vista.
Restano, dunque, escluse dalla gara le agenzie Askanews, Fcs-Il Velino e Mf Down Jones.
Il lotto due sarà ora rimesso a gara.
Rassegna Stampa del 27/06/2017
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«Una detrazione fiscale per libri e giornali»
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Economia circolare, industria 4.0, costi energetici, sostegno strutturale alla lettura con la richiesta – già fatta e rilanciata con più forza durante l’ Assemblea annuale di ieri a Milano – di una detrazione fiscale del 19% per gli acquisti di libri e di abbonamenti a quotidiani e periodici. È attorno a questi temi di politica industriale che prenderà corpo l’ attività della Federazione Carta e Grafica. «Nel suo complesso stiamo parlando di un settore da 23,7 miliardi di euro che vale l’ 1,4% del Pil», ha spiegato Pietro Lironi, presidente della Federazione la cui direzione sarà ora affidata a Massimo Medugno, già direttore di Assocarta. Una Federazione, ha detto il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia intervenuto in Assemblea, «in linea con quelle che sono le direttrici della riforma Pesenti: si fa squadra, si fa filiera». Quello rappresentato dalla Federazione della Carta e Grafica è un settore da 169.500 addetti attivi in quasi 18.600 imprese fra macchine per la grafica, cartotecnica e converting (Acimga); carta e cartone (Assocarta); grafica e cartotecnica, trasformazione (Assografici). Unione Grafici di Milano e Comieco sono soci aggregati. «Sono tre macrocomparti – precisa Lironi – che hanno mostrato nel 2016 andamenti diversificati, ma nel complesso positivi, a eccezione di quello delle carte e della stampa grafica. Nel 2017 sono stati positivi anche i primi mesi per la cartotecnica e la trasformazione, ma soprattutto per la produzione di macchine». Non tutto è roseo però, visto che «sono ancora negativi gli andamenti del mondo grafico, sebbene si confermi il trend positivo degli ordini esteri». Lironi in particolare mette l’ accento «sulla crisi del settore grafico pubblicitario ed editoriale. Sicuramente quello in maggiore e perdurante difficoltà». Un settore che «paga gli effetti dei continui ridimensionamenti degli investimenti pubblicitari su stampa». Positivo in tal senso, aggiunge Lironi, «il credito d’ imposta, a decorrere dal 2018, in favore di imprese che effettuino investimenti incrementali» in pubblicità su quotidiani e periodici. Bene anche il Bonus cultura da 500 euro. «Ma non basta». Da qui la richiesta della detrazione fiscale su acquisti di libri e quotidiani «in un Paese dove solo il 40% delle persone con 6 e più anni ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi». Dall’ assemblea della Federazione arriva anche l’ ennesimo appello a non “smontare” il Piano Industria 4.0: «Proprio perché concentrati sulla sfida più rilevante che il Piano Industria 4.0 ci pone davanti, ovvero quella culturale, ci sentiamo legittimati ad aggiungere la nostra voce, a fianco di quella del presidente Boccia, risuonata chiara in occasione della recente Assemblea generale di Confindustria, nel richiedere la proroga degli incentivi fiscali legati al Piano». Questi, dunque, i punti chiave accanto all’ altra tematica strategica è l’ economia circolare. La raccolta urbana dei rifiuti in Italia vede la carta come primo materiale in quantità con un tasso di riciclo dell’ 80% nel settore dell’ imballaggio. «Gli ambiziosi obiettivi previsti dal nuovo pacchetto sull’ Economia Circolare in corso di definizione a Bruxelles, pongono il settore di fronte a nuove sfide ambiziose. Sfide che siamo pronti a cogliere», dice Lironi. Fondamentale però facilitare la strada della circolarità: «Occorre per esempio, seguendo i tanti esempi in Europa, favorire la realizzazione di impianti di termovalorizzazione a piè di fabbrica». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fermare il declino dell’ informazione
L’Adige
PAOLO PAGLIARO
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Fabrizio Franchi L a carta stampata è affascinata dal suo carnefice. I giornali sono prigionieri della «Sindrome di Stoccolma», così amplificano in continuazione ciò che accade sulla rete, alimentando una spirale perversa perché contribuiscono ad accrescere le risorse di giganti del web come Google e Facebook che le stanno sottraendo alla carta stampata. Sempre più le testate giornalistiche invitano lettori e telespettatori a continuare a seguirli su Facebook o su Twitter, ovvero i giganti che stanno erodendo le risorse del mercato al giornalismo. E mentre una volta si era convinti che la buona informazione, quella seria, accertata e verificata, quella fatta di giornalisti capaci che approfondiscono e verificano le notizie, insomma si era convinti che il buon vecchio giornalismo servisse a scacciare quello cattivo, fatto di notizie false, oggi si è entrati in una spirale perversa, in cui il giornalismo vero deve soprattutto cercare di giustificarsi di fronte alla marea di bufale, fake news, di notizie false più o meno diffuse ad arte. Paolo Pagliaro l’ ha definita una «epidemia», questa marea montante di spazzatura che deborda dai siti internet spesso alimentata dalla stessa politica, strumentalmente. Una malattia che bisogna prendere sul serio per fare guarire un corpo sociale che altrimenti rischia di implodere. Pagliaro, giornalista di vaglia, come si può constatare quotidianamente dal suo editoriale serale «Il punto» su La7, all’ interno di «8 e mezzo» – trasmissione di cui porta la responsabilità più di quanto appaia – ha mandato in libreria un volumetto per il Mulino , nell’ agile collana delle «Voci»: Punto. Fermiamo il declino dell’ informazione , che è più utile di quanto possa sembrare, anche nello smontare tanti luoghi comuni che gli stessi giornalisti rovesciano addosso al pubblico senza una verifica accurata dei fatti e dei numeri. È l’ era della post-verità, bellezza, ma non per forza di cose deve essere coltivata questa epoca che ci avvelena con falsità e opinioni troppo spesso basate su paure, crollo della fiducia nella scienza, negli scienziati, nelle istituzioni, lasciando trionfare teorie complottistiche che non dovrebbero avere alcuno spazio. Ecco dunque che Pagliaro ricostruisce con brillantezza di scrittura e lucidità di pensiero i passaggi e la situazione a cui siamo arrivati. Lungo diversi capitoli illuminanti smonta molte convinzioni e servirebbe una lettura di questo volume proprio a chi è convinto di essere «informato» perché saltella da un sito internet all’ altro, senza alcuna precauzione e poi magari si ritrova a dare il via libera a Google e al suo sistema di posta elettronica Gmail che fruga nelle nostre missive e indicizza le nostre informazioni: «È come se le Poste inoltrassero la corrispondenza gratis – scrive Pagliaro – in cambio della possibilità di aprire le lettere, leggerle e consegnarle al destinatario insieme a pubblicità rilevanti rispetto a parole chiave contenute nella lettera. Se solo ci fosse chiaro che quando ti viene offerto un servizio gratuitamente tu sei il prodotto, forse preferiremmo pagare il francobollo». Ma non c’ è solo questo: ci sono i luoghi comuni, come quelli sui migranti, perché fanno comodo e sono utilizzabili nella propaganda. La sola Spagna in 20 anni ha accolto 6 milioni e mezzo di stranieri. Noi ne ospitiamo 1369 per ogni milione di abitanti: l’ Ungheria 17 mila, la Germania 5500. Menzogne. Come quelle che hanno portato alla Brexit e all’ elezione di Donald Trump. Anche perché in definitiva le falsità fanno aumentare il traffico sui siti internet e di conseguenza il traffico, attirando quindi pubblicità. Dunque? Dunque dobbiamo difenderci, cercando la buona informazione, verificando che i siti da cui abbiamo attinto le notizie siano credibili. Ma bisogna anche che gli editori tornino ad investire, perché senza buoni giornalisti che verifichino i fatti non si può fare nulla. E infine, che i giornalisti tornino a lavorare con più scrupolo, ritrovando un po’ di coraggio e di orgoglio professionale. E allora, forse, l’ epidemia che ci sta contagiando, potrà essere fermata. Paolo Pagliaro, Punto. Fermiamo il declino dell’ informazione, il Mulino, 123 pagine 12 euro.
Allarme dei produttori tv sul tax credit
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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È allarme rosso fra i produttori tv per l’ avvicinarsi dell’ entrata in vigore delle novità sullo split payment. Dall’ 1 luglio infatti scatterà quanto previsto con la “manovrina”. E il presidente dell’ Apt (associazione dei produttori televisivi indipendenti) Giancarlo Leone, va giù duro: «Molte aziende si stanno interrogando sull’ opportunità di rivolgersi alla Corte di Giustizia europea. Questa norma rischia di strozzare l’ industria dell’ audiovisivo italiana. Il problema è che in questo modo gli investimenti punteranno su Paesi che non hanno vincoli come i nostri». L’ alert del presidente dei produttori televisivi indipendenti nasce dal fatto che la manovrina ha esteso anche ad altri soggetti collegati con la Pubblica amministrazione gli obblighi dello split payment, meccanismo istituito nel 2015 con la legge di Stabilità per le operazioni nei confronti degli enti pubblici. Per frenare la slavina dell’ evasione dell’ Iva, allora si pensò di far sì che la Pa pagata con fattura debba trattenere l’ Iva per versarla direttamente all’ Erario. Con il Dl 50/2017 ciò è stato previsto anche quando i soggetti passivi sono società controllate direttamente dalla Presidenza del consiglio dei ministri e dai Ministeri, oppure quando si tratta di società quotate inserite nel Ftse Mib. «Quindi sia Rai, sia Mediaset», dice Leone. E a preoccupare i produttori tv è soprattutto l’ inserimento in questo novero dell’ emittente di Stato che ha iniziato a inviare lettere ai produttori indipendenti. «Siamo davanti a una situazione paradossale: con una mano lo Stato dà e con l’ altra toglie». Il riferimento di Leone, in questo caso, è al meccanismo del tax credit (valido anche sull’ audiovisivo). Attualmente, infatti, i produttori sono nelle condizioni di poter utilizzare il tax credit maturato per la realizzazione delle opere audiovisive al fine di compensare i debiti Iva conseguiti all’ emissione di fatture per contratti di produzione sottoscritti con Rai. Con lo split payment viene in sostanza a mancare questo uso del tax credit (le cui aliquote sono state aumentate, in funzione di alcune caratteristiche, fino al 30%) a compensazione dei debiti. E in sostanza viene a mancare anche una sorta di autofinanziamento. Peraltro le attività dei produttori sono strutturalmente a debito Iva, poiché usano in modo significativo la forza lavoro (non soggetta a Iva). «La speranza – dice Leone – è che il Governo intervenga in maniera appropriata nel decreto applicativo del Mef che dovrà essere emanato. Soggetti come Rai, soprattutto, ma anche Mediaset, vanno esclusi. Il non intervenire sarebbe un pessimo segnale», soprattutto ora che «il Mibact con la Legge Franceschini e i decreti attuativi sul tax credit si pone l’ obiettivo di generare valore e di rendere più competitive e solide le imprese italiane di produzione di cinema e di serie televisive». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Facebook vuole tutto: diventa anche tv
Il Fatto Quotidiano
Marco Franchi
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Facebook può diventare la nuova Netflix? La domanda ieri è rimbalzata di sito in sito, di forum in forum. Lo si saprà a fine estate, quando il social network di Zuckerberg potrà tirare le somme sul suo nuovo progetto: realizzare un programma televisivo, a puntate, destinato ai giovanissimi e attorno al quale riunire una community di utenti. Alla base, ci sono sempre mercato e concorrenza: fare come Netflix, come Google con YouTube, come Amazon, come Apple (che ai primi di giugno ha messo in onda la prima puntata di Planet of the Apps, un reality in 10 episodi incentrato sul mondo degli sviluppatori di applicazioni). I presupposti per il successo ci sono. O quanto meno ci sono quelli per un non totale fallimento. A differenza dei concorrenti, il social network di Mark Zuckerberg può già contare su un pubblico potenziale di oltre due miliardi di persone (gli attuali utenti nel mondo) e la dimensione video – con il successo delle dirette – ha già dato prova di essere un terreno potenzialmente florido. Facebook, insomma, continua la sua corsa per ‘diventare Internet’. L’ obiettivo è la fascia più giovane degli iscritti di Facebook: “Stiamo supportando un piccolo gruppo di partner e creatori che sperimentano tipologie di show attorno alle quali è possibile creare una community, dallo sport alla commedia, dai reality al gioco – ha spiegato Nick Grudin, VP Media Partnership di Facebook -. Siamo concentrati sugli show a puntate e aiutiamo tutti i nostri partner a capire quali sono i temi che funzionano meglio nei vari argomenti”. L’ operazione è stata raccontata con maggiori dettagli dal Wall Street Journal (proprietà di Rupert Murdoch, editore e imprenditore nel campo della Pay-tv con Sky). Stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano statunitense dunque, la società di Mark Zuckerberg avrebbe avuto incontri con major e agenzie di talenti di Hollywood e avrebbe indicato un budget di 3 milioni di dollari a puntata, in linea con le produzioni di fascia alta della tv via cavo. La compagnia sarebbe inoltre interessata a produzioni di fascia media e a contenuti brevi, da dieci minuti ognuno. Facebook punterebbe a raggiungere un target dai 13 ai 34 anni, con un focus nella fascia 17-30, per attrarre un pubblico di giovani al momento più interessato a Instagram e Snapchat. Così, sempre in base alle indiscrezioni, la piattaforma guarderebbe a un ampio ventaglio di serie tv, che sia in grado di intercettare i gusti in modo trasversale: dai teen drama ricchi di suspense come Pretty Little Liars (che per oltre sei stagioni è riuscita a non svelare chi fosse la morta- non morta che minacciava tutti) a Scandal (che è un susseguirsi di intrighi, personaggi doppiogiochisti e ricatti). Fino ai reality come The Bachelor: il richiamo della storia d’ amore dovrebbe spingere gli utenti a nutrirsi di un video dopo l’ altro. È il binge watching: porta miliardi e ora lo vuole anche Facebook.
Facebook vuol diventare una tv molto social
Il Giornale
Alberto Guy
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Alberto Guy Sulla notizia c’ è il prestigioso avallo del New Street Journal. Facebook vuole diventare una tv. La piattaforma social da due miliardi di utenti, secondo il quotidiano finanziario americano, sarebbe in trattative con diversi studios e agenzie di Hollywood per produrre contenuti televisivi originali, da mandare in onda già a fine estate. Cavalcando così l’ onda dei contenuti in streaming che già vede in campo Netflix e Amazon, e più di recente anche Apple. A conferma della nuova politica di Facebook arriva la conferma di un manager. «Stiamo supportando un piccolo gruppo di partner e creatori che sperimentano tipologie di show attorno alle quali è possibile creare una community, dallo sport alla commedia, dai reality al gioco. Siamo concentrati sugli show a puntate e aiutiamo tutti i nostri partner a capire quali sono i temi che funzionano meglio nei vari argomenti», sottolinea Nick Grudin, VP Media Partnership di Facebook. Si parla anche di importanti eventi a livello mondiale come gli Oscar e i Grammy. Stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano statunitense, in alcuni incontri con agenzie di talenti, il social network avrebbe indicato un budget di 3 milioni di dollari a puntata, in linea con le produzioni di fascia alta della televisione via cavo. La compagnia di Mark Zuckerberg sarebbe inoltre interessata a produzioni di fascia media e a contenuti brevi, da 10 minuti. Facebook punterebbe a raggiungere un target giovane, dai 13 ai 34 anni, con un focus nella fascia 17-30, per attrarre un pubblico sempre più giovane che al momento sembra più interessato a Instagram e Snapchat. Sempre in base alle indiscrezioni, la piattaforma guarderebbe con interesse a serie tv simili a Scandal (grosso successo su Sky) e Pretty Little Liars, e a reality come The Bachelor. L’ obiettivo di Facebook, che rispetto a realtà come Netflix e Amazon entra tardi nel settore delle produzioni tv, è duplice: far crescere il business legato ai video, che sta puntando da tempo, e soprattutto accaparrarsi una fetta della spesa pubblicitaria televisiva, che è nell’ ordine delle decine di miliardi di dollari. Anche Apple è entrata di recente nel mercato dei contenuti televisivi originali. La compagnia di Cupertino ha infatti messo in onda i primi di giugno la prima puntata di Planet of the Apps, un reality in 10 episodi incentrato sul mondo degli sviluppatori di applicazioni.
Che fine farà Raitre? Perde i pezzi pregiati e rischia la «nicchia»
Il Giornale
Laura Rio
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Laura Rio Il mega contratto a Fabio Fazio non solo ha sollevato un’ indignazione popolare, non solo ha coalizzato quasi tutte le forze politiche contro la scelta dei vertici Rai, non solo ha provocato esposti alla corte dei Conti, all’ Anac e in Procura, non solo ha creato malumori all’ interno dell’ azienda, ma in più rappresenta un vulnus anche per Raitre. Perché con la migrazione di Che tempo che fa su Raiuno, il terzo canale nella prossima stagione televisiva resta sprovvista del suo conduttore principale, delle prime serate della domenica sera e anche del Rischiatutto. Non si sa infatti se il game di Mike Bongiorno che con grande amore e desiderio Fazio ha riportato in vita e che ha avuto un buon riscontro di pubblico tornerà in onda, ma in ogni caso, a rigor di logica, se venisse rifatto seguirebbe il suo conduttore sulla rete ammiraglia. Insomma, la terza rete, sulla carta, appare svuotata e indebolita. Oltre a Fazio, ha perso anche Gazebo di Diego Bianchi, in arte Zoro, migrato su La7. E, per altri versi, sembra un rifugio per tutti quei personaggi, giornalisti, volti della sinistra «storica», o come la si voglia chiamare, da Gad Lerner a Michele Santoro a Bianca Berlinguer. Quasi un ritorno alla Telekabul di un tempo, ma con meno potenza di quando la governava Sandro Curzi. Forse si tratta semplicemente di dare alla rete un profilo più coerente e di completare la divisione di compiti dei tre canali principali, resta il dubbio che, dall’ alto, ci sia l’ intento di ridurre Raitre a una piccola rete in cui confinare, appunto, i giornalisti-star che non sono riconducibili all’ area renziana in modo da annacquarli ma senza cacciarli dall’ azienda, cosa che farebbe di loro dei martiri (e di martiri la Rai ne ha avuti già abbastanza). Comunque tutti professionisti amati dalla direttrice Daria Bignardi, che però con una Raitre siffatta faticherà a tenere il passo e risultati di ascolto. Lei, che già ha dovuto affrontare momenti difficili come la chiusura di Ballarò e la sua sostituzione con il fallimentare Politics, ora si trova a ricostruire da capo una rete. Nel suo palinsesto restano format storici e punti saldi come Chi l’ ha visto, Report, Presa diretta e i documentari di Alberto Angela. Per il resto del palinsesto serale ha a sua disposizione Cartabianca al martedì (e in preserale tutti i giorni) e Santoro al giovedì, che passa su una rete a lui più consona ma che non ha più l’ appeal, il potere e gli ascolti di un tempo su Raidue come hanno dimostrato gli ultimi esperimenti come M. Al venerdì, pausa dall’ informazione con i cicli di film italiani. Troveranno spazio in prime time anche le belle inchieste di Alberto Matano sugli innocenti in cella. Ma alla domenica cosa andrà in onda al posto di Che tempo che fa? La Bignardi sta pensando a vari programmi tra cui un nuovo format che dovrebbe chiamarsi Andiamo a governare, sulla falsariga del brano di Rovazzi, che racconta di una strada, un quartiere o un piccolo centro che viene messo in condizione di «autogovernarsi». Magari un esperimento interessante, ma che certamente otterrà ascolti molto più bassi dello show di Fazio, che veleggiava tra il 12 e il 14 per cento di share. Sarà dura trovare un programma che si avvicini a quei risultati e comunque ci vorrà molto tempo. Così non verrà neppure «disturbato» il nuovo Che tempo che fa in onda su Raiuno. Nel resto del palinsesto l’ intento è valorizzare i format introdotti o reintrodotti la scorse stagioni: e quindi le inchieste di Gad Lerner, le Storie di Massimo Gramellini che andranno a sostituire Gazebo dal lunedì al venerdì alle 20,30, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Stato Civile sulle prime unioni gay, Bambin Gesù, sulla vita in ospedale dei bambini malati. Insomma una rete seria seria, tutta indirizzata all’ approfondimento, lasciando l’ intrattenimento e l’ innovazione al primo e secondo canale. Una rete di nicchia?
Decoder «cibor-I tv box», vendite da record
Il Tempo
DAMIANA VERUCCI
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Cinquecento decoder venduti nel solo mese di giugno e ordinativi che sono schizzati nella misura del 300% dall’ inizio del progetto di Italian Television Network, una tv che ad oggi trasmette su 140 canali televisivi digitali terrestri e satellitari Sky in Italia e in Europa. L’ esempio di quella che può essere considerata una vera e propria eccellenza imprenditoriale è sbarcata in America a fine aprile, precisamente a Miami dove è stato presentato CIBOR-I TV BOX, il nuovo decoder che sulla scia Sky, Mediaset Premium, Alice Telecom, dà la possibilità di far vedere su qualsiasi televisore e in ogni angolo del mondo la programmazione dei canali e delle tv che ospita sulla propria piattaforma televisiva: dalla musica, al cinema, ai viaggi, passando per la cucina, il made in Italy, Fatina Channel con Maria Giovanna Elmi e il super trendy Makeup Channel, canale dedicato esclusivamente al crescente fenomeno di Makeup Artist. E poi ancora Confartigianato Tv, Fiera Channel e il nascente AefiTv per la programmazione delle più importanti fiere italiane. «In America questo decoder sta avendo un grandissimo successo – spiega il Project Manager, Marco Matteoni – ringrazio Il Tempo che ha creduto in questa iniziativa e poi il mio socio Roberto Onofri che ha seguito fin dalle prime fasi il progetto. Un ringraziamento particolare va anche a Vanessa Bentifeci, nuova responsabile delle relazioni estere». Cibor permette un rapido collegamento tra un comune televisore, vecchia o nuova generazione, e un piccolo decoder dedicato, autoalimentato da una presa USB tramite un collegamento wireless. Dal primo settembre spazio alle eccellenze regionali per la gioia degli italiani residenti all’ estero, che grazie al nuovo decoder potranno collegarsi con il proprio televisore e vedere usi e costumi della terra di origine.©RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ asse olimpico Discovery-Tim
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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In Italia nasce l’ asse Discovery-Tim, con un accordo di convergenza tra i due gruppi che potrebbe anche avere ulteriori sviluppi nella prossima nuova asta per i diritti tv della Serie A 2018-2021. Intanto Discovery (broadcaster che controlla i canali tv Nove, Real Time, Dmax, Giallo, ecc, e il network Eurosport) cede contenuti a Tim, monetizzando l’ investimento fatto sulle Olimpiadi e ampliando la distribuzione dei canali Eurosport. Grazie all’ intesa appena firmata, infatti, Tim diventa l’ official mobile broadcaster in Italia per i giochi olimpici invernali 2018 di PyeongChang (Corea del Sud) e di quelli estivi 2020 di Tokyo (Giappone): offrirà, quindi, un canale ad hoc ai suoi clienti banda larga, ultra banda larga e mobile, canale prodotto da Discovery che non avrà le dirette ma fornirà news, highlights e contenuti in formato breve pensati per i tifosi dei Giochi. L’ Italia, peraltro, è il primo paese nel quale Discovery individua un partner per la distribuzione dei contenuti olimpici via mobile. Ma questa è una strategia che sarà poi via via applicata a tutte le altre nazioni europee: il gruppo americano, infatti, ha acquistato l’ esclusiva continentale dei diritti dei Giochi dal 2018 al 2024 investendo circa 1,3 miliardi di euro. E adesso comincia a monetizzare. Sia grazie all’ accordo con Tim, sia attraverso la trattativa, non ancora chiusa, con Rai per la visione in chiaro delle due manifestazioni (si parla di una cifra attorno ai 70 milioni di euro). Come spiega Alessandro Araimo, general manager di Discovery Italia, l’ intesa col gruppo guidato da Flavio Cattaneo «è una ulteriore dimostrazione di quanto le Olimpiadi rappresentino un evento di primaria importanza per il pubblico italiano. Il sodalizio con un brand e un’ azienda come Tim riportano al centro dell’ attenzione mediatica italiana quello che è l’ evento sportivo da oltre un secolo». Comprensibili i toni entusiastici, anche se va riconosciuto che i Giochi invernali, in Italia, siano ultimamente usciti dal principale menù televisivo degli sportivi (forse nel 2018 la squadra potrebbe tornare a dare soddisfazioni) e che pure quelli estivi, con l’ atletica leggera azzurra in crisi nera, abbiano perso un po’ di smalto. I legami tra Discovery e Tim si consolidano pure sul fronte Eurosport (network tv controllato da Discovery): Tim, infatti, pur non avendo partecipato all’ asta per i diritti tv della Champions league 2018-2021 e neppure alla prima asta, poi annullata, per i diritti della Serie A 2018-2021, decide di entrare nel mondo del grande sport offrendo ai clienti Timvision i due canali tematici Eurosport 1 ed Eurosport 2 (quindi i giochi olimpici, il grande tennis, il grande ciclismo, i Mondiali di nuoto, quelli di atletica, l’ EuroCup di basket, le discipline invernali), e pure tutti i contenuti extra disponibili su Eurosport player (per esempio, le telecamere su decine di campi da tennis nei primi turni dei tornei del Grande Slam in Australia, a Parigi o agli US open). Quindi i canali Eurosport saranno d’ ora in poi disponibili sulla piattaforma a pagamento di Mediaset Premium (contratto in scadenza a fine 2019), su quella di Sky (contratto in scadenza nella seconda metà del 2018) e su Timvision fino a tutto il 2020. I clienti banda larga, ultra banda larga e mobile di Tim potranno inoltre godere della programmazione su Eurosport player, gratuitamente per il primo anno, direttamente in mobilità o sullo schermo di casa attraverso il decoder Timvision. Come detto, perciò, da un lato Discovery mette a rendita i suoi investimenti in diritti sportivi, ampliando anche la distribuzione di Eurosport; dall’ altro, invece, Tim entra con una certa decisione nel mondo dello sport in pay tv. Per ora senza esclusive assolute. Ma, in base a come verrà orchestrato il prossimo bando dei diritti serie A, non si può escludere una sua partecipazione ad aste per esclusive di prodotto, magari in tandem con Discovery se le questioni Vivendi-Telecom-Mediaset non si dovessero risolvere entro il prossimo autunno. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Mondadori avvia il programma di acquisto di azioni proprie. Le operazioni arrivano dopo la delibera dell’ assemblea degli azionisti dello scorso 27 aprile, che ha autorizzato l’ acquisto e la disposizione di azioni proprie per un importo massimo pari allo 0,96% del capitale sociale. Obiettivo: dotare nel triennio la società delle 2,49 milioni di azioni necessarie per adempiere agli obblighi connessi al piano di performance share 2017-2019, approvato dalla stessa assemblea. Nel triennio, gli acquisti saranno effettuati a un corrispettivo unitario minimo non inferiore al prezzo ufficiale di Borsa del giorno precedente l’ operazione di acquisto, diminuito del 20%, e al massimo non superiore al prezzo ufficiale di Borsa del giorno precedente all’ operazione di acquisto aumentato del 10%. Gli acquisti riguarderanno un massimo di 2,49 milioni di azioni ordinarie (rappresentanti attualmente lo 0,96% del capitale sociale) del valore nominale unitario di 0,26 euro. Mondadori detiene in portafoglio, a oggi, 80.000 azioni proprie complessive, pari allo 0,031% del capitale sociale. L’ attuale autorizzazione si concluderà con l’ assemblea di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2017 e potrà essere rinnovata, previa autorizzazione assembleare. Elezioni comunali, #maratonamentana sfiora il 5,9% di share. Lo speciale dedicato domenica sera ai ballottaggi per le elezioni comunali e condotto dal direttore del TgLa7 Enrico Mentana, ha raccolto il 5,86% di share medio (22,48 – 02,00) con 3.758.251 contatti e picchi del 7,74% con 1.123.754 telespettatori, risultando il secondo programma di informazione più visto della serata dedicato ai ballottaggi. Durante la giornata, inoltre, il TgLa7 delle 20,00 ha registrato il 5,25% di share, 1.603.519 contati e picchi del 5,77%. La sola La7 ha conquistato il 5,31% di share in seconda serata (22,30 – 02,00). Mentre il network La7 (La7 e La7d) ha ottenuto il 3,67% di share in prime time (20,30 -23,30) e il 6,18% in seconda serata (22,30 – 02,00). Tempo di libri, Kerbaker alla guida. Andrea Kerbaker sarà il nuovo direttore di Tempo di Libri, fiera milanese voluta dall’ Associazione italiana editori (Aie), in alternativa al Salone del libro di Torino, la cui seconda edizione si svolgerà dall’ 8 al 12 marzo prossimo presso Fiera Milano City. L’ investitura ufficiale è attesa dopo mercoledì prossimo, quando Ricardo Franco Levi, già designato, verrà formalmente eletto presidente dell’ Aie al posto di Federico Motta. Scrittore, docente e segretario del Premio Bagutta, Kerbaker ha lanciato Progetto Italia di Telecom, programma di iniziative nella ricerca, nella cultura e nel sociale da cui sono scaturiti progetti come le letture di Dante di Vittorio Sermonti in Santa Maria delle Grazie a Milano. Facebook si allea con Hollywood per produrre i suoi format tv. Facebook è in trattativa con alcuni studios di Hollywood per la produzione di programmi tv, con l’ intenzione di lanciare una programmazione originale per la fine dell’ estate. È quanto ha riportato ieri il Wall Street Journal, secondo il quale il social network sarebbe disposto a mettere sul piatto un budget da 3 milioni di dollari per ogni episodio (pari a 2,7 milioni di euro). La società di Mark Zuckerberg è anche interessata a contenuti brevi, di non più di 10 minuti, da riprodurre nella sezione Spotlight per i video. Target di riferimento: il pubblico di età compresa tra i 13 e i 34 anni e, in particolar modo, la fascia 17-30. Secondo il quotidiano Usa, ai creatori dovrebbero essere garantiti dai 5 ai 20 mila dollari di incassi pubblicitari per episodio (4,5 mila-18 mila euro). Gruppo Fox, nasce FoxLife.it. Il gruppo Fox, dopo aver lanciato mondofox.it e foxsports.it, presenta foxlife.it. Target: le utenti alla ricerca di informazioni sulle proprie passioni, a caccia di opinioni, news e consigli pratici per affrontare la vita di tutti i giorni. Ad arricchire i contenuti di FoxLife.it è una redazione composta dagli youtuber più seguiti, da fashion blogger, nuovi talenti del web e inviati a Hollywood e Londra.
Google, Ue pronta alla maxi multa
MF
NATALIA DROZDIAK
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L’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dell’ Unione Europea è ormai pronta a punire Alphabet, società di controllo di Google, con una multa di oltre un miliardo di euro, oltre a richiedere la modifica delle prassi commerciali. La Commissione Europea, che da quasi sette anni indaga sul colosso della Silicon Valley per violazione delle disposizioni comunitarie in materia di antitrust in diversi settori, si starebbe infatti preparando a dichiarare oggi che Google ha effettivamente manipolato i risultati del motore di ricerca per favorire il proprio servizio di comparazione dei prezzi. Contestualmente procedono le altre indagini ufficiali sul comportamento tenuto da Big G nello sfruttamento del sistema operativo mobile Android e del servizio per la monetizzazione dei contenuti online AdSense. La sanzione dovrebbe arrivare a polverizzare il record di 1,06 miliardi di euro della precedente ammenda comminata da Bruxelles per abuso di posizione dominante a Intel nel 2009. «Continuiamo a impegnarci costruttivamente insieme alla Commissione europea e crediamo fermamente che le innovazioni da noi apportate allo shopping online siano positive per acquirenti, rivenditori e concorrenza», ha affermato il portavoce di Google, Al Verney. Probabilmente l’ Ue richiederà inoltre che il big della rete conceda ai servizi di comparazione dei prezzi della concorrenza, quali Foundem.co.uk e Kelkoo.com, un trattamento equo nei risultati di ricerca. Stando ai ricorrenti, Google degraderebbe le offerte dei competitor nell’ ordine dei risultati restituiti in base alla ricerche e, indipendentemente dalla rilevanza, inserirebbe arbitrariamente il proprio servizio in un box situato sopra tutte le altre proposte. Il verdetto potrebbe creare un precedente sulla condotta di Google in relazione agli altri servizi di ricerca, tra cui viaggi e mappe, che attualmente l’ Ue sta passando al vaglio. L’ intervento contro un’ altra potenza americana potrebbe suscitare dall’ altra parte dell’ Atlantico il sospetto che l’ Ue stia prendendo di mira i player a stelle e strisce, e specialmente le tech company, per proteggere le industrie del Vecchio Continente. La Commissione si ha già messo nel mirino Apple, Facebook e Starbucks per irregolarità ai sensi della normativa europea sulla concorrenza, con conseguenze sui rispettivi risultati finanziari. In aggiunta, procede l’ investigazione su McDonald’ s e Amazon per presunta evasione fiscale in Europa. Tuttavia, a proposito del caso Google, anche alcune grandi aziende statunitensi, inclusa Yelp, hanno espresso risentimento circa il comportamento della società fondata da Larry Page e Sergey Brin nella speranza che Bruxelles agisse. Inizialmente anche Microsoft, che ha poi evitato però di infierire ulteriormente dopo che l’ anno scorso i due colossi hanno posto fine a un’ antica faida. Anche News Corp, editore del Wall Street Journal, ha presentato un reclamo formale ma principalmente riguardo alla gestione degli articoli all’ interno del motore di ricerca. A inizio 2013 le autorità antitrust degli Stati Uniti hanno deliberato la conclusione della propria attività di accertamento quando Google ha accettato di mettere a punto volontariamente alcune modifiche alle pratiche. traduzione di Giorgia Crespi.
Maxi multa a Google per abuso di posizione dominante
La Commissione Ue ha multato Google per la cifra record di 2,42 miliardi di euro, la pià alta mai comminata dalla Ue. Google è accusata di aver abusato della sua posizione dominante nel campo dei motori di ricerca, dando un vantaggio illegale al suo servizio di comparazione degli acquisti. L’azienda ha ora 90 giorni per mettere fine alla pratica, oppure dovrà affrontare una nuova ammenda: fino al 5% del fatturato giornaliero di Alphabet.
Secondo la Commissione, la multinazionale che offre servizi online ha sistematicamente dato maggior risalto al suo servizio di comparazione degli acquisti: quando un utente cerca su Google un prodotto, il suo servizio di shopping gli propone le varie possibilità accanto ai risultati in alto, quindi molto visibili. I servizi di comparazione degli acquisti dei suoi rivali, sono invece lasciati nella colonna dei risultati generici, selezionati dagli algoritmi generici. “Le prove dimostrano che il competitor messo maggiormente in risalto compare soltanto a pagina 4 dei risultati”, scrive la Commissione. Il problema è che i consumatori cliccano molto più spesso sui prodotti più visibili, e quindi su quelli sponsorizzati da Google. I numeri non lasciano dubbi, spiegano i regolatori europei: i risultati sulla prima pagina guadagnano il 95% di tutti i click, quelli sulla seconda solo l’1%. “La strategia usata da Google per i suoi servizi shopping non era solo attrarre gli utenti rendendo i suoi prodotti migliori di quelli dei rivali. Google ha invece abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca per promuovere il suo servizio di comparazione dello shopping nei suoi risultati, declassando quelli dei suoi concorrenti.
Contributi editoria, interrogazione parlamentare sul mancato pagamento della tranche di maggio
La legge c’è, ma i fondi tardano ad essere erogati. La Senatrice Spillabotte ha presentato un’interrogazione parlamentare scritta al fine di porre luce sulla vicenda che vede il mancato versamento della prima rata dei contributi editoria relativi all’anno 2016.
Nello specifico, il comma 7-bis dell’articolo 2 del decreto-legge 18 maggio 2012, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 luglio 2012, n. 103, come modificato dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 3 della legge 26 ottobre 2016, n. 198, prevede infatti che: “Il contributo è erogato in due rate annuali. La prima rata è versata entro il 30 maggio mediante anticipo di una somma pari al 50 per cento del contributo calcolato come previsto dal decreto. La seconda rata, a saldo, è versata entro il termine di conclusione de procedimento. All’atto dei pagamenti, l’impresa deve essere in regola con le attestazioni rilasciate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e con i versamenti dei contributi previdenziali e non deve risultare inadempiente in esito alla verifica di cui all’articolo 48-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602“;
Questo significa che per rispettare gli obblighi previsti dalla nuova normativa, le imprese editoriali hanno provveduto ad anticipare le richieste di regolarizzazione delle posizioni presso gli enti previdenziali e presso il fisco e hanno fatto, sulla base di una prescrizione di legge, affidamento sull’incasso, entro il termine fissato dalla norma del 30 maggio 2017.
Ma non è tutto, il mancato incasso dell’anticipazione entro il termine previsto, rischia di non consentire alle imprese di rispettare gli ulteriori impegni che vanno onorati entro il termine fissato dalla legge del 30 settembre 2017, al fine della liquidazione del saldo del contributo, e ciò potrebbe generare ulteriori crisi delle imprese, con chiusure ed azioni di risarcimento danni.
Ad oggi sembrerebbe che nessuna impresa abbia ancora ricevuto l’acconto, ma a differenza degli anni scorsi oggi vi è una legge che è molto chiara in questo senso…
Fake news, in Francia record di adesione all’applicazione Decodex che certifica la notizia
Che cos’è questo sito? E’ una notizia attendibile?
In Francia è possibile saperlo immediatamente. È sufficiente installare l’apposita estensione nel browser ( Google Chrome o Firefox). Questo strumento, completamente gratuito,consentirà l’accesso permanente alla directory di fonti Decodex. Ma vediamo nei dettagli come funziona. In sostanza l’applicazione Decodex certifica le notizie con degli appositi bollini: rosso per i siti che diffondono informazioni false, arancione per coloro la cui affidabilità è dubbia e blu per quelli provenienti da siti di satira. Manca il bollino verde per le notizie pubblicate dai siti attendibili ma è una scelta precisa che tutela l’operato dei giornalisti di professione.
Il sistema funziona in questo modo: Dopo aver scaricato l’estensione Decodex per Chrome o firefox il Decodex vi accompagnerà per tutta la navigazione attraverso tre tipi di messaggi, per ulteriori informazioni sui siti web, ma anche su account Twitter, pagine di Facebook e canali YouTube. Si avrà accesso immediatamente a queste informazioni:
- le notifiche direttamente sullo schermo;
- la piccola “D” nelle estensioni del browser (in alto a destra) sta per essere colorate a seconda del tipo di sito che si visita;
- Informazioni dettagliate sul sito cliccando sulla piccola “D”, che consente di accedere a un massimo di informazioni senza lasciare la pagina che si sta leggendo .
Attraverso questa ricerca, si sa subito se si vede un sito parodia, un account Twitter molto inaffidabile, una pagina di Facebook sospetta o un canale su YouTube piuttosto di dubbio gusto.
In Francia il primo quotidiano ad usare questo tipo di applicazione è stato Le Monde, ma sicuramente seguiranno in scia tutti gli altri. La guerra alle notizie spazzatura è appena iniziata….
Rassegna Stampa del 28/06/2017
Indice Articoli
Comunicazione, «libro bianco» su regole e trasparenza
Editori: più trasparenza nella pubblicità digitale per arginare i colossi web
Fieg, ora più trasparenza sul digitale Un «libro bianco» per le nuove regole
Upa, più trasparenza su internet
Per il digitale ci sono già le norme che tutelano consumatori e aziende
«Stop ai giganti del web non falsino il mercato»
Notizie Violazione del copyright
Spot e web, il Libro bianco «Regole per la trasparenza»
Bufera sul contratto Rai di Fazio Vigilanza, la difesa di Maggioni
“Se Fazio non firmava subito, scappava a La7”
Perfezionato l’ accordo l’ Espresso-Stampa
Assegnati i Digital Rewards 2017
L’ Europa attacca: multa da 2 miliardi al colosso Google padrone del mondo
Telecom apre a Mediaset sui diritti tv della Serie A
Mazzata della Ue a Google multa record di 2,4 miliardi “Fa sparire i concorrenti”
Comunicazione, «libro bianco» su regole e trasparenza
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Misuratori terzi indipendenti e certificati; report standard per facilitare la lettura dei dati durante le campagne di comunicazione; lotta senza quartiere alle frodi e al finanziamento dei siti illegali di pubblicità. Sono solo alcune delle regole del gioco messe per iscritto nel “Libro bianco sulla comunicazione digitale”: un vademecum di raccomandazioni in 6 punti (per ora) per la realizzazione del quale è stato necessario quasi un anno di lavoro. Attorno a un tavolo, per la prima volta, si sono riunite tutte le realtà associative della filiera – Upa (in veste di regista), Fieg, Assocom, Fcp, Fedoweb, Iab, Netcomm, Unicom – in rappresentanza di advertiser, agenzie creative e media, concessionarie, publisher, società di ad tech e merchant. Un’ operazione di sistema, quindi, a far capire che il gioco di squadra può premiare, ma anche lasciando intendere che il momento è delicato e la sostenibilità del mondo della comunicazione non può che passare dall’ osservazione di principi e paletti, soprattutto quando si ha a che fare con il magmatico mondo del digitale. È una «guida reale per gli spazi virtuali» ha sintetizzato il presidente Upa (aziende che investono in pubblicità) Lorenzo Sassoli de Bianchi. Nei fatti è uno sforzo congiunto per migliorare conoscenza e trasparenza su questo mondo in crescita e in continua evoluzione, sul quale grava un rapporto non certo facile (ma anche questo in evoluzione) con i due convitati di pietra: quei Google e Facebook che sulla raccolta pubblicitaria fanno la parte del leone. Per dare una misura, secondo eMarketer entro la fine dell’ anno dovrebbero valere il 60% del mercato del digital advertising. E, guardando all’ Italia, hanno un ruolo da protagonista: stimando i loro dati (che non forniscono a Nielsen) il trend della pubblicità digital va in crescita; tenendoli fuori, anche per il web impera il segno meno. Almeno così è stato da febbraio in poi. «Mi sono comunque personalmente confrontato con Google e Facebook – ha precisato il presidente Upa – e ho riscontrato un’ adesione di massima che loro mi hanno autorizzato di rendere pubblica. Unico punto ancora da discutere è il capitolo relativo agli investimenti pubblicitari che non sono autorizzati a rendere noti». Su questo però «c’ è una discussione aperta. Le case madri impongono regole vincolanti sulla pubblicità degli investimenti, ma sono fiducioso che le cose cambieranno e che anche questo nodo possa sciogliersi nei prossimi mesi». Trasparenza, insomma, è emersa più volte come la parola chiave, sia che si parli di pubblicità sia che si parli del versante più “editoriale”, quello dei contenuti. «Sono tre i pilastri – spiega Maurizio Costa, presidente Fieg – sui quali noi come editori e all’ interno del mondo della comunicazione, dobbiamo accendere fari e arrivare a passi in avanti risolutivi: parlo della difesa del copyright contro l’ uso improprio dei contenuti, l’ utilizzo corretto dei dati e il tema della fiscalità». Tre aspetti da considerare con la massima attenzione perché legati a doppio filo all’ attività di quegli Over the top per i quali «il fatturato italiano è stimato in circa 2,5 miliardi di euro, un volume che non può non avere riflessi pesanti e distorsivi sul sistema». Sono tutte ragioni per le quali il confronto con i convitati di pietra è imprescindibile, a partire però dalla disponibilità a fare passi in avanti su regole e trasparenza. Le associazioni del settore, dal canto loro, hanno messo un punto fermo con questo “libro bianco sulla comunicazione digitale”: non un compendio di regole e sanzioni, ma di «linee guida, un parere autorevole che sarà difficile da ignorare» tiene a precisare Sassoli. Peraltro non un lavoro scolpito sulla pietra, ma un work in progress, con contenuti che saranno aggiornati costantemente. A tal proposito è previsto un tavolo permanente che si riunirà semestralmente. Sei intanto sono i capitoli affrontati: “viewability” sia come regole (misuratori certi terzi indipendenti, report standard per facilitare la lettura dei dati) sia come criteri; “trasparenza della filiera” (compravendita di spazi, flussi finanziari, disponibilità dei dati); “ad fraud” e “brand safety e brand policy” (per far diventare norma la lotta alle frodi e ai finanziamenti illeciti attraverso la pubblicità); “user experience” (attraverso la misurazione condivisa degli ad blocker e alle motivazioni che portano a questo fenomeno). © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Editori: più trasparenza nella pubblicità digitale per arginare i colossi web
La Repubblica
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MILANO. Costruire un sistema di regole condivise in una filiera assediata da giganti con poche norme e molti guadagni. È la sfida che si pone il Libro Bianco sulla Comunicazione digitale, presentato ieri a Milano, che ha messo intorno allo stesso tavolo tutti i protagonisti dell’ industria digitale. Dai creativi alle società di e-commerce, dai concessionari agli editori, con l’ obiettivo di creare «una guida reale per spazi virtuali». Spazi dove ormai da alcuni anni spadroneggiano però colossi come Google e Facebook, i cosiddetti OTT (Over-The-Top), che minacciano di prosciugare il bacino della raccolta pubblicitaria digitale. Il testo si articola in sei direttrici. La più ambiziosa auspica una maggiore trasparenza negli investimenti pubblicitari digitali. E maggiore trasparenza è invocata anche in tutta la filiera della compravendita di spazi del programmatic advertising, la modalità di vendita automatizzata della pubblicità. Tra le priorità del testo anche il contrasto delle pratiche con cui si genera traffico inefficace dal punto di vista promozonale. Il Libro si occupa poi della necessità per gli inserzionisti di non pianificare pubblicità su siti contrari alla propria policy o accanto a contenuti contrari alla stessa. Il documento fissa infine nuove regole sulla misura dell’ efficacia degli annunci e definisce linee guida per migliorare l’ esperienza degli utenti online, al fine di scoraggiare l’ utilizzo degli ad block.
Fieg, ora più trasparenza sul digitale Un «libro bianco» per le nuove regole
Corriere della Sera
Fabio Savelli
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MILANO I convitati di pietra sono sempre gli stessi: Google, ieri piegata dalla multa inflittale dalla Commissione europea, e Facebook. Gli over the top, capaci di condizionare il mercato pubblicitario ovunque. Il social network fondato da Mark Zuckerberg è cresciuta nell’ ultimo anno del 43% nella raccolta pubblicitaria nel nostro Paese. Un dato che fa il paio con il declino (strutturale) negli altri mezzi di comunicazione: radio, televisione, editoria, siti Internet. Otto anni fa, nel 2009, la torta complessiva valeva 10 miliardi all’ anno. Nel 2017 non supera i 6,5 miliardi. Ecco perché servono nuove regole. Un «libro bianco» sulla comunicazione digitale. Che apra alla «trasparenza» nella comunicazione e nel commercio elettronico. A farsi promotrici, per la prima volta, le otto associazioni della filiera. Con il beneplacito di Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa (l’ organismo che riunisce le aziende che investono in pubblicità e comunicazione). Che ha sottolineato di aver trovato una prima apertura anche da parte dei due colossi Usa, «vincolati alle direttive delle case madri» per la diffusione dei dati relativi al loro giro d’ affari. È il tema dirimente. Centrale nel lavoro di Maurizio Costa, presidente della Fieg (l’ associazione degli editori), che ha ricordato di aver negoziato con Google «per oltre un anno e mezzo» raggiungendo un accordo. Nel vademecum condiviso dalle associazioni (oltre ad Upa e Fieg, anche Emanuele Nenna di Assocom, Roberto Liscia di Netcomm, Carlo Noseda di Iab Italia, Massimo Martellini e Giorgio Galantis, presidenti Fcp e Fcp Assointernet, Alessandro Ubertis di Unicom e Giancarlo Vergori, presidente di Fedoweb) due indicazioni chiave: il copyright e la chiarezza fiscale, anche in virtù del recente accordo tra Google e l’ Agenzia delle Entrate. Il tavolo servirà da pungolo sulle evoluzioni del mercato. Senza tralasciare la forza della pubblicità nativa. Che per generare interesse negli utenti assume l’ aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata. Usata da alcune blogger della moda e replicata anche dalle aziende, con la consulenza delle agenzie di comunicazione, che si stanno strutturando sul «branded content».
Upa, più trasparenza su internet
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Il mondo della comunicazione presenta il suo Libro bianco sul digitale e si prepara per settembre a passare dagli intenti delle regole comuni individuate ai fatti, ossia lanciare una certificazione per gli istituti di rilevazione online come Nielsen e Comscore, tra gli altri. Si tratterà quindi di una sorta di bollino di livello superiore, destinato ad attestare le pratiche delle società specializzate in monitoraggi, per esempio, di campagne pubblicitarie digitali. L’ intenzione di Upa (Utenti pubblicità associati, che riunisce gli investitori italiani sotto la presidenza di Lorenzo Sassoli de Bianchi) e delle altre sette associazioni di settore (Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp) è fissare degli standard industriali uguali per tutto il comparto. Per questo verrà indetto un bando aperto a varie società, senza escludere l’ americana Mrc e la britannica Abc che, nei rispettivi mercati, già rilasciano certificazioni analoghe. Tra le società di rilevazione contattate da ItaliaOggi, che saranno a loro certificate, ha risposto Comscore secondo cui: «Appoggiamo ogni procedura che porti a una maggiore trasparenza», ha dichiarato l’ a.d. tricolore Fabrizio Angelini, «purché non si risolva tutto in una certificazione di quanto già valutato all’ estero da altri enti internazionali. Serve un’ analisi innovativa». Da Nielsen (guidato in Italia dall’ a.d. Giovanni Fantasia), invece, hanno fatto sapere che «il Libro bianco può rappresentare un punto di partenza per una regolamentazione del mercato basata sulla condivisione di principi riconosciuti dai tutti i player della filiera della comunicazione digitale. Nielsen da sempre fa dell’ indipendenza e della trasparenza i tratti distintivi dei propri servizi di misurazione quindi accoglie con favore l’ iniziativa». Intanto, aspettando settembre, si prosegue con la diffusione del Libro bianco sulla comunicazione digitale, che ha debuttato ieri a Milano e a cui hanno lavorato per la prima volta insieme le otto associazioni, concentrandosi su sei aspetti: viewability (la misurazione di come e per quanto tempo viene vista una pubblicità), trasparenza nella lunga e complessa filiera del programmatic advertising (gli spazi venduti in automatico), user experience (con un’ attenzione particolare al fenomeno dell’ ad blocking), ad fraud (creazione illegittima di traffico online), brand safety e brand policy (la creazione di contesti di comunicazione in linea con le strategie dei marchi) e soprattutto la ricerca di una maggiore trasparenza sui dati d’ investimenti pubblicitari. Il Libro bianco è disponibile su www.upa.it. Google e Facebook, tra i vari over-the-top (ott), non comunicano infatti la loro raccolta, pur attirando una stima di circa 2,5 miliardi di euro, ossia il 25% di tutti gli investimenti digitali, a loro volta pari al 28% del totale (secondo dati Fcp). Il tutto in un settore commerciale in cui un euro pianificato online ne genera 25 d’ indotto. Adesso, però, Big G ha manifestato «un accordo di massima ai parametri individuati dal Libro bianco, compresa la trasparenza dei dati», ha spiegato Sassoli de Bianchi, giusto lo stesso giorno in cui è stata annunciata la multa Ue al colosso Usa per 2,42 miliardi di euro (la cifra attesa nei giorni scorsi era intorno al miliardo), a causa di una posizione dominante in Google Shopping (vedere servizio a pagina 26). E dopo che Carlo De Benedetti, oggi presidente onorario di Gedi (Repubblica+ Stampa+Secolo XIX), ha chiamato a nuovi Stati generali dell’ editoria non solo ogni soggetto della filiera ma anche e soprattutto i grandi della rete. Tutte le iniziative che scaturiscono dal Libro bianco (anticipato da Giuseppe Corsentino su ItaliaOggi dell’ 8/9/2016) devono riportare a «una maggiore conoscenza di un territorio virtuale nuovo, complesso e talvolta opaco», ha sottolineato il presidente Upa. E nel dettaglio, è intervenuto Maurizio Costa, presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg), sono tre i pilastri da rafforzare: «Il diritto d’ autore contro l’ uso improprio dei contenuti, una nuova politica fiscale nei confronti degli ott e una gestione corretta dei big data. Credo che anche Google e Facebook abbiano interesse a un atteggiamento dialogante e nello stesso tempo non definitorio», soprattutto su copyright e fisco. A giudizio dei due presidenti, c’ è una finestra di 6-9 mesi per aprire il dialogo e trovare punti d’ incontro. Ieri, però, è arrivata la risposta del gruppo guidato da Larry Page tramite un portavoce, secondo cui: «Condividiamo l’ obiettivo di assicurare metriche di qualità, basate sul rispetto degli utenti e sulla certificazione di terze parti. Per quanto riguarda la viewability, per esempio, su YouTube registriamo il 93% degli annunci viewable e il 95% audible». Tutto il mondo digitale è in azione, dallo Iab all’ Autodisciplina pubblicitaria. E senza dimenticare che la stessa Upa con Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp vuole definire un nuovo parametro quantitativo minimo di tempo e pixel visualizzati, sotto il quale la visualizzazione di una campagna non può essere contaggiata. Inoltre c’ è la questione intricata della proprietà dei big data: a chi appartengono, pur nel rispetto della privacy dell’ utente? Agli investitori, agli editori o alle società intermediarie? Tra le varie associazioni, si sta muovendo anche e soprattutto Iab (Interactive advertising bureau) Italia col suo presidente Carlo Noseda che vuole «inserire un intervento a favore del digitale nella legge di stabilità di fine anno, in modo da incentivare l’ intero settore e garantire i principi di competizione paritetica» dopo che la «manovra correttiva pubblicata il 23 giugno scorso ha previsto agevolazioni sugli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie su stampa ed emittenti radio e tv locali». Non solo, Noseda lancia a Milano per la fine del prossimo ottobre D:City, una tre giorni che racconterà «storie di eccellenza tecnologica, attraverso un palinsesto di appuntamenti dedicati sia ai professionisti sia ai cittadini». Infine, c’ è l’ Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap, presieduto da Mario Barbuto) che ha deciso di regolamentare le recenti forme di native advertising (contenuti promozionali creati dagli editori ad hoc per i loro inserzionisti) e le figure dei blogger. Entrambi i temi portano alla «necessaria distinzione tra informazione e pubblicità», secondo Sassoli de Bianchi, e più in generale a una maggiore tutela per la «qualità dei contenuti che, al momento, non viene pagata. Ma si tratta di una situazione da cambiare», a giudizio di Costa che non ha mancato di fare l’ esempio analogo delle fake news, prima non riconosciute dai colossi di internet mentre adesso il padre di Facebook «Mark Zuckerberg apre» sul tema «e il fondatore di Twitter Evan Williams ha ammesso che la cosa è sfuggita di mano e ci vorranno vent’ anni per recuperare». © Riproduzione riservata.
Per il digitale ci sono già le norme che tutelano consumatori e aziende
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il Libro bianco sulla comunicazione digitale contribuirà di sicuro a fare più chiarezza in un comparto in grande crescita. Tuttavia esiste già un pacchetto di norme che tutela consumatori e aziende dal proliferare di post di pubblicità occulta da parte di web celebrity su social tipo YouTube, Instagram, Snapchat, Facebook e Twitter. Come spiega Elena Carpani, partner dello studio legale Crea avvocati associati, che ha un dipartimento specializzato in diritto sulla pubblicità e in particolare nella pubblicità digitale, l’ Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) ha emanato una Digital chart che fissa le regole della pubblicità digitale e sui social. Regole che valgono per tutti gli editori (ma i social non sono considerati tali) e per tutte le aziende iscritte all’ Upa (Utenti di pubblicità associati). In base alla Digital chart una campagna sui social dovrebbe avere di sicuro un hashtag che evidenzi che si tratta di pubblicità, e poi il nome della campagna e il link al sito dell’ azienda. Si tratta, quindi, di stabilire con l’ influencer un rapporto contrattuale dove sia previsto il rispetto di queste regole per ogni post con finalità commerciale. Certo, non tutte le aziende hanno questa cultura, e quelle che non ricadono all’ interno di Upa spesso si disinteressano. C’ è poi l’ Antitrust, che tuttavia finora ha fatto molto poco su questo fronte, non è neppure strutturato per farlo, e ha dei tempi lunghi non compatibili, invece, con la rapidità della comunicazione social. L’ Autorità garante per il mercato, comunque, tutela tutti i consumatori di fronte a tutti i soggetti, e quindi anche di fronte ai social. Quindi i consumatori, ma non le aziende, possono rivolgersi all’ Antitrust per segnalare casi di pubblicità ingannevole o occulta, chiedendo che venga rispettato il Codice del consumo. L’ Agcom (Autorithy delle comunicazioni) non ha invece strumenti per contrastare il fenomeno della pubblicità occulta sui social, poiché, come spiegano dalla stessa Authority, «il potere di vigilanza e sanzionatorio si applica solo agli editori e alla televisione. I social network non sono considerati editori e sono fuori dal nostro controllo». Infine, le aziende possono comunque rivolgersi al giudice ordinario, poiché la pubblicità occulta è un atto di concorrenza sleale. In questo modo si possono pure ottenere decisioni in tempi brevi. In Italia, quindi, le multinazionali si sono attrezzate, hanno policy internazionali. Ma, in generale, se ne vedono ancora di tutti i colori. Per ora nessun influencer è stato avvisato o sanzionato, a differenza di quanto invece sta accadendo sia nel Regno Unito, sia negli Usa, dove l’ Asa e la Competition and markets authority inglesi, e la Federal trade commission statunitense picchiano duro contro la pubblicità occulta sui social, chiedono la rimozione immediata delle campagne, hanno poteri sanzionatori importanti, possono incidere negativamente sulla reputazione delle aziende coinvolte. Sarebbe opportuno, secondo l’ Unione nazionale consumatori, adottare anche in Italia le regole fissate dalla Federal trade commission (Ftc) americana. Che, esaminando nel maggio del 2016 una campagna social della catena di abbigliamento Lord & Taylor, aveva sottolineato come non fossero sufficienti gli hashtag #lord&taylor, ecc, ma servissero le diciture «Advertsing», «Sponsorizzato da», con formule molto più esplicite, per evitare che nel mare magnum di hashtag (su Instagram, per esempio) tutto si annacqui, e nessuno li noti. Ecco le sette regole imposte dalla Ftc: 1. La dicitura «sponsorizzato» deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori, soprattutto quelli meno protetti: bambini, anziani, ecc. 2. L’ indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi contestuali: jingle ed etichetta. 3. L’ etichetta «sponsorizzato» deve essere ben distinguibile e non inserita vicino a loghi o altri elementi visivi in modo da creare confusione. 4. Deve essere inserita anche in streaming video e deve essere facilmente visibile e udibile. 5. Deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata. 6. La dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target e in tutte le altre lingue dei Paesi in cui la campagna social è veicolata. 7. La comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione.
«Stop ai giganti del web non falsino il mercato»
Il Messaggero
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Il dossier dell’ osservazione Antitrust sulle mosse dei giganti del digitale in Europa sarà ancora ricco nei prossimi anni. Un certo lavoro spetterà anche al Garante della Privacy. E chissà, in alcuni casi «serviranno anche nuove regole». Ma «attenzione a fissare paletti oppressivi che bloccano l’ innovazione», avverte Giovanni Pitruzzella, presidente dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia. Quanto ai grandi che controllano il mercato, «abbiano una responsabilità speciale». La Vestager ce l’ ha con l’ algoritmo di Google o con la posizione dominante? «C’ è da fare una premessa importante. Il diritto Ue non ha alcuna intenzione di colpire la posizione dominante. Non è questo il punto. È importante valorizzare la bravura di un’ impresa che ha raggiunto una certa quota di mercato. E dunque la posizione dominante non è di per sè negativa. Ma il nodo sta in quella speciale responsabilità che deve avere chi ha uno status di controllo del mercato». Intende dire che Google ha approfittato di questo status? «Nel caso dei motori di ricerca, la speciale responsabilità a cui mi riferisco comporta l’ obbligo di avere lo stesso trattamento nei confronti di tutti i siti, senza appunto dare un vantaggio alle ricerche legate ai siti di casa. Il vero nodo è nell’ obiettivo che si soddisfa. Deve essere chiaro che la concorrenza favorisce l’ innovazione, ma va sanzionato chi sfrutta una situazione di controllo per bloccare l’ innovazione di altri o impedisce ad altri di affermarsi e acquisire quote importanti di mercato». La mossa della Vestager riguarda questa volta Google Shopping. Ma in realtà il potere del gruppo attraverso i suoi algoritmi si fa sentire su tanti fronti, dalla gestione delle tariffe, alla mano sulla pubblicità, dall’ utilizzo del copyright al rispetto della privacy. Senza contare il rapporto con il fisco, che proprio in Italia ha segnato un passo importante. C’ è ancora molto da fare per regolare gli Over the Top? «La sanzione Antitrust non deve demonizzare Google, che, dobbiamo riconoscerlo, ha creato benefici sia per i consumatori che per le imprese. Ma naturalmente bisognerà approfondire altri ambiti di azione del gruppo. In realtà, però, è un po’ tutto il mercato digitale oggetto dell’ attenzione dell’ Antitrust. Dunque, va bene vigilare, ma attenzione a bloccare gli innovatori. Da una parte vanno evitate delle barriere regolatorie, dall’ altra va messo sotto la lente il tema dei Big Data. A tale riguardo ricordo che l’ Agcm, insieme all’ Agcom e al Garante della privacy il mese scorso ha avviato una indagine conoscitiva proprio per approfondire le diverse implicazioni di questa tematica. Ormai l’ economia è trainata dai dati e certamente questo ha portato dei benefici. Ma attenzione alle forme di abuso della privacy». Anche l’ Antitrust italiano si è mosso recentemente sanzionando WhatsApp. È un altro segnale che siamo solo all’ inizio nella battaglia contro i big Usa? «Abbiamo sanzionato WhatsApp perchè a seguito dell’ acquisto da parte di Facebook ha inviato un messaggio ingannevole ai clienti. Clienti che, secondo lo stesso messaggio, non avrebbero più potuto utilizzare l’ App senza acconsentire alla condivisione dei dati con Facebook. Non si trattava di un consenso libero e dunque il gruppo andava sanzionato». Bastano gli interventi dei Garanti della Concorrenza o ci vogliono paletti europei anche di altra natura? «I paletti ci vogliono, ma vanno messi con equilibrio. Pensiamo al rapporto tra i giganti della rete e gli editori tradizionali. Serve una tutela adeguata del copyright nel web per l’ informazione tradizionale». Con quali strumenti per esempio? «Con gli interventi dell’ Antitrust e dei Garanti della privacy, ma forse anche con nuove regole». A proposito di regole, in occasione della maxi-multa Ue a Facebook per aver collegato gli account di Whatsapp dopo aver negato l’ intenzione di farlo, la Commissaria Ue alla Concorrenza disse che la sanzione era un chiaro segnale alle società che devono rispettare le regole Ue. È anche questo il tema? I big Usa devono capire che le norme Ue non sono carta straccia? «Certo, le regole vanno rispettate da tutti. Questo è fondamentale. Ma le norme non possono essere oppressive. Vanno evitate esuberanze del mercato. Penso per esempio a quanto abbiamo assistito nella sharing economy. Insisto: è una questione di equilibrio». Roberta Amoruso © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Notizie Violazione del copyright
Il Messaggero
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A Google è stato contestata la violazione di copyright da parte del suo servizio Google News che riproponeva contenuti di altri siti di informazione senza averne una chiara autorizzazione. La diffusione di informazione prodotta da giornalisti professionisti e indirizzare traffico dal sito della fonte delle notizie verso Google ha provocato diverse azioni legali da parte di giornali e riviste online e l’ interesse della Ue. Nuove regole europee sul copyright del materiale sono in discussione dopo il caso della Spagna da cui Google News è stato ritirato e di quello della Germania dove si è trovato un accordo temporaneo tra la società di Mountain View e gli editori tedeschi.
Spot e web, il Libro bianco «Regole per la trasparenza»
Il Resto del Carlino
ACHILLE PEREGO
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Achille Perego MILANO «UNA GUIDA REALE per gli spazi virtuali». Sono le parole con le quali Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa (l’ associazione italiana degli investitori in pubblicità) ha definito il «Libro bianco sulla comunicazione digitale» presentato ieri a Milano. Un «lavoro enorme» durato dieci mesi che, per la prima volta, caso unico al mondo, ha visto la collaborazione di ben 8 associazioni (oltre a Upa, Assocom, Fcp con Fcp Assointernet, Fedoweb, Fieg, Iab, Netcomm e Unicom) che rappresentano il mondo della comunicazione digitale, dagli investitori pubblicitari alle agenzie creative, dalle concessionarie agli editori e dell’ e-commerce. Il Libro bianco, che verrà aggiornato costantemente (in autunno tornerà a riunirsi quello che è stato definito «un tavolo aperto»), contiene linee guida per tutta l’ industria della comunicazione digitale, in grado di rendere più trasparente un mondo «nuovo, complesso, parzialmente inesplorato e talvolta opaco». UN MONDO, però, che solo sul fronte dell’ e-commerce, ha ricordato il presidente di Netcomm, Roberto Liscia, fatturerà quest’ anno 23 miliardi con 40mila aziende e 21 milioni di italiani coinvolti. E dove la trasparenza, presupposto indispensabile per creare fiducia negli utenti, ha sottolineato Emanuele Nenna (Assocom), riguarda anche gli investimenti pubblicitari e l’ uso corretto dell’ informazione. «Distinguendo sempre – secondo il presidente di Upa – tra notizia e messaggio pubblicitario». E tra un’ informazione di qualità e quella ingannevole, ha avvertito il presidente della Fieg, Maurizio Costa. IL LIBRO BIANCO tratta 6 argomenti: la viewability sia come regole, con misuratori certi terzi indipendenti, sia come criteri. La trasparenza della filiera compresi i flussi finanziari, l’ user experience attraverso la misurazione condivisa degli ad blocker, la lotta alle frodi e ai finanziamenti illeciti attraverso la pubblicità e infine gli investimenti pubblicitari, per offrire una sintesi e un punto di riferimento a chi investe e disporre di informazioni attendibili. Norme che dovrebbero condividere anche Google e Facebook, che assorbono il 25% della pubblicità digitale, che – ha anticipato Sassoli de Bianchi – hanno dato un’ adesione di massima al Libro Bianco. Tranne che sul punto della qualificazione degli investimenti, «nodo che però potrebbe essere sciolto in tempi non lunghi». E a un corretto rapporto con i giganti del web si è riferito anche Costa, citando i tre pilastri che dovrebbero far da base alla comunicazione digitale: il rispetto del copyright per evitare lo sfruttamento non pagato dell’ informazione di qualità, il divieto all’ utilizzo improprio di dati dei clienti che navigano sui siti editoriali e regole condivise che, a partire dal Fisco, non consentano privilegi e concorrenza sleale.
Bufera sul contratto Rai di Fazio Vigilanza, la difesa di Maggioni
Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Le polemiche sul rinnovo del contratto Rai di Fabio Fazio non accennano a placarsi. La discussione si è spostata in Commissione di Vigilanza, con l’ audizione del cda e della presidente Monica Maggioni, tranchant sull’ argomento: «Vedere transitare quel marchio, quel volto, quel format su un’ altra emittente avrebbe comportato uno scossone al quale non so se la Rai avrebbe retto in termini di sistema». Al rinnovo non c’ era alternativa, ha aggiunto il consigliere Arturo Diaconale parlando di un Cda «costretto» perché altrimenti Fazio avrebbe firmato con un’ azienda concorrente. Parole che non hanno fatto altro che rinfocolare le polemiche dalle forze politiche, da Forza Italia a M5S a parti del Pd. Contrasti che ormai hanno tracimato secondo il consigliere Freccero che per questo chiede al dg Orfeo di «rimettere in gioco questo contratto». Del resto «come si può pensare che un prodotto oggetto di questa campagna possa sopravvivere all’ audience?». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
“Se Fazio non firmava subito, scappava a La7”
Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Senza Fabio Fazio la Rai non avrebbe retto. Questa la tesi di Monica Maggioni per giustificare il contratto da oltre 11 milioni di euro per 4 anni (cui vanno aggiunte le spese di produzione del programma) al conduttore televisivo. La polemica impazza da giorni e lo stesso Matteo Renzi si sarebbe infuriato incolpando Mario Orfeo per la diffusione della notizia a tre giorni dai ballottaggi delle amministrative. “Agli italiani, che devono pagare il canone in bolletta, e sono andati a votare, non avrà fatto piacere”, commenta una fonte dal Nazareno. Ieri la vicenda è arriva in Vigilanza Rai, dove i parlamentari stavano col fucile puntato. “Fazio fa parte della storia della Rai. Vedere passare quel volto e quel format, su cui abbiamo investito, su un’ altra emittente avrebbe comportato un forte scossone. Non so se la Rai avrebbe retto in termini di sistema”, ha detto Maggioni. La scelta è stata poi difesa da tutti i consiglieri, ma dalle loro ragioni sembra che la decisione sia avvenuta sotto una minaccia incombente: “Siamo stati costretti a sottoscrivere il contratto. Ci è stato detto che, se non lo avessimo chiuso quella mattina, Fazio avrebbe firmato con La7. Non avevamo la pistola alla tempia, ma il codice civile: avremmo potuto risponderne come danno erariale all’ azienda”, racconta Arturo Diaconale. Parole che vengono prese al balzo dal deputato dem Michele Anzaldi per chiedere le dimissioni dell’ intero Cda: “Se i consiglieri firmano sotto costrizione significa che bisogna chiedersi se questo Cda possa andare avanti o sia il caso di azzerarlo”. Ma contro Fazio si scagliano un po’ tutti. Renato Brunetta (Forza Italia) chiede di vedere la delibera della deroga al tetto dei 240 mila euro. Maurizio Lupi (Ap) si domanda “perché è stato fatto un contratto di 4 anni”, sottolineando come “la Rai non possa essere schiava del Mino Raiola di turno”. Maurizio Gasparri sostiene, invece, che “Fazio merita il disprezzo popolare”. “E poi non è vero che stava firmando con altri”, afferma il forzista. Se Fazio avesse o no un piede già fuori dalla Rai è un giallo di difficile soluzione. “La proposta concorrente non l’ ho vista e, del resto, chi la mostrerebbe mai? Ma non dubito che esistesse”, sottolinea Maggioni. “Chiedo a voi parlamentari di intercedere su Orfeo affinché si possa rimettere in gioco questo contratto”, propone Carlo Freccero, che guarda avanti e si pone il problema dei futuri danni all’ azienda e allo stesso Fazio. “Come si può pensare che un prodotto oggetto di questa campagna possa resistere all’ audience?”, si chiede l’ ex direttore di Rai2. Oggi a Milano saranno presentati i palinsesti. Sarà curioso vedere se ci sarà Massimo Giletti, che starebbe trattando su un aumento contrattuale per le 12 serate del prime time del sabato sera. Mentre l’ ultima novità è una serie di puntate di approfondimento su Cosa nostra che, nel 2018, vedrebbe impegnato, tra gli altri, Claudio Fava. Il Cda, infine, ieri si è schierato a testuggine nella difesa della Maggioni sul caso delle presentazioni, pagate dalla Rai, del suo libro Terrore mediatico, pubblicato da un editore privato. “Il libro ha anticipato temi importanti sull’ Isis e il terrorismo. È un testo importante che ha valorizzato l’ autrice e, con essa, l’ intera azienda”, ha spiegato, senza alcun imbarazzo, il renzianissimo toscano Guelfo Guelfi. Maggioni ancora una volta non commenta, ma sorride e apprezza.
Perfezionato l’ accordo l’ Espresso-Stampa
Il Sole 24 Ore
S.Fi.
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Da oggi parte ufficialmente Gedi, il più grande gruppo editoriale di quotidiani in Italia. Ieri è stata perfezionata l’ integrazione della nuova realtà che ha unito l’ Espresso della famiglia De Benedetti (che pubblica il settimanale omonimo e Repubblica); Itedi, casa editrice della Stampa e del Secolo XIX, di proprietà di Fca e della famiglia Perrone. Per l’ occasione, il neo consiglio di amministrazione di Gedi si è riunito a Roma sotto la presidenza, per la prima volta, di Marco De Benedetti: il manager, ex Tim e gestore in Italia del fondo Carlyle (proprietario dei piumini Moncler), ha fatto il suo debutto dopo che nel fine settimana il padre Carlo ha detto addio alla presidenza dell’ Espresso; e dopo che il fratello Rodolfo, presidente di Cir, gli ha conferito l’ investitura ufficiale. Il perfezionamento dell’ operazione è avvenuto tecnicane come effetto di un aumento di capitale dell’ Espresso, diventata Gedi: il nuovo assetto azionario vede Cir detenere il 43,4%, mentre alla Exor, la holding della famiglia Agnelli, viene attribuito il 4,37% del capitale (come effetto del conferimento della quota redistribuita da Fca-Fiat, che ha il 14% post fusione). A oggi la holding di Torino è il terzo azionista, dietro a Jacaranda Caracciolo-Falck, erede di Carlo Caracciolo, uno dei fondatori de l’ Espresso), ma l’ intenzione di John Elkann, che guida Exor e ha seguito in prima persona la fusione, è quella di arrivare oltre la soglia del 5% per essere il secondo azionista del neonata Gedi, in modo da riflettere anche nell’ azionariato il nuovo equilibrio. Lo stesso Elkann, peraltro, ha fatto il suo ingresso nell consiglio di amministrazione, assieme a Carlo Perrone ed Elena Ciallie. «Nasce il principale gruppo di informazione quotidiana e multimediale in Italia con un patrimonio di testate e redazioni di assoluto valore» ha commentato l’ ad Monica Mondardini. C’ è voluto più di un anno per arrivare a questo matrimonio nel mondo della carta. Era il 2 marzo dello scorso anno quando le due case editrici annunciarono le nozze. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Assegnati i Digital Rewards 2017
Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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Sono stati assegnati ieri a Milano al termine della giornata inaugurale della seconda edizione di Class Digital Experience Week (www.classdigitalweek.it) i Digital Rewards, che riconoscono l’ attività e l’ impegno di ciascuno dei partner della manifestazione nello sviluppo del digitale. Sono state 14 le società premiate, che provenivano da settori molto diversi fra di loro ma erano tutte però accomunate da una propensione costruttiva all’ innovazione tecnologica: A2A (ha ritirato Mauro De Cillis – Direttore Operativo di Amsa, società del gruppo A2A), Akamai (Alessandro Livrea – Country Manager per l’ Italia), Allianz Italia (Leonardo Felician – Ceo di Genialloyd, Gruppo Allianz), Bip – Business Integration Partners (Carlo Maria Capè – Ad e fondatore di Bip), Che Banca! (in sala Roberto Ferrari – Chief Digital and Innovation Officer Gruppo Mediobanca), Citroën (Luciano Ciabatti – Direttore Marketing di Citroën Italia), EY (Andrea Paliani – Mediterranean Advisory Services Leader di EY). A completare il parterre delle aziende cui è stato assegnato il Digital Reward, Ibm (Luca Altieri – Direttore Marketing e Comunicazione), Mondadori (Francesco Riganti – Direttore Marketing Mondadori Retail), Rds (Massimiliano Montefusco – Direttore Generale di Rds 100% Grandi Successi), Schindler Italia (Angelo Fumagalli – Ad e Direttore Generale), Sorgenia (Simone Lo Nostro – Market & Ict Director), STMicroelectronics (Alessandro Cremonesi – Group Vice President e Direttore Generale di ST Central Labs), Y&R (Federica Ilaria Fornaciari – Chief Digital Officer Y&R). Nell’ occasione è stata organizzata una speciale tavola rotonda, chiamata Instant Digital Pitch, durante la quale, in 180° scanditi da uno spettacolare count down grafico, i rappresentanti delle aziende partner che erano presenti a Palazzo Mezzanotte (sede di Borsa Italiana) hanno avuto modo di illustrare alla platea presente e a tutto il pubblico che ha seguito in streaming la cerimonia attraverso la diretta live, quali siano i progetti e le azioni che hanno messo in essere grazie al digitale e come tramite queste siano stati in grado di creare valore per loro e per le aziende con le quali lavorano. Class Digital Experience Week (www.classdigitalweek.it) è la settimana dedicata allo sviluppo della conoscenza dell’ innovazione digitale e delle sue straordinarie opportunità da parte di tutti i cittadini, per vivere al meglio nella nuova era, ideata e organizzata da Class Editori. Da lunedì 26 giugno fino a domenica 2 luglio Milano diventa la capitale mondiale dello sviluppo tecnologico, con un ricchissimo calendario di conferenze e workshop gratuiti (previa registrazione) che consentono alla cittadinanza di toccare con mano lo stato dell’ arte del digitale e di capire in che direzione vada la sua l’ evoluzione.
Repubblica+Stampa, è fusione
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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È stata perfezionata ieri la fusione tra il gruppo editoriale di Repubblica e quello di Stampa e Secolo XIX, attraverso l’ integrazione della piemontese Itedi nella romana Gedi-Gruppo editoriale. Per il closing dell’ operazione annunciata a inizio marzo 2016 si è riunito il cda di Gedi presieduto per la prima volta dal neo-presidente Marco De Benedetti (figlio di Carlo De Benedetti, ora presidente onorario). Inoltre, nel board, hanno debuttato ufficialmente in veste di consiglieri John Elkann (presidente Fca) e Carlo Perrone (editore storico del Secolo XIX). Del nuovo polo editoriale, la holding della famiglia De Benedetti Cir detiene il 43,4% mentre Fca ha in portafoglio il 14,63% e la famiglia Perrone il 4,37%. Una volta che Fca avrà distribuito le azioni a tutti i suoi azionisti, la società d’ investimenti Exor della famiglia Agnelli-Elkann deterrà il 4,26%. Ma John Elkann ha già annunciato di volersi rafforzare e diventare il «secondo più grande azionista» (vedere ItaliaOggi del 6/4/2017). Oggi, dunque prima che Elkann salga dal suo 4,26%, Cir, Exor e Italpress dei Perrone controlleranno, congiuntamente, il 52% circa del nuovo conglomerato. Il perfezionamento dell’ operazione è stato possibile dopo l’ esecuzione dell’ aumento di capitale targato Gedi per 80 milioni di euro e riservato, per l’ appunto, a Fca e Italpress. Così come sono arrivati, progressivamente nel tempo, i via libera necessari all’ operazione delle diverse Autorità competenti, tra cui Agcom, Antitrust e ultima in ordine temporale Consob. Per portare avanti il progetto, e rispettare il tetto imposto a ogni editore del 20% della tiratura complessiva italiana, sono stati ceduti poi i quotidiani locali Il Centro (in Abruzzo), la Città di Salerno e Alto Adige e Trentino. Gedi ha un enterprise value inferiore al mezzo miliardo di euro e dalla fusione per incorporazione sono attese sinergie da «circa 15 milioni di euro», come ha avuto modo di rendere noto l’ a.d. Monica Mondardini che, ieri, ha invece dichiarato: «Siamo soddisfatti di avere portato a compimento un’ operazione che dà vita al principale gruppo di informazione quotidiana e multimediale in Italia, con un patrimonio di testate e redazioni di assoluto valore. Ringrazio gli azionisti del nuovo gruppo per il loro costante supporto, i dirigenti e tutti i collaboratori per il loro lavoro degli ultimi mesi. Il nostro settore è caratterizzato da grandi cambiamenti e crescenti complessità. Siamo consapevoli degli impegni che ci attendono ma anche molto determinati a raggiungere i nostri obiettivi: continuare a essere un’ azienda efficiente e solida finanziariamente e garantire un’ offerta informativa di qualità e vicina alle esigenze dei lettori».
L’ Europa attacca: multa da 2 miliardi al colosso Google padrone del mondo
Il Giornale
Marcello Zacchèdi
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Con una multa che, per entità (2,4 miliardi di euro), non si era mai vista prima per un abuso di posizione dominante, l’ Unione europea batte un altro colpo contro gli Ott, cioè gli «over the top». Sono i cinque giganti web (Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft) le cui capitalizzazioni di Borsa, se sommate, arrivano in zona 3mila miliardi di dollari: con un paragone un po’ forzato valgono come il Pil della quinta nazione del mondo, dopo la Germania. Il fatto che questi cinque soggetti abbiano nelle nostre vite un ruolo sempre maggiore è evidente. E la questione è ogni giorno che passa più economica, perché è attraverso di loro che si formano e si formeranno (…) (…) sempre più le nostre decisioni di spesa. In altri termini sulla loro «neutralità» si basa la libera concorrenza e la possibilità di pagare, a parità di beni o servizi, il prezzo più basso. E non c’ è solo questo: dai cinque Ott dipendono già oggi interi settori economici, basti pensare all’ editoria. Mentre, per chiudere il cerchio, la reale contribuzione fiscale dei cinque campioni è invece molto sospetta. Ebbene, nella multa di ieri possiamo leggere in controluce un segnale importante: l’ Europa, almeno nel campo dell’ antitrust, dimostra di esistere. E lo fa andando a pescare un comportamento forse secondario di Google (il settore dello shopping): probabilmente un anello debole. Ma tanto basta per far partire un messaggio forte: da oggi esiste un precedente che fissa il principio secondo il quale un gigante tecnologico non può assumere un ruolo dominante nelle nostre vite. Ci saranno dei limiti. Ma non è tutto. Dietro alla maxi multa per Google, la Concorrenza Ue dimostra di avere allungato il passo rispetto ai colleghi Usa, che è la nazione che ha inventato l’ antitrust. Eppure sullo strapotere dei colossi del web, guarda caso tutti rigorosamente americani, l’ unico soggetto al mondo che si muove con sufficiente determinazione sta di casa a Bruxelles. Un altro segnale: quello della volontà di determinati ambienti europei di tutelare i propri consumatori e le proprie imprese da ogni tipo di anomalia di mercato importata dalla principale area economica e monetaria concorrente e cioè proprio gli Stati Uniti. Perché è evidente che lo scontro tra Google e Commissione Ue non è che una proiezione del confronto Usa-Europa. Non a caso la manovra della Concorrenza Ue, secondo le fonti comunitarie bene informate, riceve la sua spinta maggiore direttamente da Berlino. Una strategia che partirebbe da lontano: dall’ ira di Angela Merkel per lo spionaggio ai sui danni effettuato per anni della Nsa (l’ Agenzia Usa per la sicurezza nazionale) e scoperto nel 2013. Per questo i tedeschi – attraverso i loro rappresentati vomunitari più influenti- sono considerati i principali protagonisti delle pressioni sull’ Antitrust Ue, perché questo diventi un presidio della libera concorrenza (soprattutto verso gli Usa) universalmente riconosciuto. Un’ operazione perfettamente interpretata da una non tedesca, la danese Margrethe Vestager, e in fin dei conti sostenuta da tutti gli altri Paesi europei. Marcello Zacchè.
Telecom apre a Mediaset sui diritti tv della Serie A
Il Giornale
Maddalena Camera
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Maddalena Camera Telecom sarebbe pronta a fare un’ offerta con Mediaset per i diritti di calcio della Serie A «ma solo se c’ è una convenienza reciproca». Lo ha detto l’ ad del gruppo telefonico, Flavio Cattaneo sottolineando i buoni rapporti con Mediaset. «Ritengo che sia un’ azienda non solo rispettabile – ha detto – ma che ha anche un buon posizionamento di mercato». Cattaneo rimescola le carte dunque, contanto forse sul fatto che il suo principale azionista, Vivendi, sta ai ferri corti con Mediaset da parecchi mesi e rischia di dover pagare un risarcimento miliardario per il mancato acquisto della pay tv Premium. Allora la condivisione dei diritti del calcio potrebbe rappresentare una onorevole via d’ uscita per Vivendi che altrimenti potrebbe dover pagare fino a 1,8 miliardi a Mediaset. Telecom comunque, ha spiegato l’ ad, intende fare investimenti nei diritti tv del calcio solo se rendono: «Abbiamo sempre detto che gli investimenti li facciamo solo se proporzionati al ritorno». Oggi intanto a Cologno Monzese si svolgerà l’ assemblea dei soci Mediaset chiamata ad approvare il bilancio e nominare il nuovo collegio sindacale. L’ assise è inoltre chiamata ad approvare un piano di buyback fino al 10% del capitale, una contromossa al tentativo di scalata fatto da Vivendi, che nei mesi scorsi è salita al 28,8% del capitale. Secondo indiscrezioni il capitale che parteciperà all’ assemblea, contando anche Vivendi, supererà, l’ 80%. Fininvest ha il 39,5% e i fondi dovrebbero essere presenti con oltre il 15%. Per essere approvata, la delibera richiede la maggioranza del capitale, ma senza contare la quota Fininvest, esclusa dal computo per il meccanismo del whitewash (votano solo gli azionisti di minoranza). Sarà quindi determinante vedere cosa farà Vivendi. Ma i francesi probabilmente non saranno presenti all’ assemblea in quanto obbligati da Agcom a congelare i diritti di voto al di sotto del 10%. Gli analisti di Equita ricordano che se Mediaset incrementasse le azioni proprie fino al 10% e poi le distruggesse, Fininvest si porterebbe automaticamente al 45,7% dei diritti di voto con Vivendi al 32%. Quota, quest’ ultima, che nonostante il ricorso presentato dai francesi al Tar che sarà discusso l’ 11 luglio prossimo, dovrà essere congelata sotto il 10%. La società francese ha presentato la sua proposta all’ Autorità per le tlc il 19 giugno scorso ma non ha ancora avuto una risposta concreta al rimedio proposto che prevede il trasferimento della quota eccedente al 10% in un trust. Da sottolineare che Vivendi ha speso, per la quota Mediaset, 1,3 miliardi di euro. Ieri i titoli del Biscione sono scesi dell’ 1,3% forse anche per le prospettive di maggior concorrenza sul mercato televisivo. Dopo l’ arrivo di Sky e Discovery, che trasmettono in chiaro su alcuni canali del digitale terrestre, anche i giganti del web si apprestano a realizzare serie tv. Oltre ad Amazon ora anche Facebook sta trattando con le major per realizzare miniserie tv da offrire ai propri clienti. Non c’ è dubbio dunque che la concorrenza sui contenuti è sempre più agguerrita. E anche questo potrebbe essere un altro motivo per Mediaset e Vivendi di ritrovare un accordo sulla produzione di contenuti comuni per far fronte alla potenza di fuoco dei giganti del web.
Mazzata della Ue a Google multa record di 2,4 miliardi “Fa sparire i concorrenti”
La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES. È la multa più salata mai inflitta dalla Commissione europea per abuso di posizione dominante e potrebbe dare il via a centinaia di cause civili di fronte ai tribunali nazionali per risarcimento danni: Bruxelles è andata oltre le aspettative e ha annunciato una sanzione di 2,42 miliardi di euro a carico di Google. Inoltre ha ordinato a Mountain View di modificare le sue pratiche commerciali entro 90 giorni. Se non lo farà, il colosso fondato da Larry Page e Sergey Brin sarà condannato a pagare il 5% del suo fatturato per ogni giorno – circa 12 milioni – di mancato adempimento. Google si è detta «in disaccordo con la decisione» dell’ Antitrust Ue guidato da Margrethe Vestager e ha di fatto annunciato un ricorso alla Corte di giustizia europea. Sarebbe una causa colossale, corredata da milioni di pagine web e documenti per confutare la scelta della direzione generale per la Concorrenza, che in 40 anni non ha mai perso una causa. Dopo sette anni di indagini Bruxelles ha condannato i servizi di Google Shopping per avere sistematicamente dato maggior risalto al suo servizio di comparazione degli acquisti: quando un utente cerca un prodotto su Google il suo servizio di shopping gli propone le varie possibilità di acquisto in modo visibile. I servizi di comparazione di acquisti dei rivali sono invece lasciati nella colonna dei risultati generici, spesso nemmeno nella prima pagina, cliccati solo l’ 1% delle volte. Per Vestager «Google ha abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca per promuovere il servizio di comparazione shopping». La Commissione ha poi annunciato che anche negli altri due casi in cui indaga Google, quelli legati al software Android e al servizio pubblicitario Adsense, ci sono gli estremi per una futura condanna. Il vicepresidente di Google, Kent Walker, ha spiegato che «quando si fa shopping online si vogliono trovare i prodotti in modo veloce e facile». Per l’ azienda americana non ci sono le prove e lamentano che la Vestager non ha preso in considerazione nell’ analisi di mercato il business di altri big del commercio in rete come Amazon e eBay. La multa comminata da Bruxelles è inferiore al tetto massimo previsto dalle regole Ue, sarebbe potuta arrivare a 8 miliardi, ma si tratta comunque della più grande stangata per un caso di concorrenza mai inflitta da Bruxelles il cui record risaliva al 2009 (1,06 miliardi a Intel). Per quanto Trump, al contrario di Obama, sia freddo verso la Silicon Valley, la decisione della Ue è destinata a inquinare ulteriormente i rapporti tra Unione e Usa già sotto stress su clima e commercio. Bruxelles sta indagando anche su Starbucks, Apple, Amazon e McDonalds ma ha sempre negato di prendere di mira le aziende americane, alcune delle quali -come Oracle e News Corp – ieri hanno sostenuto la decisione Ue. Anche il mondo dell’ editoria e delle comunicazioni europeo si è schierato con Bruxelles. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Nel mirino della Commissione europea ora ci sono Android e i banner di Adsense.
Acconto contributi editoria, le imprese attendono sviluppi
Il mistero buffo dell’acconto del contributo ai giornali, previsto da una legge appena approvata, trova una ribalta importante. Infatti, come abbiamo scritto ieri, è stata presentata un’interrogazione parlamentare urgente al Governo da parte di un gruppo di senatori. Un gruppo nutrito, in realtà, che testimonia un’attenzione istituzionale importante. Hanno firmato l’interrogazione, promossa dalla senatrice Spillabotte, i senatori Angioni, Bencini, Collina, Esposito, Ferrara, Fravezzi, Gambaro, Ginetti, Liuzzi, Mancuso, Mastrangeli, Moscardelli, Panizza, Valdinosi, Valentini, Villari e Uras. Ricordiamo, infatti,che l’articolo 3 della legge 26 ottobre 2016, n. 198, prevede che le imprese editrici hanno diritto a percepire un anticipo del contributo entro il 31 maggio a condizione che siano in regola con tutte le prescrizioni della legge. E per essere in regola le imprese stesso hanno assunto impegni, spesso anticipando pagamenti, o facendo ricorso al credito bancario, confidando, legittimamente, nel rispetto della legge da parte del Governo. Che cincischia, in una sorta di impasto burocratico, nonostante la presenza delle risorse necessarie a garantire l’erogazione. In allegato il testo dell’interrogazione parlamentare.
Rassegna Stampa del 29/06/2017
Indice Articoli
Affondo Fnsi-Usigrai: restituire il telefono a Federica Sciarelli
L’ inchiesta “in sonno” sui ras dei giornaloni
La Siae chiude il 2016 con ricavi e utili record
Nuova causa contro Vivendi, ma Mediaset punta alla pace
I media americani si sono sfracellati e quelli italiani li copiano a garganella
Mediaset, nuova causa a Vivendi
Drahi compra la prima radio e la prima televisione di Lisbona
Per la raccolta di viale Mazzini semestre a -1% e anno a +2%
Chessidice in viale dell’ Editoria
Franco Levi presidente dell’ Aie Rilancio per Tempo di libri
Levi: «Incentivi per l’ acquisto di libri»
Guida presidente dei Piccoli Editori
Affondo Fnsi-Usigrai: restituire il telefono a Federica Sciarelli
Il Fatto Quotidiano
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Solidarietà alla giornalista Federica Sciarelli, conduttrice del programma Rai Chi l’ ha Visto? dalla Federazione nazionale stampa italiana e dall’ Unione sindacale giornalisti Rai, dopo la decisione della Procura di Roma di sequestrare il telefonino della giornalista, indagata per violazione del segreto d’ ufficio in concorso con il pm Henry John Woodcock, in merito alle fughe di notizie sul caso Consip. “In questo come in tutti i casi analoghi il sequestro del telefonino di una giornalista resta un atto grave, peraltro già contestato in più sedi”. Per la Fnsi e il sindacato dei giornalisti Rai, il sequestro è una “palese ed esplicita violazione della segretezza delle sue fonti”. Sul caso Consip intervengono, riconoscendo l’ importanza dell’ inchiesta definendola “una vicenda della massima delicatezza istituzionale e democratica, dal momento che ha tutti i contorni di un duro scontro all’ interno degli apparati dello Stato”. Ribadendo la fiducia nella magistratura “che deve fare serenamente il proprio lavoro per accertare i fatti” ma ” è necessario che venga rivista con urgenza la decisione di sequestrare il telefonino di Federica Sciarelli, alla quale va la nostra piena solidarietà”.
L’ inchiesta “in sonno” sui ras dei giornaloni
Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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Aun anno di distanza dalle nuove denunce inviate al presidente dell’ Inps Tito Boeri, non sono state ancora presentate le conclusioni degli ispettori sulle presunte truffe per decine di milioni di euro ai danni dello Stato perpetrate dai big dell’ editoria. Secondo quanto appreso dal Fatto, le risultanze dell’ indagine sarebbero state “imboscate” perché avrebbero confermato la fondatezza dei primi rilievi della direzione generale dell’ Inps, presentati al ministero del Lavoro già nel settembre scorso. E anzi ne avrebbero ampliato i contorni e la portata. Era il maggio del 2016 quando sulla posta elettronica del presidente dell’ Inps, Tito Boeri, arriva una segnalazione, debitamente firmata, che denuncia gravi irregolarità nell’ accesso alla cassa integrazione guadagni e ai prepensionamenti del gruppo l’ Espresso. Dall’ istruttoria interna si confermerebbero numerose criticità. L’ azienda editoriale avrebbe avuto indebitamente accesso alle facilitazioni e ai sussidi di legge in almeno due operazioni di ristrutturazione, la prima conclusasi nel 2012 e la seconda nel 2015. Il danno all’ erario e agli istituti previdenziali (Inps e Inpgi) viene allora valutato dalla Vigilanza dell’ Inps in oltre 70 milioni. Convinto da questi riscontri e sollecitato dall’ inchiesta del Fatto, il direttore generale pro-tempore, Massimo Cioffi, investe il ministero del Lavoro e si avviano le ispezioni presso le aziende. Nel frattempo parte la riorganizzazione della dirigenza dell’ Inps. Alla direzione generale approda Gabriella Di Michele. La nuova direttrice è una funzionaria Inps di lungo corso. Il 27 aprile 2012 guidava la direzione del Lazio quando la direzione Audit trasmetteva alla direzione centrale Vigilanza una denuncia anonima contro alcuni dipendenti dell’ istituto per l’ inserimento di contributi fittizi a favore di dipendenti del gruppo editoriale l’ Espresso. Le direzioni centrali sollecitavano la Di Michele che dopo un anno risponde: “Il controllo effettuato sulle posizioni dei dipendenti del gruppo L’ Espresso è risultato regolare e non ci sono elementi tali da suffragare la segnalazione anonima”. Dopo altre sollecitazioni la direzione del Lazio l’ 11 aprile 2014 comunicava ancora che dopo accurati controlli “dall’ accertamento non sono emerse irregolarità che richiedano un accesso ispettivo”. Nel frattempo Di Michele veniva promossa a direttore centrale Entrate. Dal 12 agosto 2016, quando la direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito porta a conoscenza di tutte le strutture competenti dell’ Inps le nuove segnalazioni arrivate al presidente Boeri, il lavoro di verifica interna degli ispettori procede spedito ed emergono anche altri importanti indizi di comportamenti illeciti di altre aziende editoriali, come il gruppo Il Sole 24 Ore. Fino a che, a novembre scorso, l’ indagine è stata trasferita al neonato Ispettorato nazionale del Lavoro (Inl). Interpellato dal Fatto il mese scorso l’ Inl si trincera dietro la complessità dei rilievi ma conferma che molti riscontri sono stati conclusi. Nell’ Ispettorato sono state accentrate le attività del ministero del Lavoro, dell’ Inps e dell’ Inail. A capo dellastruttura è stato messo Paolo Pennesi, ex direttore generale dell’ ispettorato del lavoro del dicastero e braccio destro del ministro, Giuliano Poletti. Ternano, laureato in giurisprudenza, Pennesi è autore dei decreti attuativi del Job Act. Il Pm Francesco Dall’ Olio ha recentemente indagato Pennesi per abuso d’ ufficio: avrebbe favorito un’ azienda umbra, la So.Ge.Si, in una presunta truffa ai danni dell’ Inps per “indebiti sgravi contributivi previsti dalla legge”. Al ministero un’ informativa di reato a carico dell’ azienda sarebbe stata bloccata proprio da Pennesi. L’ udienza davanti al Gup che dovrà decidere per il rinvio a giudizio, è stata fissata per il 5 luglio prossimo. Pennesi ha chiesto il rito abbreviato.
La Siae chiude il 2016 con ricavi e utili record
Il Sole 24 Ore
Francesco Prisco
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Siae chiude il bilancio 2016 con un fatturato a quota 796 milioni, «il più alto di sempre nella storia della società autori ed editori», secondo il presidente Filippo Sugar. I principali indicatori economici sono contrassegnati dal segno più: rispetto all’ anno precedente, i ricavi sono infatti cresciuti dell’ 1,8%, mentre l’ utile netto si è attestato a quota 1,3 milioni a fronte dei circa 300mila euro del 2015. Dal 2013, anno delle ultime elezioni della Siae, il fatturato è cresciuto di oltre 120 milioni (18%). Quanto al risultato di esercizio, siamo di fronte al sesto bilancio consecutivo che la società chiude in attivo. Il contributo maggiore al fatturato (740 milioni) arriva da diritto d’ autore e altri servizi di intermediazione (+2,2%). La società ha liquidato agli aventi diritto 656 milioni compresa la copia privata, con un incremento di 40 milioni sul 2015 (+6,3%). Gli incassi per il solo diritto d’ autore, al netto cioè della copia privata, si sono attestati a 591 milioni, con una crescita del 3% rispetto al 2015. In aumento gli incassi relativi alla multimedialità (+9,6% sul 2015), in parte ascrivibili al recupero di diritti pregressi nei confronti dei grandi utilizzatori digital service provider, e quelli relativi all’ emittenza (+3,9%), riconducibili alla finalizzazione degli accordi con Mediaset Rti e Sky per le sezioni musica e cinema. Curioso che queste performance siano arrivate nell’ anno del grande dibattito intorno al recepimento della Direttiva Barnier, con la Siae spesso sotto attacco mediatico da parte di competitor come la start up Soundreef che, proprio nel 2016, ha messo sotto contratto artisti celebri come Fedez e Gigi D’ Alessio. Per Sugar, tuttavia, «la Siae, società che è espressione di autori ed editori, sta semplicemente raccogliendo i frutti di un processo di riassetto avviato quattro anni fa con l’ elezione a presidente di Gino Paoli». Una stagione che volge al termine – entro l’ anno ci saranno infatti nuove elezioni in Siae – nella quale si è lavorato per rendere l’ ente economico a base associativa fondato nel 1882 più competitivo e trasparente rispetto a una tradizione storica di grandi diseconomie che avevano portato addirittura al commissariamento del 2011. Si è intervenuto sulla pianta organica, con l’ esodo di 180 addetti, l’ assunzione di 120 giovani e il varo di un contratto integrativo. Azioni che, dal 2013 a oggi, hanno ridotto il costo del personale di 8 milioni, fino a quota 82 milioni. «Si è intervenuto – prosegue Sugar – anche sulle aliquote di provvigione, portate al 15,3% nel 2015 e al 15,2% nel 2016, tra le più competitive d’ Europa». Nel 2016 è stato incrementato di 5,6 milioni il fondo di riorganizzazione aziendale a supporto del piano strategico (che ha raggiunto quota 19,5 milioni) e sono stati effettuati investimenti per 12,7 milioni. In particolare, si è investito in innovazione tecnologica, con interventi a valere sull’ Agenda digitale da 8,6 milioni. Risorse che salgono a 23,5 milioni se si considerano gli investimenti in tecnologia dell’ intero quadriennio. Tra le novità introdotte, il nuovo portale associati, la piattaforma di pagamento on line e il sistema di ripartizione analitica delle utilizzazioni on line. Sfida ambiziosa, in particolare, quella di mioBorderò, il borderò digitale che offre la possibilità a organizzatori e utilizzatori di compilare via web il programma musicale della serata puntando a garantire ripartizioni analitiche e tempi più rapidi di liquidazione per gli aventi diritto. In ultimo la funzione sociale di Siae che l’ anno scorso ha erogato 1 milione per contributi solidaristici e 0,9 milioni per attività culturali e sociali lanciando Sillumina, progetto in accordo con il ministero dei Beni culturali, attraverso il quale la società ha distribuito 6,3 milioni a sostegno di attività che favoriscono la creatività. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Nuova causa contro Vivendi, ma Mediaset punta alla pace
Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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«Si vis pacem, para bellum». Così il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha risposto a chi chiedeva se la diatriba con Vivendi avesse raggiunto il punto di non ritorno. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Ma la prolusione del presidente all’ avvio dell’ assemblea (che ha visto grande assente proprio l’ azionista francese), gli spiragli di pace non li aveva proprio fatti intravvedere. Confalonieri ha parlato di «take over ostile» della compagnia controllata e presieduta da Vincent Bollorè, che con «modalità e tempistica tipiche dei raid» ha rastrellato quasi il 30% dei diritti di voto. Ha parlato di un «approccio tipicamente finanziario» da parte di un gruppo che «tradisce gli impegni presi e tratta con arroganza gli organi di controllo». «A posteriori – ha sottolineato – abbiamo capito che l’ obiettivo di Vivendi era quello di entrare dalla porta di Premium per poi scalare la società». E dunque, immaginare la compagnia transalpina come grande editore in Italia è «inquietante». Confalonieri ha parlato di «voltafaccia, accordo stracciato e attacco al cuore di Mediaset», mentre quella che doveva essere un’ alleanza strategica, cementata da scambio di quote, è diventata invece «un elemento fortemente negativo, un intralcio, un condizionamento pesante allo sviluppo dell’ azienda che, con il peso di questa querelle societaria, non può esprimere appieno le sue potenzialità». «Per esempio – ha spiegato Confalonieri – ci è preclusa ogni iniziativa che possa direttamente o indirettamente incidere sui settori tv e telecomunicazioni, proprio a causa della presenza di Vivendi in posizione di controllo in Telecom e di collegamento in Mediaset». Così – è stato rivelato in assemblea – l’ 8 giugno scorso Mediaset, insieme all’ azionista Fininivest, ha nuovamente citato in giudizio Vivendi. Questa volta per «violazione contrattuale, concorrenza sleale e violazione della legge sul pluralismo televisivo». Accuse già emerse in questi mesi che vertono intorno al mancato rispetto delcontratto di aprile 2016, sulla violazione del Tusmar, sull’ essere entrati in possesso di informazioni riservate nella fase di trattativa per la pay-tv, utili, poi, secondo Cologno, a sviluppare con Telecom una piattaforma in concorrenza con Mediaset. Con quest’ ultima iniziativa legale si chiede però al Tribunale di “ordinare” a Vivendi la dismissione della quota in Mediaset, secondo modalità non elusive e comunque tali da non alterare il corso di Borsa del titolo, che già è finito in altalena in questo ultimo anno per effetto degli accordi annunciati, firmati, mancati, per il rastrellamento e l’ intervento delle autorità regolatorie. «Siamo ancora in attesa di conoscere le decisioni dell’ Agcom a riguardo del piano presentato da Vivendi», ha detto il presidente Mediaset in assemblea. Ma, a quanto risulta a «Il Sole-24Ore», non c’ è ancora allineamento di vedute tra l’ Authority e i francesi che avrebbero presentato un piano per sterilizzare i diritti di voto nel Biscione per la quota eccedente il 10% consentito, col trasferimento delle azioni a un’ ancora non ben definita “fiduciaria”. La nuova iniziativa legale delle società che fanno capo alla famiglia Berlusconi mira quindi a eliminare l’ insidia alla radice, mentre nel frattempo l’ ok al buy-back col il sì del 94% delle minoranze permetterà a Mediaset di acquistare fino al 10% di capitale proprio senza far scattare l’ obbligo di Opa a carico di Fininvest, che di suo potrà spendere la facoltà di incrementare la partecipazione fino al 5% annuo, arrivando così, volendo, a superare il 49% tra meno di un anno. A favore del buy-back ha votato anche il fondo Amber, titolare del 2,5%, che è intervenuto in assemblea denunciando «l’ inadeguatezza del management» a fronte di uno scenario competitivo completamene mutato rispetto solo a dieci anni fa, dopo un’ esperienza «decisamente negativa» nella pay-tv. Questo, dunque, l’ armamentario di guerra, aggiornato con le ultime iniziative. Ètoccato invece a Pier Silvio Berlusconi il compito di stemperare i toni. «La prima causa era legata alla rottura del contratto, questa seconda è conseguenza di ciò che è avvenuto dopo», ha spiegato l’ ad, che ha tenuto altresì a precisare: «Non stiamo virando sul risarcimento danni, ma vogliamo ancora l’ esecuzione del contratto». Sky non è considerata un’ alternativa. Alla domanda se Premium potrebbe essere ceduta alla pay-tv del gruppo Murdoch, Berlusconi jr. ha risposto che «a oggi non ci sono elementi per ipotizzare un accordo». Le prospettive di pace ruotano comunque sempre intorno al pallone. Pier Silvio Berlusconi ha colto l’ apertura dell’ ad di Telecom Flavio Cattaneo su una possibile collaborazione per i diritti della serie A. «Se c’ è la possibilità di un accordo con Tim che faccia l’ interesse di entrambe le società, perchè no? Condivido in pieno le parole di Cattaneo, ma al momento con ci sono colloqui concreti a riguardo». Bisognerà aspettare la nuova asta d’ autunno per capire se dalle parole si potrà passare ai fatti. Ma intanto i tempi del contenzioso si adeguano. Infatti, il giudice del Tribunale di Milano, Vincenzo Perozziello – presso il quale era già pendente la prima causa – ha deciso di cancellare l’ udienza del prossimo 24 ottobre fissando, per entrambe le cause, la nuova data del 19 dicembre. Dopo aver preparato la guerra, il Natale forse porterà la pace. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I media americani si sono sfracellati e quelli italiani li copiano a garganella
Italia Oggi
PIERLUIGI MAGNASCHI
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Donald Trump ha dei pregi e dei difetti, come tutti gli uomini politici. La sua politica nei confronti di Cuba, ad esempio, è semplicemente demenziale. Infatti chi (come lui) è contrario al regime castrista, dovrebbe accelerare al massimo le aperture economiche per far precipitare verso la democrazia o, quanto meno il libero mercato, l’ isola caraibica, costringendola a liberarsi dal suo corsetto pauperistico ideologico. Invece la politica mediorientale di Trump (che però, almeno, rispetto al recente passato, è una politica) deve ancora dimostrare di essere giusta. E così via. La stampa libera di un paese libero dovrebbe analizzare le politiche per come esse sono. Non comportarsi come se fosse formata solo da organi di partito, utili anch’ essi, intendiamoci bene, ma programmaticamente faziosi. Abbandonando il reportage oggettivo e mettendosi al servizio del sistema di potere (nemmeno di un partito) i media Usa hanno gettato alle ortiche un secolo di serietà, di impegno e di crescita. Oggi, negli Usa, le fake news, cioè le balle, per farci capire anche a Trastevere, non le diffondono solo i forsennati smanettatori del web (dai dilettanti ci si deve sempre aspettare di tutto) ma le balle le diffondono anche le grandi testate, non solo di carta ma soprattutto tv. Questa è una vera tragedia (altro che il solo Trump) che riguarda tutto il mondo e non solo gli Stati Uniti. Una tragedia immensa perché Trump, prima o poi, passerà, ma questa devastante Waterloo della serietà informativa è destinata a rimanere molto più a lungo perché essa ha avvelenato i pozzi della serietà professionale e si è nascosta nella retorica (Ah il Watergate! Che poi fu, anche se nessuno lo ricorda, il semplice risultato del dossieraggio di un vicedirettore della Cia che si voleva vendicare perché non era stato nominato da Nixon a capo dell’ Ente degli spioni. La cosa venne ammessa da lui stesso sul letto di morte. Il Watergate quindi non fu il risultato di una benemerita cocciutaggine investigativa ma solo il taglia e incolla di documenti forniti da potentati sotterraneamente in lotta fra di loro e di cui i media si sono prestati a fare da megafono. Questi media, contrariamente a quello che hanno fatto finora credere, non cercavano la verità, ma servivano solo uno dei poteri in lizza, per di più nascosto). La Waterloo del giornalismo a stelle e strisce riguarda tutto il mondo perché l’ ultimo secolo è stato il secolo mediatico degli Usa, un immenso paese con eccezionali risorse, che ha seguito la cronaca del mondo (avendo interessi in tutto il mondo) con mezzi inimmaginabili da parte di qualsiasi altro paese, con le sue possenti agenzie presenti dovunque, i suoi serbatoi di analisi (think tank), il suo background universitario, le sue multinazionali tentacolari. È stato inevitabile che i grandi media Usa diventassero il punto di riferimento di tutti gli altri media del resto del mondo. Essi infatti sono stati saccheggiati dai corrispondenti stranieri che li hanno sempre considerati serbatoi informativi grazie ai quali fare bella figura nel paese d’ origine, con poco sforzo. Si è stabilita quindi l’ abitudine planetaria di copiare acriticamente «le autorevoli testate». Prima citandole e poi, troppo spesso, non facendo nemmeno più questo sforzo. Ieri l’ altro è arrivata la notizia che tre giornalisti di punta della Cnn (il moloch della tv Usa) si sono dimessi per aver pubblicato un articolo (da loro completamente inventato) con il quale descrivevano i legami fa l’ amministrazione Trump e il Cremlino. Si sono infatti dimessi (in America chiamano così i licenziamenti in tronco provocati da queste motivazioni), Thomas Frank (che fu candidato al Premio Pulitzer, non era quindi una mammoletta qualsiasi, ma un mammasantissima del giornalismo), Eric Lichtblau (che il Pulitzer lo ha anche preso nel 2006) e Lex Haris (capo, immaginate, del «team investigativo della Cnn». Se lui era il capo, immaginiamoci gli altri). Ma ieri nessuno dei grandi media italiani che si erano aggrappati e questa inchiesta, dandola per vera, visto chi l’ aveva scritta e la fonte che l’ aveva veicolata (e questo errore potevano farlo, in buona fede, tutti, compreso chi scrive), nessuno dei grandi media italiani di ieri, dicevo, ha dedicato una riga a queste dimissioni. Questo sì che non è corretto nei riguardi dei lettori che, essendo stati disinformati (ma ripeto, questo errore era comprensibile), non vengono informati con la stessa ampiezza sull’ errore, da chi è stata fatto e sul perché è stato fatto. In particolare, la corrispondente della Rai da New York, Giovanna Botteri, che ogni giorno riferisce, sgomenta ed esagitata sui rapporti fra l’ amministrazione Trump e la Russia di Putin, non ha dedicato la sua serale conversazione dagli Stati Uniti a questo scivolone drammatico che mette in crisi la credibilità dell’ informazione americana e quella di noi vassalli. Ma le balle della Cnn, costruite, non da dei borsisti sgomitanti, ma da delle grandi firme riverite e temute (quindi, qui, il difetto sta nel manico) non sono le prime. Un paio di mesi fa anche l’ autore londinese del dossier, commissionatogli da ambienti democrat, che documentava meticolosamente i rapporti politicamente incestuosi fra gli uomini di Trump e quelli di Putin, riconobbe, agli investigatori inglesi, di aver costruito interamente il suo rapporto sulla base di assolute fandonie, anche grossolane, da lui inventate di sana pianta. Tale rapporto totalmente inventato (ma pagato dai democrat come se fosse stato vero), per renderlo ancor più esplosivo nei suoi effetti elettorali (che poi, però, non ci sono stati), fu reso noto al pubblico internazionale pochi giorni prima del voto americano, e fu oggetto di intere paginate durate almeno un paio di settimane, scritte da giornalisti affranti dal dover informare su simili porcherie e tradimenti della lealtà nazionale. Ma una volta che si è appreso che il documento era falso, la Botteri (prendo, ad esempio, la più seguita in Italia su questi temi; ma non è certo la sola) se ne è ben guardata dal riferire alla sua vastissima audience che, sia pure non per colpa sua, aveva raccontato un sacco di balle su quel fatto. Anche i giornali di carta più corretti se la sono cavata con una sommessa e ben mascherata ammissione di un paio di colonne nelle pagine interne. Qui non è più in gioco Trump ma la fiducia che i grandi media stanno scialando nei confronti del loro lettori. Questa sì che è una tragedia per tutti coloro, e sono tanti, che credono ancora nell’ indispensabilità di questo mestiere. Pierluigi Magnaschi © Riproduzione riservata.
In rete domineranno i video
Italia Oggi
PAGINA A CURA DI EDEN UBOLDI
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Entro il 2020 l’ 82% dei contenuti visibili in rete sarà in formato audiovisivo e la felicità dell’ utente dipenderà dalla sua qualità. Lo ha dichiarato durante il workshop «Fare business nell’ era iperconnessa», che si è tenuto ieri durante la seconda edizione di Class Digital Experience Week organizzata a Milano da Class Editori fino a domenica prossima, Marco Giusti, major account executive di Akamai, una delle società leader a livello mondiale di Content delivery network (Cdn), che può vantare una delle reti di server più ampie per la distribuzione in tutto il mondo di file dati di grandissime dimensioni (quasi il 20% del traffico mondiale è gestito dai server di Akamai). Secondo Giusti, che si occupa principalmente del settore media, i dati recenti mettono in luce l’ aumento esponenziale dei video, tanto che fra tre anni saranno persino l’ 82% di tutto il traffico. Assieme alla visione dei contenuti in streaming e dei video on demand, aumenteranno anche i filmati generati dai singoli utenti del web. «I fruitori hanno delle aspettative precise, basate sulla migliore fruizione di cui hanno potuto godere», ha osservato aggiungendo anche che «spesso queste aspettative vengono frustrate». I fattori che incidono negativamente sulla visione del prodotto audiovisivo sono: la lentezza nel caricamento, le attese che intermezzano i filmati e la qualità dell’ immagine. Uno studio effettuato da Akamai su 1.200 soggetti ha monitorato come queste problematicità possano impattare sull’ emotività dei consumatori: dopo un singolo evento critico il coinvolgimento diminuisce del 20%, l’ attenzione dell’ 8% e la felicità del 14%. Altro dato significativo: il 76% degli utenti abbandona immediatamente la pagina. Il tema dell’ aspettativa ricorre sempre in ogni momento della navigazione: «Il ritardo di risposta di un sito rispetto all’ esigenza dell’ utente è una battaglia di appena cinque secondi», ha detto Alessandro Rivara, major account executive della società, asserendo anche che uno su cinque non tornerà mai più su quel determinato dominio, poco reattivo ai suoi click. «Le vendite online crescono dieci volte più velocemente dei negozi fisici», ha continuato prefigurando un quadro roseo per tutte quelle realtà che già hanno una vetrina online. Per quanto riguarda il contesto italiano le sfide sono molteplici, senza escludere anche quelle legate alle infrastrutture necessarie per portare la banda larga in tutta la penisola. Rivara ne ha elencate alcune: le imprese devono migliorare la user experience del loro sito, apportare ottimizzazioni sul codice della pagina, essere pronti a gestire i picchi di traffico nei momenti topici per la vendita (come Natale e Pasqua) e potenziare l’ appeal grafico, disporre dei formati per le proprie vetrine online in versione multidevice (dal mobile al computer). La ricetta per un business competitivo in un mondo iperconnesso, secondo Rivara, potrebbe semplificarsi in una presenza digitale caratterizzata dalla «velocità, affidabilità, qualità e sicurezza» e questo vale anche quando l’ impresa non vende direttamente online. Sul tema della sicurezza, Marco Pacchiardo, senior enterprise security architect Emea della Akamai, ha rivelato che gli attacchi degli hacker sono in crescita, come anche il valore dei loro danni. «La geografia di questa criminalità è mutata, non vi sono più quei confini temporali fisici e temporali che in passato ne permettevano una maggiore rintracciabilità». Sia che si tratti di fenomeni criminosi messi in atto per sottrarre i dati degli utenti o per bloccare l’ accesso a un sito, la questione della cybersecurity è trasversale, riguarda tutti i settori. © Riproduzione riservata.
Mediaset, nuova causa a Vivendi
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Vivendi, nonostante il suo 28,80% di azioni, non si è presentata ieri all’ assemblea dei soci Mediaset. E il presidente del Biscione, Fedele Confalonieri, ha confermato la linea dura nei confronti dei francesi, annunciando una seconda azione legale contro Vivendi (la prima era per la rottura del contratto firmato l’ 8 aprile 2016, la seconda, depositata lo scorso 8 giugno, è relativa alle conseguenze di quella rottura, quindi al condizionamento pesante dello sviluppo di Mediaset, che non avrebbe potuto esprimere appieno le sue potenzialità), anche se, come spiega Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato del gruppo di Cologno Monzese, «noi vogliamo principalmente l’ esecuzione di quel contratto, non ci concentriamo solo sui danni». La raccolta pubblicitaria di Mediaset «si chiuderà con un primo semestre 2017 in crescita molto piccola rispetto allo stesso periodo del 2016. Ma il mercato nel suo complesso», aggiunge Berlusconi, «è difficilissimo, e va peggio delle attese. Mediaset, comunque, accresce la sua quota e va meglio del mercato», e riuscirà a chiudere in positivo il semestre «soprattutto grazie al buon mese di maggio, e al giugno ancora migliore», sottolinea Stefano Sala, amministratore delegato di Publitalia. Quanto al business della pay tv di Premium, che da solo ha prodotto gravi perdite trascinando il bilancio 2016 di Mediaset a un rosso di 294,5 milioni di euro, ora il Biscione è tornato in possesso del 100% della società e ha cambiato il management. Ma «non dobbiamo dimenticare che nell’ aprile 2016 noi avevamo venduto quella società. Ora bisogna rifocalizzarsi», dice Pier Silvio Berlusconi, «lavorando non tanto per aumentare il numero di abbonati o i ricavi a tutti i costi, ma per migliorare il margine. Si fanno efficienze, ma è chiaro che l’ interim management nell’ estate del 2016, ovvero nel periodo in cui si sottoscrivono gli abbonamenti, avrà impatti anche su quest’ anno. I conti di Premium sono comunque in miglioramento, è una piattaforma con due milioni di utenti, e abbiamo individuato diverse opportunità di sviluppo». La pay tv di Mediaset avrà ancora Champions league in esclusiva e Serie A di calcio fino al giugno 2018. E poi? «Abbiamo partecipato all’ asta per la Champions 2018-2021, facendo una offerta alta. Ma i diritti sono stati aggiudicati subito, al primo giro: significa che la concorrenza (Sky, ndr) ha offerto moltissimo. Per la Serie A vedremo», risponde Pier Silvio Berlusconi, «si parla di una nuova asta in autunno o in inverno. Potremmo anche fare accordi con Telecom, spartendoci i diritti sulle due piattaforme (digitale terrestre e web, ndr). Ma a oggi non ci sono dialoghi. Difficile che Premium resti senza i diritti della Serie A 2018-2021. Anche perché mi sembra piuttosto che sia la Serie A a non poter restare senza Premium. Comunque, come già spiegato, dovessimo perdere anche quei diritti, il nostro business della pay tv cambierebbe, andando di più verso modelli Infinity o Netflix». Si parla ormai da mesi anche dell’ ipotesi di trasferimento del Tg5 da Roma a Milano, argomento sul quale, a fine maggio, si è speso addirittura Papa Francesco, augurandosi che nessun lavoratore debba traslocare. «E poi se anche il Papa fa il sindacalista, allora la Camusso cos’ è?», borbotta ironicamente Confalonieri. Comunque, restando sul punto, «stiamo studiando ipotesi di efficienza, ristrutturazioni, guardiamo tutto. Ma, a oggi, non è stata presa nessuna decisione sul Tg5», commenta Pier Silvio Berlusconi. © Riproduzione riservata.
Drahi compra la prima radio e la prima televisione di Lisbona
Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Probabilmente era destino tornare in Portogallo. A riscoprire le proprie radici e, nel frattempo, non rinunciare a qualche buon affare. Come può essere l’ acquisto del gruppo Media Capital che controlla la prima tv privata, TVI-Televisão Independente, e Radio Comercial, la prima emittente radiofonica del Paese. Patrick Drahi, l’ indebitatissimo (50 miliardi di debiti allo stato) magnate dei media (Libération, L’ Express, Bfmtv, Rmc senza contare l’ americana Cablevision e molto altro) e delle telecomunicazioni (l’ operatore telefonico Sfr qui in Francia, ma anche Portugal Telecom e Israel Telecom), non finisce di stupire. Da quando ha scoperto di avere lontane ascendenze portoghesi, i suoi bisnonni, ebrei sefarditi, sono originari di Faro, vicino a Lisbona, e da quando ha incontrato il suo vero braccio destro, Armando Pereira, portoghese, con una storia incredibile alle spalle (originario di Vieira do Minho, un paesino del nord, padre emigrato in Brasile e mai più rivisto, madre analfabeta, è arrivato in Francia a 14 anni con 2 mila pesos in tasca e oggi è uno dei miliardari più potenti e riservati, Le mysterieux copilote d’ Altice, il misterioso copilota del gruppo Altice, lo ha definito il settimanale economico Challenge’ s piazzandolo ai primi posti tra le grandi ricchezze di Francia (3,2 miliardi di patrimonio personale); da allora, dicevamo, Drahi guarda al mercato portoghese con occhi diversi: non si dice con sentimentalismo ma con una sensibilità particolare sì. Ecco perché, dopo aver rilevato Portugal Telecom nel 2015 e averla riportata in area positiva dopo ben 32 trimestri in perdita (oggi il fatturato è di 2,3 miliardi, il 10% di tutto il gruppo Altice con un ebitda in crescita del 12%), ora Drahi punta a rilevare la prima tv e la prima radio del Portogallo seguendo, in ciò, la strategia della convergenza tra media e operatori telefonici. Approfitta, se no che tycoon sarebbe, delle difficoltà dell’ unico azionista di Media Capital, il gruppo spagnolo Prisa (l’ editore del quotidiano El Pais) che ha un miliardo di debiti e non sa come rimborsarli (visto che l’ ebitda è in calo costante) se non vendendo pezzi di quello che doveva essere l’ impero multimediale ispano-portoghese immaginato anni fa per il grande mercato sudamericano. Drahi offre meno di 500 milioni di euro per un gruppo che fa 174 milioni di fatturato, sommando radio e tv, e che nell’ ultimo periodo ha visto crescere del 4% la raccolta pubblicitaria, indicatore di fiducia di un paese che ha sfidato l’ ordo-liberismo di Berlino e che oggi ha tutti gli indicatori economici che volgono al «bello stabile». Mettere insieme radio tv e tlc (Media Capital + Portugal Telecom) farebbe di Drahi il primo editore multimediale portoghese, pronto magari a volare verso il Brasile. Debiti permettendo, si capisce.
Per la raccolta di viale Mazzini semestre a -1% e anno a +2%
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il gruppo Rai, che controlla circa il 21,6% della torta degli investimenti pubblicitari televisivi, stima di chiudere il primo semestre 2017 con un calo dell’ 1% rispetto allo stesso periodo 2016, al netto degli Europei di calcio e di Rai Yo-Yo (che dal maggio 2016 non può più trasmettere spot). Pesa, soprattutto, la cancellazione del talent show The Voice, che nel primo semestre 2016 aveva assicurato 11-12 milioni di euro di raccolta pubblicitaria, venuta meno nel 2017. Per chiarezza va specificato che «al netto degli Europei e di Yo-Yo» significa confrontare il dato 2017 col dato 2016 depurato dagli introiti relativi agli Europei e a Rai Yo-Yo. Dopo un primo quadrimestre 2017 piuttosto debole sul mercato pubblicitario televisivo nel suo complesso, i mesi di maggio e giugno stanno perfomando un po’ meglio. E la concessionaria di Viale Mazzini, guidata da Fabrizio Piscopo, fissa come obiettivo per fine 2017 una raccolta complessiva attorno ai 680 milioni di euro, in crescita del 2% sul fatturato 2016, sempre al netto di Europei e Rai Yo-Yo.
Rai, nuovo piano news a breve
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Altro che Fabio Fazio o Alberto Angela, ovvero le star da trattenere assolutamente in Rai. Ieri alla presentazione dei palinsesti autunnali della tv pubblica a Milano c’ è stato un personaggio che ha ricevuto lunghi applausi scroscianti: Franca Leosini. La conduttrice di Storie maledette, che tornerà su Rai 3 al sabato, si conferma un’ icona non solo della rete ma dell’ intera Rai. Leosini a parte, però, a tener banco durante la presentazione con il neodirettore generale Mario Orfeo e i direttori delle reti (Andrea Fabiano, Ilaria Dallatana, Daria Bignardi e Angelo Teodoli di Rai 4) è stato proprio il nuovo contratto offerto a Fazio che ha scatenato non poche polemiche per la sua entità, il primo atto con cui è stato superato concretamente il tetto ai compensi da 240 mila euro che in un primo momento sembrava dovesse essere applicato anche agli artisti. «Il valore dei nostri talenti fa sì che la Rai resti la prima azienda culturale del nostro paese», ha esordito Orfeo, «fino a qualche settimana fa alcuni di questi talenti rischiavano di lasciarci. Non è successo perché abbiamo avuto la ferma convizione che perderli sarebbe stato un colpo al cuore del servizio pubblico». Orfeo non ha confermato le cifre che sono circolate nei giorni scorsi, ovvero di un contratto da 1,8 mln all’ anno per Fazio che passa su Rai 1 e che con altre voci salirebbe a 2,8 mln, a cui aggiungere 20 milioni di costi di produzione. «Fazio guadagna come l’ anno scorso aumentando le ore di programmi prodotti. Le uniche cifre sono queste: una serata media di Che tempo che fa costa 450 mila euro, ovvero il 50% in meno di una serata media di intrattenimento di Rai 1, su cui nessuno ha mai avuto da ridire, e il 60/70% in meno di una serata di fiction. I ricavi sono di gran lunga superiori. La Rai ci guadagna, fine delle trasmissioni». Orfeo ha confermato di essere stato lui stesso ad aver portato in cda la notizia che Fazio aveva ricevuto un’ offerta dalla concorrenza, ma non da La7 come si è scritto. Dal canto suo il conduttore ha parlato di un passaggio importante a Rai 1 ma segnato da «polemiche con inusuale violenza». «La Rai non è ingenua, se mi ha proposto questo contratto avrà fatto i suoi conti sugli introiti pubblicitari», ha detto Fazio. «Gli spot da 15 secondi di Che tempo che fà sono venduti in media a 40 mila euro e ci sono 16 minuti netti di pubblicità». Questo significa che ogni puntata fruttava a Rai 3 circa 2,5 milioni, cifra che dovrebbe salire su Rai 1 per il costo più alto degli spot. Fazio ha anche sfidato Maurizio Gasparri, che aveva detto di aver parlato con tutte le emittenti e non c’ era un contratto pronto altrove per il conduttore, a dimostrarlo. Il vicepresidente del senato ha però confermato in serata che nessuna tv era disposta a pagare come la Rai. Altro capitolo spinoso sollecitato dalle domande dei giornalisti è stata la chiusura dell’ Arena di Massimo Giletti alla domenica pomeriggio su Rai 1, a favore di un’ unica Domenica In condotta da Cristina Parodi. Orfeo ha spiegato la mossa con la volontà di dare al pomeriggio di Rai 1 un’ unica connotazione. «Con Giletti non se ne va da Rai 1 l’ ultimo talk», ha risposto Orfeo piccato a una domanda, «e poi a Domenica In abbiamo scelto una giornalista di lungo corso come Cristina Parodi, giornalista forse ancor prima di Giletti». In ogni caso l’ Arena non tornerà nemmeno in seconda serata: accanto alle 12 trasmissioni musicali al sabato a Giletti è stato offerto di fare speciali dai luoghi delle grandi crisi internazionali nel periodo estivo. Per quanto riguarda lo sport, sui Mondiali di calcio la Rai vuole esserci, anche se è meglio aspettare l’ appuntamento Spagna-Italia a settembre che deciderà la qualificazione della nazionale. «Vogliamo esserci anche sulle Olimpiadi invernali», ha aggiunto il d.g. Sulla Champions vediamo. I questi anni ci è stata preclusa (i diritti erano di Mediaset, ndr), vediamo se con Sky è possibile un accordo per la trasmissione free». Infine l’ informazione, sulla quale l’ impegno «è di allontanarci dalla spettacolarizzazione della cronaca e della politica con nuove forme e modi di raccontare la realtà» e con il Tg1 delle 20 «che cresce in controtendenza rispetto a tutti i tg concorrenti, anche quelli piccoli che pensano di essere grandi». In realtà il vero nodo per il nuovo d.g. è quel piano di riforma sul quale è caduto il predecessore Antonio Campo Dall’ Orto e ancora prima si è dimesso il direttore editoriale Carlo Verdelli. «Bisognerà che la pratica sia rivista e ridiscussa», ha detto Orfeo. «Siamo tutti d’ accordo della necessità che la Rai si doti di un nuovo piano di razionalizzazione, bisognerà discutere e valutare come farlo. I tempi dei precedenti sono stati lunghi. Io non ho tutto questo tempo, non posso aspettare due anni. E non mi sfugge la necessità dello sviluppo digitale sulla quale la Rai è in oggettivo ritardo». Nessun commento sul destino di Milena Gabanelli voluta alla guida della nuova testata digitale dal precedente direttore generale. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
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News Corp e Axel Springer, bene la multa Ue a Google. News Corp e Axel Springer applaudono alla maxi multa da 2,42 miliardi di euro che l’ Esecutivo Ue ha inflitto a Google. «Applaudiamo all’ autorevolezza con cui la commissione europea si è rapportata ai comportamenti discriminatori di cui Google si è resa protagonista nei confronti dell’ industria dello shopping online», hanno fatto sapere ieri da News Corp. «Qualsiasi altro istituto o azienda si è lasciato intimidire dalla potenza travolgente di Google, mentre la commissione ha preso una posizione netta che ci auguriamo possa essere soltanto il primo passo nel contrastare lo spudorato abuso di posizione dominante nel campo delle search online» (ricerche online). In particolare, il ceo di News Corp Robert Thomson si è detto «angosciato dagli algoritmi» che, a suo giudizio, hanno un potere «immenso». Di contro il ceo di Axel Springer Mathias Döpfner ha dichiarato che «la decisione della commissione è un primo segnale che l’ abuso di posizione dominante non premia nel lungo periodo». Ora «dobbiamo costruire un equo e salutare ecosistema tra piattaforme tecnologiche e aziende che producono contenuti». Giulia Innocenzi dirige Giornalettismo. Giulia Innocenzi è il nuovo direttore editoriale di Giornalettismo.com, la testata giornalistica ex Banzai e dallo scorso settembre parte del network di Nexilia. Cresciuta professionalmente nella squadra tv di Michele Santoro, Innocenzi subentra a Marco Esposito. Adesso il portale, già rinnovato nella sua veste grafica sia desktop sia mobile, punterà su video e dirette Facebook affrontando temi di attualità, dai diritti civili e di genere fino a quelli degli animali e alla sostenibilità ambientale. Unicom, due nuovi vicepresidenti. Maria Grazia Persico e Federico Rossi entrano a far parte del comitato di presidenza Unicom, guidato dal presidente Alessandro Ubertis, coadiuvato a sua volta dai vicepresidenti Gianluca Bovoli e Erica Lo Buglio. Anche Persico e Rossi assumono la carica di vicepresidenti dell’ Unione nazionale imprese di comunicazione. Persico ha fondato la società di consulenza in comunicazione Mgp&Partners, Rossi è socio fondatore di Sintesi Comunicazione. La Bohème sbarca in diretta live nei cinema The Space. Sarà messa in scena al Teatro Antico di Taormina e trasmessa alle 20.30 in diretta live via satellite La Bohème di Giacomo Puccini, con la regia cinematografica e teatrale di Enrico Castiglione. Il film-opera, prodotto dalla Pan Dream e dalla Rising Alternative, finirà sui grandi schermi di oltre 500 sale cinematografiche in tutta Europa in più di 35 paesi. Sarà on air in differita subito dopo negli Stati Uniti e in Asia. La lista internazionale dei cinema è consultabile su www.risingalternative.com. In Italia l’ opera sarà trasmessa in tutte le sale del circuito The Space. Mondo Tv gioca con la console Nintendo. Mondo Tv ha stretto un accordo di licenza non esclusivo con il colosso giapponese Nintendo per due serie animate. I diritti, hanno fatto sapere da Mondo Tv, riguardano la visione on demand sulla piattaforma 3ds della società di videogame. «Con quest’ ottimo e promettente inizio di collaborazione con un partner leader di mercato quale Nintendo, prosegue la nostra espansione nel video on demand e nei new media che riteniamo essere il mercato del futuro», ha dichiarato Matteo Corradi, a.d. della società italiana. Mondo Tv è quotata al segmento Star di Borsa Italiana e controlla Mondo Tv France e Mondo Tv Suisse, entrambe quotate sull’ Aim Italia.
Franco Levi presidente dell’ Aie Rilancio per Tempo di libri
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Ricardo Franco Levi è il nuovo presidente dell’ Associazione italiana editori (Aie). Succede a Federico Motta per il prossimo biennio. Tra i principali nodi del suo mandato c’ è quello di dare un assetto definitivo e di rilancio a Tempo di libri, fiera milanese alternativa al Salone di Torino. Levi è stato, tra i vari incarichi ricoperti, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’ editoria e all’ informazione dal 2006 al 2008. Ha lavorato in quotidiani come Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Messaggero. «Dobbiamo mirare a imporre il tema dell’ istruzione, della conoscenza come una questione di primario e decisivo rilievo nazionale. È una sfida che non potremo né affrontare né, men che meno, vincere da soli», ha dichiarato ieri Levi. Sempre ieri l’ assemblea Aie ha nominato i presidenti dei gruppi interni (che ricoprono anche la carica di vicepresidenti dell’ associazione): Alessandro Monti (Feltrinelli) è il presidente del gruppo editoria di varia, Andrea Angiolini (Mulino) del gruppo accademico professionale, Giorgio Palumbo (Palumbo Editore) del gruppo educativo e Diego Guida (Guida Editori) che presiede i piccoli editori.
Ricardo Franco Levi presidente dell’ Aie: “La nostra è una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta. All’ insegna dell’ unità”
Prima Comunicazione
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È con un invito all’ unità dell’ associazione e alla più ampia collaborazione con le tante feste del libro italiane, Salone di Torino in testa, che Ricardo Franco Levi, eletto oggi presidente dell’ Aie, inaugura il suo biennio alla guida degli editori . Levi ha anche annunciato la nomina alla direzione artistica e organizzativa di Tempo di libri di Andrea Kerbaker, king maker di un’ edizione (8-11 marzo 2018) a forte impronta milanese che intende coinvolgere tutte le personalità e le istituzioni culturali della città spaziando dall’ arte, al teatro, alla musica. “Voglio impegnare la nostra Associazione in una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta”, ha detto Levi. “Dobbiamo mirare ad imporre il tema dell’ istruzione, della conoscenza come una questione di primario e decisivo rilievo nazionale. È una sfida che non potremo né affrontare né, men che meno, vincere da soli. Sotto questa bandiera, nella cornice di questo impegno potranno tanto crearsi le condizioni per un allargamento del mercato del libro che giovi all’ editoria nazionale tutta intera quanto trovare una più efficace tutela e più facili ragioni di composizione i particolari interessi delle diverse categorie e componenti della nostra associazione”. Ricardo Franco Levi Oltre a eleggere alla presidenza Levi, che succede a Federico Motta, l’ assemblea dell’ Aie ha eletto i presidenti dei gruppi (che ricoprono anche la carica di vice presidenti dell’ Aie) in cui è strutturata l’ Associazione: Alessandro Monti (Feltrinelli) presidente del gruppo Editoria di varia, Andrea Angiolini (Il Mulino) presidente del gruppo Accademico professionale, Giorgio Palumbo (Palumbo Editore) presidente del gruppo Educativo e Diego Guida (Guida Editori) presidente del gruppo Piccoli editori. Sessantotto anni, nato a Montevideo (Uruguay), giornalista professionista, Levi ha intrecciato alla carriera nei principali quotidiani italiani (‘Il Corriere della Sera’, di cui è tutt’ ora editorialista, ‘Il Sole 24 ore’, ‘Il Messaggero’, ‘La Stampa’, ‘L’ Indipendente’) un impegno nelle istituzioni in Italia e in Europa. Portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri dal 1997 al 1998; portavoce, direttore dell’ Ufficio Stampa e del Gruppo dei consiglieri politici della Commissione Europea dal 2004 al 2009; sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’ editoria e all’ informazione dal 2006 al 2008. Dal 2006 al 2012 membro della Camera dei Deputati, componente della Commissione Cultura, primo firmatario e relatore della Legge sul Prezzo del Libro Legge Levi). – Leggi o scarica il discorso di saluto del presidente Aie, Ricardo Franco Levi (.pdf)
Levi: «Incentivi per l’ acquisto di libri»
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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È stato il giorno dell’ investitura ufficiale ieri per Ricardo Franco Levi. Sarà lui, giornalista nato a Montevideo 68 anni fa, a succedere a Federico Motta come presidente dell’ Associazione italiana degli editori (Aie) per il prossimo biennio. A lui il compito di guidare l’ Aie fino ai suoi 150 anni di storia, «un secolo e mezzo durante il quale gli editori italiani hanno contribuito a fare la storia, culturale e civile, del Paese». L’ orgoglio del passato, fa capire Levi, dovrà essere la cifra in grado di dare agli editori la spinta per tutelare gli interessi del presente e del futuro. «Ma vi pare possibile – dice incontrando i giornalisti – che in questo Paese sono consentite detrazioni fiscali per palestre e assistenti familiari, ma non per l’ acquisto di libri di testo?». Levi – esperienza nel mondo dei quotidiani italiani (Corriere della Sera; Il Sole 24 Ore; Il Messaggero; La Stampa; L’ Indipendente), ma anche un impegno politico che l’ ha portato a essere il primo firmatario e relatore della legge sul presso dei libri, la “Legge Levi” – dichiara di voler «impegnare Aie in una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta». Sono la lettura e il mercato del libro a dover crescere, «altrimenti gli editori faranno un gioco a somma zero, contendendosi una torta sempre più piccola». Quella di Levi ha comunque tratti della presidenza del dialogo, dopo le ultime vicende che hanno creato anche forti tensioni fra gli editori, legate all’ avvio di “Tempo di Libri”, la rassegna milanese che ha dato luogo a un derby con Torino da cui Milano è uscita malconcia. «Ho già chiamato Nicola La Gioia e Massimo Bray – replica Levi – e ho chiesto loro di fare un Salone del libro ancora più bello». Nessun dubbio sul fatto che possano coesistere le due rassegne: «In Italia ce ne sono anche più di due». Quella milanese si terrà dall’ 8 al 12 marzo: due mesi prima del Salone di Torino, senza quindi contrapposizione temporale. La kermesse milanese sarà più vicina alla città, anche fisicamente, lasciando Rho e spostandosi a Fieramilanocity, con la direzione artistica e organizzativa affidata ad Andrea Kerbaker, scrittore e saggista milanese di 56 anni. «Sarà una manifestazione allegra, ironica, non paludata», dice il neodirettore, con l’ obiettivo di coinvolgere tutte «le istituzioni culturali di Milano: La Scala, il Museo della Scienza, i cinema, i teatri, i musei». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Guida presidente dei Piccoli Editori
Il Mattino
Ugo Cundari
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Dopo essere stato eletto con un plebiscito bulgaro (199 voti su 200) nuovo presidente nazionale del gruppo «piccoli editori» dell’ Aie (Associazione Italiana Editori), e vicepresidente della stessa Aie, Diego Guida ha pensato per prima cosa al Sud, annunciando che le sue più immediate iniziative saranno quelle di portare la sede dei piccoli editori a Roma, mentre oggi è a Milano, e di rafforzare il suo impegno per la prossima fiera dei libri a Napoli, prevista l’ anno venturo. D’ altra parte Guida ha sfatato un tabù che durava dal 1869, da quando è nata appunto la più antica associazione di categoria italiana, che prima di cambiare il nome in Aie nel 1946, si chiamava Ali. Infatti Guida risulta il primo editore meridionale a ricoprire questo incarico, succedendo fra l’ altro al piemontese Antonio Monaco, un incarico che dura un biennio e di solito si rinnova anche due volte, e così sarà sempre l’ editore napoletano, Ceo della Guida editori, a trovarsi ai vertici dell’ associazione per i festeggiamenti dei suoi 150 anni di vita. «Questo sarà un motivo in più per rilanciare il ruolo di quanti sapranno raccogliere le nuove sfide, nella consapevolezza che il libro resterà ancora per molto il più formidabile vettore di trasmissione di cultura e di contenuti» dice Guida. Un altro dato però è importante, e pure è stato messo in evidenza dal neo presidente: quelli che oggi vengono chiamati «piccoli editori» dell’ Aie, proprio piccoli non sono, sia dal punto di vista del valore economico, sia dal punto di vista dei contenuti e della creatività. Nel primo caso perché detengono una quota di mercato che in realtà vale 200 milioni di euro di fatturato e coinvolge oltre 6.000 addetti, visto poi che fanno parte dei «piccoli» anche sigle come la Salerno, il Saggiatore, Marcos y Marcos. Però i piccoli editori hanno un ruolo forse anche più importante rispetto alle super potenze di Mondadori, Giunti, Gems, perché rappresentano quella che viene chiamata la «bibliodiversità italiana». Sono spesso più creativi e più coraggiosi, e aprono piste nuove lanciando autori che altrimenti non avrebbero alcuna visibilità. Inoltre, la grande distribuzione non li premia, ma anche in questo ambito Guida si dice fiducioso, annunciando di voler investire su un accordo con l’ associazione dei librai italiani. «L’ obiettivo è di ottenere una maggiore presenza anche nelle librerie indipendenti, magari creando un sistema di acquisto collettivo». E la carta vincente che ha fatto in modo da raccogliere attorno a Guida i più ampi consensi è stata proprio la sua visione del futuro: «I piccoli editori dovranno essere il perno culturale e di azione non solo in Italia, ma anche a livello europeo e internazionale, fra il mondo economico e del lavoro, le istituzioni e la società civile. È necessario offrire attività di promozione della lettura che possano invertire il segno negativo dei recenti dati Istat: gli indici di lettura in Italia si riducono anno dopo anno e tocca a noi editori attivarci per creare azioni strategiche di politica culturale». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Rassegna Stampa del 30/06/2017
Indice Articoli
Instagram è il social preferito dagli adolescenti italiani
Chessidice in viale dell’ Editoria
Il giornalista in tv non è in crisi
Visibilia Editore, ok i conti Ricapitalizzazione in vista
Applicazione e nuovi device per check up quotidiani
Il governo Gb frena vendita Sky a Murdoch
Londra, tempi più lunghi per il takeover di Fox su Sky
Instagram è il social preferito dagli adolescenti italiani
Italia Oggi
EDEN UBOLDI
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Instagram non è un posto per vecchi: è il social preferito dagli adolescenti italiani per condividere i momenti più significativi, seguire i brand e vip preferiti e mantenere i contatti con la propria rete di amici. Ecco uno dei risultati dell’ indagine realizzata quest’ anno da Blogmeter, azienda italiana che, utilizzando software capaci di analizzare i contenuti verbali, studia le abitudini degli utenti sui social media, e presentata ieri da Alberto Stracuzzi, custumer intelligence director, durante l’ incontro «Social Love Story» avvenuto nel corso della seconda edizione della Class Digital Experience Week, la settimana organizzata a Milano da Class Editori fino a domenica dedicata ai nuovi scenari del mondo digitale. Mappando le interazioni verbali di quasi 1.500 internauti italiani appartenenti al target 15-64 anni e iscritti ad almeno un social, la ricerca di Blogmeter ha rivelato che i ragazzi fra i 15 e i 17 anni preferiscono passare il tempo online principalmente su Instagram e poi su YouTube. Con l’ aumentare dell’ età cambiano anche le piattaforme utilizzate: la fascia 18-24 predilige Facebook e YouTube, chi si trova nel range 25-44 anni si connette specialmente a Facebook e ama guardare la tv, mentre gli over 45 nutrono interesse per l’ intrattenimento televisivo e l’ informazione offerta dai giornali cartacei. Questa diversificazione a seconda della generazione d’ appartenenza trova conferma anche nelle parole di Alessandra Barlassina, conosciuta online come Gucki, design blogger, e di Marco Ferrero, noto come Iconize, influencer e video maker. Entrambi esponenti della generazione millennials (i consumatori nati tra il 1980 e il 2000) lavorano sul social dedicato alla condivisione di immagini e video: la prima cura i contenuti del profilo di Casa Facile, mentre il secondo fa tendenza raccontando la sua vita con contenuti audiovisivi e fotografie. «Ai giovani non interessa Facebook, che è lo spazio digitale dove intrecciare amicizie. Scelgono Instagram perché è un luogo felice, dove le cose appaiono belle e offre spunti d’ ispirazione. Quando devo fare una comunicazione triste, uso Facebook, un posto in cui frustrazioni e dispiaceri hanno più spazio», dice Gucki. Secondo Stracuzzi, anche il luogo di residenza e le inclinazioni personali incidono nella scelta: Instagram piace di più a chi vive nelle grandi città e Facebook a chi, più delle immagini, ricerca le parole. Professione: influencer. «Sono le persone che anticipano le tendenze e influenzano il pubblico», specifica Stracuzzi, «in passato si chiamavano Janis Joplin e Guevara. Adesso quelle più seguite sono musicisti e personaggi della tv». Secondo lo studio, le 5 personalità più apprezzate in Italia sono in ordine decrescente: Belen Rodriguez, Vasco Rossi, Gianni Morandi, Valentino Rossi ed Eros Ramazzotti. Gucki e Iconize concordano che, benché Instagram è ora ben più affollato rispetto a quando hanno aperto i loro account, c’ è ancora la possibilità di emergere per chi sa raccontare la bellezza, sfruttando le proprie doti creative e offrendo stimoli, suggestioni ed esperienze. In questa social love story gli over 64 paiono i perenni esclusi ma, come in osserva Stracuzzi, è un errore escluderli dal marketing: è l’ unica categoria con un reddito stabile e mantiene stabili i propri consumi. «I pensionati sono il target ideale per alcuni business, come il turismo fuori stagione e i prodotti dedicati ai neonati, ovvero ai nipoti», conclude. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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21st Century Fox delusa: ostacoli in Gb per il controllo di Sky. Il tentativo da parte di Rupert Murdoch di prendere il controllo totale di Sky sta risultando più difficile del previsto. La sua 21st Century Fox si è sentita dire dal ministro britannico della Cultura che il takeover da 11,7 miliardi di sterline (13,3 mld di euro) annunciato lo scorso dicembre potrebbe finire sotto il faro dei regolatori antitrust. Il dubbio di Karen Bradley è che l’ acquisto di una quota del 61% nell’ operatore tv satellitare che il colosso americano dell’ intrattenimento ancora non possiede potrebbe condizionare troppo il panorama mediatico britannico. Secondo la ministra, le conclusioni del regolatore dei media Ofcom, tratte dopo tre mesi di indagine, «sono ambigue». Inoltre «la transazione solleva dubbi per l’ interesse pubblico»: lei teme che la famiglia Murdoch possa influenzare troppo il processo politico e l’ agenda informativa nel Regno Unito «con la sua presenza unica nella radio, nella televisione, nella stampa e nell’ online». Per questo Bradley sta pensando di sottoporre il caso all’ autorità per la competizione e i mercati (Cma). Si pensa a un provvedimento legislativo che regoli l’ attività dei web influencer. Lo scorso 28 giugno la camera dei deputati, durante l’ esame del disegno di legge sulla concorrenza, ha approvato un ordine del giorno a firma Sergio Boccadutri (deputato del Pd e membro della commissione bilancio) che impegna il governo «a valutare l’ opportunità di un intervento a livello legislativo affinché l’ attività dei web influencer sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco quali interventi realizzati all’ interno della rete costituiscano sponsorizzazione». C’ è infatti da risolvere la questione, più volte sollevata su ItaliaOggi, dei web influencer, della pubblicità occulta non distinguibile dai consumatori e del fatto che nel nostro ordinamento non esiste disciplina che regoli tale attività. Miracoli, D’ Anna direttore. Antonino D’ Anna è il nuovo direttore responsabile di Miracoli Settimanale, edito da Periodici Italiani. D’ Anna ha esordito professionalmente nel 2004 su Avvenire. Tra le sue collaborazioni ItaliaOggi, il mensile religioso Maria e Affaritaliani.it. E’ l’ ideatore e il conduttore di Aria Fritta, trasmissione web radio sulla piattaforma Spreaker. F, Faillaci caporedattore. Sara Faillaci è il nuovo caporedattore di F, settimanale femminile edito da Urbano Cairo e direttore da Marisa Deimichei. Faillaci arriva da Vanity Fair, dov’ era inviata. Gazzetta dello Sport, edizione speciale per l’ apertura del calciomercato. Domani appuntamento in edicola con maxi cover, tiratura e foliazione maggiorate, inchieste, approfondimenti e tabelle per la Gazzetta della Sport. Il numero conterrà tutto quello che c’ è da sapere su come sta cambiando la serie A, le trattative più calde, quelle già concluse, i nuovi protagonisti del campionato, i rumors sui prossimi accordi, gli orientamenti delle squadre, i calciatori ritenuti insostituibili, chi è in bilico. TivùSat, per la prima volta un programma in 4K-Hdr. Lunedì 3 luglio, alle 21 su Rai 4K (canale 210 di TivùSat), si potranno esplorare le meraviglie di Venezia in compagnia di Alberto Angela, in un lungo viaggio nel futuro tecnologico della televisione: 4K con l’ aggiunta dell’ Hdr (High dynamic range), che consente il massimo livello qualitativo delle immagini, aumentando la gamma di luci e di colori. Stanotte a Venezia sarà diffuso in 4K-Hdr grazie alla partnership tra Rai, RaiWay, TivùSat e Eutelsat che ha messo a disposizione le risorse satellitari e le infrastrutture tecnologiche presso il teleporto Parigi-Rambouillet alle porte della capitale francese.
Il giornalista in tv non è in crisi
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Niente da fare. Ormai da anni, nel pieno della stagione televisiva, corre la vulgata che «il genere talk è in crisi», «le trasmissioni con giornalisti, scrittori e politici non funzionano più». E poi, invece, in fase di costruzione dei palinsesti per l’ autunno successivo, tutte le tv pescano a man bassa in questi format, che hanno soprattutto il pregio di costare poco. «E sarà così anche per il 2017-2018», assicura Valentina Fontana, che insieme con Barbara Castorina controlla l’ agenzia di management e comunicazione Visverbi specializzata nella gestione di molti giornalisti, «poiché la gran parte dei talk saranno riconfermati (fatta eccezione per l’ Arena di Massimo Giletti e La Gabbia di Gianluigi Paragone, ndr) e ne partiranno di nuovi. È un genere televisivo che piace molto ai broadcaster e che funziona». Nella squadra di Visverbi militano star del giornalismo quali Paolo Mieli, Maurizio Belpietro, Andrea Scanzi, Gerardo Greco (ma col nuovo ruolo di direttore di Radio Uno e del Gr Rai potrebbe rallentare il suo rapporto con l’ agenzia), Eliana Liotta, Alessandro Milan, e firme o voci in fase di ascesa come Anna Marino, Monica Gentili, Davide Vecchi, Chiara Besana e Alessio Jacona. C’ è pure Gianluigi Nuzzi (marito di Valentina Fontana e vicedirettore di Videonews a Mediaset), ma solo per i suoi progetti teatrali. In passato Visverbi ha rappresentato, tra gli altri, anche Pierluigi Pardo, Mia Ceran, David Parenzo, Giuseppe Cruciani, Carlo Freccero, Selvaggia Lucarelli. Creando un network molto ampio che, anche oggi, viene comunque coinvolto in eventi o rassegne. Quest’ anno, per la prima volta, Visverbi organizza Garda d’ autore (a Garda, Verona, fino al 2 luglio), bissando il format di Ponza d’ autore, che da molte estati anima l’ isola in provincia di Latina e che si terrà dal 21 al 30 luglio prossimi. A Garda, tra gli ospiti, sono previsti Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giovanni Toti, Vittorio Sgarbi, Andrea Scanzi, Nicola Porro, Massimo Giannini, Peter Gomez, Mauro Corona, Giuseppe Cruciani, Elenoire Casalegno, Malena, «con una formula un po’ differente rispetto a Ponza, dove l’ evento è curato da Nuzzi e Mieli, e in cui si privilegia il faccia a faccia. A Garda, invece», spiega Fontana, «cercheremo di essere più trasversali, più larghi, più popolari. Di sicuro vogliamo essere molto diversi da kermesse tipo la vecchia Cortina InConTra. Da noi gli sponsor saranno tutti sul palco, in un rapporto di massima trasparenza». Certo, queste rassegne (così come il convegno organizzato a Ivrea lo scorso aprile per la Casaleggio & associati) danno molta visibilità, ma non sono molto redditizie (la Visverbi viaggia con ricavi annui al di sotto dei 500 mila euro) e bisogna espandere le attività di comunicazione per le aziende. Un personaggio come Scanzi, che è anche sommelier, può essere ad esempio coinvolto in progetti dedicati al vino. Oppure uno dei clienti di Visverbi è la società Kroll, specializzata in business intelligence: l’ amministratore delegato può essere invitato in convegni, seminari in cui si parla di cyber security, hacker, trasparenza, sicurezza aziendale. E comunque, più in generale, «a livello aziendale vale un po’ meno l’ autoreferenzialità, e conta di più se hai qualcuno, magari un bravo giornalista, che ti racconta le cose in modo diverso». Decine di incontri e di partecipazioni in lungo e in largo per l’ Italia durante l’ anno. Creando progetti che partono però sempre dalla base di Visverbi: ovvero l’ attività di management per una squadra di giornalisti di talento. © Riproduzione riservata.
Visibilia Editore, ok i conti Ricapitalizzazione in vista
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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L’ assemblea di Visibilia Editore ha approvato ieri i conti 2016, chiusi con una perdita netta di 779,9 mila euro in miglioramento dai circa 1,2 milioni del 2015. Per l’ anno in corso, invece, la società guidata da Daniela Santanché si appresta a un nuovo aumento di capitale dopo quello dell’ anno scorso, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, per circa 700 mila euro. Obiettivo: sostenere il rilancio delle sue riviste VilleGiardini, Ciak e Pc Professionale. Ieri, a Milano, l’ assemblea dei soci non solo ha dato il via libera ai conti 2016 ma anche confermato in cda Santanché, alla presidenza, Davide Mantegazza consigliere indipendente, Dimitri d’ Asburgo Lorena e Canio Giovanni Mazzaro (ex marito di Santanché). All’ ordine del giorno c’ era anche, da quanto emerge dalla relazione illustrativa in vista della riunione dei soci, un’ azione di responsabilità nei confronti degli ex vertici aziendali in carica fino al 2014 (quando la società si chiamava ancora Pms e non era controllata dalla manager specializzata in raccolta pubblicitaria e impegnata in politica). Nel mirino ci sono Elena Rodriguez Palacios, Giorgio Del Bianco, Marco Margarita e Roberto Serrentino in merito alle vicende di Selpress, controllata dal gruppo Pms e, secondo Santanché, in stato di insolvenza prima che venisse acquisita. Tornando al bilancio 2016 di Visibilia Editore, l’ ebitda è negativo per 114.236 euro (-705.337 euro nel 2015), l’ ebit pari a -665.407 euro (era -1.167.813 euro nel 2015). I soci hanno deciso di procedere alla copertura della perdita di esercizio per 598.452 euro attraverso l’ utilizzo di riserve disponibili al 31 dicembre e mediante l’ utilizzo del corrispondente importo della riserva sovrapprezzo azioni, che sarà ridotta da 598.452 euro a zero. Per quanto riguarda i rimanenti 181.472 euro, saranno portate a nuovo le perdite di esercizio per una somma corrispondente. Intanto, nei giorni scorsi, hanno espresso la loro preoccupazione i giornalisti di Visto e Novella 2000, editi dalla «Visibilia Magazine, casa editrice che fa capo all’ onorevole Daniela Santanché», hanno fatto sapere, visto che «la decisione comunicata di interrompere un anno prima del previsto gli ammortizzatori sociali in essere prelude alla volontà dell’ editore di dar corso a misure più drastiche».
La7 alle manovre d’ autunno
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Appena presentati a Milano i palinsesti autunnali della Rai, settimana prossima a Monte Carlo, tra il 5 e il 6, sarà la volta di quelli di Mediaset, il 12 luglio a Milano si scopriranno quelli di La7, mentre Sky e Discovery faranno i loro show, sempre all’ ombra della Madonnina, a settembre. Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare di corteggiamenti, spostamenti, divorzi, clamorosi passaggi. Ma, alla fin fine, non è successo molto. Tutte le star sono rimaste al loro posto. Forse potrebbe traslocare Massimo Giletti (anche se, come racconta un grande esperto di tv e di contratti, «la Rai è una bella bambagia, comoda e larga. E nessuno dei big se ne vuole veramente andare»). In effetti, a voler ben guardare, l’ unica novità arriva su La7, che ha ingaggiato Diego Bianchi e la banda di Gazebo, strappandoli a Rai 3. Per loro il nuovo direttore di La7, Andrea Salerno, ha pensato a una prima serata. E poi, magari, verranno coinvolti in altri progetti. Intanto ha liberato il prime time del mercoledì, che dalla prossima stagione non sarà più occupato da La Gabbia di Gianluigi Paragone, programma chiuso poiché non in sintonia con la nuova linea editoriale. Certo il 2017 non sarà ricordato da Paragone come un anno fortunato: è iniziato con la cancellazione del suo programma radiofonico su 105, e prosegue adesso con lo stop alla Gabbia su La7. Il conduttore, tuttavia, ha ancora un anno di contratto con la rete, e il direttore Salerno lo ha invitato a lavorare su nuovi progetti. Quanto ai palinsesti di La7, che, come detto, saranno presentati il 12 luglio, si può già anticipare che al martedì resterà fisso Giovanni Floris e al giovedì Corrado Formigli. Il venerdì dovrebbe essere la serata di Grey’ s anatomy, serie con la quale sono stati rinnovati i contratti. Un prime time tra il lunedì e il mercoledì andrà a Diego Bianchi e la sua banda di Gazebo, molto apprezzata non solo da Salerno (che è autore del programma) ma pure dal direttore del tg di La7, Enrico Mentana. A cui, piccola nota a margine, non è parso vero di poter concedere gli studi del Tg per girare il videoclip della nuova canzone Pamplona di Fabri Fibra e Thegiornalisti. C’ è un’ altra prima serata settimanale ancora libera su La7, e poi quelle del sabato e della domenica. E, inoltre, resta sempre la cronica debolezza nel preserale, prima del tg di Mentana, cui invece fa da contraltare la grande forza di Otto e mezzo e di Lilli Gruber nell’ access prime time. Per potenziare il palinsesto di La7 ci sarebbe allora disponibile sul mercato Massimo Giletti, in rotta con la Rai che gli ha chiuso l’ Arena domenicale su Rai 1 (i programmi come l’ Arena o La Gabbia, che strizzano l’ occhio al populismo, insomma, non piacciono più ai direttori di rete), proponendogli 12 trasmissioni musicali al sabato e una serie di reportage estivi dai luoghi dove sono inviate le truppe italiane all’ estero. Sembrerebbe una proposta fatta ad hoc per essere respinta. Ma Giletti viaggia a 500 mila euro annui, e dovrebbe ridursi parecchio i compensi per poter lavorare su La7 (che, va ricordato, ha fatturati 15 volte più bassi della concorrenza di Rai, Mediaset e Sky). La prima mossa concreta e operativa di Salerno sul palinsesto di rete è però quella su L’ Aria che tira, il programma della tarda mattina di La7: dal 5 giugno la conduzione era passata a David Parenzo, dopo che Myrta Merlino aveva preferito dedicare i mesi estivi alla risoluzione di alcuni problemi personali. Poiché, però, Parenzo e Luca Telese, dal 3 luglio, partiranno con In Onda, il programma L’ Aria che tira, da settimana prossima, passerà nelle mani di Francesco Magnani e Gianmaria Pica, due giornalisti di La7 che Salerno proverà a testare nella stagione estiva. Un mese di luglio intenso che poi culminerà, come di consueto, con la festa che l’ editore Urbano Cairo organizza sempre nei primi giorni di agosto all’ Old fashion di Milano, dove invita le prime e seconde linee delle sue società per un augurio di buone vacanze. © Riproduzione riservata.
Applicazione e nuovi device per check up quotidiani
Il Giornale
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Anche Nokia entra nel campo health con una linea completa di prodotti connessi di elettronica di consumo per il monitoraggio della salute. Con il completamento dell’ acquisizione delle soluzioni dell’ azienda Withings tutti gli activity tracker, le bilance, i dispositivi medici e quelli dedicati alla casa saranno da ora in vendita nelle più importanti catene di distribuzione e online in tutto il mondo, con la promessa di convenienza, scelta e accessibilità per ogni stile di vita. I nuovi prodotti comprendono Nokia Body, una bilancia Wi-Fi connessa che calcola l’ Indice di Massa Corporea (IMC) e Nokia BPM+, un misuratore della pressione sanguigna compatto con una fascia flessibile. Inoltre, L’ app Health Mate è stata completamente rinnovata per offrire agli utenti una visione a 360 gradi del loro benessere. «Con l’ ampia gamma di prodotti facilmente utilizzabili e comprensibili, gli utenti ricevono l’ equivalente di un check-up quotidiano del loro generale stato di salute e benessere» ha detto Cedric Hutchings, Vice Presidente Digital Health di Nokia Technologies. Il quale ha anche aggiungo che lo scopio di Nokia è trasformare la dinamica esistente tra i pazienti e i medici, con strumenti mirati alla prevenzione di malattie croniche. Per questo sono state avviate delle partnership con alcune delle più rinomate istituzioni mondiali di ricerca medica e di sperimentazioni cliniche del mondo – tra cui l’ Università di Pensilvenia, Mayo Clinic, American Medical Group Association, Stanford MedX e Ochsner Health System – per migliorare l’ impatto dei device intelligenti sulla salute e le condizioni di vita di chi li indossa. Al centro del sistema c’ è l’ app Health Mate appunto, che raccoglie i dati di ogni dispositivo per fornire approfondimenti relativi all’ andamento del peso, dell’ attività, del sonno e della pressione sanguigna. Tutti tarati tenendo in considerazioni le condizioni personali dell’ utente. E con la possibilità di aggiungere ulteriori accessori come una videocamera per misurare la qualità dell’ aria e il monitor Wi-Fi e Bluetooth Thermo per il controllo della temperatura corporea.
Il governo Gb frena vendita Sky a Murdoch
Il Messaggero
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Il governo di Teresa May frena l’ acquisizione di Sky da parte di 21st Century Fox, il gigante dei media che fa capo a Rupert Murdoch. L’ operazione (il cui costo è di 11,7 miliardi di sterline), sarà sottoposta a un ulteriore esame di circa sei mesi da parte dell’ Autorità Antitrust per verificare il perimetro di una possibile riduzione del pluralismo informativo. La decisione è stata annunciata dal ministro della Cultura alla Camera dei Comuni.
Londra, tempi più lunghi per il takeover di Fox su Sky
Il Sole 24 Ore
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Potrebbero volerci almeno sei mesi in più del previsto per arrivare a mettere la parola fine alla acquisto di Sky da parte di 21st Century Fox. La deadline è il 14 luglio, data entro la quale il governo Uk attende di ricevere delucidazioni (e maggiori concessioni) dal gruppo che fa riferimento a Rupert Murdoch. A seguire si spalancherebbero le porte dell’«indagine approfondita» da parte dell’ autorità antitrust inglese, con conseguente dilatazione dei tempi rispetto a una previsione di chiudere il deal entro fine 2017.Secondo il ministro, l’ operazione che vedrebbe la 21st Century Fox acquisire il rimanente 61% di Sky darebbe a Rupert Murdoch troppa influenza sui media inglesi. Per cercare di superare queste preoccupazioni Fox aveva offerto la creazione di un comitato editoriale indipendente per Sky News. (A. Bio.)
Renzi lancia il quotidiano “Democratica”. L’Unità ormai abbandonata alla sua crisi
Mentre prosegue la crisi de ‘l’Unità‘ il Pd lancia il suo nuovo quotidiano digitale, edito da Eyu. Si chiama ‘Democratica‘, direttore Andrea Romano, vicedirettore Mario Lavia. Più altri nove giornalisti che compongono la redazione. Nel primo numero, online da oggi, si parla dell’Assemblea dei circoli del Pd, di periferie, Milano, ma anche del Premio Strega, del concerto di Vasco Rossi e del Palio di Siena, di intenzioni di voto e dei tweet più rilevanti.
“Il nuovo quotidiano digitale del Partito democratico”, spiega una nota del partito, “sarà strumento di intervento nella discussione pubblica e mezzo di informazione e discussione per iscritti, simpatizzanti, amministratori e dirigenti del Pd”.
“Si tratta del primo caso in Italia di un quotidiano politico, digitale e multimediale che viene diffuso gratuitamente. Ogni giorno, nel primo pomeriggio, ‘Democratica’ sarà disponibile sui social, sul sito del partito e di unita.tv e sulla app Bob”.
Nel suo editoriale, dal titolo ‘Una comunità vitale, un partito da costruire’, Romano scrive: “L’identità del PD è qui: nelle cose fatte nel governo locale e nazionale, nella trasformazione riformatrice che ha impresso all’economia e in tanti altri aspetti della nostra vita pubblica, nella vitalità di una comunità politica che si ritrova nei circoli, sulla rete, nelle diverse forme di un’aggregazione fatta della condivisione di idealità e della realizzazione di progetti”.
Rassegna Stampa del 01/07/2017
Indice Articoli
Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica
A lezione con i maestri del giornalismo televisivo
Arbore premiato dalla rivista «Investire»
Lo stipendio di Fazio alla Corte dei conti
Guardian: formato più piccolo tabloid, così si risparmia per fare giornalismo
Wsj in digitale fuori dagli Usa
chessidice in viale dell’ editoria
Indagini e giornalisti, un accesso rispettoso agli atti
Consip, Sciarelli nega Accertamenti anche su Whatsapp
Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica
Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“In questi mesi abbiamo assistito a un’ intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti” (da un’ intervista di Fabio Fazio a Repubblica – 31 marzo 2017) Il “caso Fazio” non è tanto uno scandalo per gli 11,2 milioni di euro in quattro anni accordati al conduttore, circa 2,8 all’ anno: un insulto a tutti i telespettatori obbligati a pagare il canone Rai nella bolletta elettrica. Quanto per il fatto che nega l’ essenza stessa del servizio pubblico, la sua ragion d’ essere e la sua legittimazione. Non c’ è più rapporto fra un compenso così abnorme e la funzione propria della tv di Stato. E ha ragione allora il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, il grillino Roberto Fico, a dire che questo è un atto “vergognoso” compiuto sotto la nuova direzione generale di Mario Orfeo. Non ha sbagliato perciò il deputato del Pd Michele Anzaldi a presentare un esposto alla Corte dei conti e all’ Anac né il consigliere d’ amministrazione Carlo Freccero, in quota al M5S , che ha abbandonato la riunione del Cda in segno di protesta. Qual è, in realtà, la “causale” di un’ elargizione talmente sproporzionata? L’ audience, la caccia all’ audience, in funzione della raccolta pubblicitaria. In genere, le trasmissioni di Fazio hanno successo, fanno ascolti e perciò sono infarcite di spot. Da qui, la motivazione commerciale del maxi-compenso. Tant’ è che il consigliere d’ amministrazione Arturo Diaconale ammette: “Siamo stati costretti a dire sì, se no Fazio andava a La7”. Sarebbe la logica della concorrenza, insomma, la ragione fondamentale di questa decisione, proprio quella concorrenza da cui la tv pubblica dovrebbe essere affrancata per rispettare la sua funzione istituzionale e il “contratto di servizio” con lo Stato. Ma quando la presidente della Rai, Monica Maggioni, arriva addirittura a dichiarare davanti alla Vigilanza di non sapere se “l’ azienda avrebbe retto all’ uscita di Fazio”, non fa che certificarne la messa in liquidazione. Questa è una testimonianza decisiva per dimostrare la degenerazione della tv di Stato. E così Fazio diventa, malgré soi, il testimonial del dis-servizio pubblico radiotelevisivo; l’ incarnazione del suo snaturamento; un monumento alla crisi istituzionale dell’ azienda di viale Mazzini. La Rai – l’ abbiamo già detto e ripetuto tante volte – non può essere, come Arlecchino, serva di due padroni: il canone d’ abbonamento e la raccolta pubblicitaria. Altrimenti, non fa bene né la televisione pubblica né quella commerciale. Sotto la schiavitù dell’ audience e dietro l’ alibi degli spot, si consuma quotidianamente uno scempio che la sottomette al controllo della politica: oggi più che mai, come dichiarava lo stesso Fazio qualche mese fa nella citazione riportata all’ inizio di questa rubrica. Se oggi la situazione è cambiata, è cambiata in peggio e per un minimo di coerenza un conduttore rispettabile, per di più ex giornalista, non può mettere la testa sotto la sabbia né tantomeno farsi sponsorizzare dalla pubblicità. Sommo interprete di quel genere ibrido e nefando che viene chiamato infotainment, un mix ambiguo di informazione e intrattenimento, Fazio è senz’ altro un professionista della televisione. Ma i suoi programmi, da Che tempo che fa al Festival di Sanremo, dalle denunce di Roberto Saviano contro la camorra alle ironiche impertinenze di Luciana Littizzetto, tra il serio e il faceto sono in grado di influire più o meno subdolamente sulla popolarità di un leader politico come sul successo di un libro o di un film. Nella tv del servizio pubblico, non può essere la pubblicità il paravento di un tale potere mediatico.
A lezione con i maestri del giornalismo televisivo
Il Fatto Quotidiano
Fq
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La scuola di formazione del Fatto Quotidiano si apre al meglio del giornalismo video: dopo aver raccontato il giornalismo di inchiesta e quello web, da luglio nella redazione di Roma del Fatto arrivano i grandi protagonisti dell’ informazione televisiva. Si comincia sabato 8 luglio con due delle migliori giornaliste televisive in Italia: Lisa Iotti e Claudia Di Pasquale che spiegheranno i due stili dell’ eccellenza televisiva modello Rai3, cioè Presadiretta (Lisa) e Report (Claudia). Da un lato il reportage, la sfida di rendere in linguaggio per immagini i temi più complessi come la robotica o la nuova infertilità maschile, dall’ altra il giornalismo di denuncia, i segreti della Coca Cola, i pericoli della plastica, gli scandali della burocrazia Nel pomeriggio di sabato 8 luglio un incontro d’ eccezione: Franca Leosini , sollecitata dalle domande di David Perluigi e Gisella Ruccia , spiegherà tutto di come nascono le sue “storie maledette”: come si intervista un assassino? Quale distacco deve avere il giornalista? E come può riuscire a far emergere, con un semplice dialogo, verità rimaste coperte per un intero processo? Franca Leosini è nota anche per la sua riservatezza, questa sarà una delle rare occasioni in cui aprirà ai corsisti del Fatto il suo mondo di grandi scoop e di interviste esclusive. Si prosegue sabato 15 luglio con un altro pilastro dell’ informazione tv: Alessandra Sardoni , inviata del Tg La7 e conduttrice di Omnibus, racconterà come si stanno evolvendo i talk, cosa succede dietro le quinte, come si costruisce un dibattito efficace, quali sono davvero i rapporti con la politica. Da protagonista delle maratone di Enrico Mentana, Alessandra spiegherà anche come si coprono in diretta i grandi eventi della politica. Sempre sabato 15 luglio, il viaggio nel mestiere del “pensare” la tv prosegue con due docenti che racconteranno il lavoro meno visibile ma più importante: quello dell’ autore televisivo. Luca Sommi , che ha lavorato per Rai e La7, spiegherà come si scrive un programma di informazione, come dosare ospiti e filmati, quanto conta il copione come catturare l’ attenzione. Paolo Mariconda , che dagli Sgommati a Ballarò ha sempre lavorato sulla satira, spiegherà i meccanismi della scrittura comica in tv. Cos’ è un format, come si costruisce un programma comico, come adattarlo a seconda della fascia oraria, della rete, dell’ editore. Sabato 22 luglio , infine, si parlerà di reportage e giornalismo di guerra. Francesca Mannocchi , a lungo inviata di Piazzapulita, oggi è una giornalista freelance che si muove sui fronti di guerra più caldi, dalla Libia alla Siria. I suoi reportage vengono trasmessi da Sky, La7, Rai3 e pubblicati da L’ Espresso. Come si raccontano il terrorismo e le sue conseguenze? E come si riesce a seguire i grandi eventi internazionali muovendosi da freelance, senza la copertura (e lo stipendio fisso) di una grande testata? Francesca è riuscita a costruire un modo nuovo di fare informazione di qualità in contesti difficilissimi e spiegherà il suo metodo di lavoro. Uno dei migliori inviati della tv italiana è Domenico Iannacone : dopo molti anni a fianco di Riccardo Iacona a Presadiretta, oggi Domenico è autore e protagonista de I dieci comandamenti, il nuovo format di reportage di Rai3 che ha già avuto successo di share e premi di critica. Nel suo corso Iannacone spiegherà come si costruisce un racconto corale partendo da storie individuali, quali sono i tempi narrativi di un reportage, quanto e come l’ autore deve partecipare al mondo che racconta. Ne discuterà con lui Patrizia De Rubertis . Tutte le informazioni le trovate sul sito all’ indirizzo: https://shop.ilfattoquotidiano.it/categoria-prodotto/corsi/. Se avete domande scriveteci a corsi@ilfattoquotidiano.it.
Arbore premiato dalla rivista «Investire»
Il Mattino
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Si terrà lunedì alle 11.30 presso l’ Unione Industriali «Lo Spettacolo si fa impresa», presentato dalla sezione «Editoria cultura e spettacolo» presieduta da Antonio Parlati, insieme alla rivista «Investire». Interverrà il neo-ottantenne Renzo Arbore, che sarà premiato dalla rivista come imprenditore del mese: il riconoscimento sarà, inevitabilmente, un’ occasione in più per festeggiare lo showman foggiano, ma napoletano ad honorem. Nel corso dell’ incontro saranno approfonditi gli strumenti finanziari disponibili per le imprese interessate a operare nell’ industria culturale, dal tax credit al product placement. I lavori dell’ incontro, moderati da Lionello Cadorin, saranno aperti da Parlati e seguiranno gli interventi di Lorenza Stella, Antonio Bottillo e Paolo Bucci.
Lo stipendio di Fazio alla Corte dei conti
Il Tempo
ALBERTO DI MAJO
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Lo stipendio d’ oro di Fabio Fazio finisce alla Corte dei conti. È stata Forza Italia a investire i magistrati contabili di una questione che nelle ultime settimane ha catalizzato le accuse tra i partiti. Dopo l’ annuncio di aver stabilito un tetto ai compensi dei dipendenti della Rai (pari allo stipendio del presidente della Repubblica, cioè 240 mila euro lordi all’ anno), è arrivato il passo indietro e gli ingaggi delle star della tv pubblica sono lievitati. Quello del conduttore di «Che tempo che fa» fino a 12 milioni per quattro anni. Ora è il capogruppo di FI alla Came ra, Renato Brunetta, a tuonare: «La legge 198 del 2016- ha detto in aula, replicando alla risposta del sottosegretario Gabriele Toccafondi- stabilisce in modo inderogabile il tetto massimo dei compensi dei dipendenti pubblici, alla quale la Rai si è sottratta, aggrappandosi a un parere dell’ Avvocatura dello Stato che recupera un comma di una legge di 10 anni fa, abrogata dalla legge 198, con cui si autorizza una deroga riguardante le prestazioni artistiche». Secondo il partito del Cavaliere la Rai «ha preso per buono il parere dell’ Avvocatura, gentilmente passato sottomano dal governo e ha approvato una delibera che il Parlamento non conosce, non essendo stata messa a disposizione nemmeno della commissione di Vigilanza». Non fa sconti nemmeno Michele Anzaldi, deputato del Pd: «Sull’ applicazione del tetto agli stipendi la Rai prende in giro il Governo, il Parlamento, la commissione di Vigilanza e tutti i cittadini italiani che pagano due miliardi di euro all’ anno di canone. La nota che il servizio pubblico ha inviato al Ministero dello Sviluppo economico ed è diventata oggetto dell’ intervento in aula del sottosegretario Toccafondi in sede di risposta alle interpellanze urgenti è oggettivamente imbarazzante e svela che il Cda ha sostanzialmente approvato un documento che porta il servizio pubblico a disattendere l’ applicazione di una legge dello Stato, con tutti i rischi che ne deriveranno». Insomma, per Anzaldi «di fatto, secondo quanto riferito dalla Rai la definizione di artista è talmente ampia e onnicomprensiva da poterci fare rientrare chiunque, anche un animale ammaestrato che vada in onda su una trasmissione Rai. Non c’ è alcuna determinazione esatta di parametri e criteri che consentano una indicazione trasparente delle prestazioni di natura artistica e una individuazione altrettanto trasparente delle figure professionali di natura artistica. Di fatto tutti i programmi della Rai, compreso il segnale orario se ancora ci fosse, potrebbero passare per trasmissioni di natura artistica». Attacca anche Renzo Tondo, presidente del gruppo regionale di Autonomia responsabile in Friuli Venezia Giulia: «Troppi soldi per Fabio Fazio e pochi spiccioli per le sedi periferiche con un muro di gomma per le richieste del Friuli Venezia Giulia. Questa è la Rai. E questa, soprattutto, è una condotta pesantemente immorale in un momento di crisi economica diffusa e profonda». Il consigliere annuncia una mozione per impegnare la giunta Serracchiani «a farsi carico, presso la conferenza delle Regioni, del malessere generato dalla disparità di trattamento riservato dall’ azienda pubblica Rai al conduttore Fabio Fazio rispetto aquello che ricevono le sedi regionali». L’ obiettivo, spiega Tondo, è quello di «fare pressioni sul Cda della Rai al fine di ridurre il compenso destinato a Fazio spostando le risorse per trasmissioni e programmi scelti dalle sedi regionali».
I big data cambiano il mondo
Italia Oggi
NICOLA CAROSIELLI
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La necessità di fare esperienza, di entrare in contatto con un mondo, con una dimensione che non si conosce resterà sempre il vero cuore pulsante della vita. Esperire è tendere alla reale comprensione di qualcosa, lasciarsi toccare e permettere che questa nuova conoscenza ci modifichi e alteri la nostra percezione del mondo, rendendoci persone nuove, sensibili al cambiamento, quindi di migliorarci. Experience è la parola chiave tra quelle che compongono la Class Digital Experience Week 2 organizzata da Class Editori, una ricca produzione di workshop partita lunedì 26 giugno e che terminerà domani. E non a caso lo scopo della settimana è stato quello di sviluppare la conoscenza dell’ innovazione digitale e, soprattutto, delle opportunità che questa crea per tutti i cittadini, al di là del posto occupato nella filiera dell’ offerta digitale, siano essi i clienti-fruitori o amministratori di aziende che offrono servizi digitali. Le tecnologie hanno sempre fatto parte della società, anzi sono state i motori trainanti della crescita sociale, dello sviluppo di nuovi modi di vivere e di pensare. Le tecnologie sono le scoperte, quindi il progresso, ed è grazie alle stesse scoperte, sin dai tempi del fuoco, che si è sedimentato il concetto di società. Ed è dal binomio digitale-nuove tecnologie che si ha la possibilità di aprire svariate finestre da cui poter poi progettare il futuro. Stefano Paleari, presidente del comitato di coordinamento di Human Technopole, la città della scienza che nascerà nell’ area Expo, nel suo intervento durante giornata di apertura della settimana di esperienza digitale a Palazzo Mezzanotte, ha infatti ricordato che «il digitale non è altro che uno dei primi orologi meccanici messi sui campanili intorno al 1300, offrendo a tutti la stessa unità di misura per affrontare la giornata, favorendo gli incontri e gettando le basi dello sviluppo». Uno sviluppo che però non deve mai dimenticare l’ importanza dell’«armonia tra i soggetti coinvolti, pubblici e privati, così come i tempi di sviluppo». Quel che è certo, quindi, è che la digital trasformation si porta dietro una serie di profondi cambiamenti che stanno rivoluzionando la società. Il digitale è disruptive, dirompente, crea una frattura, perché estirpa l’ uomo dal proprio luogo sicuro di conoscenza e lo proietta entro un nuovo piano di conoscenza e quindi di vita. Ma il digitale offre nuove opportunità che possono migliorare la vita. Nella vasta gamma di volti che la rivoluzione digitale può assumere, i big data e la conseguente analisi di essi ricoprono un ruolo fondamentale. Riuscire a ottenere informazioni, una grande mole di informazioni, ed elaborare l’ ingente quantità di dati che tutti noi produciamo può per esempio aiutare a prevenire malattie e magari permettere di individuare come si muoveranno le epidemie. Questo perché in fondo il nostro utilizzo della tecnologia che ci pervade lascia già un segno: «parlando di dati ci riferisce alle tracce digitali dell’ attività umana legata alla tecnologia, al web, al cellulare» ha affermato Daniela Paolotti, research & digital epidemology di Isi Foundation, durante uno degli workshop che si sono svolti in settimana. Ma oltre a una funzione più, per così dire, sociale, analizzare i dati serve alle aziende per proporre nuovi servizi, grazie alla profilazione degli utenti che si riesce a fare ma che, come ha specificato anche Antonio Bosio, product & solution director di Samsung Electronics Italia, durante il workshop «Libero mercato e concorrenza per clienti evoluti e soddisfatti», «introduce anche alla problematica sulla privacy, aprendo quindi le porte anche al tema della cyber security», che a sua volta «impone il tema importante del comportamento degli utenti» e quindi la responsabilità delle aziende di attuare delle politiche di sensibilizzazione alla diffusione di dei propri dati». Ovviamente l’ innovazione, ha proseguito Bosio, «è tale se diventa utile per il consumatore». C’ è poi chi, come Sorgenia, punta alla sensibilizzazione degli utenti anche attuando un meccanismo psicologico di peer comparison. «A nessuno piace passare per scemo», ha spiegato Simone Lo Nostro, market & Ict director di Sorgenia. Allora per indurre a una sensibilizzazione sui consumi, monitorati grazie a sistemi di analisi dei big data, l’ azienda ha deciso di inviare messaggi ai propri clienti facendo loro notare, per esempio, «che il proprio vicino consuma un terzo rispetto a quella persona» inducendo quasi a una competizione, sana, che potrebbe indurre la persona che consuma maggiormente, a tenere sotto controllo, riducendo, i propri consumi. La rivoluzione digitale a sua volta avrà anche delle implicazioni nel mondo del lavoro. Uno dei temi più caldi di Industria 4.0 è proprio il delta tra posti di lavoro creati e licenziamenti che occorreranno. Bene saranno proprio i big data a lanciare un salvagente a molti lavoratori che dovranno riqualificarsi ma anche a diventare il trampolino che consentirà ai nuovi giovani di tuffarsi nel mare delle nuove professioni digitali. © Riproduzione riservata.
Guardian: formato più piccolo tabloid, così si risparmia per fare giornalismo
Italia Oggi
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«Cambiare dal berliner al tabloid ci permetterà di risparmiare milioni di sterline all’ anno, in modo tale che possiamo continuare a investigare su ciò che è importante». Così il Guardian ha spiegato qualche giorno fa ai suoi lettori il motivo del cambiamento dal formato berliner, simile a quello adottato in Italia dalla maggior parte dei giornali, da Repubblica in poi, al più piccolo tabloid. Si tratta della seconda riduzione del formato per il quotidiano inglese, perché già nel 2005 era passato dal tradizionale lenzuolo a quello berliner. La novità sarà effettiva a partire dal prossimo anno. «Negli ultimi sei mesi, abbiamo pensato molto a come possiamo continuare a offrire un grande giornalismo ai lettori attraverso le nostre edizioni cartacee», hanno scritto il direttore, Katharine Viner, e il ceo del Guardian Media Group, David Pemsel. «Allo stesso tempo, abbiamo anche esaminato ogni costo in tutta la nostra organizzazione, come parte di un piano triennale per rendere il Guardian finanziariamente sostenibile». Uno dei problemi, è stato l’ esito dell’ indagine interna, è il declino delle vendite dell’ edizione tradizionale: stampare nel formato berliner sta diventando sempre più costoso, mentre spostarsi verso il formato tabloid permetterà al Guardian (ma anche all’ Observer dello stesso gruppo) di essere più flessibile nei confronti della domanda. Le ricerche e i test che l’ editore ha fatto sui lettori del formato cartaceo sono stati incoraggianti, hanno aggiunto Viner e Pemsel: «abbiamo parlato ai lettori della versione cartacea che ci hanno chiaramente detto che è il grande giornalismo, la fotografia, la grafica e il design che valgono, non la forma e le dimensioni del giornale». Per il cambio di formato il Guardian ha siglato una partnership con il gruppo Trinity Mirror, l’ editore del Daily Mirror. Affiderà la stampa all’ esterno, insomma, mentre potrà vendere le sue rotative per il berliner, acquistate nel 2005 per 50 milioni di sterline, 56 milioni di euro. Se si pensa che la diffusione del quotidiano è passata dalle 341 mila copie dell’ aprile 2005 alle 154 mila attuali si comprende come fosse ormai un investimento poco profittevole. Il formato più piccolo, secondo le intenzioni del gruppo, potrebbe anche aiutare a rilanciare le vendite. Ma il cambiamento di formato soprattutto nel Regno Unito ha anche un valore simbolico. Tradizionalmente, infatti, il formato più grande, lenzuolo, era quello adottato dai giornali più importanti, mentre il tabloid era tipico dei quotidiani scandalistici. Per questo il Guardian ha coinvolto i suoi lettori, facendogli dire la loro e mettendo in risalto quanti sostenevano che il formato è poco rilevante ma ciò che importa maggiormente è la qualità del giornalismo che si assicura ai lettori.
Wsj in digitale fuori dagli Usa
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Il Wall Street Journal si prepara a diffondere il giornale in Europa soltanto in versione digitale. Secondo il Financial Times la decisione di tagliare la distribuzione di carta riguarderà anche l’ Asia, con l’ eccezione di un grande mercato di questo continente dove la News Corp. di Rupert Murdoch che possiede il quotidiano sta trattando con uno stampatore locale per proseguire con il formato tradizionale. Una scelta di razionalizzazione che dipende anche dai numeri: a fronte di un calo delle diffusioni del formato tradizionale stanno crescendo gli abbonamenti digitali. Nel primo trimestre di quest’ anno il quotidiano diretto da Gerard Baker ha registrato 118 mila nuovi abbonamenti con il nuovo formato, una tendenza che riguarda molti giornali. Anche il digitale del New York Times è cresciuto nei primi tre mesi dell’ anno, con 308 mila nuovi abbonati in più. Ovviamente il provvedimento permetterà anche un forte risparmio sui costi, eliminando quelli di stampa e i tagli del formato tradizionale interesseranno anche le copie omaggio fuori dagli Stati Uniti, così come le vendite in blocco, per esempio quelle agli alberghi. Una pulizia sulle diffusioni che in Italia ha avuto luogo per la maggior parte delle testate negli scorsi anni. Gli abbonati europei che però vogliono continuare a leggere il Wall Street Journal su carta potrebbero essere accontentati. La società, infatti, sta valutando di mantenere aperta questa opzione. In Australia, invece, alcune pagine del Wsj sono inserite nell’ Australian, altra testata di Murdoch, perciò qui la strategia potrebbe essere differente rispetto agli altri continenti. Il gruppo non ha voluto commentare le indiscrezioni del Financial Times confermate da due fonti, ma si è limitato a un comunicato: «Stiamo esaminando costantemente l’ equilibrio tra stampa e digitale in un momento in cui vediamo una forte crescita della domanda dei clienti per il digitale. Nell’ ultimo anno gli abbonamenti digitali del Wsj sono più che raddoppiati in Asia e sono cresciuti del 48% in Europa». Una conferma che almeno sul tavolo il tema c’ è e che d’ altronde non potrebbe essere diversamente visto l’ andamento del mercato. Sul finire dello scorso anno il quotidiano economico americano aveva invece deciso una razionalizzazione delle proprie pagine di cultura e arte, rendendo più snella l’ edizione cartacea, combinando alcune sezioni e riducendo la copertura delle notizie locali di New York. «Tutti i quotidiani stanno affrontando cambiamenti strutturali», aveva scritto Baker alla redazione, «e noi ci dobbiamo muovere per creare un’ edizione cartacea che possa stare in piedi su una solida base finanziaria per il futuro, mentre il nostro orizzonte digitale continua a espandersi». A essere combinate le sezioni su arte, cultura, tempo libero, nessun cambiamento per il cuore del giornale, economia e finanza. Baker aveva anche spiegato che questi cambiamenti non sono necessari soltanto perché «ci dobbiamo adattare alle condizioni mutate nel business della pubblicità su carta, ma perché sappiamo dalle ricerche sull’ audience che i lettori vogliono un quotidiano più digeribile». © Riproduzione riservata.
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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Agcom: necessario un approccio multidisciplinare ai big data. «È necessario un approccio multidisciplinare ai big data, sia a livello nazionale che internazionale, capace di racchiudere in un unico intervento complessivo e coordinato le tutele di fondamentali diritti individuali e collettivi in materia di privacy, concorrenza, e di tutela degli utenti». Lo ha affermato ieri il presidente dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Marcello Cardani intervenendo alla Fsr Communications & Media Annual Conference, presso la Florence School of Regulation. Cardani ha ricordato l’ indagine conoscitiva sui big data avviata congiuntamente da Agcom, Antitrust e dall’ Autorità garante per la protezione dei dati personali lo scorso 30 maggio. Soffermandosi poi sull’ interazione tra big data, app e tutela degli utenti, il presidente dell’ Agcom ha evidenziato quanto il consumatore non abbia una chiara percezione di quali dati vengano ceduti e di come essi siano utilizzati, in quanto «il meccanismo dell’ App si configura come una transazione una tantum riguardante altri servizi a fronte invece di un uso dinamico e prolungato delle informazioni degli utenti». Rai, Anzaldi: sul tetto stipendi risposta imbarazzante al Governo. «Sull’ applicazione del tetto agli stipendi la Rai prende in giro il governo, il parlamento, la commissione di Vigilanza e tutti i cittadini italiani che pagano due miliardi di euro all’ anno di canone». Lo ha scritto ieri su Facebook il deputato del Partito democratico e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, parlando della nota che il servizio pubblico ha inviato al ministero dello sviluppo economico. «Di fatto, secondo quanto riferito dalla Rai la definizione di artista è talmente ampia e onnicomprensiva da poterci fare rientrare chiunque, anche un animale ammaestrato che vada in onda su una trasmissione Rai», ha scritto Anzaldi. Sempre di ieri una lettera aperta dell’ associazione Indignerai al neo d.g. Mario Orfeo in cui si denuncia che per la presentazione dei palinsesti avvenuta in settimana a Milano è stato utilizzato un regista esterno che ha curato la trasmissione dell’ evento sull’ intranet aziendale, ennesimo esempio di utilizzo di risorse esterne nonostante le professionalità presenti in azienda. Otto e Mezzo chiude al 6,12% di share. Un’ altra stagione positiva, quella partita da settembre dello scorso anno, per Lilli Gruber alla conduzione di Otto e Mezzo su la7. L’ appuntamento dell’ access prime time conquista il 6,12% di share medio, chiudendo così la migliore stagione degli ultimi 4 anni. Il programma segna una crescita del 4% rispetto al 2013/14, del 25% rispetto a quella del 2014/15, e del 15% rispetto al 2015/16. Con oltre 1,5 milioni di spettatori medi (1.534.363) si conferma inoltre il talk di approfondimento più visto della tv italiana in termini di ascolto medio. In crescita anche la versione del sabato che, con il 4,23% di share e oltre 900 mila spettatori (931.541), fa registrare un incremento del 26% in termini di share rispetto al periodo omologo dello scorso anno, un risultato che conquista il gradino più alto del podio da quando la trasmissione ha esordito anche nel penultimo giorno della settimana. Otto e Mezzo ha contattato ogni sera più di 3,1 milioni di italiani (3.124.709) e oltre 34 milioni (34.291.102) nell’ arco dell’ intera stagione. A Falessi le relazioni esterne di Open Fiber. Andrea Falessi è diventato responsabile delle relazioni esterne e istituzionali di Open Fiber, l’ azienda guidata da Tommaso Pompei che ha il compito di realizzare la rete in fibra ottica di ultima generazione. Falessi lascia Enel, di cui è stato capo delle attività media relation, sponsorship e eventi, advertising, comunicazione interna, digital e new media. Tv2000 cambia frequenza ma non canale. Dal 3 luglio l’ emittente della Cei cambia frequenza ma non canale: sarà infatti sempre visibile al canale 28 del digitale terrestre. Tv2000, in seguito a un accordo siglato con il Centro Televisivo Vaticano, passa sul Mux TIMB2 dell’ operatore di rete Persidera, in precedenza era sul multiplex Rai. Basterà risintonizzare il televisore. DipiùTv fa giocare con Bergader. Socialità e divertimento per l’ azienda casearia bavarese Bergader, in collaborazione con Cairo Editore: dal 4 luglio, in allegato a DipiùTv, il settimanale diretto da Sandro Mayer, uno speciale mazzo di carte Modiano brandizzato e un ricettario con l’ erborinato Edelpilz. Miracoli Settimanale, nuovo corso da mercoledì. Uscirà mercoledì prossimo con una copertina dedicata a Papa Roncalli Miracoli Settimanale, edito da Periodici Italiani e firmato per la prima volta dal neodirettore Antonino D’ Anna. Prezzo: 1,5 euro. La copertina (nella foto) è stata pensata in occasione della notizia che le spoglie del Pontefice torneranno nel 2018 nella sua casa natale, a Sotto il Monte Giovanni XXIII, vicino Bergamo. Tra i servizi in sommario anche l’ aumento dei casi di esorcismi in Svizzera e un focus sui cardinali di Bergoglio.
Indagini e giornalisti, un accesso rispettoso agli atti
La Repubblica
L’ INCHIESTA LE FUGHE DI NOTIZIE LE ACCUSE
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Caro direttore, la trasparenza, osservava Norberto Bobbio già negli anni 80 con la lungimiranza che lo contraddistingueva, è uno dei principi che differenzia le democrazie dai regimi autoritari, perché in questi ultimi la segretezza e l’impossibilità di conoscere cosa fa l’amministrazione sono la regola. Pur scontando un forte ritardo, anche culturale, negli ultimi anni l’Italia ha compiuti enormi passi avanti: dal 2012 la legge Severino impone di pubblicare sui siti internet istituzionali una apposita sezione denominata amministrazione trasparente e l’anno scorso il decreto Madia ha introdotto l’accesso civico generalizzato (il cosiddetto Foia), una norma di civiltà che consente a chiunque di richiedere dati e documenti alla pubblica amministrazione anche senza dover dimostrare un interesse diretto. In linea coi compiti che la legge le affida, l’Anac sta profondendo il massimo dell’impegno affinché sia data piena attuazione alla trasparenza, nella convinzione – riconosciuta da tempo a livello internazionale – che essa sia uno dei principali argini alla corruzione, poiché, rendendo conoscibile l’operato della pubblica amministrazione, essa consente un controllo civico e diffuso da parte di cittadini e associazioni. Sotto questo aspetto, con la loro capacità di raggiungere anche coloro che non necessariamente sono in grado di muoversi con agilità fra gli strumenti informatici e il Foia, i media (cane da guardia della democrazia secondo la celebre definizione) possono svolgere un ruolo fondamentale. Il pieno e libero accesso alle informazioni serve del resto anche ad essi per avere notizie di prima mano senza intermediazione. È naturale dunque che tale funzione divenga cruciale quando in ballo c’è uno snodo fondamentale in qualunque democrazia: la pubblicità e la trasparenza dei fatti giudiziari. Con la riforma del processo penale il legislatore, fra i vari temi, ha concesso anche al governo la delega ad intervenire sulla delicata materia delle intercettazioni e di conseguenza su come e quando esse potranno divenire pubbliche e pubblicabili. Occorrerà trovare il non semplice ma giusto equilibrio fra diritto di cronaca, diritto alla riservatezza dei cittadini e segreto d’indagine. In attesa di tale intervento mi pare ci sia un aspetto cruciale che si continua a trascurare, ovvero come i media possono ottenere le informazioni necessarie a fare cronaca giudiziaria. Mi spiego: il codice di procedura penale prevede il divieto di pubblicare gli atti coperti da segreto istruttorio finché l’imputato non ne viene a conoscenza, cioè fino alla chiusura delle indagini preliminari, oppure in occasione di atti a sorpresa quali perquisizioni e sequestri. Se però si presentasse in cancelleria il giorno in cui sono stati emessi provvedimenti di arresto, un giornalista non avrebbe accesso nemmeno all’ordinanza di custodia cautelare perché, sebbene pubblica, le modalità con cui procurarsi tali documenti non sono regolate. Un cronista, a seconda delle circostanze, deve così confidare nella benevolenza degli inquirenti, di un avvocato, degli investigatori o del funzionario di turno. Può sembrare secondario ma non è affatto una questione neutra. Al contrario, finisce per essere una distorsione evidente, perché questa situazione non consente un rapporto paritario tra la fonte e il giornalista. Proprio per effetto di tale subalternità, infatti, quest’ultimo rischia di essere indotto a nutrire riconoscenza verso chi gli passa le carte, col rischio di minare l’imparzialità di cui dovrebbe essere portatore. Ci sono tantissimi stimati professionisti che danno quotidianamente prova di non correre simili rischi, tuttavia ciò non toglie che questa assenza di regole rappresenti un oggettivo vulnus. Come si può pensare che la stampa eserciti il suo ruolo, costituzionalmente riconosciuto, se poi non la si mette in condizione di svolgere al meglio tale impegnativo compito? Ed ancora: può quest’ambito restare non regolato in un sistema che ha già introdotto il Foia? Perché dunque non sanare questa lacuna riconoscendo ai giornalisti un accesso, sia pure rispettoso dei diritti delle parti coinvolte nel processo, agli atti depositati? I vantaggi sarebbero molteplici: avremmo la garanzia di un’informazione meno sbilanciata e sarebbero ridotti i rischi di rapporti poco chiari con le fonti o di manipolazione che possono derivare da un accesso privilegiato ai documenti d’indagine. Ritengo che un argomento così rilevante, determinante per la nostra democrazia, richieda che si apra davvero un dibattito pubblico e si superi quella che è oggi una tollerata ipocrisia.
Consip, Sciarelli nega Accertamenti anche su Whatsapp
La Repubblica
MARIA ELENA VINCENZI
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Tra qualche giorno toccherà al pm napoletano Henry John Woodcock, ieri davanti ai magistrati si è seduta la giornalista Federica Sciarelli, conduttrice della trasmissione di Rai3, Chi l’ ha visto? I due sono accusati dalla procura di Roma, di rivelazione del segreto per una fuga di notizie che ha riguardato l’ inchiesta su Consip. Per i pm, Sciarelli sarebbe avrebbe fatto da tramite per far arrivare una serie di notizie coperte dal segreto al Fatto Quotidiano. E, secondo l’ accusa, il mittente era il pubblico ministero campano. Che avrebbe informato il giornale di Marco Travaglio delle iscrizioni del comandante generale dell’ Arma, Tullio Del Sette, e di quella del ministro Luca Lotti (entrambi indagati per favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ ufficio). Notizie pubblicate dal Fatto il 22 e il 23 di dicembre scorso. In quelle stesse ore il fascicolo veniva trasmesso a Roma per competenza. Sempre in quelle ore, i tabulati del telefono del cronista del Fatto Marco Lillo, autore degli articoli, mostravano alcuni contatti con la compagna di Woodcock. Di qui il convincimento dei pm romani che quella potesse essere la strada di una soffiata che ha avuto gravi conseguenze sull’ inchiesta. Che Sciarelli abbia passato, forse per conto del magistrato, una serie di informazioni alla testata di Travaglio. Quelle telefonate sono state al centro dell’ interrogatorio della giornalista. Due ore di faccia a faccia con il procuratore Giuseppe Pignatone, l’ aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi in cui il volto di Chi l’ ha visto? ha spiegato che lei non c’ entra nulla. Che né lei né il suo compagno hanno nulla a che vedere con quella fuga di notizie. Anzi. Ha spiegato che Woodcock non le parla mai delle sue indagini. E che spesso accade, come quel giorno, che addirittura lei non sappia nemmeno dove si trova. Sciarelli, che all’ uscita è stata assalita da cronisti e fotografi, si è limitata a dire di essere «sempre stata tranquilla». Il suo avvocato, Giorgia Papiri, si è detta soddisfatta e convinta che tutto sia stato chiarito. Sciarelli, ai magistrati che, tabulati alla mano, chiedevano conto del perché di quelle telefonate con il collega del Fatto, avrebbe ribadito quanto detto nei giorni scorsi, quando uscì la notizia della sua iscrizione, cioè che quel giorno Lillo la chiamò più volte per cercare Woodcock ma che lei non seppe dargli alcuna indicazione perché non sapeva nemmeno dove si trovasse. Ai pm ha anche spiegato che il 20 dicembre, era convinta che “Henry fosse a Napoli perché aveva detto di non sentirsi bene”. E di avere appreso da Lillo che, invece, il compagno era nella capitale. L’ avvocato Papiri ha spiegato che il cellulare di Sciarelli, sequestrato nei giorni scorsi, ancora non le è stato restituito perché sono ancora in corso gli accertamenti sui messaggi e sulle conversazioni Whatsapp. «Non a caso – ha chiarito il legale – hanno chiesto conto solo delle telefonate. E non dei messaggi. Noi, in ogni caso, ci siamo dette disponibili ad essere risentite se fossero necessari ulteriori chiarimenti» ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il sette luglio il magistrato napoletano sarà sentito dai colleghi che lo indagano a Roma
Rassegna Stampa del 02/07/2017
Indice Articoli
Siae, l’ Ue indaga sulla riforma di Franceschini
I Pulitzer del «non giornalismo» all’ Edicola 2.0
«Il Mattino 4.0» guarda al futuro del giornalismo
Tre giorni di sciopero per «Famiglia Cristiana»
Il gigante editoriale olandese Elsevier ha vinto la causa contro i portali Sci -Hub e Library of Genesis
Il Manifesto
LUCA TANCREDI BARONE
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II Se qualcuno pensava che la battaglia per il libero accesso alla conoscenza nel secolo XXI fosse facile da vincere, pochi giorni fa ha ricevuto una bella doccia fredda. Il gigante editoriale scientifico Elsevier, con sede in Olanda, il 21 giugno scorso ha vinto a New York un’ emblematica causa contro i portali Sci -Hub e Library of Genesis, perché consentono l’ accesso gratuitamente a decine di milioni di articoli scientifici. IL GIUDICE HA IMPOSTO una mul ta di 15 milioni di dollari a entrambi i siti per aver infranto le leggi sul diritto d’ autore. Per accedere a quegli stessi articoli, le università di tutto il mondo devono pagare fatture ogni anno più salate. Non è un caso che il business degli editori scientifici viaggi col vento in poppa. Si stima che il mercato delle pubblicazioni scientifiche per il 2015 valga circa 25 miliardi di dollari, con una crescita del 4% all’ anno e con uno straordinario margine di profitto di circa il 40% – più di quello ottenuto da giganti come Apple, Google o Amazon. Il fatto è che il mondo dell’ editoria scientifica funziona in un modo che la Deutsche Bank nel 2005 definiva «bizzarro» perché lo stato paga tre volte: per finanziare la maggior parte della ricerca, per gli scienziati che fanno il controllo di qualità di quanto pubblicato, la cosiddetta peer review (vedi box), e infine per comprare gli articoli usciti. Un vero affarone, tant’ è che il Financial Times nel 2015 scrisse che questo è «il business che internet non è riuscita a uccidere». Nel 1942 il sociologo della scienza Robert Merton teorizzò che la scienza moderna è ispirata a quattro principi: l’ universalismo (i risultati scientifici sono indipendenti dallo status sociopolitico di chi li abbia ottenuti), il disinteresse (la scienza si fa per il bene di tutti), lo scetticismo organizzato (esiste un metodo critico per dare credibilità a un risultato scientifico) e infine il comunalismo, e cioè gli scienziati dovrebbero avere la proprietà collettiva dei loro risultati. In altre parole, come dice l’ articolo 27 della Dichiarazione dei diritti dell’ uomo, «tutti hanno il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, godere dell’ arte e condividere il progresso scientifico e i suoi benefici». LA SCIENZA DI OGGI in realtà, an che se s’ illude di farlo, non rispetta nessuno dei quattro principi. Ma l’ ultimo è quello che forse fa più male: non è un caso che ci siano ben pochi scienziati che difendano il gigante editoriale olandese. Come dice il professore di educazione a Stanford John Willinsky, «in molti troveranno più semplice immaginare il danno causato da 28 milioni di articoli inacces sibili che quello dovuto alla perdita di 15 milioni di dollari perché Elsevier non li ha potuti vendere». SECONDO LA GIOVANE neuro scienziata e programmatrice russa Alexandra Elbakyan che ha fondato nel 2011 Sci -Hub, frustrata daipaywall che separavano lei e la sua università dagli articoli di cui aveva bisogno durante il suo dottorato, è proprio questo il punto. «La scienza appartiene agli scienziati, non agli editori», dice. Per avere un’ idea di quello di cui stiamo parlando, secondo un rapporto del 2015 della Stm sulle pubblicazioni scientifiche, nel 2014 ce n’ erano più di 28mila attive (in inglese), che collettivamente quell’ anno hanno pubblicato più di 2 milioni e mezzo di articoli. Neiva ri database internazionali (per ottenere l’ accesso ai quali le università devono pagare), ci sono fra i 70 e i 100 milioni di testi scientifici. Una mole enorme di conoscenza la cui disponibilità è fondamentale per garantire il progresso scientifico. A Sci -Hub, infatti, i pdf degli articoli «illegali» li passano proprio gli scienziati che hanno potuto accedervi attraverso le loro stesse istituzioni. Da qualche anno a questa parte, l’ open access, ossia la possibilità di accesso libero alle pubblicazioni, sta guadagnando terreno. Ne esistono diversi tipi. Le riviste che sono totalmente open access (per pubblicarci, gli scienziati devono pagare una tassa che copre le spese di produzione) secondo le ultime stime sono solo circa il 10% del totale. Ma data la pres.
Siae, l’ Ue indaga sulla riforma di Franceschini
Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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C’ è una indagine in corso da parte della Commissione europea sulla riforma della gestione del diritto d’ autore in vari Paesi, “in particolare () in Italia, sulla quale abbiamo ricevuto lamentele”. A seconda di cosa la Commissione contesterà e di quali risposte riceverà dal governo italiano, il procedimento potrà chiudersi con una approvazione oppure svilupparsi fino a una procedura di infrazione per uno dei provvedimenti più importanti curati dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Lo rivela la stessa Commissione, nel documento firmato dall’ italiano Roberto Viola per la direzione generale Comunicazioni in risposta alle richieste di Isabella Adinolfi, deputata europea del Movimento 5 Stelle. Soltanto pochi giorni fa, però, il ministero dei Beni culturali aveva risposto alle domande del sito Eunews che con Bruxelles non c’ erano problemi, “il decreto legislativo è stato approvato in via definitiva e notificato a Bruxelles, quindi la Commissione, se vuole, può impugnarlo dicendo che non è conforme alla direttiva, ma al momento a noi non risulta assolutamente nulla”. Nel 2014 gli Stati membri dell’ Unione vengono sollecitati a recepire nella legislazione nazionale la direttiva 26, nota come “direttiva Barnier” dall’ allora commissario per il Mercato interno e i servizi. La direttiva riguarda la gestione collettiva dei diritti d’ autore e le leggi che la recepiscono dovrebbero “consentire a un titolare dei diritti di poter scegliere liberamente l’ organismo di gestione collettiva cui affidare la gestione dei suoi diritti”. In Italia ne viene data un’ interpretazione un po’ minimalista, al momento del recepimento nel marzo del 2017: rimane il monopolio nazionale della Siae, l’ ente pubblico economico che raccoglie i compensi relativi al diritto d’ autore per conto degli artisti, nel 2016 ha fatturato 796 milioni di euro. Il decreto legislativo stabilisce infatti che “i titolari dei diritti possono affidare a un organismo di gestione collettiva o a un’ entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti, delle relative categorie o dei tipi di opere e degli altri materiali protetti per i territori da essi indicati, indipendentemente dallo Stato dell’ Unione europea di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’ organismo di gestione collettiva”. Ma resta il vincolo previsto da una legge del 1941 in base alla quale “l’ attività di intermediario” deve essere svolta “in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori”, cioè la Siae. Molti artisti, come Fedez e Gigi D’ Alessio, hanno però già lasciato la Siae per un concorrente nato da poco, Soundreef, società di diritto inglese. Questi nuovi protagonisti del settore vengono riconosciuti dal decreto che però lascia il territorio italiano in mano alla sola Siae. L’ 8 febbraio 2017 la Commissione aveva già scritto una lettera al governo italiano per esprimere le sue perplessità sul decreto. Perplessità che il ministero di Franceschini aveva giudicato superate con la versione finale del decreto. L’ eurodeputata M5S Isabella Adinolfi ha subito chiesto in via ufficiale di poter conoscere il contenuto di quella lettera. Il 9 giugno la Commissione europea ha risposto che non poteva divulgarlo perché il documento è relativo a una “ongoing investigation”, una indagine in corso in vari Stati membri e “in particolare” in Italia per le “lamentele” ricevute. “Per sgombrare il campo da ogni dubbio, il ministro Franceschini farebbe bene a pubblicare la lettera, rendere pubblici i rilievi della Commissione europea e fornire delucidazioni in merito a questa indagine”, ha commentato Adinolfi. Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di Siae per un duro scontro tra Franceschini e Fedez. Il rapper ha accusato il ministro di conflitti di interessi perché la moglie, Michela Di Biase, oltre a essere consigliera comunale di Roma per il Pd è anche dipendente della Fondazione Sorgente, ente culturale emanazione della Sorgente Group che gestisce il patrimonio immobiliare della Siae. Il ministro ha minacciato querele (la moglie si occupa di pubbliche relazioni, non delle attività della Siae). Ma per Franceschini i problemi possono arrivare più dall’ Europa che da Fedez.
I Pulitzer del «non giornalismo» all’ Edicola 2.0
Il Giornale
STEFANO GIANI
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Stefano Giani C’ era una volta «Chi se ne frega». Non il motto fascista, ma una scanzonata e burlesca rubrica del settimanale satirico Cuore che colpiva a manca più che a destra e chiunque diventava un obiettivo sensibile. Gli anni Ottanta erano al crepuscolo e il «fuoco amico» sarebbe venuto dopo. Almeno nel gergo. Non tanto e non solo perché il periodico – di ispirazione comunista – non facesse sconti ai trinariciuti, quanto per il fatto che non faceva sconti a giornali e giornalisti. «Chi se ne frega» era infatti il titolo di una rubrica in cui l’ ironico censore elencava una serie di notizie apparse sui quotidiani, con la caratteristica di non essere di alcun interesse pubblico. In sintesi, una «non notizia» degna appunto di essere condita via dalla frase più disfattista dell’ italico lessico. Ebbene, stiano tranquilli, lettori e giornalisti, non si sta annunciando la resurrezione dell’ augusta galleria di Cuore. Semplicemente la seconda edizione di una singolarissima iniziativa, il «Festival del non giornalismo» che fa della «non notizia» il suo piatto più prelibato. Nato dalla mente di due giornalisti veri – Andrea Montanari e Marcello Bussi, di Milano Finanza – si è affacciato su facebook, piazza virtuale ma frequentatissima, per poi conquistare una piazza in carne e ossa. «Premi a passanti, partecipanti e perfino al pubblico non pagante» annunciano i due burloni promotori che stasera dalle 18.30 davanti all’ edicola 2.0 di corso Garibaldi 83 apriranno lo «show». Il tema, nemmeno a dirlo, sono le fake news. Il falso doc. Inutile. Di chi se ne frega. «Il boom delle non notizie impera su giornali, tv, siti e blog. Un’ esplosione di verità artefatta che il festival denuncia da anni cercando di far capire l’ importanza del lavoro giornalistico» l’ ennesima provocazione degli ideatori. In linea con i contenuti anche i riconoscimenti riservati al «giovane non giornalista», alla «non carriera», al «non giornalista dell’ anno» e a «Un certain markette» di chiara ispirazione del festival cinematografico più prestigioso del mondo e altrettanto più snob dell’ intero pianeta. Insomma la categoria più inflazionata alla Mi manda Picone si mette in burla da sola. Ma già… Chi se ne frega.
«Il Mattino 4.0» guarda al futuro del giornalismo
Il Mattino
Massimo Zivelli
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Una grande festa del giornalismo, quella che ha riunito a Ischia, e in una delle sue più belle baie, dalla vincitrice di un premio Nobel al giornalista senza volto, fino alle grandi firme della stampa e della televisione italiana ed internazionale. Una festa che si è conclusa ieri sera in una cornice a dir poco spettacolare, alla darsena del Regina Isabella. Sul mare di Lacco Ameno, dove affaccia lo storico albergo che da sempre ospita grandi eventi per grandi personaggi, sono stati consegnati i riconoscimenti ai partecipanti di questa 38esima edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo. A fare gli onori di casa, il patron del Regina Isabella, Giancarlo Carriero e i fratelli Benedetto ed Aurelio Valentino, che organizzano il premio sotto l’ alto patronato del Presidente della Repubblica. A Nando Santonastaso del «Mattino» è andato il premio speciale per l’ innovazione nel campo della comunicazione per «Il Mattino 4.0» che da alcune settimane ormai, sia sul cartaceo che sul digital, ha saputo creare un importante ponte con il mondo della innovazione tecnologica e delle imprese di start up. «Campania e Sicilia sono fra le prime sei regioni d’ Italia in fatto di innovazione tecnologica applicata allo sviluppo delle imprese e la nostra iniziativa ha detto Santonastaso si proietta in una dimensione di crescita del tessuto economico ed imprenditoriale in una regione come la Campania che è l’ unica ad aver creato un assessorato interamente dedicato all’ innovazione». «L’ edizione 2017 è stata caratterizzata oltre che dalla sempre crescente qualità dei convegni e delle partecipazioni, anche dallo sdoppiamento in due serate del premio» ha detto Benedetto Valentino. Nel corso della prima serata presentata da Anna Billò di Sky Sport, sono stati premiati Francesca Landi di Action Aid, astro nascente nel panorama della comunicazione sociale, mentre a Flavio Natalia, direttore della struttura magazine Sky Italia, è andato un riconoscimento per il nuovo format digitale che propone le «10 notizie del giorno». Curiosità ha poi destato Valerio Visentin del «Corriere della Sera», che ha ricevuto il premio per la narrazione enogastronomica. Abituato a svolgere il suo lavoro in incognito, Visentin è salito sul palco con il volto coperto, per ritirare in maniera «anonima» il riconoscimento, ancora una volta per tener fede al proposito di giudicare ogni locale dal punto di vista dell’ avventore comune. Il premio Ischia Social Blog è andato a Diego Bianchi di «Gazebo», altro interessante innovatore del modo di fare informazione con la sua televisione al servizio dei social. Il Premio Ischia per l’ informazione sportiva è stato attribuito a Paolo Condò opinionista di Sky, mentre quello per il comunicatore dell’ anno è andato a Marco Bardazzi, responsabile delle relazioni esterne di Eni. Intensa e significativa anche la premiazione che si è svolta ieri sera a conclusione della edizione 2017. Per la stampa internazionale i riconoscimenti sono andati al corrispondente di guerra inglese Anthony Loyd, che ha seguito in presa diretta tutti i maggiori conflitti internazionali degli ultimi 20 anni, e alla giornalista, scrittrice e premio Nobel per la letteratura nel 2015, la bielorussa Svetlana Alexandrovna Alexievich, cronista che ha saputo raccontare gli anni dell’ ascesa dell’ Unione Sovietica e poi il suo crollo, con la rinascita degli stati nazionali. I premi per il giornalismo d’ inchiesta sono stati vinti da Emiliano Fittipaldi de «L’ Espresso» e Giulia Bosetti di «Presa Diretta». A chiudere questa 38esima edizione, il sindaco di Lacco Ameno, Giacomo Pascale, che ha consegnato il premio Coppa di Nestore al direttore generale della Rai, Mario Orfeo, per il suo noto legame con l’ Isola verde. A dopo l’ estate invece la consegna, con cerimonia al Quirinale, del premio «Penna d’ oro» della presidenza del Consiglio dei ministri, che è andato a Piero Angela. Dal prossimo anno, intanto, ha annunciato Carlo Gambalonga il premio aprirà le porte anche a 30 futuri giornalisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tre giorni di sciopero per «Famiglia Cristiana»
La Verità
SARINA BIRAGHI
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sarina biraghiNon c’ è più religione, neanche per l’ editoria cattolica, in particolare per i giornalisti della Periodici San Paolo. Per loro un 29 giugno 2017 (festa del loro santo apostolo) tutto da ricordare: online un nuovo sito corporate del gruppo editoriale San Paolo e un pacchetto di tre giorni di sciopero. Da una parte, infatti, c’ è stata la presentazione di un unico portale, ideato per rappresentare e raccontare l’ impegno e la vicinanza verso gli stakeholder che sono l’ espressione dell’ identità e della leadership che il gruppo si è conquistato nel settore dell’ editoria cattolica e culturale italiana con oltre 100 anni di storia. Il sito, si dice, sarà al centro di una nuova strategia di comunicazione integrata di gruppo per consolidare il marchio. Dall’ altra, la proclamazione di uno sciopero di tre giorni da parte dell’ assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, indetta appena è stata resa nota la disdetta e il recesso da tutti i contratti collettivi aziendali conquistati negli ultimi nove anni tra riorganizzazioni e piani editoriali.Un colpo arrivato mentre don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, la rivista leader del gruppo, presentava il piano editoriale comprensivo di «spirito di squadra, entusiasmo, armonia e fiducia», «necessari collanti per garantire un clima che consenta la realizzazione di prodotti editoriali di qualità». Nessuna condivisione o negoziato, invece, per disdire e recedere da tutti i contratti aziendali, con effetti dirompenti sia dal punto di vista formale che sostanziale. I giornalisti infatti contestano il metodo e il merito della comunicazione aziendale che ritengono «irricevibile».Nel metodo, spiega il comunicato ufficiale, perché i giornalisti ben conoscono la situazione difficile in cui versa l’ azienda e tutto il comparto editoriale in Italia e hanno dimostrato, in questi anni, «massima disponibilità a collaborare, fare pesanti sacrifici e dialogare con i vertici aziendali al fine di poter proseguire il lavoro al servizio dei lettori e superare questa difficile fase». Nel merito, perché l’ azienda chiede ancora ulteriori pesanti sacrifici ai giornalisti e a tutti i dipendenti della Periodici San Paolo, «mortificandone la professionalità, a fronte di un’ assenza di progettualità e di prospettive per il futuro».L’ assemblea dei giornalisti, supportata dalla Federazione della stampa, ha chiesto alla Periodici San Paolo di ritirare la disdetta dei contratti collettivi aziendali, «accettando in questo caso la disponibilità offerta dall’ azienda a discutere, e garantendo, fin da subito, la volontà di avviare una trattativa per negoziare qualunque parte degli accordi di secondo livello». Domani ci sarà il terzo giorno di agitazione.
Che la forza sia con noi
Prima Comunicazione
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Carlo De Benedetti lascia al figlio Marco la presidenza di Gedi, la nuova media company leader nell’ informazione quotidiana nata dall’ alleanza tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX. Alla guida con Marco De Benedetti la super manager Monica Mondardini, affiancata da Rodolfo De Benedetti e da John Elkann per affrontare scelte strategiche e organizzative come le sinergie tra Stampa, Secolo XIX e i quotidiani della Finegil, e un robusto progetto editoriale per Repubblica Uscita di scena magistrale quella che Carlo De Benedetti ha organizzato per le proprie dimissioni dalla presidenza e dal Cda di Gedi Gruppo Editoriale, la nuova ragione sociale del Gruppo L’ Espresso. Di fronte alle voci che avevano preso a turbinare e alle ipotesi più strambe sul nome del suo successore (tra cui quella di Ezio Mauro, che ha fatto subito sapere che non se ne parlava nemmeno), l’ Ingegnere ha optato per una veloce convocazione del consiglio di amministrazione e il 23 giugno ha annunciato game over. Carlo De Benedetti rimarrà presidente onorario del gruppo e continuerà a far sentire la propria voce, convinto com’ è che “una società democratica non possa fare a meno dell’ informazione professionale”. Concetto su cui aveva incardinato il suo intervento di chiusura del meeting sul futuro dei giornali, ‘The future of newspapers’, organizzato due giorni prima dalla Stampa a Torino e dove erano presenti i grandi player dell’ editoria mondiale. A vedere De Benedetti sul palco, a sentire il tono appassionato del suo intervento tenuto in inglese e in cui sottolineava “i rischi e le potenzialità dei rapporti” con Google, Facebook, Apple e gli altri over the top, fino a proporre gli Stati Generali dell’ editoria, nessuno si aspettava che da lì a 48 ore avrebbe passato lo scettro nelle mani del figlio Marco. L’ uomo è fatto così: un caratteraccio, molti difetti ma non quello di temporeggiare. Ai consiglieri di amministrazione ha spiegato che “a conclusione dell’ operazione di integrazione tra Espresso e Itedi, che ho fortemente voluto e che dà vita al primo gruppo di informazione quotidiana in Italia, ho deciso di favorire ancora una volta il ricambio generazionale così come ho già fatto alcuni anni fa in Cir”. Parole in cui era possibile rintracciare un moto dell’ animo che non ha mai mostrato volentieri: la commozione. Succede. Soprattutto quando si decide, o si capisce, di essere arrivati a un punto decisivo della propria esistenza. De Benedetti ha tra l’ altro ricordato di essersi “per più di quarant’ anni totalmente identificato con il Gruppo e in particolare con Repubblica, con Eugenio e con Ezio, con i quali non ho mai avuto un solo screzio, condividendo pienamente le tante battaglie e anche i periodi di isolamento”. Verità zuccherate, d’ accordo, ma con una sostanza di verità. Screzi con Scalfari e Mauro ce ne sono stati e nemmeno pochi, a volte persino durissimi, ma alla fine hanno trovato una loro quadra. L’ articolo è sul mensile Prima Comunicazione n. 484 – Giugno/Luglio 2017 Abbonati al mensile ‘Prima’ edizione cartacea (+ Uomini Comunicazione), alla versione digitale per tablet e smartphone o a quella combinata carta-digitale: Prima + Uomini + edizione per tablet e smartphone.
Rassegna Stampa del 03/07/2017
Indice Articoli
Il genio dei videogiochi ha una ricetta per i giornali: chi sale di livello paga
Industria creativa motore dell’ Italia
La cultura genera (solo) 285 mila occupati Il Meridione non cresce
Non siamo una specie in via di estinzione
In crescita l’ editoria per bambini
I lavoratori dell’ Unità chiusa: “Il partito ci ha abbandonato”
Nuovo attacco di Trump ai media In un video mette al tappeto la Cnn
Lavori e contributi discontinui, sei vie per ottenere la pensione
Il genio dei videogiochi ha una ricetta per i giornali: chi sale di livello paga
L’Economia del Corriere della Sera
dal nostro inviato a Palo Alto Massimo Gaggi
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Questo piccolo parallelepipedo ha cambiato tutto, passa tutto da qui: musica, video, vari modi di comunicare e di informarci e mille altre cose, dai dati dell’ attività fisica a mappe e percorsi stradali. Lo sappiamo bene tutti e lo sapete benissimo voi giornalisti che state vivendo una rivoluzione senza precedenti. Per i media tradizionali è dura, ma io credo che ci sarà sempre un mercato per chi produce contenuti informativi di qualità. Dovete, però, cambiare il sistema dei prezzi. Oggi siete come i ristoranti all you can eat: entri, paghi una tariffa fissa e mangi finché ce la fai» . Il luogo dove siamo è affascinante e sconcertante: un capannone industriale di Palo Alto, a un passo dall’ università di Stanford, trasformato nella sede di Playground, la società-laboratorio dove le idee di Andy Rubin (il padre di Android il sistema operativo di Google che fa girare i telefonini di quasi tutto il mondo non Apple) si trasformano in software e nuovi oggetti tecnologici. Il classico stile Silicon Valley – gente che gira tra le scrivanie in bici, in monopattino o col cane – qui conosce qualche variante: c’ è chi a fianco al tavolo da lavoro ha parcheggiato la Ducati e, mentre giri nell’ open space, devi schivare degli strani robottini che vanno in giro dando istruzioni: praticamente degli iPad poggiati su due gambe lunghe e sottili con lo schermo riempito da un faccione, presumibilmente un manager che sta altrove, intento a discutere coi computer scientist del lavoro da fare. Curioso anche l’ oggetto che mi viene mostrato: un telefonino fatto di ceramica e titanio, roba mai vista prima. Arriverà sul mercato Usa in autunno, in Europa più tardi. Ed è fuori dagli schemi pure la persona che me lo mostra. Niccolò De Masi che, nonostante il nome, di italiano ha solo il padre: «Papà lavorava nelle sedi estere del Banco di Roma. Conobbe mia madre quando era titolare dell’ ufficio di Los Angeles. Si sposarono. Io sono nato lì e sono cresciuto in giro per il mondo, soprattutto in Gran Bretagna dove, a Cambridge, mi sono laureato in fisica. In Italia sono stato solo tre anni, facevo le elementari, a Roma». Il background di questo manager di appena 36 anni non è quello che ti aspetteresti da uno che ti sta spiegando come la stampa potrebbe trovare nuova linfa vitale: Niccolò è un mago dei videogiochi. Ha creato varie start up di successo, ma è diventato ricco soprattutto intuendo che le celebrity potevano diventare il soggetto di seguitissimi giochi interattivi: «Ho cominciato con Kim Kardashian ed è stato un successo da centinaia di milioni di dollari. Ora ne abbiamo tanti e in vari campi: dalle star della musica come Taylor Swift e Britney Spears a grandi chef come Gordon Ramsey». Ma Niccolò è un inqueto, uno di quelli convinti che con la loro tecnologia possono cambiare il mondo. Da sempre legato ad Andy Rubin, alla fine dello scorso anno ha lasciato il ruolo di amministratore delegato di Glu, l’ ammiraglia del suo impero di videogiochi, per andare a fare il presidente e direttore generale della società di cui il creatore di Android è amministratore delegato. E ora ha gli stessi ruoli in Essential, una nuova impresa che ha appena lanciato uno smartphone di ceramica e titanio con dentro la tecnologia di Rubin che ambisce a diventare il terzo incomodo in un mondo dei telefonini di alta gamma oggi dominato dai Samsung, dalla tecnologia di Google e dagli iPhone di Apple. Essential oggi ha cento dipendenti e negli Usa partirà da un accordo con Sprint che nelle telecomunicazioni è più piccola di AT&T o Verizon. Come potete pensare di inserirvi tra i giganti mondiali? «Il mercato è sterminato e lo sarà sempre di più. La gente è pigra, vuole fare tutto con un solo device. Noi gliene offriamo uno con molte caratteristiche innovative, a cominciare dai materiali e dalla telecamere capace di girare video a 360 gradi. E’ anche più sottile e con uno schermo più grande. Io credo che ci sia spazio anche per una differenziazione generazionale. Oggi padri, nonni e figli hanno tutti in tasca lo stesso telefonino». Se, però, fosse vero che tutto passerà dallo smartphone, noi dei media avremmo sempre più problemi: non solo i giornali di carta, ma anche l’ informazione dei siti digitali. Sul cellulare si legge poco, difficilmente testi lunghi. E la pubblicità non funziona. «Nella mia carriera sono passato dal fare l’ investment banker alle cellule solari, alle app e, ora, agli smartphone. Ho imparato che, almeno per quello che riguarda il vostro mondo, il problema non è tanto il passaggio dalla carta al digitale in sé, quanto due fattori specifici. Intanto la velocità del cambiamento tecnologico: qualche anno fa, nel 2000, avevi solo dei messaggi in bianco e nero per niente sexy, mentre poi sono arrivati in rapida successione il colore, i video, lo streaming, la polifonia, la proiezione a 360 gradi e ora vai verso la realtà aumentata e virtuale. Inoltre hai l’ effetto rivoluzionario dell’ unbundling (la possibilità di far pagare un servizio per sezioni separate anziché come un unico pacchetto, ndr) che da un lato apre la strada a fonti di informazione alternative e più rapide, dall’ altro sconvolge il mercato pubblicitario attraverso la moltiplicazione delle piattaforme. Alla fine tutti – voi giornalisti, io con i videogiochi interattivi e tanti altri – combattiamo per conquistare il tempo degli utenti sull’ unico device che usano. Da questo punto di vista, per voi è di certo durissima: la gente, pigra, non vuole combattere con cento applicazioni. Già Facebook da sola, con la sua costellazione di siti, si prende il 20% del tempo di tutti noi. E col cellulare, sempre di più, farai di tutto. Guarda la Cina dove già oggi col telefonino, non solo fai l’ home banking, ma paghi le tasse e puoi ottenere un prestito. Questa, però, è solo una parte della storia». Meno male… «In Rete dove spendi il tuo tempo è una cosa, dove spendi i soldi è un’ altra. La pubblicità, certo, va dove spendi il tempo. Ma c’ è anche un mercato, più limitato ma ricco, di persone che cercano i contenuti, che sono disposte a pagare per avere informazione di qualità. Non sono, però, convinto che quello dell’ abbonamento standard sia il modo migliore per catturarlo. Non puoi trattare i lettori tutti allo stesso modo: ci sono i pesci piccoli ai quali puoi dare una base gratis, i delfini che chiedono di più e sono pronti a pagare qualcosa e le balene che vogliono molto e verseranno di più». Non credo che il lettore apprezzi il fatto di essere chiamato pesciolino o balena. Ed è curioso che un personaggio come la Kardashian possa essere considerata la cavia di un esperimento di comunicazione che tocca anche il giornalismo. Certo, con la Casa Bianca che ormai comunica coi tweet notturni di Trump… «Ognuno pensa della Kardashian ciò che vuole. Con noi si è comportata con grande professionalità: ha capito come diventare un brand e la dinamica del gioco. Invia post in continuazione. Crea contenuti e li diffonde. Passa con naturalezza dalla vita reale a quella virtuale del videogame. Non sottovalutare i videogiochi: sono una realtà importante non solo in termini economici ma anche come sviluppo di differenti capacità di analisi. E sono anche il campo delle tecnologie digitali nel quale il talento italiano o italo-americano ha avuto più successo, forse per la capacità di combinare fantasia visiva e ingegneria, software e design: da Riccardo Zacconi, fondatore di King Digital Entertainment a John Riccitiello di Electronic Arts. E non ti sorprendere troppo dei tweet del presidente. Ho letto una biografia di Napoleone basata sulle sue lettere: ne scriveva un’ infinità, tutte le notti, anche 12 alla volta. Ne hanno collezionate 35 mila, sugli argomenti più vari» . E le balene? «Quello della fauna marina è il linguaggio del mondo dei videogiochi. Sì, forse è irrispettoso, ma se ci pensi i meccanismi non sono poi molto diversi. Col modello freemium noi diamo un gioco di base gratis a tutti. Chi, poi, si appassiona e sale di grado, può scegliere se investire tempo in tutte le fasi del gioco e nell’ assorbimento della pubblicità che gli viene indirizzata o se pagare per passare direttamente alla fase successiva. Nel caso dei giornali, secondo me, le balene sono quei lettori esigenti che vogliono un’ informazione più approfondita: chiedono autorevolezza e anche i retroscena. Magari vogliono entrare pure nel backstage e sono disposti a pagare di più. E’ per questo che secondo me la tariffa d’ abbonamento unica non è l’ approccio giusto. La gente paga per la qualità. Un tempo in tv c’ erano Walter Cronkite e Tom Brokaw che erano la credibilità fatta persona. Oggi la gente pagherebbe eccome per vedere conduttori come loro» .
Industria creativa motore dell’ Italia
Il Sole 24 Ore
Katy Mandurino
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L’ economia italiana è sempre più “debitrice” nei confronti della cultura e della creatività. Niente di aleatorio, anzi: parliamo di dati concreti e di un sistema produttivo culturale e creativo che, anno dopo anno, aumenta il suo peso nell’ ambito della composizione del Pil nazionale. Lo dicono i numeri elaborati dal settimo rapporto “Io Sono Cultura” stilato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Realizzato grazie al contributo di 40 personalità di punta nei diversi settori e alla partnership con Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera, e con il patrocinio del ministero per i Beni Culturali, quest’ anno il rapporto ha per sottotitolo “l’ Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”. Sì, perché il sistema produttivo culturale e creativo italiano rappresenta il 6% della ricchezza prodotta in Italia, nel 2016, pari a quasi 89,9 miliardi di euro, con un effetto moltiplicatore sul resto dell’ economia pari a 1,8. Significa che per ogni euro prodotto dal sistema, se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,9 miliardi, quindi, ne stimolano altri 160, per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’ intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto. Più di un terzo della spesa turistica nazionale, esattamente il 37,9%, è attivata proprio dalla cultura e dalla creatività. Una ricchezza che si riflette in positivo anche sull’ occupazione: il sistema delle imprese culturali dà lavoro a 1,5 milioni di persone (quasi 22mila unità in più del 2015), che rappresentano il 6% del totale degli occupati in Italia. «È una continua evoluzione in positivo – specifica il direttore di Fondazione Symbola Domenico Sturabotti -. Quest’ anno, a differenza degli anni scorsi, tutti i settori presi in esame hanno il segno più. Il fattore trainante più significativo è il fatto che le imprese manifatturiere hanno investito, per aumentare la propria competitività, in design, comunicazione e servizi, cioé nei settori creativi e culturali. È evidente come chi investa in creatività e cultura abbia performance economiche migliori di altri». Ma cosa si intende per “sistema produttivo culturale e creativo”? Si tratta delle attività economiche che producono beni e servizi culturali e delle attività che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la competitività, ovvero le creative-driven. I macro settori possono essere considerati cinque: industrie creative (architettura, comunicazione, design), industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, videogiochi, software, musica e stampa), patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), performing arts e arti visive a cui si aggiungono le imprese creative-driven (dal mobile alla nautica, in generale gran parte del made in Italy…). Le industrie culturali producono, da sole, oltre 33 miliardi di euro di valore aggiunto, ovvero il 37,1% della ricchezza generata dal sistema, dando lavoro a 492mila persone (32,9% del settore). Contributo importante anche dalle industrie creative, capaci di produrre 12,9 miliardi di valore aggiunto (il 14,4% del totale del comparto), grazie all’ impiego di 253mila addetti (16,9%). Performing arts e arti visive generano invece 7,2 miliardi di euro di ricchezza e 129mila posti di lavoro; a conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico si devono quasi 3 miliardi di euro di valore aggiunto e oltre 53mila addetti. A questi quattro ambiti, che rappresentano il cuore delle attività culturali e creative, si aggiungono i rilevanti risultati delle attività creative-driven: 33,5 miliardi di euro di valore aggiunto (il 37,2% dell’ intero sistema culturale e creativo) e 568mila addetti (38% del totale del sistema culturale e creativo). Le performance più rilevanti rimangono connesse ai segmenti come il design (+2,5% per valore aggiunto e +1,9% per occupazione), i videogame (+2,5% per il valore aggiunto e +1,7% per occupazione) e la produzione creative-driven (+1,7% per valore aggiunto e +1,5% per occupazione). Pur restando il talento il cuore di tutti questi settori, al dinamismo descritto ha contribuito anche il significativo incremento dei livelli di istruzione richiesti alle professioni culturali e creative. Tra il 2011 e il 2016 coloro che operano nel sistema produttivo culturale e creativo e sono in possesso di una laurea sono aumentati dal 33 al 40,9%: valore nettamente superiore al resto dell’ economia, in cui si è registrato un incremento inferiore a 3 punti percentuali (dal 17 al 20%). «Fattore importantissimo», aggiunge Sturabotti. La geografia del sistema produttivo culturale e creativo vede la provincia di Roma, con il 10%, al primo posto in Italia per incidenza del valore aggiunto del sistema sul totale dell’ economia. Seconda Milano (con il 9,9%), terza Torino, attestata sulla soglia dell’ 8,6%. Seguono Siena (8,2%), Arezzo (7,6%) e Firenze (7,1%). E ancora: Aosta, attestata al 6,9%, Ancona (6,8%), Bologna e Modena, entrambe al 6,6%. In termini di occupazione, la leadership per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’ economia è da attribuire a Milano, attestata al 10,1%. Al ridosso si collocano Roma (8,7%), Arezzo (8,6%%), Torino (8,2%), Firenze (7,6%), Modena Bologna e Trieste (tutte e tre al 7,5%), Monza-Brianza ( 7,3%) e Aosta (7,2%). Quanto alle regioni il peso delle grandi aree metropolitane a specializzazione culturale e creativa si fa sentire. Nella graduatoria delle regioni per ruolo del sistema produttivo culturale nell’ economia, considerando l’ incidenza di cultura e creatività nella produzione di valore aggiunto il Lazio si colloca primo (8,9%) seguito dalla Lombardia (7,2%). Dopo la Valle d’ Aosta, troviamo il Piemonte (6,7%) e le Marche (6,0%). Sul fronte dell’ occupazione, i primi quattro posti sono ripetuti nell’ ordine: primo è il Lazio (7,8%), seguito da Lombardia, Valle d’ Aosta e Piemonte. La quinta piazza, in questo caso, è occupata dall’ Emilia Romagna (6,5%). La cultura è sempre più trainante nell’ economia del Paese, ma permangono delle criticità: «La dimensione media delle imprese è ancora piccola – conclude il direttore di Symbola – , una strutturazione resta necessaria. Inoltre, il Sud continua ad essere meno attrattivo del Nord in termini di territorio; manca un sistema che supporti la crescita economica e questo acuisce il divario Nord-Sud». Il Mezzogiorno, ricco di giacimenti culturali e un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; solo il 4,1% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura, il che rappresenta un problema ma allo stesso tempo un’ opportunità di rilancio. Dinamiche simili si riscontrano per l’ occupazione, con il Nord-Est che, in questo caso, mostra una performance leggermente migliore di quella del Nord-ovest. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La cultura genera (solo) 285 mila occupati Il Meridione non cresce
L’Economia del Corriere della Sera (ed. Mezzogiorno)
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La cultura come principale driver dello sviluppo. In Italia è ormai una realtà, ma nel Mezzogiorno quest’ obiettivo è ancora molto lontano, come una meta agognata ma mai raggiunta. Eppure il Sud è ricco di giacimenti culturali e vanta un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, tuttavia non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; solo il 4,1% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura, e dinamiche simili si riscontrano per l’ occupazione, il che rappresenta un problema ma allo stesso tempo può diventare un’ opportunità di rilancio. Ma cosa s’ intende per Sistema Produttivo Culturale e Creativo? Si tratta di tutte quelle attività economiche che producono beni e servizi culturali, ma anche che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività. Il sistema produttivo culturale si articola in 5 macro settori: industrie creative (architettura, comunicazione, design), industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, videogiochi, software, musica e stampa), patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), performing arts e arti visive a cui si aggiungono le imprese creative-driven (imprese non direttamente riconducibili al settore ma che impiegano in maniera strutturale professioni culturali e creative, come la manifattura evoluta e l’ artigianato artistico). Il Rapporto 2017 «Io sono cultura – l’ Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi», elaborato da Unioncamere e Fondazione Symbola, restituisce un’ immagine molto diversa per il Centro Nord del paese e il meridione. Complessivamente al sistema produttivo culturale e creativo si deve il 6% della ricchezza in Italia, pari a circa 90 miliardi. Dato in crescita dell’ 1,8% rispetto all’ anno precedente. E non finisce qui, perché la cultura ha sul resto dell’ economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori. Quindi, i 90 miliardi ne stimolano altri 160 per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’ intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. E, come se non bastasse, dà lavoro a un milione e mezzo di persone, il 6% del totale degli occupati. Ma al Sud purtroppo prospettive economiche e numeri sono molto diversi. Il valore aggiunto si aggira sui 14 miliardi, gli occupati non raggiungono i 285 mila. La parte del leone la fa la Campania con un pil settoriale attorno ai 4 miliardi e con 77.500 occupati. Segue la Sicilia con 3 miliardi e 300 milioni e 67 mila posti di lavoro. La Puglia è ferma a 2 miliardi e 675 milioni e gli addetti nella regione sono 57.700. Percentuali infinitesimali per Calabria e Basilicata, nonostante quest’ ultima dovrà ospitare Matera capitale della Cultura 2019. In sostanza, come peraltro avviene per l’ intera economia, anche nell’ industria culturale emerge una profonda dicotomia tra Nord e Sud. Proprio la Calabria, ultima per valore aggiunto pro capite, sembra essere la regione con minor affinità culturale: nonostante l’ indubbio patrimonio che caratterizza questo territorio, infatti, sia in termini di valore, sia in termini di occupazione, la quota sul totale economia appare la più bassa. Peraltro le regioni del Sud si confermano come più orientate nel settore dell’ editoria e della stampa. E, proprio a proposito di stampa, è interessante che il Rapporto metta in evidenza come a gennaio 2016 anche il «Corriere della Sera» abbia deciso di lanciare un paywall per aumentare i guadagni dal digitale: «Si tratta del primo esperimento di questo tipo in Italia per un quotidiano a tiratura nazionale, che sta avendo risultati molto positivi se si guarda alla crescita rispetto al lancio. Registrando +20% secondo i dati pubblicati da Engage a maggio 2017, per un totale di 35 mila abbonati». Secondo i dati del ministero dei Beni Culturali richiamati dal Rapporto, il 2016 ha visto un vero e proprio boom dei grandi siti archeologici campani, e non solo: Museo Archeologico di Napoli, Parco archeologico di Paestum e Scavi di Pompei, ma anche la Reggia di Caserta, i Musei di Capodimonte e di Castel Sant’ Elmo a Napoli, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, il Parco archeologico di Paestum.
Non siamo una specie in via di estinzione
La Stampa
MARIO BAUDINO
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Uno dei primi libri che curò per Bompiani, giovane redattrice, fu il Frasario essenziale per passare inosservati in società di Ennio Flaiano. Le torna in mente ora che le chiediamo che cos’ è per lei il mestiere di editore. «È mediare tra due mondi: uno è il mercato, fatto di regole e risultati, leggi e soldi; l’ altro, impalpabile, è la creazione artistica, incerta. L’ editoria è il paradosso di una costruzione molto complessa poggiata sull’ immateriale. Ovvero, per citare Flaiano, “con i piedi ben poggiati sulle nuvole”». Le nuvole di Elisabetta Sgarbi oggi sono La nave di Teseo, ma per molti anni si sono chiamate Bompiani, dove entrò nel 1990 e bruciò le tappe fino al ruolo di direttore editoriale. Fa molte cose, come si sa: per esempio è regista in proprio, per esempio organizza la Milanesiana. Nel 2015, quando l’ intera Rizzoli libri venne acquisita da Mondadori, se ne andò, assieme ai suoi più stretti collaboratori e a parecchi autori, per dare vita alla nuova sigla: in quello che sembrava il momento peggiore. I fatti le stanno dando ragione proprio quando molti cominciano ad accarezzare l’ idea che il ruolo dell’ editore si stia esaurendo, nell’ era dei social, messo all’ angolo dall’ utopia di un contatto non mediato tra autore e lettore. Come si sente davanti a uno scenario del genere? «Bisogna capire cosa si intende per editore», risponde: «la grande azienda (che pure ha ovviamente una motivazione) oppure la persona cui l’ autore si riferisce costantemente, nei suoi alti e bassi? Secondo me l’ editore che serve è quello che, con continuità, crede nell’ autore, nelle sue imprevedibili vicende. Questa figura sta diventando una rarità». Absolute beginners Mentre dilaga «l’ aziendalismo impersonale, anche nella stessa personalità di giovani editor. Ma se parliamo di realtà così impersonali, ce ne sono altre – come Amazon – che in questo campo sono molto più attrezzate». Bene, abbiamo capito. Lei non si sente in via di sparizione, gli altri chissà. Intanto la nuova casa editrice si è impetuosamente espansa, per esempio acquisendo Baldini & Castoldi e aprendo Oblomov. «Impetuosa espansione mi sembra eccessivo, quando c’ è un editore che ha il 35% del mercato. La nave di Teseo – e, sottolineo, i suoi illuminati – ha fatto questa scommessa: perché disperdere un patrimonio di autori e una storia? Baldini ha le potenzialità per scoprire autori e valorizzare quelli che ha. Così come Oblomov è una nuova casa per il graphic novel , con Igort. Si tratta di dare energie nuove alla editoria». È noto come il nome sia stato scelto da Umberto Eco, che stava per morire ma incoraggiò l’ impresa in modo decisivo. Era già il nume tutelare della Bompiani. Quanto è stato importante per lei? «Vede, Eco ha cambiato la Bompiani. L’ ha resa una casa editrice planetaria. Nel mondo veniva esaltato il suo genio di saggista e narratore». Ma era anche un vero editore. «Aveva dato corpo al catalogo della casa editrice. Ed era un redattore implacabile: alle cene con noi, non mancava di portare i libri che pubblicavamo, segnalando e irridendo gli errori. Era capace di una tenerezza e fedeltà assoluti». Non è stato il solo maestro. Ogni editore ha la sua storia plurale. Nel pantheon di Elisabetta Sgarbi c’ è anche Gianantonio Cibotto, lo scrittore veneto (che di fatto inventò il Campiello): fu lui a indirizzarla, giovanissima, a una casa editrice di Pordenone, Studio Tesi, dove tutto cominciò. «È stato il primo. E poi Mario Andreose [suo predecessore alla Bompiani, ndr]: ma aggiungerei Enrico Ghezzi, che continua a scoprire mondi fantastici. Credo di essere ricettiva e di imparare dalle persone che lavorano con me». Che cosa ha imparato in particolare? «Che siamo sempre absolute beginners , per citare Bowie». Anche perché, pubblico a parte, ogni autore è diverso. Il mestiere dell’ editore è anche capirlo al volo, aiutarlo, magari affascinarlo. Ci sono storie tormentate. Per esempio con Andrea De Carlo, che ha appena dato alla Nave 15 titoli del suo catalogo (usciranno da novembre) dopo complessi andirivieni tra Bompiani e altri, e infine un lungo silenzio. «In tutti i mesi in cui non ci siamo sentiti, dalla fine di novembre del 2015 fino a qualche settimana fa, ho letto tutte le sue dichiarazioni, per capire se c’ era risentimento o restava l’ amicizia. E ho sempre coltivato la speranza di ritornare a lavorare con lui». «Mio fratello, sua sorella» Ci sono storie di ammirazione a distanza che poi si sciolgono all’ improvviso: «Con Alberto Moravia ero una giovane redattrice, silenziosa e diligente», persino intimidita. «Lo frequentai di più in occasione del libro a quattro mani scritto con Alain Elkann: mi vezzeggiava dicendo a mio fratello Vittorio – già ampiamente noto e enfant prodige – che era lui “mio fratello”, ribaltando il cliché che mi voleva “sua sorella”». Ci sono storie di divertente follia. Carmelo Bene la trasformò in una Penelope. «Notti intere all’ Hotel et de Milan a disfare i libri che componevo di giorno. Ne abbiamo fatto uno di componimenti poetici, ‘l mal de’ fiori (nel 2000), del tutto fuori formato perché, diceva Carmelo, nella collana cui era destinato “si volta troppo pagina”». Chissà come reagirebbero, oggi, gli «impersonali». Ma hanno altri pensieri: per esempio, pescare freneticamente nella rete personaggi con molti followers e farne bravamente degli autori, a volte con un certo successo commerciale. Vale la pena? «Ci sono linee editoriali che possono e debbono contemplare questi autori. L’ editoria non è un blocco monolitico, i libri cambiano il mondo ma si nutrono del mondo. Il tema è la pluralità della offerta: bisogna mantenere viva la letteratura, ristampare i classici, rischiare su scrittori più complessi; e sì, anche cogliere fenomeni così larghi e profondi come questi». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
In crescita l’ editoria per bambini
Il Sole 24 Ore
Natascia Ronchetti
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milano «Nell’ età prescolare si sta valorizzando molto il ruolo del libro, fin dalla più tenera età. Per quanto riguarda i bambini in età scolare vediamo invece che, accanto a realtà dove la lettura è ancora poco promossa, ci sono molte scuole che investono sempre di più su progetti di promozione dei libri». Lorenzo Garavaldi è il direttore della divisione editoria per bambini e ragazzi del gruppo Mondadori, a cui fa capo la casa editrice Piemme (oltre 31 milioni di ricavi nel 2016, leadership nel segmento con una market share superiore al 12%) che diciassette anni fa ha lanciato in Italia Geronimo Stilton. Un vero e proprio caso editoriale – con 33 milioni di copie vendute nel nostro Paese, 130 milioni nel mondo e più di 400 titoli – che ha contribuito a risollevare le sorti dell’ editoria infantile, un comparto che beneficia di una rendita storica – una grande tradizione di massima qualità – e che negli ultimi tempi non ha assistito all’ erosione che ha caratterizzato il settore. Per due anni consecutivi, nel 2015 e nel 2016, ha infatti visto una crescita del 3% dei ricavi, a fronte della stagnazione del resto dell’ editoria, arrivando a generare un volume d’ affari di quasi 200 milioni di euro. Questo grazie anche alla contaminazione tra libri contemporanei e classici della letteratura infantile e alla forte popolarità tra i bambini del “topo” Geronimo Stilton, diventato a sua volta un classico, con una costellazione di una decina di collane. Creato da Elisabetta Dami è il personaggio più venduto dell’ editoria italiana per ragazzi. «Fin dall’ inizio – ricorda Garavaldi – per la casa editrice fu un progetto importante sul quale investire con un’ ottica strategica e la risposta del mercato fu positiva fin dal primo momento. La dimensione globale è arrivata con il tempo, con una forte presa, in Europa, in Paesi come Spagna, Olanda e Francia e, oltreoceano, in Canada e negli Stati Uniti. Recentemente la popolarità del personaggio tra i bambini sta crescendo anche in Cina, un Paese dove si assiste a un forte sviluppo dell’ editoria per i ragazzi». Una questione di riconoscimento universale in una categoria di valori – la lealtà e l’ amicizia prima di tutto – nei quali i bambini si identificano. Ma il motivo del grande successo di Geronimo Stilton è dato anche da una struttura narrativa che combina efficacemente testo e immagini: un modo per avvicinare i più piccoli alla lettura. Caratteristiche che, nonostante la contaminazione della digitalizzazione, anche nei Paesi più avanzati sul piano tecnologico, consentono anche di mantenere intatto il valore del libro nella dimensione cartacea, che continua a mantenere una centralità sia in Italia che all’ estero. Qualità e cura, impostazione narrativa, combinazione tra testo e immagini saranno in primo piano anche nel libro speciale di Geronimo Stilton che come ogni anno uscirà dopo l’ estate. E questa volta, per l’ edizione 2017, con una novità: conterrà parole e messaggi nascosti da un inchiostro che scompare con il calore delle mani. Una nuova caratteristica per invogliare sempre più ragazzi alla lettura. «Un tema verso il quale – dice Garavaldi – riscontriamo che c’ è sempre più attenzione. Non solo per la consapevolezza dell’ importanza della lettura ma anche per la maggiore capacità degli adulti di sapere indirizzare i bambini». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I lavoratori dell’ Unità chiusa: “Il partito ci ha abbandonato”
Il Fatto Quotidiano
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Ci sono anche i giornalisti de L’ Unità in piazza Santi apostoli a Roma, tra i partecipanti alla manifestazione della sinistra di Giuliano Pisapia. “L’ Unità è stata completamente abbandonata. Siamo senza lavoro e senza stipendio da maggio e non abbiamo la cassa integrazione”, dice uno di loro. I cronisti lamentano anche il fatto di non essere stati coinvolti nel lancio di “Democratica”, la nuova testata online del Pd. “Di “Democratica” lo abbiamo saputo da un post, non siamo stati assolutamente coinvolti, insomma oltre al danno la beffa, evidentemente Renzi voleva liberarsi di noi”, accusano i giornalisti esibendo una pagina dell’ Unità che titola “Rottamati dal Pd: Renzi lancia un nuovo giornale e dimentica i lavoratori de l’ Unità”. In prima pagina la foto del fondatore, Antonio Gramsci e la didascalia recita: “E’ l’iniziò e Matteo Renzi la fine”. Il segretario del Pd dice che la proprietà è privata. “Il Pd ha il 20% delle quote, anche Renzi ha delle responsabilità, non può dire che è in mano ai privati: ha abbandonato 35 famiglie”, rispondono i lavoratori.
Nuovo attacco di Trump ai media In un video mette al tappeto la Cnn
Corriere della Sera
Giuseppe Sarcina
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Donald Trump stabilisce un altro record di aggressività con un video postato ieri su Twitter. La scenetta è ripresa a bordo ring di un incontro di wrestling. A un certo punto irrompe Trump che si scaglia contro l’ organizzatore del match, atterrandolo e colpendolo con una scarica di pugni. Urla e ovazioni: sul volto dell’ uomo messo al tappeto il logo della Cnn, che poi si trasforma in Fnn «FraudNewsCnn». Oltre 200 mila persone hanno cliccato il «cuoricino» del gradimento, mentre la Cnn ha reagito con un comunicato: «È un giorno triste quando il presidente degli Stati Uniti fomenta la violenza contro i reporter. Trump ha dato prova di un comportamento adolescenziale molto al di sotto della dignità del suo incarico. Noi continueremo a fare il nostro lavoro. Lui dovrebbe cominciare a fare il suo». Ma quella di Trump è una strategia dove si mescolano istinto e pianificazione. La sequenza sulla Cnn-Fnn si basa su immagini del 2007, quando effettivamente l’ allora tycoon newyorkese finse di aggredire Vince McMahon, il patron del wrestling. La «clip» chiude l’ ultimo ciclo dello scontro sempre più aspro con i produttori di notizie false, le «fake news». Sabato sera, al teatro Kennedy di Washington, il leader degli Usa ha tenuto un discorso ai veterani. Il passaggio più applaudito è stato quello su tv e giornali: «I fake media stanno cercando di ridurci al silenzio, ma non glielo consentiremo. I fake media hanno cercato di non farci arrivare alla Casa Bianca. Ma io sono il presidente, non loro». Completa il quadro una spiegazione via Twitter: «I media, falsi e fraudolenti, stanno lavorando duro per convincere i repubblicani e altri che non dovrei usare i social media. Ma ricordate: ho vinto le elezioni del 2016 grazie alle interviste, ai discorsi e ai social media. Ho battuto le Fakenews». Un presidente non dovrebbe twittare? «Il mio uso dei social media è quello di un presidente moderno, attuale». La «modernità» di Trump, però, non solo sta suscitando la reazione indignata di larga parte dell’ opinione pubblica, ma sta mettendo in difficoltà lo stesso partito repubblicano. Ieri il senatore Ben Sasse, del Nebraska, ha dichiarato alla «Cnn» che il presidente sta «trasformando in un’ arma» la sfiducia nella stampa. E altri parlamentari conservatori avevano appena preso le distanze dagli attacchi di Trump alla giornalista del canale Msnbc, Mika Brzezinski. I repubblicani vorrebbero che il presidente si concentrasse solo sui risultati politici. Un esempio è quello dell’ Onu che si prepara a tagliare 600 milioni di dollari dal budget per le missioni di pace. Una riduzione del 7,2% che ora dovrà essere approvata dall’ Assemblea generale. Un passo nella direzione chiesta dagli Stati Uniti. Ma Trump sembra non averlo neanche notato.
Lavori e contributi discontinui, sei vie per ottenere la pensione
Italia Oggi Sette
PAGINE A CURA DI DANIELE CIRIOLI
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La pensione? Un puzzle di contributi tra Inps e casse di previdenza. In tempi di lavori brevi e discontinui, anche la pensione non è più una e sola (e lo sarà sempre meno), ma la somma di tante quote corrispondenti a tanti spezzoni contributivi pagati in fondi previdenziali diversi. Per comporre il puzzle, i lavoratori hanno a disposizione sei vie, talvolta anche sovrapponibili: dalla tradizionale ricongiunzione (gratuita per i fortunati vecchi lavoratori, oggi a pagamento) fino al recente «cumulo» disciplinato dalla legge Bilancio 2017. Vediamo, dunque, chi, come e quando può ricorrere a una piuttosto che un’ altra via. Dalla ricongiunzione al cumulo 2.0. Quella di poter «sommare» i diversi periodi contributivi, al fine di maturare un’ unica pensione, è un’ esigenza da sempre avvertita dai lavoratori. Infatti, nella vita di ogni lavoratore, pubblico o privato, dipendente, autonomo, professionista, capita di dover cambiare mestiere e funzione e, quindi, di ritrovarsi con diversi periodi assicurativi e contributi versati a diverse gestioni di previdenza (Inps, ex Inpdap, casse professionali). All’ avvicinarsi del momento della pensione si presenta il problema: come verranno calcolati i diversi spezzoni contributivi? Danno diritto tutti e alla stessa misura a una pensione? E, soprattutto: con quali requisiti posso mettermi in pensione? Fino al 1979 (ben 40 anni fa!), salvo qualche eccezione riservata ai dipendenti pubblici (legge n. 322/1958 abrogata da luglio 2010 e vive solo per chi ha cessato il versamento di contributi Inpdap prima del 30 luglio 2010 senza aver maturato la pensione), per tutti gli altri lavoratori era praticamente impossibile «sommare» due periodi di lavoro per i quali si erano versati contributi in diverse gestioni (si contavano circa 40 enti e fondi di previdenza). Perciò, se un lavoratore si trovava ad aver fatto per metà vita lavorativa il commerciante e per l’ altra metà l’ agricoltore correva il rischio di ritrovarsi senza pensione, nonostante avesse pagato contributi per tanti anni. Ciò, evidentemente, comportava irreparabili danni ai lavoratori. Per evitare questo, il legislatore ha iniziato a inventare soluzioni che consentissero di sommare i diversi periodi contributivi tra i diversi enti pensionistici. In origine, e per un certo periodo, c’ è stata solo la «ricongiunzione», talvolta gratuita e in altri casi a pagamento. Esempio: un lavoratore che per un certo periodo pagava i contributi all’ Inps come impiegato, divenuto giornalista era iscritto automaticamente all’ Inpgi. Ebbene, volendo far confluire i contributi Inps all’ Inpgi per avere un’ unica pensione come giornalista, avrebbe dovuto pagare parecchi soldi, perché il trattamento dei giornalisti era più generoso. Lo stesso succedeva nell’ ambito dello stesso Inps, se ad esempio un lavoratore con contributi da autonomo e dipendente aveva intenzione di far confluire i primi contributi tra quelli di lavoro dipendente. Per queste ragioni, addirittura, molto spesso capitava che periodi brevi andavano persi. Adesso le cose stanno molto diversamente: ogni governo, infatti, ci ha voluto mettere del suo e si contano almeno sei diverse vie per maturare il diritto a una pensione quando si sono pagati contributi in varie gestioni (riassunte nelle tabelle in queste pagine). Le tre «ricongiunzioni». La ricongiunzione è disciplinata da due leggi: n. 29/1979 (contributi tra Inps, ex Inpdap, ex Enpals, Inpgi, gestioni speciali Inps per i lavoratori autonomi e i fondi sostitutivi); n. 45/1990 (contributi tra casse professionisti e gestioni, in altro articolo in altra pagina). Attenzione; le discipline operano solo nel sistema retributivo o misto delle pensioni; pertanto, si rivolgono e sono utili solo a chi può far valere almeno un contributo entro il 31 dicembre del 1995. La prima ricongiunzione è quella con cui i contributi si «accentrano» (cioè si spostano) nel fondo pensioni lavoratori dipendenti. Interessa tutti i fondi eccetto la gestione separata. Fino al 30 giugno 2010 era gratuita per i contributi versati nei fondi alternativi (dal 1° luglio 2010 è onerosa). La ricongiunzione dei contributi dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti), invece, è stata da sempre a pagamento.
Incentivi fiscali editoria per investimenti pubblicitari. Inizia il balletto delle date per la decorrenza
E’ stato pubblicato nel supplemento ordinario n. 31 della Gazzetta ufficiale n. 144 del 23 giugno il decreto legge n. 50/2017, convertito dalla legge n. 96/2017, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”.
Tra le norme contenute nel provvedimento, vi è anche il sistema di incentivi fiscali per gli investimenti pubblicitari incrementali realizzati, tra l’altro, sui quotidiani e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali. La norma prevede che, a decorrere dall’anno 2018, alle imprese e ai lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie – tra l’altro – sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, il cui valore superi almeno dell’1 per cento gli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi nell’anno precedente, venga attribuito un contributo, sotto forma di credito di imposta, pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e startup innovative.Tale credito di imposta potrà essere fruito dagli aventi diritto esclusivamente in compensazione.
La norma prevede, inoltre, che con DPCM, entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, siano stabiliti le modalità e i criteri di attuazione delle disposizioni in materia, con particolare riguardo agli investimenti che danno accesso al beneficio, ai casi di esclusione, alle procedure di concessione e di utilizzo del beneficio stesso, alla documentazione richiesta, all’effettuazione dei controlli e alle modalità finalizzate ad assicurare il rispetto del limite di spesa. Sul piano interpretativo, le maggiori associazioni editoria e radio tv ritengono che, affinché venga riconosciuto il credito di imposta a decorrere dal 2018, si debba fare necessariamente riferimento al valore incrementale delle campagne pubblicitarie del 2017 rispetto a quelle del 2016 (una diversa interpretazione rischierebbe di determinare un impatto sulla raccolta pubblicitaria diverso rispetto a quello voluto dalla norma, in quanto gli inserzionisti pubblicitari potrebbero ritardare a commissionare le campagne, in attesa di poter fruire del contributo).
Sarà, comunque il DPCM a stabilire i periodi cui fare riferimento per l’incremento di spesa. Il DPCM dovrà anche stabilire se il raffronto debba essere fatto tra gli investimenti pubblicitari dell’intero anno 2016 e quelli dell’intero anno 2017, ovvero se tale raffronto debba avvenire con riferimento al periodo del 2017 successivo all’entrata in vigore della legge.