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Rassegna Stampa del 14/06/2017

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Indice Articoli

Per Orfeo la prima prova sul palinsesto Rai

Caltagirone editore: quattro cooptati nel cda

Sky-Premium, è testa a testa per i diritti della Champions

Champions, in Germania i diritti a Sky

Brand, valore in cambio di dati

El Mundo, la ricetta di Cairo

Premio Ferrari a Messaggero e Famiglia Cristiana

Chessidice in viale dell’ Editoria

Facebook studia una nuova funzione per permettere agli utenti di sottoscrivere abbonamenti ai siti di news e giornali direttamente tramite la sua app

Rivoluzione Auditel

“Il nostro consumo non era calcolato”

Radio, la sola connessione sopravvissuta al Titanic

Cognetti vince lo Strega Giovani oggi le cinquine

Per Orfeo la prima prova sul palinsesto Rai

Il Manifesto

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Una delle peggiori sconfitte sul campo del condottiero Renzi. La Rai, il cui consiglio di amministrazione si riunisce proprio oggi. Dopo aver fatto fuoco e fiamme, a costo di prendere a calci quarant’ anni di giurisprudenza costituzionale, per piantare la bandiera del governo sul tetto di viale Mazzini, la mente si è offuscata. Avuta la Ferrari, il conduttore è uscito di strada alla prima curva. Dopo essere stato insignito del ruolo di amministratore delegato con pieni poteri, Antonio Campo Dall’ Orto ha avuto la sfiducia. Una batosta cocente per un modo farisaico di intendere il rapporto con l’ azienda, dopo la propaganda manipolatoria sul «fuori i partiti», bugia stratosferica. Ora è il turno di Mario Orfeo, navigato e capace direttore di testate come Il matti no e Il messaggero, nonché del Tg2 e – da ultimo – del Tg1. Auguri di buon lavoro, ovviamente. Non è bello che la nomina sia stata anticipata da un tweet di Gasparri, incontenibile senza neppure la prudenza dell’ età. Tuttavia, un punto va chiarito. Il dibattito e i commenti hanno messo in luce il rischio che un’ informazione già filogovernativa possa diventare un megafono puro e semplice in questa interminabile campagna elettorale. Al riguardo, se non abbiamo perso qualche puntata, va rimarcato il silenzio dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che pure avrebbe il compito di vigilare sullapar condicio sostanziale anche nei periodi più lontani dal voto. Tra l’ altro, siamo in corso di elezioni amministrative, cui tutti assegnano una forte valenza generale ed è legittimo chiedere all’ Agcom come stanno le cose. Insomma, l’ argomento del pluralismo è sacrosanto e chissà che proprio l’ indiziato numero uno non voglia sparigliare e stupire. La speranza è sempre l’ ultima a morire e ci si attacca pure ai sogni. Però c’ è dell’ altro. Le culture liberiste hanno rotto l’ anima sulla specificità dell’ impresa, sul valore dei mercati, sulla «visione del brand». Appunto. Il prossimo 28 giugno dovranno essere presentati i palinsesti, vale a dire il cuore stesso di un broadcaster. Ache punto è il servizio pubblico, la cui fisionomia – al di là delle discussioni ontologiche astratte sempre alla moda, specie per chi vuole ridurre e tagliare – si definisce in base ai programmi? A simile interrogativi è augurabile che risponda l’ Ad, cui la legge ha voluto dare la funzione di «super manager», non di superdirettore delle news. Non solo. Perché si possa riavviare la macchina è indispensabile che si vari, dopo la Convenzione con lo Stato, il Contratto di servizio. Avrà una durata quinquennale e va preceduto dalle «Linee guida» scritte d’ intesa dal Ministero e dall’ Autorità. È pure opportuno ricordare che l’ ultimo testo risale al periodo 2010/2012 e oggi un vero aggiornamento è visibilmente la priorità. Inoltre, vi è la necessità di risolvere la delicata questione del tetto dei compensi per artisti e protagonisti del lo spettacolo. Anche qui, un memento per i liberisti della domenica. Osi introduce una regola generale, o bloccare unilateralmente la Rai significa fare obiettivamente un favore ai concorrenti. Insomma, le spericolate manovre sul servizio pubblico hanno già determinato i presupposti di una crisi profonda e la legislatura potrebbe chiudersi con un altro bel «regalo». È un disastro annunciato, che invita a promuovere una vera resilienza, in attesa di tempi diversi. PS. Il pasticciaccio dei diritti televisivi del calcio imporrebbe un intervento da parte delle autorità competenti. È uno scandalo. E la Rai come intende muoversi?

Caltagirone editore: quattro cooptati nel cda

Il Mattino

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Il cda della Caltagirone Editore ha cooptato quali consiglieri Giancarlo Cremonesi, Francesco Gianni, Massimo Lapucci e Valeria Ninfadoro. I nuovi consiglieri hanno dichiarato di possedere i requisiti di indipendenza ai sensi della norma e di non detenere azioni della società. Il cda si riunirà nuovamente venerdì 16 per procedere alla nomina delle cariche sociali ed al conferimento dei poteri relativi. I quattro nuovi consiglieri succedono al presidente Francesco Gaetano Caltagirone, al vicepresidente Azzurra Caltagirone, ai consiglieri Alessandro Caltagirone e Francesco Caltagirone, tutti dimissionari in ossequio alle norme sul conflitto d’ interessi dopo il lancio dell’ Opa totalitaria sul capitale della Caltagirone Editore da parte della Chiara Finanziaria srl.

Sky-Premium, è testa a testa per i diritti della Champions

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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In attesa di capire chi vincerà la gara per la Champions e l’ Europa League 2018/21 sul fronte italiano, Sky coglie un’ importante vittoria in Germania aggiudicandosi i diritti di trasmissione (e affidando a Perform la piattaforma web). Dalla Uefa non trapela nulla sull’ entità delle offerte giunte dai broadcaster della Penisola. E nessuna indicazione arriva da Team Marketing AG, la società di Lucerna che per conto della Uefa amministra la gara. A quanto risulta al Sole 24 Ore, comunque, né Vivendi, né Discovery – che con la sua Eurosport nelle scorse settimane ha lavorato su un’ ipotesi per l’ Europa League più che per la Champions – avrebbero risposto al “tender”. Altra indicazione emersa dalla giornata di ieri sarebbe quella di una contesa fra Sky e Mediaset. In questo quadro, per i rumors di mercato Sky sarebbe in pole position. A ogni modo le bocche sono cucite. Del resto, a differenza di quelle per i diritti nazionali, a livello europeo la questione è molto più complessa. Nella valutazione del soggetto cui assegnare le licenze non c’ è solo l’ aspetto strettamente monetario, ma entrano in gioco l’ affidabilità e il blasone dell’ emittente e la percentuale di copertura del territorio assicurata. L’ audience raggiungibile non è una variabile minore, perché negli anni scorsi gli sponsor della Uefa hanno lamentato la scarsa visibilità ottenuta in certi Paesi in cui i diritti tv sono stati appannaggio di aziende con una capacità di penetrazione insoddisfacente. Il problema è stato sollevato, ad esempio, in Gran Bretagna nello scorso triennio quando la Champions è finita nelle mani di British Telecom. È il motivo per cui la Uefa chiede che un match del mercoledì sia trasmesso in chiaro (in quest’ ottica si parla da mesi di un possibile accordo fra Sky e Rai). Con la Germania, intanto, diventa più completo il quadro delle assegnazioni Uefa nei principali Paesi. Oltremanica BT lo scorso marzo si è assicurata i diritti in esclusiva di Champions ed Europa League , superando Sky, e sborsando 1,18 miliardi di sterline per il triennio 2018-2021, ovvero 394 milioni all’ anno (+32%).In Francia il gruppo di telecomunicazioni Sfr, tramite la controllante Altice, ha acquisito i diritti esclusivi per circa 350 milioni di euro annui. Si vedrà dunque cosa succederà in Italia, Paese per il quale secondo l’ agenzia Radiocor, non è ancora da dare per sciolto il giallo sulla presenza o meno di una maxi-offerta, intorno ai 260 milioni a stagione, che potrebbe aver sbaragliato la concorrenza. Il tutto mentre non si è spenta l’ eco del flop di sabato scorso dell’ asta per la Serie A. «Abbiamo fatto un errore, il momento non era giusto», ha detto l’ ad del Milan Marco Fassone a Radio 24. La possibilità di un canale della Lega diventa così «reale», ma Fassone rilancia la palla nella metà campo delle pay tv che «fanno fatica» a stare in piedi senza calcio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Champions, in Germania i diritti a Sky

Italia Oggi

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In attesa di lumi dalla Uefa sull’ esito dell’ asta italiana (chiusa il 12 giugno) sui diritti tv della Champions league di calcio 2018-2021, ieri si sono assegnati i diritti tv in Germania e Austria, per i quali l’ asta si era chiusa già lo scorso 3 aprile. Sky si è aggiudicata i diritti su tutte le piattaforme tecnologiche (satellite, cavo, iptv, web e mobile), e ha un accordo con il gruppo inglese Perform (che è proprietario della piattaforma in streaming Dazn) che avrà in sublicenza, ovviamente solo in relazione alla piattaforma web in streaming, le partite del principale torneo europeo per club calcistici. Per la prima volta, in Germania tutte le partite di Champions saranno quindi in modalità pay, e neppure un incontro andrà in chiaro (Zdf, quindi, resta a bocca asciutta). Ci sarà solo l’ obbligo di trasmettere free to air la finale di Champions, se a giocarla sarà una squadra tedesca (in Italia, invece, la finale va trasmessa in chiaro a prescindere, e, se c’ è una squadra italiana, pure la semifinale). © Riproduzione riservata.

Brand, valore in cambio di dati

Italia Oggi
MARCO LIVI
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I big data hanno ormai un valore indiscutibile nella comunicazione, ma da soli non bastano: devono essere tradotti in azioni utili all’ azienda e contemporaneamente non possono essere utilizzati senza limiti. Lo sanno bene le agenzie media che sono passate da acquirenti di spazi nei mezzi tradizionali a società di consulenza anche su questi temi, come ha spiegato il ceo di Mec Italia Luca Vergani ieri ospite a Marketing Media and Money, il programma di Class Cnbc (Sky 507) condotto da Silvia Sgaravatti e realizzato in collaborazione con MarketingOggi in onda il martedì alle 21 e in replica il mercoledì alle 23,30. «I dati sono semplicemente dati, e sono tanti», ha detto Vergani, «per questo necessitano di professionalità che li analizzino ed estraggano insight da tradurre in azioni. Ormai la sfida non è avere a disposizione tanti dati: tutti noi siamo tracciati ogni giorno. Chiunque scarichi un’ app, abbia accesso alle mappe, si iscriva a un social network, dà un’ autorizzazione, spesso nemmeno leggendo cosa sta autorizzando, per il proprio tracciamento. Mettere insieme, analizzare e trovare insight per sviluppare strategie rilevanti per il singolo individuo è il vero lavoro, grazie al quale potenzialmente si vende di più rispetto al passato». C’ è un motivo per cui i consumatori acconsentono alla raccolta dei propri dati e al tracciamento del proprio comportamento soprattutto online: lo scambio di valore. «Se voglio leggere un determinato contenuto do l’ ok al tracciamento, se voglio usare le mappe lo stesso», continua Vergani. «Se c’ è un valore atteso o percepito come consumatore che mi porta a dare il consenso bene, se non ho questo valore niente. Perciò costruire un database è facile, finché l’ azienda rende disponibile valore da offrire al consumatore». La sfida, semmai, «è non esagerare, non fare spamming di e-mail, non esagerare con formati eccessivamente invasivi per quello che riguarda il digital. Se i formati sono coerenti con la mia navigazione, coerenti con il mio profilo, con i miei interessi, non ci sono problemi». Ovvio che anche con i big data i risultati non possano essere garantiti al 100%. «La sfera di cristallo rispetto all’ output finale non c’ è. Quello che sta accadendo è che riusciamo ad avere capacità predittiva rispetto al risultato atteso. L’ intelligenza predittiva guarda al passato e riporta quanto accaduto sul futuro. Analizzare una grande quantità di dati permette di prendere in considerazione maggiori variabili e avere una maggiore probabilità del risultato». La sfida per un’ agenzia media è continua: da un lato ci sono grandi potenzialità, dall’ altro servono professionalità diverse rispetto al passato. «Il nostro ruolo è mettere in contatto le aziende con i consumatori. Sui mezzi dobbiamo essere equidistanti, sono strumenti di comunicazione», chiarisce Vergani. «Strumenti non mezzi, una parola che mi fa tornare in mente il vecchio centro media: compro degli spazi dove metto la pubblicità tabellare precostituita e via. Oggi la presenza sui social, le attività di gestione del contenuto che facciamo anche con le aziende, portano nuove sfide sul mercato. Il nostro ruolo è sempre in evoluzione: il ruolo dell’ agenzia media si basava sulla capacità di acquisizione delle informazioni e di pressione sulle concessionarie per poter dare ai clienti la migliore campagna al miglior prezzo. In questo momento stiamo evolvendo in logica consulenziale, per identificare a livello di marketing quali siano le migliori leve da attivare per ottenere risultati in termini di vendita, non solo di comunicazione e sfruttare le capacità tecnologiche per raggiungere questi obiettivi». A Marketing Media and Money anche Lorenzo Marini, il creativo ospite fisso della trasmissione, che ieri nella rubrica «Spot contro Spot» ha mostrato come cambino i codici di comunicazione dei prodotti. Per esempio quello dei telefonini, con le pubblicità di Huawei e Apple: in entrambi i casi si mette in evidenza come lo smartphone non serva più soltanto per telefonare, anzi, che una delle caratteristiche più utilizzate è la possibilità di fare foto, soprattutto oggi in tempi di social. © Riproduzione riservata.

El Mundo, la ricetta di Cairo

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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Urbano Cairo, che governa Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, sta preparando i palinsesti di La7 (presentazione probabile il prossimo 12 luglio a Milano), guida il suo gruppo Cairo communication, è impegnato nel calciomercato del Torino, e, in tema di diritti tv, è ormai diventato uno dei portavoce più autorevoli dei club di Serie A e della Lega Serie A, affiancando addirittura l’ amministratore delegato di Infront, Luigi De Siervo, nel corso delle interviste, è pure molto occupato sul fronte spagnolo di Unidad editorial (controllata da Rcs). Da un paio di settimane ha cambiato il direttore del quotidiano El Mundo, sostituendo Pedro Cuartango con Francisco Rosell. E sta lavorando per migliorare editorialmente il prodotto e riportarlo a una marginalità più interessante. La sue ricette? Beh, parlando pubblicamente di fronte ai dipendenti del Mundo, Cairo non ha nascosto come «sia necessario dare più spazio alle notizie e meno spazio alle opinioni». Infatti, secondo Cairo, un quotidiano generalista come El Mundo, che negli ultimi anni ha perso molte copie, non può iniziare con le prime cinque pagine tutte dedicate ad articoli di opinionisti, «che certamente sono interessanti, ma, ripeto, non mi pare il modo migliore per aprire un giornale». Perciò, più attenzione alle notizie, e uno spazio più interno, e magari ridotto, agli opinionisti, che, in genere, sono poi anche le firme che gravano di più sul conto economico di un quotidiano. Una seconda ricetta che Cairo sta studiando è lo sviluppo di una parte di contenuti premium a pagamento, di qualità e molto profilati per differenti pubblici, per rendere più profittevole anche la edizione digitale del Mundo. Una modalità, quella dei contenuti pay, che tuttavia in Spagna non ha ancora trovato un suo modello, e che, ogni volta che è stata adottata da diversi editori, si è alla fine dimostrata un fallimento. Esclusa, comunque, l’ ipotesi di utilizzare al Mundo un modello di pagamento oltre un certo numero di articoli letti sul web, simile a quello del Corriere della Sera, e che, a livello internazionale per molti quotidiani, ha dato risultati contrastanti. Insomma, Cairo cerca da un lato una riduzione dei costi (e ha dato ordine a tutte le società di Unidad Editorial di non sostituire i posti vacanti nonché sta provando a ridurre gli spazi occupati nella sede di Avenida de San Luis 25 a Madrid. L’ edificio è di proprietà di Iba Capital, e l’ obiettivo di Cairo è di diminuire di un terzo la metratura affittata, ora pari a 16.889 metri quadri complessivi), dall’ altro uno sviluppo del business, provando a mettere in discussione la gratuità delle news di qualità sul web, una consuetudine che è poi stata la causa principale della grande crisi della carta stampata mondiale negli ultimi 15 anni. © Riproduzione riservata.

Premio Ferrari a Messaggero e Famiglia Cristiana

Italia Oggi
PAOLO JOVINE
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«Cuba libre» apparso sulla prima pagina del Messaggero, il 27 novembre 2016, all’ indomani della morte di Fidel Castro è il «Titolo dell’ Anno» del 2016. Mentre Famiglia Cristiana con «Bambini perduti» si è aggiudicata la «Copertina dell’ Anno» per il 2016. «Titolo e Copertina dell’ Anno» sono i due premi giornalistici che, nati da un’ idea di Guido Vigna e giunti alla decima edizione, sono firmati dalle Cantine Ferrari: a entrambi i vincitori vanno, appunto, 1.000 bottiglie di Ferrari Brut Trentodoc. A decidere la vittoria di Messaggero, che l’ ha spuntata su Avvenire, Giornale, Piccolo e Tempo, e Famiglia Cristiana, che ha battuto Panorama (arrivato in finale con due copertine), Internazionale e Venerdì, la giuria presieduta da Camilla Lunelli. È la prima volta che Messaggero e Famiglia Cristiana conquistano il premio Ferrari. Il quotidiano romano ha vinto con una motivazione nella quale si rileva che «dei tanti titoli dilagati sulle prime pagine dei quotidiani per la morte di Fidel Ruiz Castro, questo è senz’ altro il più ammiccante, il più effervescente». La copertina di Famiglia Cristiana è stata invece premiata perché «dice, in modo esemplare ed essenziale, di un dramma che in Italia è quotidiano, il dramma di migliaia e migliaia di piccoli migranti che troppo spesso arrivano nel nostro paese e poi scompaiono nel nulla». Al Wall Street Journal Magazine è andato il premio internazionale Ferrari per l’ Articolo dell’ Anno 2016 che vale anch’ esso 1.000 bottiglie di Ferrari Brut.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sergio Rizzo vicedirettore di Repubblica. Sergio Rizzo, firma di punta del Corriere della Sera e attualmente a capo della cronaca romana del quotidiano guidato da Luciano Fontana, trasloca a Repubblica con la qualifica di vicedirettore. Fortemente voluto dal direttore Mario Calabresi, Rizzo apporterà alla testata le sue capacità di denuncia e inchiesta sui malaffari italiani. Sole 24Ore, Benetton non sottoscriverà l’ aumento. La famiglia Benetton, titolare di una quota di circa il 2% del Sole 24 Ore, non parteciperà al rafforzamento patrimoniale da 50 milioni di euro previsto per il gruppo di Viale Monterosa, operazione nella quale il socio di controllo, Confindustria, inietterà 30 milioni. È quanto ha dichiarato ieri mattina Gilberto Benetton, a margine di un evento all’ università Bocconi di Milano. Nuovo cda per Caltagirone Editore. Il consiglio di amministrazione della Caltagirone Editore ha nominato ieri per cooptazione Giancarlo Cremonesi, Francesco Gianni, Massimo Lapucci e Valeria Ninfadoro come consiglieri. Il board si riunirà nuovamente venerdì prossimo per procedere alla nomina delle cariche sociali e al conferimento dei relativi poteri. Le nomine arrivano dopo le dimissioni del precedente cda a seguito dell’ avvio delle procedure per il delisting della società dalla Borsa. Agenzie di stampa, salta il giudizio del Tar sulla sospensiva della gara. Non c’ è stato nessun decreto sospensivo ieri dal Tar del Lazio sul nuovo ricorso contro la gara europea sui servizi delle agenzie di stampa nazionali, che era stato presentato dall’ agenzia Adn Kronos. Il giudizio cautelare che era stato calendarizzato ieri in camera di consiglio è stato infatti «cancellato dal ruolo». Si tratta del secondo ricorso contro il bando di gara per lotti indetto dal governo sui servizi delle agenzie, dopo quello presentato dall’ editore dell’ agenzia Il Velino, la cui contestuale richiesta di sospensiva è stata finora respinta dal Tar e, per ora solo in sede monocratica, in appello dal consiglio di stato. La camera di consiglio sull’ appello del Velino alla richiesta di sospensiva sulla gara si svolgerà domani. Lo shopping che verrà con Corriere Innovazione. Il futuro dello shopping online, la rivoluzione nel metodo dei pagamenti e le conseguenze nel panorama italiano sono i temi al centro del numero di Corriere Innovazione in edicola domani con il Corriere della Sera.

Facebook studia una nuova funzione per permettere agli utenti di sottoscrivere abbonamenti ai siti di news e giornali direttamente tramite la sua app

Prima Comunicazione

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Facebook sta sviluppando una nuova funzione che consentirà agli utenti di abbonarsi ai contributi editoriali direttamente attraverso la sua app. La funzione, a lungo richiesta dagli editori, secondo quanto segnala il Wall Street Journal , sarà presentata entro la fine del 2017. Molti dettagli rimangono ancora incerti, ma probabilmente il nuovo servizio sarà reso disponibile solamente per le storie pubblicate originariamente su Facebook tramite gli Instant Articles. Il confronto si è anche concentrato su come strutturare la funzionalità, con il social che spinge per l’ adozione di un metered paywall, con un modello che consenta agli utenti di leggere gratuitamente un numero prestabilito di articoli ogni mese, prima di chiedere loro di pagare il servizio. Altro punto in discussione sono le modalità di pagamento. Un modello preso in considerazione prevede che Facebook conservi le informazioni mentre gli editori riceveranno quanto pagato. Mark Zuckerberg (Foto: Olycom) “Stiamo lavorando con i nostri partner per comprendere il loro business ed esplorare nuovi modi per aiutarli a trarre maggior valore da Facebook”, ha spiegato in una nota la compagnia, “Stiamo prendendo tempo per capire al meglio i loro diversi obiettivi e bisogni”. La nuova funzionalità rappresenterebbe un vero e proprio vantaggio per gli editori che stanno puntando sempre più sugli abbonamenti digitali per spingere la crescita dei ricavi, inclusi lo stesso WSJ, il New York Times, il Washington Post e il Financial Times. Da tempo comunque gli editori mostrano il loro disappunto verso il ruolo che ricopre Facebook nella diffusione delle notizie e nel mercato della pubblicità digitale. Il predominio nella pubblicità online di Google e Facebook – che secondo le stime di eMarketer raccoglieranno da soli il 60% degli investimenti per l’ adv digitale – è una delle ragioni per cui molti quotidiani ora considerano la crescita degli abbonamenti un elemento primario. “Aiutare gli editori a ricevere pagamenti per i loro contenuti digitali è il contributo più importante che Facebook possa fornire al giornalismo globale,” ha commentato Jim Friedlich, chief executive di Empirical Media. “Se Facebook creerà una piattaforma di successo per la vendita di abbonamenti su larga scala, rappresenterà un elemento rivoluzionario per il mondo dell’ informazione”, ha spiegato, sottolineando l’ importanza della novità soprattutto per i giornali locali, che hanno incontrato maggiori difficoltà rispetto a quelli nazionali nel costruire ricavi al di là della carta stampata.

Rivoluzione Auditel

La Repubblica
SILVIA FUMAROLA
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ROMA PER STARE al passo coi tempi, per capire davvero come e cosa scelgono gli italiani davanti alla tv, l’ Auditel triplica il campione. La società che fotografa il nostro consumo di tv annuncia la rivoluzione, la “svolta epocale”: parte il superpanel, il campione viene triplicato, da 5.700 a 16.100 famiglie (circa 41.000 individui). La pubblicazione dei nuovi dati è prevista dal 30 luglio. L’ obiettivo finale – ci vorrà un anno – è la rilevazione dei dati su tutti i device digitali, dall’ iPad ai cellulari. Il binge watching, l’ abbuffata di serie tv, la visione in streaming come e quando si vuole: le abitudini sono cambiate. I servizi on demand e in streaming, complici Sky, Netflix e Amazon, cancellano – a parte rari casi – l’ appuntamento tradizionale. Alle 5.700 famiglie dotate del vecchio sistema, il people meter, se ne affiancano altre 10.400, munite di set meter, «che funziona allo stesso modo», spiega Raffaele Pastore, coordinatore del comitato tecnico di Auditel, «ma non richiede “collaborazione” da parte delle famiglie: è in grado cioè in modo più automatico, grazie a un algoritmo che tiene conto delle abitudini di ascolto e delle caratteristiche socio-demografiche del panel, di rilevare i consumi individuali. Questo ci consentirà di installare presto nuovi sistemi, i cosiddetti router meter, in grado di misurare anche i device mobili: ci vorrà ancora un anno di lavoro. Avremo i primi dati test entro luglio 2018: da lì si potrà mettere a punto una road map precisa». Tv senza confini. Se prima il telecomando si fermava al tasto 7, oggi c’ è un mondo da esplorare e “le piccole” erodono punti di share alle tv generaliste, Rai1 e Canale 5. Ormai ognuno si fa il proprio palinsesto e gli equilibri cambiano. Dal 1986 l’ Auditel fa discutere: nemico della qualità, spauracchio o bussola? Discovery Italia chiude il mese di maggio con un 6,8% share per l’ intero portfolio con una crescita del +6% rispetto a maggio 2016. Record per Nove che in prima serata – grazie a Crozza e allo chef Cannavacciuolo – tocca quota 1,8% share, ottava posizione fra i canali nazionali. E se nell’ access time la sfida era tra Rai1 e Canale 5, oggi l’ offerta si moltiplica. Il nuovo super Auditel mette d’ accordo tutti. «È importante che il campione sia allargato, con 41mila individui è uno dei più ampi al mondo», dice Laura Carafoli, responsabile contenuti di Discovery sud Europa, «ci aiuta a capire meglio e sempre più com’ è diviso l’ ascolto non solo per il commerciale ma anche per capire i gusti. Sono curiosa di vedere cosa uscirà fuori il primo agosto, mi auguro di avere belle sorprese. Il passo successivo, monitorare i nuovi device, vuol dire guardare al futuro, andare oltre la visione della tv lineare. Monitorare pc, smartphone e tablet significa essere al passo coi tempi. I miei nipoti tengono la tv accesa solo per i grandi eventi live». Che la rivoluzione dell’ Auditel coincida con una rivoluzione del costume è un dato di fatto. L'”appuntamento televisivo” per i millennials è un oggetto sconosciuto. «Premetto che faccio parte del cda di Auditel», commenta Andrea Scrosati, executive vice president programming di Sky Italia, «ma penso da tempo che l’ aumento del campione sia fondamentale per capire il target dei canali tematici più parcellizzati. Oggi la visione sul televisore è solo una parte: le persone vedono i contenuti dove vogliono. Il più grande valore che abbiamo è il tempo, l’ idea di fermarsi davanti alla tv resiste per pochi appuntamenti: alcune partite, il Festival di Sanremo, la finale di X Factor o di Amici, ma il vero consumo avviene sul tuo iPad, il computer e il cellulare». «Non avere i numeri di questa fruizione», continua Scrosati, «vuol dire non avere i dati del consumo culturale. Quando il percorso sarà completato la rilevazione darà una descrizione completa e più attinente alla realtà rispetto a quella che si ha con i dati classici. Finora è come se avessimo analizzato il consumo televisivo con una benda sull’ occhio. Esempio banale In treatment: abbiamo messo tutte e 35 le puntate sull’ on demand e la serie ha superato un milione e 800mila download. L’ ascolto lineare è 60mila». «Credo che il rinnovamento dell’ Auditel», osserva il direttore di Rai1 Andrea Fabiano, «sia un passaggio necessario: c’ è bisogno di avere una maggiore affidabilità del sistema e una maggiore capacità di monitorare i fenomeni più piccoli e circoscritti: da anni la visione non è vincolata allo schermo, per noi che stiamo puntando alla trasformazione di Rai in media company è un passaggio utile. L’ Auditel è fondamentale per il servizio pubblico, è un termometro che misura la reazione del paese: è ovvio che non può essere l’ ascolto in sé l’ unico obiettivo ma è fondamentale quando si ha bisogno di capire il riscontro. Tutto sta a come lo utilizzi». «Che “le piccole” abbiano cambiato il panorama era prevedibile », aggiunge Fabiano, «la società sta cambiando ed è sempre più variegata. Rai1 rispetto alle altre reti ha una sua forza di unire il paese, non parliamo più di numeri come quelli di quindici anni fa, ma penso a Sanremo o ai record di Montalbano e Don Matteo: dimostrano che il pubblico c’ è». «Le finalità fondamentali dell’ allargamento», spiega Federico Di Chio, direttore marketing di Mediaset, «è quella di avere una base campionaria più ampia: è una fotografia più fedele di fenomeni che nella loro dimensione macro erano già registrati, ma per i fenomeni più piccoli c’ era una maggior approssimazione, ad esempio l’ ascolto non lineare o gli ascolti sulle reti tematiche. Poi c’ è una parte di consumo che transita fuori dal televisore che passa sui telefoni e sul tablet e non viene intercettato da Auditel». «Analizzare l’ ascolto sui device», continua Di Chio, «è complicato sotto il periodo tecnico e statistico. Stanno cercando di farlo tutti i paesi del mondo, noi con questo super panel stiamo provando una forma di rilevazione che può essere preziosa. Il super panel è come una fotografia a più alta definizione: l’ oggetto non cambia ma puoi osservarlo nei minimi dettagli. È una rivoluzione? Sì, è un campione ampio e giovane che non ha nessuno nel mondo: l’ innovazione del metodo di ricerca è fondamentale, se i dati vengono rappresentati meglio è un vantaggio per tutti ». ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Il nostro consumo non era calcolato”

La Repubblica

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L’ INTERVISTA/LA FAMIGLIA “CAMPIONE” ROMA. Il signor Valerio, il nome è d’ invenzione, fa parte del campione di “famiglie dell’ Auditel”. Sposato con due figli, non ha dubbi: «Quando vedi le serie on demand Netflix, l’ ascolto non viene registrato, e neanche quello di Infinity. Il panel era troppo ristretto: poco più di 5mila persone era un campione piccolo rispetto a una popolazione di 60 milioni». Come misurano quello che vede? «Dall’ audio, non dal video, applicano un apparecchietto con l’ audio del televisore, in casa c’ è un cassetto dove vengono incamerate le informazioni e durante la notte il rilevatore spedisce i dati». E se si addormenta davanti alla tv accesa? «Registra. Tutto è misurato attraverso l’ audio. Quello che passa su internet non lo registrano, se vedo Netflix è fuori dal campione. Sky sì, lo registra, ma l’ on demand no. Io il 90 per cento dell’ offerta, tranne i tg, la vedo on demand. Quando mi hanno installato l’ impianto l’ ho detto: guardo i programmi on demand». Quindi questo passo avanti andava fatto. «Certo. La tecnologia va migliorata. Più è grande il campione, più esempi e tipi di famiglie si registrano, più i dati sono interessanti». Sente la responsabilità? «Mi ero posto il problema di essere monitorato, temevo di essere schedato come “consumatore”. Ma non è cambiato nulla, far parte del campione non influenza i miei gusti e il mio rapporto con la tv non è cambiato». Il nuovo Auditel guarderà oltre il televisore. «Oggi lo spettatore che guarda la tv è un segmento grande ma non così grande… I giovani non lo scelgono come mezzo, preferiscono il pc. E tanti spettacoli non passano per la tv ma per internet e questi non li intercetta nessuno». I dati sui device cosa racconteranno? «I gusti degli italiani. I giovani dai 13 ai 24 anni sono una fetta interessante. Il televisore è un mezzo che si rivolge a un pubblico vecchio stanziale ». ( s. f.) ©RIPRODUZIONE RISERVATA Io vedo quasi tutto on demand e finora le mie scelte non sono state registrate dal sistema.

Radio, la sola connessione sopravvissuta al Titanic

Il Fatto Quotidiano
Massimo Cirri
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È come se non riuscisse a stare mai ferma, la radio. La sua storia dice di un continuo movimento. Nasce sulle navi, primi anni del ‘900, quando al capitano, agli ufficiali ed al nostromo si aggiunge il marconista. Ha un tasto che ticchetta – linee, punti, linee – ed una cuffia in testa per ricevere altre linee e punti. E così anche in mezzo al mare, quando la linea dell’ orizzonte si perde, non siamo più soli perché possiamo comunicare. Continua a farlo ancora adesso, questo, la radio: non far sentire troppo sole le persone. Perché tiene aperto un filo di comunicazione con gli altri: che tu sia nell’ Atlantico del Nord o bloccato dal traffico, in ritardo, sulla tangenziale di Ancona, per non sentirti fuori dal mondo accendi la radio. Quando sul mare c’ è il più grande disastro dell’ umanità moderna, il Titanic, c’ è anche un ebreo bielorusso di ventun anni, di nome fa David Sarnoff ma lo chiameranno “il ragazzo cresciuto con la radio”. È a New York, fa il marconista in una stazione che sta in un grande magazzino sulla Quarta Avenue e sente i suoi colleghi marconisti che ticchettano i nomi dei miliardari morti sul Titanic. E di quelli ancora vivi. Quelli che su un’ altra nave – anche lì c’ è un marconista – adesso stanno tornando a New York ma arriveranno tra giorni e giorni. E adesso lui ha i nomi: dei sommersi e dei salvati. Li sente in cuffia – linee, punti, linee – li trascrive su un pezzo di carta e quel pezzo di carta lo vogliono tutti: i figli dei miliardari, i giornali, tutti. Così David Sarnoff pensa che potere immenso ha questa radio e che domani si potrebbe anche fare a meno dei giornali e darle noi, alla radio, le notizie. Se nelle case ce ne fosse una per riceverle. Pensa ad una “music box” e lo prendono per matto. Poi manda in onda un incontro di boxe, Dempsey-Carpentier per il titolo mondiale dei pesi massimi e li convince. È il 2 luglio 1921, sabato pomeriggio. Lo ascoltano in 62 città degli Usa: in teatri, sale da concerto, auditorium. Sono trecentomila e dopo un’ altra birra, tornano a casa pensano: voglio anch’ io una radio. Sarnoff gliela vende e per molti anni la radio sarà al centro del salotto buono delle famiglie di tutto il mondo. E tutti lì intorno in religioso silenzio a guardare la radio, tutti insieme. Poi arriva la televisione e il salotto buono se lo prende lei. La radio non se ne preoccupa: si sposta. Diventa più leggera, va in cucina, in bagno, nella camera dei ragazzi. Cambia anche il modo di ascoltarla: la radio si avvicina di più alla vita delle persone quando anche le persone comuni, gli ascoltatori, iniziamo a parlare alla radio. Succede con un dettaglio, siamo nell’ euforia degli anni ’60, con le radio statunitensi e da noi con Radio Luxembourg e Radio Montecarlo. Si chiama “dedica”: “Questo brano è per Alessandra da Giorgio”. Due parole e poi parte la musica, è un attimo ma segna un’ epoca. La separazione tra chi parla e chi ascolta non è più la stessa. Poi qualcuno di quelli che parlano alla radio, ma lì si chiamano speaker o deejay, smette di leggere la dedica e ce la fa sentire, la voce di Giorgio, che dice che questo brano, Applausi dei Camaleonti, è per te Alessandra, perché ti conosco da ieri sera ma ti amo da sempre. Così si sentono accenti, intonazioni, frivolezze. Si sporca la dizione perfetta, cambiano le voci, si allenta una distanza. La radio e noi che l’ ascoltiamo siamo un po’ più vicini. Poi esplode tutto in migliaia di radio. Sono gli anni 70 e Umberto Eco, che di comunicazione ne sa abbastanza, si accorge che “le radio indipendenti hanno realizzato la nuova figura del corrispondente a gettone. È un ragazzo qualsiasi, magari informalmente legato alla radio, che entra in una tabaccheria, acquista dieci gettoni e informa in diretta la radio di quello che sta vedendo. È una rivoluzione nella tecnica del giornalismo: abbiamo un giornalismo dell’ istantaneo”. Adesso, come oggetto, la radio quasi non c’ è più. È dentro il computer, nel cruscotto dell’ auto oppure viene fuori dallo smartphone: immateriale, eterea, un’ icona. Ce la portiamo addosso e l’ ascoltiamo in 35 milioni, ogni giorno. Alla radio c’ è di tutto – informazione, musica, sport – e anche, molto spesso, una grande leggerezza ed un nulla di contenuti. Anna Manzato, sociologa della comunicazione, dice che la radio, da sempre, “racconta la nazione a se stessa” e la nazione questo è. La radio resta quella che riempie il bisogno di essere in connessione, un alone di contatto, sempre, l’ alternativa tra sentire le voci e il silenzio. È la sua magia.

Cognetti vince lo Strega Giovani oggi le cinquine

Il Messaggero

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EDITORIA È Paolo Cognetti con Le otto montagne (Einaudi) il vincitore della quarta edizione del Premio Strega Giovani. Con 58 preferenze su 374, è stato il libro più votato da una giuria di ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di 50 licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’ estero (Berlino, Bucarest, Parigi, Bruxelles). Il vincitore è stato proclamato ieri a Palazzo Montecitorio. Alla cerimonia ha partecipato la presidente della Camera, Laura Boldrini. Al secondo posto Le cento vite di Nemesio (e/o) di Marco Rossari, 39 preferenze, e al terzo Le notti blu (Perrone) di Chiara Marchelli, con 37 preferenze che ricevono, come Cognetti, un voto valido per la designazione dei finalisti all’ edizione 2017 del Premio Strega. Presentato da Cristina Comencini e Benedetta Tobagi, Le otto montagne, molto amato dai lettori italiani e stranieri, racconta «l’ iniziazione alla vita di due giovani uomini alle prese con temi eterni – l’ essenza dell’ amicizia, il confronto col padre, la conquista della propria identità e la difficoltà a esservi fedeli», come spiegano le due presentatrici. «Mi sento grato per tutto che è successo e mi sento fortunato di aver ricevuto questo premio», ha dichiaro il vincitore Paolo Cognetti. Tra i giurati, il vincitore della migliore motivazione di voto ai libri in gara è quella di Francesco Maglioni del Liceo scientifico Pacinotti di Cagliari. La sua motivazione di voto va al libro di Paolo Cognetti: a lui viene assegnato il Premio Bper Banca della somma di 1.000 euro. Oggi, alla Fondazione Bellonci l’ annuncio della cinquina finalista al Premio Strega 2017. Il 6 luglio la proclamazione del vincitore al Ninfeo di Villa Giulia.


Diritti tv calcio. Sky si aggiudica la Champions per il triennio 2018/2021

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Secondo quanto risulta a Radiocor, l’Uefa ha preferito l’offerta dell’operatore satellitare rispetto a quella presentata daMediaset e le parti stanno lavorando alla definizione del contratto. Sky, che avrebbe messo sul piatto più di 200 milioni di euro a stagione, tornerà dunque a trasmettere sulla sua piattaforma le partite del principale torneo per club europeo a partire dalla stagione 2018 (con la nuova formula delle 4 squadre italiane partecipanti) e per il successivo triennio. La prossima edizione della Champions sarà ancora trasmessa da Premium. Se la presenza di Sky come grande favorita nella gara per le licenze della Champions League era data per scontata alla vigilia, la decisione di Mediaset Premium di formulare una offerta competitiva aveva rappresentato una sorpresa visto che i vertici di Cologno Monzese nei mesi scorsi avevano annunciato un approccio di più basso profilo sui diritti del calcio in Europa rispetto a quanto avvenuto in passato. Mediaset ha trasmesso la Champions League sia in pay-tv sia in chiaro nelle ultime due stagioni e detiene anche le licenze per il torneo 2017-18 dopo essersi aggiudicata l’ultima asta Uefa con un esborso di 220 milioni di euro l’anno.

Rassegna Stampa del 15/06/2017

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Indice Articoli

La Rai sfida la legge: via il tetto a tutte le star

Rai, tetto ai compensi: sì alle deroghe per i big

Rai, ok al piano per i compensi

Rai, tagli almeno del 10% agli stipendi degli artisti Nomine al via, Fazio su Rai1

Cda Rai, ok al piano compensi Riduzione generale del 10% e per le star tetto «flessibile»

«Abbiamo bisogno di un grande servizio pubblico. La Rai deve darsi una scossa»

Champions, dal 2018 la palla torna a Sky

Champions dal 2018 su Sky

Champions ed Europa league a Sky

Il gruppo Sky conquista i diritti della Champions e dell’ Europa League

Diritti tv, Sky si prende la Champions con le quattro italiane

Prende quota la visione differita su tablet e web

Una stagione in crescita per i «nuovi» canali tv

Chessidice in viale dell’ Editoria

Lucca, da oggi al via il Forum europeo digitale

La7, DiMartedì chiude la stagione con 32 vittorie

Tivùsat supera quota tre milioni di smart card attive

La Rai sfida la legge: via il tetto a tutte le star

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Sarà il nuovo direttore generale, Mario Orfeo, a decidere sui tetti dei compensi alle star, valutando caso per caso. Questa la soluzione trovata dalla Rai per aggirare la legge dell’ ottobre 2016 che stabilisce il tetto agli stipendi per i dipendenti e dei dirigenti di Viale Mazzini. Ieri, con l’ esordio in Cda del nuovo dg che ha sostituito Antonio Campo Dall’ Orto, sono arrivate le deroghe, una sorta di norma salva-Vespa, giusto per citare il giornalista che più si era scagliato contro i tetti. Nel frattempo già oggi dovrebbero essere colmate le caselle rimaste vuote a Saxa Rubra, con la nomina di Andrea Montanari alla direzione del Tg1 e di Gerardo Greco a quella di Radio Rai (al posto di Montanari). Il limite ai compensi riguardava dirigenti e giornalisti, ne sono fuori gli artisti, ma il problema si poneva per tutti quei programmi al confine tra informazione e intrattenimento. La decisione di ieri, messa a punto dal Cda e approvata da Orfeo, prevede che la decisione spetti al dg, che valuterà caso per caso, ma ha il sapore di un ‘tana libera tutti’. “Possono considerarsi di natura artistica le prestazioni in grado di offrire intrattenimento generalista oppure di creare valore editoriale in termini di elaborazione del racconto nelle sue diverse declinazioni”, si legge nella nota della Rai. Secondo Viale Mazzini, “il piano nasce dalla necessità di tutelare il futuro aziendale” e “per ogni deroga al tetto dovrà essere fornita adeguata motivazione”. Insomma, a decidere sarà Orfeo, in accordo con la presidente Monica Maggioni. E le deroghe non saranno concesse solo a trasmissioni di intrattenimento, ma a tutte quelle in grado di creare “valore aggiunto”. Perché “la tutela del futuro del servizio pubblico passa anche dalla possibilità di continuare ad avvalersi di grandi professionalità”. Insomma, dentro ci può stare tutto, da Porta a porta a Domenica in fino a Ulisse. L’ unico pegno che le star dovranno pagare sarà il taglio dello stipendio del 10%, “con un aumento progressivo col salire degli importi”. “Ma si potrà arrivare al massimo al 15%”, fa sapere una fonte della tv di Stato. “Grande soddisfazione per la soluzione trovata al tetto ai compensi” viene espressa da Orfeo, “perché da una parte si consente di mantenere il grande valore dei professionisti Rai e, al contempo, di andare incontro alle indicazioni del governo sul contenimento dei costi delle prestazioni artistiche”. Il dg al suo primo consiglio è sembrato tranquillo, perfettamente a suo agio nei suoi nuovi panni. “Sembrava di stare a una riunione di redazione”, racconta un presente. Le critiche, però, non sono mancate. “In questo modo si agisce contra legem. I membri del Cda si assumono una grave responsabilità correndo il rischio di incorrere in denunce della Corte dei conti per danno erariale”, afferma il forzista Renato Brunetta. “Ora 41 persone festeggeranno, si tratta di quei conduttori, giornalisti e collaboratori della Rai il cui compenso supera i 240 mila euro”, osserva il dem Michele Anzaldi, che su Facebook posta la lista dei 41, a suo tempo pubblicata sul Fatto quotidiano. “Le notizie dalla Rai sono desolanti, sembra proprio che Orfeo si prepari alla deroga per il suo amico Bruno Vespa”, si legge in una nota dei 5 Stelle. Soddisfatti, invece, i consiglieri, veri ispiratori della soluzione. Palinsesti salvi, dunque? Fabio Fazio, Alberto Angela e Massimo Giletti – i campioni dati con un piede in uscita – ora resteranno? Si vedrà. “Sui palinsesti mi aspetto un bel dibattito che porti a qualche chicca inedita, con serate speciali condotte da Fazio e Angela. E anche M di Michele Santoro potrebbe essere una bella sorpresa”, osserva Carlo Freccero. E ieri, proprio durante la presentazione di M, il nuovo format in onda su Rai2 con due puntate a giugno, anche Santoro ha detto la sua sui tetti. “Sono d’ accordo con Vespa”, ha spiegato in conferenza stampa, “le distinzioni tra artisti e giornalisti sono ridicole. Il vero problema non sono i compensi delle star, ma il costo industriale dei programmi e lo strapotere dei produttori esterni”.

Rai, tetto ai compensi: sì alle deroghe per i big

Il Mattino
Stefania Piras
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Roma. Comincia l’ era Mario Orfeo in Rai, ieri c’ è stato il primo Consiglio di amministrazione che ha prodotto subito un voto favorevole e all’ unanimità sulla questione del tetto agli stipendi. Una soluzione di sintesi, la chiamano a viale Mazzini, per far capire che c’ è stato pieno accordo sulle indicazioni del Cda. E quindi, chi sarà pagato quanto? I parametri «quanto più possibili oggettivi» sono stati costruiti «a partire dall’ applicazione puntuale della legge» e quindi recependo le indicazioni contenute nel parere dell’ Avvocatura dello Stato (arrivato il 20 aprile) e fornite dal ministero per lo sviluppo economico. E quindi sono criteri tagliati in punta di norma e su cui l’ ultimo cda di Campo Dall’ Orto – va detto – anche dopo le dimissioni inevitabili dopo la sfiducia al piano news, aveva speso ore e ore. Poi si sottolinea che «il Piano nasce dalla necessità di tutelare il futuro aziendale». E quindi un artista va pagato il giusto se lo si vuole trattenere in azienda. Infine, e qui c’ è la soluzione di compromesso volta a evitare quelli che più di un consiglieri definiva «milioni facili» ai compensi, si applicherà la deroga del tetto di 240 mila euro e si applicherà un taglio del 10 per cento progressivo ai contratti da rinnovare. Ovvero ai compensi più alti si potrà tagliare anche più del dieci. Ai compensi di chi? Agli storici che hanno stipendi milionari. Esempio: Fabio Fazio dovrà accontentarsi di una cifra inferiore al milione e 800 mila euro che percepisce attualmente, ma forse andrà su Rai1. Il deputato dem Michele Anzaldi non è contentissimo e ha messo in fila quaranta fra conduttori, giornalisti, registi e collaboratori della Rai il cui compenso supera il tetto da 240mila euro che si stanno già sfregando le mani: «È difficile – scrive – spiegare agli italiani che nel pubblico vige un tetto da 240 mila euro valido per tutti ad eccezione di una piccola casta». «Si agisce contra legem, contro il Parlamento, e i membri del Cda Rai si assumono una grave responsabilità» aggiunge Renato Brunetta. Fermi tutti dice il consigliere Guelfo Guelfi: «Le motivazioni per superare il tetto devono essere chiare, bisognerà vedere i risultati raggiunti e a fare le valutazioni ci saranno i direttori di rete e il direttore generale». Sopra il milione infatti, ma non è detto che ci resteranno, ci sono anche Antonella Clerici, Carlo Conti, Flavio Insinna, Michele Guardì e Bruno Vespa. Gli esempi modello che vengono citati per la deroga sono i programmi sul ricordo di Falcone e Borsellino o Notte a Venezia (Alberto Angela, 5 milioni di spettatori, corteggiatissimo da Sky). La definizione è questa: «prestazioni in grado di offrire intrattenimento generalista oppure di creare o aggiungere valore editoriale». «Sono molto soddisfatto per la soluzione trovata che consente di mantenere professionisti di grandissimo valore formati alla Rai» ha detto il nuovo dg che così può già archiviare una pratica importantissima. E il risultato centra almeno due obiettivi: contenere i costi e frenare la possibile emorragia di artisti pronti a traslocare. «Una scelta meditata per preservare i valori della Rai, non per assecondare contratti dai milioni facili» ha commentato il consigliere Rai Franco Siddi. Con questo regolamento si svela l’ arcano Rai: «stare sul mercato ma non di subirlo» sintetizza Siddi. Oggi ci sarà un nuovo cda che si occuperà di riempire le caselle rimaste scoperte: al Tg1 andrà Andrea Montanari, attuale direttore del Giornale Radio e Radio1, che ha lavorato a lungo con il giornalista napoletano. Al posto di Montanari invece andrà il conduttore di Agorà Gerardo Greco. Soluzione che potrebbe accontentare anche Roberto Fico del M5S e presidente della Vigilanza Rai che proponeva un job posting per auspicare a un soluzione interna. Oggi si gioca pure la partita palinsesti autunnali che saranno presentati il 28 giugno. Da viale Mazzini promettono tante novità nei programmi e nelle conduzioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, ok al piano per i compensi

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Il consiglio di amministrazione della Rai ha adottato una soluzione per evitare il tetto da 240 mila euro ai compensi che avrebbe rischiato di essere applicato anche alle star del servizio pubblico con conseguente fuga di nomi verso altre televisioni. Ieri, infatti, il cda presieduto da Monica Maggioni e alla presenza del direttore generale Mario Orfeo, per la prima volta in cda dopo la sua nomina, ha approvato la delibera riguardante il «Piano organico di criteri e parametri per l’ individuazione e la remunerazione dei contratti con prestazioni di natura artistica». Una nota spiega che il piano «nasce dalla necessità di tutelare il futuro aziendale» e che è stato costruito «a partire dall’ applicazione puntuale della legge e recependo le indicazioni contenute nel parere dell’ Avvocatura dello stato e fornite dal ministero per lo sviluppo economico. Nello stesso tempo l’ obiettivo è quello di salvaguardare la necessità di stare sul mercato continuando a svolgere al meglio la missione di servizio pubblico. Il documento, illustrato ai consiglieri dal d.g., individua criteri quanto più possibile oggettivi da adottarsi per la definizione di prestazioni per le quali sia possibile il superamento del limite retributivo dei 240 mila euro. Per ogni deroga al tetto dovrà essere fornita adeguata motivazione resa esplicita in fase contrattuale da parte degli organi responsabili. In particolare, il documento precisa che «possono considerarsi di natura artistica le prestazioni in grado di offrire intrattenimento generalista oppure di creare o aggiungere valore editoriale in termini di elaborazione del racconto nelle sue diverse declinazioni, in maniera coerente all’ obiettivo generale di servizio pubblico». Una formulazione che lascia aperta la possibilità di derogare anche per quei personaggi non propriamente artisti, vedi i giornalisti che fanno trasmissioni con contenuti vari come Bruno Vespa. Per quanto riguarda i parametri per la remunerazione, il piano prevede una riduzione dei compensi in misura almeno pari al 10% che andrà ad aumentare progressivamente con il salire degli importi. «I criteri del piano hanno lo scopo di esplicitare, strutturare ulteriormente e migliorare le pratiche già in atto per un utilizzo sempre più attento delle risorse economiche con il primo obiettivo della creazione di valore attraverso la produzione di contenuti di qualità. È evidente però che la tutela del futuro del servizio pubblico», conclude la nota dell’ azienda, «passa necessariamente anche attraverso la possibilità di continuare ad avvalersi di grandi professionalità che contribuiscano a creare prodotti autorevoli e riconoscibili. Il piano sarà soggetto a verifica annuale». «Oggi 41 persone festeggiano. Si tratta di quei conduttori, giornalisti, registi e collaboratori della Rai il cui compenso supera il tetto di 240 mila euro e ai quali il cda e la presidenza del servizio pubblico, dopo anni di dibattiti e pareri, sembrano intenzionati ad applicare solo una riduzione del 10% e non il limite così come previsto dalla legge votata dal parlamento», ha scritto su Facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, segretario della commissione di vigilanza Rai, che pubblica sul suo profilo anche il parere della vigilanza all’ unanimità di qualche tempo fa a favore del tetto. Fra coloro che superano ampiamente il tetto dei 240 mila euro ci sono Antonella Clerici, Carlo Conti, Fabio Fazio, Flavio Insinna e Michele Guardì. «Ho apprezzato il lavoro del cda sulla questione del tetto dei compensi degli artisti», ha affermato il sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli. «Credo che insieme al parere dell’ Avvocatura questo parere indispensabile per gli organi Rai dia la soluzione a un problema». Giacomelli ha anche fatto «un in bocca al lupo al nuovo d.g. della Rai», sottolineando come ora sia necessario «fare un bel contratto di servizio. Sono sicuro che la Rai farà un bellissimo percorso sul digitale». © Riproduzione riservata.

Rai, tagli almeno del 10% agli stipendi degli artisti Nomine al via, Fazio su Rai1

Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA La nuova direzione generale della Rai di Mario Orfeo esordisce con un voto unanime del Consiglio di amministrazione sulla regolamentazione dei compensi ai «nomi famosi» che ricompatta il vertice aziendale dopo le dimissioni dell’ ex direttore Antonio Campo Dall’ Orto. Oggi nuovo Consiglio sui palinsesti e le nomine con molte novità: Andrea Montanari (ora al Giornale Radio) al Tg1 al posto dello stesso Orfeo, sua sostituzione con Gerardo Greco, trasloco di Fabio Fazio e la sua macchina produttiva su Rai1, Cristina Parodi verso «Domenica in», piena conferma di «Carta Bianca» il martedì sera con Bianca Berlinguer su Rai3 dopo il successo del primo anno, raddoppio di Lucia Annunziata su Rai 3 (due blocchi di «In ½ ora», il primo con l’ intervista al protagonista della settimana e il secondo con un dibattito spesso di respiro internazionale e dedicato ai temi della globalizzazione), recupero in palinsesto di Paola Perego. Il voto di ieri media sul tetto dei 240 mila euro annui ai compensi Rai, facendo leva sul recente parere dell’ Avvocatura dello Stato che prevede una deroga per i «divi» ma solo dopo una regolamentazione della tv pubblica. Il documento prevede che «possono considerarsi di natura artistica le prestazioni in grado di offrire intrattenimento generalista oppure di creare o aggiungere valore editoriale in termini di elaborazione del racconto nelle sue diverse declinazioni, in maniera coerente all’ obbiettivo generale di servizio pubblico». Formula che può contenere Fabio Fazio, Bruno Vespa, Massimo Giletti, ovviamente Alberto Angela. Comunque il piano prevede anche una riduzione di tutti i compensi «almeno pari al 10%» e che «potrà salire progressivamente con il salire degli importi». In buona sostanza un conto è chi percepisce 300 mila euro, e lì sarà del 10%. Un conto è chi percepisce più di un milione e il calcolo verrà effettuato, fanno sapere alla Rai, tenendo conto della tipologia di contratto. Per il direttore generale Mario Orfeo «il piano consente alla Rai di avere ancora delle eccellenze e di conservare il valore di grandi professionisti che si sono formati con la Rai e nella Rai. Nello stesso tempo si è riusciti ad andare incontro alle indicazioni del governo sul contenimento dei costi delle prestazioni artistiche». Orfeo ha ringraziato «il Cda e la presidente Maggioni per il prezioso contributo dato nel trovare una sintesi sul documento. La soddisfazione è ancora più grande perché giunta all’ indomani del successo di Stanotte a Venezia di Alberto Angela, che è uno dei grandi talenti della Rai, un pezzo di cultura televisiva che è il simbolo del servizio pubblico». Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico, appare soddisfatto: «Apprezzo il lavoro del Cda della Rai sul tetto agli stipendi degli artisti, credo che – insieme al parere dell’ Avvocatura – questo parere indispensabile per gli organi Rai dia la soluzione a un problema» Di parere opposto Michele Anzaldi, Pd, segretario della commissione di Vigilanza: «Oggi 41 persone festeggiano, si tratta di quei conduttori, giornalisti, registi e collaboratori Rai il cui compenso supera il tetto dei 240 mila euro e ai quali i vertici Rai sembrano intenzionati ad applicare solo una riduzione del 10% e non il limite previsto dalla legge». Renato Brunetta, Forza Italia, protesta: «Decisione contra legem».

Cda Rai, ok al piano compensi Riduzione generale del 10% e per le star tetto «flessibile»

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Alla direzione del Tg1 Andrea Montanari, attuale direttore di Giornale Radio e Radio1 con il giornalista e conduttore di Agorà, Gerardo Greco, a prenderne il posto. È questa la proposta che il neo dg Mario Orfeo porterà oggi in un consiglio d’ amministrazione convocato alle 17 anche per ascoltare i direttori di rete e cercare di far quadrare il cerchio attorno ai palinsesti autunnali. La data del 28 giugno, con la presentazione agli inserzionisti a Milano, si avvicina. Per questo il Cda è stato riconvocato a strettissimo giro dopo la riunione di ieri in cui, comunque, è stato dato il via libera a quella che nei fatti era una conditio sine qua non per fare chiarezza – ma soprattutto per arrivare a una contrattazione chiara con i diretti interessati – sulle deroghe al tetto dei 240mila euro sui compensi per prestazioni di natura artistica. «Costruito a partire dall’ applicazione puntuale della legge e recependo le indicazioni contenute nel parere dell’ Avvocatura dello Stato e fornite dal ministero per lo Sviluppo economico, il Piano nasce dalla necessità tutelare il futuro aziendale. Nello stesso tempo l’ obiettivo è quello di salvaguardare la necessità di stare sul mercato continuando a svolgere al meglio la missione di servizio pubblico», si legge in una nota di Viale Mazzini. Nel dettaglio, il Piano che ieri ha avuto il via libera prevede una riduzione dei compensi di almeno il 10% che andrà ad aumentare progressivamente con il salire degli importi. Ogni deroga dovrà essere motivata da dg e direttori di rete e resa possibile rispettando una serie di parametri. Nel documento, tuttavia, è precisato che «possono considerarsi di natura artistica le prestazioni in grado di offrire intrattenimento generalista oppure di creare o aggiungere valore editoriale». Il Piano sarà a verifica annuale. Soddisfazione è stata espressa da Orfeo secondo cui il Piano «consente alla Rai di avere ancora delle eccellenze e di conservare il valore di grandi professionisti che si sono formati con la Rai e nella Rai» e nello stesso tempo «si è riusciti ad andare incontro alle indicazioni del governo sul contenimento dei costi delle prestazioni artistiche». Apprezzamento dal sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli per il «lavoro fatto» che «insieme al parere dell’ avvocatura dello stato, è indispensabile per risolvere il problema». Sul tema ieri è intervenuto anche Michele Santoro spostando l’ attenzione sul peso di produttori e agenti in Rai. Dal mondo politico però arrivano anche critiche trasversali. «È difficile spiegare agli italiani che nel pubblico vige un tetto da 240mila euro valido per tutti ad eccezione di una piccola casta», ha dichiarato Michele Anzaldi (Pd). «Si agisce “contra legem”, contro il Parlamento, e i membri del Cda Rai si assumono una grave responsabilità», aggiunge Renato Brunetta (Fi). Critiche anche da Jonny Crosio della Lega, mentre plaude alla soluzione il vicepresidente della Vigilanza, Giorgio Lainati. È stato intanto spostato a oggi l’ ufficio di Presidenza della Commissione di Vigilanza che si riunirà per decidere quando calendarizzare il voto per l’ elezione del consigliere in sostituzione di Paolo Messa. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Abbiamo bisogno di un grande servizio pubblico. La Rai deve darsi una scossa»

Il Manifesto

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zio durante la serata sulla mafia mostrare immagini e parlare solo di Maurizio Costanzo Show come se tutto si concentrasse lì, ma quella del 1993 era una staffetta condotta da me e Maurizio, e io mi trovavo in un teatro pieno di Palermo». Alle domande sul perché di un programma di ricostruzione storica risponde: «Perché nes.

Champions, dal 2018 la palla torna a Sky

Il Fatto Quotidiano
Dario Falcini
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La conferma è arrivata nel tardo pomeriggio: Sky si è aggiudicata i diritti per il triennio 2018-2021 della Champions League. L’ ottimismo percepito negli scorsi giorni dalle parti di Rogoredo era dunque giustificato, ma il gruppo ha dovuto faticare per annunciare il ritorno sui propri canali dell’ esclusiva. Per assicurarsi l’ evento Sky ha offerto più di 200 milioni di euro a stagione, cifra che sale (tra i 260 e i 280 milioni) con l’ Europa League. Non molti di più di quelli messi sul piatto da Mediaset, che ha provato fino all’ ultimo a tenere a Cologno il torneo: il Biscione aveva impegnato circa 700 milioni, ritenuti insufficienti. A contribuire alla scelta il maggior numero di abbonati (4,8 contro i 2 di Premium) e la garanzia di una partita in chiaro. Sky ha due opzioni: potenziare l’ offerta di TV8 , la rete del digitale terrestre su cui quest’ anno è stata proposta l’ Europa League, oppure concedere una sublicenza alla Rai, che ha pronto un investimento di 150 milioni sui tre anni per la partita del mercoledì. L’ accordo sgraverebbe l’ emittente privata di parte dell’ esborso, con ogni probabilità superiore a quello che il gruppo aveva messo inizialmente in conto di produrre. L’ acquisto dei diritti, in ogni caso, sembra tutto tranne che un azzardo. “Abbiamo fatto un investimento razionale e sostenibile”, si legge sul comunicato di Sky. Soprattutto perché la Champions, che il prossimo anno sarà ancora nelle disponibilità di Mediaset, dal 2018 esibirà una nuova formula, ancora più attraente per i tifosi italiani, che avranno la certezza di vedere quattro squadre al via. Una differenza non da poco, specialmente nel caso di ritorno ad alti livelli di Milan e Inter, assieme alla Juventus i club con il maggior bacino di sostenitori. I due nuovi orari delle sfide, alle 19 e alle 21, contribuiranno a aumentare il numero degli spettatori. Non solo: Sky ha fatto sapere che riunirà in un’ unica offerta anche le partite di Europa League, a cui prenderanno parte altre tre italiane. Il numero dei match da trasmettere sale così a 340. Resta da capire come si muoverà ora Mediaset, per cui l’ offerta per la futura Champions è stato l’ ennesimo tentativo di rilancio. L’ ultimo contratto con la Uefa era costato al gruppo 690 milioni, a cui non hanno fatto seguito le entrate sperate. Il futuro di Premium è tutto da scrivere e la perdita della massima rassegna continentale non è il miglior viatico. L’ annullamento del bando per i diritti della Serie A, a cui Mediaset aveva deciso di non partecipare, concede un’ altra chance, da non fallire. Difficile pensare che il gruppo possa rimanere sulle proprie posizioni e svuotare quasi completamente l’ offerta sportiva dal 2018. “Non c’ è volontà di far saltare le aste, ci muoveremo per garantire la migliore offerta” si legge sul comunicato del gruppo.

Champions dal 2018 su Sky

Il Mattino

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La Champions League torna sulla tv satellitare di Murdoch dopo il triennio su Premium Sport che trasmetterà ancora la stagione 2017-2018. Oltre 340 partite live quelle proposte da Sky per un’ offerta che per la prima volta vedrà insieme in esclusiva Champions League ed Europa League a partire dalla stagione 2018-2019 fino al 2021. Un’ offerta che potrà usufruire inoltre della certezza che ci saranno 4 squadre italiane a partire dal 2018 nella fase a gironi e delle due finestre orarie (19 e 21) che entranno in vigore dopo la riforma approvata dall’ Uefa. La struttura del bando Uefa consentirà a Sky di continuare a innovare, con un ulteriore salto in avanti nell’ esperienza degli spettatori. Dopo l’ assegnazione a Sky dei diritti tv Champions, Mediaset ha diffuso una nota per sottolineare di aver «fatto la cosa giusta» con «un’ offerta importante ma razionale». Il gruppo ha presentato, è stato chiarito, «un’ offerta più elevata rispetto a quella precedente in ragione della partecipazione al torneo di quattro squadre italiane» e formulata la propria «visione di evoluzione del mercato pay» con il gruppo impegnato «nella digital transformation dell’ offerta». Infine, è stato puntualizzato che nella prossima gara per la serie A «Mediaset si muoverà per garantire ai tifosi la migliore offerta televisiva». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Champions ed Europa league a Sky

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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I diritti tv della Champions league e dell’ Europa league 2018-2021 andranno a Sky Italia. E il fatto che l’ Uefa abbia accettato l’ offerta in tempi così brevi, poco più di 48 ore (le buste potevano arrivare fino alle ore 10 di lunedì 12 giugno), lascia intendere che l’ offerta è di quelle che danno al venditore piena soddisfazione. La comunicazione ufficiale sull’ aggiudicazione è arrivata ieri da Sky, senza tuttavia fare menzione delle cifre. Ma sul mercato corre voce che per vincere la gara il gruppo Sky Italia abbia messo sul piatto qualcosa come 270 milioni di euro all’ anno (250 milioni per la Champions, 20 mln per l’ Europa league), più di quello che Mediaset Premium aveva pagato per il triennio 2015-2018, ovvero quei 220 milioni annui che all’ epoca già erano stati giudicati una cifra monstre. D’ altronde, ragionando pure con logiche di gruppo paneuropeo, Sky aveva perso l’ asta Champions nel Regno Unito, risparmiando un bel tesoretto che ha poi deciso di riversare su altri mercati. Quello tedesco, dove si è aggiudicata i diritti Champions 2018-2021 trovando un accordo con Perform (che li conserverà per lo streaming online) dopo due mesi di trattative, e quello italiano. Sky Italia, aggiudicandosi i diritti tv Champions 2018-2021, non ha alcun obbligo di mostrare in chiaro le partite (solo la semifinale, se gioca una squadra italiana, e la finale, a prescindere). Tuttavia l’ Uefa è solita fare pressioni per ottenere una visibilità ulteriore. E, perlomeno al momento, non ci sarebbe alcuna intesa con la Rai per mostrare, free to air, l’ incontro del mercoledì di una squadra italiana. Anzi. Sky, replicando il modello di Mediaset (che nel triennio 2015-2018 si è tenuto tutto in esclusiva pay e free), avrebbe voglia di valorizzare Tv8, andando a concorrere più ferocemente con Mediaset anche nel mercato della pubblicità dei canali generalisti. Certo, la formula della Champions 2018-2021 è molto più appetibile della precedente, con quattro squadre italiane presenti direttamente nei gironi. Insomma, nei soli turni di girone, 24 partite di Champions con squadre italiane (e tante nel periodo settembre-ottobre, ovvero uno dei momenti clou per le campagne di abbonamento alla pay tv), rispetto alle 12 cui ci si è abituati negli ultimi anni, nei quali ai gironi arrivavano sempre solo due squadre italiane, con la terza regolarmente eliminata ai preliminari. Normale, quindi, che si arrivi a pagarla di più del triennio precedente. E, va detto, anche sfortunata Mediaset a incocciare uno dei periodi più neri per i club italiani in Champions, soprattutto per l’ assenza di team con molti tifosi come Inter e Milan. Il Biscione, comunque, ha presentato alla Uefa un’ offerta per i diritti della Champions per il triennio 2018-2021. Un’ offerta giudicata dalla stessa Mediaset, «importante ma razionale e la partecipazione dimostra che l’ azienda non ha alcuna volontà di far saltare le aste per il calcio in tv». Tuttavia resta lo sforzo importante fatto da Sky Italia, nonostante avesse avuto la controprova, nel triennio 2015-2018 targato Mediaset, di quanto poco la presenza della Champions influenzasse i clienti italiani nel decidere se sottoscrivere o meno un abbonamento in pay tv. Uno sforzo fatto sia perché una offerta qualitativa come quella di Sky non poteva restare senza gli appuntamenti calcistici più prestigosi della stagione; sia perché, portandogli via la Champions, Sky getta le basi per un addio allo sport di Mediaset Premium, evento che porrà il broadcaster satellitare nella condizione di quasi monopolista sia sul mercato della pay tv, sia nelle prossime aste sui diritti tv. «Siamo molto felici di questo risultato. Il nuovo format sviluppato dalla Uefa ci consentirà di portare ai nostri abbonati un prodotto rivoluzionario per il calcio europeo in Italia», ha affermato l’ amministratore delegato di Sky Italia Andrea Zappia. «Per la prima volta la Uefa Champions League e la Uefa Europa League saranno insieme in un’ esclusiva offerta integrata, che permetterà agli appassionati di seguire fino a 7 squadre italiane, mai così tante prima d’ ora, impegnate nelle sfide con i migliori club europei. Due tornei con oltre 340 partite entusiasmanti, nei migliori stadi continentali, con i più grandi calciatori del pianeta. Continueremo a fare innovazione, trasmettendo le partite più importanti anche in 4K Hdr. Quest’ offerta senza precedenti rafforza la posizione di Sky come leader della programmazione sportiva in Italia ed è anche un altro passo importante di sostegno al calcio italiano, un impegno che continuerà a vederci protagonisti anche nel futuro bando sui diritti della Serie A». L’ asta della Champions, comunque, dimostra che anche in uno scenario bloccato come quello italiano, gli sforzi si fanno quando in palio ci sono esclusive vere e prodotti televisivi appetibili. E con rilanci del +20% da un triennio all’ altro, nel corso degli ultimi anni. La Serie A, invece, che per mille motivi deve avere paletti da «servizio pubblico» a disposizione della platea più vasta possibile, è un prodotto meno interessante televisivamente, non offre vere esclusive nelle aste per i diritti tv, da molti anni non cresce e gira attorno alla cifra del miliardo di euro all’ anno, e, nell’ ultima asta annullata, addirittura, non è stata in grado di raccogliere oltre 500 mln di euro dai broadcaster. Ora Mediaset Premium avrà ancora un anno di pieno lavoro fino al giugno 2018, con tutta la Champions in esclusiva e le gare dei migliori otto club di Serie A. Poi, possibilmente insieme con Vivendi, dovrà decidere il da farsi per la sua avventura in pay tv. Piccola notazione finale: sia nella gara per i diritti Champions, sia in quella per la Serie A (fatta eccezione per la modesta offerta fatta da Perform) non vi è traccia di nuovi soggetti, broadcaster tradizionali o Ott, in grado di dare una vera smossa al mercato: ci sono sempre e solo Sky e Mediaset; i vari Fox, Discovery o Vivendi stanno a guardare; mentre gli Amazon, i Google, i Facebook o i telefonici, per ora, si tengono bene alla larga. © Riproduzione riservata.

Il gruppo Sky conquista i diritti della Champions e dell’ Europa League

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Sky si aggiudica Champions ed Europa League per il triennio 2018-2021. La partita dei diritti tv europei per il prossimo ciclo che vedrà quattro squadre italiane ammesse di diritto ai gironi grazie alla riforma da poco varata dalla Uefa vede così vincitore il Gruppo Murdoch. Un “ritorno” alla piattaforma satellitare. Mediaset Premium aveva infatti conquistato i diritti della Champions per l’ Italia del triennio 2015/18 (dunque trasmetterà la manifestazione in esclusiva ancora la prossima stagione) mettendo sul piatto circa 230 milioni all’ anno per un totale vicino ai 700 milioni. Non sono state comunicate le cifre ufficiali, ma secondo quanto è stato possibile ricostruire dal Sole 24 Ore, Sky avrebbe vinto offrendo complessivamente circa 800 milioni. In particolare, la Champions sarebbe stata pagata intorno ai 220-230 milioni e l’ Europa League intorno ai 40 milioni per un totale . Nel comunicato diffuso dopo l’ ufficializzazione Sky sottolinea come gli appassionati di calcio in Italia «potranno trovare per la prima volta in un’ unica offerta esclusiva le due più importanti competizioni per club a livello europeo, con oltre 340 partite e 7 squadre italiane (4 in Champions League e fino a 3 in Europa League)». Il numero di partite minimo delle italiane aumenta del 70% rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Con il riferimento all’ esclusiva sembra cadere quindi l’ ipotesi che una partita in chiaro possa essere ceduta alla Rai come si era ventilato nelle scorse settimane. In questo senso Sky punta anche a rafforzare i propri canali in chiaro, dove la media company è presente con Tv8 (che a questo punto dovrebbe essere il canale candidato), Cielo e Sky Tg24. Grazie alla struttura del bando Uefa, continua il comunicato di Sky, «per la prima volta le partite più importanti saranno trasmesse infatti anche in 4K HDR, l’ ultima frontiera dell’ alta definizione. E grazie al lancio di Sky Q (il nuovo box multipiattaforma di Sky) che arriverà in Italia entro l’ inizio del 2018, l’ esperienza sarà ancora più interattiva e multidevice». Soddisfazione dall’ ad Andrea Zappia: «Il nuovo format ci permetterà di portare agli abbonati un prodotto rivoluzionario. Per la prima volta Champions ed Europa League saranno insieme in un’ offerta integrata» che «rafforza la posizione di Sky come leader della programmazione sportiva in Italia». La replica di Mediaset è stata affidata a un comunicato nel quale si specifica come dal gruppo di Cologno – che ha riunito il suo consiglio d’ amministrazione lo stesso 12 giugno, prima della scadenza dei termini – sia stata presentata «un’ offerta importante ma razionale» e «più elevata rispetto a quella precedente in ragione della partecipazione al torneo di quattro squadre italiane. Un’ offerta comunque formulata seguendo la nostra visione di evoluzione del mercato pay. Una visione che ci vede impegnati nella digital transformation dell’ offerta che diventerà più leggera e più moderna». Il gruppo di Cologno, sempre riferendosi a Sky, parla di «altri operatori» che «hanno attribuito alla competizione europea un valore molto più elevato a cui evidentemente è stato aggiunto un maxi-premio extra con l’ obiettivo di ottenere una posizione di dominio sul mercato della pay tv». Quello del valore è stato del resto un passaggio su cui Mediaset si è trovata sotto esame in questi anni in cui, a fronte del maxi-investimento per la Champions, i risultati in termini di abbonati e conto economico per Premium non hanno seguito di pari passo. A ogni modo, c’ è il rilancio sulla Serie A: «La partecipazione convinta all’ asta Champions dimostra che non c’ è nessuna volontà da parte di Mediaset di far saltare le aste del calcio come qualche operatore concorrente ha provato a lasciar credere. Al contrario, in occasione della prossima gara per la Serie A Mediaset si muoverà per garantire ai tifosi la migliore offerta televisiva». Anche perché perdere quella competizione aprirebbe scenari inediti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Diritti tv, Sky si prende la Champions con le quattro italiane

Corriere della Sera
Monica ColomboDaniele Sparisci
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Tutto come da copione. Sky si riprende la Champions League all’ asta della Uefa per i diritti tv del triennio 2018-2021. Battuta Mediaset, a Nyon hanno premiato l’ offerta migliore per il nuovo format con quattro squadre italiane già qualificate nella fase a gironi. A cui si aggiungono le tre dell’ Europa League. Il boccone era appetitoso: il numero minimo di partite dei club di casa nostra aumenta del 70%. Se questo convincerà più gente ad abbonarsi è da vedere, ma il menù promette bene: 340 partite in tutto. «Un prodotto rivoluzionario» secondo l’ a.d. Andrea Zappia. La Federcalcio europea ha raggiunto gli obiettivi stabiliti: monetizzare le novità e chiudere in fretta, dopo averlo già fatto in Inghilterra, Francia e Germania con incassi notevoli (record in Gran Bretagna con British Telecom a quota 1,36 miliardi). La pay tv di Murdoch avrebbe messo sul piatto una cifra sugli 800 milioni di euro, circa 260 l’ anno. Sulla gara, da rifare, per la serie A aveva destinato mezzo miliardo. Mediaset, che aveva vinto la precedente asta e continuerà a trasmettere in esclusiva la Champions fino alla finale di Kiev, il 26 maggio 2018, ha partecipato con una puntata intorno ai 240 milioni a stagione, superiore a quella di tre anni fa. «Un’ offerta importante ma razionale – spiegano da Cologno lanciando frecciate alla concorrenza -. Altri operatori hanno attribuito alla competizione un valore molto più elevato a cui evidentemente è stato aggiunto un maxi premio extra per ottenere una posizione di dominio sul mercato della pay tv». Il secondo atto della battaglia è atteso in autunno, sul campionato, dove Mediaset «si muoverà per garantire ai tifosi la miglior offerta televisiva». Oltre ai soldi sembra che in sede Uefa abbiano pesato anche altri argomenti: la tecnologia 4K (ultra Hd), per esempio, con cui Sky manderà in onda le gare a partire dai Mondiali in Russia. Resta un nodo da sciogliere, quello sui diritti in chiaro della Champions: la pay tv di Murdoch al momento non sembra intenzionata a cederli – si è parlato di interesse della Rai – e anzi ha già un canale pronto all’ uso (Tv8), dove le dirette dell’ Europa League e della MotoGp funzionano molto bene. Ma la situazione sarà più chiara dopo l’ assegnazione dei diritti tv della serie A. Con Mediaset ansiosa di rivincita, il pacchetto in chiaro potrebbe diventare una pedina di scambio.

Prende quota la visione differita su tablet e web

Il Sole 24 Ore
FrancescoSiliato
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Termina l’ anno scolastico, termina la stagione televisiva 2016-2017 con un calo del 2,5% sul consumo complessivo dell’ offerta televisiva vista da un televisore domestico. Sette minuti in meno di tv pro-capite al giorno, stagione su stagione. Ad abbandonare la visione sono soprattutto gli adolescenti, tra i 15 ed i 19 anni, e il tempo medio giornaliero dedicato alla televisione da televisore scende di 16 minuti. Da fine luglio sarà operativo il nuovo superpanel e Auditel porrà le basi per la misurazione del consumo di televisione da tutti i device, non sarà subito possibile ma sarà possibile. Auditel conta di far tesoro delle esperienze degli altri Paesi per non ripetere errori già commessi ed accelerare i tempi. Sino a quando il distribution score non sarà una certezza i valori della tv da tv rimangono separati, ma non le analisi. I dati Nielsen sulla social tv lasciano pensare che parte di quegli adolescenti abbia solo traslocato. Tra settembre e maggio si sono infatti registrate su Facebook e Twitter 173 milioni di interazioni riguardanti quanto emesso dai 34 canali Tv monitorati e da Netflix. Interazioni prodotte da una media di 1,8 milioni di utenti attivi a settimana. A generare il maggior numero di post sono gli eventi sportivi live (53%) – soprattutto il calcio – ma, nella seconda parte della stagione, anche molta MotoGp e Giro d’ Italia. Seguono intrattenimento (con Sanremo), talent show e reality. I talk politici registrano 8,3 milioni di interazioni: dodici milioni meno dei talent. In questo quadro, cambiano anche sul consumo di tv i comportamenti delle fasce più social della popolazione: Nielsen rileva che il 35% delle conversazioni avviene nei giorni precedenti e successivi alla messa in onda dei programmi. La social Tv estende quindi la finestra di sfruttamento della property editoriale ben oltre la messa in onda. La rete con il maggior numero più di interazioni è, a sorpresa, Rai Uno, seguita da Canale 5. Ed è questa anche la gerarchia delle reti più seguite su un televisore. Andando invece sul versante della tv a pagamento, i tre campioni della pay tv satellitare sono SkyTg24, SkyUno e SkySport1;al quarto posto SkyCinema1 supera SkySport24. Lo sport rimane però determinante: l’ insieme dei canali sportivi produce uno share medio di prima serata del 2,2 per cento. L’ ascolto massimo di stagione si è avuto con Juventus-Napoli con 2,6 milioni di spettatori e share del 9,7 per cento. In questo quadro occorrerà vedere come tornerà a portare acqua al mulino degli ascolti e, soprattutto, degli abbonamenti la riconquista, di cui si sta parlando in queste ore, da parte di Sky dei diritti per la trasmissione della Champions League. Ci sarà da vedere anche come finirà la partita per l’ aggiudicazione dei diritti della Serie A, la cui deadline è stata spostata a fine anno. La progettazione dei pacchetti per piattaforma rischia di inficiare qualsiasi esclusiva, tra smart tv, app e device collegabili tutto finirà nel televisore, e il calcio, che pure è il core della tv a pagamento, da solo non basta ad attirare tutti gli abbonati necessari alla sopravvivenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Una stagione in crescita per i «nuovi» canali tv

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Rai e Mediaset mantengono il primato degli ascolti tv, con percentuali che tengono a distanza di sicurezza i competitor. Detto questo, l’ analisi dei dati della stagione televisiva 2016-2017 (prendendo a riferimento il periodo compreso fra il 18 settembre 2016 e il 27 maggio 2017) evidenzia come la crescita nelle audience tv sia da un altra parte: nei cosiddetti “nuovi entranti”, ma che ormai tanto nuovi non sono neanche più: Sky, Discovery , Viacom con la sua Paramount Channel. E a guardare ai numeri, l’ anno dominato dall’ ultima parte dal referendum costituzionale avrà sicuramente portato fieno in cascina per La7 con ascolti in crescita nel giorno medio e nel prime time. I dati Auditel elaborati dallo Studio Frasi certificano comunque, anche per questa stagione tv, un ulteriore snellimento dell’ audience televisiva. È soprattutto nella classe d’ età 15-19 (si veda l’ articolo di analisi a lato) che il pericolo disaffezione si fa più evidente. A conti fatti, in media fra un anno e l’ altro sono spariti poco meno di 252mila spettatori di media nel giorno medio e oltre 748mila spettatori nel prime time. Si parla quindi di un -3% nelle ore serali e -2,5% nel giorno medio. Numeri che sono campanelli d’ allarme forti per il mercato televisivo. La nuova Auditel che dal 2018 dovrebbe iniziare a rilevare l’ audience anche su smartphone, tablet, potrebbe dare qualche indicazione in più. Tra gli editori il primato va alla Rai con 38,2% in prima serata e 36,8% nel giorno medio. Segue Mediaset al 32,4% in entrambe le fasce. Per entrambi il prime time non ha portato in dote alcun sorriso (-1,19% Rai e -1,73% Mediaset), mentre sul giorno medio è Rai ad aver perso (-2,28%) con Mediaset che ha tenuto (+0,87%). Simbolico comunque il sorpasso dei neocanali del servizio pubblico nel giorno medio (6,9% contro 6,8%di share) mentre il prime time vede ancora i nativi digitali di Mediaset in vantaggio (7,08% di share contro 6,21% per i nativi digitali Rai). In crescita nel giorno medio gli altri editori(+14,34% Sky, che ha Tv8, Cielo e Sky Tg24, a 6,62% di share; +3,62% Discovery con la sua Nove a 6,59% di share; +4,56% di La7 a 3,67% di share e +161% di Viacom a 1,33%) mentre in prime time crescono Sky (+8,72% a 7,48% di share); Discovery (+13,24% a 5,56%) e Viacom (balzata a 1,30%). Andando ai singoli canali, Rai 1 mantiene il primato con il 16,8% di share nel giorno medio e il 18,2% in prima serata e resiste all’ assalto di Canale 5, che a sua volta ha incrementato la propria quota d’ ascolto nelle 24 ore In prime time il divario dalla prima rete Rai si dilata invece da 0,4 punti del giorno medio a 2,5. Per quanto riguarda la rete ammiraglia di Mediaset le fiction hanno deluso le attese. Meglio l’ intrattenimento e gli appuntamenti in chiaro della Champions, oltre a C’ è posta per te, Tu si que vales, Amici di Maria De Filippi: tutti ben sopra la media di rete. Vera forza di Rai 1, oltre al Festival di Sanremo, è la fiction: Il Commissario Montalbano, molto seguito anche in replica, I Medici, I bastardi di Pizzo Falcone, C’ era una volta Studio Uno, Di padre in figlia: tutti con quote d’ ascolto superiori al 26 per cento. Rai 3 e Rai 2 occupano la terza e quarta posizione della classifica. I talk politici sono stati il punto debole della terza rete Rai, con Dimartedì condotto da Giovanni Floris su La7 che ha fatto man bassa negli scontri sia con Politics, sia con #Cartabianca. I top della rete restano le edizioni di Che tempo che fa della domenica (media dell’ 11,6%) e Che fuori tempo che fa (share medio del 9,8%) di Fabio Fazio. Fiction e varietà sono state invece il fiore all’ occhiello di Rai2 (le serie con i poliziotti Schiavone e Cagliostro e gli show di Mika e Virginia Raffaele). In rosso i dati di audience sia di Italia 1 (che ha comunque programmi forti come Le Iene o Gogglebox) e Rete 4 (in cui Quarto grado, soprattutto, e Quinta colonna hanno chiuso comunque sopra la media di rete). Chiude la classifica per le generaliste La7, la rete con il pubblico più anziano. I dati sono in aumento, ma ringiovanire i pubblici sarà uno degli obiettivi del neo direttore Andrea Salerno. Infine, è stata ribaltata da una stagione all’ altra la classifica dei neocanali free, con Tv8 che salta dalla sesta alla prima posizione, seguita da Rai Yoyo e Real Time, che scivola dal primo al terzo posto. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Corriere della Sera, Di Piazza a capo della cronaca di Roma. Sarà Giuseppe Di Piazza a guidare la cronaca di Roma del Corriere della Sera. A deciderlo è stato il direttore Luciano Fontana, che ha scelto l’ ex direttore di Sette, dell’ agenzia Agr, di Max e con un passato al Messaggero per sostituire Sergio Rizzo, che trasloca a Repubblica con la qualifica di vicedirettore. Corte Ue, le piattaforme di condivisione a rischio violazione del diritto d’ autore. La fornitura e la gestione di una piattaforma di condivisione online di opere protette quale The Pirate Bay possono costituire una violazione del diritto d’ autore. Come ha stabilito la corte di giustizia Ue, anche se le opere sono messe online da utenti della piattaforma di condivisione, i suoi amministratori svolgono un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione di tali opere. La controversia è nata nei Paesi Bassi, dove una fondazione che protegge i diritti d’ autore ha chiesto ai giudici di imporre a due fornitori di accesso a internet, Ziggo e XS4ALL, di bloccare l’ accesso per i loro utenti a Pirate Bay. La corte suprema dei Paesi Bassi ha deciso di chiedere alla corte di Lussemburgo di pronunciarsi sull’ interpretazione della direttiva dell’ Unione sul diritto d’ autore. Tivùsat oltre quota 3 milioni di smart card attive. Tivùsat, la piattaforma satellitare free cui aderiscono oltre 90 canali televisivi tra generalisti, tematici e all news, ha superato la soglia di 3 milioni di smart card attive. Dalla fine dello swich off del segnale analogico ad oggi sono state 1.260.000 le attivazioni da parte degli italiani che tra il 2013 e il 2017 hanno scelto Tivùsat. Eurosport, pieno di ascolti con il Roland Garros. Eurosport, grazie alle performance delle star del tennis Rafael Nadal, Stan Wawrinka, Jelena Ostapenko, Simona Halep sul campo, e di Boris Becker e John McEnroe davanti alle telecamere, ha realizzato una crescita del 18% negli ascolti in Europa (+15% in Italia) rispetto al Roland Garros dello scorso anno. Con la copertura live completata da trasmissioni e rubriche come Game Schett & Mats, The Coach con Patrick Mouratoglou e Commissioner of Tennis con McEnroe, la media degli spettatori ha superato quota 1 milione. Les Plumes d’ Or al direttore delle guide dell’ Espresso. E’ stato attribuito al direttore delle Guide dell’ Espresso Enzo Vizzari Les Plumes d’ Or, il premio che ogni anno viene assegnato da una giuria di esperti del mondo dell’ enogastronomia francese a due giornalisti transalpini e a uno straniero che si sono distinti nei settori della gastronomia e del vino. Vizzari succede nell’ albo d’ oro a Jancis Robinson del Financial Times, premiata lo scorso anno.

Lucca, da oggi al via il Forum europeo digitale

Italia Oggi

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Al via oggi la 14esima edizione del Forum europeo digitale di Lucca, l’ annuale due giorni organizzata dall’ associazione Comunicare digitale e dedicata alla televisione ma non solo. Fra le altre cose si parlerà di misurazione degli ascolti sulle piattaforme digitali, delle nuove esperienze immersive di produzione, di broadcasting green. Nel panel «In Media stat Europa» confermate le presenze di Patrizia Toia, vicepresidente della Commissione Itre del Parlamento europeo, che si soffermerà sulla revisione della direttiva dei servizi media, sulla banda 700 Mhz e sul futuro dei media in Europa; Paolo Cesarini, d.g. connect della Commissione europea, si dedicherà all’ analisi della convergenza dei media, dei contenuti e del pubblico, guardando quella che sarà la revisione regolamentare Ue; Maja Cappello, dell’ Osservatorio europeo dell’ audiovisivo, illustrerà le riforme in corso, incluso il pacchetto copyright, portabilità, geoblocking ed enforcement. Grazie alla partecipazione e la partnership con Hd Forum Italia, la principale associazione di filiera dell’ industria italiana, che raggruppa le primarie società della tv, dei media e della tecnologia, oggi sarà presentato in anteprima il nuovo Uhd Book v.1.0, che vuole fornire un contributo di eccellenza nell’ analisi dell’ Ultra alta definizione. Un evento di particolare risonanza, che sarà l’ anteprima alla tavola rotonda dal titolo Italian pathway to Uhd (la via italiana all’ Ultra Hd), moderato dal presidente Hdfi, Benito Manlio Mari. Ancora, ci saranno il keynote di Federico De Mojana, head of content strategy Olympic Channel, che porterà il racconto della produzione dei prossimi Giochi Olimpici a Tokyo; Francisco Asensi parlerà degli eSports, che nel 2016 hanno generato un volume di affari per 890 milioni di dollari (circa 790 milioni di euro) e nel 2018 si prevede possano raggiungere i 1,9 miliardi di dollari; Renato Farina (Eutelsat) Luca Balestrieri (Rai-Tivùsat) si occuperanno di guidare la tavola rotonda dedicata alla tv olistica. «L’ agenda parla da sola e siamo felici che in Italia si mantenga un evento di così alto livello», ha detto il presidente di Comunicare digitale, Andrea M. Michelozzi. La partecipazione è gratuita e si consiglia l’ iscrizione sul sito www.forumeuropeo.tv. © Riproduzione riservata.

La7, DiMartedì chiude la stagione con 32 vittorie

Italia Oggi

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Giornata molto positiva, quella di martedì scorso, per gli ascolti del Network La7 (La7 e La7d) che ha raggiunto il 4,27% di share (07.00-02.00) con 10.679.910 telespettatori contattati nelle 24 ore (02.00-02.00) e il 5,44% in prime time (20.30-22.30). La sola La7 ha ottenuto il 5,04% in prima serata. Da segnalare diMartedì, che con il 4,89% di share ha registrato 5.130.428 contatti, picchi del 7,19% e 1.453.886 telespettatori. Il talk di Giovanni Floris si è confermato ancora una volta leader dell’ approfondimento del martedì sera. La stagione si conclude con 37 puntate e oltre 600 ospiti. I confronti diretti con Rai 3 sono stati 35, con ben 32 vittorie per La7, di cui 16 contro Cartabianca. La media stagionale del programma è stata del 5,50% di share e oltre 1,1 milioni di telespettatori a puntata. Otto e Mezzo di Lilli Gruber si è attestata al 5,89% con 1.191.711 telespettatori e un picco del 6,58%. Il Tg delle 20.00 di Enrico Mentana ha ottenuto il 5,17% di share con 1.504.782 contatti e un picco del 5,62%. Al mattino bene L’ Aria che tira condotto da David Parenzo che ha realizzato il 6,92% di share e un picco dell’ 8,72%.

Tivùsat supera quota tre milioni di smart card attive

La Repubblica

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ROMA. Tivùsat, la piattaforma televisiva italiana free, ha superato i 3 milioni di smart card attive. Con oltre 90 canali televisivi tra generalisti, tematici e all news, la piattaforma, cui hanno aderito i principali editori italiani, continua la sua crescita. Già oggi oltre il 9% delle famiglie guarda la tv tramite la piattaforma che offre anche 43 canali radio, una grande selezione di servizi on demand e 3 canali in 4k (ultra hd), dedicati ai grandi eventi. Disponibile anche il servizio TivuOn, che consente di vedere i programmi televisivi dell’ ultima settimana, recuperare quelli persi e accedere ai servizi on demand di altre reti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rassegna Stampa del 16/06/2017

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Indice Articoli

Le edicole diventeranno anche uffici del Comune

Fieg, manovra ok

EDITORIA Fieg soddisfatta dalla manovra «Misure vanno in direzione giusta»

Misure per l’ editoria, soddisfazione della Fieg

Pubblicità sui giornal i: c’ è sconto fiscale

Manovra, Fieg: Soddisfazione per incentivi su pubblicità liberalizzazione rete vendita e prepensionamenti giornalisti

Soddisfazione dalla Fieg per il via libera alla manovra con incentivi su pubblicità, liberalizzazioni per le reti di vendita dei giornali e prepensionamenti per i giornalisti. Il presidente Costa: significativo passo avanti per il settore

Orfeo dirige la Rai e si tiene il Tg1: al suo posto un renziano pupillo di Napolitano

Montanari al Tg1, Gerardo Greco al Gr

Rai, Montanari al Tg1 Greco a Gr e Radio 1

Montanari direttore del Tg1 Greco per Radio1 e Gr

Montanari al Tg1, Greco al Gr1. Freccero via dal Cda?

Mediaset rilancia sui diritti tv e punta al bando per la Serie A

Vivendi-Mediaset, prima tappa l’ Agcom

«Sole 24 Ore, valore assoluto per l’ intero sistema associativo»

Il concerto live di RadioItalia fa il pieno di sponsor

Drahi si concentra su Libération e L’ Express in edizione digitale

Mediaset, tesoretto da 500 mln

Chessidice in viale dell’ Editoria

Nave di Teseo rileva Baldini&Castoldi

Internet, ad aprile spinge il mobile

Pubblicità online: questo è veramente l’ anno del mobile, dice l’ Osservatorio Internet Media. Ma sono gli over the top che si prendono l’ 80% degli investimenti

Pensioni, da luglio la nuova quattordicesima: fino a 655 euro. Inps: “Andrà a 1,4 milioni di beneficiari in più”

Le edicole diventeranno anche uffici del Comune

Italia Oggi
GAETANO COSTA
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Il giornale. E un certificato di nascita. D’ ora in avanti, le edicole, a Firenze, svolgeranno anche parte dei compiti degli uffici comunali. Oltre alla normale attività, potranno rilasciare documenti e attestati. Il pacchetto denominato «Salva edicole» è stato presentato dalla giunta del sindaco Pd, Dario Nardella. Anche nel capoluogo toscano, i chioschi di giornali risentono della crisi causata dalla difficoltà di vendita dei quotidiani cartacei. Per questo, l’ amministrazione ha varato alcuni provvedimenti volti a scongiurare ulteriori chiusure. Prima di tutto, i tagli. Gli edicolanti fiorentini usufruiranno di uno sconto del 30% nel 2018 e del 70% dal 2019 sul canone d’ occupazione del suolo pubblico. Poi, come ulteriore sostegno per gli introiti economici, potranno rilasciare certificati di matrimonio, morte, nascita, residenza, stato di famiglia e contestuale, stato libero, cittadinanza ed esistenza in vita. Negli ultimi cinque anni, a Firenze hanno chiuso 20 edicole, mentre quelle rimaste aperte sono un centinaio. Saranno loro a beneficiare del piano comunale. Costo dell’ investimento: 250 mila euro. Il provvedimento, primo in Italia nel suo genere, è stato firmato dall’ assessore al Bilancio, Lorenzo Perra, e dal responsabile dello Sviluppo economico, Cecilia Del Re. Nardella, dopo l’ approvazione, l’ ha sottoposto al vicepresidente e amministratore delegato del gruppo Poligrafici Editoriale, Andrea Riffeser Monti, durante un incontro a Palazzo Vecchio, sede del Comune di Firenze. Per gli edicolanti ci sarà anche la possibilità di fare pubblicità sul proprio punto vendita, sfruttando spazi che potranno essere assimilati a pubbliche affissioni. L’ attività principale delle edicole, comunque, dovrà restare la vendita di quotidiani e periodici. «Come Comune faremo uno sforzo economico per aiutare le edicole a superare la crisi, cominciando dal contenimento dei costi fissi», ha spiegato al Corriere fiorentino l’ assessore Perra. «Saranno modificati, in due anni, i coefficienti Cosap applicati ai chioschi-edicole di tutta la città, da quelli del centro a quelli periferici». Per quanto riguarda la possibilità di rilasciare certificazioni, il provvedimento ha un doppio scopo: aiutare le edicole ed eliminare, di conseguenza, le code negli uffici comunali preposti. «Per aiutare gli edicolanti a superare questo momento di crisi, abbiamo studiato un modo per ripensarne la funzione, rendendole un centro di servizi al cittadino», ha sottolineato invece Del Re. «Le edicole diventeranno anche un punto anagrafico e di prossimità per i cittadini. Come richiesto dagli edicolanti, abbiamo concesso la possibilità di fare pubblicità sfruttando gli spazi come pubbliche affissioni». Nardella presenterà il piano all’ Associazione nazionale comuni italiani (Anci), mentre ha già ottenuto il consenso del Sinagi e della Fenagi, il sindacato e la federazione dei giornalai. Che, a Firenze, svolgeranno anche il ruolo di addetti ai punti anagrafe. © Riproduzione riservata.

Fieg, manovra ok

Italia Oggi
MARCO LIVI
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«Le misure approvate dal parlamento sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione». Il presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg) Maurizio Costa ha commentato in questo modo le misure per l’ editoria giornalistica previste dalla manovra che ha avuto il via libera ieri dal parlamento. «Dai prossimi giorni», ha affermato Costa, «sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale». Altre «misure di grande importanza sono quelle relative alla liberalizzazione della rete di vendita di quotidiani e periodici e al rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti, che consentirà lo sblocco di una situazione pendente da anni». «Le disposizioni approvate», ha concluso il presidente della Fieg, «costituiscono un significativo passo avanti per il nostro settore. Va dato atto al governo, e in particolare al ministro Lotti, sottosegretario per l’ editoria, di aver fortemente creduto in una riforma di sistema che, avviata molti mesi fa, raggiunge oggi un importante traguardo». © Riproduzione riservata.

EDITORIA Fieg soddisfatta dalla manovra «Misure vanno in direzione giusta»

Avvenire

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Soddisfazione al vertice della Federazione italiana editori giornali (Fieg) per il varo di alcune misure per l’ editoria giornalistica previste dalla manovra approvata ieri. «Le misure sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione», ha commentato Maurizio Costa, presidente della Fieg, aggiungendo che dai prossimi giorni «sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale». Per Costa è «un significativo passo avanti» per il settore.

Misure per l’ editoria, soddisfazione della Fieg

La Sicilia
MICHELE CASSANO
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michele cassanoRoma. Con l’ approvazione definitiva ieri in senato della cosiddetta manovra bis, diventano legge anche alcune misure che riguardano il sostegno allo sviluppo del settore dell’ editoria foremente colpito dalla crisi economica.«Le misure approvate ieri dal Parlamento sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione».Ha commentato così Maurizio Costa, Presidente della Federazione italiana Editori giornali (Fieg), il varo di alcune misure per l’ editoria giornalistica previste dalla manovra approvata ieri dal Parlamento. «Dai prossimi giorni – ha affermato Costa – sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale».«Altre misure di grande importanza sono quelle relative alla liberalizzazione della rete di vendita di quotidiani e periodici e al rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti, che consentirà lo sblocco di una situazione pendente da anni». «Le disposizioni approvate – ha concluso il presidente della Fieg – costituiscono un significativo passo avanti per il nostro settore. Va dato atto al governo, e in particolare al ministro Luca Lotti, sottosegretario per l’ Editoria, di aver fortemente creduto in una riforma di sistema che, avviata molti mesi fa, raggiunge oggi un importante traguardo».

Pubblicità sui giornal i: c’ è sconto fiscale

L’Arena
ROMA
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Nella manovra che ha ricevuto ieri il via libera, sono presenti anche alcune norme relative al settore dell’ editoria, tra le quali spiccano gli incentivi fiscali per la pubblicità sui giornali e il rifinanziamento per i prepensionamenti, con 45 milioni di euro. «Le misure approvate dal Parlamento sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione». Ha commentato così Maurizio Costa, presidente della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg), il varo delle misure. «Dai prossimi giorni», ha affermato Costa, «sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale». Una misura che in particolare in un periodo di crisi per la pubblicità sui mezzi di informazione può aiutare molto sia gli inserzionisti che le stesse pubblicazioni. «Altre misure di grande importanza sono quelle relative alla liberalizzazione della rete di vendita di quotidiani e periodici e al rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti, che consentirà lo sblocco di una situazione pendente da anni», sottolinea ancora Costa. «Le disposizioni approvate», ha concluso il presidente della Fieg, «costituiscono un significativo passo avanti per il nostro settore. Va dato atto al governo, e in particolare al ministro Lotti, sottosegretario per l’ editoria, di aver fortemente creduto in una riforma di sistema che, avviata molti mesi fa, raggiunge oggi un importante traguardo».

Manovra, Fieg: Soddisfazione per incentivi su pubblicità liberalizzazione rete vendita e prepensionamenti giornalisti

Agenparl
Ugo Giano
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(AGENPARL) – Roma, 15 giu 2017 – “Le misure approvate oggi dal Parlamento sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione”. Ha commentato così Maurizio Costa, Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG), il varo di alcune misure per l’ editoria giornalistica previste dalla manovra approvata oggi dal Parlamento. “Dai prossimi giorni – ha affermato Costa – sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale.” “Altre misure di grande importanza sono quelle relative alla liberalizzazione della rete di vendita di quotidiani e periodici e al rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti, che consentirà lo sblocco di una situazione pendente da anni”. “Le disposizioni approvate – ha concluso il Presidente della Fieg – costituiscono un significativo passo avanti per il nostro settore. Va dato atto al Governo, e in particolare al ministro Lotti, sottosegretario per l’ editoria, di aver fortemente creduto in una riforma di sistema che, avviata molti mesi fa, raggiunge oggi un importante traguardo”. Sharing.

Soddisfazione dalla Fieg per il via libera alla manovra con incentivi su pubblicità, liberalizzazioni per le reti di vendita dei giornali e prepensionamenti per i giornalisti. Il presidente Costa: significativo passo avanti per il settore

Prima Comunicazione

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“Le misure approvate oggi dal Parlamento sugli incentivi per la pubblicità incrementale sulla stampa, sulla liberalizzazione della rete di vendita dei giornali e sui prepensionamenti dei giornalisti attuano i contenuti della legge sull’ editoria e vanno nella giusta direzione”. Maurizio Costa, presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, ha commentato così il varo di alcune misure per l’ editoria giornalistica previste dalla manovra approvata oggi dal Parlamento. “Dai prossimi giorni sarà possibile, alle imprese e ai professionisti che effettuano investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici di importo maggiore rispetto a quelli effettuati nel passato, maturare un credito d’ imposta pari al 75% della parte di investimento incrementale”, ha specificato Costa, definendo poi “misure di grande importanza” quelle relative “alla liberalizzazione della rete di vendita di quotidiani e periodici e al rifinanziamento dei prepensionamenti dei giornalisti, che consentirà lo sblocco di una situazione pendente da anni”. Maurizio Costa, presidente Fieg “Le disposizioni approvate”, ha concluso il presidente Fieg, “costituiscono un significativo passo avanti per il nostro settore. Va dato atto al Governo, e in particolare al ministro Lotti, sottosegretario per l’ editoria, di aver fortemente creduto in una riforma di sistema che, avviata molti mesi fa, raggiunge oggi un importante traguardo”.

Orfeo dirige la Rai e si tiene il Tg1: al suo posto un renziano pupillo di Napolitano

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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È una sorta di ritorno a casa per entrambi. Per Andrea Montanari, che torna al Tg1, ma da direttore, e per Gerardo Greco, che rientra a Radiorai, sulla plancia di comando. Una soluzione, almeno quella del Tg1, in linea con la continuità della direzione di Mario Orfeo. Il quale, in accordo con cda e presidente, e il via libera del vertice del Pd, ha voluto che al suo posto, alla direzione del principale Tg, andasse Montanari, che è stato suo vice fino all’ anno scorso, quando aveva traslocato per guidare la radio. Tra i due, raccontano, c’ è grande sintonia. Per questo motivo Montanari non stravolgerà il Tg1 ancora targato Orfeo, ma si limiterà a qualche aggiustamento, ritoccando qualcosa tra i vicedirettori e i capiservizio. Gran lavoratore, amante del mare, sposato e senza figli, all’ inizio della carriera, a metà anni Novanta, gravitava in area dalemiana. Poi, veleggiando sempre in area centrosinistra, Ds e poi Pd, con gli anni, ha abbandonato gli antichi amori per spostarsi verso lidi più sicuri, ovvero l’ attuale vertice del Nazareno, ma celando i toni del pasdaran renziano. Anche lui inizia in radio, nel 1991, al Gr2, per poi arrivare nel 1997 al Tg1 come cronista parlamentare. Nel settore politico scala tutte le posizioni, fino a diventare quirinalista nel 2009. E il legame con Giorgio Napolitano male non gli fa, visto che nel 2013, proprio con l’ arrivo di Orfeo, viene promosso vicedirettore con la responsabilità dell’ edizione delle 20, la più importante. Infine, nell’ agosto 2016 diventa direttore del Giornale Radio fino al ritorno, da oggi, al Tg1. L’ altro volto è sicuramente più conosciuto al grande pubblico perché dal 2013 è il conduttore di Agorà, la trasmissione del mattino di Raitre. Anche qui si tratta di un ritorno perché Gerardo Greco inizia proprio al Giornale Radio, dal 1995 al 2001. Poi, scambiandosi il posto con Giovanni Floris, va a New York: ci deve restare solo pochi mesi e invece, complice l’ 11 settembre (evento che però mancherà a causa di una vacanza a Cuba con la moglie, Monia Venturini, anch’ essa giornalista Rai), ci rimane per undici anni, prima per la radio, poi per i Tg. E sono proprio gli anni americani a rendere il suo stile di conduzione un po’ anglosassone, anche se lui è romanissimo di Roma Nord. Al pubblico piace e gli ascolti gli danno ragione: ad Agorà non solo non ha fatto rimpiangere Andrea Vianello, ma quando lo scorso gennaio il programma è andato in prima serata dopo la chiusura di Politics, ha battuto una volta pure Floris. Se Montanari torna alla guida di una macchina da guerra, già perfettamente rodata, come il Tg1, sarà quello di Greco il compito più difficile, perché è sulla radio che Viale Mazzini non sembra avere un’ idea chiara. “Quale deve essere la sua mission? Che tipo di pubblico si vuole intercettare?” sono le domande che girano a Saxa Rubra, specialmente adesso che il diretto competitor, Mediaset, sulla radio sta mettendo in atto politiche aggressive (sono di questi giorni le voci su un possibile acquisto di Radio Subasio da parte di Segrate). Ma il vero punto di domanda che rimbalza tra Saxa Rubra e Viale Mazzini è un altro e riguarda il rapporto tra Orfeo e Monica Maggioni. I due non si amano e lei ci rimase malissimo quando Luigi Gubitosi le preferì Orfeo alla guida del Tg1. Per questo motivo molti in Rai hanno sorriso alla notizia della nomina del nuovo dg: Maggioni, dopo aver fatto la guerra a Campo Dall’ Orto, si ritrova ora di fronte uno dei suoi più temuti avversari, che di sicuro si terrà ben stretta la delicatissima partita del piano informazione, a cui puntava, invece, la presidente. Per ora è tregua armata. Ma quanto durerà?

Montanari al Tg1, Gerardo Greco al Gr

Il Manifesto

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Roma II E’ Andrea Montanari il nuovo direttore del Tg1, nominato all’ unanimità dal consiglio d’ amministrazione di viale Mazzini. Prende il posto di Mario Orfeo, diventato direttore generale della tv pubblica. Di Orfeo Montanari – da vent’ anni al Tg1, nella redazione politica, poi caporedattore – è stato anche, dal 2013 vicedirettore. Per poi passare, nell’ agosto 2016, alla guida del Giornale Radio Rai. Alla cui direzione il cda sempre ieri ha nominato Gerardo Greco, conduttore dal 2013 di Agorà su Raitre. L’ Usigrai, sindacato dei giornalisti della tv pubblica, apprezza che siano stati scelti «due professionisti interni e con esperienza nelle testate che ora sono chiamati a dirigere» e chiede ora «al neo direttore generale di dedicarsi con urgenza alla indispensabile riforma editoriale, mettendo in atto i segnali di discontinuità.

Rai, Montanari al Tg1 Greco a Gr e Radio 1

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Disco verde del Cda della Rai al nuovo direttore del Tg1 Andrea Montanari: classe 1958, in Rai dal 1991 e arrivato alla vicedirezione del Tg1 prima di diventare direttore della testata Giornale Radio e direttore di Radio1. È stato un via libera all’ unanimità, seguito dalla nomina di Gerardo Greco – negli Usa per 12 anni e che da marzo 2013 realizza e conduce Agorà, su Rai3 – alla guida di Radio1 Rai e del Giornale Radio. Su questo, il Cda ha però registrato il voto contrario di Carlo Freccero, critico nei confronti del conduttore di Agorà per posizioni ritenute dal consigliere “ultrarenziane” e per la gestione della comunicazione sul referendum sulle trivelle. «Parlano i dati ineluttabili degli osservatori sulla par condicio» ha replicato a stretto giro il giornalista. Lo stesso Freccero si è reso protagonista di un caso ventilando all’ Ansa la possibilità di «lasciare il Cda, perché ho richieste di mercato. Ma prima devo parlarne con M5s e Sel che mi hanno indicato». Freccero sembra dunque aver voluto esprimere in maniera plateale segnali di malessere: «Nella riunione del Cda ho avanzato una ventina di proposte per i palinsesti autunnali, che non troveranno attuazione perché non ho raccomandazioni dei poteri forti». Il caso Freccero piomba sulla scena proprio mentre ancora si cerca il sostituto di Paolo Messa (è stato rinviato l’ ufficio di presidenza della Commissione di Vigilanza per decidere quando votare per la sostituzione) e piomba a conclusione di una giornata in cui il nuovo dg Mario Orfeo ha superato con percorso netto lo scoglio della nomina del direttore del Tg1. Sono comunque giorni concitati, tant’ è che non si è perso tempo riconvocando alle 17 di ieri un Cda, 24 ore dopo quello che ha dato via libera al Piano di deroghe al tetto ai compensi per big e artisti spianando la strada alla definizione dei palinsesti autunnali 2017-2018. La presentazione ufficiale resta confermata per il 28 giugno a Milano. E anche per questo, visti i tempi stretti, ieri in Cda i direttori di rete – Andrea Fabiano (Rai 1) Ilaria Dallatana (Rai 2); Daria Bignardi (Rai 3); Angelo Teodoli (Rai 4) – hanno iniziato ad alzare il velo sulle proposte. La riunione del Cda è terminata attorno alle 21.30 e un prossimo aggiornamento, sempre con i direttori di rete, è previsto nella prossima settimana. Al momento si starebbe lavorando sull’ approdo di Fabio Fazio a Rai 1 (sempre che ci sia l’ accordo). Un programma di Michele Santoro andrebbe su Rai3. Previsto il raddoppio di Lucia Annunziata con “In mezz’ ora” prima parte e “In mezz’ ora” seconda parte. Anche Bianca Berlinguer dovrebbe avere più spazio. Non ancora deciso il conduttore di Domenica in anche se i rumors indicano Cristina Parodi. Per Rai 2 si punta alla riconferma del programma di Mika, e ci sarà la riconferma de Il Collegio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Montanari direttore del Tg1 Greco per Radio1 e Gr

Italia Oggi

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Il cda della Rai ha nominato ieri all’ unanimità Andrea Montanari direttore del Tg1 al posto di Mario Orfeo, diventato meno di una settimana fa direttore generale di viale Mazzini. Attualmente alla guida del Gr1 e di Radio1 Rai, Montanari è stato proposto dallo stesso Orfeo, del quale è stato stretto collaboratore e vice al Tg1 prima di passare alla radio. Alla direzione di Radio1 e del Gr andrà invece Gerardo Greco, già corrispondente Rai a New York e a lungo conduttore di Agorà su Rai 3.

Montanari al Tg1, Greco al Gr1. Freccero via dal Cda?

La Repubblica

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ROMA. Andrea Montanari alla direzione del Tg1 e Gerardo Greco al Giornale Radio e a Radio1: questo il nuovo assetto Rai deciso da viale Mazzini. Le nomine sono state approvate ieri dal cda della tv pubblica, all’ unanimità per quanto riguarda Montanari e con il solo voto contrario di Carlo Freccero sul nome di Greco. La scelta è ricaduta su figure interne all’ azienda stessa: successore del neo dg Mario Orfeo (ex direttore del Tg1) è Andrea Montanari (59 anni), in Rai dal 1991 e dal 2016 direttore del Gr e Radio1. Al suo posto subentra invece Gerardo Greco (51 anni), nella tv di Stato dal 1992 e dal 2013 conduttore di Agorà su Rai3. Soddisfatta l’ Usigrai per la scelta di valorizzare risorse interne. Ieri sera però Carlo Freccero ha annunciato di volersi dimettere dal cda: «Ne parlerò prima con i parlamentari di Sel e M5S che mi hanno indicato per questo ruolo». ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset rilancia sui diritti tv e punta al bando per la Serie A

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Nel day after della vittoria di Sky nella gara per i diritti tv della Champions 2018/21, Mediaset rilancia ricordando che nella prossima stagione i match della massima competizione continentale saranno ancora visibili in esclusiva sui propri canali. E con una nota emessa nel pomeriggio fa presente che punterà a prendersi una rivincita in autunno con il nuovo bando della Serie A. La Borsa ha premiato ieri il gruppo di Cologno con una chiusura a Piazza Affari in crescita dello 0,87% a 3,49 euro. Una pacca sulle spalle con ogni probabilità legata al peso dei diritti, conquistati da Mediaset all’ ultima tornata, ma che non hanno portato i risultati auspicabili in termini di nuovi abbonati e ricavi. Già mercoledì, a caldo dopo l’ ufficializzazione della vittoria di Sky nell’ asta per i diritti di Champions ed Europa League 2018-2021, Mediaset ha comunicato di aver «fatto la cosa giusta» con «un’ offerta importante, ma razionale». Ancora più chiaramente la nota di Cologno ha segnalato la propria come «un’ offerta più elevata rispetto a quella precedente in ragione della partecipazione di quattro squadre italiane». Elementi da cui si deducono due cose: che nonostante le traversie di Premium, non si rinnega la scelta precedente e che, comunque, su questa asta alla fine ci avevano puntato. La rincorsa delle indiscrezioni nelle ultime ore sulle cifre sull’ effettivo investimento del Gruppo Murdoch è quella delle grandi occasioni. Andando per deduzione e considerando che Mediaset ha parlato di un’ offerta maggiorata, rispetto ai 227 milioni del triennio in corso, sembrerebbe profilarsi un’ offerta complessiva di poco superiore agli 800 milioni per il triennio da parte di Sky, con una quindicina di milioni per l’ Europa League e attorno ai 260 per la Champions. C’ è tuttavia da dire che in questa tornata la Uefa fin dall’ emanazione dei bandi ha reso noto che avrebbe premiato offerte che includessero entrambe le competizioni continentali nell’ ottica di valorizzarle e tenendo conto del fatto che una fetta consistente del montepremi dell’ Europa League deriva da quanto accumulato dalla Champions. I diritti sono così stati venduti unitariamente in Uk (Bt verserà 394 milioni di sterline all’ anno) e in Francia (dove Sfr pagherà 350 milioni). Con un’ offerta così, e considerando un’ Arpu media di 42 euro, ripagare questo investimento per Sky necessiterebbe di circa 500mila abbonati in più all’ anno. Un calcolo questo, che però è onestamente prematuro visto che occorrerà vedere come la tv di Murdoch si comporterà sia sulla Serie A sia sugli altri diritti che ha al momento a disposizione. Insomma dal mix si arriverà alla spesa totale e si vedrà di quanto superiore al passato. La scommessa di Sky sarà comunque quella di mettere a valore questo asset, magari sfruttando l’ impegno di questi anni su altri prodotti, in assenza di Champions, come XFactor, Gomorra, Masterchef solo per citarne alcuni. Dalla sua la Tv di Murdoch ha ‘expertise nel segmento pay, che forse a Mediaset è mancata nel “confezionamento” di Premium. Dal canto suo Mediaset promette battaglia. «I diritti tv per i campionati di Serie A 2018-2021 devono ancora essere aggiudicati. L’ assegnazione è ipotizzata entro fine 2017 e Mediaset parteciperà all’ asta con l’ obiettivo di ottenere la migliore offerta televisiva calcistica per i tifosi italiani». Di sicuro in questa frase c’ è un’ indicazione di non disimpegno per Premium. Tutto sta a capire se sarà stand alone o, come da tempo suggerisce il mercato, con qualche sinergia con Vivendi oppure con Tim. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Vivendi-Mediaset, prima tappa l’ Agcom

Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Se anche avessero voluto, Vivendi e Mediaset non avrebbero potuto fumare il calumet della pace sui diritti del calcio. Questo perchè, da una parte, i bandi così come formulati non consentivano grandi margini di collaborazione nè per la Serie A, nè per la Champions League. E, dall’ altra, la questione ancora aperta con l’ Agcom, che ha bandito la contemporanea presenza dei francesi in Telecom e Mediaset con quote superiori al 10%, avrebbe comunque inibito qualsiasi tipo d’ accordo che, permanendo la situazione di violazione del Tusmar, sarebbe stato annullabile. Ora le partite europee se le è aggiudicata Sky, mentre per il campionato italiano l’ asta, dopo il flop di inizio mese, è stata rinviata a novembre/dicembre. A seconda di come saranno riformulati i bandi si vedrà se si presenterà una seconda chance per dar vita a una collaborazione tra i due (o forse i tre) gruppi. Ma nel frattempo il banco di prova è la valutazione che l’ Agcom darà del piano che gli avvocati di Vivendi presenteranno lunedì allo scadere del termine fissato(il dossier è affidato in particolare all’ avvocato Giuseppe Scassellati Sforzolini, partner dello studio Cleary Gottlieb). A quanto risulta, la soluzione che Vivendi porterà all’ Agcom è il trasferimento a un trust della partecipazione Mediaset in eccesso al 10% dei diritti di voto. Contemporaneamente però Vivendi presenterà ricorso al Tar del Lazio contro la delibera dell’ Authority che il 18 aprile scorso ha imposto, di fatto, di scegliere tra Telecom e Mediaset. Ciò significa di fatto che la partecipazione dal 10% al 29,9% dei diritti di voto sarà sterilizzata fino al momento in cui troverà collocazione definitiva, a meno che prima del 18 aprile dell’ anno prossimo (termine ultimo per sistemare la questione) intervenga una sentenza di merito del Tribunale amministrativo che ribalti quanto disposto dall’ Agcom. L’ Authority delle comunicazioni non potrebbe accettare una soluzione con l’ elastico e d’ altra parte non può nemmeno impedire il ricorso. Nelle ultime settimane i contatti tecnici sul tema sono stati costanti e dunque è da immaginare che la soluzione trust sia accettabile. Ma appunto, in caso contrario, eventuali accordi nel triangolo Vivendi-Telecom-Mediaset sarebbero annullabili, calcio compreso. Il quadro dovrebbe comunque essere più chiaro per l’ assemblea di bilancio Mediaset che si tiene il 28 giugno. A parte il rinnovo della delega al consiglio per il riacquisto di azioni proprie fino al 10% del capitale, non ci sono altri punti straordinari all’ ordine del giorno, nè Vivendi ha fatto richiesta di integrazione. Eventuali mosse da parte di Mediaset per rafforzare le difese dovranno perciò nel caso essere proposte a una successiva assemblea straordinaria, con la certezza che Vivendi, essendo “calmierata” al 10% (con Fininvest ormai oltre il 41%), non avrebbe più il potere di veto connesso alla disponibilità di almeno un terzo dei voti presenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Sole 24 Ore, valore assoluto per l’ intero sistema associativo»

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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«Il Sole 24 Ore è un valore assoluto per l’ intero sistema associativo di Confindustria: non può, dunque, essere valutato che in termini positivi il fatto che Assolombarda abbia espresso la sua disponibilità a partecipare assieme ad altri al rilancio del quotidiano e del Gruppo editoriale». Lo scrive Confindustria in un comunicato «con riferimento alle false informazioni riportate nell’ articolo pubblicato oggi (ieri, ndr) da Lettera 43». «Il Consiglio Generale di Confindustria – si legge ancora nel comunicato – ha deliberato, a larghissima maggioranza, di aderire all’ aumento di capitale proposto dal management del Sole 24 Ore. Confindustria aderirà sottoscrivendo un importo fino a 30 milioni di euro nei modi e nei tempi che saranno definiti nella prossima assemblea della società. È insussistente ogni e qualunque diversa ipotesi: il ricorso a procedure liquidatorie o concorsuali sono conseguentemente irreali e fantasiose. La scelta di aderire all’ aumento di capitale deriva da tre rilevanti considerazioni. La prima è che il Sole 24 Ore è un asset strategico per Confindustria. La seconda è la fiducia nel Piano industriale e di rilancio approvato dal Consiglio di amministrazione sulla base di accurate analisi preparate da un primario advisor finanziario, che ha altresì determinato il valore del fabbisogno patrimoniale e finanziario della società nonché il valore del conseguente apporto di capitale proposto agli azionisti. La terza è la fiducia nella competenza e professionalità del management scelto 7 mesi fa per guidare il Gruppo, Giorgio Fossa e Franco Moscetti, e del Direttore Guido Gentili, nei confronti dei quali non esiste alcun contrasto». La nota di Confindustria conclude: «Trattandosi in ogni caso di questioni relative a società quotata, sarà dato mandato ai legali di segnalare alle Autorità competenti tutte le notizie e le informazioni non corrispondenti al vero e, comunque, decettive di una corretta rappresentazione al mercato ed ai risparmiatori». Intanto sempre ieri Radio 24 ha comunicato che a far data dal 16 giugno 2017 cessa la collaborazione con Giovanni Minoli, conduttore del programma del mattino Mix24. La decisione – spiega una nota di Radio 24 – è motivata dal fatto che la trasmissione Mix24, nei quattro anni di messa in onda non ha mai incrementato in maniera significativa gli ascolti di quella fascia, come invece ci si augurava visto anche l’ elevato investimento economico sul programma. Nella stagione precedente all’ arrivo di Minoli, 2012/2013, la fascia dalle 9.00 alle 11.00 registrava 226.000 ascoltatori nel quarto d’ ora medio con 2,2% di share. Le tre stagioni successive 2013/2014, 2014/2015, 2015/2016 con Mix 24 hanno registrato una media ponderata di 221.000 ascoltatori con 2,1% di share, mentre nel periodo 2014 – 2016 Radio 24 ha aumentato complessivamente i propri ascolti dal lunedì al venerdì del +12,3%. Radio 24 ringrazia Minoli per il contributo dato all’ emittente news&talk del Gruppo 24 Ore con la sua professionalità e gli augura ogni successo per il suo futuro professionale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il concerto live di RadioItalia fa il pieno di sponsor

Italia Oggi

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Crescono i partner per il doppio appuntamento dell’ annuale concerto live di RadioItalia che, dopo Piazza del Duomo a Milano domenica 18 giugno, sarà di scena anche venerdì 30 giugno al Foro Italico di Palermo. «Siamo alla sesta edizione di un appuntamento unico e attesissimo che si è affermato nel tempo come il più grande evento musicale gratuito d’ Italia», spiega Marco Pontini, direttore generale marketing e commerciale Radio Italia, «una caratteristica che anche quest’ anno il mercato ha riconosciuto: sono infatti nostri partner brand prestigiosi. Questa edizione di «Radio Italia Live -Il concerto» sarà speciale: due date, due piazze e per la prima volta, la diretta contemporanea di entrambe le serate, oltre che su tutti i nostri mezzi, anche su Real Time e Nove. E ancora: un nuovo stile per l’ evento pensato e realizzato da Sergio Pappalettera, che ha firmato il nuovo logo e ogni aspetto visual. Avrà anche una nuova sigla realizzata in collaborazione con Saturnino. Siamo pronti per queste due serate speciali che vivranno sui nostri social e su quelli di Discovery con l’ hahstag dedicato #rilive». Il concerto, condotto nelle due serate da Luca Bizzarri e Paolo Kessissoglu, vede come media partner Telesia (la GO TV di Class Editori), Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Vanity Fair, ScuolaZoo e sarà trasmesso in diretta contemporanea su Radio Italia, Radio Italia Tv (canale 70 DTT, 570 HD; canale 725 SKY, canale 35 TvSat, 135 HD, solo in Svizzera Video Italia HD), in streaming audio/video su radioitalia.it. Vivrà in inoltre tempo reale sulle app gratuite «iRadioItalia» per iPhone, iPad, Android, Kindle Fire, Windows e Windows 8. Della serata sono altresì partner Edison e Vodafone. Gold Partner: SuperJackpot di SuperEnalotto, Gruppo Ospedaliero San Donato, Gnv, Vecchia Romagna. Partner tecnici, Trenord e diDesign; fornitori ufficiali Acqua San Benedetto, Bortolin Angelo Spumanti, Ristorante Terraferma. Novità dell’ edizione 2017 è la diretta contemporanea di entrambe le date su Real Time, canale 31 del DTT e fiore all’ occhiello del gruppo Discovery Italia e su Nove, il canale generalista del gruppo. Saliranno sul palco di Piazza Duomo a Milano il 18 giugno Alessandra Amoroso, Benji e Fede, Andrea Bocelli, Emma, Francesco Gabbani, Giorgia, J-Ax e Fedez, Fiorella Mannoia, Nek, Samuel, Umberto Tozzi. Per Radio Italia 3.0 Elodie, Lele e per Radio Italia World Anastasia. Protagonisti al Foro Italico a Palermo saranno Alessio Bernabei, Gigi D’ Alessio, Lorenzo Fragola, Francesco Gabbani, J-Ax e Fedez, Nek, Eros Ramazzotti, Francesco Renga e Samuel, per la prima volta di nuovo insieme Le Vibrazioni e, infine, Nina Zilli. Per Radio Italia 3.0 Marianne Mirage, Sergio Sylvestre e per Radio Italia World Bob Sinclair. Ad accompagnare le performance dei cantanti l’ Orchestra Filarmonica Italiana diretta dal maestro Bruno Santori.

Drahi si concentra su Libération e L’ Express in edizione digitale

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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La base di partenza non è entusiasmante: 3.061 abbonati all’ edizione digitale di Libération e poco più di 8 mila a quella del settimanale L’ Express. Ma è da qui che Patrick Drahi, il tycoon franco-israeliano che ha appena sistemato tutte le sue partecipazioni editoriali, televisive (la rete all news Bfmtv) e telefoniche (Sfr) sotto il marchio-ombrello Altice, vuole partire per abbandonare l’ edicola (reale) e dirottare le sue testate più importanti sull’ edicola virtuale (servizio già attivo sui telefonini e i tablet Sfr). Il modello cui s’ ispira il suo braccio destro, Alain Weill, l’ uomo che ha creato Bfmtv e poi l’ ha ceduta a Drahi, è il New York Times che in poco tempo (ma a fronte d’ investimenti colossali, va detto) ha superato «la barre» dei due milioni di abbonati all’ edizione digitale con una «rentabilité», margini e Ebitda, ben superiori a quella dell’ edizione tradizionale, cartacea. Esperienza replicabile in Francia e nella vecchia Europa? Weill non ha dubbi. «La presse traditionelle va dans le mur», i giornali di carta non vanno da nessuna parte, l’ editoria o cambia o si schianta, dice con molto ottimismo. Per poi precisare che «l’ activité papier exsistera tant qu’ elle est rentable», i giornali di carta esisteranno finché ci sarà un ritorno economico, magari minimo. Dopo di che, è la stampa bellezza, si chiude. Probabilmente le dichiarazioni di Weill sono eccessive e servono solo da «copertura ideologica», diciamo così, di una strategia aziendale di Altice che punta decisamente sul digitale (anche) per occultare le perdite pesanti delle attuali diffusioni delle sue testate più importanti, L’ Express, che ha in poco più di anno ha fatto tre restyling e cambiato direttore (Christophe Barbier, un tipico bobò parigino, marito della signora Yamini Kumar, potentissima responsabile della comunicazione di Hermès, ha lasciato il posto al suo caporedattore), e Libération vicino al livello minimo delle vendite al di sotto del quale non ci sarebbe stata altra scelta che la chiusura (o la trasformazione in digitale, appunto) come ha sempre annunciato lo stesso Weill. In ogni caso, bisognerà aspettare, come capita sempre in questo periodo in Francia, la «rentrée», la ripresa autunnale per vedere i dettagli di questa massiccia operazione di digitalizzazione definitiva dei grandi giornali. I piccoli, nel frattempo, sono stati quasi tutti ceduti per fare cassa, ça va sans dire. Dopo la chiusura di Expansion (assorbito da L’ Express), l’ altro mensile economico Mieux vivre votre argent è stato ceduto (per 5 milioni di euro) al finanziere franco-libanese Iskandar Safa, editore del settimanale di destra Valeurs Actuelles, che nei mesi precedenti le elezioni ha avuto un autentico boom diffusionale e ora cerca di accreditarsi come l’ unica voce dissonante rispetto al pensiero unico macroniano. La Lettre d’ Expansion, newsletter di servizio rivolta agli investitori professionali, è passata al gruppo Le Figaro. I mensili di arredamento e architettura (Côté Ouest, Côté Est ecc.) sono stati rilevati da un manager interno (il direttore generale dell’ Express) che ha deciso di mettersi in proprio. Le testate di cinema sono finite all’ editore concorrente (Premier Media che pubblica i mensili Première e Le film français). Le testate professionali, la cosiddetta stampa tecnica (come Le journal des télècoms, Pneumatique, Cosmetiquemag e tanto altro), sono tornate al loro vecchio editore, quel Marc Lauffer, amico personale di Drahi e compagno di scorrerie finanziarie (è stato lui, per dire, a gestire l’ ingresso del tycoon nella proprietà di Libération attraverso un veicolo finanziario di diritto lussemburghese, come si usa fare in questi casi). Lauffer, di cui è noto lo stile ruvido nelle relazioni con i giornalisti (ai nuovi arrivati delle testate ex Drahi ha detto subito: «Non so quanti di voi saranno ancora qui tra qualche mese»), ha rilevato anche la testata L’ Etudiant con annessi Salon de l’ Etudiant e Job Rencontres. Insomma, Drahi ha fatto quello che qui si chiama «vider le grenier», svuotare il granaio cioè le cantine e le soffitte di tutto quel che non serve. Operazione che si fa in questo periodo, tra la primavera e l’ estate, e non genera incassi particolari. Anche nel caso dei giornali di Altice. «La vente ne se fait pas à un prix très important», ha ammesso lo stesso Weill, non è stato un grande affare dal punto di vista economico. L’ importante era, appunto, «svuotare la cantina», liberarsi dei prodotti inutili e concentrarsi sul digitale che verrà. Alla «rentrée», ai primi freddi d’ autunno. © Riproduzione riservata.

Mediaset, tesoretto da 500 mln

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il gruppo Mediaset aveva messo a budget fino a 500 milioni di euro all’ anno da spendere in diritti tv sportivi. Sempre ammesso che il Biscione abbia effettivamente ancora voglia di competere su questo campo da gioco, ecco, adesso, dopo aver perso l’ asta dei diritti tv Champions league ed Europa league di calcio 2018-2021, si ritrova il tesoretto intatto. Che farsene? Molto dipenderà dalla evoluzione della vicenda con Vivendi. Ma, ipotizzando che la pace tra il Biscione e i francesi non arrivi per tempo, ci sono una serie di scadenze imminenti. Innanzitutto, a breve, partirà l’ asta per i diritti tv della Formula Uno, che Sky ha in esclusiva fino al termine del 2017. Poi ci sarà la nuova asta per i diritti tv della Serie A di calcio 2018-2021, cui seguirà quella per Coppa Italia e Supercoppa. Nel 2018, inoltre, ci sarà l’ asta per i diritti della MotoGp, in esclusiva su Sky fino al termine del 2018. Andrà anche rinnovato il contratto con i canali di Eurosport (visibili su Premium e su Sky), in scadenza anch’ esso nel 2019. Quindi è giusto ribadire che nella stagione 2017-2018 nulla cambia per Mediaset Premium, che avrà la Champions in esclusiva, le partite delle principali squadre di serie A e i canali di Eurosport. Ma è altrettanto corretto affermare che i destini di Premium, e del centinaio di persone che lavorano allo sport, di cui una cinquantina giornalisti, si decidono nelle prossime settimane, vincendo o meno le aste che mettono in palio i contenuti pregiati. Per la Formula Uno si parte dai circa 50 milioni di euro all’ anno pagati da Sky; per la Coppa Italia e la Supercoppa dai 22 milioni versati dalla Rai; per la Moto Gp dai 24 milioni all’ anno pagati da Sky. Il gruppo Mediaset, peraltro, a prescindere dalle offerte in pay tv, dovrà anche stabilire se lo sport, nei prossimi anni, farà o meno parte dei suoi canali generalisti free to air. Mentre la Rai, infatti, propone in chiaro alcune gare di Formula Uno, la Coppa Italia di calcio, le partite della Nazionale italiana, gli Europei e i Mondiali di calcio, le Olimpiadi o il grande ciclismo, i canali di Mediaset, invece, dal luglio 2018 avranno, per ora, solo la Superbike. Che non è proprio uno spettacolo imperdibile. Sui diritti della Formula Uno si tratterà di vincere la concorrenza di Sky e pure di Discovery (i nuovi proprietari della F1, ovvero Liberty Media, controllano infatti anche il gruppo televisivo Discovery), che potrebbe magari trattenere i diritti in chiaro ora concessi alla Rai. Più probabile, invece, che Mediaset possa aggiudicarsi i diritti in chiaro della Coppa Italia e della Supercoppa di calcio, con un forte rilancio rispetto ai 22 mln annui pagati dalla Rai fino al giugno 2018. Sulla Serie A si tratterà di vedere come verrà organizzato il nuovo bando, ma si può probabilmente escludere che vengano offerti pacchetti per partite in chiaro. La vittoria di Sky, che ha messo sul piatto 270 milioni di euro all’ anno per i diritti esclusivi di Champions league ed Europa league di calcio, apre la porta ad almeno un paio di deflagranti conseguenze nell’ universo televisivo italiano. Da un lato, può essere il primo passo verso la fine della avventura di Premium, da cui Sky, comunque, trarrebbe indubbi vantaggi in termini di nuovi abbonati; dall’ altro, se Sky conserverà i diritti esclusivi anche in chiaro, potrebbe rappresentare una crescita ancor più rapida di Tv8 come grande competitor nel territorio generalista, che è il core business di Mediaset. Il canale Tv8 di Sky, infatti, viaggia ormai attorno al 2% di share in prima serata. Già propone le partite di Europa league in chiaro (che in alcuni casi toccano pure picchi del 6-8%) e le gare di MotoGp (con share in doppia cifra, spesso vicini al 20%). Le partite di Champions league con squadre italiane, in base a stime interne, da sole varrebbero mezzo punto di share medio in più al mese in prime time. E Tv8, quindi, potrebbe superare di slancio il 3% di share già nell’ autunno del 2018. Rimane il tema dei costi-benefici: questa gara muscolare gonfia sicuramente gli ascolti, trattiene gli abbonati, magari li aumenta pure. Ma costa tantissimo. Premium ha dovuto incassare una perdita monstre di 384,4 milioni di euro nel 2016. E, va ricordato, pure Sky Italia ha chiuso in perdita nel 2013, nel 2014, e anche nel 2016 (-38,1 milioni di euro di rosso) nonostante non avesse il bilancio gravato dagli alti costi della Champions che, invece, incideranno dal 2018 in poi. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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La nave di Teseo acquisisce la Baldini e Castoldi. La Nave di Teseo ha acquisito il 95% della casa editrice Baldini & Castoldi, ricapitalizzandola, senza ricorrere a prestiti bancari ma attraverso risorse proprie. Il 5% della Baldini & Castoldi rimane a Filippo Vannuccini. Ad annunciarlo è stata ieri la stessa casa editrice di cui è direttore generale Elisabetta Sgarbi ringraziando «Michele Dalai per l’ impegno profuso in questi anni in Baldini&Castoldi, augurandogli ogni fortuna per le sue prossime avventure». Agenzie, dal consiglio di stato no alla sospensione del bando europeo. Non sarà sospeso il bando europeo varato dalla presidenza del consiglio dei ministri sui servizi forniti dalle agenzie di stampa. Lo ha deciso il consiglio di stato respingendo la richiesta di sospensione avanzata da Fcs Communications srl, editrice dell’ agenzia di stampa Il Velino. Il 31 maggio scorso era stato il Tar del Lazio a respingere una analoga richiesta. Radio 24, stop alla collaborazione con Minoli. Radio 24 da oggi cessa la collaborazione con Giovanni Minoli, conduttore del programma del mattino Mix24. «La decisione, come spiegato al dr. Minoli», ha affermato il Gruppo Sole 24 Ore in una nota, «è motivata dal fatto che la trasmissione Mix24, nei 4 anni di messa in onda non ha mai incrementato in maniera significativa gli ascolti di quella fascia, come invece ci si augurava visto anche l’ elevato investimento economico sul programma». A Razzi il web di LaPresse. Nuovo ingresso in LaPresse. Dal primo luglio Massimo Razzi sarà il nuovo coordinatore dell’ area web dell’ agenzia di stampa multimediale. Genovese di nascita e romano d’ adozione, Razzi ha lavorato come giornalista all’ Unità, al Corriere Mercantile, al Lavoro e a Repubblica. A partire dal 1999 ha iniziato a sviluppare l’ online del gruppo, è stato caporedattore di Rep.it, responsabile del sito ReLeInchieste, direttore del visualdesk del Gruppo Espresso e direttore di Kataweb.

Nave di Teseo rileva Baldini&Castoldi

Il Sole 24 Ore

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La Nave di Teseo editore ha acquisito il 95% della casa editrice Baldini & Castoldi, ricapitalizzandola, senza ricorrere a prestiti bancari ma attraverso risorse proprie. Il 5% della Baldini & Castoldi rimane a Filippo Vannuccini. Lo annuncia la casa editrice di cui è direttore generale Elisabetta Sgarbi ringraziando «Michele Dalai per l’ impegno profuso in questi anni in Baldini&Castoldi, augurandogli ogni fortuna per le sue prossime avventure».

Internet, ad aprile spinge il mobile

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Aprile, mese di Pasqua e del ponte per il giorno della Liberazione, non ha beneficiato all’ audience di Internet, come mostra la tabella in pagina elaborata da ItaliaOggi sui dati Audiweb. C’ è però oltre la metà dei brand che guadagna comunque utenti rispetto al mese precedente sul mobile e questo porta un beneficio sul dato totale. L’ equazione ferie=crescita degli utenti da dispositivi mobile non è sempre vera o perlomeno non per tutti i brand, ma è anche logico che andando meno in ufficio (la navigazione da pc è ormai legata per lo più a questo) si utilizzino maggiormente smartphone e tablet. Il record per incremento su mobile è dell’ Espresso (+191,2%), ma stiamo parlando di 17 mila utenti contro i quasi 6 mila precedenti e con numeri così bassi la variabilità statistica tra un mese e l’ altro è molto alta. L’ Espresso, comunque, va bene anche da pc tanto che gli utenti totali giornalieri del perimetro organico ad aprile aumentano del 48,9% a quota 53 mila. Anche il Messaggero fa un bel balzo su mobile (+72%) a 353 mila utenti e nel totale cresce del 31,2% arrivando al quinto posto dal nono precedente. Il Post è a +26,6% su smartphone & co. ma essendo calato su pc va a -14% nel totale. Simile movimento per La Stampa: +25% mobile ma +0,7% totale. TuttoMercatoWeb è a +24,8% e +14,6% rispettivamente e cresce anche Repubblica: +20,7% da mobile e +4% totale con oltre 1,4 milioni di utenti al giorno, il sito con più visitatori in assoluto fra quelli delle news in Italia. Proseguendo nella classifica per incrementi da mobile si trovano il Centro (+20,4% e +10,6% totale), TgCom24 (+20% e +5,8%), Corriere dello Sport (+13,9% ma -1,4% totale), Donna Moderna (+12,8%, +5,7%), Ansa (+12,4%, -3,5%), Milano Finanza (+11,5%, -1,9%), Fatto Quotidiano (+10,6%, -9,7%), Wired +10%, -2,4%), Calciomercato (+8,8%, +16,8%), TuttoSport (+7,7%, -4,1%), Unione Sarda (+5,1%, -16%), Giornale (+3,7%, -4,3%). Con il Corriere della Sera (+2,1% su mobile e -2,2% totale) si chiude la serie dei siti delle news che guadagnano utenti su questi dispositivi. Che il mobile stia diventando sempre più importante lo dimostrano anche i dati segnalati da Audiweb: nel giorno medio ad aprile sono stati 23,7 milioni gli italiani dai due anni in su che hanno navigato dai device rilevati (pc, smartphone e tablet), con 13,5 milioni di 18-74enni che lo hanno fatto esclusivamente da mobile. Fra le testate nazionali in tabella che non rientrano fra quelle che crescono nel mobile ci sono la Gazzetta dello Sport a -1,1% della total audience, Libero Quotidiano -6,6%, Sole 24 Ore -15%, Quotidiano.net -8,7%. Per quanto riguarda i siti della televisione, nonostante Mediaset.it Live e on demand sia in calo del 6,9% su un mese prima resta ancora il sito di gran lunga più visitato della categoria con 479 mila utenti. L’ andamento è anche legato alle trasmissioni Mediaset e ad aprile tra le altre cose c’ è stata la finale dell’ Isola dei famosi. Rai Play cala del 12% a 390 mila utenti. Da segnalare inoltre SkySport +2,7%, Rai News +9,9% e un mobile che aumenta del 16,7%. In crescita anche Viacom (+15,9%), Leitv (+14,2%), Fox (+10%), Eurosport (+15,7%), La7 +1,8%, tutti siti che vanno bene anche su mobile. Fra le radio, infine, si evidenzia il +5,2% di Radio Italia. © Riproduzione riservata.

Pubblicità online: questo è veramente l’ anno del mobile, dice l’ Osservatorio Internet Media. Ma sono gli over the top che si prendono l’ 80% degli investimenti

Prima Comunicazione

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Claudio Cazzola – “Questo è l’ anno del mobile è una battuta che abbiamo già sentito diverse volte gli scorsi anni”, ha osservato Umberto Bertelè, presidente degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, alla presentazione dei dati sugli Internet Media, il 14 giugno, nell’ aula magna del nuovo Politecnico Bovisa. Questa volta non si è trattato però di un auspicio o di una previsione avventata. Nel 2016 (anno a cui si riferiscono i dati della ricerca del Politecnico) gli utenti italiani hanno trascorso oltre il 60% dei tempo speso online proprio sugli smartphone. Peccato che – come ha notato Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’ Osservatorio Internet Media – la raccolta pubblicitaria su smartphone rappresenti per ora solo il 30% del totale della pubblicità online, e sia quindi molto lontana dall’ importanza che questo device ha assunto nella dieta mediatica degli italiani. Non migliore la situazione per i tablet (o meglio per le app sui tablet) che hanno ancora un peso marginale, visto che rappresentano solo il 5% del mercato pubblicitario online, anche se in crescita del 36% rispetto al 2015. Il grosso della pubblicità online, il 65% del totale, passa dunque ancora attraverso il desktop. Il peso del Pc nel mercato pubblicitario sta però diminuendo di anno anno, mentre quello dello smartphone è in forte crescita: l’ anno scorso la pubblicità sui device mobili ha raggiunto i 706 milioni di euro, il 54% in più rispetto al 2015. Questo significa che gli editori online devono dedicare molta attenzione a questo segmento del mercato: chi non l’ ha ancora fatto, ad esempio, deve affrettarsi a rendere responsive (cioè accessibili su tutti gli schermi) i propri siti web. Altrimenti gli editori perderanno ancora più terreno rispetto agli over the top, i big internazionali del web come Google e Facebook, che già assorbono il 67% degli investimenti totali, ma sul mobile spadroneggiano, arrivando a controllare addirittura l’ 82% degli investimenti. Secondo i dati dell’ Osservatorio, il mercato pubblicitario complessivo vale 7,7 miliardi di euro in Italia. Nel 2016 è cresciuto del 4%, invertendo finalmente il trend negativo degli scorsi anni. La televisione resta il mezzo dominante: controlla infatti il 50% del mercato e cresce del 5% rispetto al 2015. Al secondo posto gli Internet media che rappresentano il 30% del mercato e che sono cresciuti di 9 punti percentuali. Terza la stampa, al 15%, che prosegue il suo declino (-6% nell’ ultimo anno): in pratica la sua quota è la metà rispetto al 2008. Stabile (+2%) la radio, che però rappresenta solo una nicchia del mercato, il 5%. Si conferma così ancora una volta l’ anomalia italiana di una televisione che domina ancora il mercato, mentre in Europa è già stata scavalcata da Internet. Lo ha sottolineato Chiara Mauri, marketing manager di Iab Italia, illustrando i dati dell’ AdEx Benchmark Study, presentati lo scorso maggio. L’ online è il primo mezzo pubblicitario in Europa già dal 2015 e nel 2016 il sorpasso è risultato ancora più netto. Il paese più avanzato è il Regno Unito, la cui raccolta pubblicitaria online è due volte e mezzo quella della Germania. L’ Italia si colloca al quinto posto nella classifica europea. Da noi l’ online cresce, ma meno della media del continente. Superiamo la media solo nel video advertising, in particolare nei pre roll, che sono valutati bene anche in termini di cpm (costo per mille impression). Il video è stato oggetto di un approfondimento da parte di Guido Argieri della Doxa, che ha presentato i risultati di una ricerca sulle modalità di consumo, condotta su un campione della popolazione italiana. Risulta che le classi di età più anziane (i cosiddetti baby boomers) guardano ancora molta tv in diretta, lasciandosi guidare dalla programmazione, mentre per la generazione x dei trentenni e quarantenni e soprattutto per i più giovani (i millennials) sta diventando un’ abitudine la nuova tv che si guarda in streaming su Internet, a pagamento o in modo gratuito. Youtube rappresenta il 54% della fruizione gratis in streaming, seguito dalla replay tv della Rai, di Mediaset e della 7 (38%) e dagli altri siti, compresi quelli pirata (39%). La propensione al pagamento per i contenuti video è comunque abbastanza elevata, come dimostra il numero di abbonati alla pay tv di Sky e di Mediaset Premium, e ai servizi video on demand come Netflix, Infinity, Now Tv, e Tim Vision. Al contrario la propensione a pagare per le news online è molto scarsa. Il 93% degli intervistati ha dichiarato di non essere disposto a pagare per fruire di giornali, riviste o altre fonti di informazione a pagamento su Internet. Le motivazioni? Il 69% perché giudica sufficienti le news gratuite trovate online, il 23% perché si informa sui giornali cartacei e il 20% perché giudica troppo costosi i contenuti online a pagamento dei giornali. Un’ attenzione particolare è stata dedicata al tema della misurazione, che ha dato titolo al convegno: ‘Internet media, è ora di misurarsi’. “Serve un tavolo delle regole del gioco”, ha affermato Fabrizio Angelini, ceo di Sensemaker che rappresenta comScore in Italia. “Mi auguro che il Politecnico possa giocare un ruolo attivo nel trovare una governance per misurare il mercato”. La misurazione è una procedura molto complessa. Si può misurare l’ impression inviata, quella erogata, quella che ha l’ opportunità di essere vista, quella vista effettivamente dall’ utente (engagement), l’ impatto che l’ impression ha su di lui (branding) e l’ azione o la mancata azione da parte dell’ utente. L’ importante, secondo Angelini, è concentrarsi sui dati realmente importanti e non seguire le mode o i falsi miti che dominano in questo campo. “Il mantra per anni è stato il click through rate, ma le analisi dimostrano che non c’ è lacuna correlazione tra click through rate e vendite o addirittura c’ è una correlazione negativa”, ha osservato Angelini. “Anche i panel online sono da prendere con le molle a causa del loro effetto distorsivo, di due o tre volte rispetto al dato reale”. Secondo Angelini non è neppure il caso però di sopravvalutare i fattori di rischio, come gli ad blocking, il traffico invalido e la brand safety, di cui si parla molto ma che hanno un impatto limitato: “L’ ad blocking in Italia è un fenomeno contenuto e stabile, che riguarda il 13% degli utenti unici desktop; il livello di traffico invalido (generato da bot) è ancora più limitato, in media dell’ 1,16%. La viewability invece è un tema reale: in Italia è al 54%, contro il 50% della Germania e della Francia e il 55% degli Usa. Ancora inferiori gli annunci in target: sono il 47% in Italia, il 44% in Germania e Regno Unito, il 48% negli Usa. Anche la distribuzione delle frequenze non è ottimale, ha detto Angelini: molte persone ricevono troppo poche impression, mentre molte impression sono sprecate su un numero ristretto di persone”. A questi temi è dedicato il Libro bianco sulla comunicazione digitale, curato dalle associazioni che rappresentano le varie componenti del mercato (Upa, Fieg, Fcp, Fedoweb, Iab, Netcomm, Unicom e Assocom), che sarà presentato il 27 giugno prossimo a Milano.

Pensioni, da luglio la nuova quattordicesima: fino a 655 euro. Inps: “Andrà a 1,4 milioni di beneficiari in più”

ilfattoquotidiano.it
F. Q.
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Tra i 336 e i 655 euro in più. E’ la cifra che a luglio riceveranno 3,57 milioni di pensionati italiani a titolo di quattordicesima mensilità. La platea, come emerge dai dati Inps diffusi giovedì, risulta allargata di 1,4 milioni di persone rispetto a quella del 2016 perché la legge di Bilancio 2017 ha previsto che abbia diritto al “bonus” anche chi riceve un assegno compreso tra 1,5 e 2 volte il trattamento minimo , che è di 501,8 euro. E ha aumentato l’ importo per i beneficiari di pensioni uguali o inferiori a 1,5 volte il minimo. Il totale dei beneficiari sale così da 2,12 a 3,57 milioni di italiani . L’ ampliamento della platea farà aumentare l’ esborso per lo Stato da 854 milioni a 1,72 miliardi . La “nuova” quattordicesima è corrisposta ai pensionati con almeno 64 anni e con un reddito complessivo individuale fino a un massimo di due volte il trattamento minimo annuo . Non occorre chiederla: l’ accredito sarà automatico. Ne hanno diritto anche i titolari di pensioni di reversibilità, che ricevono però solo il 60% di quanto sarebbe andato al coniuge defunto. Non spetta a chi riceve trattamenti di carattere assistenziale come l’ assegno sociale Inps (ex pensione sociale ), la pensione di invalidità civile, quella di vecchiaia a favore delle casalinghe. Né ai titolari di pensioni erogate da enti privati come Enasarco , Inpgi e le altre casse previdenziali dei professionisti. Rientrano in questi parametri circa 3,4 milioni di pensionati privati e 125mila pubblici , oltre ai 6mila del settore sport e spettacolo . Di questi, spiega la tabella Inps, circa 2 milioni di ex lavoratori privati e pubblici denunciano una pensione poco sopra i 9mila euro annui (1,5 il trattamento minimo) e in 1,45 milioni, invece, percepiscono un assegno di circa 13mila euro (tra 1,5-2 volte il trattamento minimo). La spesa maggiore è per i pensionati privati con una pensione non superiore ai 9mila euro annui che complessivamente assorbono circa 1,6 miliardi di euro. I pensionati che hanno redditi fino a 1,5 volte il trattamento minimo, pari a 9.786,86 euro annui e che usufruivano già della quattordicesima hanno diritto a 437 euro se da dipendenti hanno versato fino a 15 anni di contributi, 546 euro tra i 15 e i 25 anni di contributi e 655 euro oltre 25 anni di contributi per il lavoro dipendente e 28 per quello autonomo. Chi ha un reddito compreso tra 9.786,86 a 13.049,15 euro riceverà 336 euro fino a 15 anni di contributi, 420 euro tra 15 e 25 anni, 504 euro con contributi oltre 25 anni. Queste cifre valgono per i pensionati da lavoro dipendente, mentre per i lavoratori autonomi vanno aggiunti tre anni in più di contributi. Mentre chi ha già la pensione attende la quattordicesima, a tre settimane dalla firma del premier Paolo Gentiloni non c’ è ancora traccia dei decreti sull’ ape social e sulla pensione anticipata dei lavoratori precoci . I testi, hanno denunciato i sindacati, non sono ancora in Gazzetta ufficiale e questo ritardo riduce all’ osso i tempi per presentare la domanda, considerato che occorre farlo entro il 15 luglio. Marco Leonardi , consigliere di Palazzo Chigi, due giorni fa aveva detto che sarebbero stati pubblicati “entro 2-3 giorni, al massimo tra giovedì e venerdì”.

Parte a Firenze la rivoluzione delle edicole. Meno tasse comunali e più servizi per i cittadini

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Palazzo Vecchio  vara un piano per le rivendite di giornali: sconti sul canone del suolo pubblico per i chioschi e trasformazione in punti anagrafici al servizio della cittadinanza.
Ecco il pacchetto salva-edicole messo a punto dagli assessori al bilancio Lorenzo Perra e allo sviluppo economico Cecilia Del Re, presentato ai rappresentanti di categoria. Preoccupati per le chiusure che si sono moltiplicate negli ultimi anni.
I chioschi pagheranno il 30% in meno sul suolo pubblico a partire dal 2018, poi dal 2019 il 70% (rispetto agli importi 2017): «I nuovi coefficienti verranno applicati ai chioschi-edicole di tutta la città, da quelli del centro a quelli periferici», dice l’assessore al bilancio Perra. Firmatario di una manovra di sostegno che a Palazzo Vecchio costerà, a regime, circa 250mila euro l’anno. Mentre la responsabile dello sviluppo economico Del Re sottolinea come questa piano modificherà «la funzione delle edicole rendendole un centro di servizi».
In pratica, punti anagrafici e di prossimità per i servizi comunali, così come avevano chiesto gli stessi sindacati dei giornalai. Non si potrà fare in edicola la carta d’identità. Si potrà però richiedere, uno dei tanti certificati: matrimonio, morte e nascita; residenza, stato di famiglia e contestuale, stato libero, cittadinanza ed esistenza in vita; estratto dell’atto di nascita; risultanze anagrafiche di matrimonio, morte; certificato contestuale di residenza, cittadinanza, esistenza in vita, nascita, stato civile e stato di famiglia.
«Abbiamo messo a punto un pacchetto di misure per andare incontro alle richieste degli edicolanti e per sostenerli in un momento di crisi a livello nazionale – ha spiegato l’assessore Cecilia Del Re – Per questo, oltre ad agevolare la loro attività con l’abbattimento Cosap, abbiamo studiato un modo per ripensarne la funzione rendendole un centro di servizi al cittadino. Le edicole diventeranno quindi anche un punto anagrafico e di prossimità per i cittadini rispetto ai servizi forniti dall’amministrazione comunale in modo decentrato. Inoltre, come richiesto dagli edicolanti – ha proseguito Del Re – avranno la possibilità di fare pubblicità sfruttando spazi che potranno essere assimilati a pubbliche affissioni».

Ora è possibile separarsi anche online attraverso l’uso della webcam

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Separasi legalmente via webcam, senza muoversi dalla propria città. Accadrà per la prima volta a Vicenza il 20 giugno prossimo, dove due coppie di Bassano del Grappa saranno ascoltate ‘a distanzà dal presidente del Tribunale civile, Alberto Rizzo, al quale spetterà il compito di sancire ufficialmente la fine consensuale del loro matrimonio. In sostanza i quattro prossimi ex sposi si recheranno in una conference room allestita appositamente a Bassano, insieme al cancelliere del tribunale e ai loro legali, e saranno messi in collegamento con una sala analoga del palazzo di giustizia di Vicenza, che dista una trentina di chilometri, dove il presidente espleterà la procedura per sancire la separazione. «È un modo semplice ma efficace – sottolinea Rizzo – per consentire alle persone di risparmiare tempo, denaro e di limitare lo smog delle auto».

Già da due anni il Tribunale di Vicenza ha varato una sorta di ‘rivoluzione telematicà per consentire l’uso della videoconferenza nei casi in cui deve essere designato un amministratore di sostegno per le persone con difficoltà deambulatorie. Oggi quattro pratiche a settimana vengono definite nel capoluogo veneto con questa modalità. Il 29 maggio scorso il Tribunale aveva già stabilito un record, quello di aver celebrato il primo processo «a distanza». Per dirimere una controversia il giudice civile, infatti, aveva ascoltato un consulente senza farlo muovere da Bassano, utilizzando una webcam.

Circolare n. 22 del 16/06/2017 – Conversione in legge decreto legge 24 aprile 2017, n. 50

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Nella giornata di ieri il Senato ha approvato in via definitiva la legge di conversione del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50. La legge di conversione, ancora non pubblicata, ha introdotto quattro importanti novità che sottoponiamo immediatamente all’attenzione.

La prima novità è contenuta nel nuovo articolo 57 bis che a introdotto a decorrere dall’esercizio 2018 un credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari effettuati per campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive locali, analogiche o digitali. Il credito d’imposta è pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti pubblicitari, elevato al 90 per cento per le micro imprese. Il valore incrementale è quello rispetto agli investimenti analoghi effettuati nell’esercizio precedente, ragione per cui segnaliamo già in questa fase che una misura espansiva per il 2018 può avere effetti negativi per l’esercizio in corso. La fruizione del credito d’imposta è subordinata all’esito di un’istanza che andrà trasmessa al Dipartimento per l’informazione e per l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Inoltre, il medesimo articolo prevede l’emanazione da parte del Dipartimento informazione ed editoria di un bando annuale per sostenere i progetti innovativi presentati da imprese editrici di nuova costituzione; i progetti possono essere anche finalizzati a rimuovere stili di comunicazione sessisti e lesivi dell’identità femminile e, comunque, devono essere idonei a promuovere la fruibilità di contenuti informativi multimediali e la diffusione delle tecnologie digitali.

Le risorse sia per il credito d’imposta che per il finanziamento dei progetti innovativi verranno reperite attraverso l’utilizzo del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, di cui all’articolo 1 della legge 26 ottobre 2016, n. 198. Il tetto di spesa per il credito d’imposta verrà deciso annualmente con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’ articolo 64 bis modifica la disciplina in materia di vendita della stampa quotidiana e periodica. Le modifiche intervenute sono importanti e rimandiamo l’analisi ad una specifica circolare che provvederemo ad inviarvi. Segnaliamo, tra le modifiche più significative, l’obbligo che viene imposto alle imprese di distribuzione locale di garantire a tutti i rivenditori l’accesso alle forniture a parità di condizioni, sulla base delle esigenze dell’utenza e sancendo il diritto dei rivenditori alla resa immediata. Inoltre, le edicole poste in zone in cui la fornitura della stampa quotidiana e periodica non è garantita dal distributore locale potranno rifornire direttamente ulteriori punti vendita, anche non esclusivi, sulla base di un accordo.

Non poteva mancare la misura per i prepensionamenti dei grandi giornali che, come al solito, all’articolo 53 bis è passata con la roboante rubrica “ristrutturazione o riorganizzazione di imprese editoriali per crisi aziendale”. In pratica, è stata rifinanziata per il quinquennio 2017-2021 l’anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia, prevista dai piani previsti dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 69. Lo stanziamento è pari a 6 milioni di euro per il 2017, 10 milioni di euro per il 2018, 11 milioni di euro per il 2018, 11 milioni di euro per il 2019, 12 milioni di euro per il 2020 e 6 milioni di euro per il 2021. Viene, quindi, consentito ai giornalisti che fruiscono degli ammortizzatori sociali, quindi della solidarietà o della cassa integrazione, di fruire del trattamento di pensione anticipata a condizione che abbiano compiuto 58 anni se donne, e 60 anni se uomini, e che abbiano almeno 25 anni di anzianità contributiva presso l’Inpgi. Chiaramente il vaso di Pandora è il Fondo per il pluralismo e per l’innovazione.

Anche se, va detto, il comma 3 bis dell’articolo 57 incrementa lo stesso fondo di 25 milioni di euro (portandolo quindi a 125 milioni di euro) per gli anni 2017 e 2018 attraverso l’incremento della quota rinveniente dal cosiddetto sovra gettito della Rai.

Riprenderemo, con un maggior livello di dettaglio, le novità appena trattate nelle prossime circolari.

Editoria, dalla “manovrina”via libera al credito d’imposta. Ecco tutte le novità

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Il Senato ha approvato la legge di conversione del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50. che ha introdotto importanti novità al settore dell’editoria.
La prima è contenuta nel nuovo articolo 57 bis che a introdotto a decorrere dall’esercizio 2018 un credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari incrementali effettuati per campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive locali, analogiche e digitali. Il credito d’imposta è pari al 75 per cento del valore incrementali degli investimenti pubblicitari, elevato al 90 per cento per le micro imprese. Il valore incrementale è quello rispetto agli investimenti analoghi effettuati nell’esercizio precedente, ragione per cui segnaliamo già in questa fase che una misura espansiva per il 2018 può avere effetti negativi per l’esercizio in corso. La fruizione del credito d’imposta è subordinata all’esito di un’istanza che andrà trasmessa al Dipartimento per l’informazione e per l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Inoltre, il medesimo articolo prevede l’emanazione da parte del Dipartimento informazione ed editoria di un bando annuale per sostenere i progetti innovativi presentati da imprese editrici di nuova costituzione; i progetti possono essere anche finalizzati a rimuovere stili di comunicazione sessisti e lesivi dell’identità femminile e, comunque, devono essere idonei a promuovere la fruibilità di contenuti informativi multimediali e la diffusione delle tecnologie digitali.

Le risorse sia per il credito d’imposta che per il finanziamento dei progetti innovativi vengono reperite attraverso l’utilizzo del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, di cui all’articolo 1 della legge 26 ottobre 2016, n. 198. Il tetto di spesa per il credito d’imposta viene deciso annualmente con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il successivo articolo 64 bis modifica la disciplina in materia di vendita della stampa quotidiana e periodica. Le modifiche intervenute sono importanti e rimandiamo l’analisi ad una specifica circolare. Segnaliamo, tra le modifiche più significative, l’obbligo che viene imposto alle imprese di distribuzione locale di garantire a tutti i rivenditori l’accesso alle forniture a parità di condizioni, sulla base delle esigenze dell’utenza e sancendo il diritto dei rivenditori alla resa immediata. Inoltre, le edicole poste in zone in cui la fornitura della stampa quotidiana e periodica non è garantita dal distributore locale potranno rifornire direttamente ulteriori punti vendita, anche non esclusivi, sulla base di un accordo.

Non poteva mancare la misura per i prepensionamenti dei grandi giornali che, come al solito, all’articolo 53 bis è passata con la roboante rubrica “ristrutturazione o riorganizzazione di imprese editoriali per crisi aziendale”. In pratica, è stata rifinanziata per il quinquennio 2017-2021 l’anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia, prevista dai piani previsti dall’articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 69. Lo stanziamento è pari a 6 milioni di euro per il 2017, 10 milioni di euro per il 2018, 11 milioni di euro per il 2018, 11 milioni di euro per il 2019, 12 milioni di euro per il 2020 e 6 milioni di euro per il 2021. Viene, quindi, consentito ai giornalisti che fruiscono degli ammortizzatori sociali, quindi della solidarietà o della cassa integrazione, di fruire del trattamento di pensione anticipata a condizione che abbiano compiuto 58 anni se donne, e 60 anni se uomini, e che abbiano almeno 25 anni di anzianità contributiva presso l’Inpgi. Chiaramente il vaso di Pandora è il Fondo per il pluralismo e per l’innovazione.

Anche se, va detto, il comma 3 bis dell’articolo 57 incrementa lo stesso fondo di 25 milioni di euro (portandolo quindi a 125 milioni di euro) per gli anni 2017 e 2018 attraverso l’incremento della quota rinveniente dal cosiddetto sovra gettito della Rai.


Rassegna Stampa del 17/06/2017

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Indice Articoli

Francesco Gianni presidente della Caltagirone Editore

Caltagirone Editore: Gianni presidente, Majore a.d.

Il Sole vuole cedere Radio 24

Corsera, verso la cronaca torinese

Rai, cinque nuovi canali radio digitali

Chessidice in viale dell’ Editoria

Arrivano i codici tributo per il canone tv e le start-up

Pallone sgonfiato?

Non è più a Premium

Viale Mazzini rilancia sulla radio digitale

Internet per pochi L’ Italia non è un Paese di cittadini digitali

Francesco Gianni presidente della Caltagirone Editore

Il Mattino

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ROMA. Il consiglio di amministrazione della Caltagirone Editore spa ha nominato presidente Francesco Gianni e amministratore delegato Albino Majore conferendo loro i relativi poteri. Oltre a Gianni, nel cda della casa editrice – cui fanno capo i quotidiani Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino, il Corriere Adriatico, il Nuovo Quotidiano di Puglia e Leggo – sono stati cooptati anche Giancarlo Cremonesi, Massimo Lapucci e Valeria Ninfadoro. Sulla base delle informazioni ricevute dagli interessati, il cda ha confermato «il possesso in capo agli stessi dei requisiti di indipendenza previsti dalla normativa vigente». Il nuovo presidente, l’ avvocato Gianni, è tra i fondatori dello Studio Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, uno dei più importanti. Considerato tra i massimi esperti a livello italiano ed europeo di M&A e finanza strutturata, Gianni ha seguito alcune fra le principali operazioni di questo genere. Di recente è stato insignito del premio Outstanding Contribution Award in occasione dei Chambers Europe Awards. Laureato in giurisprudenza con lode presso La Sapienza di Roma, ha conseguito un master presso l’ università londinese King’ s College e un master presso la University of Michigan Law School. Ha vissuto per molti anni negli Stati Uniti dove ha maturato importanti esperienze presso gli studi Sidley & Austin di Chicago e Roger & Wells di New York. È inoltre autore di numerose pubblicazioni e relatore a convegni e seminari nazionali e internazionali nei settori del diritto commerciale, societario e bancario. A sua volta l’ ad Majore in passato ha guidato il Messaggero quale ad e attualmente, fra le altre, ricopre le cariche di presidente di Vianini spa, di presidente e consigliere delegato del Mattino, di vicepresidente del Gazzettino. È consigliere dell’ Ansa. Il cambio al vertice della casa editrice si è reso necessario onde consentire che il lancio dell’ Opa totalitaria da parte di Chiara Finanziaria srl avvenga in assenza di conflitti di interesse. l. ram. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Caltagirone Editore: Gianni presidente, Majore a.d.

Italia Oggi
SERGIO RIZZO
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Nuovo presidente e a.d. per la Caltagirone Editore, la società che edita tra gli altri il Messaggero. Si tratta di Francesco Gianni, che presiederà il cda, e di Albino Majore che sarà amministratore delegato. Gianni è l’ avvocato fondatore di Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners, uno dei più importanti studi legali italiani, ed è tra i massimi esperti di M&A e finanza strutturata. Majore, invece, è stato in passato amministratore delegato del Messaggero e attualmente, fra le altre, ricopre le cariche di presidente di Vianini spa, presidente e consigliere delegato del Mattino, vicepresidente del Gazzettino, tutte società del gruppo Caltagirone. Majore è anche consigliere di amministrazione dell’ agenzia Ansa. Martedì scorso erano stati nominati nuovi amministratori, oltre a Gianni, Giancarlo Cremonesi, Massimo Lapucci e Valeria Ninfadoro. I cambiamenti nel consiglio arrivano in seguito alla decisione della famiglia Caltagirone di fare un delisting dell’ editrice, in un primo momento acquistando le azioni sul mercato attraverso Chiara Finanziaria (la società veicolo creata lo scorso 15 maggio e controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone), poi proseguendo con l’ uscita dalla Borsa. In vista di questo processo si erano avute le dimissioni di Francesco Gaetano Caltagirone dalla carica di presidente e consigliere, Azzurra Caltagirone dalla carica di vicepresidente e consigliere, di Alessandro e Francesco Caltagirone dalla carica di consigliere. Intanto il 9 giugno Caltagirone Editore ha acquistato 4.222 azioni proprie per un controvalore di 3.556 euro e a oggi detiene un totale di 2,3 milioni di azioni proprie.

Il Sole vuole cedere Radio 24

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il gruppo Sole-24 Ore sta sondando il mercato per cedere una quota di minoranza di Radio 24 fino a un massimo del 49% che, in base ai desiderata del venditore, potrebbe consentire di incassare tra i 30 e i 40 milioni di euro. Il dossier, per ora, sarebbe arrivato sui tavoli di Sky Italia, Cairo communication ed Rtl 102,5. La casa editrice di Confindustria, ormai da qualche settimana, ha in atto un aumento di capitale in grado di assicurare la copertura del fabbisogno finanziario di 70 milioni di euro, iniezione di fondi necessaria al rilancio delle attività. L’ azionista di maggioranza del Sole-24 Ore, ovvero Confindustria, si è impegnata a versare fino a 30 milioni di euro. I rimanenti 40 milioni dovranno arrivare dal mercato, o coinvolgendo nuovi azionisti, o attraverso cessioni di cespiti, o dal consorzio di garanzia dell’ inoptato, formato da un pool di banche. Quanto alle cessioni, Il Sole-24 Ore ha già formalizzato l’ asta competitiva per la individuazione di un partner strategico dell’ area “Formazione ed eventi”, a cui cedere una quota di minoranza del ramo di azienda. E, da qualche giorno, ha iniziato i primi sondaggi per verificare manifestazioni di interesse anche su una quota di minoranza della emittente. Radio 24 ha chiuso il 2016 con ascolti pari a 2,032 milioni di persone nel giorno medio (+2,9% sul 2015) e a quota 192 mila nel quarto d’ ora medio (+7,2% sul 2015). Non sono noti i dati economico-finanziari del business radiofonico confindustriale, ma l’ emittente, nei suoi 18 anni di vita, non ha mai comunque brillato quanto a redditività. Il 49%, quindi, può rappresentare solo un primo passo per sedersi al tavolo e iniziare un rapporto, ma è chiaro che a editori come Sky, Cairo o Suraci interessa controllare l’ iniziativa, e non subire le bizze dell’ associazione degli industriali, che ogni quattro anni cambia il presidente, gli equilibri e le strategie. Per Sky si tratterebbe di un vero e proprio debutto, allargando il suo spettro a un’ area comunque coerente col suo target, visto il profilo di ascolto di Radio 24. Stesso discorso per Rcs (che in passato non ha avuto belle esperienze col mondo radiofonico), che con Radio 24 troverebbe una radio di talk e informazioni molto vicina alle linee editoriali di Corriere della sera e Gazzetta dello Sport. Per il gruppo Rtl 102,5 di Lorenzo Suraci, invece, l’ interesse principale a Radio 24 sarebbe sul fronte frequenze, da usare per potenziare il segnale e la copertura delle sue altre radio (soprattutto Radio Zeta l’ Italiana e Radio Freccia). In attesa di sviluppi, si è intanto conclusa ieri in maniera scoppiettante l’ avventura di Giovanni Minoli a Radio 24. Durissimo il comunicato del Sole-24 Ore che annuncia la fine della collaborazione, motivandola col fatto che «la trasmissione Mix24, nei 4 anni di messa in onda, non ha mai incrementato in maniera significativa gli ascolti di quella fascia, come invece ci si augurava visto anche l’ elevato investimento economico sul programma. Nella stagione precedente all’ arrivo di Minoli, 2012/2013, la fascia dalle 9.00 alle 11.00 registrava 226 mila ascoltatori nel quarto d’ ora medio con il 2,2% di share. Le tre stagioni successive 2013/2014, 2014/2015, 2015/2016 con Mix 24 hanno registrato una media ponderata di 221 mila ascoltatori con il 2,1% di share, mentre nel periodo 2014-2016 Radio 24 ha aumentato complessivamente i propri ascolti dal lunedì al venerdì del 12,3%». Non si è fatta attendere la altrettanto piccata replica di Minoli, il quale ribadisce che «Il Sole-24 Ore, prima di fare comunicati utili solo a mascherare le ragioni politiche di scelte inconfessabili, dovrebbe fare pace con sè stesso e con i numeri che ha sfornato sui risultati di Mix24 nel corso degli anni e con i relativi entusiastici commenti. Inoltre, chi fa della qualità dei numeri che offre al pubblico la sua credibilità, dovrebbe sapere che Mix24 da due anni va in onda dalle 9 alle 10.30 e non fino alle 11.00 come da comunicato. Sbagliare due rilevazioni su quattro e fondare su questo errore la propria analisi o è in malafede, o è ignorante. In ogni caso, non da Sole. È vero», prosegue Minoli, «che abbiamo scelto di non occuparci con continuità e dettagli degli organi sessuali femminili e maschili e dei loro molteplici modi di intrecciarsi (e qui il riferimento è chiaramente al programma La Zanzara di Giuseppe Cruciani, ndr) ma questo nessuno lo può fare meglio di chi lo fa già ogni giorno con successo e forse anche qui ci sarebbe un problema di linea editoriale di Radio 24». A proposito della comunicazione del nuovo palinsesto 2017-2018 della radio, «nel colloquio con Sebastiano Barisoni (vicedirettore esecutivo di Radio 24, ndr), lui mi ha parlato solo delle difficili condizioni di Alessandro Milan che capisco (la striscia di Minoli sarà affidata proprio a Milan, ndr), non una parola sui costi del programma, peraltro super chiariti direttamente con l’ amministratore delegato Franco Moscetti, né tantomeno dei presunti risultati non soddisfacenti di share di Mix24». © Riproduzione riservata.

Corsera, verso la cronaca torinese

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Al Corriere della Sera fervono i lavori per il lancio della edizione di Torino. Non sono ancora pronti a partire, ma le riunioni e le prove grafiche si moltiplicano da settimane. Anche perché pare piuttosto naturale che un editore come Urbano Cairo, con forti interessi nel capoluogo piemontese (è anche il numero uno della squadra di calcio del Torino), abbia voglia di presidiare meglio quella piazza. C’ è poi la grande battaglia con il polo di Repubblica e Stampa, che si gioca sia con nuove strategie editoriali, sia con piccoli e grandi sgarbi, strappandosi l’ un l’ altro le firme migliori. Tra le primissime mosse di Cairo come nuovo editore di Rcs ci fu proprio l’ ingaggio di Massimo Gramellini, prima firma della Stampa, scrittore di successo e noto volto televisivo nelle trasmissioni di Fabio Fazio. E il nome di Gramellini, arrivato in via Solferino lo scorso mese di febbraio, sin da subito venne peraltro accostato a una qualche iniziativa futura del Corriere in Piemonte. Il gruppo Repubblica-Stampa ha risposto per le rime negli scorsi giorni, convincendo Sergio Rizzo, capo della redazione romana del Corriere della Sera e tra i giornalisti più autorevoli della testata, a fare i bagagli e trasferirsi a Repubblica come vicedirettore. Scaramucce che andranno avanti: e uno dei primi missili che Cairo intende lanciare contro la concorrenza del gruppo Espresso è proprio quello di una ricca e forte edizione del Corriere della Sera a Torino, per contrastare il quotidiano locale, la Stampa, e anche l’ edizione locale di Repubblica che, tuttavia, con la fusione Stampa-Repubblica, ha perso di efficacia. Va anche detto che Cairo ha saputo ovviare alle dimissioni di Rizzo con una mossa «alla Cairo»: a capo della redazione romana del Corsera, infatti, è andato Giuseppe Di Piazza, che esattamente 17 anni fa faceva il capo della cronaca al Messaggero, prima di essere chiamato da Pietro Calabrese a Milano, per diventare il vicedirettore del portale Concento di Rcs. Una avventura digitale finita presto, ma che aprì per Di Piazza un lungo periodo di bella vita nell’ universo Rcs, prima alla direzione di Max, poi a quella di Sette, quindi come firma girovaga per il mondo del Corriere, scrittore, e pure fotografo con discrete ambizioni (organizzate molte mostre dedicate ai suoi scatti). Adesso, con la mossa di Cairo, Di Piazza, torna a Roma. Mentre un gruppo di giornalisti e di manager di via Solferino studia la nuova avventura su Torino, i cronisti della edizione di Bergamo del quotidiano non risparmiano (ieri) un crudele trafiletto in pagina sulle disavventure di Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere e tuttora prestigioso editorialista del giornale: chiamato a Treviglio per presentare il suo libro Poteri forti (o quasi), De Bortoli è arrivato in ritardo raccontando direttamente al pubblico presente di essere incappato in un autovelox, con ritiro immediato della patente da parte di una pattuglia della Polizia stradale, per eccesso di velocità: «Meno male che con me c’ era mia moglie, e ha guidato lei da Bergamo fino a qui». Quanto, infine, alle ultime iniziative già lanciate al Corriere della Sera, c’ è soddisfazione per il nuovo inserto L’ Economia, mentre il nuovo Sette targato Beppe Severgnini deve ancora passare il periodo di rodaggio. Al magazine allegato al Corsera, infatti, soprattutto sul fronte della raccolta pubblicitaria, c’ è ancora del lavoro da fare perchè al momento essa è addirittura diminuita rispetto alla precedente direzione. © Riproduzione riservata.

Rai, cinque nuovi canali radio digitali

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Parte la nuova offerta dei canali specializzati digitali di Radio Rai, ascoltabili via web e app, ma anche sui televisori con digitale terrestre o satellite, e sulle radio digitali Dab+. Cinque canali: si va dalla radio specializzata nella musica classica a un canale totalmente nuovo dedicato ai bambini, dalla musica live ed eventi ai programmi radio del passato, passando per i più grandi successi del pop italiano. Ieri la presentazione ufficiale con la conferenza stampa nella storica Sala A di via Asiago 10, con interventi del direttore generale Rai, Mario Orfeo, del direttore di Rai Radio, Roberto Sergio, del direttore artistico di Rai Radio, Carlo Conti, di Renzo Arbore e del coordinatore del progetto, Marco Lanzarone, oltre che dei cinque coordinatori dei nuovi canali (Gianmaurizio Foderaro per Radio Tutta Italiana; Fabrizio Casinelli per Radio Live; Andrea Borgnino per Radio Techetè, Gianfranco Onofri per Radio Kids e Maria Babriella Ceracchi per Radio Classica). Rai Radio Classica vuole essere il punto di riferimento per tutta la musica colta italiana e internazionale, antica e contemporanea. Oltre alle esecuzioni da disco, grande spazio ai concerti in diretta differita, con un linguaggio professionale ma allo stesso tempo moderno e accattivante. Rai Radio Kids è dedicata ai bambini dai 2 ai 10 anni per un intrattenimento «a occhi e mani libere». Il palinsesto offre canzoni, colonne sonore dei cartoni e delle serie live action, fiabe, informazione, educazione alla musica e alla lettura. E poi approfondimenti su natura, spettacoli, eventi, scienza, ambiente, turismo e tecnologie. La notte ninne nanne e musiche adatta ai sogni, oltre alle fiabe da tutto il mondo interpretate da grandi attori come Paolo Poli ed Elio Pandolfi. Rai Radio Live è musica dal vivo e manifestazioni sul territorio. Un modo nuovo di fare servizio pubblico, grazie al taglio pop e mainstream. I generi musicali, programmati soprattutto con esibizioni dal vivo, coprono il pop, il rock, la dance con Discoteque, ma anche il jazz e il suond mediterraneo con MusicaMed. Accanto alla proposta musicale, il calendario aggiornato di tutti gli eventi culturali, musicali e sociali, seguiti quotidianamente con la rubrica di informazione e approfondimento Fronte del palco. Un modo originale per valorizzare il meglio della radio italiana dal primo dopoguerra a oggi è l’ offerta di Rai Radio Techetè. Il canale si basa principalmente sulla radio parlata, e si rivolge a un pubblico di appassionati ma anche di curiosi di ogni età, grazie soprattutto all’ interazione con i social media. I principali temi sono il varietà, lo sport, le fiction. Ecco quindi il meglio dell’ intrattenimento della radio con Alto gradimento e Gran varietà, le emozioni dello sport raccontato dagli storici radiocronisti del Giornale radio, le storie della musica, gli speciali con i compleanni e le ricorrenze raccontati attraverso i materiali d’ archivio. E ancora le voci e i personaggi che hanno fatto grande la radio. Radio Techetè è un progetto in linea con il contesto di altre realtà europee, che puntano a riproporre e valorizzare gli archivi radiofonici attraverso il web e il Dab+. C’ è poi tutta la musica italiana firmata Rai attraverso la nuova Radio Tutta Italiana: una radio di flusso, incentrata sulla selezione di musica nazionale dagli anni 60 a oggi. Il tratto distintivo è la leggerezza dell’ ascolto, con interventi in voce rapidi e spazio alla musica.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Apple, ex dirigenti Sony per gestire la programmazione video originale. Apple ha sottratto due dirigenti televisivi a Sony per dar loro il comando del business della programmazione originale. Jamie Ehrlicht e Zack Van Amburg, che hanno supervisionato produzioni di Sony Television tra cui Breaking Bad e The Crown, entreranno a far parte di Apple in qualità di co-direttori della programmazione video globale, secondo quanto dichiarato dal gigante di Cupertino. I due faranno capo al vicepresidente senior Eddy Cue, che sovrintende un business dei servizi da 24 miliardi di dollari (circa 21,4 miliardi di euro) di cui fanno parte anche iTunes e il servizio streaming. Il business dei contenuti originali è cresciuto a dismisura negli ultimi anni grazie a servizi quali Netflix, Amazon e Cbs, che hanno spinto gli utenti a darsi sempre di più allo streaming. Con la programmazione video la società potrebbe accrescere il business dei servizi e raddoppiare i ricavi entro il 2020, arrivando a 50 miliardi di dollari (44,6 miliardi di euro), oltre che aumentare la devozione dei consumatori ai propri prodotti. Fnsi perde il ricorso contro l’ Unità. Il giudice del lavoro del Tribunale di Roma ha rigettato il ricorso promosso dalla Federazione nazionale della stampa attraverso l’ Associazione stampa romana, contro la società editrice de l’ Unità per far accertare una serie di presunti comportamenti antisindacali perpetrati a danno dei giornalisti. Lo ha reso noto una nota di Piesse-l’ Unità: «Il giudice ha stabilito che da parte della società che fa capo a Guido Stefanelli e Massimo Pessina non è stata posta in essere alcun tipo di turbativa dell’ attività sindacale e/o violazione delle prerogative dei giornalisti. L’ Unità srl, pertanto, riserva di tutelarsi nelle sedi opportune per la diffamazione subita. Inoltre, fatto inedito, l’ Fnsi è stata persino condannata a pagare le spese legali del procedimento». Eurosport si prepara al Tour de France. Eurosport ha ampliato l’ accordo già esistente per le prossime tre edizioni del Tour de France, e offrirà agli appassionati la possibilità di guardare, per la prima volta, ogni minuto della più famosa corsa ciclistica al mondo in diretta, a partire dal prossimo 1° luglio. L’ intesa raggiunta con European Broadcasting Union e Amaury Sport Organisation vedrà i fan in 54 mercati europei beneficiare di 25 ore in più di copertura live del Tour. Le ore aggiuntive arriveranno da 13 tappe che non sono state mai prodotte interamente per la tv. Bike Channel, record per il Giro di Svizzera. Il Tour de Suisse 2017 si sta rivelando un’ edizione da record per Bike Channel, le cui dirette hanno registrato un aumento di ascolti del 44% rispetto a 12 mesi fa con un +39% di contatti netti. Il picco di contatti in occasione della vittoria di Philippe Gilbert, domenica 11 giugno, che ha visto 216 mila spettatori. Numeri da record anche per la tappa di mercoledì pomeriggio, vinta dall’ iridato Peter Sagan: la diretta condotta da Alessandro Brambilla e Cristiano De Rosa ha fatto registrare un picco di 0,41% di share nazionale. Le novità di questa edizione hanno riguardato anche la formula di conduzione che vede ogni giorno il telecronista affiancato al commento da un ospite diverso proveniente dalle grandi aziende del settore. Il Tour de Suisse 2017 prosegue sino a domenica 18 giugno, in diretta ogni giorno alle 16 su Bike Channel, canale Sky 214. Donà dalle Rose nuovo presidente dell’ Ivf. L’ assemblea generale dell’ International video federation (Ivf) ha eletto presidente della federazione Gian Maria Donà dalle Rose, rappresentante Univideo. Donà succede a Joachim Birr, della Bundesverband Audiovisuelle Medien e.V. (BVV) che rappresenta l’ industria home entertainment in Germania. La Ivf è la federazione che rappresenta le associazioni dell’ home entertainment. Nasce FreeJourn. È online FreeJourn (www.freejourn.com), la piattaforma di crowdfunding verticale dedicata agli operatori dell’ informazione, pensata per valorizzare il giornalismo di approfondimento (dalle inchieste ai reportage) prodotto da reporter freelance e basata su un differente rapporto tra giornalisti, lettori ed editori. FreeJourn nasce da un’ idea del dipartimento innovazione del gruppo editoriale News 3.0 e si sostiene con un sistema di revenue share trattenendo il 10% di quanto viene finanziato sulla piattaforma. Tale quota può salire al 20% nel caso di specifici progetti espressamente commissionati da media partner. FreeJourn ha vinto il primo bando per l’ innovazione nell’ editoria di Google. La community del Messaggero Veneto. Nasce «NOIMessaggeroveneto», la comunità dei lettori del quotidiano del Friuli. Giornale di punta della Finegil, il Messaggero Veneto sperimenterà da lunedì 19 una nuova strada di relazione tra la testata e i suoi utenti online: gli utenti saranno invitati (dopo la lettura sul sito del quinto articolo gratuito durante il mese) a iscriversi al programma di membership che consentirà l’ accesso illimitato alle news sul sito, a contenuti digitali riservati, a longform sui principali eventi e a una selezione di newsletter, dalla «bussola del direttore» alle notizie del giorno. Non solo: un elemento centrale sarà la relazione con la redazione. Rcs e Coverstore per una collezione di cover dedicate. La divisione quotidiani della casa editrice ha sottoscritto un contratto di licenza con Coverstore per lo sviluppo di una collezione di cover che riporteranno le prime pagine della Gazzetta dello Sport.

Arrivano i codici tributo per il canone tv e le start-up

Italia Oggi
MICHELE DAMIANI
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Canone Rai, arriva il codice tributo per il versamento delle somme e di eventuali interessi e sanzioni. Con la risoluzione n.71/E, pubblicata ieri dall’ Agenzia delle entrate, vengono illustrati i codici tributo per il versamento, tramite modello F24, delle somme dovute dalle imprese elettriche a titolo di canone di abbonamento alla televisione per uso privato, oltre ad interessi e sanzioni, le cui disposizioni in tema sono contenute nel decreto del Ministero dello sviluppo economico, insieme al Mef, n. 94/2016. Per effettuare il versamento delle somme dovute tramite modello F24, quindi, le imprese elettriche dovranno utilizzare i seguenti codici tributo: «3145» denominato «Canone tv» per il recupero delle somme per tardivo, omesso o parziale riversamento; «3146» sanzione per tardivo, omesso o parziale riversamento/addebito; «3147» sanzione per omessa o incompleta trasmissione dei dati relativi al canone tv. I soprannominati codici tributo sono esposti, in sede di definizione del modello F24, nella sezione «erario», solo in corrispondenza della colonna «importi a debito versati». In aggiunta, sempre ieri l’ Agenzia ha pubblicato la risoluzione n.70/E, contenente l’ istituzione dei codici tributo relativi al versamento delle somme dovute dalle start-up innovative al momento della registrazione degli atti costitutivi, come previsto dal dl 24 gennaio 2015 n. 3. Le disposizioni per la predisposizione di atti modificativi degli statuti e degli atti costitutivi, sono contenuti nei decreti del Mise del 28 ottobre 2016 e del 4 maggio 2017. Per il versamento delle suddette somme dovute, sono utilizzati i codici tributo «1540», «1541», «1542», «1543», «1544», istituiti con la risoluzione n. 56/E del 2016.

Pallone sgonfiato?

Milano Finanza
ANDREA MONTANARI
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Gli indizi per parlare di crisi del business del pallone italiano ci sono. Il campionato di calcio italiano è quello che in termini di giro d’ affari, di solo 2 miliardi, cresce in misura inferiore rispetto alle altre principali leghe europee (cagr medio dal 2010-11 al 2016-2017 del 6,4%, grafico qui accanto). A ciò vanno aggiunti altri due dati emblematici. Il costante calo delle presenze allo stadio, scese a fine stagione al minimo di 22.217 spettatori a partita in media contro 23.481 spettatori del 2013-2014 e 24.655 del 2012-2013. La Serie A è così scesa al livello della Ligue 1 – il massimo campionato francese è il meno importante d’ Europa – che ha una media di 22.251 spettatori. E anche in tv, nonostante la presenza di una doppia offerta a pagamento (un unicum nel Vecchio Continente, almeno in ambito televisivo), gli aficionados sono sempre meno: il torneo 2012-2013 tenne incollati davanti ai teleschermi di Sky Italia e Mediaset Premium complessivamente 360,99 milioni di telespettatori, mentre alla fine della stagione 2015-2016 il dato totale era calato a 310,66 milioni: una perdita di oltre 50 milioni di telespettatori, nonostante il fatto che gli abbonati alle due piattaforme non siano mai diminuiti: 4,8 milioni per la pay di Rupert Murdoch, 2 milioni per la rivale dei Berlusconi. Un quadro non brillantissimo al quale si sono aggiunti altri due casi recenti. L’ asta per i diritti relativi alle immagini delle stagioni 2018-2021 della Serie A, andata in scena sabato 10, è saltata. La Lega e l’ advisor Infront si aspettavano offerte per un controvalore superiore al miliardo (la cifra incassata, su base annua, nel 2014), anzi oscillanti tra 1,2 e 1,4 miliardi e invece solo Sky di fatto si è presentata ai nastri di partenza mettendo sul piatto 440 milioni in tutto per due pacchetti, quello dedicato al satellite (le partite di Juventus, Milan, Inter e Napoli, oltre a quelle delle neopromosse Spal, Verona e Benevento), e quello dedicato ai match delle altre squadre cosiddette minori. Altri 50 milioni a stagione li ha messi sul piatto il gruppo internazionale Perform per acquisire i due pacchetti destinati al web (C1 e C2): una cifra nettamente inferiore alla base d’ asta indicata. Mentre Mediaset si è chiamata fuori all’ ultimo, presentando tra l’ altro un esposto all’ Antitrust sulla composizione dei pacchetti. Discovery, inizialmente interessata, non ha schierato la piattaforma Eurosport. Tim non ha gareggiato per l’ offerta destinata agli over-the-top e neppure Amazon si è palesata. Ma c’ è anche un’ altra notizia di calciomercato che non aiuta lo standing della Serie A: la vicenda Donnarumma. Il 18enne portiere del Milan non ha accettato il rinnovo proposto dal club ora di proprietà del tandem Elliott-Yonghong Li: ha detto no a un contratto quinquennale da quasi 5 milioni netti all’ anno, sposando in toto la linea del suo procuratore Mino Raiola che lo vorrebbe far accasare al Real Madrid per cifre superiori. Infine, in termini strutturali, non va trascurata la difficoltà dei club di rafforzare il patrimonio e incrementare i ricavi grazie allo stadio di proprietà. Juventus, Sassuolo, Udinese e pochi altri, ancora non sono decollati progetti di rilievo. Forse una svolta potrà arrivare dal via ai lavori dell’ impianto della Roma targata James Pallotta. Ma come si esce da questo tunnel, si rilancia il business e, soprattutto, si torna a rivedere le squadre più titolate di nuovo protagoniste in Europa al pari di Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Psg, Chelsea e i due club di Manchester? La svolta, quella vera, può arrivare solo dall’ asta dei diritti tv. Sembrerà un controsenso, visto l’ esito del primo bando, ma solo se i broadcaster tradizionali, i nuovi player digitali e anche gli operatori tlc capiranno il valore del calcio giocato allora si potrà arrivare a quel traguardo, ambizioso ma ritenuto ancora possibile, dell’ incasso di 1,4 miliardi a stagione. Luigi De Siervo, ad di Infront (proprietà del colosso cinese Dalian Wanda), ne è convinto. Per questo, assieme ai vertici della Lega Serie A, rappresentati dal commissario Carlo Tavecchio (presidente della Federcalcio), sta lavorando alla definizione della nuova asta. Che, condizioni di mercato permettendo, potrebbe essere lanciata anche prima dell’ estate: in caso contrario, si andrà a settembre. E questa volta, se l’ authority non interverrà, si cambierà la formula, privilegiando il prodotto e non più la piattaforma, introducendo le fasce orarie e le esclusive. Un po’ come avviene da tempo in Spagna e nel Regno Unito. Insomma, sarà una vera e propria partita di scacchi, complicata e lunga. E i giocatori saranno anche gli stessi gruppi televisivi e magari gli operatori tlc come Tim, visto che in giro per l’ Europa, la francese Sfr, la spagnola Telefonica e l’ inglese British Telecom hanno giocato le loro carte nei rispettivi mercati. Per provare a vincere la sfida, la Lega Serie A punta parecchio sull’ estero con una modalità rivoluzionata rispetto alla vecchia gestione Infront targata Marco Bogarelli&Co. Saranno definite aree geografiche (Middle East, Europa Orientale e Occidentale, Sud America) e singoli Paesi (Usa, Canada, Cina, Messico, Brasile o zone linguistiche (Austria, Svizzera e Germania). Ma saranno acquistabili diritti anche per singolo Paese (Francia, Spagna e così via). Mentre per attrarre capitali sul mercato italiano, da dove ci si aspetta un introito di almeno 1 miliardo, si punterà non solo alle immagini tradizionali ma anche sugli highlight, le radiocronache e la Coppa Italia. Oltre a un pacchetto mirato dedicato ai bar e agli esercizi pubblici: la Liga spagnola, solo da questo pacchetto, ha incassato 100 milioni. Frazionando l’ offerta, garantendo esclusive, che obbligheranno i consumatore-telespettatore-cliente a munirsi di più abbonamenti – qua pesa però l’ incognita della crisi economica – Lega e Infront contano di fare bingo. Garantendo così quei maggior introiti che permetteranno ai club di Serie A (13 hanno votato sì all’ impostazione della nuova offerta, compresa l’ Inter del colosso Suning, interessato all’ asta per i diritti in Cina) di essere più competitivi su scala internazionale. Senza dimenticare poi il progetto del canale tv della stessa Lega che se davvero definito potrebbe portare ricavi pubblicitari stimati in 100 milioni. Ovvio, si tratta di una scommessa. Che si intreccia con un’ altra partita decisiva per gli assetti del mercato televisivo e telefonico italiano: la soluzione del caso Vivendi-Tim-Mediaset. Perché se i francesi rilanciano il progetto, il gruppo tlc e il network dei Berlusconi continuano a smentire qualsiasi piano aggregativo. Il tutto senza trascurare il fatto che il 21 giugno arriverà la sentenza sull’ inchiesta relativa al precedente bando di gara del 2014. E che poi, sempre su quell’ asta, pende la spada di Damocle del Consiglio di Stato, chiamato in causa dall’ Antitrust dopo che il Tar del Lazio ha annullato la maxi sanzione da 66,3 milioni comminata dall’ autorità a Mediaset (51 milioni), Sky (4 milioni), Lega (2 milioni) e Infront (9 milioni). (riproduzione riservata)

Non è più a Premium

Milano Finanza
ANDREA MONTANARI
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Mediaset ci ha provato fino all’ ultimo a mantenere nel proprio bouquet i diritti della Champions League 2018-2021, arrivando a offrire più dei 227 milioni a stagione dell’ asta 2014. Ma la potenza di fuoco di Sky Italia ha avuto la meglio: la pay tv di Rupert Murdoch ha messo sul piatto qualcosa come 795 milioni su base triennale e si è portata a casa sia la massima competizione calcistica europea sia l’ Europa League. Un passo forse obbligato per garantire un’ offerta sempre più ampia e conservare quel bacino d’ utenza che da anni è consolidato a 4,8 milioni di clienti. Tanto più che proprio dal 2018 la Champions vedrà schierate al via quattro squadre italiane. E con il ricambio nell’ azionariato e l’ avvento dei cinesi di Suning per l’ Inter e del tandem Elliott-Yonghong Li per il Milan, anche la tv satellitare guidata in Italia da Andrea Zappia si aspetta, come da anni va poi dicendo Pier Silvio Berlusconi, che i due club milanesi, quelli con più pubblico dopo la Juve, si riaffaccino sul palcoscenico più importante. Un modo per aumentare il parco clienti, gli ascolti e la pubblicità. Anche se, come hanno dimostrato i match decisivi della Juventus, è solo trasmettendoli in chiaro, su Canale 5, che si ottengono share elevate e gli spot decollano (5 milioni dalla sola finale, persa, contro il Real Madrid). Ora, però, la domanda che circola sul mercato è: cosa se ne farà Mediaset di Premium? La pay non sarà spenta, semmai ridimensionata. Come è già stato annunciato durante il roadshow londinese per la presentazione del piano Mediaset 2020, sarà utilizzato un approccio opportunistico. Anche se sarà obbligatorio partecipare all’ asta dei diritti della Serie A per evitare di perdere per strada gli abbonati (2 milioni). A Cologno Monzese, comunque, hanno messo in preventivo il fatto che senza la Champions – l’ edizione 2017-2018 è però ancora in esclusiva – un rilevante numero di abbonati, soprattutto di fede milanista e interista, potrebbe abbandonare. Premium potrebbe tornare ai livelli del 2014, ossia di 1,5-1,6 milioni di clienti. Nel frattempo, il Biscione ha fatto pulizia di bilancio (la pay ha perso 384,5 milioni e la capogruppo 295 milioni) e ha già delineato i piani di riposizionamento e ridimensionamento, senza spegnere il segnale. Il progetto resta valido. Lo dimostra anche il fatto che in borsa il titolo Mediaset non ha risentito del contraccolpo legato alla perdita dei diritti della Champions, che a onor del vero non hanno portato abbonati aggiuntivi e non ne hanno sottratti, in questi due anni, a Sky. Le priorità dei vertici del gruppo tv sono altre: l’ incremento della quota di mercato pubblicitario in Italia e lo sviluppo del digitale. Per quel che attiene agli spot, il piano stima una crescita dal 37,4% del 2016 al 39% del 2020 (a fine aprile la quota era del 35,33%). In quest’ ottica va contemplata la necessità di crescere nell’ offerta digitale anche per evitare che i colossi del web Google e Facebook, che oggi raccolgono 1,5-1,7 miliardi, continuano a erodere fette di mercato. Perciò alla presentazione dei palinsesti (Milano e Roma per i grandi clienti, Montecarlo per la stampa) un focus particolare sarà dedicato da Pier Silvio Berlusconi al mondo digital, in particolare per quel che riguarda i contenuti prodotti in house. Il tutto in attesa di capire le mosse di Vivendi (socio al 29,77%) in vista dell’ assemblea del 28 giugno. I francesi dovrebbero sterilizzare, dopo il pronunciamento di Agcom, la gran parte della quota e presentarsi all’ assise col 10%. Ma cosa faranno? Il mistero resta perché non sono stati presentati ordini del giorno, non è stata depositata la lista per il rinnovo del collegio sindacale e non hanno chiesto l’ ampliamento del cda. Fininvest (41,3%) per ora quindi dorme sonni tranquilli. Anche perché se da Parigi continuano a lanciare segnali di pace, a Cologno, ma soprattutto ad Arcore, idee, programmi e progetti concreti non ne sono mai arrivati dal luglio scorso, data del dietrofront di Vivendi dal contratto d’ acquisto di Premium. (riproduzione riservata)

Viale Mazzini rilancia sulla radio digitale

Il Tempo

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Cinque nuovi canali radiofonici digitali sono fruibili dallo scorso 12 giugno. Sono stati presentati da Carlo Conti direttore artistico di Radio Rai, con la presenza di Renzo Arbore storico esponente della Radio che ha colto l’ occasione per annunciare di aver presentato al nuovo direttore generale Mario Orfeo il progetto per un nuovo programma in tv. I cinque nuovi canali sono: Radio Rai Classica, Radio Rai Kids, Radio Rai Live, Radio Rai Techetè e Radio Rai Tutta italiana. Ognuno ha contenuti propri gestiti da un responsabile e coordinatore. Radio Rai Classica è dedicata alla musica colta con dirette anche da teatri e con un appuntamento quotidiano con la lirica. Radio Rai kids è dedicata al target dai 2 ai 10 anni e, nelle intenzioni, dovrebbe essere una sorta di Melevisione radiofonica. Avrà uno stretto legame con Rai Gulp. Radio Rai Live si pone l’ obiettivo di essere presente in tutt’ Italia con dirette di concerti e manifestazioni culturali anche nelle realtà meno conosciute. Radio Rai Techetè è dedicata al patrimonio del passato radio fonico che viene valorizzato e riproposto alla luce delle nuove tecnologie ma ci saranno anche nuovi contenuti. Infine Radio Rai tutta italiana si occuperà solo di contenuti musicali made in Italy. Renzo Arbore crede fermamente nella valenza del mezzo radiofonico e auspica il ritorno della vecchia figura del disc jokey. Nel ribadire di non avere progetti radiofonici ma televisivi, lo showman ricorda il suo debutto con Boncompagni in Bandiera gialla. E ai nuovi canali auspica lo stesso successo. Mar. Cat.

Internet per pochi L’ Italia non è un Paese di cittadini digitali

La Stampa
LINDA LAURA SABBADINI
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I cittadini italiani accedono ad internet meno degli anziani americani. I primi nel 63 per cento dei casi, i secondi nel 67 per cento. Voi direte,impossibile, di solito sono proprio gli anziani ad andare meno su internet. E invece la distanza tra noi e gli Stati Uniti è abissale, e riassume i diversi modi di vivere nei due Paesi e le diverse opportunità che si aprono per gli anziani americani e quelli del nostro Paese. Ricordiamo cosa dice l’ art.27 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici». La rivoluzione tecnologica in atto sta trasformando radicalmente tutto il funzionamento della società, nella produzione, diffusione e fruizione dell’ informazione e non solo, nel lavoro, nel quotidiano. Sta creando grandi opportunità in tutto il mondo, ma anche grandi disuguaglianze tra Paesi ed al loro interno. Se molti aspetti della vita sociale ed economica si sviluppano in Rete, chi ne resta fuori ne resta escluso e si vede negata l’ effettiva realizzazione di alcuni di quei diritti fondamentali sanciti dalla Dichiarazione Universale . E spesso ciò accade senza che gli esclusi stessi se ne accorgano e ne siano coscienti. Il rischio è il rafforzarsi del potere di chi ha più risorse culturali ed economiche e la progressiva marginalizzazione di un gran numero di cittadini. Le differenze Dietro il così diverso utilizzo di Internet si nascondono differenze nei livelli di istruzione e culturali dei Paesi. Negli Stati Uniti la maggioranza degli anziani ha il diploma superiore, e questo spiega molto perchè la fruizione di internet tra loro sia così alta. In Italia la maggioranza degli anziani ha al massimo la licenza elementare. Il più basso livello di istruzione italiano non spiega soltanto il più basso uso di Internet, ma anche perché la crescita del suo utilizzo sia così lenta. Più alto è il livello di istruzione di un Paese, più veloce sarà la sua innovazione e apertura alla fruizione delle nuove tecnologie. Se vogliamo cogliere le opportunità della rivoluzione digitale, dobbiamo investire in istruzione e cultura, sviluppare le competenze che servono. Se tutti cresceranno di livello culturale più facilmente diventeranno cittadini digitali. Ma nel frattempo dobbiamo essere coscienti che le modalità di inclusione al digitale in Italia dovranno necessariamente essere diverse da quelle attuate negli Stati Uniti. L’ inclusione Dovranno essere incluse molte persone di livello culturale basso che difficilmente eleveranno il loro titolo di studio, soprattutto se anziani. Internet diventerà realmente uno strumento di democrazia se tutti i cittadini diverranno cittadini digitali. E per diventarlo non basta l’ alfabetizzazione autodidatta, soprattutto per le persone di età più avanzata. In Italia si usa troppo poco internet e con scarse competenze. Manca una strategia complessiva di inclusione. La Rai ha avviato iniziative per combattere il «digital divide», ma sono una goccia nel mare. Avremmo bisogno di fare una nostra vera rivoluzione inclusiva. L’ obiettivo è serio e ambizioso, serve un’ azione continua e sistematica e un sistema di tutoraggio, che concretamente aiuti a superare il blocco nell’ utilizzo delle nuove tecnologie, soprattutto delle persone meno istruite e più avanti in età. Serve creare occupazione giovanile per alfabetizzare il Paese. Il balzo Allora sì che faremmo un balzo. Mi chiedo: dove sono finiti i progetti di «smart city» inclusivi? Che cosa facciamo per elevare il livello di utilizzo di internet tra i cittadini e le competenze digitali nelle imprese? Dove è finita l’ Agenda digitale? L’ accesso facile in rete è un requisito fondamentale per la modernità di un Paese. Se non investiamo almeno su questo, arrancheremo anche nell’ innovazione. Non possiamo permetterci ulteriori ritardi. Garantire l’ accesso vero alle nuove tecnologie, coinvolgendo milioni di persone, è essenziale per la crescita. E’ essenziale per evitare che sia grande l’ esercito dei nuovi esclusi di domani. E’ essenziale per non ritrovarci marginalizzati noi tutti, come Paese, dal mondo avanzato. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Rassegna Stampa del 18/06/2017

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Il grande falò estivo della carta stampata

Una tre giorni per editori indipendenti.

Il conflitto di interessi del grillino-editore

Solo la qualità potrà salvare i media in crisi

Il grande falò estivo della carta stampata

Libero

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Questo weekend sono a Sabaudia, ospite di amici che hanno una di quelle case con accesso diretto sulle dune, dove scendiamo verso le undici di mattina, dopo aver fatto colazione e dopo aver letto e commentato tutti i quotidiani che arrivano freschi di stampa la mattina presto. La spiaggia è bellissima, di sabbia rosa, lunga chilometri e termina ai piedi della Maga Circe, una montagna alta, verde e rocciosa che si staglia imponente sul mare alla fine della lunghissima litoranea. Sulla battigia spesso passano i venditori ambulanti, quasi tutti immigrati, che trascinano a mano carretti carichi di mercanzie di ogni tipo, dagli occhiali ai costumi, ai teli da mare o ai materassini gonfiabili, cercando di vendere ai bagnanti anche bibite, cocco e perfino la grattachecca con il ghiaccio tritato. Ogni tanto gli ambulanti si fermano, per riprendere fiato sotto il sole cocente, essendo tutti vestiti per ripararsi dalle scottature e dal caldo, ed uno di questi avanza verso di noi trascinando in spalla una borsa pesante, zeppa di quotidiani, agitando in aria una copia di Repubblica e gridando, come gli strilloni di un tempo: «Giornali, volete il giornale?». Io non resisto, lo faccio fermare, gli offro da bere e gli chiedo subito come sono andate oggi le sue vendite. «Male, molto male. Forse perché è sabato. La domenica va un po’ meglio. Oggi ho fatto poco, davvero poco, sono in cammino da stamattina alle otto ed ho venduto solo dodici copie. Eppure la spiaggia è affollata. Non li hanno voluti nemmeno quelli seduti al bar che erano lì a fumare e a prendere il caffè e che hanno preferito comperare i racchettoni a dieci euro. Voi italiani ormai leggete poco». Lui si chiama Alan, è pakistano, è sudato, e sopra agli abiti indossa un gilè giallo flu per farsi notare, quelli di plastica con due strisce catarifrangenti, con sopra la dicitura «Stampa». Nella sua sacca ha il Corriere della Sera, la Repubblica, La Stampa e il Messaggero, oltre a molte copie della Gazzetta dello Sport e del Corriere dello Sport. «Dei giornali che ho venduto stamattina, cinque erano sportivi, questi si vendono sempre bene, e poi c’ è il caso Donnarumma, ma gli altri no, guarda qui quanti ne ho ancora, ed è già mezzogiorno… compratene qualcuno voi… ah, già li avete? Allora prendeteli lo stesso, io devo fare ancora tre chilometri, la mia borsa sarà meno pesante e voi stasera avrete abbastanza carta per accendere il barbecue». L’ insolita soluzione di usare i quotidiani per appicciare il fuoco provoca ilarità e riflessioni nel nostro gruppo di amici, alcuni dei quali ci scrivono su quelle pagine ed alcuni dei quali hanno quindi comprato virtualmente dieci copie senza ritirarle. Ad Alan infatti, non interessava se i suoi giornali fossero letti o dati alle fiamme, a lui interessava solo venderli, come un vero edicolante. Questo episodio di ieri è diventato poi l’ argomento del giorno tra di noi, e ne abbiamo discusso fino a sera, quando alla cena si sono aggiunti altri ospiti. Uno di loro, un giornalista professionista, ci ha fornito i dati di marzo 2017 dell’ Ads (Accertamento Diffusione Stampa) delle vendite, tutte in discesa. «Guardate. Solo Urbano Cairo resiste, a stento ma resiste. Il suo Corriere della Sera oggi è saldamente il primo quotidiano d’ Italia, ed anche se è rimasto l’ unico a vendere poco più di 200mila copie, (nel 1996 le copie erano 647mila) dopo anni di inseguimento ha superato la Repubblica, scivolata in una dolorosa caduta sotto le 180mila copie, le quali, insieme alle 112mila della Stampa con la quale si è fusa, assieme fanno la metà di quanto vendeva la sola Repubblica quando Eugenio Scalfari fu pensionato, e tre quarti di quando vendeva la sola Stampa ai bei tempi». «Ma ormai è una guerra fra poveri perché tutto fa prevedere che tra aprile e giugno questi dati scenderanno ancora, come ci ha dimostrato stamattina l’ amico Alan con la piccola statistica delle sue misere vendite. Il confronto sui dieci anni è impietoso, perché tutti gli altri giornali, nel gennaio 2007, viaggiavano con oltre il doppio o il triplo delle copie odierne, mentre oggi le testate grandi e piccole hanno dimezzato le vendite in edicola, e quindi anche sulle spiagge italiane. Ed il reso delle copie invendute oggi si aggira attorno al 33%». L’ amico giornalista ci illustra poi i casi limite. «Il Sole 24Ore nel 2007 vendeva il triplo di adesso. Cioè il quotidiano di Confindustria ha perso oltre 30mila copie solo nell’ ultimo anno, segnato dalla scandalo di quelle digitali gonfiate.E vogliamo parlare del Fatto Quotidiano di Travaglio? Fino a qualche anno fa era il primo che leggevo, quando aveva i titoli sul glorioso nemico Berlusconi e sosteneva che lui era all’ origine di tutti i nostri mali. Oggi siamo al sesto anno della nuova era depurata dal berlusconismo e, non avendo più una vittima da attaccare,o manette da agitare, le cose per il Fatto vanno sempre peggio. Dai dati risulta in crescita dell’ 1,7%, ma, senza le copie multiple, di co-marketing o promozionali, in un anno ha perso oltre diecimila copie in edicola, scendendo a 35mila circa, a mio parere per la troppo difficile e sofisticata lettura per la massa dei descamisados». «La nuova era renziana ha tirato un po’ le vendite all’ inizio, ma ora non più, e i grillini restano criptici, a volte sono filo Pd ed a volte filo leghisti, creando una confusione che disorienta i lettori. E non è questione di mercato feroce, di direttori incapaci o di editori inetti. Forse gioca una linea editoriale schizofrenica, o l’ assenza di una linea giornalistica in cui i lettori si riconoscono. La ripresa economica non si vede all’ orizzonte e i nuovi Gentiloni non appassionano, rivelandosi opachi e noiosi». «Ma se la cosiddetta linea di sinistra non paga, a destra non ride nessuno, perché il Giornale da mesi ha infranto in negativo il muro delle 60mila copie, e Libero e Il Tempo vendono un terzo delle copie di dieci anni fa. Hanno dimezzato i numeri anche i giornali locali,che comunque hanno retto l’ urto della crisi e dell’ avvento delle news online meglio dei quotidiani a diffusione nazionale, e ad oggi il Resto del Carlino è a 91.912 copie contro le 89.153 de Il Messaggero». «La cosa positiva è che i nostri giornali alimentano il mercato televisivo, perché tutti i programmi di intrattenimento ed I talk show politici, attingono dalla mattina alla sera le notizie dai nostri articoli, confezionando puntate che altrimenti non avrebbero argomenti». L’ ultima tabella che il nostro commensale ci mostra é quella dei dati di vendita, sempre in edicola, dei quotidiani sportivi, separando i dati dell’ edizione del lunedì, che è sempre quella più venduta, e quasi tutti hanno numeri ancora rilevanti di lettori, e la Gazzetta dello Sport di Cairo il lunedì supera addirittura le 160mila copie, cifre che farebbero gola a qualunque editore. «Le vendite delle copie digitali invece sono le uniche in continuo aumento. É noto che i giovani si informano solo ed esclusivamente online, dove le notizie sono più aggiornate e si leggono comodamente a letto la mattina, senza doversi recare in edicola. Inoltre il Corriere della Sera online fa pagare per un anno meno di 200 euro, rispetto ai 450 della copia in edicola, e lo stesso fa Repubblica, perché i costi di carta, stampa e distribuzione, che fanno almeno metà del costo di una copia, vengono esclusi, ma ai fini della pubblicità, solo le vendite delle copie cartacee offrono la resa per cui gli inserzionisti pagano. Provate a vedere un annuncio pubblicitario sulla copia digitale, dove occupa un quarto dello spazio rispetto a quella di carta. Le copie digitali offrono un prodotto radicalmente diverso ai fini della pubblicità, ma per fortuna i siti dei quotidiani online sono sempre più visitati da lettori di ogni età, e vi si possono trovare gli editoriali dei direttori e gli articoli più importanti o curiosi. Il futuro è quindi online». «Insomma cari amici, sono finiti i gloriosi numeri dell’ editoria di un tempo, e noi giornalisti di quotidiani siamo una razza in lenta estinzione, e se la stampa é in crisi e i giornali non vanno più come un volta, é il segno che non si tratta di una semplice influenza o di una malattia di pochi, ma di una evoluzione inarrestabile del digitale, una epidemia insidiosa questa, che avanza silenziosa e che sta mietendo già le sue vittime di carta, l’ ultima delle quali, l’ Unitá, è appena stata sepolta. Quale sarà secondo voi il prossimo quotidiano a morire?». A questo punto il nostro pranzo era terminato, e tra i commensali sono iniziate le scommesse su quale testata fosse prossima all’ agonia, e quale staccherà per prima l’ interruttore della rotativa, sempre basandosi sui dati di diffusione e di vendita in edicola, anche di quelli non resi noti. Ah, dimenticavo. Il barbecue della cena, al quale aveva accennato ironicamente il giornalaio pakistano Alan la mattina in spiaggia, noi lo abbiamo acceso davvero con le pagine dei giornali. Ma con quelli del giorno prima.

Una tre giorni per editori indipendenti.

Corriere della Sera
LEILA CODECASA
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Una tre giorni per editori indipendenti. Questo il casus belli che a Vimercate ha scatenato l’ opposizione contro il consigliere grillino Amatetti. Si è assegnato (gratis) spazi per la kermesse organizzata dalla «Sagoma srl», azienda sua e della moglie, anche lei consigliere a Vimercate. Inoltre, nei manifesti compare il patrocinio del Comune che però non è mai stato concesso. a pagina 7.

Il conflitto di interessi del grillino-editore

Corriere della Sera
LEILA CODECASA
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La pubblicità è in giro da settimane: Freadomland, una tre giorni-vetrina per editori indipendenti… concerti, spettacoli teatrali, ospiti importanti… da Moni Ovadia ad Antonio Rezza, da David Riondino a Stefano Disegni. E su manifesti, articoli, volantini, sempre compare la dicitura «con il patrocinio del Comune» e tanto di stemma. In programma dal 30 giugno al 2 luglio, a Vimercate. A organizzare tutto la Sagoma Srl, casa editrice di Carlo Amatetti e della compagna Arianna Mauri. Che però sono anche consiglieri comunali grillini, proprio a Vimercate, la più popolosa cittadina lombarda governata dai 5 Stelle. I due consiglieri-editori a marzo hanno chiesto al Comune che amministrano di avere il patrocinio per la loro Freadomland e per usare sala d’ onore del Municipio, auditorium, biblioteca e piazze. Tutto gratis. Intanto hanno preparato regolamento e tariffario per concedere a pagamento quegli stessi spazi agli editori e alle associazioni che parteciperanno. La società ha assicurato che il denaro serve come contributo per le spese sostenute dagli organizzatori. Solo che «non ci sono ad oggi atti che concedono il patrocinio – spiega il consigliere di opposizione di Noi per Vimercate Alessandro Cagliani – e Amatetti, che siede in Consiglio, non può non saperlo. Per cui di fatto sta cedendo, a pagamento, spazi comunali per una iniziativa privata della sua società. E sta dicendo di avere il patrocinio del Comune che di fatto non ha. Scandaloso per un movimento che fa della legalità e della trasparenza la sua bandiera. Già pare poco opportuno che un consigliere di maggioranza chieda patrocinio e spazi per una sua attività privata, che poi le “sub conceda” senza averne titolo è a nostro avviso illegale». Così venerdì sera Cagliani e gli altri consiglieri di opposizione (Lista Civica Noi per Vimercate, Pd, Forza Italia e Civica Mascia Sindaco) in Consiglio comunale hanno chiesto le dimissioni della coppia. «Se non arriveranno procederemo per vie legali», rivelano Mariasole Mascia (Pd) e Cristina Biella (Forza Italia). La discussione è stata rinviata a domani sera. E il sindaco Francesco Sartini anticipa: «Tre le questioni: Freadomland è una manifestazione di alto livello, quindi avrebbe le caratteristiche per il patrocinio comunale. Seconda questione: di opportunità. Proprio per evitare strumentalizzazioni avevamo tenuto in sospeso la domanda. Ne parleremo in giunta martedì. Tra l’ altro in quella seduta delibereremo la concessione di patrocinio ad altre due iniziative previste nello stesso weekend che ugualmente stanno facendo pubblicità dichiarando di avere il patrocinio comunale anche se non è stato ancora deliberato. La terza questione riguarda Amatetti: sarebbe stato necessario un comportamento più attento anche nell’ uso dello stemma comunale, proprio per il ruolo che il consigliere riveste». Ma il diretto interessato non valuta le implicazioni politiche e replica solo: «La risposta del Comune non arrivava per cui ho dovuto muovermi con la pubblicità. Le somme chieste per usare gli spazi servono per cercare di andare almeno in pareggio con le spese. Cose che le opposizioni sanno, benissimo».

Solo la qualità potrà salvare i media in crisi

La Stampa
VITTORIO SABADIN
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I g iornali hanno costruito per secoli la propria identità, la propria autorevolezza e il proprio successo sulla capacità di mantenere un contatto con i lettori e di assicurarsene la fedeltà. Ora quel mondo è cambiato, l’ identità è stata messa in crisi da piattaforme social come Facebook e Twitter, che si presentano a loro volta come editori integrati di contenuti giornalistici. I vecchi quotidiani non hanno più intorno a sé una rassicurante platea di lettori fedeli ai quali gli inserzionisti pubblicitari possono rivolgersi: i lettori vanno cercati uno a uno dove si trovano ora, in posti lontani e scomodi da raggiungere anche nel mondo digitale. Il libro Crepuscolo dei media (Laterza) che Vittorio Meloni ha dedicato alla crisi dei giornali sembra un rapporto dal campo di battaglia, nel quale si contano i morti e i feriti. I giganti del web controllano ormai il 50% del mercato pubblicitario, 8 americani su 10 hanno un profilo Facebook, 3,4 miliardi di abitanti del mondo (su 7,3) sono collegati a Internet, dove si leggono notizie vere e false, dove tutto si confonde, dove Google tiene la barra del comando e indirizza i lettori dove vuole sulla base di algoritmi che cambiano ogni giorno. C’ è ancora speranza per il giornalismo? Sì, se saprà rinnovarsi, scrive Meloni, che ha una vasta esperienza di comunicatore come responsabile degli uffici stampa di Ibm, Telecom Italia e Banca Intesa. Negli Stati Uniti alcuni giornali come il Washington Post e il New York Times stanno già risalendo la china: se persino alla Casa Bianca c’ è un «Twitter in Chief», la gente ritorna ad apprezzare una informazione seria e approfondita, controllata da una gerarchia responsabile che risponde a un codice etico professionale. Può darsi che alla fine Internet imploda sulle sue bufale incontrollate e che ci sia dunque sempre più bisogno del giornalismo, così come nella nebbia c’ è bisogno di un faro. Il crepuscolo dei media non è inevitabile, se i giornali preserveranno quella qualità che è stata da sempre l’ unica garanzia della loro sopravvivenza, e che oggi fa più che mai la differenza. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Rassegna Stampa del 19/06/2017

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I video fanno “saltare” il web e i Big si creano le loro reti

«Corriere del Mezzogiorno», la festa dei vent’anni

«Ricomincio dai libri» pronto il bando

I video fanno “saltare” il web e i Big si creano le loro reti

Affari & Finanza
Patrizia Feletig Valerio Maccari
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I l 2017 è l’ anno del definitvo boom di Internet. Miliardi di foto caricate su Instagram, di post e filmati su Facebook, di tweet, ma soprattutto di video in streaming che sono arrivati a costituire il 70% del traffico dati complessivo e secondo una proiezione di Cisco entro il 2020 saranno il 90%. Nel 2006 erano il 12%. In America fino al 40% del volume di traffico web ha origine nei server di proprietà di Netflix, più tutti i video distribuiti dai siti specializzati come Chili, dalle Tv on demand nonché dai grandi player di contenuti: Amazon, Google, Facebook, impegnati a spingere le rispettive piattaforme di live streaming. Facebook ne ha migliorato l’ usabilità introducendo i sottotitoli in automatico con un servizio di riconoscimento vocale, per venire incontro alla sua audience planetaria. La configurazione fisica di Internet è travolta da questa domanda di banda. «Ogni chilometro aggiuntivo che il contenuto deve percorrere porta a una peggioramento della qualità di visione», spiega Thomas Barnet, analista di Cisco. E allora? I produttori e distributori di contenuti – appunto da Facebook a Google, da Apple a Netflix – non hanno che due vie. La prima è quella di trasferire i bit audio e video attraverso infrastrutture “parallele” che si sovrappongo all’ architettura Internet dei provider di rete, tradizionalmente le Telco come At&t, Deutsche Telekom, Vodafone. In gergo si chiamano Cdn, Content Delivery Network. Si appoggiano insomma a terminali secondari evitando il “traffico” di quelli principali. Si tratta di reti per la consegna di contenuti di grandi dimensioni in termini di banda com’ è il caso nei contenuti multimediali. È una rete nella rete che riproduce in maniera distribuita e su scala ridotta il principio lineare da estremità a estremità delle grandi dorsali di Internet ma ottenendo l’ effetto di accorciare la distanza tra due punti d’ interconnessione. Invece di sistemi centralizzati con un singolo server soggetti a rallentamenti e colli di bottiglia, una delocalizzazione del contenuto verso la periferia in migliaia di nodi host. Attraverso questo reticolo d’ interconnessioni tra server collegati tra di loro che ospitano una copia dello show televisivo o un film da distribuire, si riesce ad ottimizzare il processo. Come i grandi hub e i piccoli scali: a volte conviene fare più soste in piccoli aeroporti anziché infilarsi nel traffico di quelli principali. Quando il 9 giugno Netflix ha lanciato il primo episodio della quinta stagione della serie culto Orange Is the New Black e milioni di spettatori in 190 Paesi si sono collegati, dalla west coast i dati video hanno attraversato l’ oceano sulle dorsali dei cavi sottomarini ma per esempio in Australia l’ abbonato di una zona rurale, invece di essere costretto ad utilizzare l’ unico nodo distante migliaia di chilome-tri, è stato reindirizzato dal Cdn attraverso scali secondari al nodo computer geograficamente a lui più vicino e con maggior disponibilità di banda. Una trasformazione della modalità con la quale per decenni si sono dispacciati dati sull’ infrastruttura Internet, cresciuta sull’ ossatura preesistente delle reti di traffico telefonico in rame e poi in fibra . Ma c’ è un altro modo per inondare computer e smartphone di dati e video, ancora più rivoluzionario: i Big del web si fanno le loro reti. Il 12 giugno il cavo dati sottomarino Marea è approdato sulle coste spagnole dopo essere stato srotolato per 6mila chilometri sul fondo dell’ oceano Atlantico. Collegherà la rete internet europea allo stato della Virginia grazie ad una partnership tra Telefonica, Microsoft e Facebook. Che, come i loro competitori, si stanno impegnando nella creazione di infrastrutture di rete. Secondo Telegeography, il 60% dei dati spostati attraverso l’ Atlantico passa attraverso i cavi di proprietà di aziende come Google, Microsoft e Facebook. Marea, con una capacità di 160 terabit al secondo, erogata grazie a otto coppie di cavi in fibra da 20 terabit al secondo, offrirà un collegamento molto più veloce di una connessione Internet domestica. Abbastanza, dicono i promotori, per far svolgere 90 milioni di videoconferenze ad alta definizione contemporaneamente. La necessità di una banda sempre più larga sta velocemente trasformando i produttori di contenuti del web in proprietari della Rete, preparandosi a rimpiazzare le vecchie compagnie di telecomunicazione. A fine 2016 Facebook e Google in collaborazione hanno annunciato il progetto di un nuovo cavo sottomarino di 12.800 chilometri, per collegare Los Angeles ad Hong Kong entro il 2018. Poco prima, in giugno, è stato ultimato il deposito di un cavo transoceanico, creato da Google per collegare Usa e Giappone alla velocità di 60 terabit al secondo. Google ha investito anche per collegare gli Usa al Brasile ed è dal 2011 che costruisce Google Fiber, rete internet a banda larga con una infrastruttura in fibra ottica che collega Kansas e Missouri. Intanto Facebook ha annunciato un primo ingresso nella gara dei network cellulari di quinta generazione – il cosiddetto 5G – per cui disegnerà dispositivi di trasmissione opensource, nella speranza di stimolare un’ adozione più ampia e veloce della nuova tecnologia. Ma l’ ambizione di costruttore del social network va oltre: l’ obiettivo, infatti, è di portare la connessione internet anche nelle aree più remote e rurali del pianeta, attraverso dei droni aerei alimentati ad energia solare ed in grado di funzionare come trasmettitori di dati. Il primo test del suo drone stratosferico, chiamato Aquila, è avvenuto all’ inizio di quest’ anno. E anche Google ci prova dai cieli con il Progetto Loon, che al posto dei droni usa palloni aerostatici. Entrambe le società, poi, hanno costruito ripetitori wi-max in Asia e in Africa. © RIPRODUZIONE RISERVATA 1 2 3 I ceo di Google, Facebook e Netflix, tre Big del web: Sundar Pichai (1); Mark Zuckerberg (2), Reed Hastings (3)

«Corriere del Mezzogiorno», la festa dei vent’anni

Il Mattino
Ugo Cundari
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Oggi compirà venti anni il «Corriere del Mezzogiorno», e per la festa ha scelto una sede tutt’ altro che scontata, il Museo Archeologico Nazionale, con il padrone di casa, Paolo Giulierini, che parlerà in pubblico per la prima volta dopo il reintegro del Consiglio di Stato nel suo ruolo di direttore. Da una parte dunque la formula collaudata di «CasaCorriere», una serie di appuntamenti in città per iniziativa del «Corriere del Mezzogiorno» e del «Corriere della Sera», al secondo anno di vita. Appuntamenti di solito programmati in luoghi simbolo di Napoli che diventano, per un giorno, la casa del quotidiano con sede in vico secondo San Nicola alla Dogana. Dall’ altra l’ evento speciale del ventennale il primo numero del giornale uscì in edicola il 19 giugno 1997 con una formula che prevede spettacolo, intrattenimento e dibattito. La serata prenderà il via alle 18 nella sala del Toro Farnese con la proiezione dei videomessaggi di Paolo Mieli e Ferruccio de Bortoli, già direttori del «Corriere della Sera», cui seguiranno gli interventi dei direttori del «Cormezz», che hanno preceduto l’ attuale, Enzo d’ Errico: Marco Demarco e Antonio Polito, mentre il direttore del «Corriere», Luciano Fontana, intervisterà il ministro Claudio De Vincenti. Tra gli artisti invitati: Peppe Lanzetta e Cristina Donadio, il drammaturgo Mimmo Borrelli, Eugenio Bennato, Pietra Montecorvino, Teresa De Sio, Patrizio Trampetti, Marco Zurzolo e Carlo Morelli con il suo coro giovanile. A concludere il dibattito, incentrato sul tema «Le nostre idee hanno venti anni», sarà lo scrittore Maurizio de Giovanni, che a proposito dell’ iniziativa ha la sua visione d’ insieme, come al solito molto ampia: «Il racconto della città è giusto che sia polifonico, e che avvenga da diversi punti di vista. La vera ricchezza è vivere dove prosperano quotidiani differenti. È incoraggiante che oltre al giornale della città ci sia anche una proposta napoletana all’ interno di giornali con sedi altrove, e io sono contento per questo proprio in quanto napoletano. Penso che senza un dibattito non ci sia una crescita». Ma quale è il senso più profondo di questo compleanno? Per Enzo d’ Errico, «oggi si celebrano i venti anni di una testata che fa parte a pieno titolo di tutto il sistema Rcs che ha portato la voce del Mezzogiorno anche nel Corriere della Sera. Lo spirito è quello di celebrare questa storia, breve in senso temporale, ma molto densa in termini di avvenimenti, fatti, riflessioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Ricomincio dai libri» pronto il bando

Il Mattino

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Napoli si riappropria della fiera del libro con due iniziative: la IV edizione di Ricomincio dai libri dal 29 settembre al 1 ottobre, kermesse tematica che si sposta a Napoli dopo tre anni a San Giorgio a Cremano, e un Salone del libro, dopo Pasqua 2018, a cura degli editori storici partenopei sul tema del Mediterraneo per favorire l’ integrazione. Ricomincio dai Libri è la fiera di settore che mette in comunicazione gli editori con autori e associazioni per la prima volta in un luogo inedito al pubblico, la Sala affrescata del Lazzaretto nell’ ex ospedale Santa Maria della Pace. Dove nel seicento si curavano i malati ora ci si prende cura della cultura in una kermesse che valorizza anche il territorio e la parte meno nota dei Tribunali fino a Castel Capuano che per l’ occasione verrà chiusa al traffico su iniziativa della IV Municipalità, tra i soggetti promotori, per una grande festa pedonale quasi in stile Piedigrotta. Gli scrittori, gli artisti e le associazioni che vorranno essere i protagonisti della fiera potranno accedere al bando aperto riservato a 40 case editrici, piccole e grandi per innescare circoli virtuosi in grado anche di mettere in moto l’ economia del territorio. In programma incontri, presentazioni, musica, intrattenimento, cultura e tutte le novità di settore. L’ appuntamento è organizzato dalle associazioni La Bottega delle Parole, Librincircolo, Parole Alate e dalla Cooperativa Sociale Sepofà e patrocinato dal Comune di Napoli e dalla IV Municipalità. Ancora top secret i nomi degli ospiti, tra cui serpeggiano quelli di Michela Murgia e Roberto Saviano anche se ancora non confermati. In occasione di Ricomincio dai libri c’ è la volontà di chiudere al traffico le strade dei Tribunali e quelle intorno a Castel Capuano e creare sinergie nuove con il mondo della pittura, della musica, del teatro e dell’ arte a tutto tondo. francesca cicatelli.

Contributi radio locali. Pubblicata la graduatoria per il 2015

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Le norme per la concessione dei benefici alle emittenti radiofoniche locali sono disciplinate dal Regolamento recante modalità e criteri di attribuzione del contributo previsto dall’articolo 52, comma 18, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, per le emittenti radiofoniche locali emanato con decreto ministeriale n. 225 del 1 ottobre 2002 – pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 242 del 15 Ottobre 2002 – dove vengono stabiliti modalità e criteri di attribuzione ed erogazione.

Possono  beneficiare  delle  misure di sostegno previste per le emittenti radiofoniche locali le   emittenti  locali legittimamente  esercenti  alla data di entrata in vigore della legge 448/2001, secondo quanto previsto all’art. 52, comma 18, nella misura complessivamente non superiore ad un decimo dell’ammontare globale dei contributi stanziati.

La domanda dovrà essere redatta secondo lo schema di cui all’allegato B del regolamento ed inviata via raccomandata, o fax al Ministero per lo Sviluppo Economico, Direzione Generale per i Servizi di Comunicazione Elettronica e di Radiodiffusione Divisione V, Viale America 201 00144 Roma, entro il 30 ottobre di ciascun anno a cui il contributo si riferisce.

Graduatoria 2015

Graduatoria provvisoria delle emittenti radiofoniche locali ammesse al contributo per l’anno 2015, registrata all’Ufficio Centrale del Bilancio il 12 giugno 2017, con visto n. 590.

È possibile far pervenire motivata richiesta di eventuali modifiche entro e non oltre il giorno 17 luglio 2017 inviando una P.E.C. all’indirizzo dgscerp.div05@pec.mise.gov.it con oggetto: ”Richiesta modifica graduatoria emittenti radiofoniche locali anno 2015” ed in eventuale aggiunta all’indirizzo mail: antonella.gaviglia@mise.gov.it

 

 

Fake news: Cardani, inibire accesso a risorse pubblicitarie ai siti che veicolano notizie false

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“L’informazione di qualità è un bene pubblico” e se un Paese democratico può forse fare
a meno delle forme classiche di fare informazione generalista, “non potrà né oggi né in
futuro fare a meno di una informazione giornalistica autorevole, professionale, trasparente, responsabile”. Lo ha detto il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Marcello Cardani, intervenendo a Palermo ad un incontro sui temi della web reputation, cyberbullsimo e fake news organizzato dal Corecom Sicilia. Obiettivo della giornata era riflettere sulla sempre maggiore diffusione sulla Rete di notizie artefatte o false e sulle possibili misure di prevenzione e contrasto del fenomeno da parte degli stakeholder, pubblici e privati.
Secondo Cardani, il vero problema è che a differenza dei mezzi di informazione tradizionali, sul web “non esistono direttori responsabili, non ci sono garanti della veridicità e correttezza delle notizie pubblicate che rispondano ad un giudice delle ‘bufale’ eventualmente veicolate”. Il contrasto alle fake news sul web è quindi molto più complesso, ma per il Presidente dell’Agcom “un importante segnale potrebbe essere dato adottando meccanismi che inibiscano l’accesso alle risorse pubblicitarie, veicolate attraverso le grandi piattaforme digitali, ai siti che siano riconosciuti quali veicoli di notizie false”. Nel ricordare come Agcom sia in prima linea nella tutela dei cittadini più deboli rispetto alle false notizie e ai fenomeni correlati dell’hate-speech e cyberbullismo, Cardani ha auspicato una strategia regolatoria che sappia graduare gli interventi, “partendo da un approccio di moral suasion e light-touch regulation che dia precedenza a un regime fondato su obblighi di trasparenza e accountability delle funzioni di distribuzione delle notizie da parte delle piattaforme internet”. Non a caso, ha ricordato, l’Autorità sta concludendo un’indagine conoscitiva che attraverso un approccio scientifico vuole dare risposte concrete sul tema del ruolo crescente dei grandi aggregatori del web come piattaforme di informazione e giornali globali.

Rassegna Stampa del 20/06/2017

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Indice Articoli

Rai: “Viaggi pagati alla Maggioni? Servono a valorizzare l’ azienda”

Sole 24 Ore, il cda accetta l’ offerta del fondo Palamon per quota in area Formazione

Chessidice

Il Sole 24 Ore vende la divisione Formazione

Rai 3, rivoluzione d’ autunno

Agenzie, bando per la Farnesina

Pubblicità, nel 2017 investimenti su del 4,2%

Radio Italia Live, boom di ascolti

Le «Connessioni» al quarto Festival della Comunicazione

Accordo di licenza siglato tra Rcs MediaGroup e Coverstore per la realizzazione di cover dedicate

Vivendi sfida l’ Authority congela Mediaset ma fa ricorso al Tar

Le casse dei professionisti in rosso perché investono troppo sul mattone

Rai: “Viaggi pagati alla Maggioni? Servono a valorizzare l’ azienda”

Il Fatto Quotidiano

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La Rai lo ammette candidamente: gli otto viaggi con i quali l’ attuale presidente Monica Maggioni (all’ epoca direttrice di Rainews) ha presentato il suo libro Terrore Mediatico sono stati pagati dall’ azienda. Poco conta che l’ opera fosse pubblicata da un editore privato (Laterza) e con il servizio pubblico radiotelevisivo non avesse poi molto a che fare: la policy aziendale – spiegano in sostanza da Viale Mazzini – prevede che ogni uscita pubblica di direttori di rete o di testata “è da considerare in linea con l’ incarico ricoperto”, se “vengono affrontati temi coerenti con il mandato editoriale assegnato”. È quanto si legge nella risposta dell’ azienda a un’ interrogazione parlamentare presentata dalla deputata 5Stelle Mirella Liuzzi, esponente della Commissione di vigilanza Rai. Secondo Viale Mazzini, “in tale quadro la presenza di personalità aziendali riconoscibili a dibattiti, conferenze, presentazioni e altre occasioni simili, è dunque ritenuta non solo quale una componente dell’ incarico affidato ma, ancor di più, elemento di promozione e valorizzazione dell’ immagine della Rai”. In sostanza: se la Maggioni presenta il suo libro (privato), promuove e valorizza l’ azienda (pubblica).

Sole 24 Ore, il cda accetta l’ offerta del fondo Palamon per quota in area Formazione

Il Sole 24 Ore

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Il Consiglio di Amministrazione de Il Sole 24 Ore rende noto che, con riferimento all’ operazione sull’ Area «Formazione ed Eventi», all’ esito della seconda fase del processo di asta competitiva, la società ha ricevuto tre offerte (di cui due vincolanti), i cui contenuti economici sono tali da consentire la realizzazione di una plusvalenza superiore rispetto a quella indicata nella manovra patrimoniale e finanziaria approvata dal Consiglio di Amministrazione. A seguito dell’ analisi delle tre offerte ricevute, il Consiglio di Amministrazione ha deliberato, anche sulla base della fairness opinion emessa dal professore Amaduzzi, di accettare l’ offerta (vincolante ancorché soggetta alla finalizzazione della documentazione contrattuale) presentata dal fondo di private equity Palamon Capital Partners, attribuendo per l’ effetto a Palamon il diritto di esclusiva per la negoziazione e stipula degli accordi finali destinati a disciplinare l’ operazione. L’ offerta di Palamon si basa su un Enterprise Value di 80 milioni di euro per l’ intera attività. La sottoscrizione degli accordi finali è attesa – al più tardi – tra la seconda e la terza decade del mese di luglio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice

Italia Oggi

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Carione d.g. della Gazzetta dello sport. Francesco Carione è il nuovo direttore generale della Gazzetta dello Sport e riporterà all’ a.d. Urbano Cairo. Faranno parte della sua squadra Piergiovanni Sciascia (marketing stampa), Gianluca Varano (marketing digitale), Elisa Perego (eventi&licensing), Valerio Ghiringhelli (collaterali Gazzetta dello sport) ed Enrico Fili (e-commerce & new business). Il Sole 24 Ore: Operazione formazione, accetta l’ offerta di Palamon Cp. Il cda de Il Sole 24 Ore ha accettato l’ offerta vincolante, ancorché soggetta alla finalizzazione della documentazione contrattuale, presentata dal fondo di private equity Palamon Capital Partners per l’ area «Formazione ed eventi». L’ offerta di Palamon si basa su un enterprise value di 80 milioni di euro per l’ intera attività. La sottoscrizione degli accordi finali è attesa, al più tardi, tra la seconda e la terza decade del mese di luglio. Secondo quanto riferisce un comunicato del gruppo i contenuti economici sono tali da consentire la realizzazione di una plusvalenza superiore rispetto a quella indicata nella manovra patrimoniale e finanziaria approvata dal cda. I quotidiani della Poligrafici firmano il libro ufficiale di Modena Park. QN Quotidiano Nazionale, il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno presentano il libro ufficiale di Modena Park 2017 Il giovane Vasco, la mia favola Rock, Da zero a 30: 1952-1983. Il Racconto adrenalinico da cantautore a rockstar sarà in edicola da oggi a 12,90, oltre al costo del quotidiano. Il libro, arricchito da un’ importante sezione iconografica, sarà disponibile in libreria al prezzo di 15 euro e in edicola anche con i quotidiani Gazzetta di Parma, Libertà di Piacenza, Arena di Verona e Giornale di Vicenza. Antonella Bussi verso la direzione di Marie Claire. Il vicedirettore di Vanity Fair sta per assumere la guida del mensile edito in Italia da Hearst, anche se all’ orizzonte per lei c’ è la supervisione di Harper’ s Bazaar, nel caso in cui la testata lanci la sua versione tricolore.

Il Sole 24 Ore vende la divisione Formazione

La Stampa

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«Il Cda de Il Sole 24 Ore ha accettato l’ offerta vincolante, ancorché soggetta alla finalizzazione della documentazione contrattuale, presentata dal fondo di private equity Palamon Capital Partners per l’ Area «Formazione ed Eventi». Nella nota diffusa ieri si sottolinea che l’ offerta di Palamon si basa su un enterprise value di 80 milioni di euro per l’ intera attività. La firma degli accordi finali è attesa – al più tardi – tra la seconda e la terza decade del mese di luglio. Il valore dell’ operazione consente una plusvalenza superiore rispetto a quella indicata nella manovra patrimoniale e finanziaria approvata dal Consiglio.

Rai 3, rivoluzione d’ autunno

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Fabio Fazio e Luciana Littizzetto che si trasferiscono a Rai 1; Gerardo Greco che lascia la conduzione di Agorà per diventare direttore di Rai Radio 1 e del Giornale radio; Diego Bianchi, Makkox e tutta la banda di Gazebo che traslocano a La7. Insomma, una bella sequenza di cattive notizie per Rai 3 e il suo direttore Daria Bignardi, impiegata in questi giorni a predisporre un palinsesto decente per il prossimo autunno, nonostante le logiche infragruppo, soprattutto con lo spostamento di Fazio a Rai Uno, abbiano picchiato duramente sulla terza rete. E, in effetti, in base a stime interne della Rai, i cambiamenti dovrebbero fare perdere a Rai 3 almeno un punto di share medio sulle 24 ore, con un calo dal 6,5 al 5,5% atteso per il prossimo autunno. Da un punto di vista pubblicitario il canale, che ha un affollamento del 4%, ha raccolto nell’ ultima stagione 2016-2017 circa 85 milioni di euro. E, a causa della rivoluzione di palinsesto, dovrebbe scendere a quota 70 mln di euro nella prossima stagione 2017-2018. Confermato Alberto Angela, si punterà forte su nuovi spazi pensati per Massimo Gramellini (che occuperà lo slot di palinsesto lasciato libero da Gazebo), si raddoppierà la trasmissione di Lucia Annunziata (che durerà un’ ora, e non più mezz’ ora), c’ è l’ ipotesi di spostare Report nuovamente alla domenica in prima serata. E ci sarà ancora la scommessa su Cartabianca di Bianca Berlinguer, nonostante il talk politico del martedì di Rai 3, nell’ ultima stagione, sia stato praticamente sempre battuto da diMartedì di Giovanni Floris su La7. Al posto di Che tempo che fa, in procinto di passare a Rai Uno, dovrebbe andare Petrolio di Duilio Giammaria, che dalla rete ammiraglia trasloca invece a Rai 3 (nel cambio, diciamo così, Rai 3 non ci guadagna). E al canale diretto da Bignardi arriveranno pure le nuove docu-inchieste di Michele Santoro. © Riproduzione riservata.

Agenzie, bando per la Farnesina

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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La presidenza del consiglio dei ministri ha pubblicato un altro bando di gara europeo che riguarda le agenzie stampa: quello che fornirà al ministero degli esteri, alla sua rete diplomatica e al network della cooperazione internazionale notiziari generali, sia internazionali sia regionali, rassegne stampa e report di approfondimento su argomenti d’ interesse generale come il made in Italy. Il valore del nuovo bando di gara è di circa 40,8 milioni di euro per una durata complessiva di 36 mesi (Iva esclusa), considerando tutti e tre i possibili rinnovi. Il bando è suddiviso in 5 lotti e come strutturazione ricalca quello per le convenzioni con la stessa presidenza del consiglio dei ministri, suddiviso in 10 lotti e con una valore totale di quasi 115 milioni di euro spalmati su 36 mesi (vedere ItaliaOggi del 3/5/2017). Peccato però che quest’ ultimo bando abbia avuto e continui ad avere una vita travagliata. Al momento è stato assegnato solamente il primo lotto, che rappresenta la convenzione dal valore più alto ma anche la più onerosa impegnando la testata vincitrice, per esempio, ad almeno mille lanci giornalieri di agenzia. L’ Ansa è stata l’ unica a candidarsi per il primo lotto e se l’ è aggiudicato. È andato invece deserto il secondo lotto, con la stessa impostazione tecnica ed economica del primo, e in aggiunta è piovuto sul bando di gara proprio a causa di questo secondo lotto il ricorso dell’ Adnkronos. Il ricorso al Tar del Lazio, però, è stato a sua volta sospeso dalla calendarizzazione del Tribunale amministrativo e, anche se l’ impugnativa non ostacola l’ assegnazione dei lotti rimanenti, il timore delle agenzie stampa, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è che il ricorso possa inficiare l’ intera gara. A dire il vero, in precedenza, il bando europeo per fornire notiziari alla presidenza del consiglio dei ministri è stato oggetto anche di un altro ricorso, da parte del Velino, azione legale che richiedeva la sospensione del bando ma che è stata respinta sia dal Tar sia dal Consiglio di stato, in sede monocratica. Adesso, invece, è tempo di esteri e affari internazionali per le agenzie stampa visto che il termine ultimo per presentare le offerte è il prossimo 6 luglio. Nel dettaglio, le testate gareggeranno per vedersi assegnati un notiziario quotidiano generale nazionale e un notiziario globale internazionale (lotto 1) oppure un notiziario quotidiano generale nazionale e un notiziario Mediterraneo e Medio Oriente (lotto 2) o ancora focus regionali e una rassegna stampa ragionata (lotto 3). Mentre notiziari specialistici sui macrotemi del made in Italy, della diplomazia economica e culturale e della cooperazione allo sviluppo riguardano il lotto 4 e i servizi per gli italiani nel mondo il lotto 5. Come per il bando incentrato sui servizi d’ informazione per la presidenza del consiglio (il ministro per lo sport Luca Lotti ha la delega sull’ editoria), anche per quello che interessa la Farnesina il disciplinare di gara prevede che ogni agenzia stampa possa competere per due lotti al massimo ma se ne possa aggiudicare uno solo. Chi vincerà firmerà un contratto di sei mesi, che potrà essere rinnovato altre due volte per due anni in tutto (un anno + un anno) e ancora un’ ultima volta per altri sei mesi. Intanto, oggi a Roma, i giornalisti del settore si riuniscono per discutere del futuro delle agenzie di stampa e della controversa gara europea mentre già ieri Giuseppe Giulietti, presidente del sindacato dei giornalisti Fnsi, ha espresso un giudizio critico verso la politica del governo sul settore, dichiarando che «non c’ era bisogno di alcuna gara europea. Se si spengono le agenzie, si spengono anche le autostrade della comunicazione per molte emittenti e molti giornali». E il riordino complessivo dell’ editoria? «Il governo ha cominciato a concepire degli elementi di riforma del settore, ma sono ancora pochi e insufficienti: si procede ancora con delle pezze», ha concluso Giulietti.

Pubblicità, nel 2017 investimenti su del 4,2%

Italia Oggi

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La spesa pubblicitaria crescerà quest’ anno del 4,2% in tutto il mondo, toccando quota 559 miliardi di dollari, ossia 500,5 miliardi di euro. Secondo il nuovo studio Advertising expenditure forecasts di Zenith, agenzia di comunicazione del gruppo globale Publicis, l’ Italia aumenterà in particolare dell’ 1,4%, data anche «l’ incertezza nel clima politico» che «ha rallentato la crescita nel mercato», come ha sottolineato la divisione guidata da Jonathan Barnard, head of forecasting e director of global intelligence di Zenith. Una stima al di sotto, per esempio, di quella rilanciata di recente da Nielsen che si aspetta un rialzo a fine anno intorno al 3%. Ma più bassa anche rispetto a quella dell’ associazione degli investitori italiani Upa, che aveva parlato precedentemente di una chiusura 2017 al +2%. Se sull’ Italia pesano incertezza politica e crescita contenuta, a livello mondiale lo scenario deve fare i conti con altre variabili, tra cui innanzitutto il confronto con il 2016 che ha beneficiato di eventi come le Olimpiadi di Rio, i campionati europei di calcio e le elezioni americane. Eventi che, complessivamente, sono valsi 6 miliardi di dollari in investimenti (5,4 miliardi di euro). A pesare in Europa è invece la Brexit: «Il Regno Unito era il mercato che spiccava nell’ Europa occidentale fra il 2011 e il 2016, crescendo a un tasso medio annuo del 7,3%», hanno fatto notare da Zenith, ma ora tra l’ uscita dall’ Unione europea e l’ inflazione in crescita si parla per quest’ anno di «un drastico crollo negli investimenti pubblicitari». Comunque, secondo l’ agenzia del gruppo Publicis, il sentiment generale rimane positivo grazie alla corsa di altre aree geografiche come America Latina, Europa centro-orientale e soprattutto i mercati di Asia Pacifico. «I budget pubblicitari globali stanno crescendo in modo stabile ma cauto e stanno leggermente rallentando il passo rispetto alla crescita economica complessiva», ha spiegato Vittorio Bonori, global brand president di Zenith. «I brand guardano a dati e tecnologia come ai driver per la crescita di business, seguiti a stretto giro dalla trasformazione di business e a nuovi posizionamenti competitivi». Tornando in Italia, infine, Zenith si aspetta che la televisione continuerà a correre, anche se «il tasso di crescita rallenterà dal 5,4% del 2016 allo 0,6%». Certo è che il piccolo schermo continuerà a restare il mezzo dominante, con una quota intorno al 47%, e i canali tematici seguiranno un trend positivo «particolarmente veloce». Anche il digital resterà in tendenza positiva, con un incremento del 7,4%, spinto in particolare dai video e dai social media e dalla transizione al programmatic buying, che permette alle aziende di dialogare in modo più mirato col suo pubblico. Ci sono poi la radio, che le stime danno al +1% anche grazie a possibili nuovi servizi in stile Spotify, il cinema stabile intorno al 6,8%, le affissioni in calo del 3% e la stampa coi quotidiani e i mensili, rispettivamente in contrazione del 6% e del 4,9%.

Radio Italia Live, boom di ascolti

Italia Oggi

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«Radio Italia Live – Il concerto», archivia la prima serata di domenica 18 giugno a Milano con un boom di ascolti e di pubblico. Il concerto live condotto da Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu in diretta dal Duomo e trasmesso in contemporanea su Nove, Real Time e Radio Italia Tv, è stato seguito da 1,5 milioni di telespettatori con il 7,5% di share risultando il terzo programma più visto della serata. Complessivamente, dalle ore 19,53 alle ore 23,34, l’ evento, prodotto e realizzato da Radio Italia, con la collaborazione del Comune di Milano per Discovery Italia, ha raccolto 1.177.000 telespettatori con il 6,1% di share sul pubblico totale, contattando 7.500.000 persone e risultando anche il programma più commentato nella giornata sui social, Facebook e Twitter. «Si tratta di un grandissimo risultato, frutto del lavoro e della professionalità di tutte le persone che hanno dato il loro contributo», spiega Mario Volanti, editore e presidente Radio Italia. «Ovviamente un ringraziamento particolare va ad artisti, case discografiche e manager senza i quali tutto ciò non sarebbe stato possibile. È stata una grande serata che conferma quanto la musica unisca in senso positivo tante persone. Quanto prima saremo in grado di fornire i dati della total audience comprendente anche la radio, il web e tutta la parte social con la quale siamo stati in trend topic Italia con i due hashtag #rilive e #lamusicaèpiùforte. La collaborazione tra Radio Italia e Il gruppo Discovery si è dimostrata, ancora una volta, vincente». Per il portfolio di Discovery si tratta di un nuovo record grazie al 9,7% di share nelle 24 ore. «Grazie alla partnership con Radio Italia siamo riusciti a creare un evento live senza precedenti e che ci ha permesso di ottenere uno straordinario successo di ascolti», ha detto Laura Carafoli, chief content officer Discovery Networks Southern Europe per il gruppo Discovery. «La musica è stata l’ assoluta protagonista insieme a Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Serena Rossi e a tutti gli artisti che si sono alternati sul palco».

Le «Connessioni» al quarto Festival della Comunicazione

Libero

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Il Festival della Comunicazione torna per la sua quarta edizione a Camogli, da giovedì 7 a domenica 10 settembre (www.festivalcomunicazione.it). Diretto da Rosangela Bonsignorio e Danco Singer, è stato ideato con Umberto Eco, e conferma la collaborazione con la Rai. Le Connessioni è il tema del 2017 che, per quattro giornate, è approfondito in più di 100 appuntamenti fra incontri, laboratori, spettacoli, mostre, tutti gratuiti, da oltre 130 esperti e studiosi. Le Connessioni caratterizzano non solo il secolo ipertecnologico in cui viviamo, ma coinvolgono in modo profondo e strutturale la società, la storia, i sistemi economici e di governo, le nostre abitudini e il nostro pensiero. «La sfida di questa edizione è tentare di attraversare tutte le connessioni per capire come orientarsi in una realtà così intricata, analizzando i modi in cui la società è arrivata all’ attuale organizzazione, i possibili traguardi ed evoluzioni, i fenomeni e le forze in gioco», spiegano Rosangela Bonsignorio e Danco Singer. Torna anche il Premio Comunicazione che, istituito lo scorso anno e assegnato a Roberto Benigni, è conferito per il 2017 al divulgatore scientifico Piero Angela. Apre il Festival la lectio di Pietro Grasso, presidente del Senato della Repubblica. Tra i tanti ospiti: Ernesto Galli della Loggia, Maurizio Ferraris, Alessandro Piperno, Andrea De Carlo, Nicola Gratteri, Claudio Bisio, Pif, Brunello Cucinelli, Roberto Cingolani, Francesco Profumo e Gabriele Galateri.

Accordo di licenza siglato tra Rcs MediaGroup e Coverstore per la realizzazione di cover dedicate

Prima Comunicazione

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Rcs MediaGrup Spa, divisione Quotidiani, ha sottoscritto un contratto di licenza con Coverstore, per lo sviluppo di una collezione di cover che riporteranno le prime pagine della Gazzetta dello Sport – sia in versione vintage che contemporanea. “Siamo particolarmente orgogliosi e convinti che questo progetto di cover firmate Gazzetta dello sport potrà unire le diverse generazioni attorno ad questa splendida realtà che rappresenta un pezzo di storia d’ Italia”, ha dichiarato Andrea Bosetti direttore marketing e co-founder. I prodotti saranno in vendita presso i negozi Coverstore e sui siti di Coverstore e della Gazzetta.

Vivendi sfida l’ Authority congela Mediaset ma fa ricorso al Tar

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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ROMA. Vivendi è certa di non infrangere le barriere che vietano di giocare ad asso pigliatutto nell’ editoria e nella comunicazione. Per questo la società francese si appella ai giudici del Tar – ora è ufficiale – contro l’ altolà che il nostro Garante per le Comunicazioni (l’ Ag-Com) le ha intimato il 18 aprile. Oggi il colosso transalpino della tv e dei videogame (Vivendi appunto) ha il controllo di fatto di Telecom Italia con la maggioranza dei consiglieri di amministrazione e il 23,9% del capitale; ed ha anche il 28,8 delle azioni di Mediaset (con il 29,9% dei diritti di voto). Quello che il nostro Garante bolla come una violazione delle norme anti-concentrazione, per Vivendi è un assetto legittimo. I francesi sostengono che la presenza in Mediaset, per quanto rilevante, non permette di influenzare i destini delle tv del Cavaliere, dove Berlusconi continua a comandare. Per questo chiedono al Tar di cancellare la delibera del Garante del 18 aprile che invece ordina loro – tempo un anno – di mollare la presa in Telecom Italia oppure in Mediaset. Vivendi dà un contentino al Garante, niente di più. I francesi avrebbero congelato parte dei diritti di voto che detengono in Mediaset tenendone vivo solo il 9,9%. Questa mossa permette alla società transalpina di guadagnare tempo, in attesa che il Tar si pronunci sulla delibera dell’ altolà, quella del 18 aprile. La sfida ad AgCom, dunque, è totale. D’ altra parte l’ ad di Vivendi de Puyfontaine, che è anche presidente esecutivo in Telecom Italia, è insofferente per i veti dell’ arbitro della tv e delle tlc. Mentre gli Usa danno il via libera alle nozze tra At&t e Time Warner, il nostro Paese fa muro contro l’ avvicinamento tra Telecom e il Biscione. In questo scenario in movimento, batte un colpo anche Mediaset che riprende il controllo totalitario, dunque il 100%, della sua traballante pay-tv Premium. Berlusconi rileva l’ 11,1% che gli spagnoli di Telefònica avevano comprato nel gennaio 2015 per 100 milioni. In queste settimane Telefònica, ex monopolista iberico della tlc, avrebbe sottoscritto un singolare accordo con Mediaset. In pratica, gli spagnoli incasseranno l’ 11,1% del risarcimento che Vivendi verserà al Biscione, se condannata dal Tribunale civile. In quella sede, i legali di Berlusconi reclamano un miliardo. A luglio 2016, Vivendi si era impegnata ad acquistare in blocco Mediaset Premium pagando con un pacchetto di sue azioni (pari al 2,962% del capitale sociale). La casa madre Mediaset avrebbe ottenuto anche un altro 0,538% di Vivendi e girato ai francesi, a sua volta, un 3,5% del proprio capitale. Dopo l’ estate, il gruppo transalpino ha disdetto unilateralmente questo contratto. Le tensioni tra Vivendi e il Biscione hanno depresso l’ andamento del titolo della società milanese. E Vivendi – questa l’ accusa della famiglia Berlusconi davanti al giudice civile – ne avrebbe approfittato per avviare la scalata ostile a Mediaset. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il Biscione si accorda con Telefonica ricompra l’ 11% di Premium e sale al 100%

Le casse dei professionisti in rosso perché investono troppo sul mattone

Libero
SERGIO LUCIANO
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Due milioni di italiani, tra lavoratori e pensionati, iscritti alle 22 Casse di previdenza private, che ne amministrano 73 miliardi di risparmio pensionistico, sono nelle mani di chissà chi. È la denuncia di Roberta Lombardi, la deputata Cinquestelle che della riforma delle Casse ha fatto una propria bandiera politica e che in un’ intervista di pochi giorni fa ad Affari Italiani ha rilanciato la sua idea: accorpare la gestione delle Casse in un’ unica struttura o almeno, in alternativa, in diverse aree di competenza soggette però a obblighi di trasparenza ben più stringenti di quelli attuali: «Occorre andare verso una riduzione di poltrone di consiglieri d’ amministrazione e sindaci, perché in questi anni non hanno ben amministrato e controllato. Meglio pochi ma buoni», dice la grillina. Che ridà fuoco alle polveri di una situazione carsicamente critica, oggetto in molti casi del lavoro di varie Procure. Bersagli ricorrenti delle critiche della Lombardi, l’ Enasarco e l’ Inpgi, ma anche l’ Enpam. Comun denominatore, la scarsa trasparenza nelle scelte dei gestori e quindi nelle strategie – e negli esiti – degli investimenti. Con un problema in più: gli enti previdenziali restano molto “investiti” in immobili, anzi troppo, nonostante la raccomandazione di uno dei due ministeri vigilanti, quello dell’ Economia – sfociata in una bozza di decreto di imminente varo – che prescrive di ridurre entro il 30% del patrimonio totale gli investimenti in immobili. Disfarsi degli immobili non è facile, quando sono affittati. E ne sa qualcosa l’ Inpgi, i cui inquilini protestano quando si vedono chiedere di comprare o andarsene. Ma è difficile anche perché le connection tra chi nelle Casse decide a chi affidare la gestione degli immobili e i gestori – due caste – sono molte, ramificate, potenzialmente inquinate, come tanti episodi hanno dimostrato. Non a caso, proprio la Lombardi ha presentato un esposto alla Procura per denunciare le «pesanti irregolarità» rilevate «attraverso lo studio dei bilanci e dei documenti contabili», di varie Casse. Senza che la Covip, la commissione per la vigilanza sugli istituti previdenziali, abbia «strumenti coercitivi e sanzionatori per pretendere dalle casse gli schemi degli accordi tra queste e le Società di gestione del risparmio cui si affidano». Il nervo più scoperto è sempre quello dell’ Enasarco, dopo la denuncia di tre anni fa da parte dell’ ex vicepresidente, poi dimissionario, Andrea Pozzi, circa una serie di opacità gestionali e in particolare circa il rapporto con il gruppo finanziario Gwm, che è tuttora tra i gestori patrimoniali dell’ ente per scelta dell’ allora presidente (e tuttora consigliere, ancorchè di minoranza) Brunetto Boco. Ma anche l’ Enpam lascia perplessi gli analisti per alcune operazioni troppo spinte proprio sull’ immobiliare, nonostante l’ ente abbia addirittura ricevuto dei premi privati per la diversificazione del portafoglio. Con i suoi 5 miliardi di investimenti diretti e indiretti nell’ immobiliare l’ Enpam ha scommesso forte sul mattone. Acquistando ad esempio, per ben 245,7 milioni di euro, il 50% di un immobile a Londra – il Principal Place – dove sta predendo sede Amazon. Bene, peccato che l’ acqisizione sia stata firmata prima del referendum sulla Brexit e quindi i valori in gioco siano inquinati dal cambio sfavorevole. Regista dell’ operazione era stato Ofer Arbib, uomo d’ affari italo-israeliano, cugino di Daniel Buaron, celebre immobiliarista italiano, inventore sempre per Enpam della Antirion Sgr che gestisce tre fondi immobiliari: Antirion Global (due comparti: core e hotel) e Antirion Aesculapius. Ed è proprio Antirion Global che ha incrementato pre-Brexit il suo portafoglio con il palazzo londinese. Ma il rapporto Enpam-Aibib resta blindato al punto che il finanziere starebbe per strappare a Idea Fimit la gestione del Fondo immobiliare più ricco di Enpam, Ippocrate, con un patrimonio di circa 2 miliardi e un portafoglio di 21 palazzi destinati ad uffici tra Lazio e Nord Italia. Per Idea Fimit sarebbe una batosta. Ex fund-manager di Ippocrate, ironia della sorte, è proprio il cugino di Arbib, Buaron. Per carità, a far impallidire queste coincidenze c’ è il buon bilancio 2016 di Enpam, che ha registrato una crescita del 7,2% del patrimonio netto a 18,4 miliardi e un utile record superiore a 1,3 miliardi. Ma resta il vizietto del troppo mattone e la grande dipendenza dagli stessi personaggi-chiave. Che è un po’ lo stesso inghippo di Enasarco: nonostante l’ ex presidente Boco sia isolato in consiglio, nonostante il direttore finanziario Roberto Lamonica sia stato licenziato per aver assunto iniziative senza l’ autorizzazione del Cda, le scelte gestionali sembrano ancora ispirate dai due. Per esempio il rapporto con Gwm, che amministra 780 milioni della Fondazione con una commissione dell’ 1,5%, il quadruplo della media del mercato delle Sgr (Fimit o Coima applicano commissioni intorno allo 0,3%). Tenuto conto che il contratto in essere scade fra 27 anni, Enasarco dovrà sborsare di sole commissioni ben 300 milioni, circa 12 milioni ogni anno. La liason Boco-Gwm risale peraltro al 2012, quando il primo affidò senza gara al secondo 1,4 miliardi di investimento alla Sgr che faceva capo a Sigieri Diaz della Vittoria Pallavicini, e per il 20% a Massimo Caputi. Proprio tra i prodotto di Gwn c’ era l’ obbligazione strutturata Anthracite da 780 milioni, garantita – si fa per dire – dalla fallita Leheman Brothers. La durata (e le profumate commissioni) del contratto con Gmw nascono dal fatto che come garanzie collaterali Enasarco ottenne un Btp a scadenza 2039 – durata che indusse a stipulare il contratto di gestione fino alla stessa scadenza – che però a un certo punto Gmw ha venduto per guadagnarci il massimo e rimborsare perdite sui titoli-spazzatura per 500 milioni: bene, peccato che siano stati comunque assai meno del valore nominale degli investimenti rischiosi di Anthracite. Che per la parte restante sono scoperti dalla solida garanzia di quei Btp. Mentre la super-durata del contratto non è stata revocata. È il tipico genere di “connection” che ricorre – tra successi e rovesci – in molte, troppe vicende gestionali delle Casse. Contro le quali i grillini sono all’ attacco. riproduzione riservata.

Pubblicato bando di gara per agenzie di stampa per servizi esteri

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È stato pubblicato sul sito web del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della presidenza del Consiglio dei ministri il bando per l’affidamento di servizi giornalistici e strumentali ad agenzie di stampa con rete di servizi esteri e loro diffusione all’estero. Il bando, suddiviso in 5 lotti, per un valore presunto complessivo dell’appalto di 40.830.000 euro (Iva esclusa) in 36 mesi, prevede la gara a procedura aperta per l’assegnazione di un notiziario quotidiano generale nazionale e un notiziario globale internazionale (lotto 1); un notiziario quotidiano generale nazionale e un notiziario “Mediterraneo e Medio Oriente” (lotto 2); dei focus regionali e una rassegna stampa ragionata (lotto 3); notiziari specialistici sui macro temi del Made in Italy, della diplomazia economica e culturale e della cooperazione allo sviluppo (lotto 4); servizi per gli italiani nel mondo (lotto 5).
Lo stesso disciplinare di gara specifica i requisiti che le agenzie di stampa devono possedere per poter partecipare all’assegnazione. La data di scadenza per presentazione delle offerte è il 6 luglio 2017.


Rassegna Stampa del 21/06/2017

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Indice Articoli

Caltagirone scippa la cassa agli azionisti di minoranza

A Fra’, che te serve il Sole 24 Ore?

Nuovi protagonisti digitali assumono la leadership dell’ informazione

Sole 24 Ore, Ebitda Area Formazione a 4,7 milioni

Perché il futuro continui a essere quotidiano

“I giornali ce la faranno soltanto accorpandosi”

Chessidice in viale dell’ Editoria

Tv locali, il multimediale verrà

France Tv, coproduzioni in Italia

De Agostini lancia il canale «Alpha» Partirà il prossimo autunno il nuovo canale, dedicato al pubblico maschile, del gruppo De Agostini Editore,

“I giornali ci saranno fino a quando l’ uomo avrà bisogno di sapere”

Gli Stati Generali dell’ editoria mondiale

Futuro dei giornali Bezos e gli altri big dell’ editoria fanno il punto a Torino

Informazione a confronto: perché il futuro continui a essere quotidiano

Confronto sul futuro dei giornali

Salto generazionale e web, la sfida dei media

Tv e radio locali dimenticate: a rischio le voci della gente

Big data, mondo da riorganizzare

Approvata la nuova legge regionale per l’ editoria locale

Editoria: «C’ è la legge regionale»

Editoria, legge regionale cercasi

«Stop alle fake news, sono un danno per il sistema informativo»

Caltagirone scippa la cassa agli azionisti di minoranza

Il Fatto Quotidiano
Salvatore Gaziano
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Viene descritto da anni come fra i più ricchi e influenti industriali in Italia, con un patrimonio stimato superiore ai 2 miliardi di euro. Eppure quando c’ è da aprire il portafoglio anche Francesco Gaetano Caltagirone ha qualche problema. Poco più di una settimana fa il gruppo ha annunciato l’ intenzione di togliere dal listino della Borsa la Caltagirone Editore (23 mila azionisti), lanciando un’ offerta pubblica di acquisto (Opa) sulla scatola che controlla le partecipazioni nei quotidiani: Il Messaggero, Il Mattino, Leggo, Il Gazzettino, Il Quotidiano di Puglia e il Corriere Adriatico. Di questa società controlla il 65% circa e offre ora 1 euro per azione agli azionisti di minoranza per toglierla da Piazza Affari. Secondo numerosi piccoli risparmiatori e soci di minoranza è un prezzo irrisorio e sono pronti ad appellarsi alla Consob, non risparmiando critiche anche pesanti al costruttore romano. Con l’ offerta a 1 euro la famiglia Caltagirone valuta, infatti, il gruppo editoriale 125 milioni, mentre fu quotato nel luglio 2000 a 18 euro per ogni titolo, oltre 2,2 miliardi di capitalizzazione. Si può fare un prezzo simile? In caso di offerta pubblica volontaria il prezzo proposto è rimesso alla mera volontà degli offerenti, recita il Testo Unico di Finanza. Ma chi lancia l’ offerta deve accompagnare questa valutazione con il disco verde degli amministratori indipendenti della società e una perizia indipendente (fairness opinion) di una banca d’ affari o di una società specializzata. “La valutazione di 1 euro appare lontanissima dai valori di bilancio”, osserva Alfonso Scarano, analista finanziario indipendente e presidente di Assotag, associazione italiana dei consulenti tecnici nominati dall’ Autorità Giudiziaria, “il prezzo di mercato è effetto anche della stessa gestione. Ma in caso di Opa volontaria gli amministratori indipendenti sono tenuti a esprimere un prezzo congruo a tutela di tutti gli azionisti. Come faranno gli amministratori indipendenti della Caltagirone Editoriale a giustificare un prezzo così light che sconfessa quasi totalmente i valori patrimoniali indicati dalla stessa società? Un’ Opa a prezzo così basso e così slegato dai fondamentali sarebbe un precedente veramente pericoloso per la credibilità del mercato finanziario italiano”. Fra i consiglieri indipendenti spicca la figura di Antonio Catricalà, ex presidente dell’ Autorità antitrust, nominato dall’ ultima assemblea. Si legge tra l’ altro nel bilancio 2016: “La quotazione del titolo risente delle condizioni ancora generalmente depresse e altamente volatili dei mercati finanziari, risultando significativamente distante dalla valutazione basata sui fondamentali del gruppo espressa dal valore d’ uso”. Che cosa dicono i famosi “fondamentali”? La società nel bilancio 2016 ha un patrimonio netto di 472 milioni e detiene una cassa di 134 milioni di euro oltre titoli per circa 81 milioni di euro fra cui 5,7 milioni di azioni Generali, oltre a importanti crediti fiscali. Valori che fanno apparire la valutazione del gruppo a 125 milioni molto low cost. La società romana spiega il delisting con la razionalizzazione del gruppo e come una sorta di regalo agli azionisti di minoranza: “Concedere un’ opportunità di disinvestire agevolmente e a condizioni più favorevoli di quelle registrate nei mesi scorsi sui mercati azionari”, anche alla luce “del livello ridotto di liquidità del titolo che non consente di esprimere appieno il valore intrinseco della società”. Si preannuncia quindi una battaglia piuttosto accesa. Il titolo fu collocato all’ apice della bolla internettiana da Jp Morgan e da Mediobanca, che ora si occuperà del delisting, fornendo così il servizio completo. Durante il road show il gruppo fu presentato come una storia di successo con un fortissimo potenziale su Internet, in quel periodo miele miracoloso, capace di attirare le api. La campagna pubblicitaria puntò forte sul web e sul portale Caltanet.it, “il sito preferito dai mouse”: oggi in Rete non esiste più. Nel 2000 Caltagirone riesce a spuntare per il suo braccio editoriale una valutazione di 2,25 miliardi di euro e la società incassa 630 milioni di liquidità. Oggi per ricomprare la quota delle minoranze la società viene valutata poco più di un ventesimo di allora. E pur tenendo conto dei dividendi staccati in questi anni gli investitori della prima ora hanno perso oltre l’ 80 per cento dell’ investimento. Dopo alcune significative operazioni editoriali come l’ ingresso nella free press con Leggo (2001), l’ acquisto del Corriere Adriatico (2004) e del Gazzettino (2006) l’ ingente liquidità viene utilizzata dal gruppo Caltagirone per operazioni di acquisizioni non propriamente editoriali o legate al core business della Caltagirone Editore. Operazioni finanziarie che gli investitori istituzionali non gradiscono, giudicando negativamente l’ utilizzo della cassa per operazioni che nulla hanno a che fare con l’ editoria. Come per esempio l’ uso di una parte significativa della cassa per l’ acquisto di una partecipazione in Monte dei Paschi (di cui Caltagirone diventa vice-presidente ) e nelle Assicurazioni Generali. Poi la vendita della partecipazione in Mps, con forti perdite, per entrare in Unicredit e uscirne, ancora una volta con perdite milionarie, che vanno a pesare anche nei bilanci della Caltagirone Editore, il cui vice presidente operativo è Azzurra Caltagirone che è anche amministratore delegato del Messaggero. E ora il gioco dell’ Opa.

A Fra’, che te serve il Sole 24 Ore?

Il Fatto Quotidiano
Giorgio Meletti
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Tre indizi fanno una prova? Vediamo. Il primo indizio è che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia rinvia sempre l’ aumento di capitale del Sole 24 Ore. Nove mesi fa, appena prima di essere cacciato, l’ ad Gabriele Del Torchio ha detto a Boccia e soci la verità sui conti del quotidiano che loro in realtà conoscevano benissimo da anni facendo finta di niente – è così che si fa carriera in Confindustria. Lo sanno anche i cristalli della sede disegnata da Renzo Piano che servono almeno 120-150 milioni. Dopo nove mesi Boccia ha partorito l’ aumentino da 50 milioni, ma con calma, in autunno. Confindustria ci metterà 30 milioni, tutto quello che ha, poveretta. Questi furbacchioni, bravi a comandare con i soldi degli altri nelle loro aziende quotate, con la loro associazione non sono ancora riusciti a succhiare denaro ai passanti. Gli industriali non vogliono perdere il controllo dell’ unico giornale che parla bene di loro e tengono basso l’ aumento di capitale: così preparano il terreno per il generoso salvatore, Francesco Gaetano Caltagirone. Secondo indizio: nessuno riesce a spiegarsi il delisting della Caltagirone Editore descritto qui a fianco da Salvatore Gaziano. Caltagirone è troppo ricco per architettare un simile tiro agli azionisti di minoranza per pura avidità. Forse preferisce prendersi Il Sole con una società non quotata: la fusione tra due quotate è troppo complicata ed esposta ai ficcanaso della Consob. Il terzo indizio è che la Confindustria è sfasciata. Carlo Bonomi, presidente dell’ Assolombarda, la più ricca associazione territoriale italiana, ha detto proprio ieri di non avere in programma donazioni di sangue al Sole 24 Ore. La verità è che gli industriali del nord vedono ormai intorno a Boccia una sorta di loggia romano-meridionale più attenta al potere che all’ industria. Dare il Sole all’ amico Caltagirone sarebbe davvero mantenerne il controllo. Lasciarlo alle ricche confindustrie del Nord sarebbe come perderlo.

Nuovi protagonisti digitali assumono la leadership dell’ informazione

Il Fatto Quotidiano

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Tutto quelloche sapevamo sul mondo della comunicazione e dell’ editoria non esiste più: o meglio, sta cambiando rapidamente, lasciandoci lì, a guardare. Il crepuscolo dei media di Vittorio Meloni, descrive pienamente le trasformazioni della comunicazione e al tempo stesso, i mutamenti sociali che ci circondano, in un quadro dove i due attori, i media e la società, si condizionano a vicenda. Mentre crollano le vendite dei giornali, la Tv è alla costante ricerca di budget nella rincorsa alle nuove offerte delle piattaforme web, come Netflix, Amazon e Apple Tv, scelte da un numero sempre maggiore di spettatori. La perdita di fiducia nei quotidiani, considerati sempre di più la voce dell’ establishment, lontana dalle esigenze reali, come nel caso delle Presidenziali in America, dove Donald Trump non era il candidato supportato dalla stampa. Ma anche il controllo dei grandi gruppi dell’ editoria per riuscire a contrastare la concorrenza del web, fino alla radio: strumento originario della comunicazione che dopo un lento oblio sembra rivivere una nuova primavera. Viene descritta la frammentazione del mondo, delle sue culture e dei cambiamenti che influenzano il modo di fare comunicazione e di informarci, preferendo sempre di più grandi quantità di fonti e di modi diversi di raccontare. Un’ informazione che diventerà sempre più liquida, come teorizzato da Zygmunt Bauman, in un quadro dove il futuro della comunicazione è già davanti a noi ed è il web: una multitudine di opinioni e partecipazioni protagoniste stesse dell’ informazione. Per Vittorio Meloni i nuovi media sono già nati e “sono le piattaforme social”. Chissà se l’ editoria raccoglierà la sfida e riuscirà a fondersi con la nuova realtà digitale?

Sole 24 Ore, Ebitda Area Formazione a 4,7 milioni

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Palamon Capital Partners ha valutato l’ enterprise value dell’ Area Formazione ed Eventi del Sole 24 Ore sulla base del perimetro di riferimento che vede un ebitda adjusted 2016 di 4,7 milioni e un risultato operativo e un flusso di cassa molto simili all’ ebitda. Lo precisa a Reuters il gruppo editoriale, aggiungendo che i ricavi adjusted 2016 dell’ Area Formazione ed Eventi sono stati pari a 20,9 milioni. Lunedì sera il consiglio di amministrazione del Sole ha annunciato di aver accettato l’ offerta vincolante di Palamon Capital Partners per una quota dell’ area Formazione ed Eventi sulla base di un enterprise value di 80 milioni. La finalizzazione è attesa entro fine luglio. La valutazione tiene conto della forte crescita, in corso e attesa, del business, nonché dell’ elevata generazione di cassa del medesimo, sottolinea il Sole. A Piazza Affari il titolo del Sole 24 Ore ha chiuso ieri in rialzo dell’ 8,47% a 0,434 euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Perché il futuro continui a essere quotidiano

La Stampa
BENIAMINO PAGLIARO
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«Il futuro è quotidiano» sono le parole che abbiamo scelto per festeggiare i 150 anni della Stampa, e la ricerca di un futuro sostenibile ed equilibrato dell’ industria editoriale è al cuore della conferenza che oggi a Torino chiude questi mesi. L’ editore della Stampa , John Elkann, ha scelto il centro stampa del giornale quale luogo simbolo in cui ospitare molte delle personalità più rilevanti dell’ industria editoriale globale e studiare il futuro del settore. Le testate più prestigiose del mondo si riuniranno tra le nostre rotative, introdotte dal direttore Maurizio Molinari. Prima un dialogo tra il numero uno del Financial Times , Lionel Barber, quello dell’ Hindustan Times , Bobby Gosh, Lydia Polgreen dell’ Huffington Post e Ascânio Seleme di O Globo , moderati dal direttore di Bloomberg News John Micklethwait. Il confronto tra gli amministratori delegati, moderato dal direttore dell’ Economist (di cui Exor è dal 2015 il maggiore azionista), Zanny Minton Beddoes, avrà come protagonisti il Ceo di Politico , Robert Allbritton, quello di Le Monde , Louis Dreyfus, quello del South China Morning Post Gary Liu e quello del New York Times Mark Thompson. Il direttore di Repubblica , Mario Calabresi, rivolgerà le domande degli studenti di giornalismo e dei lettori al presidente di Nikkei Tsuneo Kita (l’ editore giapponese che ha comprato il Financial Times ), alla fondatrice e direttrice di The Information , Jessica Lessin, al direttore della Bild Digital Julian Reichelt, all’ editorialista del New York Times Andrew Ross Sorkin e al Ceo di NewsCorp Robert Thomson. John Elkann dialogherà con Jeff Bezos, il fondatore di Amazon e editore del Washington Post , rispondendo alle domande di Massimo Russo, direttore generale della divisione digitale di Gedi Gruppo Editoriale, il cui presidente, Carlo De Benedetti, chiuderà i lavori. La conferenza sarà trasmessa in diretta video a partire dalle 14,30 sul sito della Stampa e sulla pagina Facebook del giornale, in lingua italiana e inglese. L’ hashtag della giornata è #FutureofNewspapers . BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

“I giornali ce la faranno soltanto accorpandosi”

La Stampa
ELISABETTA PAGANI
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«Cosa mi aspetto dalla giornata di oggi? Di ascoltare idee interessanti dai protagonisti dei media di tutto il mondo». Ascânio Seleme, dal 2011 direttore di O Globo , uno dei maggiori quotidiani brasiliani, porterà le sue. Di idee ed esperienze. Dalla recente fusione delle redazioni di O Globo , Extra ed Expresso , tutti giornali editi da Infoglobo e da gennaio in un’ unica grande sede (con 500 fra giornalisti, grafici e fotografi), alla scelta di spostare al mattino l’ orario di lavoro di gran parte della redazione per rafforzare il web. L’ obiettivo è far crescere gli abbonati, lo zoccolo duro dei lettori, sia nelle edizioni digitali sia in quelle cartacee. Lo strumento, spiega Seleme, è sempre lo stesso: «Un’ informazione di qualità», capace di scoop come quello del mese scorso, quando il giornale è entrato in possesso di una registrazione in cui il presidente brasiliano Michel Temer avrebbe avallato la consegna di una tangente all’ ex presidente della Camera, Eduardo Cunha, per comprarne il silenzio e su cui ora la magistratura sta indagando. Come si difende la specificità di tre diversi giornali creando un’ unica redazione? «Puntando sui valori che li contraddistinguono – O Globo è il quotidiano di qualità, Extra è più popolare, Expresso è un tabloid – per continuare a realizzare tre prodotti diversi. E poi creando settori specifici, ad esempio un desk che supervisiona le notizie molto locali e un desk centrale. I direttori rimangono due, uno per O Globo e uno per Extra . È il cambiamento maggiore che abbiamo realizzato, e credo che altri seguiranno il nostro modello». Come ha reagito la redazione? «Con un po’ di apprensione all’ inizio, ma ora, dopo sei mesi, ha capito. La nuova sede, inaugurata a gennaio e realizzata allo scopo di unire le tre redazioni, ha aiutato». E i lettori? «Sul cartaceo non è cambiato nulla. Sul digitale, invece, Extra è diventato un po’ più sofisticato e O Globo più alla mano. I risultati economici ancora non li abbiamo, ma i lettori sono aumentati». L’ integrazione con il web funziona? «I capi dei vari settori, dalla politica all’ economia, sono responsabili dei contenuti che vanno su tutte le piattaforme, dal computer ai cellulari al quotidiano. Puntiamo sul digitale ma la maggioranza degli introiti continua ad arrivare dalla carta, per questo lottiamo per salvarla: vendiamo circa 220.000 copie, e l’ 85% sono abbonamenti. Ma i tempi sono cambiati: 5-6 anni fa con l’ edizione domenicale vendevamo 125.000 copie, ora 25.000. Ma oggi abbiamo 50.000 abbonati digitali. E il sito, dopo 5 articoli letti, è a pagamento. Funziona? Bisogna lavorarci: la gente è disposta a pagare per il divertimento – sport e film – ma non ancora per l’ informazione. E allora noi dobbiamo produrre contenuti talmente interessanti e accurati che la gente non possa farne a meno». Lo scoop sul presidente Temer, pubblicato lo scorso maggio, che impatto ha avuto? «In un giorno abbiamo avuto 7 milioni di visitatori unici, 20 milioni di pagine viste. Venivamo dall’ impeachment del presidente precedente, Dilma Rousseff, e siamo venuti in possesso dell’ audio dell’ incontro nel seminterrato del palazzo presidenziale fra Temer e un importante imprenditore del settore delle carni, che lo ha registrato. Si parlava di tangenti. Parole che un presidente non dovrebbe mai pronunciare. Ci sono stati pesanti conseguenze in politica e la magistratura sta indagando». Qual è la vostra strategia per il futuro? «Da giornalista sostengo che gli strumenti principali sono la qualità, maggiori investimenti nelle nuove tecnologie e la presenza sul territorio: dobbiamo esserci ogni volta che interessa ai lettori, e fornire loro un prodotto su più piattaforme». E il futuro della stampa? «Pensiamo a come sarebbero Paesi come il Venezuela, l’ Arabia Saudita, la Russia, la Cina o gli Usa di Trump senza la stampa. Un disastro. Non è una battaglia per salvare noi stessi ma per salvare la democrazia, il mondo». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sole 24 Ore, Assolombarda valuterà aumento se richiesto. Assolombarda in questo momento «non è parte in causa dell’ aumento di capitale del Sole 24 Ore. Se ci verrà richiesto di valutare qualsiasi tipo di opzione lo faremo, ma a oggi non è assolutamente sul tavolo». Lo ha affermato ieri il presidente dell’ associazione Carlo Bonomi, a margine del Forum italo-tedesco, tornando sulle affermazioni fatte durante l’ assemblea di Assolombarda della scorsa settimana. «Confindustria si è rivolta al mercato», ha ricordato, «e Intesa Sanpaolo garantirà l’ eventuale inoptato. Noi siamo un’ associazione, non facciamo operazioni sul mercato». De Agostini, in autunno via al nuovo canale Alpha. Partirà il prossimo autunno il nuovo canale Free to air, dedicato al pubblico maschile, del gruppo De Agostini Editore, Alpha, visibile al canale 59 del digitale terrestre. La raccolta pubblicitaria sarà affidata a Viacom International Media Networks Pubblicità & Brand Solutions. Si amplia così il Network dei canali televisivi di De Agostini Editore: oltre ad Alpha, al gruppo fanno capo i due satellitari DeAKids e DeAJunior, visibili su Sky al 601 e 623 (con il canale time shift DeAKids + 1 al 602), e il free to air Super!, che punta all’ intrattenimento per ragazzi, visibile al 47 del digitale terrestre e al 625 di Sky. Cir vince il premio europeo sulla sostenibilità. Cir è stata premiata come azienda europea più sostenibile nell’ ambito degli «European Family Business Awards» organizzati dalla rivista britannica Campden e da Société Générale Private Banking. La manifestazione, giunta quest’ anno alla sesta edizione, premia le eccellenze del capitalismo familiare europeo. La holding presieduta da Rodolfo De Benedetti e guidata dall’ amministratore delegato Monica Mondardini è stata la più votata dalla giuria nella categoria «Top Sustainable Family Business». Le altre finaliste della categoria erano Ikea, Bavaria e Kone. La cerimonia di premiazione si è tenuta nel Lobkowicz Palace, all’ interno del Castello di Praga, ed è stata presentata dall’ ex giornalista della Bbc Tim Jenkins. Ansa e Alpitur raccontano 70 anni di viaggi italiani. Si chiama «L’ Italia in vacanza» il progetto fotografico nato da Ansa e Alpitour, ideato per raccontare l’ evoluzione del modo di viaggiare. Settant’ anni narrati attraverso l’ economia, la società e la cultura, per vedere come dal dopoguerra in avanti gli italiani hanno viaggiato. Così Alpitour, guidata da Gabriele Burgio, ieri a Roma ha festeggiato i suoi sette decenni di vita, con l’ allestimento di una mostra presso il Voi Donna Camilla Savelli Hotel, e una pubblicazione, sempre con le foto Ansa.

Tv locali, il multimediale verrà

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ Auditel si prepara a rilevare anche le trasmissioni online, viste su smartphone, tablet e su tv connessi. Perché a fronte di una frammentazione degli ascolti è necessario recuperare e contare gli spettatori dove sono. Per le televisioni locali potrebbe essere lo stesso: tg, singoli servizi, approfondimenti in alcuni casi sono disponibili sui siti delle emittenti, ma occorrerebbe fare il salto sui televisori connessi o avere servizi online più strutturati. Eppure la tv locale potrebbe recuperare in un secondo momento ascolti che perde perché lo spettatore sceglie la fiction su Rai 1 o il programma di Canale 5 o aggiungere audience anche da fuori della propria area. Queste cose chiedono tuttavia investimenti e questo non è proprio il momento migliore. «Ci troviamo di fronte a uno scenario diverso del mondo televisivo per cui occorre rivedere il modello di business», commenta Marco Rossignoli, coordinatore di Aeranti-Corallo, l’ associazione di emittenti locali che si trova oggi a Roma per il convegno annuale. «Le locali devono concentrarsi sull’ informazione locale. Sono contenuti che altri non hanno: il tg, lo sport, il talk locale. Andranno però declinati in un contesto multimediale, per questo si deve adattare il prodotto in modo che sia disponibile su altre piattaforme. Oggi molte emittenti hanno contenuti sul web, alcune hanno solo l’ elenco dei tg, altre forniscono anche il dettaglio dei singoli servizi ed è più semplice che ottengano utenti. Certo, serve investimento anche qui e la situazione per il comparto è seria». Domanda. Non ci sono segnali di ripresa? Risposta. Il settore delle tv locali è fortemente in crisi e non c’ è un segnale reale di inversione di tendenza: il passaggio al digitale con gli investimenti che si sono resi necessari, il continuo cambiamento delle regole, le criticità sia sulle frequenze che sulle Lcn, la crisi della pubblicità si sono sommati al cambiamento delle abitudini di fruizione degli spettatori che hanno messo in crisi la tv generalista e in particolare quella locale. Numerose aziende hanno chiuso, sono fallite, una situazione mai vista in 40 anni se non in casi isolati. D. Sulla raccolta potrebbero esserci novità… R. La manovrina approvata in via definitiva dal senato ha introdotto sgravi fiscali per le imprese che investono in pubblicità su radio, tv e giornali locali. È un provvedimento che invocavamo da tempo per favorire la ripresa del mercato pubblicitario locale. D. Sui contributi si è mosso qualcosa? R. Il sistema contributivo è cambiato con l’ istituzione del nuovo Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione. A oggi non è stato ancora emanato il regolamento attuativo. Lo schema varato dal consiglio dei ministri è in attesa del via libera del consiglio di stato, che ha fatto alcune richieste di chiarimenti. I ritardi sono enormi: per fare le domande probabilmente si andrà al 2018. E questi sono i contributi del 2016 e del 2017. Mentre attualmente sono in pagamento quelli del 2015. La stessa questione vale per le radio, visto che il nuovo regolamento sarà unico. D. Terza questione la numerazione dei canali, una storia infinita? R. Oggi più che mai serve una legge per stabilizzare le numerazioni attribuite nel 2010, non si può pensare che a breve possano essere cambiate. La situazione è infatti delicata: il Tar del Lazio recentemente ha accolto un ricorso e ha stabilito che il ministero faccia un bando entro tre mesi per assegnare gli Lcn. D. Radio digitale, ci sono le frequenze? R. Sono partite due società consortili in Toscana con 24 emittenti aderenti ad Aeranti-Corallo che hanno già avuto l’ assegnazione delle frequenze. Poi sono partite altre due società consortili, una in Emilia Romagna e una in Veneto, con 34 emittenti aderenti ad Aeranti-Corallo. In tali regioni la radiofonia locale è forte, ma in queste zone non vi è ancora stata la pianificazione e non sono state assegnate le frequenze. Le emittenti nazionali però stanno operando in virtù di autorizzazioni sperimentali. Questo significa che c’ è una disparità di trattamento, proprio ora che iniziano ad arrivare i primi ricevitori Dab soprattutto nelle auto. Le emittenti locali sono presenti solo su 8 bacini su 39. Occorre risolvere al più presto la situazione per evitare una penalizzazione delle radio locali nel mercato digitale. D. Le radio nazionali sono in crescita sulla raccolta. Per le locali non è lo stesso? R. L’ inversione di tendenza c’ è per le nazionali e areali ma quelle territoriali fanno ancora fatica. D. Cosa accade sui diritti d’ autore e i diritti connessi? Dopo la liberalizzazione è cambiato qualcosa per voi? R. A breve, le emittenti dovranno fornire alle società di collecting report periodici delle opere musicali e cinematografiche che hanno diffuso. Per contenere i costi gestionali riteniamo che i report dei brani musicali debbano essere realizzati attraverso meccanismi automatici di riconoscimento delle tracce audio trasmesse. © Riproduzione riservata.

France Tv, coproduzioni in Italia

Corriere della Sera

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Un accordo per arricchire di nuovi contenuti le rispettive programmazioni nazionali e internazionali. Verrà presentata stamattina, a Roma in viale Mazzini, l’ accordo per lo sviluppo di progetti di coproduzione fra Rai e France Televisions. Ci saranno il presidente Rai Monica Maggioni, il dg Mario Orfeo e quello francese Xavier Coutoure. L’ accordo consente alle reti Rai di sedersi al tavolo con France Televisions e dare vita alla definizione editoriale di nuovi progetti fin dall’ inizio nel processo ideativo.

De Agostini lancia il canale «Alpha» Partirà il prossimo autunno il nuovo canale, dedicato al pubblico maschile, del gruppo De Agostini Editore,

Libero

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De Agostini lancia il canale «Alpha» Partirà il prossimo autunno il nuovo canale, dedicato al pubblico maschile, del gruppo De Agostini Editore, «Alpha», visibile sul canale 59 del digitale terrestre. Con questo canale si ampliano i canali televisivi del gruppo: oltre ad Alpha, al gruppo fanno capo i due satellitari DeAKids e DeAJunior, visibili su Sky al 601 e 623 e il canale Super!, dedicato all’ intrattenimento per ragazzi, visibile al 47 del digitale terrestre e al 625 di Sky. A settembre l’ album dei Foo Fighters Dave Grohl, leader dei Foo Fighters, ha annunciato ieri il nuovo album della rock-band di Seattle, «Concrete and Gold», in uscita il 15 settembre in tutto il mondo per Roswell Records/Rca Records e già disponibile in pre-order, proprio come il singolo «Run» che lo ha anticipato in radio. «Concrete and Gold» contiene 11 pezzi inediti. Il video di Levante in anteprima su Sky Il video del nuovo singolo di Levante »Pezzo di me…», con Max Gazzè sarà tramesso stasera, alle 20.35, in anteprima su Sky Uno. In attesa del suo debutto su Sky come giudice di X Factor, la cantante debutta in tv con il video girato a Roma nel quartiere Flaminio-Piccola Londra, diretto da Stefano Poggioni.

“I giornali ci saranno fino a quando l’ uomo avrà bisogno di sapere”

La Repubblica
RICCARDO STAGLIANÒ
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TORINO Tsuneo Kita si sveglia alle quattro e per prima cosa legge la versione online del Nikkei, il giornale finanziario più venduto al mondo. «Nel corso della giornata il grosso delle mie letture avviene su internet per passare alla carta verso il fine settimana, quando c’ è più tempo », spiega il settantenne presidente della società che edita il giornale nonché amministratore delegato del gigantesco gruppo editoriale che, due anni fa, ha comprato il Financial Times. Le abitudini digitali sue e di molti altri milioni di persone non hanno per il momento scalfito il formidabile numero di copie che il Nikkei continua a vendere: 2,7 milioni quotidiane, contro 500mila abbonati alla versione elettronica. «Ma il Giappone è un Paese speciale », ammette: «Su 130 milioni di abitanti, 40 milioni leggono un quotidiano. La consegna a domicilio aiuta enormemente». Da editore globale però conosce bene i numeri di questi ultimi anni e, alla domanda su quale sia la ricetta per il successo per il futuro prossimo, non aspetta nemmeno l’ aiuto del traduttore: «Go digital! », «Andare verso il digitale!». Senza esitazioni. Quando ha iniziato nel ’71, come giornalista, quali erano i problemi dei giornali? «Allora era un bel periodo per l’ economia giapponese che cresceva vigorosamente. Ed era quindi anche un bel periodo per i giornalisti economici come me. Rispetto a oggi mi sembra che i giornali non avessero grossi problemi». Invece oggi quali sono? «Meno lettori su carta e meno pubblicità. Il Financial Times ha cominciato prima la conversione al digitale mentre il Nikkei ha iniziato solo sette anni fa. E temo che la riduzione dei lettori, pur partendo da numeri molto alti, sarà più sentita da quest’ ultimo ». Una differenza rilevante nel modo di funzionare tra il giornale giapponese e quello britannico? «Che al Financial Times alle otto di sera non trovi nessuno perché sono già avanti nella transizione digitale mentre al Nikkei c’ è gente fino a mezzanotte. Questa cosa cambierà perché vogliamo concentrarci sul mattino, quando la gente ormai legge di più. Non cambierà il nostro giornalismo ma il modo in cui lo porteremo al lettore». La carta sopravviverà? «Partendo da 2,7 milioni tenderei a escludere che arriveremo mai a zero e ci vorrà tempo prima che gli abbonati digitali raggiungano il livello attuale del cartaceo. Tuttavia anche da noi, negli ultimi vent’ anni, la pubblicità si è ridotta di due terzi, da 120 miliardi di yen a 40 miliardi». Voi come state affrontando il passaggio al digitale? «Assicurandoci di avere sempre le ultime tecnologie. Ciò in cui stiamo migliorando molto, apprendendo dal Financial Times, è nell’ analizzare i nostri lettori. Scoprire chi sono e cosa leggono per coinvolgerli sempre più, in quello che gli esperti chiamano engagement. E anche per conquistarne di nuovi». In questo sono molto bravi i social network. Li vivete come amici o nemici? «Né l’ uno né l’ altro. Bisogna avere un’ attitudine laica nei confronti di Facebook e Google perché raggiungono moltissime persone e questo potrebbe beneficiare anche i giornali. È chiaro che a un certo punto i rispettivi interessi potranno entrare in rotta di collisione, ma chiamarli avversari non serve a nulla». Cos’ è cambiato di più al Financial Times sotto la vostra guida? «I giornalisti sono più motivati a lavorare duro. Noi abbiamo garantito loro totale indipendenza editoriale e loro sono concentratissimi sulla crescita. Ma da raggiungere non tagliando i costi, quanto investendo sul prodotto e sulla sua distribuzione. Quella che mi piace chiamare una crescita di qualità. L’ obiettivo è arrivare, dagli 869 mila abbonati paganti (di cui 660 mila digitali) a quota un milione». Crede che si debba scrivere diversamente per l’ online? «Direi piuttosto che ci si deve adattare alle esigenze del lettore. Per storie brevi, tipo le trimestrali delle aziende, abbiamo cominciato ad adoperare sul sito l’ intelligenza artificiale che scrive in automatico, senza che nessun cronista umano sia coinvolto. Ciò però lascia più tempo ai giornalisti per i pezzi più impegnativi e le analisi. Ci sarà, anche sul web, sempre più bisogno di giornalisti alla Martin Wolf, capaci di capire e spiegare i fenomeni. Assumeremo più commentatori, non meno». Come si immagina i suoi giornali tra due anni? «Dal punto di vista editoriale non cambieranno granché. Aumenterà invece la collaborazione, a più livelli. Nel 2013 abbiamo lanciato la Nikkei Asian Review, pubblicazione in inglese concentrata sul mercato asiatico. Lavoreremo molto sui dati perché vogliamo diventare il luogo in cui chiunque voglia fare affari in Asia viene a informarsi. A questo serve, ad esempio, il nostro indice Asia 300 che segue le più significative aziende asiatiche». Resta ottimista sul futuro del giornalismo? «Certo. Gli uomini amano leggere. Finché ci sarà desiderio di conoscenza, di sapere ciò che ci succede intorno, ci sarà bisogno di giornalismo. Solo i suoi mezzi di distribuzione cambieranno». ©RIPRODUZIONE RISERVATA ” GOOGLE E FACEBOOK Non sono avversari bisogna avere un’ attitudine laica Raggiungono molte persone e questo potrebbe beneficiare anche noi ” ” A.I. Per le storie brevi cominciamo ad adoperare sul sito l’ intelligenza artificiale. Questo lascia più tempo ai giornalisti per le analisi ” CHAIRMAN Tsuneo Kita, presidente di Nikkei.

Gli Stati Generali dell’ editoria mondiale

La Repubblica
PAOLO GRISERI
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IL CONVEGNO A TORINO CON 400 BIG E IL CONFRONTO TRA JOHN ELKANN E JEFF BEZOS TORINO. Se le previsioni di alcuni analisti si realizzassero, i 400 posti della Sala delle Bobine che ospita il convegno di oggi a Torino sul futuro dei giornali potrebbero diventare molti di più. La morte dei giornali di carta farebbe infatti scomparire i grandi rotoli per la stampa e tutta la tipografia. La comunicazione digitale non ha bisogno di inchiostri e rotative. Ma se i giornali di carta non scompariranno, smentendo le frettolose previsioni sul loro decesso, a quali condizioni vivranno nella rivoluzione dell’ informazione? Il futuro dei giornali è il tema del convegno organizzato a Torino da John Elkann, editore del quotidiano torinese La Stampa. Cinque ore di dibattito con i massimi vertici dell’ editoria mondiale. Dopo l’ intervento introduttivo del direttore del quotidiano torinese, Maurizio Molinari, il primo panel è moderato da John Micklethwait di Bloomberg News. A confronto direttori e firme di prestigiose testate: Lionel Barber del Financial Times, Bobby Ghosh dell’ Hindustan Times, quotidiano indiano in lingua inglese che tira più di un milione di copie e per questo sembra appartenere a un modello che in Occidente è entrato in crisi. Altri due giornalisti partecipano alla discussione: la direttrice dell’ Huffington Post, testata totalmente digitale, Lydia Polgreen e Ascanio Seleme, direttore di O Globo, il quotidiano brasiliano che ha pubblicato l’ inchiesta contro il presidente pro tempore Michel Temer. Il secondo panel, moderato dalla prima direttrice donna dell’ Economist, Zanny Minton Beddoes, racconterà i problemi dell’ informazione visti dai manager che devono far tornare i conti. Parlano gli amministratori delegati di Politico, Robert Allbritton, di Le Monde, Louis Dreyfus, del South China Morning Post, Gary Liu, e del New York Times, Mark Thompson, oggi amministratore delegato ma a lungo firma di punta del quotidiano. Uno degli argomenti da affrontare sarà quello di come riuscire a vendere l’ informazione di qualità nell’ epoca delle fake news. Il terzo panel, moderato dal direttore di Repubblica, Mario Calabresi, chiama aziende e giornalisti a rispondere alle domande poste dagli studenti italiani. Partecipano il presidente di Nikkei (e proprietario del Financial Times) Tsuneo Kita, Andrew Ross Sorkin, firma del New York Times, Julian Reichelt della Bild e la fondatrice e direttrice del sito The Information, Jessica Lessin. Il confronto tra John Elkann e Jeff Bezos, fondatore di Amazon e ora proprietario del Washington Post, sarà moderato da Massimo Russo, direttore della divisione digitale di Gedi, il gruppo editoriale di Repubblica in cui prossimamente confluirà La Stampa. Le conclusioni della giornata saranno del presidente di Gedi Gruppo Editoriale, Carlo De Benedetti. A lui toccherà tirare le conclusioni di cinque ore di dibattito indicando come si evolverà l’ industria editoriale che conosciamo oggi.

Futuro dei giornali Bezos e gli altri big dell’ editoria fanno il punto a Torino

La Repubblica (ed. Torino)
PAOLO GRISERI
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PAOLO GRISERI JEFF Bezos, fondatore di Amazon ed editore del Washington Post, è atterrato a Caselle ieri sera alle 21. Era uno degli invitati alla cena offerta da John Elkann al ristorante del Cambio per gli editori che oggi partecipano al convegno- evento sul futuro dei giornali. Per una giornata la città sarà indubbiamente la capitale mondiale dell’ editoria. Editori, giornalisti, studenti e lettori saranno protagonisti oggi pomeriggio alla Sala delle Bobine di via Giordano Bruno, dov’ è la tipografia de La Stampa. La discussione sulle prospettive dell’ industria editoriale mondiale inizierà alle 14,30 e si concluderà alle 19,15 con il discorso di chiusura di Carlo De Benedetti, presidente di Gedi, il gruppo editoriale di Repubblica in cui presto confluirà anche La Stampa. A fare gli onori di casa il presidente di Exor, John Elkann. La relazione introduttiva sarà del direttore del quotidiano torinese,Maurizio Molinari mentre il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, rivolgerà ad editori e giornalisti le domande sul futuro dei giornali raccolte in questi mesi dagli studenti di tutta Italia. La giornata in città degli editori ha avuto un’ anticipo ieri sera con la presenza di Zanny Minton Beddoes, prima direttrice donna dell’ Economist, all’ inaugurazione del Talent Garden di via Giacosa, nella rinnovata sede della Fondazione Agnelli. Accanto alla giornalista, John Elkann e il ceo di Talent Garden Davide Mittoli. Dopo la discussione nella Sala delle Bobine, attrezzata per accogliere circa 400 invitati, verrà offerta la cena di gala a Palazzo Reale. Duecento coperti saranno sistemati sotto gli stucchi del Salone degi Svizzeri. Il menù è stato preparato dallo chef Chicco Cerea, tre stelle Michelin, considerato il cuoco del miglior catering italiano. A Palazzo Reale si aggiungerà ai commensali il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni che arriverà direttamente da Roma in serata e prima della cena si rivolgerà agli editori con un discorso di saluto. Al termine, i 21 editori e giornalisti che hanno animato il dibattito del pomeriggio potranno visitare i codici leonardeschi custoditi nella Biblioteca Reale. Tra questi il celebre autoritratto del genio di Vinci. Il programma della serata a Palazzo Reale non verrà modificato dai lavori di verifica in programma oggi nella residenza sabauda dopo il principio di incendio che si è sviluppato ieri pomeriggio negli scantinati del palazzo. L’ evento di oggi pomeriggio chiude le celebrazioni per i 150 anni de La Stampa aperte il 9 febbraio scorso a Palazzo Madama con l’ inaugurazione della mostra fotografica realizzata con il materiale d’ archivio del quotidiano torinese. Alla cerimonia di inaugurazione era stato presente anche il Presidente della Repubblica Mattarella. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Anche il premier Gentiloni parteciperà alla cena di gala a Palazzo Madama L’ ANTEPRIMA Ieri sera cena con alcuni ospiti al Cambio offerta da John Elkann, ideatore del convegno.

Informazione a confronto: perché il futuro continui a essere quotidiano

Il Secolo XIX
BENIAMINO PAGLIARO
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TORINO. “Il futuro è quotidiano” sono le parole scelte per festeggiare i 150 anni della Stampa, e la ricerca di un futuro sostenibile ed equilibrato dell’ industria editoriale è al cuore della conferenza che oggi a Torino chiude questi mesi. L’ editore della Stampa e de Il Secolo XIX, John Elkann, ha scelto il centro stampa del giornale quale luogo simbolo in cui ospitare molte delle personalità più rilevanti dell’ industria editoriale globale e studiare il futuro del settore. Le testate più prestigiose del mondo si riuniranno tra le rotative, introdotte dal direttore de La Stampa, Maurizio Molinari. Prima un dialogo tra il numero uno del Financial Times, Lionel Barber, quello dell’ Hindustan Times, Bobby Gosh, Lydia Polgreen dell’ Huf fington Post e Ascânio Seleme di O Globo, moderati dal direttore di Bloomberg News John Micklethwait. Il confronto tra gli amministratori delegati, moderato dal direttore dell’ Economist (di cui la società Exor è dal 2015 il maggiore azionista), Zanny Minton Beddoes, avrà come protagonisti il Ceo di Politico, Robert Allbritton, quello di Le Monde, Louis Dreyfus, quello del South China Morning Post Gary Liu e quello del New York Times Mark Thompson. Il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, rivolgerà le domande degli studen ti di giornalismo e dei lettori al presidente di Nikkei Tsuneo Kita (l’ editore giapponese che ha comprato il Financial Times), alla fondatrice e direttrice di The Information, Jessica Lessin, al direttore della Bild Digital Julian Reichelt, all’ editorialista del New York Times Andrew Ross Sorkin e al Ceo di NewsCorp Robert Thomson. John Elkann dialogherà con Jeff Bezos, il fondatore di Amazon e editore del Washington Post, rispondendo alle domande di Massimo Russo, direttore generale della divisione digitale di Gedi Gruppo Editoriale, il cui presidente, Carlo De Benedetti, chiuderà i lavori. L’ hashtag della giornata è #FutureofNewspapers.

Confronto sul futuro dei giornali

Il Giornale Di Vicenza
TORINO
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Il gotha dell’ editoria mondiale si riunisce oggi a Torino per discutere sul futuro dei giornali. Farà gli onori di casa John Elkann, che ha invitato direttori, editori ma anche amministratori delegati di gruppi editoriali all’ evento che chiude i festeggiamenti per i 150 anni della Stampa. 400 le persone attese in un luogo simbolo del quotidiano, la sala delle bobine che alimentano le rotative.

Salto generazionale e web, la sfida dei media

Corriere della Sera
Severino Colombo
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Quale futuro per i media? Da questa domanda è partito l’ incontro che ieri pomeriggio a Milano ha visto confrontarsi Luciano Fontana, Sarah Varetto, rispettivamente direttore del «Corriere della Sera» e di Sky Tg24, e Vittorio Meloni, responsabile delle relazioni esterne di Intesa Sanpaolo e autore de Il crepuscolo dei media. Informazione, tecnologia e mercato (Laterza). A coordinare l’ appuntamento, organizzato della Fondazione Corriere della Sera nella Sala Buzzati, il critico televisivo Aldo Grasso che ha tratteggiato in apertura uno scenario composito: «Una crisi dei giornali, con conseguente perdita di lettori e una frammentazione dell’ offerta tv; una crisi generazionale, con i ragazzi che non leggono i giornali; e una rivoluzione digitale, arrivata così in fretta che non ha permesso l’ assorbimento del cambiamento». A fronte di questo presente dei media Meloni ha ricordato al pubblico che affollava la sala che «oggi la domanda di giornalismo è fortissima, tanto è vero che è la principale richiesta della Rete. Il web non ha ucciso l’ informazione, anzi l’ ha amplificata». Una posizione condivisa anche da Luciano Fontana che ha portato a esempio il sistema di informazione del «Corriere» : «Una comunità di giornalisti che produce informazioni che vanno sì su un mezzo quale la carta stampata, che per motivi generazionali sta calando, ma vanno anche su altre piattaforme, dal mobile ai computer oppure ai tablet, alle newsletter, ai social media ». È la capacità di rinnovarsi e adattarsi ai tempi: «Una volta si veniva al lavoro al pomeriggio e si faceva un solo giornale per il giorno dopo, oggi si fanno tanti prodotti selezionati per pubblici diversi, alla ricerca di segmenti differenti. Il successo de “la Lettura” è che ha intercettato un suo pubblico». Varetto ha richiamato i cambiamenti avvenuti nel mezzo televisivo dalla rivoluzione digitale: «Se è vero che in generale non ci sono stati cali di ascolto, si è però assistito a una verticalizzazione dei contenuti», vale a dire la scelta sempre più frequente di sottrarsi al palinsesto e di fruire dei contenuti come e quando si vuole. Varetto ha contestato poi la scelta di YouTube di scaricare sugli utenti la responsabilità dei contenuti dei video. Fontana ha criticato «i grandi colossi come Google e Facebook che dicono di essere solo piattaforme tecnologiche, ma non è così».

Tv e radio locali dimenticate: a rischio le voci della gente

Avvenire
GIACOMO GAMBASSI
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Dalla guerra del telecomando al caos dell’ etere. Dai contributi statali “congelati” alla crisi del mercato. Non c’ è pace per le televisioni e le radio locali. Soprattutto a causa della perenne transizione al digitale che sta penalizzando le stazioni del territorio. Prima le televisioni e adesso le emittenti radiofoniche, le reti che danno voce all’ Italia dei mille campanili affrontano l’ avvento della nuova tecnologia in balìa di loro stesse: dimenticate, se non addirittura ostacolate, dallo Stato a vantaggio dei network nazionali. «Le nostre tv vivono una situazione di profonda difficoltà. E le radio locali, benché abbiano ascolti che raggiungono il 40%, non sono messe in condizioni di passare al Dab+, vale a dire al digitale », lancia l’ allarme Marco Rossignoli, coordinatore dell’ Aeranti-Corallo che raccoglie oltre mille imprese radiotelevisive. Oggi l’ associazione organizza a Roma il Radio tv forum, l’ annuale convegno per fare il punto su problemi e prospettive dell’ emittenza locale con gli interlocutori istituzionali (fra cui il sottosegretario Antonello Giacomelli e il commissario Agcom, Mario Morcellini). «Non possiamo limitarci alle promesse», fa sapere il presidente di Corallo, Luigi Bardelli, editore di Tv Libera Pistoia. E, guardando al comparto televisivo, racconta: «Il passaggio al digitale, i continui tagli di frequenze, i cambi di regole, la contrazione degli introiti pubblicitari hanno portato alla chiusura o al fallimento di numerose emittenti. A tutto ciò si sommano due questioni urgenti: i ritardi nei contributi statali e le controversie sulla numerazione delle emittenti nei televisori». La lentezza nelle erogazioni pubbliche riguarda sia le tv, sia le radio locali. Alle televisioni sono giunti in questi giorni gli importi del 2015 e alle radio quelli del 2014. «Ciò significa non poter contare su risorse fondamentali », tuona Bardelli. Tutto è fermo in attesa del nuovo regolamento che disciplinerà la materia, nonostante «il Fondo per le radio e tv locali sia stato aumentato con l’ extragettito del canone Rai entrato nelle bollette dell’ energia elettrica», sottolinea Rossignoli. Si tratta di 100 milioni di euro in ballo ogni anno. E il coordinatore dell’ Aeranti-Corallo avverte: «Serve accelerare l’ iter di approvazione di un testo che in alcuni punti va rivisto per garantire il pluralismo e la concorrenza». Aggiunge Bardelli: «Non possiamo vivere con questa spada di Damocle sulla testa. Il sottosegretario Giacomelli ha preso sul serio il problema. Ma abbiamo bisogno di risposte». Altrettanto preoccupante per le tv “della gente” è la battaglia che si sta combattendo a suon di ricorsi ai giudici e di interventi dell’ Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) sui numeri con cui le emittenti compaiono nei televisori degli italiani. Il nuovo piano dell’ Authority relega le reti del territorio ai margini. «Nei primi 99 numeri lo spazio per le televisioni locali passerà da 39 a 12 – rivela Rossignoli -. È inaccettabile. Già alcuni editori hanno impugnato le decisioni. Sono sette anni che, grazie al digitale, le tv hanno una numerazione fissa. E le famiglie sanno che ciascuna emittente è collegata a un numero preciso. Stravolgere tutto, a danno essenzialmente delle emittenti locali, significa penalizzare le aziende e disorientare gli spettatori». Fa sapere Bardelli: «Sarebbe come se un negozio fosse obbligato dall’ oggi al domani a cambiare indirizzo. Perderebbe le “sue” persone ». Da qui la proposta dell’ Aeranti- Corallo di recepire per legge l’ attuale numerazione mettendo fine a contenziosi e scontri. Sul versante delle radio, l’ Italia spalanca le porte al Dab. «Ma il digitale radiofonico si sta sviluppando senza le radio locali – afferma Rossignoli -. Mentre le stazioni nazionali utilizzano già la nuova tecnologia con frequenze assegnate in via sperimentale e quindi vengono sentite soprattutto lungo le autostrade, le emittenti locali possono andare in onda in digitale solo in 8 aree su 39 bacini in cui è stata suddivisa la Penisola ». Il Dab sta diventando familiare fra le mura domestiche – come dimostra la vendita sempre più alta di nuovi apparecchi – e nelle vetture dove le case automobilistiche istallano ricevitori digitali. «Le radio locali che ogni giorno registrano in media 15 milioni di ascoltatori hanno già creato diversi consorzi per trasmettere in digitale ma non hanno le frequenze per farlo», osserva il coordinatore dell’ associazione. L’ Aeranti- Corallo sollecita da tempo un tavolo tecnico per affrontare il caso. «Però non è mai stato convocato – conclude Rossignoli -. Non possiamo accettare che le radio del territorio siano lasciare fuori dal Dab». RIPRODUZIONE RISERVATA Gli studi televisivi dell’ emittente Tv Prato.

Big data, mondo da riorganizzare

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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C’ è un falso mito su internet da sfatare: quello per cui l’ universo digitale sia completamente misurabile. O, meglio, internet si può monitorare con precisione nelle sue differenti pieghe ma «è un ecosistema talmente fluido da risultare molto difficile da fotografare», spiega a ItaliaOggi Fabrizio Angelini, a.d. di Sensemakers-Comscore Italia, società globale specializzata nelle rilevazioni delle audience sulle diverse piattaforme. «Servono metriche nuove e più omogenee perché è duplice l’ obiettivo: occorre sia riunire in un unico scatto i mercati dei vari media sia poter comparare mercati nazionali e internazionali. Un’ ipotesi sarebbe, per esempio, iniziare col disporre di una legislazione uniforme a livello europeo». Giusto per fare un esempio, ha confermato Angelini che ha partecipato alla trasmissione Marketing Media and Money su Class Cnbc (canale 507 di Sky), condotta ogni martedì alle 21 dal direttore di Class Cnbc Andrea Cabrini, assieme alla giornalista Silvia Sgaravatti, «si sta integrando oggi la misurazione dei format tv con quella online ma il prossimo passo è aggiungere a tv e web anche la radio. Senza dimenticare la stampa che, pur non avendo un segnale audio come i primi tre mezzi, può essere associata a tv, web e radio grazie a microchip da inserire nelle copie cartacee dei giornali. Queste sono le nuove frontiere da superare nelle rilevazioni», prosegue l’ a.d. di Sensemakers – Comscore Italia. «Ecco perché risulta fondamentale disporre di metriche comparabili tra loro». Oggi, invece, un mondo del digitale a compartimenti stagni non facilita la trasparenza dei dati con ripercussioni che portano, tra l’ altro, all’ oligopolio di big come Facebook e Google. E anche la direttiva europea sull’ e-privacy (la cui entrata in vigore è attesa per l’ inizio della prossima estate), a detta del manager ma anche delle associazioni europee degli editori Emma ed Enpa (compresa l’ italiana Fieg), rischia di agevolare proprio i big della rete, a discapito dei più piccoli editori (vedere ItaliaOggi del 30/5/2017). La concentrazione sul mercato digitale non è cosa da poco se, precisa Angelini, «due minuti su tre spesi online vengono passati chini sullo schermo dello smartphone e di questi due minuti il 90% del tempo è concentrato sulle app, soprattutto le app dei tre principali operatori WhatsApp, Facebook e Youtube». Da qui la loro posizione di vantaggio sulla disponibilità di più dati, la loro maggior profilazione e la più alta attrattiva per gli inserzionisti pubblicitari. Comunque, «un primo passo per cambiare le regole e definire almeno perimetri di gioco uguali per tutti è il Libro Bianco promosso da Upa, insieme ad altre associazioni di settore», conclude Angelini, «che l’ associazione guidata da Lorenzo Sassoli de Bianchi presenterà martedì prossimo» a Milano.

Approvata la nuova legge regionale per l’ editoria locale

La Voce di Reggio Emilia

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BOLOGNA La Regione Emilia-Romagna prova a dare una boccata d’ ossigeno alle testate locali, con l’ approvazione della nuova legge sull’ editoria ieri in Assemblea legislativa (contrari i 5 Stelle, astenuto il centro destra). Gia’ accantonati nel bilancio 250.000 euro per il 2017, ma l’ ammontare del finanziamento, cosi’ come i bandi per erogare i fondi, sono delegati alla Giunta regionale. I contributi sono destinati a emittenti ra dio -tv ed editoria locale, agenzie di stampa e testate web. Per accedere ai bandi, le imprese devono avere giornalisti iscritti all’ albo e assunti rispettando il contratto nazionale o comunque il principio dell’ equo compenso, oltre a essere in regola con i contributi e dimostrare di produrre almeno il 60% di informazione locale. Dai contributi regionali sono invece esclusi gli editori di televendite, chi trasmette programmi vietati ai minori e le testate di partito, movimenti politici, sindacati, associazioni professionali e di categoria. La Regione stilera’ anche un Elenco di merito delle imprese di editoria locale, con iscrizione su base volontaria, a cui attribuire “ulteriori misure premiali definite dalla Giunta”, la cui gestione sara’ affidata al Corecom. Previsti anche sostegni per l’ avvio di imprese di giovani giornalisti e cofinanziamenti per la vendita alle medio -piccole imprese locali di spazi pubblicitari a tariffe agevolate.

Editoria: «C’ è la legge regionale»

Corriere di Romagna (ed. Forlì-Cesena)

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CESENA È stata approvata ieri la legge regionale per il sostegno all’ editoria locale. «L’ informazione è uno dei pilastri su cui si fonda la democrazia. Il primo ed essenziale modo per conoscere fatti e costruirsi un’ opinione. L’ informazione locale è anche il primo ambito che consente ai cittadini di sentirsi parte ogni giorno della vita della propria comunità». Aparlarne è il consigliere regionale Pd Lia Montalti. «Con la legge abbiamo voluto prevedere regole omogenee e trasparenti» spiega. La legge abbraccia carta stampata, testate web, tv, radio e agenzie di stampa. I contributi previsti sono esclusi per gli editori di televendite, i media che trasmettono o promuovono programmi vietati ai minori o pubblicizzino il gioco d’ azzardo e per le imprese riconducibili a partiti e movimenti politici, organizzazioni sindacali, professionali e di categoria.

Editoria, legge regionale cercasi

Il Quotidiano della Calabria

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Promosso dall’ Associazione Culturale Anassilaos si terrà domani dalle ore 17,30 presso la Sala Federica Monteleone del Consiglio Regionale della Calabria un incontro sul tema “per una legge sull’ editoria della Regione Calabria” dedicato all’ editoria calabrese con particolare riguardo alla mancanza, nella nostra Regione, di una legge regionale sull’ editoria. E’ da moltissimi anni che si parla e discute di una tale legge, che in passato ha visto impegnati uomini politici e editori, senza che si sia però mai pervenuti alla sua approvazione. L’ iniziativa di Anassilaos si propone dunque di sensibilizzare le istituzioni regionali e i soggetti interessati (editori, librai, autori, associazioni e circoli culturali) al tema. L’ iniziativa del Sodalizio reggino nasce in occasione della Giornata Mondiale del Libro, celebrata il 23 aprile con una manifestazione alla quale hanno partecipato editori, librai e autori. Nel corso dell’ incontro, dagli interventi degli ospiti invitati, è emersa la necessità e l’ ur genza dell’ approvazione di una legge regionale sull’ edi toria che consenta alle case editrici della Calabria di promuovere gli autori calabresi e di recuperare, attraverso la stampa, opere preziose del passato che conservano la storia e la memoria di questa Regione. Un interesse che tocca oltreché le Case editrici anche le librerie e i pochi veri e autentici librai rimasti in questa terra e gli stessi autori, narratori, poeti, saggisti. In molte circostanze, del resto, anche nell’ ambito di incontri e convegni, si è potuto constatare come autori calabresi moderni e contemporanei, meritevoli, per la loro opera, di attenzione da parte di critici e lettori e ben degni di occupare lo spazio loro dovuto nell’ ambito della letteratura nazionale, rimangano confinati in un contesto “locale” anche per la difficoltà che incontra l’ editoria territoriale di dare loro un adeguato risalto nazionale. L’ in contro dunque, al quale parteciperà il Presidente del Consiglio Regionale della CalabriaNicola Irto che ha dimostrato particolare attenzione all’ argomento.

«Stop alle fake news, sono un danno per il sistema informativo»

Libertà

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«Stop alle fake news: le notizie contraffatte avvelenano l’ opinione pubblica, generano allarmismo e danneggiano pesantemente il sistema dell’ informazione. Promuoviamo l’ editoria locale se sosteniamo anche la titolarità dei professionisti dell’ informazione in quanto tali. Chi diffonde notizie false dovrà essere sanzionabile». Parole che arrivano dalla consigliera piacentina del Pd Katia Tarasconi in merito all’ ordine del giorno discusso ieri in Regione sul preoccupante fenomeno delle fake news, legato alla legge sull’ editoria locale approvata nella seduta dell’ Assemblea legislativa. Secondo la consigliera, sostenere l’ editoria locale significa sostenere anche la titolarità e l’ autorevo lezza dei giornalisti in quanto tali. «Se, da una parte, con l’ avvento di Facebook, Twitter e blog – ha spiegato Tarasconi nel corso del suo intervento in aula – gli inter nauti hanno scoperto formidabili strumenti di espressione, dall’ altra stiamo sperimentando il fatto che le persone fanno informazione senza che sia il loro mestiere e senza saperlo fare, ma la fanno, e questa circostanza produce notizie e genera verità che poi verità non sono. In virtù di questi mec canismi è possibile orchestrare campagne informative malevole con specifici obiettivi». Tante le fake news citate, dalla bufala del negato accesso nelle spiagge della Romagna ai bambini non vaccinati alla magnitudo delle scosse del terremoto dello scorso agosto, alterate per evitare allo Stato di pagare i danni, tutto falso: «Quest’ ultimo è forse l’ esempio più rappresentativo di come una falsa notizia, anche al solo scopo di raccogliere quel click che è fonte di guadagno, possa fare leva sulle paure delle persone, creare allarmismi e minare il rapporto di fiducia, evidentemente già fragile, con autorità e istituzioni. Chiediamo alla Regione di inaugurare un nuovo impegno sul fronte dell’ educazione alla comunicazione: chi diffonde notizie false si deve prendere le sue responsabilità davanti alla comunità di cui fa parte». Dalla consigliera dunque la proposta di promuovere un consumo consapevole dei media per acquisire quello spirito critico che serve a distinguere una fonte attendibile da una dubbia: «Chiediamo al Governo di intervenire per far sì che anche in Italia, come già avviene in Germania e Francia, i grandi social network e i grandi operatori di internet implementino strumenti utili a contrastare la diffusione di false notizie e a sanzionare in termini di reputazione e di reddittività gli attori che le diffondono».

A Torino si discute del futuro dell’editoria. Nascono nuovi modelli di business?

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L’industria dei media, la fiducia dei lettori, il declino (ma non la morte) della carta stampate, le fake news, la sostenibilità del mercato, il giornalismo del futuro. Un confronto lungo cinque ore a cui ha partecipato il gotha dell’editoria mondiale, a Torino, in occasione di una conferenza organizzata dalla Stampa in occasione dei suoi 150 anni

La conferenza internazionale ‘The future of newspaper’ ha visto l’intervento di giornalisti, editori, dirigenti del mondo dei media, tra carta stampata e digitale, per rispondere alle domande chiave dell’industria. La giornata è stata introdotta da Maurizio Molinari, direttore della Stampa. Le sfide davanti a noi non potrebbero essere più impegnative. Le copie vendute in edicola diminuiscono, la pubblicità cala, copie digitali non crescono abbastanza”. Cita quello che potremmo definire il dilemma dei 25: ogni anni un utente genera per Facebook un ricavo di 25 dollari. Per un’azienda del mondo dei media quella cifra si riduce a 25 centesimi. “Ma i lettori – spiega Molinari – continuano a voler leggere, a ricevere informazioni su quello che succede nel mondo che evolve, e sulla base di questa necessità del lettore l’editoria può uscire più forte”.

Per farlo serve un “nuovo modello di business e i lettori devono accettare nuovi modelli di pagamento. In risposta, i giornali devono garantire affidabilità dei contenuti e sfruttare la dimensione della sua comunità, formata da giornalisti e da lettori”. E ancora: “Non dobbiamo avere paura di ripensarci, rinventarci, anche con idee di rottura. Forse dovremo scrivere articoli in maniera diversa, dovremo avere giornali più compatti con contenuti così di qualità da giustificare anche prezzi più alti”.

Sull’incontro Molinari ha poi spiegato: “Il nostro obiettivo è interagire per creare una rete d’idee da cui ognuno possa trarre vantaggio. E creeremo una to do list che condivideremo”.  C’è un punto di incontro, un po’ più in là nella strada, nel futuro dell’editoria dove il giornale stampato e la sua versione digitale avranno un equilibrio. E sarà un mondo in cui i giornali avranno un’altra forma, forse avranno più rilievo durante i weekend, gli articoli saranno scritti in maniera diversa e il rapporto tra giornalisti e grafici e sviluppatori sarà molto più stretto di quanto è oggi. Sono solo alcuni degli spunti del primo panel della giornata, quello a cui hanno partecipato direttori di giornale da tre diversi continenti. Guidati da John Micklethwait (direttore di Bloomberg News) si sono confrontati Lionel Barber(Financial Times), Bobby Ghosh (Hindustan Times), Lydia Polgreen(Huffington Post) e Ascanio Seleme (O Globo).

(repubblica)

Rassegna Stampa del 22/06/2017

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Indice Articoli

La Vigilanza Rai processa la Maggioni

Repubblica, De Benedetti e la tentazione di lasciare

Dreyfus (Le Monde): il futuro non è nelle tlc che regalano le news

L’ Economist lancia l’ app che traduce in tempo reale gli articoli in cinese

Maggioni, piano news Rai bocciato perché non incisivo

L’ editoria si interroga sul suo futuro

I giornali alla sfida del cambiamento

De Benedetti: ora gli Stati generali

Giornali, ora è tempo di osare

Flessibilità, dialogo, velocità Così si vince la sfida digitale

Qualità e nuovi strumenti per conquistare lettori fedeli

Cambia la tecnologia Puntiamo su creatività e fiducia del pubblico

La forza di un quotidiano sono le idee rivoluzionarie e la comunità che aggrega

La democrazia ha bisogno di giornalismo di qualità

Giovani, web, Trono di Spade «Ecco il futuro dei giornali»

Siglato l’ accordo Rai-France Tv «Forti insieme deboli se soli»

Facci, l’ Ordine e il ruolo dei giornalisti

Il futuro dei giornali

Il manifesto per il futuro

Elkann – Bezos “Serve la fiducia dei nostri lettori”

Ora gli Stati generali dell’ editoria Sfidiamo Google sui dati

Ai tempi di Facebook il buon giornalismo non può essere gratis

«La carta stampata vivrà» Big dell’ editoria a confronto

«La carta stampata non morirà, si trasformerà»

Coni grandi gruppi editoriali si può scommettere sul futuro

I big dell’ editoria mondiale a Torino per chiudere i festeggiamenti dei 150 anni della ‘Stampa’. La tecnologia non sostituirà i giornalisti, ma serve investire più che tagliare. Google e Facebook devono assumersi la responsabilità di ciò che …

COMUNICATO DELL’ EDITORE

La Regione approva il progetto di legge sull’ editoria locale

La Vigilanza Rai processa la Maggioni

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Finita, causa dimissioni, la bufera su Antonio Campo Dall’ Orto, altre nubi si addensano sulla Rai, questa volta sulla presidente Monica Maggioni (ieri in audizione in commissione di Vigilanza Rai). Finita nel mirino per una serie di viaggi (almeno una decina) per la presentazione del suo libro a spese di Viale Mazzini. Nel 2015, infatti, viene data alle stampe la sua ultima fatica letteraria, Terrore mediatico, pubblicata da Laterza, saggio sull’ uso dei media da parte dei terroristi islamici e dell’ Isis. Alla pubblicazione, come sempre in questi casi, seguono una serie di appuntamenti in giro per l’ Italia per la presentazione. E fin qui tutto bene. Senonché un articolo de La Verità nel maggio scorso ipotizza che i tour letterari della Maggioni non siano avvenuti a spese sue e nemmeno dell’ editore Laterza, ma a carico di mamma Rai, cioè dei cittadini italiani, che nel frattempo si sono ritrovati pure a dover pagare il canone in bolletta. Ora, perché la tv di Stato dovrebbe finanziare i viaggi della Maggioni per presentare un libro che con la Rai non c’ entra nulla? L’ interrogativo è rimbalzato in commissione di Vigilanza con un’ interrogazione di Mirella Liuzzi del Movimento 5 Stelle. La risposta, però, non è arrivata dalla presidente, ma da una nota di Viale Mazzini, secondo cui “la presenza di personalità aziendali riconoscibili a dibattiti, conferenze, presentazioni e altre occasioni simili, è ritenuta non soltanto quale una componente dell’ incarico affidato ma, ancor di più, elemento di promozione e valorizzazione dell’ immagine della Rai”. Insomma, la tv pubblica ammette di aver pagato i viaggi alla presidente perché tutto ciò valorizza l’ immagine dell’ azienda. “Maggioni deve chiarire. Vogliamo sapere di quanti rimborsi stiamo parlando e quale soggetto li ha autorizzati. Deve restituire quei soldi immediatamente, senza nascondere la polvere sotto il tappeto. Il suo comportamento è un enorme danno d’ immagine alla Rai”, afferma la grillina Liuzzi. Il rischio, per la presidente, è una denuncia alla Corte dei conti per danno erariale. Alcuni giornalisti risolvono il problema pubblicando con Mondadori – Eri Rai, come fa Bruno Vespa. In questo modo Viale Mazzini può sobbarcarsi, insieme a Mondadori, le spese per le presentazioni. Ma Laterza con la Rai non ha nulla a che fare. A parte un piccolo particolare, che riguarda sempre la Maggioni. Karina Guarino Laterza, moglie di Giuseppe Laterza, il patron della casa editrice, è una dipendente Rai. Dopo molti anni al Tg1, come caposervizio e inviata, nel 2013 viene chiamata a fare da caporedattore a Rainews proprio della Maggioni, che ne è direttore. Quest’ anno, poi, Karina Laterza è stata nominata segretario generale del Prix Italia, il celebre concorso Rai per programmi tv, radio e web, giunto alla 69esima edizione, in programma a Milano alla fine di settembre. Un ruolo di grande prestigio e visibilità, molto ambito nelle stanze di vertice tra Saxa Rubra e Viale Mazzini. La nomina spetta al direttore generale, ma su indicazione della presidente, ovvero la Maggioni, che detiene le deleghe alle relazioni internazionali.

Repubblica, De Benedetti e la tentazione di lasciare

Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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A Torino va in scena l’ ultimo atto delle celebrazioni per i 150 anni della Stampa, in una lunga giornata di incontri con molti ospiti internazionali, tra direttori e amministratori di quotidiani. Titolo, anzi title: “The future of newspapers”. A chiudere gli anglofoni lavori, l’ intervento del presidente del gruppo nato dalla fusione di Stampa ed Espresso-Repubblica, Carlo De Benedetti. Forse l’ ultimo discorso dell’ Ingegnere da presidente: voci sempre più insistenti lo dicono stanco e insofferente. E non per l’ età (81 primavere), ma soprattutto per le difficoltà della sua amatissima Repubblica, dove un anno e mezzo fa si è insediato Mario Calabresi, succeduto alle direzioni di Ezio Mauro e del fondatore Eugenio Scalfari, entrambe felicemente longeve. I guai, lo sappiamo, sono sistemici: i giornali perdono copie, l’ emorragia di lettori è un problema comune (ahinoi). Repubblica però perde particolarmente. Secondo i dati Ads, nell’ aprile 2016 il quotidiano di Largo Fochetti vendeva 212mila copie, scese a 181mila a marzo 2017 e a 177mila in aprile. Il diretto concorrente, il Corriere della Sera negli stessi periodi fa numeri diversi: 208mila ad aprile di un anno fa, poi 200mila a marzo scorso e 201mila ad aprile. Secondo molti, fra cui probabilmente anche l’ Ingegnere, la perdita tanto copiosa di copie si deve anche a uno smarrimento identitario del giornale simbolo della sinistra italiana. Nel discorso di ieri De Benedetti ha lanciato una proposta: “Convocare gli stati generali della nuova stampa aperti a ogni categoria che vuole partecipare per ripartire dalla qualità”. L’ intervento è incentrato sul concetto di good enough, l’ abbastanza buono. Di notizie “abbastanza buone” ( e che non costano praticamente nulla) siamo invasi. Come competere? “Nel mondo del buono abbastanza gli editori devono riconquistare la fiducia del pubblico. Nessun modello di business può funzionare se concorre con un prodotto che ha il costo pari a zero. Dobbiamo produrre notizie che facciano la differenza e questo può farlo solo una struttura professionale. Il pubblico deve sapere che nei nostri contenuti può trovare informazione con controllo, trasparenza e ammissione pubblica di errore”. Un passaggio, quest’ ultimo, che è stato letto come una frecciatina nemmeno tanto velata a Mario Calabresi, recentemente protagonista di uno scontro con il Movimento 5 stelle. Giovedì scorso Repubblica dava notizia, in apertura di giornale, di un incontro tra il segretario della Lega Matteo Salvini e Davide Casaleggio. Entrambi hanno categoricamente smentito, sono volate parole grosse. E proprio ieri Casaleggio ha annunciato di aver intentato una causa civile contro il direttore: “Non accetto che dopo aver inviato la rettifica Calabresi mi dia del bugiardo sulla base di presunte ‘fonti certe’ () È passata quasi una settimana e Calabresi si è ammutolito, le fonti certe sono scomparse rendendo chiaro a tutti il ‘metodo Repubblica’: pubblicare notizie false in prima pagina, citare presunte fonti certe, tirarsi indietro davanti a un fact checking pubblico e lasciare il dubbio nelle persone che un fatto possa essere vero anche se non lo è”. Ma se De Benedetti davvero lascia, chi prenderà il suo posto? Non il figlio Rodolfo, cui l’ editoria non è mai interessata. Sembra che l’ Ingegnere l’ abbia chiesto a Ezio Mauro (il che sarebbe l’ implicito commissariamento di una direzione non saldissima). L’ ex direttore avrebbe rifiutato, ma De Benedetti non pare essersi ancora arreso. L’ altra opzione potrebbe essere offrire all’ ex direttore la vicepresidenza. Sarebbe, in ogni caso, il “modello Fattori”: Giorgio (il direttore con cui Mauro cominciò alla Stampa), che nel negli anni Ottanta divenne presidente e ad della Rizzoli. In quel momento il direttore del Corriere era Ugo Stille, ma era il suo vice Giulio Anselmi a “fare” il giornale. E non è un segreto che molte delle decisioni giornalistiche passavano attraverso un’ idea di Fattori. Lo strappo si potrebbe consumare già domani, giorno di convocazione del consiglio di amministrazione. Ma solo a patto che Ezio Mauro pronunci un identitario sì.

Dreyfus (Le Monde): il futuro non è nelle tlc che regalano le news

Italia Oggi

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«Il futuro dell’ editoria non è nelle tlc, con vari operatori di telefonia che offrono gratis articoli di giornali ai loro abbonati»: è categorico Louis Dreyfus, a.d. de Le Monde, che a ItaliaOggi ha spiegato come sia «un’ alleanza che fa male agli editori, perché si diffondono contenuti senza dar loro il giusto valore economico, e fa male anche al settore della telefonia perché, comunque, non aumenta il numero degli abbonamenti». Le Monde vuole invece «una relazione diretta coi suoi lettori» e le scelte strategiche dell’ editrice «hanno portato i conti in positivo. Anche per il 2017 queste decisioni segneranno una crescita degli utili». Dreyfus, quindi, non condivide il modello di business di Patrick Drahi, al contempo editore e imprenditore delle tlc che ha unito sinergicamente i due business. «Per il futuro manterremo gli investimenti nella redazione, rafforzeremo l’ edizione del weekend e lanceremo più video e più contenuti per i mercati esteri che parlano francese, come l’ Africa», ha dichiarato Dreyfus. «I nostri abbonamenti digitali? Crescono e siamo riusciti anche ad aumentare le loro tariffe». A proposito dell’ indipendenza dei giornalisti, Dreyfus ha ricordato che, «pur avendo diminuito la loro partecipazione nel capitale del quotidiano parigino, mantengono sia una golden share sia è stato creato un comitato etico presieduto da un magistrato, a tutela della redazione». © Riproduzione riservata.

L’ Economist lancia l’ app che traduce in tempo reale gli articoli in cinese

Italia Oggi

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I contenuti possono essere anche sexy se servono ai giornali per diffondersi sui cellulari. Non c’ è nulla di male. E anche il native advertising, ossia la pubblicità realizzata su misura dagli editori per gli inserzionisti pubblicitari, va bene purché sia ben distinto dai contenuti giornalisti, ha dichiarato con una certa ironia a ItaliaOggi Mark Thompson, a.d. del New York Times, secondo cui la ricetta migliore per affrontare il futuro comprende notizie approfondite e originali insieme a informazioni di qualità. «Sono i giornalisti a fare la differenza. In questo, complessivamente, non è poi tanto difficile fare soldi», ha aggiunto sorridendo. E di certo non manca d’ inventiva nemmeno l’ Economist, settimanale economico in inglese che per aumentare la sua penetrazione nei paesi dove parlano un’ altra lingua ha lanciato «Global business review, applicazione che traduce in tempo reale gli articoli dall’ inglese al cinese mandarino, e viceversa», ha detto Zanny Minton Beddoes, direttore dello stesso Economist. «È un primo esperimento ma in gioco c’ è la sostenibilità, per noi come per altri, nel lungo periodo». © Riproduzione riservata.

Maggioni, piano news Rai bocciato perché non incisivo

Italia Oggi

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Il piano di riforma delle news Rai proposto dall’ allora direttore generale Antonio Campo dall’ Orto al cda di viale Mazzini è stato bocciato a maggioranza il 22 maggio scorso per «mancanza di incisività rispetto alla riscrittura di un piano industriale legato all’ area news che coinvolgesse l’ intera Rai». A rivelarlo è stata ieri il presidente Rai Monica Maggioni nel corso dell’ audizione in commissione di Vigilanza, dove era presente anche buona parte dei componenti del cda della tv di stato. Il presidente ha aggiunto che «una delle cose non risolte erano i cinque-sette microfoni nello stesso posto davanti alla stessa persona», riferimento a polemiche di qualche tempo fa legate ai diversi inviati dei diversi tg Rai in occasione di un unico evento o appuntamento politico-istituzionale. Una vicenda che in ambienti politici era stata indicata come emblematica di un’ organizzazione del sistema news da rivedere. Sempre secondo la Maggioni, le dimissioni da d.g. di Campo Dall’ Orto «sono state una sua scelta personale», in cda c’ erano divergenze «su alcune questioni significative ma nessuno di noi ha chiesto nulla su questa scelta». Per quanto riguarda i compensi degli artisti e di altre figure inerenti programmi Rai a valore aggiunto, il presidente di Viale Mazzini ha chiarito che un «ruolo chiave lo avrà il d.g. (Mario Orfeo, ndr), al quale viene chiesto di inserire in ognuno dei casi le motivazioni che originano la deroga» al tetto dei compensi stessi. Quello approvato dal cda nei giorni scorsi, ha aggiunto la Maggioni, è un «piano organico di criteri e parametri che rimanda alla figura del d.g. la determinazione delle singole figure e delle ragioni per cui si arriva, dove si arriva, alle deroghe». Il presidente ha ricordato che c’ è differenza tra compensi e stipendi: per questi ultimi «l’ azienda vive con i tetti dal novembre 2016», in linea con l’ entrata in vigore della legge. Quanto ai compensi degli artisti, «come cda abbiamo cercato di essere il più possibile diligenti e attenti in questo senso: la sintesi del nostro lavoro aveva per obiettivo garantire alla Rai una possibilità di esistenza sul mercato e quello di tenere conto della doverosa limitazione dei compensi».

L’ editoria si interroga sul suo futuro

MF
TERESA CAMPO
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La crisi non mollerà la presa, ma giornali e giornalisti riusciranno a sopravvivere all’ avvento dell’ online. Naturalmente cambiando modelli e modalità di realizzazione dei prodotti cartacei, che, tra le tante incertezze che ancora permangono, di sicuro dovranno essere veloci, affidabili, un po’ più locali, possibilmente in inglese. E molto altro. È quindi una realtà dell’ editoria ancora scivolosa quella emersa dall’ incontro «The future of newspapers» tenutosi ieri a Torino in occasione dei 150 anni del quotidiano La Stampa, cui hanno partecipato direttori e vertici di alcune delle principali aziende editoriali mondiali. In prima fila John Elkann, Sergio Marchionne, Jeff Bezos di Amazon e Maurizio Molinari, direttore de La Stampa, che ha aperto i lavori. Ha spiegato subito che «in un contesto in cui le vendite in edicola e di conseguenza anche la raccolta pubblicitaria sui mezzi tradizionali continuano a calare, mentre le copie digitali stentano a crescere, per sopravvivere servono nuovi modelli di business e nuovi sistemi di pagamento da proporre ai lettori. Ma alla fine da questo periodo di transizione l’ editoria potrà riemergere più ricca». Qualche segnale della possibilità di riemergere comincia forse a vedersi. È vero infatti che dal 1990 a oggi nel mondo sono scomparse 250 mila posizioni nel settore giornalismo, ma è anche vero che «qualcuno aveva previsto che nel 2017 si sarebbe stampata l’ ultima copia del New York Times e invece questo non è accaduto», ha sottolineato il presidente della Fieg Maurizio Costa. Anche perché a favore della carta stampata sembra tornare in auge il tema della credibilità. «Se il pericolo per l’ informazione è rappresentato dalle cosiddette fake news, proprio queste ultime potrebbero spingere l’ auspicato rilancio dell’ editoria», ha spiegato il direttore del Financial Times Lionel Barber. Anzi, «le notizie false sono la cosa migliore che potesse capitare al nostro settore», ha aggiunto Bobby Ghosh, direttore di Hondustan Times. «I lettori stanno tornando a considerare le buone fonti e inoltre chi si occupa di pubblicità ha molto da perdere se sostiene chi diffonde fake news». Ma come dovranno essere quindi giornali e giornalisti nel prossimo futuro? Per Molinari in primo luogo «serve evolvere da una comunità intellettuale a una comunità di servizi intellettuali», ha spiegato. «E per riuscirci non dobbiamo aver paura di reinventarci: magari gli articoli dovranno essere scritti in modo diverso, adattandoli a piattaforme che possono offrire notizie, eventi, orari dei treni; il tempo di lettura dovrà sostituire il numero delle parole nel valutare la qualità di un contenuto e i quotidiani dovranno avere meno pagine. Di certo la nostra forza sta nei marchi, quindi dobbiamo investire nella nostra identità». Barber ritiene invece che occorra ritrovare il tempo per un giornalismo investigativo serio, mentre Ghosh crede in un futuro dei giornali fatto di notizie locali e iperlocali: «crime, class e community, ossia tematiche come cronaca nera, scuola e pendolari». In ogni caso «non ci sarà spazio per più di uno o due giornali in lingua non inglese per ogni Paese», ha aggiunto Mark Thompson del New York Times. Tutti concordano comunque sul fatto che l’ arma principale per fronteggiare l’ online sia la qualità, intesa come capacità di trovare notizie affidabili. «Facebook ha detto di aver assunto centinaia di fact-checker, ossia persone che verificano le notizie che vengono scritte sui giornali di tutto il mondo», ha concluso Barber. Una volta noi li chiamavamo semplicemente giornalisti». (riproduzione riservata)

I giornali alla sfida del cambiamento

Il Sole 24 Ore
Andrea BiondiFilomena Greco
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torino «Sperimentare, concentrarsi sui lettori e avere un’ ottica di lungo termine». Questo per le aziende editoriali. Ma da Jeff Bezos un’ indicazione arriva anche ai giornalisti: «Quando scrivi, scrivi bene, scrivi la verità e chiedi ai lettori di pagare». Il fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post è stato uno dei protagonisti – con ogni probabilità anche il più atteso – della conferenza internazionale “The future of newspaper” organizzata dal quotidiano La Stampa per festeggiare i suoi 150 anni di vita. Un’ occasione che ha riunito a Torino il gotha dell’ editoria mondiale. E dalla pubblicità (si è parlato di native advertising e branded content, visti come possibilità, ma da maneggiare anche con molta cura), ai modelli di business, al rapporto con le nuove tecnologie e con gli Over The Top, quello che è emerso in cinque ore di dibattito è un puzzle variegato (anche complicato) che ancora attende una sua composizione e che chiama tutti i protagonisti del settore a riflessioni profonde. A condividere l’ ultimo panel di discussione con Jeff Bezos sul palco c’ era John Elkann, presidente di Editrice La Stampa per il quale oltre alla necessità di una massa critica «fondamentale per la sostenibilità, per questo abbiamo attuato il consolidamento, prima con Secolo XIX e poi con Repubblica», l’ imperativo per il giornalismo è «trovare un numero crescente di lettori fedeli e paganti», tanto più in un momento in cui l’ essere redditizi mette al riparo: «Se si fanno compromessi sulla linea editoriale e se i numeri non stanno in piedi si crea il problema della fiducia nei lettori», dice Elkann. Assicurarsi lettori fedeli e paganti può sembrare come scalare una montagna, in epoca di informazione mordi e fuggi vissuta sempre di più come una commodity. «I lettori – chiosa sul punto Bezos – non sono stupidi, sanno che il giornalismo di qualità costa e va pagato». Giudizio netto, unito però alla consapevolezza che scappatoie non ce ne sono: puntare su «storie originali, approfondimenti, giornalismo investigativo» non ha alternative, soprattutto perché questo serve «ad attirare gli abbonamenti. I soli ricavi della pubblicità non possono mantenere un giornale». Mai banale Bezos. Chi, oltre a lui avrebbe potuto dire che «Leggere un giornale stampato è un’ esperienza diversa, ma un giorno diventerà un prodotto di lusso un po’ esotico, come possedere un cavallo, qualcosa che non hanno tutti»? E in più: «Mi chiedete se continueremo a stampare i giornali nel 2025. Io dico di sì». Il tutto vale, secondo Bezos, solo se ci si rende conto che non ha senso combattere contro le tecnologie, contro i colossi del web che tanto fanno paura: «Google e Facebook? Una delle prime regole del business è che occorre lavorare con il mondo che si ha, senza lamentarsi». Anche perché con Internet la platea è diventata globale. Mark Thompson, ceo del New York Times, parla di «10 milioni di abbonati digitali sono per noi un obiettivo fattibile» indicando «ricavi di carta che per noi a un certo punto andranno a zero». Lingua inglese e sottoscrizioni alla base del business in cui però la stella polare deve essere «investire su contenuti digitali ad alta qualità, che facciano aumentare i lettori, invece di tagliare perché diminuiscono i ricavi dal giornale in edicola». Il tutto poi tenendo presente che la globalizzazione facilitata dal web può aprire scenari ora impensati: per Gary Liu (South China Morning Post) «fra 10 anni la Cina sarà l’ economia numero 1 al mondo e noi il giornale che la racconterà». Il ceo di Le Monde Louis Dreyfus e di Politico Robert Allbritton hanno chiuso un panel seguito a quello in cui a discutere sono stati i direttori di quattro testate. Si va dall’ esperienza puramente digitale dell’ Huffington Post, rappresentata da Lydia Polgreen, ai milioni di lettori dell’ Hindustan Times diretto da Bobby Ghosh, passando per Bloomberg News, la testata con il paywall più alto sul mercato diretta da John Micklethwait, a Lionel Barber editor del Financial Times e Ascanio Seleme del brasiliano O Globo. Qualità, fake news («la cosa migliore che potesse capitarci per tornare a fonti più affidabili» ha detto Ghosh), social network l’ hanno fatta da padrone nella discussione. Va giù ancora duro Barber: «Facebook ha detto che hanno assunto centinaia di fact-checker per verificare le notizie. Una volta noi li chiamavamo giornalisti». Alla fine, a sentire Tsuneo KiTa, presidente di Nikkei – 2,7 milioni di lettori e 50 mila abbonati online, gruppo che ha acquisito il Financial Times – allargare i lettori dei giornali «è necessario per contrastare il processo di trasferimento delle risorse economiche sulle piattaforme». Si torna al punto di partenza. In cui a far la differenza saranno brand e qualità: i plus del giornalismo di domani. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

De Benedetti: ora gli Stati generali

Il Sole 24 Ore
A. Bio.F. Gre.
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torino «Non vogliamo aiuti di Stato né sovvenzioni, vogliamo cercare il modo per rimanere remunerativi perché se muore l’ editoria d’ informazione, non muore solo un settore industriale: muore una funzione essenziale dei sistemi democratici». Carlo De Benedetti, presidente di Gedi, ha concluso così il suo intervento e, nei fatti, ha concluso così l’ incontro che a Torino ieri, in occasione dei festeggiamenti per i 150 anni de La Stampa, ha riunito esponenti di primissimo piano dell’ editoria mondiale per parlare del futuro dei giornali e del giornalismo. Prima del the end dal palco il presidente di Gedi lancia però una proposta che«mi piacerebbe partisse dall’ Italia ma coinvolgesse tutta l’ Europa», vale a dire la convocazione degli «stati generali dell’ editoria aperti a ogni categoria, editori, giornalisti e poligrafici, ripartendo dalla qualità». L’ intervemnto di De Benedetti ripercorre punti che il presidente di Gedi ha toccato in più occasioni pubbliche, ponendosi spesso in aperta e frontale contrapposizione con gli Over the top, quei colossi del web «che ammiro profondamente per quanto hanno immaginato e realizzato. Ma dei quali vedo potenzialità e rischi». Prese di posizione e contrapposizioni molto forti ora fanno dire a De Benedetti che la situazione impone un ripensamento, anche nei rapporti. «Le grandi piattaforme digitali sembrano peraltro essersi ultimamente rese conto che l’ informazione prodotta professionalmente è una condizione essenziale per la sopravvivenza delle moderne democrazie», ha spiegato De Benedetti aggiungendo che «per quanto ci riguarda, noi editori ci siamo resi conto che non dà risultati andare alla guerra contro Google e soci, che pure usano i nostri contenuti senza retribuirci. Hanno mezzi e risorse per respingerci. Tant’ è che siamo passati da una situazione di scontro a una di confronto e, in alcuni casi, di intesa basata sul riconoscimento di principi come quello del diritto d’ autore. Chiediamo di poter fare il nostro mestiere». Una richiesta non da poco se vale la premessa del discorso che il presidente Gedi fa in apertura del suo intervento: «In questi anni è andata confermandosi la mia convinzione che una società democratica non possa fare a meno dell’ informazione professionale. L’ illusione di una totale disintermediazione, in politica come nel campo dell’ informazione, mostra il limite di ogni ideologia millenaristica: la sparizione dei vecchi mediatori crea lo spazio per nuovi ri-mediatori che sfuggono alla verifica collettiva e surrogano i modi ma non le qualità di chi li ha preceduti». C’ è però anche da porsi un interrogativo: «Come devono trasformarsi il giornalismo e l’ editoria in un sistema culturale nel quale l’ atto di “pubblicare” è inteso come il semplice click sul tasto “invio”?». La risposta «può solo essere trovata nella creazione e nell’ offerta di prodotti informativi non fungibili, non replicabili». Conclusione: «In un mondo di informazione “buona quanto basta” a costo zero, gli editori devono essere in grado riconquistare la fiducia dei cittadini. È questo il valore del nostro lavoro». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Giornali, ora è tempo di osare

Italia Oggi
DA TORINO PAGINA A CURA DI MARCO A. CAPISANI
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Lo scenario dell’ editoria internazionale è vasto e variegato ma ci sono almeno due punti fermi: i ricavi da carta stampata calano e quelli del digitale, perlopiù tramite i social network alla Facebook, rendono 25 cent di dollaro per utente contro i 25 dollari che ogni internauta assicura in media ai big della rete. Quindi i giornali «non devono avere timori a ripensarsi», a sperimentare, magari valutando la fruizione dei loro contenuti anche attraverso nuovi parametri come «il tempo di lettura» e soprattutto iniziando a definirsi come «comunità di servizi intellettuali» con informazioni su attualità, eventi, conferenze e anche gli orari dei treni per raggiungere queste manifestazioni. Ha aperto con questo invito Maurizio Molinari, direttore della Stampa, la giornata «The future of newspapers», organizzata ieri a Torino nell’ ambito delle celebrazioni per i primi 150 anni del quotidiano piemontese. Kermesse a cui hanno partecipato direttori ed editori di testate come Financial Times, New York Times, Huffington Post, South China Morning Post e ancora Washington Post, Bloomberg, Economist, Le Monde e Bild. Per affrontare il futuro, i nodi cruciali sono sempre come rendere profittevole il digitale, se e come lanciare modelli di lettura web a pagamento, il pericolo fake news e la concorrenza dei social ma ogni giornale ha la sua ricetta e cerca la sua strada verso la sostenibilità: così per esempio Lionel Barber, direttore del Financial Times, punta su notizie in esclusiva, che siano differenti da quelle di altri giornali, frutto di giornalismo investigativo anche per raccontare piccole storie che smuovano l’ opinione pubblica, e infine crede nell’ informazione del weekend quando il pubblico ha più tempo a disposizione. Bobby Ghosh, direttore dell’ indiano Hindustan Times, riassume la sua strategia con le tre parole crimine, cambiamenti sociali e lavoro mentre Lydia Polgreen dell’ Huffington Post investe sulla fiducia che i brand giornalistici devono coltivarsi tra i lettori. E in conclusione John Micklethwait al timone di Bloomberg News ha riassunto: «ricordiamoci che alla fine di ogni strategia il risultato dev’ essere farsi comprare», in edicola come sul web. Stessi problemi ma focalizzati da un punto di vista differente è quello degli editori e dei loro a.d., a partire dall’ editore della stessa Stampa (e Secolo XIX) John Elkann che ha annunciato «entro settimana prossima il closing» della fusione con Repubblica del gruppo L’ Espresso, operazione per cui è atteso a breve il via libera della Consob. È grazie a operazioni simili di consolidamento che «siamo riusciti a raggiungere e mantenere una certa redditività», la Stampa «è stata redditizia nel 2016 e faremo utili anche nel 2017». Senza dimenticare l’ investimento che ha portato il gruppo guidato da Elkann a rilevare il controllo dell’ Economist con cui «si può essere d’ accordo o meno ma quello rimane il punto di vista del settimanale. E infatti cresce sia il numero degli abbonati sia il prezzo di copertina». In parallelo, concentrazione sulle esigenze lettore, che poi attira anche inserzioni pubblicitarie, e tecnologia da vendere anche ad altri giornali sono i due punti di forza secondo Jeff Bezos, patron di Amazon e soprattutto editore del Washington Post. «Non avrei voluto fare editoria», ha raccontato Bezos. «Siamo tornati alla redditività scommettendo su un team indipendente di giornalisti. Con le loro storie originali aumentiamo gli abbonamenti. Io sono ottimista per il futuro. Più rafforziamo il nostro paywall più crescono gli abbonamenti». Sulla stessa linea il presidente della Fieg (Federazione italiana editoria giornali) Maurizio Costa, che a margine dell’ evento ha sottolineato come «qualcuno aveva detto che nel 2017 si sarebbe stampata l’ ultima copia del New York Times. Non è accaduto, ma che ci sia un cambiamento nel mix tra carta e digitale è sotto gli occhi di tutti: occorre puntare sulla qualità dei contenuti per renderli originali e credibili. Siamo sempre più guidati da un algoritmo tecnologico; occorre che gli editori rispondano con un algoritmo della credibilità». In particolare Carlo De Benedetti, che presiederà il nuovo gruppo Gedi (Espresso+Itedi di Stampa e Secolo XIX), ha chiamato il settore al rilancio proponendo la convocazione a Torino di nuovi «stati generali dell’ editoria, aperti a tutte le categorie della stampa, a livello italiano ed europeo, e inclusi i big della rete» come Google e Facebook. «Il settore non chiede né assistenza né sussidi ma vuole continuare a essere redditizio». Se invece il settore subirà un tracollo, «sparirà una funzione fondamentale della democrazia», ha concluso De Benedetti. Per un futuro sostenibile, tornando a livello giornalistico, certo è che «le redazioni dovranno affrontare cambiamenti come per esempio diventare più specializzate», ha proseguito Barber del Financial Times, «perché il lettore non è più uno sconosciuto che va in edicola», ossia occorre conoscerlo, capire cosa vuole leggere e ottenerne dei riscontri su quello che ha letto. «I big data possono servire a questo proposito così come i video montati apposta per smartphone possono rendere più attrattive le notizie», ha aggiunto Polgreen che avverte però come «i format tradizionali piacciono ancora» e non vanno dismessi, carta compresa, «ma si possono sperimentare nuovi format di cui è un esempio la realtà virtuale». Del resto, «in quanti nelle redazioni prestano attenzione al format e al design dei loro giornali?», ha sottolineato Barber. A proposito di sfide, piattaforme come Facebook e Google «si devono assumere la responsabilità di quello pubblicano», ha continuato il direttore del Financial Times. Ai giornalisti spetta frenare «la pericolosità dei contenuti postati online, magari solo con l’ obiettivo di acquisire più follower», ha aggiunto Ghosh dell’ Hindustan Times. Unica avvertenza: «tenere sempre da conto che i social servono a tante persone per informarsi, è il loro unico modo per farlo», ha chiosato Polgreen dell’ Huffington Post. E le fake news che circolano online? «Intanto smettiamo di chiamarle news, notizie», è intervenuto Ascanio Seleme, direttore del quotidiano brasiliano O Globo. Poi, ha risolto velocemente la questione Polgreen, «l’ unico argine è proporre solo notizie autentiche. I lettori sono furbi». © Riproduzione riservata.

Flessibilità, dialogo, velocità Così si vince la sfida digitale

La Stampa
NICCOLÒ ZANCAN
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Qualità giornalistica, nuove alleanze industriali e coraggio di innovare. È questa l’ unica direzione possibile per un’ informazione libera ed economicamente sostenibile. La rotta è tracciata, concordano tutti. «È un’ epoca dirompente» dice Tsuneo Kita, 70 anni, il presidente di Nikkei, il giornale finanziario più venduto al mondo. Viene stampato in Giappone, dove su 130 milioni di abitanti, 40 leggono un quotidiano. Ecco perché, ancora nel 2017, riesce a vendere 2,7 milioni di copie al giorno, spesso distribuite porta a porta. Eppure è stato proprio Tsuneo Kita, due anni fa, a volere con forza l’ acquisizione del Financial Times per potenziare e allargare ancora l’ orizzonte del gigantesco gruppo editoriale di cui è anche amministratore delegato. «Dobbiamo mettere sul mercato prodotti di grandissima qualità. Facebook e Google non sono nemici, possiamo trovare nuove forme di alleanze. Il giornalismo stampato è in declino. Per garantire la massima indipendenza editoriale del Financial Times serve un modello di business solido. Così abbiamo rassicurato tutti: non abbiamo bisogno di utili a breve termine. Per tre anni reinvestiremo in nuove tecnologie». Anche Julian Reichelt, 37 anni, direttore della Bild Digital e responsabile editoriale delle redazioni di tutto il gruppo, concorda sulla necessità di cercare nuove alleanze: «Non abbiamo i mezzi per dichiarare guerra a Google e Facebook. Dobbiamo cercare di ottenere il meglio possibile. Si può trovare una forma di collaborazione. La nostra posizione è questa: non resteremo su una piattaforma, se il nostro contenuto non verrà monetizzato». Questo è il punto di vista dell’ industria. Industria e giornali. Tradizione e futuro. Mario Calabresi, il direttore di Repubblica, modera il dibattito. Le domande arrivano da studenti della Columbia University, dell’ Università di Torino e da lettori della Stampa. Ad esempio, questa: «Ho 75 anni, da tempo ho lasciato l’ edizione cartacea della Stampa per quella digitale. Immagino un futuro di giornali solo digitali con un flusso di notizie aggiornate continuamente e una sola edizione quotidiana che dovrebbe concentrarsi su commenti, opinioni, analisi, con un’ attenzione particolare alla cultura, alla salute, ai libri, ai viaggi. Un giornale che non solo informi, ma spieghi. Può funzionare?». Jessica Lessin risponde così: «Forse è una ricetta troppo complessa. Dovremmo, secondo me, cercare un gruppo di lettori fedeli. L’ obbiettivo è essere eccellenti in un campo specifico. Di essere originali, indispensabili». Jessica Lessin è un caso a sé stante nella storia del giornalismo. E forse, proprio con il suo esempio incarna un futuro possibile. A vent’ anni era al Wall Street Journal, dove si occupava di tutto quanto accadeva nella Silicon Valley. Ha finito per scrivere più di mille articoli per la versione cartacea del suo giornale, mentre si accorgeva dell’ importanza sempre crescente di coprire le evoluzioni tecnologiche del distretto digitale. Le strategie di Apple, Google, Yahoo e Facebook, le guerre finanziarie, i nuovi prodotti. Tre anni fa, all’ età di 33 anni, anche grazie alla sua amicizia con Mark Zuckerberg, ha lasciato uno dei più prestigiosi giornali del mondo per fondare un sito di news dedicato proprio a quel mondo specifico: «The Information». Un abbonamento costa 399 dollari all’ anno, offre solo due notizie al giorno molto approfondite. «È la nostra sfida: scrivere articoli che valgano questo denaro. Coinvolgere gli abbonati direttamente, farli partecipare. Organizziamo eventi gratuiti che servono per creare una comunità». Tradizione e innovazione, quindi. Anche Andrew Ross Sorkin è un giornalista perfettamente a cavallo di questa epoca. Da un lato editorialista del New York Times, dall’ altro fondatore di DealBook, un rapporto quotidiano sui temi finanziari pubblicato online dal Times. La domanda che gli rivolge Calabresi va dritta al punto: «Molti millennials non vogliono pagare per gli abbonamenti dei giornali. Hanno anche molti modi per aggirare i pagamenti sul web. Oltre ai social media, qual è il prossimo passo per attirare, crescere e mantenere giovani elettori?». «Dovremo stupirli ogni giorno. Trump ci sta aiutando molto, in questo senso. Per loro dovremo essere l’ equivalente giornalistico di Games of Thrones. Non dico tutti i giorni, ma quasi. E poi, il giornalismo è un business basato sul talento. La sfida più importante per stare nel futuro è proprio questa: cercare nuovi talenti, aggiungere sempre qualità ai giornali». Robert Thomson, ex amministratore delegato del Wall Street Journal, ora è il Ceo di News Corporation, il gruppo editoriale di Rupert Murdoch, uno dei più grandi del mondo. Raggruppa quotidiani, settimanali, libri, televisioni, cinema, radio e pay-Tv da New York all’ Australia, passando per le isole Fiji. Un colosso che fa della diversificazione la sua forza principale. Ma qui si sta discutendo del futuro dei giornali, delle vecchie rotative e di quello che verrà. Ed ecco, infatti, la domanda: «I giornali perdono copie nelle edicole ormai da anni. Meglio spostare soldi e risorse umane verso il digitale o bisogna cercare di resistere? Qual è il modello di business per il futuro?». «Non bisogna essere negativi, ma cercare di portare i quotidiani nelle scuole. Studiare in che modo le persone interagiscono con i media digitali. Sul telefono ci sono sette schermate aperte, il livello di concentrazione è ridotto. Mentre bevendo il caffè, la carta è ancora un’ ottima opportunità di lettura». Le priorità, alla fine. Per Kita: «Rispondere alle necessità dei lettori, usando le nuove tecnologie». Per Lessin: «Fare giornalismo per cui valga la pena pagare». Per Reichelt: «Raccontare le cose senza timore». Per Sorkin: «Andare incontro al futuro». Per Thomson: «Essere al corrente delle tendenze, senza mai essere trendy». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Qualità e nuovi strumenti per conquistare lettori fedeli

La Stampa
BENIAMINO PAGLIARO
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Fare un giornale appartie ne al tempo stesso a due categorie della vita: è un mestiere ma è anche una passione. Un esercizio rigoroso in costante ricerca di equilibrio tra realtà e progetto, tra cronaca e ambizione, per la comunità, la città, il Paese o il mondo. Fare l’ editore di un quotidiano, sembra un paradosso, richiede la cultura del lungo periodo, e la capacità di anticipare i tempi, soprattutto in un mondo veloce che ha reso tutti (e nessuno) proprietari del sacro potere della stampa. Le storie di John Elkann e Jeff Bezos sono diverse, ma entrambi gli editori citano il «senso di responsabilità» quando Massimo Russo li interroga sul senso di essere editori oggi. Nel 2017 disordinato nemmeno i fatti sono più quelli di una volta. La tecnologia provoca cambiamenti vertiginosi: Internet riduce la geografia e avvicina i nodi, l’ informazione è un fiume in cui siamo immersi, sollecitati dalle notifiche sui nostri telefoni. Così i proprietari dei fatti non sono più gli editori. Forse non lo sono mai stati, si può obiettare, ma fino a ieri chi stampava aveva la tecnologia in grado di trasformare un fatto in notizia. C’ era una volta e non c’ è più. La cavalcata dei gruppi tecnologici ha conquistato l’ attenzione degli utenti, e con questa l’ 85% del mercato pubblicitario digitale. La concorrenza non è solo in edicola ma nel tempo, sempre scarso, delle nostre giornate, mentre l’ informazione è sempre più abbondante perché il costo di trasmissione si avvicina allo zero. «Internet ha preso il modello economico dei giornali e l’ ha cambiato: è un grande dono per svolgere questo lavoro», dice Bezos, che condivide con Elkann la visione sul modello economico essenziale per il giornalismo. Niente beneficenza: l’ editoria deve e può essere sostenibile. «La Stampa è sempre stato un giornale libero perché è stato sostenibile economicamente – dice Elkann -, e ne siamo fieri. È l’ unico modo per essere indipendenti». «La cosa peggiore che avrei potuto fare – aggiunge Bezos parlando del Washington Post – è dire: “Non preoccupatevi dei ricavi”». Il mercato impone una riflessione: la diffusione dei giornali cala, in Italia si è dimezzata negli ultimi vent’ anni. Gli ospiti arrivati a Torino sono però, e non è un caso, punte di eccellenza. Lo storico settimanale The Economist, di cui Exor è il primo azionista, attua un ambizioso piano per raddoppiare gli abbonati. Il Financial Times cresce da anni in doppia cifra. Il New York Times ha superato quota un milione e seicentomila negli abbonamenti digitali. Il Washington Post ha sorpassato i concorrenti per utenti, riportando i conti in attivo. Non sono solo storie di speranza ma frutto di fatica, coraggio e investimenti. Le parole chiave sono due: scalabilità, ovvero la capacità di ampliare il bacino di utenti, perfino superando i confini linguistici, e tecnologia, il motore fondamentale per conoscere i lettori e raggiungere la scalabilità. «Non possiamo più fare un sacco di soldi da pochi lettori, faremo relativamente pochi soldi da molti più lettori», dice Bezos. Elkann risponde spiegando il disegno industriale da cui nasce Gedi, che sarà leader nel mercato italiano e tra i primi in Europa, per cui si aspetta il via libera dell’ operazione dalla Consob entro la prossima settimana. Elkann ne spiega lo spirito tracciando un paragone industriale con il settore dell’ auto. “Così come facendo più modelli da una stessa casa costruttice si possono aumentare i profitti, anche nell’ editoriale la fusione può aiutare a rafforzare più giornali, moltiplicandone la forza”. La parola da tenere a mente è consolidamento. «Il Gruppo avrà diverse testate, ma beneficerà dalle economie di scala», afferma Elkann. Solo così sarà possibile avere la massa critica per affrontare nuovi investimenti e generare nuove linee di ricavi nel futuro. «Dobbiamo trovare – insiste Elkann – un numero crescente di lettori fedeli e paganti. Così il futuro sarà roseo». Bezos condivide la sfida. Da quando ha comprato il Washington Post, tiene una conference call sulla strategia del giornale (non sui contenuti) ogni due settimane. Dal 2013 sono arrivati investimenti, nuovi giornalisti, un nuovo Chief Technology Officer. I giornali diventeranno aziende tecnologiche? La risposta è che lo dovrebbero essere già. Il successo di Bezos parte direttamente dallo studio ossessivo del cliente: «Un giornale e un ecommerce sono diversi – spiega il fondatore di Amazon – ma l’ approccio è lo stesso, e deve avere al centro il lettore-cliente. La pubblicità da sola non funziona: i dati ci dicono che gli abbonamenti crescono grazie alle inchieste della nostra redazione». Per questo, anche se secondo Bezos in futuro il giornale di carta diventerà un lusso, «un po’ come avere un cavallo», l’ editoria troverà un equilibrio. «Lamentarsi non è una strategia – conclude Bezos -, l’ importante è essere avvincenti quando si scrive, essere giusti e chiedere al pubblico di pagare». In parte la sfida dipenderà dalla capacità di conoscere, comprendere, dialogare e trattare con i proprietari della valuta contemporanea: l’ attenzione. Google risponde alle nostre ricerche, Facebook intercetta le nostre preferenze e filtra il mondo in un NewsFeed. Elkann è considerato un dealmaker in settori pesanti come l’ industria dell’ auto, dove ha portato Fca al rilancio e a lavorare sull’ auto driverless con Google. Da Torino l’ editore de La Stampa sposta su un altro livello la conversazione, necessaria, con le over the top: le piattaforme, spiega, dovrebbero aiutare gli editori a facilitare la conversione degli utenti da casuali ad abbonati, a combattere la pirateria e condividere i dati. Per invertire la rotta, cambiare l’ equilibrio con le piattaforme digitali e costruire un business modello di successo “abbiamo una finestra di opportunità di 12-18 mesi – spiega Elkann – perché Google e Facebook hanno un duplice problema, la diminuzione delle entrate pubblicitarie e la caduta di credibilità a causa del fenomeno delle fake news”. Insomma, il cantiere è aperto. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Cambia la tecnologia Puntiamo su creatività e fiducia del pubblico

La Stampa
ELISABETTA PAGANI
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Notizie rapide per il digitale ma anche notizie lente, su cui investigare per giorni e da pubblicare nel weekend quando il lettore ha tempo per gustarsi la carta. Questo il futuro dei giornali secondo Lionel Barber, direttore del Financial Times . È invece sull’ informazione locale accurata che scommette Bobby Ghosh, numero uno di Hindustan Times , quotidiano indiano in lingua inglese da oltre un milione di copie. «Empatia e originalità in articoli in cui emozioni e grafica abbiano un nuovo predominante spazio» aggiunge Lydia Polgreen, direttrice dell’ Huffington Post . E poi qualità, qualità, qualità, rincara Ascânio Seleme, che dal 2011 dirige il brasiliano O Globo , per un’ informazione che i lettori siano disposti a pagare. I direttori di alcune delle più prestigiose testate del mondo, invitati a Torino dall’ editore della Stampa John Elkann per chiudere i festeggiamenti per i 150 anni del quotidiano, si scambiano idee e strategie in una tavola rotonda nella sala delle bobine del centro stampa di via Giordano Bruno, dove di notte la carta corre a una velocità di 12 metri al secondo per produrre migliaia di copie. Già, le copie del quotidiano di carta. Ma continuerà ad esistere in tempi di diffusione di notizie gratuite sul web? E se sì, in che forma? E che spazio avranno nuovi robot e «vecchi» reporter d’ inchiesta? Queste alcune delle questioni su cui confrontarsi per iniziare a disegnare il futuro. La carta Su un punto i quattro direttori, moderati da John Micklethwait, numero uno di Bloomberg News , concordano: il giornale cartaceo non sparirà ma cambierà. «Dovrà essere facile da leggere e con un ottimo design – osserva Barber – soprattutto nel fine settimana, che diventa, grazie al tempo maggiore a disposizione, una grande opportunità da sfruttare». «Possiamo riconquistare il terreno perduto – gli fa eco Polgreen, da un anno subentrata alla direzione dell’ HuffPost alla fondatrice Arianna Huffington – puntando molto sull’ empatia con i lettori e sulla tecnologia». Tecnologia che – sostengono i direttori – non soppianterà il lavoro del giornalista. I robot e i reporter «A Bloomberg – spiega Micklethwait – stiamo iniziando ad automatizzare alcune notizie». I report sui titoli di Borsa, ad esempio. Ma in futuro succederà per ogni tipo di informazione? No, è la risposta dei direttori dei giornali storici (il più antico «sul palco» è il Financial Times , fondato nel 1888) ma anche di testate online come l’ HuffPost . «La voce è la cosa più importante in un giornale – sottolinea Barber – ecco perché il ruolo dei commentatori, le nostre star, è centrale». «La mano e la mente umana – rafforza il concetto Ghosh – non possono essere sostituite ma i giornalisti devono “studiare” la tecnologia, essere in grado di modificare dati e video direttamente dal cellulare, come all’ Hindustan Times abbiamo iniziato a fare. Soprattutto nel giornalismo locale, perché è lì, secondo noi, che si nasconde il futuro». Un giornalismo di qualità, sia che denunci le criticità del sistema di trasporto locale sia che sveli i grandi scandali politici internazionali. «Il giornalismo investigativo non è soltanto il Watergate – interviene il direttore del Ft – ma è anche quello dei reporter che raccontano angoli d’ Africa in cui le donne subiscono assalti, o la diffusione di malattie». E la regola alla base, in un giornalismo di qualità, è sempre la stessa: «Le fonti di una notizia devono sempre essere almeno due, anche se una è quella del presidente». Per assicurare, in tempi di fake news, un’ informazione corretta e autorevole. Le notizie false «Le fake news – ironizza Ghosh – sono la cosa migliore che potesse capitarci perché hanno spinto le persone a tornare a rivolgersi a fonti più affidabili, a noi». «Pensiamo all’ Arabia Saudita, alla Corea del Nord, pensiamo a come sarebbe il mondo senza la stampa – aggiunge Seleme -. La nostra battaglia a favore dell’ informazione di qualità non è per salvare noi stessi ma la democrazia». Un tema sensibile, quello delle notizie false, faziose o non confermate, su cui i giornali chiamano in causa le grandi aziende del digitale. «Anche Google, Facebook e gli altri giganti del web – incalza Micklethwait – devono essere considerati responsabili, come una testata giornalistica, di ciò che viene pubblicato sulle loro piattaforme?». «Assolutamente sì – risponde Ghosh -. Gli inserzionisti pubblicitari cominciano a dare peso a questo problema e alla fine imporranno una disciplina». «La cura contro le fake news? Il giornalismo valido, che, non dimentichiamolo, è un servizio pubblico» risponde Polgreen. I social network «Facebook dice che ha assunto migliaia di persone con l’ obiettivo di controllare le notizie che circolano sulle sue pagine. Una volta noi li chiamavamo semplicemente giornalisti», ironizza Barber, per cui i social network sono un’ arma a doppio taglio. Più netto il direttore dell’ Hindustan Times , che li definisce «un male necessario», mentre Micklethwait spiega che a Bloomberg c’ è una redazione di 45 persone incaricata di controllare e osservare cosa succede sui social. Il futuro Come si immaginano i direttori di cinque testate e tre continenti – Europa, America e Asia – il domani dei giornali? «Forse le redazioni saranno più piccole – ipotizza Barber – e composte da talenti creativi con conoscenze specialistiche e tecnologiche, in grado di offrire un prodotto originale». «Saranno, e sono già – aggiunge Ghosh – squadre in cui giornalisti e informatici lavorano insieme, gomito a gomito». «Dovranno essere in grado di soddisfare le esigenze dei lettori – sottolinea Polgreen – ma anche avere la forza di proporre loro cose nuove a cui appassionarsi». La domanda più personale arriva in chiusura: «Come può comportarsi ognuno di noi – chiede il numero uno di Bloomberg News – per fare la differenza?». Secondo Barber è una questione di responsabilità individuale: «Deve guardarsi ogni giorno allo specchio e chiedersi come può rendere il proprio giornale diverso e unico». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

La forza di un quotidiano sono le idee rivoluzionarie e la comunità che aggrega

La Stampa
MAURIZIO MOLINARI
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La conferenza internazionale sul Futuro dei Giornali organizzata da «La Stampa» in occasione del suo 150° anno di pubblicazioni vuole affrontare la sfida che tutti abbiamo davanti: come assicurare un futuro di qualità e profitti ai quotidiani. Avere bilanci in attivo è un’ importante garanzia di qualità perché consente ai quotidiani di proteggere la propria libertà. Per affrontare questo argomento abbiamo organizzato un programma articolato in quattro panel per fare discutere fra loro giornalisti, direttori, editori e proprietari dell’ editoria provenienti da quattro Continenti, a cui abbiamo chiesto di raccontarci le loro esperienze, di confrontare i rispettivi risultati, di descrivere i loro progetti e, perché no, anche di rivelarci i loro sogni. Giornalisti, direttori, editori e proprietari, ognuno di noi arriva a questo appuntamento da strade diverse. Ci siamo ritrovati qui assieme per scambiarci idee e progetti, per creare un’ interazione fra noi da cui tutti potranno trarre vantaggio. La sfida La sfida che abbiamo davanti si presenta tutta in salita: la diminuzione delle copie vendute in edicola, il calo delle entrate pubblicitarie, la concorrenza delle piattaforme digitali e la divulgazione dell’ informazione gratuita mettono a rischio il futuro dell’ editoria. Se ogni anno un utente digitale rende in media 25 dollari a Facebook e 25 centesimi ad un editore significa che dobbiamo, tutti, batterci per sopravvivere. Ma è anche vero che i contenuti dei giornali attirano ogni giorno moltitudini di lettori e users, spinti da un mondo in accelerazione a voler conoscere sempre meglio cosa e quanto sta cambiando, dove, come e perché. Hard news e contenuti intellettuali sono i prodotti più richiesti sul mercato globale. E’ questa la ragione per cui l’ industria dell’ editoria può uscire più forte e florida da questa fase di transizione. Rischi e opportunità Per sconfiggere i rischi e cogliere le opportunità abbiamo bisogno di un nuovo modello di business. Un modello capace di portare i lettori ad accettare forme di pagamento e l’ editoria a registrare profitti, invertendo la tendenza attuale. La forza di un quotidiano è la qualità dei suoi contenuti, la credibilità del proprio brand e la dimensione della comunità di lettori che aggrega. Servono dunque formule innovative per trasformare le piattaforme digitali in strumenti attraverso cui si recapitano ai lettori contenuti e servizi non più solo gratis ma anche in cambio di pagamenti. Sottoscrizioni e membership possono trasformare il quotidiano da una comunità intellettuale ad una comunità di servizi intellettuali, capace di offrire ai lettori ogni sorta di contenuti: dalle news ai grandi eventi, dalle informazioni utili alle docu-fiction. Su ogni piattaforma: in carta, sul web, sui social network, sull’ etere, con i video, sulla realtà aumentata e in ogni altra modalità che la tecnologia sarà capace di offrirci. Il percorso È un percorso nel quale non dobbiamo avere timore di ripensarci, reinventarci. Anche in maniera radicale, rivoluzionaria. Forse le nostre redazioni sono organizzate in maniera superata e dobbiamo rivedere il modo di lavorare. Forse gli articoli devono essere scritti adattandosi alle diverse piattaforme: oggi li misuriamo in battute e parole, forse dobbiamo iniziare a farlo considerando il fattore-tempo. Forse i giornali devono essere più compatti, con meno pagine e qualità tali da giustificare prezzi più alti. Forse la nostra forza sono i brand, chi siamo, chi aggreghiamo: l’ identità che ci viene da cosa scriviamo e chi ci legge. Iniziamo da qui la nostra discussione, aprendo il confronto in ogni direzione, convinti che ogni singola idea potrà fare la differenza. E discutere sul futuro collettivo nell’ era digitale all’ interno della nostra tipografia che stampa 100 milioni di copie di giornali l’ anno, circondati da gigantesche bobine provenienti da più Paesi Ue, ognuna delle quali contiene 1600 kg di carta riciclata, ovvero 480.000 pagine di giornale, significa essere convinti che abbiamo l’ esperienza e la determinazione per riuscirci. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

La democrazia ha bisogno di giornalismo di qualità

La Stampa
CARLO DE BENEDETTI
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Quando La Stampa pubblicò il suo primo numero nel 1867, l’ Italia come realtà politica e istituzionale aveva meno di sei anni. Eppure già nel 1848, quando Torino era ancora solo la capitale del Regno di Sardegna, lo Statuto Albertino aveva per primo affermato: «La stampa sarà libera». Sappiamo come quella norma sarà poi maltrattata nella prassi e infine radicalmente negata dal fascismo, ma da quel seme nasce l’ articolo 21 della Costituzione della Repubblica italiana. La libertà di espressione dei cittadini e la libertà di stampa sono le fondamenta delle moderne società democratiche. ‘In questi anni è andata confermandosi la mia convinzione che una società democratica non possa fare a meno dell’ informazione professionale. L’ illusione di una totale disintermediazione, in politica come nel campo dell’ informazione, mostra il limite di ogni ideologia millenaristica: la sparizione dei vecchi mediatori crea lo spazio per nuovi ri-mediatori che sfuggono alla verifica collettiva e surrogano i modi ma non le qualità di chi li ha preceduti. Gli Over-The-Top Nel nostro campo abbiamo visto questo fenomeno ampliarsi con travolgente forza. I nuovi, potentissimi ri-mediatori delle relazioni personali e informative dell’ umanità sono in breve diventati snodi ineludibili. Mi riferisco a Google, a Facebook, ad Apple e agli altri Over-The-Top (OTT): che, sia detto con chiarezza, io ammiro profondamente per quanto hanno immaginato e realizzato. Ma dei quali vedo potenzialità e rischi. I rischi dovuti alle dimensioni degli OTT allertano per ragioni molteplici. Il New York Times ha sottolineato come gli investimenti di Google nell’ Intelligenza Artificiale, dalla quale dipenderà il futuro sociale ed economico globale, «non sono bilanciati da nessuno, a cominciare da quelli dei settori pubblici». Che è come dire che è tra Mountain View e Cupertino, non a Washington o Pechino, che si progetta cosa saremo tra dieci o vent’ anni. Le grandi piattaforme digitali sembrano peraltro essersi ultimamente rese conto che l’ informazione prodotta professionalmente è una condizione essenziale per la sopravvivenza delle moderne democrazie. Per quanto ci riguarda, noi editori ci siamo resi conto che non dà risultati andare alla guerra contro Google e soci, che pure usano i nostri contenuti senza retribuirci. Hanno mezzi e risorse per respingerci. Tant’ è che siamo passati da una situazione di scontro a una di confronto e, in alcuni casi, di intesa basata sul riconoscimento di principi come quello del diritto d’ autore. Chiediamo di poter fare il nostro mestiere. Non siamo più soli Il discorso deve essere assai più ampio, non può essere solo una questione da risolvere con negoziati tra parti – peraltro con un’ enorme differenza di potere. Se siamo qui è perché non crediamo più di vivere una semplice fase evolutiva, ma sappiamo di essere parte di una rivoluzione dei rapporti umani e della produzione. E questa rivoluzione si traduce, per noi, nella scoperta di un fatto semplicissimo: non siamo più i soli a raccogliere, elaborare e fornire informazioni, a connettere persone e istituzioni, a lubrificare l’ economia e i commerci con la pubblicità. Gli editori, i giornalisti e gli altri professionisti che hanno fatto grande il nostro mondo sono oggi parte di un sistema più vasto. Un vero e proprio «ecosistema dell’ informazione», al quale appartengono associazioni, organizzazioni non-profit, imprese commerciali di altra natura, istituzioni pubbliche e private, singoli cittadini e le piattaforme digitali, le infrastrutture che abilitano ma anche fortemente condizionano la libertà di espressione della società del XXI secolo. Dobbiamo ridefinire qual è, in questo nuovo contesto, il ruolo degli imprenditori dell’ informazione, di chi organizza risorse umane e tecniche per creare e distribuire prodotti professionali. La domanda che mi pongo è semplice: come devono trasformarsi il giornalismo e l’ editoria in un sistema culturale in cui l’ atto di «pubblicare» è inteso come il semplice click sul tasto «invio»? La risposta può solo essere trovata nella creazione e nell’ offerta di prodotti informativi non fungibili, non replicabili. Basta «good enough» Tra le leggi che regolano l’ universo digitale c’ è quella del good enough : nell’ abbondanza di contenuti e servizi l’ utente spesso si accontenta di prodotti di qualità media, sufficiente per le necessità del momento. Basta guardare al fenomeno dei file musicali MP3, di qualità estremamente inferiore ad altri formati ma «buoni quanto basta» in un autobus, in auto e in cento altre condizioni di ascolto. Questa legge vale anche per l’ informazione digitalizzata. E non parlo dell’ informazione erronea o fuorviante delle fake news. Parlo dell’ enorme quantità di informazioni prodotta per le più svariate ragioni che è «buona quanto basta», con costo di accesso sostanzialmente pari a zero. Non c’ è modello di business che possa funzionare se il prodotto concorrente ha prezzo pari a zero. E’ evidente perciò che non possiamo pensare di restare sul mercato – in specie quello dell’ attenzione e della rilevanza sociale – producendo anche noi informazioni fungibili, «buone quanto basta». Dobbiamo concentrarci sulla informazione «che fa la differenza», l’ informazione che solo una struttura di eccezionale professionalità può fornire con continuità e peso istituzionale. Un’ informazione ad alto, altissimo contenuto di qualità e di lavoro. In definitiva, a distinguere l’ informazione del giornalismo professionale dall’ informazione non professionale è il metodo. Il cittadino deve sapere con certezza che ciò che trova in tutti i nostri canali di distribuzione è qualificato da un metodo fatto di verifiche, di trasparenza, di opinioni a confronto, di correzioni pubbliche. In un mondo di informazione «buona quanto basta» a costo zero, gli editori devono essere in grado riconquistare la fiducia dei cittadini. E’ questo il valore del nostro lavoro. Tutto ciò che va nel senso dell’ aumento della fiducia, va anche nel senso della sicurezza economica. La qualità e i dati Se concordiamo poi sul fatto che il ruolo della stampa è ancora più essenziale quando alcuni valori fondanti della società sono messi in pericolo da estremismi e populismi, allora ha senso lanciare da Torino la proposta della convocazione degli Stati generali dell’ Editoria d’ Informazione, aperti a ogni individuo, azienda, gruppo o categoria che voglia dare il proprio contributo. E ripartire. Ripartire dalla qualità, come detto, ma anche dai dati. L’ Economist ha pubblicato recentemente uno speciale che metteva in luce come nel mondo digitale i dati siano il vero nuovo mercato rilevante. Non potrei essere più d’ accordo. Tre anni fa, in occasione del congresso WAN-IFRA qui a Torino avevo chiesto alle autorità politiche e regolatorie di riconoscere che i vantaggi ingiusti e anticoncorrenziali dei quali godono i grandi player digitali «sono ora di forma nuova e devono dunque essere affrontati con concetti nuovi». Tra questi concetti avanzavo l’ idea che l’ antitrust potrebbe agire sul mercato dei dati vietando o limitando l’ uso di quelli raccolti in una linea di business a beneficio di un’ altra o al servizio dello stesso gruppo imprenditoriale. L’ Economist segue la stessa strada e propone che si cominci a immaginare la «condivisione» dei dati, o almeno di alcuni. Per esempio – aggiungo io – cominciando con quelli generati dalla interazione degli utenti con i contenuti degli editori che sono linkati, citati o fatti propri dalle piattaforme digitali. Noi abbiamo già a disposizione i dati che si producono sulle nostre piattaforme dalla interazione degli utenti con i contenuti che pubblichiamo. Ma sono prodotti da nostri contenuti anche i dati che si generano su piattaforme di terzi, come Facebook. Mi piacerebbe che questo fosse riconosciuto. In ogni caso i dati sono il centro delle attività e degli interessi di tutti i grandi attori mondiali dell’ economia digitale – lo sono tanto che il 30 maggio l’ Autorità Antitrust, l’ Autorità per le Garanzie e nelle Comunicazioni e l’ Autorità Garante per la protezione dei dati personali hanno avviato un’ indagine conoscitiva congiunta per individuare i problemi connessi all’ uso dei Big Data e definire un quadro di regole che promuovano e tutelino la protezione dei dati personali, la concorrenza dei mercati dell’ economia digitale, la tutela del consumatore e il pluralismo nell’ ecosistema digitale. Noi parteciperemo attivamente a questa iniziativa, poiché i dati sono diventati il centro delle attività anche per gli editori d’ informazione e per i giornalisti. Stati Generali dell’ Editoria Amo appassionatamente il mestiere di editore, ma è evidente che a me e ai colleghi della mia generazione difettano a volte i riferimenti culturali per affrontare i problemi che abbiamo di fronte e che ridefiniscono il nostro campo ben al di là della tradizionale industria verticalmente integrata quale era il settore dei giornali. Dobbiamo discutere, aprirci agli apporti di altre culture e competenze. Cominciamo dall’ Italia convocando gli Stati generali dell’ Editoria d’ Informazione, ai quali invitare i portatori di interesse come i rappresentanti delle categorie della filiera (editori, giornalisti, poligrafici, ecc.), aprendosi ai contributi di altri, OTT compresi. L’ Italia dovrebbe essere solo l’ inizio: mi piacerebbe che questa si trasformasse in una iniziativa che coinvolga l’ intera Europa. Non vogliamo aiuti di Stato né sovvenzioni, vogliamo cercare il modo per rimanere remunerativi perché se muore l’ editoria d’ informazione, non muore solo un settore industriale: muore una funzione essenziale dei sistemi democratici. Grazie. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Giovani, web, Trono di Spade «Ecco il futuro dei giornali»

Corriere della Sera

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Per celebrare i 150 anni de «La Stampa» si sono incontrati ieri a Torino i vertici di alcune delle testate più importanti del mondo (dal «New York Times» al «Financial Times»). Al centro del dibattito i giornali di domani, soprattutto nell’ era delle «fake news» e del ruolo sempre più rilevante di una piattaforma come il social network Facebook. DAL NOSTRO INVIATO TORINO Qual è il futuro dei giornali? La Stampa compie 150 anni e sceglie un compleanno pensoso. Invita a Torino molti protagonisti dell’ informazione internazionale, che portano preoccupazioni, offrono intuizioni e tentano qualche profezia. Ecco una personale selezione. «Il rapporto tra i nostri media, Facebook e Google? Loro sono i padroni di casa, noi siamo gli inquilini. Ci stanno alzando l’ affitto» (A.R.Sorkin, columnist, The New York Times ). «Ho comprato The Washington Post perché è un’ istituzione. È il giornale della capitale degli Usa! Ci tengo molto. Mi sento un missionario, ma non un filantropo. Rispetto l’ indipendenza della newsroom, ma deve mantenersi da sola. Se avessi detto ai giornalisti: “Non preoccupatevi di perdere soldi!”, avrei fatto il loro male» (Jeff Bezos, editore, Washington Post ). «Abbiamo il dovere civico di rendere le notizie interessanti» (Lydia Polgreen, direttrice, The Huffington Post ). «I giornali di carta resisteranno. Certo, sono destinati a diventare esotici. Un po’ come avere un cavallo. Non si tiene per il trasporto, ma perché è bellissimo. Arriverà qualcuno, vedrà un giornale di carta e dirà: “Wow! Posso provarlo?”» (Jeff Bezos, cit.). «Il weekend è un’ ottima opportunità: la gente ha tempo di leggere» (Lionel Barber, direttore, Financial Times ). «Smettiamo di guardare i millennials. Li conosciamo già. Guardiamo ai ragazzi tra i dieci e i tredici anni. Loro ci indicano dove andare» (Gary Liu, 33 anni, Ceo, South China Morning Post ). «Non puoi diventare grande se ti restringi. Devi investire e assumere». (Jeff Bezos, cit.). «Diciamo al FT di non guardare al breve termine. Per tre anni non abbiamo bisogno di dividendi. Guardino al lungo termine» (Tsuneo Kita, presidente di Nikkei, proprietaria del Financial Times ). «Puntiamo a 10 milioni di abbonati nel mondo. Ce la possiamo fare. Gente istruita, che sa l’ inglese, ce n’ è» (Mark Thompson, Ceo, The New York Times ). « The Economist è speciale, perché offre ogni settimana una visione del mondo. La platea potenziale? Ottanta milioni di “curiosi globali”» (John Elkann, editore, La Stampa e The Economist ). «Nei giornali dobbiamo ricreare ogni giorno “Il trono di Spade”: una storia così interessante che non possiamo restare fuori» (A.R.Sorkin, cit). «Facebook e Google non sono interessati alla news industry. Noi, invece, siamo ossessionati da loro. Preoccupiamoci delle nostre piattaforme, invece» (Jessica Lessin, fondatrice di The Information ). «Le redazioni saranno più piccole, agili, non formate necessariamente di soli giornalisti» (Lionel Barber, cit). «L’ indipendenza editoriale è fondamentale, ma giornalisti e aziende devono imparare a lavorare insieme». (Zanny Minton Beddoes, direttrice, The Economist ). «Parliamo spesso del business dei giornali come fosse solo un’ industria. Ma è soprattutto un business di talenti. Trovarli e coltivarli è la chiave di tutto» (A.R.Sorkin, cit). «Le chiedevo di Snapchat e mia figlia di 13 anni mi ha risposto: “Adesso non posso, mamma, sto leggendo The Economist “» (Zanny Minton Beddoes, cit).

Siglato l’ accordo Rai-France Tv «Forti insieme deboli se soli»

Corriere della Sera
Emilia Costantini
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«Siamo forti insieme, deboli se soli». Il dg di France Televisions Xavier Couture sintetizza così l’ accordo siglato ieri mattina con la Rai, alla presenza della presidente Monica Maggioni e del dg Mario Orfeo: un contratto quadro di coproduzione che prevede annualmente una serie di progetti, per arricchire con contenuti di matrice europea la programmazione nazionale e la distribuzione internazionale. «Un’ alleanza strategica nell’ ottica di servizio pubblico – precisa Orfeo – una collaborazione sistematica in un momento in cui l’ Europa è attraversata da venti di tempesta, che mettono in pericolo il mondo aperto cui siamo abituati». È già in cantiere un primo ambizioso progetto che riguarda la storia, ma non recente. Anticipa Couture: «È un documentario che attiene più all’ Italia che alla Francia: la prima pietra di un edificio che spero diventi grande e importante. D’ altronde i nostri due Paesi sono molto prossimi sul piano culturale, è fondamentale unirci. Siamo colonizzati da altri Paesi molto forti: i nostri giovani conoscono più le strade di Los Angeles che quelle di Roma o Parigi e non va bene. Unire le forze significa avere più soldi per diventare protagonisti, ma non è solo una questione di marketing: l’ Europa è la nostra importante famiglia». Aggiunge Mario Orfeo, riferendosi alle recenti elezioni d’ Oltralpe: «Dalla Francia arrivano segnali che ci fanno ben sperare in un’ inversione di rotta».

Facci, l’ Ordine e il ruolo dei giornalisti

Corriere della Sera
Pierluigi Battista
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Caro direttore, nella sua rubrica settimanale Par-ticelle elementari , il col-lega Pierluigi Battista critica senza appello l’ operato del Consiglio di disciplina del-l’ Ordine dei giornalisti della Lombardia, nei confronti di Filippo Facci, per un articolo sul terrorismo islamico. E rin-cara la dose lanciando accuse allo stesso Ordine. Ci sono al-cune osservazioni sull’ utilità o meno dell’ Ordine, che trovo (almeno in parte) condivisi-bili. Per fortuna pochi mesi fa è arrivata una legge (la 198, fortemente sostenuta dai Con-sigli regionali) che ridimen-siona numeri e competenze del Consiglio nazionale. L’ al-ternativa, in mancanza di un segnale di cambiamento, sa-rebbe stata, inevitabilmente, la chiusura dell’ Ordine. Ac-compagnata da un coro di consensi di chi vuole lasciare campo libero a un’ informa-zione senza regole, che ali-menta blog e social, assecon-dando senza vincoli una schiera di editori avventurieri e tutti i desideri degli uffici marketing. Al di là di questi dettagli, anch’ io, come Battis-ta, non vorrei entrare nel me-rito della vicenda che ha visto coinvolto Facci (anche se in-vocare il diritto all’ odio credo sia contro la Costituzione). E mi piace ricordare un inse-gnamento: «Il giornalista deve saper respingere la tentazione di fomentare lo scontro, con un linguaggio che soffia sul fuoco delle divisioni, piutto-sto favorisca la cultura dell’ in-contro». Parole che non ven-gono né da destra né da sinis-tra, ma da papa Francesco. Non riesco a capire quale ine-sattezza avrei compiuto. Con-tinuo a ritenere moralmente illegittima la funzione censo-ria di un organismo nato, appunto, in epoca fascista.

Il futuro dei giornali

La Repubblica
RICCARDO STAGLIANÒ
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TORINO Dalla solidità delle bobine tipografiche, una tonnellata e mezzo l’ una a incorniciare il palco, all’ impalpabilità dei tweet che commentano l’ evento. L’ alfa e l’ omega del giornalismo, così come l’ abbiamo conosciuto sino a oggi. Ma nella storica tipografia della Stampa, in occasione della conclusione dei festeggiamenti per il suo centocinquantesimo anniversario, ci si interroga su quello che succederà domani. The future of newspapers è il titolo della conferenza internazionale cui partecipa il meglio dell’ editoria mondiale. Quattro panel, una ventina di relatori, quattrocento persone in sala. Con le parole finali affidate a un confronto tra John Elkann, editore della Stampa e Jeff Bezos, proprietario del Washington Post, prima della conclusione di Carlo De Benedetti, presidente del neonato Gedi Gruppo Editoriale che mette insieme Repubblica e il quotidiano torinese. L’ interrogativo principale su cui si esercitano direttori, amministratori delegati ed editori è lo stesso che angustia l’ industria dell’ informazione dalla nascita del web: dove trovare i soldi per il giornalismo di qualità? Con alcuni corollari più recenti, che hanno che fare con lo strapotere pubblicitario dei social network. O, per dirla col direttore padrone di casa Maurizio Molinari, «è giusto che un utente significhi 25 dollari di pubblicità all’ anno per Google e solo 25 centesimi per noi?», quando magari sulla piattaforma legge proprio i nostri articoli. C’ è chi però, dal mondo delle istituzioni, resta ottimista. Come il premier Paolo Gentiloni che giunge in serata, per partecipare alla cena di gala a Palazzo Reale: «Il futuro del giornalismo dipende dal fattore umano – sostiene, in un breve discorso – dobbiamo evitare interpretazioni catastrofiche». Ma torniamo al convegno. Il primo giro di opinioni è tra direttori. John Micklethwait di Bloomberg News avverte che hanno già automatizzato le trimestrali delle aziende, affidate all’ intelligenza artificiale. «Ma nessun robot sostituirà mai commentatori come Martin Wolf», ribatte Lionel Barber del Financial Times, citando una firma pregiata della sua squadra. Quello che trova incomprensibile, e masochistico, piuttosto è scoprire che un suo giornalista fa uno scoop prima su Twitter che sul giornale. Quanto all’ ultima piaga, le fake news, una bella risposta baldanzosa viene da Bobby Ghosh, dell’ Hindustan Times: «Sono la cosa migliore che poteva capitarci. Più aumentano, più la gente torna da noi». La sua ricetta per il successo è semplice: «Puntare sulle notizie iperlocali e seguire le tre C che interessano alla gente: crimine, classe (scolastica) e commuting, la vita dei pendolari». Le soddisfazioni maggiori, scommette Barber, verranno dalle edizioni del fine settimana, quando la gente ha finalmente tempo per leggere. Di denaro e di dove trovarlo parlano gli amministratori delegati, moderati dalla direttrice dell’ Economist Zanny Minton Beddoes. E qui la distanza tra America e Europa è ancora notevole. Il numero di abbonati digitali del New York Times, spiega l’ ad Mark Thompson, è ormai il doppio di quelli cartacei (due contro un milione), con l’ ambizione «assolutamente ragionevole di arrivare a 10 milioni complessivi » nel futuro prossimo. Futuro cui il Times si sta preparando mettendo in conto che la carta possa anche andare a zero. Mentre a Le Monde, dice Louis Dreyfus, «l’ 80 per cento delle entrate arriva ancora dal cartaceo». In ogni caso bisogna guardare avanti, anche oltre i venti-trentenni, invita a fare Gary Liu, del South China Morning Post: «Dopo i millennials ci sono i ragazzi di dodici anni che vanno su Snapchat. Quella è la generazione che dobbiamo vincere». La Beddoes, pur non pienamente convinta, si è adeguata e ora quando dice alla figlia di lasciar stare il telefono la ragazzina gli risponde a tono: «Sto leggendo l’ Economist». Gli elefanti che riempiono questa sala dai soffitti immensi restano Facebook e Google. Le domande degli studenti di giornalismo cui dà voce il direttore di Repubblica Mario Calabresi lo fanno capire bene. La diplomazia che ha retto sin qui si incrina. Inizia Andrew Ross Sorkin del New York Times: «Non sono sicuro che noi e loro siamo amici. Non mi sembra una relazione amicale quella in cui uno ha le mani intorno al collo dell’ altro». I social network sarebbero i padroni di casa, i giornali gli inquilini. »E allora traslochiamo!» propone Jessica Lessin, fondatrice del sito The Information che si fa pagare 400 dollari dagli abbonati per avere in cambio due articoli al giorno di altissimo livello sul mondo della tecnologia. Anche Robert Thompson, di NewsCorp, non la manda a dire: «Se qualcuno ruba una merce e tu non lo denunci diventi complice». La merce rubata, in questo caso, sono gli articoli ripostati sulle piattaforme. Tanto più, prosegue, che i giornali mantengono un grosso vantaggio rispetto ai social: «Online ti dividi tra tanti schermi. Con un foglio in mano al massimo ti distrai con un caffè. Questa qualità di attenzione va valorizzata». Solo Tsenuo Kita, presidente di Nikkei, invita alla calma zen: «Né amici né nemici, ma indispensabili ». Il messaggio che Calabresi affida alla to-do list finale è questo: «Dobbiamo concentrarci su contenuti originali, necessari e di sostanza. Meno deskisti ma più cronisti e molta più rilevanza». La chiusura spetta al presidente del Gruppo Gedi Carlo De Benedetti. L’ ingegnere denuncia “l’ illusione di una totale disintermediazione, in politica come nell’ informazione” e segnala, con un neologismo efficace, i rischi posti da “nuovi ri-mediatori che sfuggono alla verifica collettiva” senza avere né la qualità né il metodo di chi li ha preceduti. ©RIPRODUZIONE RISERVATA FOTO: ©ALESSANDRO DI MARCO/ANSA.

Il manifesto per il futuro

La Repubblica

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EFFICACIA Quando scrivete, siate efficaci, scrivete cose esatte e chiedete alle persone di pagare Loro sono disposti, ma dovete chiederlo JEFF BEZOS EDITORE WASHINGTON POST LEALTÀ Solo il giornalismo di cui ci si può fidare sarà in grado di trovare un crescente numero di lettori leali e disposti a pagare JOHN ELKANN PRESIDENTE ITALIANA EDITRICE RILEVANZA Dobbiamo concentrarci su contenuti originali: meno deskisti ma più cronisti e molta maggiore rilevanza MARIO CALABRESI DIRETTORE LA REPUBBLICA COMUNITÀ Bisogna trasformare i giornali da comunità intellettuale a comunità di servizi intellettuali. Usando tutte le piattaforme MAURIZIO MOLINARI DIRETTORE LA STAMPA CONTENUTI Concentriamoci sulla rilevanza dei contenuti e sulla fiducia. Non stare sulla difensiva, la sostenibilità verrà di conseguenza MASSIMO RUSSO DIRETTORE DIV.DIGITALE GEDI NOVITÀ Sfruttare le novità tecnologiche per distribuire giornalismo di qualità in formati che vanno incontro alle necessità del lettore TSUNEO KITA PRESIDENTE NIKKEI.

Elkann – Bezos “Serve la fiducia dei nostri lettori”

La Repubblica
ALESSIO SGHERZA
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TORINO «Bisogna scrivere bene, scrivere la verità e chiedere ai lettori di pagare. Loro sanno che il buon giornalismo non è gratis». La ricetta per salvare i giornali Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario da quattro anni del Washington Post, la sintetizza in due frasi, al termine dell’ incontro a Torino con John Elkann, editore della Stampa, in occasione della conferenza sul futuro dell’ editoria organizzata per i 150 anni del quotidiano torinese. Ricetta che trova d’ accordo il presidente di Exor: «La chiave è trovare una platea crescente di lettori leali e pronti a pagare». Elkann e Bezos sono saliti sul palco per un faccia a faccia moderato da Massimo Russo, direttore della Divisione digitale del gruppo editoriale Gedi. Si sono stretti la mano, sorridenti, e hanno risposto alle domande sui rischi del giornalismo oggi, sulle sfide economiche da affrontare ma anche sulle prospettive future. Ed entrambi si sono detti “ottimisti”. «Nel 2013 – ripercorre Bezos – comprare il Washington Post non era nei miei progetti. Dicevo: “Non so nulla di giornali”. Ma era quello di cui avevano bisogno. È una sfida molto eccitante. La prima cosa che abbiamo fatto è stata impostare il Post come Amazon, mettendo al centro l’ utente, che per il giornale è il lettore. No, non la pubblicità. Semplicemente perché i pubblicitari vogliono più lettori, quindi mettendoli al centro si va incontro alle esigenze della pubblicità». Ma un giornale deve essere profittevole, altrimenti non può reggere nella sua indipendenza. Un punto su cui Elkann e Bezos sono pienamente d’ accordo. «La soluzione – dice Elkann – non è mai riversare su un’ azienda soldi a fondo perduto. Sono certo che nessuno è contento di lavorare in un giornale in perdita». Annuisce il padre di Amazon: «Io non ho obiettivi filantropici. La cosa peggiore che avrei potuto fare sarebbe stata dire “non vi preoccupate dei ricavi”. Io voglio un giornale in salute e indipendente». E sottolinea il suo mantra, che ripete almeno tre volte: «Non si può tagliare per raggiungere profitti», è un modo perdente di procedere. Perché la qualità è nell’ altra direzione, e solo con il giornalismo di qualità si cresce. Così Bezos, approdato alla guida del giornale, ha assunto più di cento reporter e molti sviluppatori: «L’ obiettivo del Post è raccontare il governo degli Stati Uniti e fare giornalismo d’ inchiesta: solo in questo modo puoi convincere la tua audience potenziale ad abbonarsi ». Chiosa Elkann: «Solo un giornale che è in attivo può permettersi di essere indipendente ». Ma le aziende editoriali si trovano in uno scenario difficile, con la torta pubblicitaria, spostatasi in maniera rilevante verso tech company come Google e Facebook, che in Italia controllano i due terzi del mercato. Denaro che una volta andava agli editori. Elkann spiega: «Con la fusione tra Stampa, Secolo XIX e i giornali del Gruppo L’ Espresso riusciremo a ridurre i costi, sfruttando gli elementi comuni delle molte testate che continueranno ad avere la loro riconoscibilità. Speriamo entro la prossima settimana di concludere l’ operazione». Il problema della fiducia nei media e quello dei ricavi sono connessi: «I giornali sono profittevoli se hanno la fiducia del lettore», se il lettore è disposto a pagare, se i conti sono a posto. «Nel momento in cui inizi a cercare soluzioni per un modello economico che non regge, quando inizi a fare compromessi con l’ indipendenza del tuo giornalismo, se usi il native advertising, stai rovinando il tuo rapporto con chi ti legge». E non può bastare la pubblicità per fare giornalismo “originale” e “d’ inchiesta”. Spiega Bezos: «Per tenere in piedi una testata solo con la pubblicità dovresti tagliare sui contenuti di prima mano, riutilizzare il materiale di altre testate, ridurre i giornalisti. Per il tipo di giornalismo che voglio al Post devi investire e devi convincere le persone a pagare. E ho le prove che posso essere ottimista: i nostri abbonamenti stanno crescendo velocemente ». «Io credo – riprende la parola Elkann – che per i giornalisti oggi sia fondamentale comprendere il problema economico che l’ industria affronta. Fino ad oggi si è pensato che Chiesa e Stato dovessero essere separati nettamente, che i giornalisti non dovessero interessarsi della gestione economica. Non è più così: capire è fondamentale anche per difendere la fiducia che i lettori ripongono nei reporter ». La domanda sul futuro dei giornali arriva poco prima della fine dell’ incontro. Nel 2025 il Washington Post avrà ancora una versione cartacea? «Credo che la carta non scomparirà – dice Bezos – ma diventerà un oggetto di lusso, anche se non in tempi così brevi. Sarà come comprare un cavallo: oggi nessuno compra un cavallo come mezzo di trasporto, ma perché è bello. E gli amici quando lo vedranno potranno dire “wow”». ” ELKANN “Solo una testata che è in attivo può permettersi di essere davvero libera” ” ” ELKANN “Per i giornalisti deve diventare fondamentale interessarsi alla gestione economica” ” ” BEZOS “Ho impostato il Washington Post come Amazon mettendo al centro l’ utente” ” ” BEZOS “La carta diventerà un oggetto di lusso. Sarà come comprare un cavallo come mezzo di trasporto” ” DIALOGO John Elkann ( a sinistra ) e Jeff Bezos.

Ora gli Stati generali dell’ editoria Sfidiamo Google sui dati

La Repubblica
CARLO DE BENEDETTI
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In questi anni è andata confermandosi la mia convinzione che una società democratica non possa fare a meno dell’ informazione professionale. L’ illusione di una totale disintermediazione, in politica come nel campo dell’ informazione, mostra il limite di ogni ideologia millenaristica: la sparizione dei vecchi mediatori crea lo spazio per nuovi ri-mediatori che sfuggono alla verifica collettiva. Nel nostro campo abbiamo visto questo fenomeno ampliarsi con travolgente forza. I nuovi, potentissimi ri-mediatori delle relazioni personali e informative dell’ umanità sono in breve diventati snodi ineludibili. Mi riferisco a Google, a Facebook, ad Apple e agli altri Over-The-Top: che, sia detto con chiarezza, io ammiro profondamente per quanto hanno immaginato e realizzato. Ma dei quali vedo potenzialità e rischi. Il New York Times ha sottolineato come gli investimenti di Google nell’ Intelligenza Artificiale, dalla quale dipenderà il futuro sociale ed economico globale, «non sono bilanciati da nessuno, a cominciare da quelli dei settori pubblici». È tra Mountain View e Cupertino, non a Washington o Pechino, che si progetta cosa saremo tra dieci o vent’ anni. Per quanto ci riguarda, noi editori ci siamo resi conto che non dà risultati andare alla guerra contro Google e soci, che pure usano i nostri contenuti senza retribuirci. Hanno mezzi e risorse per respingerci. Tant’ è che siamo passati da una situazione di scontro a una di confronto e, in alcuni casi, di intesa basata sul riconoscimento di principi come il diritto d’ autore. Il discorso deve essere assai più ampio, non può essere solo una questione da risolvere con negoziati tra parti peraltro con un’ enorme differenza di potere. La domanda che mi pongo è semplice: come devono trasformarsi il giornalismo e l’ editoria in un sistema culturale nel quale l’ atto di “pubblicare” è inteso come il semplice click sul tasto “invio”? La risposta può solo essere trovata nella creazione e nell’ offerta di prodotti informativi non fungibili, non replicabili. Tra le leggi che regolano l’ universo digitale c’ è quella del good enough: nell’ abbondanza di contenuti e servizi l’ utente spesso si accontenta di prodotti di qualità media. Basta guardare al fenomeno dei file musicali Mp3, di qualità inferiore ad altri formati ma “buoni quanto basta” in un autobus, in auto e in cento altre condizioni di ascolto. Questa legge vale anche per l’ informazione digitalizzata. E non parlo dell’ informazione erronea o fuorviante delle fake news. Parlo dell’ enorme quantità di informazioni prodotta per le più svariate ragioni che è “buona quanto basta”, con costo di accesso sostanzialmente pari a zero. Non c’ è modello di business che possa funzionare se il prodotto concorrente ha prezzo pari a zero. È evidente perciò che non possiamo pensare di restare sul mercato producendo anche noi informazioni “buone quanto basta”. Dobbiamo concentrarci sulla informazione “che fa la differenza”, l’ informazione che solo una struttura di eccezionale professionalità può fornire con continuità e peso istituzionale. Un’ informazione ad alto, altissimo contenuto di qualità e di lavoro. Ripartire dalla qualità, ma anche dai dati. L’ Economist ha pubblicato uno speciale che metteva in luce come nel mondo digitale i dati siano il vero nuovo mercato rilevante. Non potrei essere più d’ accordo. Noi abbiamo già a disposizione i dati che si producono sulle nostre piattaforme dalla interazione degli utenti con i contenuti che pubblichiamo. Ma sono prodotti da nostri contenuti anche i dati che si generano su piattaforme di terzi, come Facebook. Mi piacerebbe che questo fosse riconosciuto. In ogni caso i dati sono il centro delle attività e degli interessi dell’ economia digitale – lo sono tanto che il 30 maggio l’ Autorità Antitrust, l’ Autorità per le Garanzie e nelle Comunicazioni e l’ Autorità Garante per la protezione dei dati personali hanno avviato un’ indagine conoscitiva congiunta per individuare i problemi connessi all’ uso dei Big Data. Noi parteciperemo attivamente a questa iniziativa. Cominciamo dall’ Italia convocando gli Stati generali dell’ Editoria d’ Informazione, ai quali invitare i portatori di interesse come i rappresentanti delle categorie della filiera (editori, giornalisti, poligrafici, ecc.), aprendosi ai contributi di altri, OTT (Over-The-Top) compresi. L’ Italia dovrebbe essere solo l’ inizio: mi piacerebbe che questa si trasformasse in una iniziativa che coinvolga l’ intera Europa. Non vogliamo aiuti di Stato né sovvenzioni, vogliamo cercare il modo per rimanere remunerativi perché se muore l’ editoria d’ informazione, non muore solo un settore industriale obsoleto: muore una funzione essenziale dei sistemi democratici. ” IL PROGETTO Dall’ Italia all’ Europa confronto con tutti gli operatori del settore ” FOTO: ©A. CONTALDO.

Ai tempi di Facebook il buon giornalismo non può essere gratis

La Repubblica
RICCARDO STAGLIANÒ
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TORINO DALLA solidità delle bobine tipografiche all’ impalpabilità dei tweet che commentano l’ evento. L’ alfa e l’ omega del giornalismo, così come l’ abbiamo conosciuto sino a oggi. Ma nella storica tipografia della Stampa, in occasione della conclusione dei festeggiamenti per il suo centocinquantesimo anniversario, ci si interroga su quello che succederà domani. The future of newspapers è il titolo della conferenza internazionale cui partecipa il meglio dell’ editoria mondiale. ALLE PAGINE 32 E 33 Il convegno a Torino.

«La carta stampata vivrà» Big dell’ editoria a confronto

L’Eco di Bergamo

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La carta stampata non morirà, ma il giornale del futuro, incalzato da internet e dai social network, sarà molto diverso: avrà un formato più piccolo e accattivante, una grafica nuova, avrà più rilievo durante i week end e sarà iperlocale. Le ricette sono tante, ma i big dell’ editoria mondiale – direttori, amministratori delegati ed editori, convocati a Torino da John Elkann, a conclusione dei festeggiamenti per i 150 anni della Stampa – concordano: nessun funerale da celebrare. La stessa convinzione del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che invita a «evitare le interpretazioni catastrofiche» sul futuro del settore. E, ricordando l’ importanza di non sprecare la verità perché «è la cosa più di valore che abbiamo», sottolinea l’ importanza del «fattore umano». Forse, come dice Jeff Bezos, fondatore di Amazon ed editore di The Washington Post, «un giorno il giornale diventerà un prodotto di lusso un po’ esotico, come possedere un cavallo, qualcosa che non hanno tutti». La qualità sarà sicuramente un punto di forza e, per ripartire da qui, Carlo De Benedetti, presidente di Gedi, propone la convocazione degli «Stati Generali dell’ editoria aperti a ogni categoria del settore, editori, giornalisti e poligrafici. Un’ iniziativa che dall’ Italia potrebbe coinvolgere tutta l’ Europa». All’ incontro nella storica tipografica della Stampa anche l’ amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne. «Il giornalismo deve trovare un numero crescente di lettori fedeli e paganti. Se si otterrà questo il futuro sarà roseo», sottolinea Elkann che annuncia per la prossima settimana il closing per il gruppo Gedi, nato dalla fusione tra Itedi e l’ Espresso. Secondo Elkann, nei prossimi 12-18 mesi si aprirà una finestra di opportunità per trovare un nuovo rapporto con i big tecnologici come Google e Facebook «per individuare un metodo di pagamento che funzioni». L’ editoria oggi «lotta per sopravvivere», ma dal cambiamento «può emergere più forte e ricca che mai. Non dobbiamo avere paura di reinventarci anche con idee rivoluzionarie», sottolinea il direttore della Stampa, Maurizio Molinari. Per Lionel Barber, numero uno del Financial Times, «i robot non soppianteranno i giornalisti, ma i giornalisti dovranno imparare a utilizzare meglio le tecnologie».

«La carta stampata non morirà, si trasformerà»

Gazzetta del Sud
AMALIA ANGOTTI
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Amalia Angotti TORINO La carta stampata non morirà, ma il giornale del futuro, incalzato da internet e dai social network, sarà molto diverso: avrà un formato più piccolo e accattivante, una grafica nuova, avrà più rilievo durante i week end e sarà iperlocale. Le ricette sono tante, ma i big dell’ editoria mondiale – direttori, amministratori delegati ed editori, convocati a Torino da John Elkann, a conclusione dei festeggiamenti per i 150 anni della Stampa – concordano: nessun funerale da celebrare. La stessa convinzione del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, che invita ad «evitare le interpretazioni catastrofiche» sul futuro del settore. E, ricordando l’ importanza di non sprecare la verità perché «è la cosa più di valore che abbiamo», sottolinea l’ importanza del «fattore umano». Forse, come dice Jeff Bezos, fondatore di Amazon ed editore di The Washington Post, «un giorno il giornale diventerà un prodotto di lusso un po’ esotico, come possedere un cavallo, qualcosa che non hanno tutti». La qualità sarà sicuramente un punto di forza e, per ripartire da qui, Carlo De Benedetti, presidente di Gedi, propone la convocazione degli «Stati Generali dell’ editoria aperti a ogni categoria del settore, editori, giornalisti e poligrafici. Un’ iniziativa che dall’ Italia potrebbe coinvolgere tutta l’ Europa». All’ incontro anche l’ amministratore delegato di Fca, Sergio Marchionne, e tra gli altri il direttore di Repubblica Mario Calabresi, dell’ Ansa Luigi Contu, dell’ Huffington Post Italia Lucia Annunziata. «Il giornalismo deve trovare un numero crescente di lettori fedeli e paganti. Se si otterrà questo il futuro sarà roseo», sottolinea Elkann che annuncia per la prossima settimana il closing per il gruppo Gedi, nato dalla fusione tra Itedi e l’ Espresso. Secondo Elkann, nei prossimi 12-18 mesi si aprirà una finestra di opportunità per trovare un nuovo rapporto con i big tecnologici come Google e Facebook «per individuare un metodo di pagamento che funzioni». L’ editoria oggi «lotta per sopravvivere», ma dal cambiamento «può emergere più forte e ricca che mai. Non dobbiamo avere paura di reinventarci anche con idee rivoluzionarie», sottolinea il direttore della Stampa, Maurizio Molinari. Per Lionel Barber, numero uno del Financial Times, «i robot non soppianteranno i giornalisti, ma i giornalisti dovranno imparare a utilizzare meglio le tecnologie». Fondamentale è investire nei brand perché conta molto «la voce del giornale, quindi il ruolo dei commentatori» e la credibilità («ai miei giornalisti dico che servono sempre due fonti indipendenti anche se chiama la Casa Bianca», dice). Si parla di social network: per il direttore del giornale indiano Hindustan Times, Bobby Ghosh, sono «un male necessario», mentre Barber osserva «Facebook ha detto che hanno assunto centinaia di fact checker che verifichino le notizie, una volta li chiamavamo giornalisti». E c’ è la sfida che nasce dalle fake news. «Le notizie false son la cosa migliore che potesse capitarci: si cerca di tornare a fonti più affidabili, si comincia a selezionare di più e per chi diffonde notizie verificate». «La cura per le notizie false sono le notizie vere», afferma Lydia Polgreen, direttrice del The Huffington Post, mentre per il direttore del brasiliano O Globo, Ascanio Seleme, «il buon giornalismo richiede investimenti, giornalisti di qualità e talentuosi».

Coni grandi gruppi editoriali si può scommettere sul futuro

Il Secolo XIX
BENIAMINO PAGLIARO
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TORINO. Fare un giornale appartiene al tempo stesso a due categorie della vita: è un mestiere ma è anche una passione. Un esercizio rigoroso in costante ricerca di equilibrio tra realtà e progetto, tra cronaca e ambizione, per la comunità, la città, il Paese o il mondo. Fare l’ editore di un quotidiano, sembra un paradosso, richiede la cultura del lungo periodo, e la capacità di anticipare i tempi, soprattutto in un mondo veloce che ha reso tutti (e nessuno) proprietari del sacro potere della stampa. Le storie di John Elkann e Jeff Bezos sono diverse, ma entrambi gli editori parlano di «responsabilità» quale motivazione principe, quando Massimo Russo li interroga sul senso della sfida. Nel 2017 disordinato nemmeno i fatti sono più quelli di una volta. La tecnologia provoca cambiamenti vertiginosi: Internet riduce la geografia e avvicina i nodi, l’ informazione è un fiume in cui siamo immersi, sollecitati dalle notifiche sui nostri telefoni. Così i proprietari dei fatti non sono più gli editori. Forse non lo sono mai stati, si può obiettare, ma fino a ieri chi stampava aveva la tecnologia in grado di trasformare un fatto in notizia. C’ era una volta e non c’ è più. La cavalcata dei gruppi tecnologici ha conquistato l’ attenzione degli utenti, e con questa l’ 85% del mercato pubblicitario digitale. La concorrenza non è solo in edicola ma nel tempo, sempre scarso, delle nostre giornate, mentre l’ informazione è sempre più abbondante perché il costo di trasmissione si avvicina allo zero. Il sentiero per investire sul giornalismo appare stretto ma Elkann e Bezos non sono in quest’ industria per filantro pia, bensì perché credono l’ editoria possa essere sostenibile. «La Stampa è sempre stato un giornale libero perché è stato sostenibile economicamente -dice Elkann-,e ne siamo fieri. È l’ unico modo per essere indipendenti». «Il Washington Post non è un’ opera filantropica- aggiunge Bezos-, un giornale sano deve essere sostenibile ed è un obiettivo raggiungibile. La cosa peggiore che avrei potuto fare per il giornale è dire: “Non preoccupatevi dei ricavi”». Il mercato impone una riflessione: la diffusione dei giornali cala, in Italia si è dimezzata negli ultimi vent’ anni. Gli ospiti arrivati a Torino per disegnare «The Future of Newspapers» sono però, e non è un caso, punte di eccellenza. Lo storico settimanale The Economist, di cui Exor è il primo azionista, attua un ambizioso piano per raddoppiare gli abbonati. Il Financial Times cresce da anni in doppia cifra. Il New York Times ha superato quota un milione e seicentomila negli abbonamenti digitali. Il Washington Post di Bezos ha sorpassato i concorrenti per il traffico, riportando i conti in attivo nel 2016. Non sono solo storie di speranza: c’ è fatica, coraggio, lavoro ein vestimenti. Le parole chiave sono due: scalabilità, ovvero la capacità di ampliare il bacino di utenti, perfino superando i confini linguistici, e tecnologia, il motore fondamentale per conoscere i let tori e raggiungere la scalabilità. L’ idea di dare vita a un nuovo gruppo editoriale, leader nel mercato italiano e tra i primi in Europa, come sarà Gedi, nasce per rispondere a questa doppia sfida. La parola da tenere a mente è consolidamento. «Il Gruppo avrà diverse testate, ma beneficerà dalle economie di scala», afferma Elkann. Solo così, aggiunge, sarà possibile avere la massa critica per affrontare nuovi investimenti e generare nuove linee di ricavi nel futuro, convincendo gli utenti a pagare per l’ informazione. Il contesto non è semplice, ma Elkann rivendica però «un certo ottimismo della ragione per l’ informazione affidabile e di qualità». Bezos condivide la sfida. Non è difficile immaginare che il fondatore di Amazon sia già impegnato nella crescita del colosso dell’ ecommerce. Ma da quando ha comprato il Washington Post, tiene una conference call sulla strategia del giornale (non sui contenuti) ogni due settimane. Dal 2013 sono arrivati investimenti, nuovi giornalisti, un nuovo Chief Technology Officer. I giornali diventeranno aziende tecnologiche? La risposta è che lo dovrebbero essere già. Il successo di Bezos parte direttamente dallo studio ossessivo del cliente: «Un giornale e un ecommerce sono diversi – spiega il fondatore di Amazon – ma l’ approccio è lo stesso, e deve avere al centro il lettore cliente. La pubblicità da sola non funziona: i dati ci dicono che gli abbonamenti crescono grazie alle inchieste della nostra redazione». Ora questo metodo può aiutare anche il giornalismo? Molto dipenderà dalla capacità di conoscere, comprendere, dialogare e trattare con i proprietari della valuta contemporanea: l’ attenzione. Google risponde alle nostre ricerche, Facebook intercetta le nostre preferenze e filtra il mondo in un NewsFeed. Elkann ha già la fama di maestro della trattativa ed è uno stimato dealmaker in settori pesanti come l’ industria dell’ auto, dove ha portato Fca al rilancio e a lavorare sull’ auto driverless con Google. Da Torino l’ editore de La Stampa sposta su un altro livello la conversazione, necessaria, con le over the top: le piattaforme, spiega, dovrebbero aiutare gli editori a facilitare la conversione degli utenti da casuali ad abbonati, a combattere la pirateria e condividere i dati sul consumo di informazione. Il cantiere è aperto. L’ obiettivo è eliminare la frizione, riorganizzare la complessità del mondo frammentato. Nella redazione di un quotidiano la sfida di ogni sera si sublima nel tentativo di racchiudere in una prima pagina il flusso di una giornata. Nell’ editoria ci vuole la sapienza di un disegno industriale per garantire la sostenibilità del modello. Ma quando l’ ostacolo della piattaforma sarà rimosso, quando la transizione da un’ epoca all’ altra sarà completata e studiata nei libri di scuola, in redazione il focus si sposterà di nuovo sui contenuti. Potremo tornare a occuparci dei fatti, pronti al giudizio più prezioso. Quello dei nostri lettori. CREATIVITÀ. Il giornale cartaceo in futuro cambierà: secondo i direttori delle più prestigiose testate del mondo, riuniti a Torino, dovrà essere facile da leggere, originale e con un ottimo design MATTEO MONTALDO.

I big dell’ editoria mondiale a Torino per chiudere i festeggiamenti dei 150 anni della ‘Stampa’. La tecnologia non sostituirà i giornalisti, ma serve investire più che tagliare. Google e Facebook devono assumersi la responsabilità di ciò che …

Prima Comunicazione

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I big dell’ editoria mondiale sono a Torino per discutere sul futuro dei giornali. A fare gli onori di casa è John Elkann che ha invitato direttori, editori ma anche amministratori delegati di gruppi editoriali al grande evento che chiude i festeggiamenti per i 150 anni della Stampa. In tutto 400 le persone riunite in un luogo simbolo per il quotidiano, la sala delle Bobine di via Giordano Bruno dove si trova la tipografia della ‘Stampa’. Social, fakenews, futuro della carta stampata, ma anche rapporti con gli advertiser al centro del primo panel #futureofnewspapers pic.twitter.com/Hno9S47zHE – Primaonline.it (@Primaonline) June 21, 2017 In platea, tra gli altri, Luigi Contu, direttore dell’ Ansa, Lucia Annunziata, direttore ‘Huffington Post’ Italia, Francesca Guerrera del ‘Wall Street Journal’. L’ evento si conclude a Palazzo Reale con una cena di gala nel salone degli Svizzeri, alla quale partecipa il premier Paolo Gentiloni. All’ incontro ‘The future of the newspapers’ partecipano direttori di quotidiani anche cartacei – come Mario Calabresi (‘la Repubblica’) e Maurizio Molinari (‘La Stampa’) – e di giornali online come Lydia Polgreen (‘Huffington Post’), in arrivo dall’ Europa ma anche da America e Asia. Ci saranno Tsuneo Kita, presidente del gruppo editoriale giapponese Nikkei che ha rilevato il ‘Financial Times’, Ascanio Seleme, editore del quotidiano brasiliano ‘O’ Globo’ e Bobby Ghosh, editore del giornale indiano ‘Hindustan Times’. Momento clou il confronto finale tra Elkann e Jeff Bezos, fondatore e ceo di Amazon ma anche editore del Washington Post. Conclude i lavori Carlo De Benedetti, presidente di Gedi. Da sinistra: Mark Thompson, Robert Allbritton, Louis Dreyfus e Gary Liu “La tecnologia non sostituirà i giornalisti, ma i giornalisti devono imparare a usarla meglio”, ha detto Bobby Ghosh, editore del ‘Hindustan Times’. E per il futuro, secondo il ceo del ‘New York Times’, Mark Thompson, “bisogna investire più che tagliare, per produrre contenuti di qualità attirando lettori e abbonati”. I “Contenti esclusivi”, ha ricordato Louis Dreyfus, ceo di ‘Le Monde’, “servono ad attirare lettori e abbonati. Ora dobbiamo capire come fidelizzarli, facendoli sentire parte di una comunità”. Di più. Secondo il fondatore di Politico, Robert Allbritton, “in futuro dovremo cercare di prevedere i bisogni dei nostri lettori, ancora prima che loro li esprimano”. E quanto ai big della rete, secondo Lionel Barber, editor del ‘Financial Times’, “Facebook e Google devono assumersi la responsabilità di quel che passa sulle loro piattaforme”. L’ incontro ‘The future of the newspapers’ prosegue affrontando il rapporto tra abbonamenti e ricavi adv, il ruolo dei video e le aspettative per il futuro. Ma si parla anche di social e fake news. Sul profilo Twitter @primaonline il live twitting dell’ evento. Hashtag #futureofnewspapers.

COMUNICATO DELL’ EDITORE

Il Sole 24 Ore

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Nel corso delle riunioni del 15 e 16 giugno u.s., l’ Azienda ha illustrato alle Organizzazioni Sindacali, la propria disponibilità ad un percorso negoziato per la gestione della riorganizzazione in presenza di crisi per il personale non giornalistico. Dopo ampio confronto, le parti, pur dando atto degli avanzamenti registrati al tavolo, non sono riuscite a trovare una soluzione complessiva condivisa su alcuni punti del piano. L’ Azienda, preso atto di tale impossibilità e della inderogabilità dei tempi per l’ avvio del piano al fine di conseguire il risanamento aziendale, ha avviato le procedure amministrative per il riconoscimento delle misure di integrazione al reddito, auspicando comunque che nella fase amministrativa della procedura si possa arrivare ad un accordo.

La Regione approva il progetto di legge sull’ editoria locale

Corriere di Romagna

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RIMINI La Regione ha approvato il progetto di legge sull’ editoria locale. «Il principale obiettivo è fornire risposte alle diverse segnalazioni di disagi che fin dalla scorsa legislatura sono emersi dal settore dell’ editoria locale – spiega Giorgio Pruccoli, primo firmatario -. La contrazione dei finanziamenti nazionali e la riduzione degli introiti derivanti dalla raccolta pubblicitaria hanno infatti creato una situazione di difficoltà nel comparto e la messa in pericolo dell’ attività informativa. Questa proposta di legge si basa sul principio che l’ informazione è un presidio di democrazia e partecipazione attiva dei cittadini». A partire da questa considerazione, spiega il consigliere regionale del Pd, il testo si propone quindi di «sostenere lo sviluppo e la crescita del sistema dell’ informazione in ambito locale, favorendo e consolidando il pluralismo dei centri di informazione». Sono, pertanto, previsti interventi che tendono a favorire l’ innovazione organizzativa e tecnologica, salvaguardando al contempo i livelli occupazionali; contrastare la precarizzazione del lavoro giornalistico, tutelandone la qualità e la professionalità; incentivare l’ avvio di imprese di giovani giornalisti. Il testo definisce gli ambiti delle imprese potenzialmente beneficiarie degli interventi della Regione. Fra i requisiti che le imprese dovranno necessariamente dimostrare per accedere a contributi e altri incentivi è previsto che il personale che svolge attività giornalistica sia iscritto all’ Albo dei giornalisti e abbia un rapporto di lavoro «disciplinato secondo la contrattazione collettiva del comparto o retribuito mediante equo compenso e in regime di correttezza retributiva e contributiva». Inoltre, dovrà esserci una significativa quota di informazione locale autoprodotta. Sono esclusi gli editori di televendite, quelli che trasmettono o promuovono programmi vietati ai minori, nonché le imprese riconducibiliapartitie movimentipolitici, organizzazioni sindacali, professionali e di categoria.

Emilia Romagna, approvata legge per finanziamenti all’editoria locale

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La misura, proposta su iniziativa del consigliere Pd Giorgio Pruccoli, è “frutto di un lungo percorso di approfondimento con il mondo dell’editoria e del giornalismo – scrive il primo firmatario – portato avanti grazie a un gruppo tecnico appositamente”. Il testo della legge affronta la questione del finanziamento a tv, radio, agenzie stampa e giornali, tradizionali e digitali, che operano in Emilia-Romagna. Sarà possibile accedere ai contributi, alle testate in possesso di alcuni requisiti generali: l’utilizzo, per l’attività giornalistica, solo di personale iscritto all’albo, con rapporto di lavoro disciplinato secondo la contrattazione collettiva del comparto o in alternativa adeguatamente retribuito. A questi dovranno aggiungersi altri requisiti, diversi a seconda dell’area territoriale di riferimento delle testate. Da questo sistema di finanziamento pubblico e di incentivi all’editoria locale, sono escluse le emittenti di televendita, quelle che trasmettano programmi vietati ai minori, le imprese riconducibili a partiti e movimenti politici, organizzazioni sindacali, professionali e di categoria, le imprese sanzionate dall’Agcom per violazioni compiute in materia di tutela dei minori, oltre alle imprese i cui titolari o editori abbiano riportato condanna per reati contro la pubblica amministrazione e contro il patrimonio.

 

 

Rassegna Stampa del 23/06/2017

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Indice Articoli

De Benedetti lascia al figlio (ma vince John Elkann)

Parte «Stampa»-«Repubblica» e De Benedetti lascia il gruppo

De Benedetti lascia l’ Espresso

Gedi va verso nuova presidenza

Pubblicità, arrivano gli sgravi

Repubblica.it, Tgcom24, SkyTg24 sul podio delle news

ClassHorseTv sbarca all’ estero

Rds promuove e racconta la 2ª edizione della Class Digital Experience Week

Entrano in vigore i benefici fiscali per la pubblicità

Da Amazon a Netflix , la grande lotta delle serie tv

Chessidice in viale dell’ Editoria

Le notizie passano sempre più da WhatsApp, dei social ci si fida poco mentre i media tradizionali sono ritenuti più affidabili. Lo dice il Digital News Report 2017 di Reuters Insitute che pubblica la classifica italiana dei top brand di …

De Benedetti lascia al figlio (ma vince John Elkann)

Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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Enfin, a succedere a Carlo De Benedetti alla presidenza di Gedi – la società nata dalla fusione di Repubblica-Espresso e Stampa-Secolo XIX – sarà il figlio Marco: la decisione ha trovato d’ accordo anche i fratelli Edoardo e Rodolfo. Ieri in Borsa il titolo della società non ha praticamente avuto oscillazioni: circostanza singolare, vista l’ entità di una notizia non smentita. Il mercato, secondo gli osservatori, aveva già digerito un cambio negli assetti di potere del gruppo. La società sarà guidata da Monica Mondardini, amministratore delegato di Cir e il cambio al vertice sarà ufficializzato oggi, durante il consiglio di amministrazione, dopo settimane in cui le voci di un addio dell’ Ingegnere si sono fatte sempre più insistenti: come abbiamo raccontato ieri, si era ipotizzato l’ arrivo di Ezio Mauro, per vent’ anni direttore di Repubblica, apprezzato dalla famiglia e dalla redazione, per la quale continua a essere un punto di riferimento anche dopo l’ arrivo di Mario Calabresi. Per garantire continuità al processo di fusione però doveva esserci un De Benedetti. Dunque, tutto resta in famiglia. Ma, appunto, quale famiglia? La domanda è meno maliziosa di quanto a prima vista non appaia, visto che a breve si perfezionerà il matrimonio tra i due gruppi: allora si scopriranno le carte e si capirà quali sono i rapporti reali. Quando la fusione fu annunciata, la mappa dell’ azionariato vedeva la Cir al 43%, Exor al 5% circa, la famiglia Perrone (Il Secolo XIX ) al 5% (altri azionisti Fca all’ 11% circa e il restante 36% costituito da flottante). I numeri continueranno a essere questi? Oppure la famiglia Agnelli, in tempi anche piuttosto rapidi, conterà di più, come molti sospettano? Vero che le azioni si pesano, dunque può darsi che gli Agnelli avranno più d’ una voce in capitolo anche con una partecipazione residuale. Però, però: non è un segreto che in questi mesi le preoccupazioni di Carlo De Benedetti per la sua Repubblica siano aumentate. Il giornale soffre un calo di copie che va oltre il fisiologico, anche a causa di un panorama politico in cui è difficile orientarsi e far da bussola ai lettori. Prima di Repubblica, è la sinistra a essere in crisi esistenziale, tra la difficoltà di governare, scelte sbagliate (vedi il referendum), fratture. La linea politica, che era tracciata con decisione da Mauro, oggi è molto più sbiadita: forse per questo – oltre che per la stabilità dei conti – si è parlato di un avvicendamento alla guida del quotidiano di largo Fochetti. Molti nomi sono girati: da Massimo Giannini, editorialista di punta del giornale, a Carlo Verdelli, ex direttore editoriale delle news Rai, fino (addirittura) a Maurizio Molinari, direttore della Stampa succeduto proprio a Calabresi. Che però era ed è l’ architrave del matrimonio tra le due famiglie: John Elkann lo stima molto, senza di lui l’ operazione potrebbe saltare. Il suo nome non è in discussione e il recente acquisto di Sergio Rizzo, firma storica del Corriere della Sera che diventerà vicedirettore di Repubblica, confermerebbe il rafforzamento della direzione di Mario Calabresi. Un ciclo si chiude e l’ addio dell’ Ingegnere simbolicamente significa parecchio: è lui in persona ad aver incarnato per decenni la figura dell’ editore, appassionato di politica e d’ informazione, è sempre stato lui a gestire le faccende di Repubblica. Ora – da ultimo mercoledì durante la chiusura dei festeggiamenti per i 150 anni della Stampa – si afferma con insistenza che il futuro dell’ editoria (dei libri come dei giornali) passa per le fusioni. “Nel rispetto delle singole individualità”, è la frase che ricorre sempre, come a esorcizzare lo spauracchio dell’ omologazione. Dove contano i numeri e i pareggi nei bilanci: ma questo è un mestiere dove conta moltissimo anche la qualità delle persone, la capacità di intercettare i cambiamenti, mettersi in connessione sentimentale con i lettori. Vedremo se la nuova, Terza, Repubblica saprà farlo.

Parte «Stampa»-«Repubblica» e De Benedetti lascia il gruppo

Il Giornale
LEOPOLDO GASBARRO
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Carlo De Benedetti lascia la presidenza del gruppo Espresso. A sedersi al suo posto – al vertice del gruppo appena ribattezzato Gedi che, entro la prossima settimana, porterà a termine l’ integrazione con la Itedi degli Agnelli (La Stampa e il Secolo XIX) – sarà il secondogenito Marco. Con questa mossa si chiude il cerchio aperto in una serata del gennaio 2009, quando l’ Ingegnere annunciò il suo passo indietro da ogni carica operativa nel gruppo di famiglia, guidato dalle holding Cofide e Cir, con l’ unica eccezione della presidenza del gruppo Espresso-Repubblica. A monte, nel frattempo, anche la titolarità della quota di controllo del capitale Cir era passata di mano, dal padre ai tre figli (Rodolfo, Marco ed Edoardo). Ora l’ Ingegnere, che non ha fatto alcun annuncio ma che non ha potuto smentire l’ indiscrezione di Prima Comunicazione, lascia anche l’ ultima casella che aveva continuato a occupare, sia per passione, sia per interessi politici, economici e finanziari. La decisione ufficiale potrebbe arrivare già oggi in un consiglio d’ amministrazione. È vero che l’ età, 83 anni a novembre, ha avuto il suo peso nella decisione. Ma il passo indietro a pochi giorni dal closing della fusione tra Espresso-Repubblica e Stampa-Secolo (previsto per il 30 giugno) segnala proprio la fine di un’ epoca. E apre a nuovi scenari nei quali il baricentro del gruppo Gedi potrebbe, seppur lentamente, spostarsi verso gli Agnelli. Gedi nasce sotto il pieno controllo della Cir: oltre il 43%, mentre a Exor fa capo una quota che è meno di un decimo, il 4,2%. Ma John Elkann ha già dichiarato di voler presto diventare il secondo azionista, superando dunque gli altri due grandi soci, Jacaranda Falck e Carlo Perrone, entrambi intorno al 5% (il resto è sul mercato). Elkann è anche appena stato cooptato nel cda di Gedi, nel quale intenderà far valere tutto il suo peso. E, se da Torino dicono che grandi cambiamenti «non sono nei piani», il forte interesse di Yaki per l’ editoria, anche all’ estero (ha rilevato il controllo dell’ Economist), è arcinoto. E non è un caso che la notizia del passo indietro dell’ Ingegnere sia uscita proprio a Torino, l’ altra sera, in occasione dei 150 anni della Stampa, con Elkann a fare gli onori di casa nel parlare dell’ informazione del futuro con Jeff Bezos. C’ è poi un aspetto più politico ed editoriale nella vicenda De Benedetti, legato a Repubblica e al suo attuale momento difficile. Non solo per l’ andamento calante delle vendite cartacee, che riguarda purtroppo tutti i quotidiani, ma sopratutto rispetto a una linea editoriale che rispecchia in tutto e per tutto le angosce della sinistra italiana. E in gioco ci sarebbe anche il direttore, Mario Calabresi, il cui giovane regno (dopo i 20 anni di Eugenio Scalfari e gli altrettanti di Ezio Mauro) stenta a consolidarsi; sia all’ interno della redazione, dove non è difficile registrare maldipancia di ogni tipo, sia presso lo stesso De Benedetti, che non sarebbe per nulla soddisfatto della «terza Repubblica». Comunque, almeno per ora, al vertice del gruppo resterà uno di famiglia: il figlio Marco sarà designato come prevede la governance di Gedi, che attribuisce a Cir la nomina dl presidente e ad (Monica Mondardini). La scelta è quindi indicativa della volontà della famiglia di restare al timone. E Marco era il nome giusto: Rodolfo, essendo al vertice dell’ azionista Cir, non era un’ opzione opportuna. Mentre Edoardo (medico) non si è mai occupato dei business di famiglia.

De Benedetti lascia l’ Espresso

Il Sole 24 Ore
S.Fi.
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L’ ultimo tassello che mancava in casa De Benedetti è arrivato ieri. Si compie definitivamente il passaggio generazionale per la famiglia torinese. A 83 anni Carlo De Benedetti lascia l’ ultimo incarico, che deteneva da 11 anni: la guida del gruppo editoriale l’ Espresso, ora diventato Gedi dopo la fusione con La Stampa di John Elkann e Carlo Perrone. Il nuovo presidente sarà con ogni probabilità il figlio Marco De Benedetti, il cui nome sarà proposto in un Cda straordinario dal fratello maggiore Rodolfo che presiede la controllante Cir ed è azionista di riferimento del gruppo Gedi. La notizia, riferita dall’ Agenzia Ansa, è arrivata mentre l’«Ingegnere» tirava le conclusioni del convegno «The future of the newspapers» che ha riunito a Torino i maggiori editori mondiali: ospite d’ onore il visionario Jeff Bezos, inventore di Amazon e proprietario del Washington Post. Nel 2009 De Benedetti aveva fatto il primo passo, con l’ addio alle cariche operative nel gruppo in favore dei figli. Per sè Carlo aveva conservato il ruolo di presidente dell’ Espresso a cui è legato da un valore affettivo. Nel 2012, poi, la trasformazione della holding di famiglia, la Carlo De Benedetti Sapa: il passaggio di proprietà ai tre figli Rodolfo Marco ed Edoardo. L’ operazione si era perfezionata nel 2014 con due passaggi: il cambio di ragione sociale in «Fratelli De Benedetti Sapa» e infine il cambio da Sapa in Spa. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Gedi va verso nuova presidenza

Italia Oggi
CARLO DE BENEDETTI
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Carlo De Benedetti si prepara a lasciare la presidenza del gruppo editoriale L’ Espresso, che ha già cambiato nome in Gedi in vista della fusione con l’ editrice Itedi di Stampa e Secolo XIX. Al suo posto è in arrivo Marco De Benedetti, figlio dell’ Ingegnere, mentre l’ altro figlio Rodolfo De Benedetti è già presidente di Cir, controllante del gruppo che manda in stampa Repubblica oltre ai quotidiani locali e al settimanale l’ Espresso (il terzo e ultimo figlio Edoardo De Benedetti è consigliere del gruppo, oltre a esercitare la professione medica). Se la finalizzazione della fusione è attesa entro settimana prossima, invece già oggi il cda di Gedi (Gruppo editoriale) affronterà la questione della successione. Tanto più che l’ attuale board è in scadenza per il prossimo aprile. Infine, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, non c’ è al momento nessuna ipotesi che nel consiglio di amministrazione entri l’ ex direttore di Repubblica Ezio Mauro. Carlo De Benedetti (83 anni a novembre) ha partecipato, mercoledì scorso, al convegno torinese The future of newspapers (vedere ItaliaOggi del 22/6/2017), in cui ha chiamato il settore a riunirsi a Torino per nuovi «stati generali dell’ editoria, aperti a tutte le categorie della stampa, a livello italiano ed europeo, e inclusi i big della rete» come Google e Facebook con cui dialogare, in particolare, sul tema dei big data. «Il settore non chiede né assistenza né sussidi ma vuole continuare a essere redditizio», ha aggiunto De Benedetti senior. Ma se subirà un tracollo «sparirà una funzione fondamentale della democrazia».

Pubblicità, arrivano gli sgravi

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Entrerà in vigore domani il nuovo sistema di benefici fiscali per chi aumenta i suoi investimenti pubblicitari su quotidiani, periodici, tv e radio locali. Oggi, infatti, è programmata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge 50/2017 convertito nella legge n. 96 (sul supplemento ordinario n. 31 della G.U., n.144). Legge che in particolare prevede sgravi fiscali al 75% per chi aumenta quest’ anno di almeno l’ 1% i suoi investimenti in pubblicità. Incentivi che salgono, poi, al 90% nel caso di pmi, micro-imprese e start-up inserzioniste. L’ iniziativa nasce dalla proposta di Fieg (Federazione italiana editori giornali, presieduta da Maurizio Costa) e Upa (Utenti pubblicità associati, presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi), con l’ obiettivo di rilanciare il mercato editoriale e al contempo sostenere la domanda di pubblicità. Sul tavolo, tra l’ altro, c’ è anche un’ altra proposta che punta a offrire sgravi fiscali per chi compra giornali, a partire dai singoli privati che sottoscrivano per esempio abbonamenti alle testate preferite. La manovra in arrivo, secondo stime di settore, porterà ad aumentare (di quanto lo dimostrerà il mercato) una quota tra il 60% e l’ 80% degli investimenti complessivi su stampa (pari a oltre 1 miliardo di euro a fine 2016). Quindi, le previsioni puntano a una forchetta di 600-800 milioni d’ investimenti interessati da un rialzo. Ma, intanto, ecco come funziona operativamente il nuovo sistema di sgravi sugli investimenti incrementali in pubblicità, al via in questi giorni: – i beneficiari sono tutti coloro (aziende e lavoratori autonomi) che aumentano di almeno l’ 1% la loro spesa in campagne promozionali sulla stampa e l’ emittenza locale. – nel 2018 sarà attribuito il credito d’ imposta che, a livello di sistema, proseguirà poi negli anni successivi senza bisogno di essere prorogato o confermato. – così si calcola la spesa incrementale: l’ 1% in più di spesa si calcola rispetto a quanto investito nel 2016. Se andrà considerato solo la seconda parte di quest’ anno (a partire dall’ entrata in vigore della legge) o l’ intero 2017 da confrontare, rispettivamente, con la seconda parte dell’ anno scorso e l’ intero esercizio 2016, lo deciderà il decreto della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) che deve fissare criteri e modalità operative del nuovo sistema, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore. Quale che sia la scelta definitiva, il confronto sarà fatto comunque tra periodi omogenei. – il budget dell’ intera operazione verrà deciso dal dpcm che ha deciso di attingere dal Fondo per l’ editoria. Il decreto fisserà anche un limite massimo di prelievo dal Fondo. – a ogni investitore quanto andrà? Dipenderà non solo dai singoli casi di spesa ma anche dal sistema di ripartizione (da inserire sempre nel dpcm) tra i vari inserzionisti. Al momento due le ipotesi teoriche: ripartizione proporzionale in base alla disponibilità complessiva di risorse da assegnare, al numero e alle richieste quantitative degli inserzionisti oppure, in alternativa, ripartizione per prenotazione, secondo l’ ordine temporale di richiesta. Il quantum da suddividere dipenderà anche da un’ altra ripartizione, più a monte che va ancora decisa, quella tra stampa (quotidiani+periodici) ed emittenza locale (televisioni+radio). Come per molti altri sgravi fiscali, infine, si potrà fruire anche di questo credito d’ imposta solamente in compensazione, ossia non in contanti ma a scalare sul pagamento di altre imposte.

Repubblica.it, Tgcom24, SkyTg24 sul podio delle news

Italia Oggi

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È il sito di Repubblica il principale marchio d’ informazione italiano al quale si affida chi cerca notizie online, seguito da Tgcom24 e SkyTg24. In quarta posizione l’ Ansa, «raro esempio di agenzia di stampa che abbia raggiunto un significativo numero di utenti unici online». È quanto emerge dal Digital News Report 2017 del Reuters Institute, indagine condotta su un campione di 70 mila consumatori di news sul web in 36 paesi del mondo, compresa la Penisola. La classifica tricolore vede sul podio Repubblica.it, utilizzato ogni settimana dal 28% degli utenti, TgCom24 (27%) e Sky Tg24 (26%). Il sito dell’ Ansa si attesta invece al 21% ed è scelto, secondo il rapporto, per l’ accuratezza e l’ affidabilità delle notizie (46%), per la capacità di trattare temi complessi in modo semplice (23%), per la forza dei punti di vista (21%), per le notizie di alleggerimento (11%). Quinto il sito del Corriere della Sera con il 20%. Poi i siti di Rainews (16%), del Fatto quotidiano a pari merito con Yahoo! News (15%), poi Notizie Libero (14%), l’ Huffington Post, i siti dei quotidiani regionali e locali e il sito del Sole 24 Ore (tutti con una percentuale del 14%), il TgLa7 online (13%), MSN News (12%), La Stampa online (11%), i siti delle radio commerciali (9%). Lo studio di Reuters prende in considerazione anche il quadro aggregato di tv, radio e carta stampata. La Rai (Tg1, Tg2, Tg3, TgR) è in vetta con il 56%, seguita da Mediaset (Tg4, Tg5, Studio Aperto) con il 45%, Rainews24 (36%), SkyTg24 (35%), TgCom24 (30%), La Repubblica e la TgR (entrambe al 22%), Il Corriere della Sera a pari merito con i quotidiani regionali e locali (21%), Porta a porta (19%), Piazzapulita (16%), le radio commerciali e Quinta colonna (entrambi al 15%), Il Sole 24 Ore (14%), Il Fatto quotidiano (11%). Il rapporto sottolinea come in Italia il mercato televisivo sia fortemente concentrato, con il 90% dei ricavi in quota a tre operatori, Sky Italia (33%), Mediaset e Rai (con entrambi al 28%). La Penisola si conferma un paese in cui la carta stampata sta perdendo terreno: le copie diffuse sono passate dai 6 milioni al giorno del 2000 a poco più di 2,5 milioni nel 2016. Nonostante l’ adozione di soluzioni di paywall (come nel caso del Corriere della Sera), il numero di persone che dice di pagare per le notizie online è ancora piuttosto basso (12%).

ClassHorseTv sbarca all’ estero

Italia Oggi
MARCO LIVI
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ClassHorseTv sbarca all’ estero con un palinsesto più ricco e in lingua inglese. È stata presentata ufficialmente mercoledì scorso con una serata evento nella Residenza degli Orti, a Milano, l’ intesa tra il primo e unico canale televisivo di riferimento per il mondo equestre fondato da Luca Panerai nel 2010, e Giglio Group, prima società internazionale di e-commerce 4.0, fondata da Alessandro Giglio nel 2003 e quotata in borsa sul mercato Aim dal 7 agosto 2015. Il gruppo Giglio, oltre a essere leader nel settore del broadcast radiotelevisivo con una presenza in 46 paesi, 5 continenti e in 6 lingue attraverso i propri canali televisivi, Nautical Channel, Giglio Tv, Acqua e Playme visibili su tutti i dispositivi tv, digitali, web e mobile e su importanti compagnie aeree, ha sviluppato soluzioni digitali all’ avanguardia e rappresenta, nel fashion online, un marketplace digitale a livello globale, approvvigionando i trenta principali digital retailer del mondo. Nell’ ambito dell’ accordo è stata definita l’ acquisizione da parte di Giglio Group mediante sottoscrizione di un aumento di capitale, di una partecipazione pari al 3% della società Pegaso Srl, proprietaria del canale televisivo ClassHorseTv. Il palinsesto di programmi di ClassHorseTv, il primo canale italiano dedicato al mondo del cavallo e dell’ equitazione e punto di riferimento internazionale per il settore equestre, sarà quindi progressivamente in lingua inglese e diffuso e visibile a livello globale sui canali e sulle piattaforme in cui è presente Giglio Group. All’ interno della serata è stato presentato lo scenario dell’ evoluzione del mezzo tv. I temi trattati sono stati il fenomeno della frammentazione televisiva con la conseguente erosione di share da parte delle tv generaliste a favore delle televisioni verticali tematiche. Lo confermano i dati di crescita della piattaforma Sky, che ha impostato la propria strategia sui cosiddetti vertical channel (e che è dal 2010 la prima piattaforma di appartenenza di ClassHorseTv, Sky 221): ormai solo la passione e il senso di appartenenza a mondi e lifestyle guidano il telespettatore nella scelta, che è diretta a un contenuto unico, one to one, senza dispersione e capace di creare un link diretto anche per l’ Advertising. Oggi, inoltre, i «consigli per gli acquisti» devono tenere conto del fatto che si guarda la tv sempre con lo smartphone tra le mani. A tale proposito, considerata anche la bassissima caduta del break, si inserisce ClassHorseTv con un’ offerta mista (tabellare, format dedicati e tele-acquisto) grazie alla tecnologia 4.0, condivisa con il partner Giglio Group, che ne detiene il brevetto. Per ClassHorseTv l’ accordo determinerà una crescita esponenziale dell’ audience nazionale e internazionale, rafforzando la leadership del canale televisivo nel proprio settore di riferimento. «La partnership ha l’ obiettivo strategico di rafforzare la brand awareness e la presenza di ClassHorseTv su nuovi mercati a livello internazionale, arricchendo il palinsesto di contenuti relativi al lifestyle equestre e al mondo del lusso, oltre che potenziare la sezione e-commerce del nostro website, rendendo il canale sempre più trasversale», afferma Luca Panerai, fondatore e amministratore unico di ClassHorseTv. «Sono particolarmente felice dell’ accordo con ClassHorseTv e sono sicuro che si realizzeranno immediatamente le migliori sinergie, essendo il target del canale in perfetta sintonia con la promozione e vendita del luxury “Made in Italy” nel mondo», ha dichiarato Alessandro Giglio, presidente di Giglio Group. «Con ClassHorseTv aumentiamo il numero di canali del nostro network, arricchendo di ulteriori contenuti la piattaforma IBox, l’ e-commerce 4.0 di Giglio Group, per una nuova esperienza di acquisto online per l’ utente. Parallelamente, siamo convinti di contribuire in modo significativo alla crescita dell’ audience internazionale e alla distribuzione di ClassHorseTv a livello globale, grazie alle presenza sui canali e sulle piattaforme in cui Giglio Group è presente: si tratta di 47 paesi, 5 continenti e 6 lingue, distribuiti via satellite, mobile, web tv e su importanti compagnie aeree. Iniziamo con entusiasmo e convinzione un percorso che sono convinto contribuirà anche ad aumentare l’ esposizione mediatica globale del mondo dell’ equitazione, non solo come sport, ma anche come stile di vita». Dopo la presentazione, i numerosi opinion leader e influencer presenti hanno potuto assistere alla performance live della cantante di origini brasiliane Gaia Gozzi, che si è esibita in un repertorio di quattro brani dai ritmi soul, blues e rock, tra i quali anche il suo ultimo singolo Fotogramas. Partner della serata il brand delle bollicine Ferrari. © Riproduzione riservata.

Rds promuove e racconta la 2ª edizione della Class Digital Experience Week

Italia Oggi

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La seconda edizione della Class Digital Experience Week (www.classdigitalweek.it) ideata a organizzata da Class Editori sarà promossa, vissuta e raccontata da Rds 100% Grandi Successi, sensibile e attenta ai temi dell’ innovazione tecnologica e digitale e ai livelli di aggregazione. L’ informazione di Rds seguirà con attenzione le curiosità che emergeranno dalla settimana della Class Digital Experience Week e dal suo cuore, l’ innovativo e attraente Bosco Digitale situato in Piazza Duomo e ideato dall’ architetto Italo Rota. Il contributo all’ alfabetizzazione digitale verso cittadini, istituzioni e imprese Rds lo fornirà giovedì 29 giugno partecipando con un giovane conduttore, Valerio Scarponi, vincitore della terza edizione Rds Academy, al workshop «Millennials e nativi digitali». Un’ analisi del target dei millennials e nativi digitali, una generazione che si affaccia e si impone alla società, perché nata nel contesto digitale e comprende al meglio le sue opportunità, dalle 14.45-16.15 all’ Università Telematica Pegaso c/o Palazzo Durini (via Santa Maria Valle, 2 Milano). La radio, e la sua evoluzione social e digitale per stabilire un punto di contatto con la generazione dei millennials. Si parla molto della dipendenza della nuova generazione di internet e social network e la radio rimane il mezzo che facilita il contatto con il loro mondo. In Italia sono circa 11 milioni i millennials, generazione simbolo nata tra gli anni Ottanta e il Duemila che sta segnando il passaggio alla società digitale. Grandi utilizzatori dei social network (il 76%), sullo smartphone trascorrono mediamente 2 ore e 41 minuti al giorno. «Rds oltre a ricercare i millennials come ascoltatori», dichiara Massimiliano Montefusco, general manager Rds, «propone percorsi per i giovani talenti sempre più in un’ ottica di digital trasformation e personal branding, programmando momenti formativi e opportunità di ingresso nel mondo del lavoro come Rds Academy, il master «Radio e New media management e content», Rds Startup Lab che consentono ai millennials di accedere e costruirsi una competenza 3.0». Al workshop Scarponi porterà l’ esperienza maturata nella terza edizione di Rds Academy che lo ha visto trionfare e aprirgli le porte degli studi di Rds e consentendogli poi di potenziare la propria capacità professionale sia nelle tecniche di conduzione radiofonica che di gestione dei contenuti social e delle piattaforme digitali. Una competenza maturata con la partecipazione alle sessioni di due digital influencer: Daniele Doesn’ t matter e The Show che lo hanno formato nella comprensione della gestione delle potenzialità dei dispositivi digitali e social. La sfida della Digital trasformation nel mondo della radiofonia passa anche dalla capacità di supportare l’ ecosistema generato dall’ ingresso nel mondo del lavoro dei nativi digitali che talvolta , come hanno dimostrato alcuni provini presentati per entrare in Rds Academy, non sanno esprimere e poco comprendono, le potenzialità delle piattaforme a disposizione, nonostante il loro utilizzo e rapporto quotidiano. Il percorso strategico di Rds 100% Grandi Successi ha portato a consolidare un posizionamento su music & entertainment experiences. Il tutto si sintetizza in una propensione a far vivere agli ascoltatori e ai partner «esperienze uniche», mettendo a disposizione una piattaforma web, social e radio in grado di amplificare e diffondere quanto più i contenuti. Rds porta gli ascoltatori nel cuore di una iniziativa, sia essa un concerto, un evento glamour o sportivo, rendendoli protagonisti e soprattutto attivi, dando un riscontro misurabile ai partner commerciali, dalla veicolazione del drive to store, all’ arricchimento del database, attraverso il data collection e lead generation.

Entrano in vigore i benefici fiscali per la pubblicità

MF
MARCO CAPISANI
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Entrerà in vigore domani il nuovo sistema di benefici fiscali per chi aumenta i suoi investimenti pubblicitari su quotidiani, periodici, tv e radio locali. Oggi è programmata la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto legge 50/2017 convertito nella legge n. 96 (sul supplemento ordinario n. 31 della G.U., n.144). Legge che in particolare prevede sgravi fiscali al 75% per chi aumenta quest’ anno di almeno l’ 1% i suoi investimenti in pubblicità. Incentivi che salgono, poi, al 90% nel caso di pmi, micro-imprese e start-up inserzioniste. L’ iniziativa nasce dalla proposta di Fieg (Federazione italiana editori giornali, presieduta da Maurizio Costa) e Upa (Utenti pubblicità associati, presieduta da Lorenzo Sassoli de Bianchi), con l’ obiettivo di rilanciare il mercato editoriale e al contempo sostenere la domanda di pubblicità. Sul tavolo, tra l’ altro, c’ è anche un’ altra proposta che punta a offrire sgravi fiscali per chi compra giornali, a partire dai singoli privati che sottoscrivano per esempio abbonamenti alle testate preferite. La manovra in arrivo, secondo stime di settore, porterà ad aumentare una quota tra il 60 e l’ 80% degli investimenti complessivi su stampa (pari a oltre un miliardo di euro a fine 2016). Quindi, le previsioni puntano a una forchetta di 600-800 milioni d’ investimenti interessati da un rialzo. Ma ecco come funziona il nuovo sistema di sgravi sugli investimenti incrementali in pubblicità: – i beneficiari sono coloro (aziende e lavoratori autonomi) che aumentano di almeno l’ 1% la loro spesa in campagne promozionali sulla stampa e l’ emittenza locale; – nel 2018 sarà attribuito il credito d’ imposta che, a livello di sistema, proseguirà poi negli anni successivi senza bisogno di essere prorogato o confermato; – così si calcola la spesa incrementale: l’ 1% in più di spesa si calcola rispetto a quanto investito nel 2016. Se andrà considerata solo la seconda parte di quest’ anno (a partire dall’ entrata in vigore della legge) o l’ intero 2017 da confrontare, rispettivamente, con la seconda parte dell’ anno scorso e l’ intero esercizio 2016, lo deciderà il decreto della presidenza del consiglio dei ministri (dpcm) che deve fissare criteri e modalità operative del nuovo sistema, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore. Quale che sia la scelta definitiva, il confronto sarà fatto comunque tra periodi omogenei; – il budget dell’ intera operazione verrà deciso dal dpcm che ha deciso di attingere dal Fondo per l’ editoria. Il decreto fisserà un limite massimo di prelievo dal Fondo; – a ogni investitore quanto andrà? Dipenderà non solo dai singoli casi di spesa ma anche dal sistema di ripartizione (da inserire sempre nel dpcm) tra i vari inserzionisti. Al momento due le ipotesi teoriche: ripartizione proporzionale in base alla disponibilità complessiva di risorse da assegnare, al numero e alle richieste quantitative degli inserzionisti oppure, in alternativa, ripartizione per prenotazione, secondo l’ ordine temporale di richiesta. Il quantum da suddividere dipenderà anche da un’ altra ripartizione, più a monte che va ancora decisa, quella tra stampa (quotidiani+periodici) ed emittenza locale (televisioni+radio). Come per molti altri sgravi fiscali, si potrà fruire anche di questo credito d’ imposta solo in compensazione, ossia non in contanti ma a scalare sul pagamento di altre imposte. (riproduzione riservata)

Da Amazon a Netflix , la grande lotta delle serie tv

Corriere della Sera
Martina Pennisi
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In aereo, appena finita la fase di decollo, quando si può ricominciare a giocherellare con lo smartphone, seppur disconnesso. Ecco, è l’ apice – in tutti i sensi – di quanto stiano cambiando le nostre abitudini di fruizione dei contenuti video. Fino a poco tempo fa per vedere film o serie tv sul proprio dispositivo personale in volo si sarebbero dovuti scaricare i file prima di partire, attingendo a un’ offerta legale molto limitata o districandosi fra siti pirata, sempre meno accessibili. Adesso è sufficiente aprire Netflix o Amazon Prime Video tra il check-in e i controlli, agganciarsi al wi-fi dell’ aeroporto (per non impattare sul traffico dati) e scaricare puntate di telefilm o intere pellicole. Se si atterra all’ estero si può poi persino continuare a godere del menù del profilo italiano, a patto di guardare quanto scaricato senza essere connessi a Internet. Certo, si tratta di servizi a pagamento, ma i dati di comScore e Doxa rivelano come la spesa degli italiani per i video online su abbonamento sia cresciuta del 69 per cento fra il 2015 e il 2016 a toccare quota 88 milioni di euro. Siamo ancora lontani dal mercato della pay tv, che vale 4,9 miliardi ma cresce di un più contenuto 9 per cento. La direzione è chiara, ed è quella indicata dai Millennials: il 56 per cento dei nati intorno al Duemila va alla ricerca di contenuti specifici indipendentemente da dove vengano trasmessi e non vuole sentire parlare di palinsesti. I colossi del digitale ne sono consapevoli. E, soprattutto, hanno messo gli occhi sugli investimenti pubblicitari destinati ai prodotti tipici del piccolo schermo. Si pensi che in Italia la tv vale ancora nove volte più di Internet. Negli Usa l’ anno in corso dovrebbe essere quello del sorpasso del digitale, proprio a cavallo dei video e degli schermi mobili. L’ ultima in ordine di tempo a essere partita al galoppo è Apple: ha prodotto e iniziato a distribuire a inizio giugno Planet of the Apps , un reality show sulla creazione di iconcine con personaggi del calibro di Jessica Alba e Gwyneth Paltrow. La prima puntata si può vedere su gratis su iTunes o sul sito planetoftheapps.com, il resto è a solo vantaggio degli abbonati ad Apple Music. In agosto la Mela alzerà la posta in gioco con lo show musicale Carpool Karaoke di James Corden, mentre ha scippato a Sony Pictures Television Jamie Erlicht e Zack Van Amburg, creatori di successi come Breaking Bad o The Crown . Altra osservata speciale è Amazon, che alterna la produzione di serie come American Gods all’ acquisto di diritti per la trasmissione in diretta di match sportivi su Prime Video. Così facendo il colosso di Seattle si differenzia da Netflix, la cui più recente sperimentazione consiste nella possibilità di interagire con i video. Il gatto con gli stivali e B uddy Thunderstruck sono i primi episodi di cui i, probabilmente giovanissimi, spettatori potranno scegliere l’ evoluzione della trama in determinati punti chiave. Twitter si è fatta rubare da Jeff Bezos i diritti streaming del football americano, ma ha subito reagito accordandosi con editori come Bloomberg, Buzzfeed e Viacom per trasmettere contenuti originali (e in grado di fare cassa). Facebook, che in questi giorni sta partecipando alla più importante conferenza di video online negli Stati Uniti – il VidCon -, ha mostrato i muscoli lo scorso 22 maggio, quando ha collegato la diretta del concerto One Love Manchester al suo sistema di donazioni e ha rastrellato più di 450 mila dollari per le famiglie delle vittime dell’ attentato del 22 maggio. Intanto ha iniziato a muoversi sul campo (dei diritti) del calcio e si prepara a lanciare produzioni originali. E ancora, l’ essenza delle arrembanti Snapchat e musical.ly è proprio la nuova modalità di fruizione dei filmati: sono quindi già attive con accordi con Time Warner, la prima, e Viacom e NbcUniversal, la seconda. Alphabet-Google presidia con convinzione il fronte filmati dal 2006, anno in cui ha acquistato YouTube. Al Festival della creatività, attualmente in corso Cannes, ha annunciato che popolerà entro fine anno la piattaforma di 50 nuovi programmi. Inizieremo a chiederci «cosa c’ è stasera online?», insomma.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Agcom lancia l’ Osservatorio delle testate digitali. Nasce l’ Osservatorio permanente sulle realtà editoriali digitali avviato dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) presieduta da Angelo Marcello Cardani in collaborazione con l’ Associazione nazionale della stampa online. L’ obiettivo è monitorare lo stato e l’ evoluzione dell’ editoria digitale nonché le sue reali dimensioni alla luce della nuova legge sull’ editoria che definisce il quotidiano online e le sue peculiarità. L’ Osservatorio consente di censire il settore attraverso una rilevazione statistica omogenea fino all’ analisi delle dimensioni locale e iperlocale. Sole 24 ore, sottoscritti gli accordi di proroga del congelamento del debito. Mercoledì scorso tutti gli istituti finanziatori del Sole 24 Ore hanno sottoscritto gli accordi di proroga dello standstill con cui hanno assunto l’ impegno di non esigere il rimborso delle rispettive esposizioni e, con riferimento alle linee a breve termine in essere, di mantenerne l’ operatività al fine di finanziare l’ attività caratteristica dell’ azienda. Gli accordi scadranno il prossimo 15 novembre, data entro la quale il cda ritiene che la società avrà completato l’ operazione di ricapitalizzazione e rafforzamento patrimoniale in corso, tramite realizzazione dell’ aumento di capitale e l’ esecuzione dell’ operazione di valorizzazione dell’ area «Formazione ed Eventi» e, al contempo, saranno stati sottoscritti gli accordi con le banche finanziatrici in merito alla nuova linea revolving destinata a supportare le eventuali necessità finanziarie. Deejay è la radio in store di Coin. La catena di department store ha scelto DeeJay per la personalizzazione della radio in store che accompagna gli acquisti degli oltre 35 milioni di visitatori che ogni anno entrano nei propri punti vendita. Oltre alla selezione di musica e alle ultime novità tratte dalla classifica di Radio Deejay 30 songs, ad accompagnare i clienti ci sarà anche la voce de La Pina, storica conduttrice di Pinocchio in onda tutti i giorni nella fascia del drive time, che ha personalizzato gli annunci della radio in store di Coin. Con Il Giorno la guida alle 100 botteghe storiche di Milano. Sarà distribuito martedì prossimo in edicola a Milano in omaggio con Il Giorno Le Botteghe Storiche, il libro che racconta alcune delle realtà commerciali che caratterizzano da sempre la città. Nata da una rubrica settimanale di Alberto Oliva su Il Giorno e realizzata interamente dalla testata del gruppo Poligrafici in collaborazione con Autogrill e il contributo del Comune di Milano, la pubblicazione è una vera e propria guida pratica, tascabile, con indirizzi, mappe e schede illustrate, divise per aree, completa di indici per zone e tipologie, incluse le 31 new entry che lunedì riceveranno dal Comune l’ attestato di bottega storica alla presenza del sindaco Giuseppe Sala e dell’ assessore alle attività produttive Cristina Tajani.

Le notizie passano sempre più da WhatsApp, dei social ci si fida poco mentre i media tradizionali sono ritenuti più affidabili. Lo dice il Digital News Report 2017 di Reuters Insitute che pubblica la classifica italiana dei top brand di …

Prima Comunicazione

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Non più solo Facebook o Twitter, c’ è uno stallo dell’ informazione online sui social: le news cominciano a viaggiare sempre più sulle chat. WhatsApp sta diventando uno dei canali principali attraverso i quali le persone scoprono e discutono di notizie, anche in Italia. E col dibattito sulle “fake news” il rapporto di fiducia verso i social si è incrinato. È quanto emerge dal Digital News Report 2017 del Reuters Insitute , indagine condotta su un campione di 70 mila consumatori di news online in 36 Paesi del mondo, compreso il nostro. Il rapporto evidenzia che molte persone non si fidano dei mezzi di informazione tradizionali, ma sono ancora più sospettose nei confronti dei social media: solo una persona su quattro (24%) pensa che i social facciano un buon lavoro nel separare i fatti dalle bufale. La fiducia nei media tradizionali è più alta (40%). Lo stallo dei social media come fonte di informazione è globale, mentre per questo utilizzo c’ è una crescita galoppante delle app per i messaggi, più private e senza algoritmi che filtrano le notizie. WhatsApp comincia sul fronte delle news a rivaleggiare con la sua piattaforma “madre”, Facebook, in diversi Paesi, in particolare in Malesia, Brasile e Spagna. In Italia l’ uso di WhatsApp per le news è cresciuto dal 20 al 24% nell’ ultimo anno. Tra gli altri trend evidenziati la prevalenza dell’ accesso “mobile” alle notizie online e l’ emergere degli assistenti vocali da salotto, come Amazon Echo, come nuova piattaforma informativa. E’ il sito di Repubblica il principale brand di informazione italiano al quale si affida chi cerca notizie online, seguito da Tgcom24 e SkyTg24. In quarta posizione l’ ANSA, “raro esempio di agenzia di stampa che abbia raggiunto un significativo numero di utenti unici online”. E’ quanto emerge dall’ indagine annuale dell’ Istituto Reuters per lo studio del giornalismo. La classifica dei top brands vede sul podio Repubblica.it, utilizzato settimanalmente dal 28%, TgCom24 (27%) e Sky Tg24 (26%). Poi il sito dell’ ANSA, usato settimanalmente dal 21%: l’ agenzia viene scelta – spiega il Rapporto – in primo luogo per l’ accuratezza e l’ affidabilità delle notizie (46%), poi per la capacità di trattare temi complessi in modo semplice (23%), per la forza dei punti di vista (21%), per le notizie di alleggerimento (11%). Quinto il sito del Corriere della Sera con il 20%. Poi i siti di Rainews (16%), del Fatto quotidiano a pari merito con Yahoo! News (15%), poi Notizie Libero (14%), l’ Huffington Post, i siti dei quotidiani regionali e locali e il sito del Sole 24 Ore (tutti con una percentuale del 14%), il TgLa7 online (13%), MSN News (12%), La Stampa online (11%), i siti delle radio commerciali (9%). L’ indagine Reuters prende in considerazione anche il quadro aggregato di tv, radio e carta stampata. La Rai (Tg1, Tg2, Tg3, TgR) è largamente in vetta tra i top brands con il 56%. Segue Mediaset (Tg4, Tg5, Studio Aperto) con il 45%, poi Rainews24 (36%), SkyTg24 (35%), TgCom24 (30%), La Repubblica e la TgR (entrambe 22%), Il Corriere della Sera a pari merito con i quotidiani regionali e locali (21%), Porta a porta (19%), Piazzapulita (16%), le radio commerciali e Quinta colonna (entrambi al 15%), Il Sole 24 Ore (14%), Il Fatto quotidiano (11%). La situazione generale del nostro Paese fotografata dal rapporto vede ancora il mercato tv fortemente concentrato, con il 90% dei ricavi nelle mani di tre operatori, Sky Italia (33%), Mediaset e Rai (con la stessa quota, il 28%). L’ Italia si conferma un Paese in cui si legge poco, con una stampa debole e soggetta a condizionamenti politici ed economici, che perde ancora terreno: le coppie diffuse sono passate dai 6 milioni al giorno del 2000 a poco più di 2,5 milioni nel 2016. Il Gruppo Espresso ed Rcs rastrellano circa il 40% dei ricavi del settore. Il Rapporto, che cita la fusione Espresso-Itedi, l’ ascesa di Urbano Cairo in Rcs e la crisi del Sole 24 Ore, si sofferma anche sui nuovi sforzi fatti dalla Rai sul digitale – pur “rallentati dai disaccordi interni” – e sul lancio di Rai Play. Ricorda che i portali come Yahoo, Libero e MSN sono ampiamente usati, così come ‘creature’ più recenti come l’ Huffington Post e Fanpage. Nonostante l’ adozione di soluzioni di paywall (come nel caso del Corriere della Sera), il numero di persone che dice di pagare per le notizie online è ancora piuttosto basso (12%). In crescita l’ uso di Whatsapp, dal 20 al 24%. Il Rapporto fa cenno anche al dibattito sulle fake news, dalle polemiche sulla raccolta pubblicitaria per il sito di Beppe Grillo al ddl contro la diffusione delle bufale online.

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