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Rai, Del Brocco in pole per la poltrona di direttore generale

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Manca ancora l’ufficialità, ma in prima fila per il posto di direttore generale della Rai c’è Paolo Del Brocco. L’attuale amministratore delegato di Rai Cinema dovrebbe subentrare al dimissionario Antonio Campo Dall’Orto. Sul suo nome si sarebbero raccolti i consensi della politica e del consiglio di amministrazione. Del Brocco è infatti gradito sia al segretario Pd, Matteo Renzi, che ai leader di destra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano. Decisiva per la nomina di Del Brocco sarebbe anche la mancata candidatura di Giancarlo Leone, ex direttore di Rai Uno, anch’egli gradito a tutte le parti. Leone non è sceso in pista per poter continuare ad occuparsi della sua società di produzione. Rimane comunque forte il pressing sull’ex dirigente. Altro nome caldo è quello di Nicola Claudio, direttore della segreteria del consiglio di amministrazione. Difficilmente rientreranno in gioco gli altri nomi inizialmente in pista. Claudio Cappon, che ha già ricoperto la carica in due occasioni, ma anche Nino Rizzo Nervo, ex direttore del Tg3 e al momento consigliere a Palazzo Chigi. Quest’ultimo è un nome avallato dal premier Mario Gentiloni. Poche chances anche per i direttori di Tg1 e Rai News, rispettivamente Mario Orfeo e Antonio Di Bella. La nomina avverrà durante il Consiglio di Amministrazione di domani. La presidente Monica Maggioni formulerà l’intendimento di nomina del Cda e sarà convocata l’assemblea dei soci.


Voto telematico per elezioni Casagit dal 6 al 10 giugno

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Dal 6 al 10 giugno si vota per il rinnovo dell’Assemblea nazionale dei delegati Casagit, la Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani. Come stabilito dalla delibera approvata lo scorso 2 febbraio dal Consiglio di amministrazione, le votazioni si terranno per via telematica dalle ore 9 di domani, 6 giugno, alle ore 18 di sabato, 10 giugno 2017. Per agevolare l’esercizio del diritto di voto, nella sola giornata di sabato sarà predisposta una postazione per il voto assistito presso le sedi delle consulte regionali. Per votare online è necessario collegarsi al sito www.casagit.it e poi cliccare su “Speciale elezioni 2017”. Oltre al codice (o numero posizione socio) riportato sulla Casagit Card e su tutte le comunicazioni inviate da Casagit, bisogna poi inserire la password che tutti i soci hanno ricevuto per posta nei giorni scorsi.

Riforma editoria, aumentato il fondo extra gettito per il canone Rai

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Nell’ambito dell’esame del Disegno di Legge N. 4444 “Conversione in legge del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, la Camera dei Deputati ha approvato il 1° giugno u.s.:
a) un emendamento che incrementa da Euro 100 milioni a Euro 125 milioni la quota del cosiddetto extragettito RAI destinata al Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione per gli anni 2017 e 2018 (per l’anno 2016 la quota di extragettito RAI rimane confermata a euro 100 milioni). Ricordiamo che la suddetta quota dell’extragettito RAI è ripartita al 50 per cento tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dello Sviluppo Economico per gli interventi di rispettiva competenza (Il Ministero dello Sviluppo Economico è competente per i contributi statali a favore delle tv e delle radio locali).
b) un emendamento che prevede, tra l’altro, con decorrenza dal 2018, un contributo a favore delle imprese e dei lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali il cui valore superi almeno dell’1 per cento gli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi di informazione nell’anno precedente. Tale contributo, verrà riconosciuto, sottoforma di credito di imposta, nella misura pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e startup innovative nel limite massimo complessivo di spesa stabilito annualmente con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il provvedimento, approvato dalla Camera passa ora all’esame del Senato.

Rassegna Stampa del 06/06/2017

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Indice Articoli

Inpgi, su pensioni e contratti nuove regole per i giornalisti

Rai, i partiti trattano sul dg e rinviano. La7 fa shopping

La corsa di Del Brocco spinta da Letta&Lotti

La Rai degli ipocriti

Non c’ è accordo sul nuovo dg. E «Gazebo» trasloca su La7

Pd senza intesa, slitta la nomina del nuovo dg

Ibm Italia lancia il suo giornale online

Zoro e la banda di Gazebo a La7, mentre Fazio cincischia sul suo futuro

Rai, niente nome del d.g. Il cda slitta all’ 8 giugno

Stampa, raccolta a -10%

Rai, slitta la scelta del dg. Pressing di Palazzo Chigi su Leone

Rai, stallo sul nuovo dg: no dei renziani a Leone Ora puntano su Di Bella

Vivendi sui diritti della Serie A E congela la guerra su Mediaset

Il Biscione vuole consolidare il polo radio In dirittura d’ arrivo la trattativa Subasio

Vivendi-Mediaset, decisivi i diritti tv

Continua il calo della pubblicità sulla stampa. Nel primo quadrimestre -10%. Osservatorio Stampa Fcp: quotidiani -11%, periodici -8% (TABELLA)

Il canone in bolletta frutta 479 milioni

Inpgi, su pensioni e contratti nuove regole per i giornalisti

Avvenire
Vittorio Spinelli
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Nuove disposizioni e accordi di settore ridisegnano molti aspetti del lavoro giornalistico. Sul lato previdenza, il decreto legislativo n. 69 del 15 maggio scorso completa la riforma della previdenza Inpgi, avviata nel 2015 dal decreto n.148. Il decreto attuale, che entra in vigore il 13 giugno, stabilisce un aumento dei requisiti e nuovi criteri per l’ accesso alla pensione anticipata dei giornalisti. Ridefinisce inoltre gli stati di crisi delle aziende editoriali e prevede la cassa integrazione per giornalisti, pubblicisti e praticanti, indipendentemente dal numero degli occupati nell’ azienda. In tema di esodi, aumentano i requisiti per i prepensionamenti. E’ ammesso alla pensione di vecchiaia anticipata chi possiede almeno 25 anni di contributi (invece dei 18 finora previsti) interamente accreditati presso l’ Inpgi e, per gli anni 2017 e 2018, un’ età per le donne di almeno 58 anni e per gli uomini di 60 anni. Si aggiunge poi l’ adeguamento alla speranza di vita come nel sistema generale. L’ anticipo di questo pensionamento non può avvenire per più di cinque anni prima della maturazione dei requisiti per la vecchiaia ordinaria. Gli esodati, infine, non possono avere rapporti di collaborazione giornalistica. Un ulteriore decreto (n. 70, ancora del 15 maggio scorso) regola nell’ ottica della trasparenza il sistema dei contributi all’ editoria. Media locali. Al decreto 69 sui prepensionamenti Inpgi, si accompagna il nuovo contratto nazionale di lavoro giornalistico nelle imprese radio e tv che operano in ambito locale e nelle agenzie che offrono servizi locali di informazione (Contratto Aeranti-Corallo e Federazione nazionale della stampa). L’ accordo decorre dal 9 marzo scorso e fino al 31 dicembre 2018. Dopo una lunga e complessa trattativa e con riferimento alla riforma pensionistica dell’ Inpgi, il contratto stabilisce che il rapporto di lavoro può essere risolto dall’ azienda se il giornalista ha raggiunto i requisiti – interamente presso l’ Inpgi e con la gradualità della riforma – per la pensione ordinaria oppure per la pensione anticipata. Quest’ anno valgono per la vecchiaia degli uomini i 66 anni di età; per le donne si parte dai 64 anni che salgono poi gradualmente nel 2018 e nel 2019. Per la pensione anticipata sono richiesti 62 anni di età e 38 di contributi (39 anni nel 2018 e 40 anni nel 2019). Dal 2018 si aggiungono 7 mesi per la speranza di vita. Free lance. I free lance usufruiscono delle nuove tutele previste dal Jobs Act Autonomi approvato il 10 maggio scorso. Il provvedimento tuttavia è senza effetti, non essendo ancora apparso sulla Gazzetta Ufficiale.

Rai, i partiti trattano sul dg e rinviano. La7 fa shopping

Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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Diciamo che ha chiuso in bellezza (con il 15% di share, al termine di una stagione con una media oltre i 3 milioni di spettatori). Ma se quello di Fabio Fazio domenica sera su Rai3 è stato un addio o solo un arrivederci lo si capirà nei prossimi giorni. Che dalle parti di Viale Mazzini saranno particolarmente convulsi: dalla nomina del direttore generale, teoricamente prevista per oggi, dipenderanno molte cose. In realtà – i tempi della Rai e della politica che la governa sono elefantiaci – tutto slitterà più avanti, a metà settimana se va bene. Una dilazione (l’ ennesima) che svela come la situazione – siamo nell’ imminenza della definizione dei palinsesti e del rinnovo dei contratti di alcuni artisti importanti – sia gestita con leggerezza (a voler essere generosi). In pole ci sono il direttore di Rai cinema Paolo Del Brocco, l’ ex dg Claudio Cappon ma si fanno anche i nomi di Antonio Di Bella (direttore di Rainews), del direttore della segreteria del consiglio di amministrazione, Nicola Claudio, e di Nino Rizzo Nervo (fortemente voluto dal premier Paolo Gentiloni, di cui è stretto collaboratore visto che è vicesegretario generale di Palazzo Chigi). Si continua a parlare (e insistentemente) dell’ ex direttore di Rai1 Giancarlo Leone, che però ha già declinato visto che si tratta di un incarico a tempo (al massimo un anno) e lui ha lasciato Viale Mazzini a dicembre dello scorso anno per aprire una società di produzione, la Q10 media. Un grande punto di domanda è appunto il destino del conduttore di Che tempo che fa, che con l’ ex dg Antonio Campo Dall’ Orto aveva sostanzialmente chiuso un accordo che prevedeva il trasferimento della sua trasmissione su Rai1, la domenica sera. Questa sarebbe la soluzione preferita da Fazio, anche se resta da risolvere l’ incognita del tetto agli stipendi degli artisti, che potrebbe ancora provocare una fuga verso i maggiori concorrenti. Se ne sono già andati Nicola Savino e, notizia di ieri, la combriccola di Gazebo che traslocherà su La7: Diego Bianchi – molto legato al nuovo direttore generale di La7, Andrea Salerno – ha firmato con l’ emittente di Urbano Cairo. Si dice che Cairo stia corteggiando anche Fazio, così come Mediaset (con cui però sarebbe sfumato l’ accordo, molto vantaggioso economicamente, ma che prevedeva un eccessivo carico pubblicitario). Domenica Fazio ha parlato anche del futuro: “Ho iniziato questo lavoro in Rai quando avevo 19 anni. Ho fatto programmi ed esperienze bellissime e sarò sempre grato a tutti coloro che per questa azienda lavorano e che mi hanno accolto 33 anni fa In realtà ormai loro sono in pensione e l’ unico che è rimasto è il cavallo di Viale Mazzini con cui ho un rapporto eccellente. È l’ unico punto fermo della Rai. Non è mai stato sfiduciato, lui. Abbiamo fatto molte cose belle insieme: da Quelli che il calcio ad Anima mia, da Che Tempo Che Fa a Che Fuori Tempo Che Fa, dalla serata del Viva 25 aprile! a Vieni via con me, da 4 Festival di Sanremo a Rischiatutto fino alla serata di Falcone e Borsellino. Questo per dire che il mio percorso professionale coincide con la storia di questa azienda. Tra poco vedremo anche se è reciproco In ogni caso ci rivedremo: Che Tempo Che Fa continuerà”. Già, ma dove? Ci ha scherzato sopra Fiorello, ospite in studio: “Fabio, non vuoi che nei tuoi programmi si dica la parola Egitto, e allora come fai ad andare a lavorare da Cairo?”. E ancora, sui Raiset: “Hai detto che l’ unico punto fermo della Rai è il cavallo, ma non è vero: è stato visto a Cologno”. È evidente che Fazio vorrebbe restare in Rai, ma se questa melina continua, tra una settimana deciderà se accettare una delle proposte. E, come lui, forse altri: la grande idea di risparmio di Viale Mazzini è lasciar andare i volti Rai più cari al pubblico. Il prossimo passo sarà il segnale orario (che costa davvero pochissimo).

La corsa di Del Brocco spinta da Letta&Lotti

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Le malelingue di Viale Mazzini e Saxa Rubra dicono che se Paolo Del Brocco diventerà nuovo direttore generale della Rai, la carica, in realtà, sarà gestita da Monica Maggioni. Che otterrebbe la delega all’ informazione, ma farà sentire la sua voce anche sul resto. Questo spiegherebbe l’ attivismo della presidente nelle ultime settimane in favore dell’ ad di Rai Cinema. Struttura nella quale Del Brocco è approdato a metà anni Novanta e di cui, scalando le posizioni, nel 2007 è diventato direttore generale. La nomina ad amministratore delegato, invece, risale al 2010, in piena epoca Mario Masi. “È sicuramente una persona valida, bravo nel suo settore, gran professionista, ma di programmi tv e di informazione non ne sa molto”, racconta una fonte da Saxa Rubra. E forse anche per questo motivo, in modo che poi la partita delle news sia gestita da altri, che il suo nome per il posto lasciato libero da Campo Dall’ Orto negli ultimi giorni ha preso il volo. Spinto dalla Maggioni, in triangolazione con i membri del consiglio d’ amministrazione in salsa renziana. Tanto Campo Dall’ Orto era spigoloso, isolato e poco comunicativo, quanto Del Brocco è uno che nella palude di mamma Rai si muove bene da quasi tre decadi. Nato a Roma nel 1963, laureato in Economia, sposato con la direttrice di Radio2 Paola Marchesini, l’ ad deve molto della sua carriera a un suo competitor di oggi, Claudio Cappon. “Guarda molto al prodotto e gli piace fare squadra, per questo cerca di andare d’ accordo con tutti”, continua la nostra fonte. Stare col vento in poppa all’ interno della tv di Stato per così tanti anni, naturalmente, è frutto anche delle amicizie politiche che l’ ad di RaiCinema ha saputo coltivare, con low profile, da una parte e dall’ altra. Se prima poteva contare su un buon rapporto con Walter Veltroni e Francesco Rutelli, con la rielezione di Silvio Berlusconi nel 2008 il nostro consolida l’ amicizia con Gianni Letta, che nelle vicende di questi giorni ha un ruolo primario. Sempre le maledette malelingue, del resto, raccontano che il nuovo dg Rai sarà frutto del patto Letta-Lotti, nel senso di Gianni e Luca, per conto di Berlusconi e Renzi (con cui Del Brocco è in ottimi rapporti). Ma è proprio negli ultimi anni di berlusconismo spinto che Del Brocco, e tutta Rai Cinema, si macchia di una figuraccia epocale, ovvero l’ acquisto dei diritti tv per un milione di euro del film Goodbye Mama, pellicola scritta, diretta e prodotta da Michelle Bonev, in arte Dragomira, regista bulgara che come merito ha solo quello di essere amica dell’ ex Cavaliere. Insomma, nel 2009 mentre rifiutava un finanziamento a Il Divo di Sorrentino, Rai Cinema elargiva questo regalone a una perfetta sconosciuta che il 3 settembre 2010 ricevette anche un premio inventato per l’ occasione al Festival di Venezia, con tanto di proiezione in pompa magna col ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. “La Rai ci ha chiesto di fare quel tipo di operazione. Noi siamo solo il braccio che acquista, non sappiamo se andrà poi in onda e non facciamo i palinsesti”, si giustificò Del Brocco, in evidente imbarazzo. Tra una cattedra sulla storia del cinema alla Luiss, alla Sapienza e alla Ca’ Foscari di Venezia, e le nomine nella giunta dell’ Anica e nel consiglio direttivo della Casa del Cinema di Roma (ma è pure nel cda del Lecce calcio), Del Brocco tra il 2010 e il 2017 ha prodotto 400 film e 305 documentari, per un investimento totale di 405 milioni. A parte i favori agli amici degli amici senza i quali molte pellicole nostrane non arriverebbero nelle sale, ogni tanto qualche produzione è azzeccata, come Fuocoammare di Francesco Rosi, candidato all’ Oscar. Ora Del Brocco è pronto per il grande salto al settimo piano di Viale Mazzini per traghettare l’ azienda per un anno. Con la sponda della Maggioni e del nuovo feeling tra Renzi e B.

La Rai degli ipocriti

Il Foglio

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Terribile, Fiorello vuol dire quel che pensa e in Rai dice che non può, e pensare che Fiorello vale per il suo modo di dire del tutto spensierato; Diego Bianchi fa informa zione libertario-alternativa-cazzeggiante e in Rai non può, ma non sembra proprio, coccolato amabilmente come fu su RaiTre; Fazio saluta e minaccia di andarsene in dissenso perché ci sono questioni surreali sul tetto dei compensi, ma vedrete che riemergerà il tema meno scabroso per lui delle “intromissioni”, l’ invisibile censura aziendale. Ora, che la Rai sia incasinata lo sappiamo tutti, ma che davvero sia un ente censorio e pauperista, questa è buona. Eppure la solfa si ripete, Urbano Cairo incassa le star e fa palinsesto su La7, e l’ emittente televisiva “dello stato” (questa è grossa), del Parlamento (questa è notevole), dei partiti (questa è un’ ovvietà, date le due precedenti) si fa la fama arcigna di ministero senza qualità. Eppure. Eppure la Rai ha incubato il meglio e il peggio dei linguaggi in dissenso, che spesso si sono espressi vuoi in carognaggine ribalda anti potere vuoi in tenerezza affettiva ben pasciuta vuoi in exploit clamorosi dello spettacolo, della performing art da Celentano a Santoro, con tanto di giornalisti travestiti da artisti al momento della busta paga (quorum ego) e artisti travestiti da giornalisti nelle arene dell’ intratteni mento che sono il vitalizio dell’ antivitalizio. Che pasticcio. La Rai è un travesti, è il burlesque del mercato, tutti fanno un giro, un doppio giro, incantano ed eccitano immani platee dette di servizio pubblico, poi se ne vanno a lavorare da un’ altra parte su sfondo di dissenso, di rivolta, di intolleranza dei limiti della libertà di espressione. Numeri decisamente acrobatici. E chi paga la Rai con la bolletta dell’ energia dovrebbe bere questa enormità, questa recita maschile in abiti femminili o l’ opposto. Si contano sulle dita di una mano coloro che hanno ammesso l’ esistenza di un mercato e la libertà contrattuale esercitata di diritto con il passaggio ad altro, sereni, tranquilli, un fenomeno di cui la Rai è parte come tutto il resto del sistema televisivo, anche quello che si paga con gli spot, magari a interruzione dei film, ché non si spezza una storia non s’ in terrompe un’ emozione ma non esiste un pasto gratis. D’ altra parte, tutto nasce dal carattere ibrido dell’ ex Eiar. E’ un mostro in permanente evoluzione, un colosso pedagogico di cui di volta in volta si dice non a torto che ha insegnato agli italiani a parlare la loro lingua nazionale e ha permesso che disimparassero tutto quel che avevano appreso. E’ un gigante del va’ e vieni tra il basso e l’ alto, si permette di tutto, dall’ alta divulgazione edificante di Piero Angela alle domeniche pescivendole e sbraitanti dell’ anchor-beast di turno. Insiste a fornire un’ informazione piuttosto completa, ma non è la Bbc, il suo telegiornalismo attinge a livelli inauditi di sputtanamento quando dovrebbe essere coperto non dico da prestigio, questo forse sarebbe troppo, ma da apprezzamento professionale per oggettività e temperanza. E al posto del talkame da sbarco i palinsesti non sanno più cosa mettere. La Rai fa un po’ pena. Sarebbe il suo momento, con il ritorno della proporzionale e dei governi e delle crisi di governo da Repubblica parlamentare, in più con lo sbarramento al 5 per cento che potrebbe perfino far funzionare la baracca, e invece la prendono a schiaffi senza pietà. Dicono tutti tutto quello che gli passa per la testa, senza nemmeno star tanto a pensarci, ma affermano categoricamente che la libertà è altrove. E’ veramente spiacevole, ci vorrebbe un po’ più di tatto con questa grande berceuse che ha mandato gli italiani soddisfatti a letto con Carosello e la signorina buonasera, poi li ha fatti scannare con il giornalismo e il teatro di denuncia, e sempre li ha lasciati liberi di azzeccarla e di sbagliare, disegnando splendide carriere e gorgheggiando nel mercato con il canone e la bolletta, senza prendersi grandi responsabilità. Un ente censorio che limita la libertà degli artisti, ma via.

Non c’ è accordo sul nuovo dg. E «Gazebo» trasloca su La7

Il Manifesto
MICAELA BONGI
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MICAELA BONGI II Silurato un direttore generale, nominarne uno nuovo non è così semplice. La riunione del consiglio d’ amministrazione Rai che oggi avrebbe dovuto indicare all’ assemblea dei soci il nome del successore di Antonio Campo Dall’ Orto slitta. Dovrebbe tenersi giovedì, ma non è detta l’ ultima parola. Perché i partiti non hanno trovato un accordo e non c’ è ancora un accordo nemmeno tra Matteo Renzi e il governo. E dopo il raggiungimento dell’ intesa sulla legge elettorale, al Nazareno si fa anche attenzione a non scontentare troppo il Movimento 5 Stelle. L’ amministratore delegato di Rai Cinema Paolo Del Brocco sembrava ben piazzato sulla rampa di lancio, ma le sue quotazioni scendono. Torna in pista Claudio Cappon, che è già stato dg a viale Mazzini, ma soprattutto nelle ultime ore si era intensificato il pressing (in particolare da parte di Gianni Letta) sull’ ex direttore di Raiuno Giancarlo Leone per fargli accettare un incarico al quale nei giorni scorsi si era detto non interessato con un tweet. Le resistenze di Leone ieri sembravano essersi allentate al punto che la sua nomina sembrava ormai a portata di mano. Ma, nonostante l’ apprezzamento di Gentiloni, sarebbe stato Renzi a stopparla (tra l’ altro anche Leone era finito nel mirino del dem Michele Anzaldi, per la storia del brindisi di Capodanno 2016 anticipato dalla rete ammiraglia). Il tam tam ultimamente suonava con insistenza anche per l’ attuale direttore di Rainews, Antonio Di Bella, ma a quanto si dice nei corridoi di viale Mazzini non ci sarebbe nulla di concreto. Anche perché a quanto si di dice la presidente del cda, Monica Maggioni, punterebbe a ottenere una delega sull’ informazione. Tra i molti nomi circolati (più o meno sempre i soliti, non si esclude dunque una sorpresa) resta in ballo anche quello del direttore della segreteria del consiglio d’ ammi nistrazione, Nicola Claudio. Il tempo stringe: restano ancora da definire il regolamento sugli stipendi degli artisti esentati dal tetto dei 240 mila euro e, di conseguenza, i palinsesti. Per l’ ok si aspetta il nuovo direttore generale. Nel frattempo la Rai prede pezzi. Mentre Fabio Fazio continua a essere dato in uscita («Il cavallo è l’ unico punto fermo della Rai, lui non è mai stato sfiduciato», ha così salu tato il pubblico di Raitre domenica sera) è ufficiale il passaggio a La 7 di Diego Bianchi-Zoro e della squadra di Gazebo: raggiungeranno Andrea Salerno diventato nuovo direttore della rete di Urbano Cairo. Sarà contento Angeli no Alfano, che aveva salutato la chiusura della stagione del programma su Rai tre con l’ annuncio di una querela per diffamazione. Ma forse il leader di Ap rimpiangerà i gazebers, visto come lo ha trattato ultimamente Matteo Renzi. «Rai3 è stata casa. Come tale, ringraziando chi me l’ ha fatta vivere così, la penserò sempre. La7 è una grande sfida, con i complici di prima», il tweet scritto ieri da Zoro. Ad accogliere a braccia aperte il gruppo di Gazebo c’ è il direttore del Tg La7 Enrico Mentana: «C’ è un taxi in arrivo a La7… Benvenuti Zoro, Makkox, Missouri e tutti gli altri (Salerno e Damilano già attovagliati…)».

Pd senza intesa, slitta la nomina del nuovo dg

Il Sole 24 Ore

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Serve ancora tempo per conoscere il nuovo dg Rai. Il cda programmato per oggi non è stato convocato, segnalando evidentemente una mancata intesa politica. I nodi da sciogliere sono prima di tutto all’ interno del Pd e nelle prossime ore è attesa la stretta finale tra il segretario Matteo Renzi, il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan. Per cda e assemblea totalitaria il giorno giusto dovrebbe essere giovedì. Sospeso, intanto, lo sciopero dell’ 8 giugno.

Ibm Italia lancia il suo giornale online

Italia Oggi

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Ibm Italia rispolvera una tradizione risalente agli anni 80 e presenta il nuovo giornale online thinkMagazine (ibm.biz/thinkmagazine), ideato per tenere informati i lettori sui temi della trasformazione digitale e dell’ innovazione. thinkMagazine è, in sintesi, tutto «ciò che in Ibm fa notizia»: un’ attualità ad ampio spettro che copre i più importanti trend tecnologici, da Watson al cloud, dalla cybersecurity all’ industria 4.0 e all’ Internet delle cose, gli ambiti industriali in cui trovano applicazione e le principali iniziative promosse dall’ azienda in campo sociale ed economico. L’ home page mette ogni giorno in primo piano una o due top news che un menù di navigazione a icone separa da otto approfondimenti. Man mano che nuove storie emergono dal flusso, le meno recenti passano automaticamente in archivio, il quale ha una particolarità: la ricerca degli articoli può essere effettuata su base tematica mediante utilizzo di tag, etichette. Ciò significa che il lettore può costruirsi dinamicamente la propria pagina selezionando quelle di preferenza. Sempre in home page trovano spazio widget di The Weather Company, con le informazioni meteo, così come quelli di Twitter e della thinkMagazineTV che porta alle interviste prodotte nel centro di video-produzione di Roma e in redazione nella sede di Segrate. Il thinkMagazine ha fatto il proprio esordio al Watson Summit 2017, una otto giorni di eventi tenutasi a Milano dal 16 al 23 maggio, al casello daziario dell’ Arco della Pace, che ha visto Ibm portare in piazza ai cittadini le soluzioni di intelligenza aumentata sorrette dalla tecnologia di Watson. La manifestazione ha fatto registrare oltre 4 mila accessi al magazine. La redazione e guidata da Maurizio Decollanz, ex anchor a Class Cnbc, Sky TG24 e Tg5 Mediaset ed è formata da tre giornalisti pubblicisti, una decina di esperti social e digital e lo staff tecnico. Con loro, oltre 5 mila specialisti di ogni area di business in forza a Ibm Italia: tutti potenziali collaboratori, con le competenze che derivano dall’ esperienza sul campo.

Zoro e la banda di Gazebo a La7, mentre Fazio cincischia sul suo futuro

Italia Oggi
PIERPAOLO ALBRICCI
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Il nuovo direttore di La7, Andrea Salerno, appena insediatosi in sella alla emittente di Urbano Cairo, porta in eredità tutta la banda di Gazebo: Diego Bianchi, in arte Zoro, Marco Dambrosio, in arte Makkox, e il gruppo di lavoro della trasmissione satirica si trasferiranno infatti in blocco da Rai Tre a La7 a partire dal prossimo settembre. E Salerno, che di Gazebo era autore, potrà continuare a seguire da vicino i suoi amici. Più difficile sarà invece convincere una star come Fabio Fazio ad abbandonare mamma Rai. Anche perché, se Gazebo è una trasmissione intelligente, allegra, ma pur sempre di nicchia, i programmi di Fazio sono invece fondamentali per i destini e gli ascolti di Rai Tre (di cui Salerno avrebbe voluto essere direttore, prima di essere bruciato sul filo di lana da Daria Bignardi) e per la raccolta pubblicitaria Rai: basti pensare che nel mese di maggio uno spot da 15 secondi all’ interno di Che tempo che fa (prodotto da Endemol Shine Italy) veniva venduto di listino a oltre 50 mila euro, e che nella trasmissione passano circa 20 minuti di pubblicità. Quindi, calcolatrice alla mano, Fazio vale circa quattro milioni di euro lordi di pubblicità a puntata, ovvero, al netto degli sconti, circa 600 mila euro. Sarebbe perciò assurdo, dicono i suoi fan, imporre tetti salariali (240 mila euro all’ anno; ma lui ne prende sei volte tanto) a una star come Fazio, e altrettanto assurdo perderlo per mancanza di progettualità (i tre programmi più visti su Rai Tre nella stagione 2016-2017 sono stati Che tempo che fa, Rischiatutto e Che fuori tempo che fa, tutti e tre di Fazio). Calcolare la pubblicità di un programma e attribuirne il merito al solo conduttore è un grossolano (e voluto) errore di metodo. Quando prenderebbe Che tempo che fa se andasse in onda alle 10 del mattino su una rete Rai? O quanto raccoglierebbe se andasse in onda nello stesso orario di oggi ma su una tv minore? L’ unica tv che potrebbe prendere Fazio ai prezzi che lui pretende, sarebbe Canale 5, ma Canale 5 non lo vuole. Ecco perché Fazio tentenna. Se avesse una emittente che lo tratta come lo sta trattando la Rai ci andrebbe subito, di corsa. Ma questa emittente non c’ è, oggi. Fazio, insomma, coperto d’ oro dell’ emittente pubblica, non ha il coraggio e la lucidità che, ad esempio, ha dimostrato di possedere Maurizio Crozza. L’ editore Cairo non era disposto a confermargli il contratto? Crozza ha subito detto: «Caro Urbano, amici come prima. Ma io me ne vado sul Nove dove guadagno di più». Questa è la concorrenza. Fazio invece, per il momento, con la complicità di molti media e della tecnostruttura Rai che lo ha sostenuto sinora, esercita la minaccia anche se spara con una pistola ad acqua facendo boom con la bocca. D’ altra parte per una Rai che, per vergognosa mancanza di creatività e di managerialità gli fa fare addirittura tre programmi sulla stessa rete come se in Italia esistesse solo Fazio, è facile cadere in questa trappola. Fazio alza la voce contro la Rai perché la Rai lo ha sinora mantenuto in inaccettabili condizioni di monopolio. Fazio nell’ accomiatarsi (non dalla Rai ma dagli spettatori perché se ne va solo in vacanza) ricorda che lui sta in Rai da 33 anni. Non si rende conto che questi anni, esibiti come una decorazione al valore, sono, in effetti un boomerang? Fazio, lo certifica lui, è un matusalemme della Rai. In nessun paese ad economia di mercato, nessuno presentatore riesce a stare per così tanto tempo in posizioni apicali. Trentatre anni. Sono due generazioni intere. Possibile che la Rai, in due generazioni intere, non sia riuscita a formare almeno una ventina di Fazi? Come se in Italia non ci fossero i giovani E per carità di patria non abbiamo parlato della sua spalla Littizzetto. Una che è pagata da immensa star con, in pratica, la garanzia dell’ articolo 18, anche se a lei non certo dovuto (ma è sempre lì, più immutabile di un pilastro) per fingere di essere una quattordicenne che si esercita a dire le parolacce per prendere confidenza nella vita. Nel salutare il suo pubblico per l’ ultima puntata del programma, tuttavia, Fazio ha detto, con toni vicini al commiato, che «sarò sempre grato a tutti coloro che per questa azienda lavorano e che mi hanno accolto 33 anni fa. In realtà ormai loro sono in pensione e l’ unico che è rimasto è il cavallo di Viale Mazzini con cui ho un rapporto eccellente. E’ l’ unico punto fermo della Rai. Non è mai stato sfiduciato, lui. Con la Rai abbiamo fatto molte cose belle insieme. Questo per dire che il mio percorso professionale coincide con la storia di questa azienda. Tra poco vedremo anche se è reciproco. Noi in ogni caso ci rivedremo: Che Tempo Che Fa continuerà». Ora la palla passa ai vertici Rai (sempre che il nuovo direttore generale venga presto nominato), e pure all’ agente di Fazio, Beppe Caschetto, che ascolterà le eventuali offerte di La7, Discovery, Sky o Mediaset. Per la cronaca, Fazio è un uomo da 1,8 milioni di euro all’ anno. © Riproduzione riservata.

Rai, niente nome del d.g. Il cda slitta all’ 8 giugno

Italia Oggi

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Slitta con ogni probabilità a giovedì prossimo la riunione del Consiglio di amministrazione Rai che era stata fissata, anche se non in via ufficiale, per oggi. Manca ancora, secondo fonti, l’ accordo sul nome del nuovo direttore generale dell’ azienda da nominare dopo le dimissioni di Antonio Campo Dall’ Orto. L’ indicazione deve venire dal ministero dell’ Economia, azionista di riferimento della Rai. Insieme al cda slitta anche la riunione dell’ assemblea degli azionisti. Il prossimo direttore generale, dopo le dimissioni di Campo Dall’ Orto, dovrà traghettare l’ azienda fino al termine del mandato (agosto 2018) e risolvere alcuni dossier rimasti sul tavolo del d.g.: dal tetto di 240 mila euro ai compensi degli artisti ai palinsesti autunnali che saranno presentati a fine giugno fino al nuovo piano dell’ informazione. Come d.g. serve senza dubbio qualcuno che conosca bene l’ azienda e per questo i nomi che circolano con maggiore insistenza sono quelli di Antonio Di Bella, direttore di Rainews; Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema; Nicola Claudio, direttore della segreteria del cda; Nino Rizzo Nervo, vicesegretario generale di Palazzo Chigi; Claudio Cappon, ex dg Rai ora in pensione; Giancarlo Leone, altro storico dirigente in pensione.

Stampa, raccolta a -10%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Cala del 10% la raccolta pubblicitaria della stampa italiana nel primo quadrimestre di quest’ anno, rispetto al periodo gennaio-aprile del 2016, per un totale di 305,7 milioni di euro. La perdita rispetto allo scorso anno è stata di quasi 34 milioni di euro. Nel primo trimestre di quest’ anno, invece, il confronto con i primi tre mesi del 2016 ha evidenziato una contrazione dell’ 8,6%, portando la raccolta a quota 217,3 milioni di euro (con una perdita di oltre 20 milioni di euro). In particolare, secondo i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp, i quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato (-11%) sia a spazio (-3,2%). Tra i differenti format pubblicitari, la tipologia commerciale nazionale registra un -15,2% a fatturato e un -11,8% a spazio. La pubblicità commerciale locale evidenzia un -5,1% a fatturato e un -0,1% a spazio mentre quella legale segna un -14,1% a fatturato e un -11,7% a spazio. La pubblicità finanziaria archivia un -18,4% a fatturato e un -14,5% a spazio, la classified un -2,5% a fatturato e un -2,1% a spazio. Spostandosi poi sul fronte dei magazine, i periodici registrano un calo sia a fatturato (-8,1%) sia a spazio (-4,6%). I settimanali mostrano un andamento negativo sia a fatturato del 6,2% sia a spazio del 4,2%. Infine, i mensili segnano un calo sia a fatturato (-9,8%) sia a spazio (-4,5%). Le altre periodicità seguono un trend del -14,6% a fatturato e del -9,9% a spazio.

Rai, slitta la scelta del dg. Pressing di Palazzo Chigi su Leone

Corriere della Sera
Paolo Conti
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roma Manca ancora una designazione formale, ma ieri sera tutti gli indicatori politici vedevano in Giancarlo Leone, ex manager di lunghissimo corso di viale Mazzini, il prossimo direttore generale della Rai. Il Consiglio di amministrazione è slittato a giovedì 8 giugno, ma oggi o domani dovrebbe arrivare un segnale definitivo. Leone, uscito dall’ azienda nel gennaio scorso (è stato eletto presidente dell’ Apt, l’ Associazione dei produttori televisivi, e ha fondato la sua società di comunicazione Q10Media) sarebbe visto con favore dalla presidenza del Consiglio e dal ministero dell’ Economia. Sul suo nome ci sarebbe stata convergenza anche dopo contatti informali tra il ministro Luca Lotti e Gianni Letta nel più ampio quadro delle intese sulla nuova legge elettorale. Nessun segnale di sfavore dal Movimento 5 Stelle. Da alcuni ambienti pd sarebbero state espresse perplessità sulla sua condizione di neopensionato Rai (si dice dalla sottosegretaria Maria Elena Boschi, che avrebbe visto con favore la nomina dell’ amministratore delegato di Rai Cinema, Paolo Del Brocco). Leone ha risposto diverse volte «no, grazie» ai sondaggi informali dei giorni scorsi, sottolineando i suoi nuovi impegni. Ma Palazzo Chigi e ministero dell’ Economia vedono in lui un uomo Rai solido conoscitore dell’ azienda e dei suoi meccanismi, capace di prendere immediatamente la guida della tv pubblica in un momento delicatissimo, a un passo dalla presentazione dei palinsesti (28 giugno) e della messa a punto della complessa matassa del tetto ai compensi dei «volti famosi». Se l’ accordo fosse davvero concluso, per Leone sarebbe difficile dire di no. Restano comunque in corsa lo stesso Del Brocco, il direttore di RaiNews24 Antonio Di Bella, il direttore del Tg1 Mario Orfeo, il direttore della segreteria del Consiglio di amministrazione e presidente di Rai Cinema Nicola Claudio, il direttore generale di Rai Pubblicità Luciano Flussi. Chiunque verrà nominato sa che il suo mandato durerà poco più di un anno, poiché è legato alla vita dell’ attuale Consiglio che scade nell’ agosto 2018. Ieri, in una dura nota, l’ Usigrai, il sindacato dei giornalisti Rai, ha chiesto ancora le dimissioni della presidente Monica Maggioni e del Consiglio di amministrazione, «corresponsabili col direttore generale dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto di tutte le scelte rilevanti che hanno portato all’ assoluta mancanza di progettualità» .

Rai, stallo sul nuovo dg: no dei renziani a Leone Ora puntano su Di Bella

Il Giornale
PAOLO BRACALINI
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Oggi sarà ufficialmente l’ ultimo giorno in Rai del dg dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto ma non il primo del suo successore, perché ancora non c’ è. La prevista (ma non convocata) riunione del Cda slitterà a nuova data, forse giovedì, in attesa che la politica decida chi dovrà guidare la tv di Stato nei mesi delicati della prossima campagna elettorale. Nelle ultime ore la candidatura dell’ ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco ha ripreso quota dopo l’ insuccesso del pressing politico su Giancarlo Leone, ex direttore di RaiUno prepensionato (d’ oro) dalla Rai pochi mesi fa, attualmente produttore con la sua società «Q10 media» (che lavora anche con la Rai) nonchè presidente dell’ Associazione produttori televisivi. Il nome di Leone metterebbe d’ accordo centrodestra (lo storico mediatore azzurro Gianni Letta si sta spendendo per convincerlo) e governo, anche se il nome dell’ ex manager Rai non convincerebbe del tutto i renziani – basti ricordare i duelli ingaggiati da Michele Anzaldi, l’ uomo di Renzi in Vigilanza Rai, contro l’ ex direttore della rete ammiraglia Rai – nè l’ area del presidente Pd Matteo Orfini. A complicare l’ opzione Leone, poi, c’ è che l’ ex superdirigente Rai aveva altri programmi per sè, magari anche più fruttuosi (ormai da dg Rai non si guadagna più di 240mila euro) e meno forieri di grane rispetto alla poltrona più alta della Rai. «Auguro alla Rai di riprendere la sua strada senza ulteriori soste. La seguirò da fuori senza alcuna tentazione di rientrarvi» aveva twittato, ed è la stessa risposta data a chi lo ha chiamato per chiedergli di cambiare idea. Un’ ipotesi finora esclusa, ma in astratto non impossibile da riaprire. In serata, però, Leone è sembrato chiudere ogni porta con un altro tweet: «da tempo ho preso una posizione chiara sul tema. Le istituzioni decidano presto». In ascesa, con la spinta Pd, viene dato il nome del direttore di RaiNews Antonio Di Bella, un veterano delle nomine Rai: lui, che governi il centrodestra o il centrosinistra c’ è sempre. Voci dal consiglio di amministrazione arrivano a circoscrivere la corsa, al momento, a un pugno di nomi: Del Brocco, Di Bella e c’ è ancora chi spera in un ripensamento di Leone. Ma le quotazioni cambiano ogni ora, e niente esclude che tornino in prima posizione altri. Come i manager già entrati nel totonomine: il presidente di RaiCinema Nicola Claudio (in quota «azienda» e Cda), l’ evergreen Claudio Cappon, Nino Rizzo Nervo (molto «gentiloniano», anche troppo per il centrodestra), il direttore del Tg1 Mario Orfeo (osteggiato dal M5s), Luciano Flussi, capo di Rai Pubblicità. Ma non si esclude un nome a sorpresa. Dietro le quinte della partita, c’ è l’ influenza di Monica Maggioni, l’ attivissima presidente Rai che – secondo Dagospia – starebbe premendo per farsi dare la delega sul piano news (e in prospettiva, far fuori la scomoda Gabanelli). La soluzione va trovata in fretta. Una volta trovato l’ accordo politico sul nome, il resto è formalità, bastano 48 ore per convocare il cda, magari già giovedì. Ma finora la scelta si è mossa col ritmo del governo Gentiloni: elegante, ma lenta.

Vivendi sui diritti della Serie A E congela la guerra su Mediaset

Il Giornale

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Gian Maria De Francesco «Speriamo che le Authority non ci siano ostili e che abbiano una sempre migliore percezione di quello che stiamo facendo». Il presidente di Telecom e ad di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, ha così sintetizzato ieri in un incontro con la stampa a Roma la posizione del gruppo media nei confronti dell’ Agcom e dell’ Antitrust Ue. In pratica, il manager rappresenterà all’ Autorità per le Comunicazioni (sebbene sia fiducioso nell’ esito positivo dei ricorsi al Tar e all’ Ue) nelle risposte che saranno fornite entro il 18 giugno come la presenza di Vivendi in Telecom (di cui è primo azionista con il 24%) sia da configurarsi come quello di «un azionista di lungo termine che ha interesse a sviluppare una piattaforma multimediale». Se, però, l’ Authority ribadisse l’ ingiunzione di ridurre dal 29,9 al 10% la quota in Mediaset a causa della violazione della legge Gasparri, è probabile che Vivendi opti per il congelamenti dei diritti di voto eccedenti la soglia imposta. Un esito che il mercato considera scontato visto che ieri Mediaset ha ceduto il 3,5% a causa del minore appeal speculativo. «Siamo disponibili a parlare con tutti», ha aggiunto de Puyfontaine riferendosi tanto alle istituzioni di controllo quanto al governo quanto alla controparte di Cologno Monzese. «Non sono previsti incontri con la famiglia Berlusconi, ma se accadesse ne saremmo felici», ha detto confermando l’ intenzione già espressa da Vincent Bolloré. Il neopresidente di Telecom non si è sbilanciato nemmeno sulla cessione del 70% di Persidera, la società proprietaria delle frequenze tv della quale l’ Antitrust Ue ha chiesto la dismissione per dare l’ ok al controllo francese dell’ operatore tlc. «Abbiamo chiesto al cda di Telecom di effettuare un review e si deciderà a breve», ha chiosato. La presenza di de Puyfontaine a Roma è, soprattutto, un segnale della volontà transalpina di investire in Telecom, di «farne un cacciatore e non più una preda», inserendolo all’ interno di una media company globale. Per quanto riguarda la produzione di contenuti da veicolare sulla banda ultralarga, il top manager ha annunciato «la creazione entro fine mese di Vivendi Italia spa, che avrà sede a Milano e si occuperà della parte creativa». L’ asta per i diritti della Serie A? «È un settore di interesse, ci penseremo e decideremo a breve», ha detto de Puyfontaine nel suo ruolo di ad di Vivendi. Se il gruppo francese partecipasse e si aggiudicasse il pacchetto D (più ricco di squadre e multipiattaforma), si potrebbe ipotizzare una trattativa successiva con Mediaset e con Sky che nel calcio hanno un traino per i ricavi. Il neopresidente esecutivo di Telecom ha infine spiegato che il suo ruolo sarà affiancare l’ ad Flavio Cattaneo («il boss della società») e ha escluso un ruolo futuro per Yannick Bolloré in Italia. «Lui è designato a succedere a suo padre», ha tagliato corto.

Il Biscione vuole consolidare il polo radio In dirittura d’ arrivo la trattativa Subasio

Il Messaggero

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IL NEGOZIATO ROMA Mediaset punta a rafforzare il polo radiofonico mettendo nel mirino Radio Subasio, l’ emittente umbra di Assisi di proprietà dei fratelli Marco e Rita Settimi, con uno share di 1,6 milioni circa di ascolti e una copertura interregionale per cui è considerata una superstation. La trattativa è in fase avanzata. Oggi è in calendario un consiglio di Mediaset nel quale potrebbe essere data un’ informativa dello stato dell’ arte. Il negoziato riguarda soprattutto il prezzo che dovrebbe attestarsi su alcune decine di milioni di euro. Per il Biscione sarebbe un colpo importante perché andrebbe a consolidare la presenza nel settore dove possiede RadioMediaset. La società creata l’ 1 luglio 2016 riunisce le partecipazioni in R101, Radio 105 e Virgin Radio, le tre emittenti che insieme alla partnership con Radio Monte Carlo, detenuta da Alberto Hazan, compongono il primo gruppo radio in Italia per ascolti e raccolta pubblicitaria. LE QUOTE DI MERCATO Gli ascolti medi particolarmente elevati di Subasio dipendono dalla formula di questa superstation, orientata alla diffusione di musica leggera, soprattutto italiana, intervallata dai vari speaker che trattano argomenti vari. Può essere ascoltata da Imola a Salerno ma anche sulla costa orientale dell’ Adriatico, nei paesi ex Jugoslavia. L’ analisi del mercato radiofonico finirà nuovamente sotto la lente dell’ Agcom che oggi riunisce il consiglio con un ordine del giorno ordinario. Nella seduta di fine luglio sarà avviata un’ analisi facendo partire una consultazione pubblica della durata di 60 giorni relativa alla raccolta pubblicitaria che non terrà conto però, delle quote di mercato ma vuole perimetrare i mercati: quello nazionale e pluriregionale e quello locale. C’ è da dire che c’ è una sostanziale parità tra gli operatori e non ci sono elementi turbativi del pluralismo. Nella precedente relazione annuale l’ indice di concentrazione del mercato era indicato a 900: la Rai aveva una quota pari a 23, Mediaset a 18, il gruppo L’ Espresso a 17. r. dim. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Vivendi-Mediaset, decisivi i diritti tv

Il Messaggero

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LA STRATEGIA ROMA Potrebbe essere sui diritti tv del calcio italiano la prima prova di quella «convergenza sui contenuti media che fa la differenza» in Europa e nel mondo ed è tanto cara a Vivendi. Arnaud de Puyfontaine si guarda bene dal fare proclami, ufficialmente il dossier è ancora «allo studio», ma il primo giorno da presidente di Tim a Roma a colloquio con i giornalisti nella cornice dell’ Hotel Majestic, lascia la netta sensazione che il gruppo francese vuole giocare da protagonista nella gara per i diritti del calcio. Tutto questo in un cotesto preciso: la fiducia «nella relazione tra Italia e Francia», ma anche «sull’ asse forte tra Vivendi-Canal Plus e Tim», e perchè no, «anche le sinergie con Mediaset» per «fare scala sulla produzione e la distribuzione di contenuti in modo da creare un colosso globale in grado di competere con i big Usa (da Netflix ad Amazon Prime), ed essere preparati all’ assalto cinese». Tutto questo, sruttando una dote preziosa: «la cultura Ue e in particolare quella italiana». Per la sua missione de Puyfontaine ha in mente di puntare anche sul cinema italiano. «Crediamo ci sia un’ opportunità enorme di aiutare ad accelerare il passo nell’ industria del cinema italiano», non più così «grande» come un tempo. L’ obiettivo: investimenti nei film, implementazione della strada iniziata da Studio+ sugli short format, ma anche le partnership forti tra le Scuole cinematografiche e Cinecittà. Un menu ricco, la strategia di Vivendi in Italia. De Puyfontaine sarà «ben lieto di illustrala presto» a Palazzo Chigi e nel frattempo «è ottimista». Altro che «Authorithy ostili», si può «creare un buon clima anche politicamente» e «speriamo che sia tale da poter andare avanti». GLI EVENTI Certo, portare a casa la Champions League per il 2018-2021 (la scadenza per la partecipazione anche all’ Europa League è il 12 giugno) sarebbe un bel colpo per il gruppo francese. Forse un po’ meno interessanti, visti da Parigi, possono essere i diritti di Serie A (la partecipazione all’ asta scade il 10 giugno). In questo caso per accaparrarsi l’ esclusiva più ghiotta servono almeno 600 milioni di stagione (il pacchetto D più il pacchetto C1 e C2 metterebbero tutto il calcio a portata di click su satellite, digitale terrestre e online). Non è poco, ma per la Champions ci vorrebbero almeno altri 200 milioni. Troppo? Si vedrà. «Una decisione non è stata ancora presa da Vivendi», dice de Puyfontaine. Ma è una questione «di sostenibiltà del business», non certo di cash, visto che Vivendi può contare «su oltre 1 miliardo di liquidità, ha un elevata capacità di indebitamento e può anche vendere una parte di Universal». Certo le incognite tecniche a pochi giorni dalle scadenze ci sono, ma inutile insistere, il ceo di Vivendi non scopre le carte. La partita servirà più a buttare fuori Sky, ad avere una merce di scambio per trovare un accordo con Mediaset su Premium, oppure ad offrire a Tim Vision, la società di Tim, un chip sul calcio? Forse gli obiettivi sono tutti e tre. «Ci stiamo pensando» si limita a dire de Puyfontaine. E lo facciamo «in un’ ottica di gruppo». In Gran Bretagna BT ha speso oltre 1 miliardo. Ma per Tim sarebbe troppo anche un chip da 100-200 milioni per i pacchetti on-line, valutato peraltro sul mercato molto meno. «È cruciale la sostenibilità». In generale poi per Telecom «il futuro è la convergenza», e su due direttrici: «contenuti e Internet delle cose». Sky è dunque più un competitor o partner? «Entrambi», dice il ceo di Vivendi. E la trattativa con Mediaset? «Non è in agenda alcun incontro con Berlusconi, ma «ben venga». Il piano per superare i paletti dell’ Agcom? «Incontreremo l’ Authorithy» prima della scadenza del 18 giugno. Vivendi ha già il 23,9% di Telecom e il 29% di Mediaset, ma i prossimi passi saranno fatti da Vivendi Italia spa, una nuova base da cui investire in Italia, con sede a Milano. E’ questione di giorni per la costituzione. A quel punto sarà più facile «cogliere tutte le opportunità tra eventi, intrattenimento, sport e cinema». «Roma non è stata costruita i un giorno. Ma in cinque anni si può fare molto». Vogliamo essere considerati un player italiano, ma internazionale. In Tim «siamo in marcia», l’ obiettivo è «tornare alla grandezza degli anni 90, avanti a tutti in Europa». Chi è il capo-azienda dopo la sua nomina alla presidenza? «Flavio Cattaneo naturalmente, è lui l’ ad, ma le decisioni le prendiamo insieme». Dunque, tre le priorità in Tim: «investire in contenuti di alta qualità, ridurre il debito e distribuire dividendi». Masi può essere globali con una presenza in Italia e in Brasile? «Un passo alla volta». Yannick Bollorè alla guida di Vivendi? «Ha fatto un lavoro straordinario in Havas». Ma per il resto, è presto. Roberta Amoruso © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Continua il calo della pubblicità sulla stampa. Nel primo quadrimestre -10%. Osservatorio Stampa Fcp: quotidiani -11%, periodici -8% (TABELLA)

Prima Comunicazione

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Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa nel periodo Gennaio-Aprile 2017 ha registrato un calo del 10% sullo stesso periodo dell’ anno scorso. Lo dicono i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp (xls) . In particolare i quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato -11,0% che a spazio -3,2%. Le singole tipologie segnano rispettivamente: La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato -15,2% a fatturato e -11,8% a spazio. La pubblicità Commerciale locale -5,1% a fatturato e -0,1% a spazio. La tipologia Legale ha segnato -14,1% a fatturato e -11,7% a spazio. La tipologia Finanziaria ha segnato -18,4% a fatturato e -14,5% a spazio La tipologia Classified ha segnato -2,5% a fatturato e -2,1% a spazio. I quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato -11,0% che a spazio -3,2%. I periodici segnano un calo sia a fatturato del -8,1% che a spazio del -4,6%. I Settimanali registrano un andamento negativo sia a fatturato del -6,2% che a spazio del -4,2%. I Mensili segnano un calo sia a fatturato -9,8% che a spazio -4,5%. Le Altre Periodicità registrano -14,6% a fatturato e -9,9% a spazio. – Leggi o scarica i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp di aprile 2017 (xls) .

Il canone in bolletta frutta 479 milioni

Il Tempo

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Nei primi quattro mesi dell’ anno il gettito derivante dal canone televisivo è stato paria 479 milioni di euro. Lo rende noto il ministero dell’ Economia ricordando che nel 2016, anno di applicazione della nuova modalità di pagamento del canone tv attraverso la bolletta elettrica, i primi versamenti del canone si sono registrati a partire dal mese di agosto, mentre nel 2017 i versamenti sono affluiti all’ erario da gennaio. Complessivamente nei primi quattro mesi del 2017, le entrate tributarie erariali accertate in base al criterio della competenza giuridica ammontano a 124,87 miliardi, con un incremento di 2,7 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente (+2,2%). Al netto degli effetti sul gettito della diversa tempistica di pagamento del canone Rai, la crescita delle entrate tributarie nel periodo considerato risulta pari a +1,9%. Èstato intanto sospeso lo sciopero in programma per l’ 8 giugno, in attesa di un incontro con il nuovo direttore generale che dovrebbe essere nominato a giorni. Ma le motivazioni che avevano portato alla proclamazione dell’ agitazione, fanno sapere i sindacati, non sono affatto superate.

Vivendi pronto ad entrare direttamente nel mercato italiano

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Vivendi sta per mettere radici in Italia. L’operatore telco francese aprirà una società per azioni nel Belpaese, Vivendi Italia, che punta ad affermarsi come leader nella distribuzione di contenuti di intrattenimento. Una nuova Netflix, per chiarirci. La società potrebbe puntare subito ai diritti per la trasmissione della Serie A, a dispetto delle brevi scadenze per la aggiudicazione degli stessi. Il Ceo Arnaud De Puyfontaine, ora anche presidente di Telecom, ha dichiarato che le migliori decisioni si prendono sotto pressione. Sul tavolo di Vivendi anche il dossier relativo alla richiesta dell’Agcom di scegliere se mantenere la presenza in Telecom o in Mediaset. L’operatore francese probabilmente sceglierà di congelare i diritti di voto in Mediaset, ma nello stesso tempo vuole opporsi ad una posizione che reputa non condivisibile. L’incontro tra le parti si svolgerà il 18 giugno e in quell’occasione Vivendi certificherà il suo interesse ad essere azionista di lungo termine in Telecom Italia. Nessuna novità sostanziale sulla cessione dell’asset Persidera, ritenuta fondamentale dall’Antitrust europeo per il controllo di Telecom da parte di Vivendi. De Puyfontaine ha affermato che la questione sarà discussa dal Cda Telecom. De Puyfontaine non ha inoltre messo in discussione la leadership di Flavio Cattaneo, ad dell’ex monopolista italiano. Ha però dichiarato che lavoreranno di comune accordo per prendere le decisioni migliori.

Non si può violare il segreto istruttorio in nome della libertà di stampa

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Dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo arriva una interessante sentenza sul lavoro giornalistico. I giudici comunitari hanno stabilito che il giornalista non ha il diritto di violare il segreto istruttorio in nome della libertà di stampa. Eventuali sanzioni per violazioni del divieto sono ammissibili. La Corte ha motivato la propria scelta, facendo riferimento alla necessità di proteggere le persone coinvolte in un’inchiesta penale, al diritto delle presunte vittime al rispetto della loro vita privata e in generale ad un migliore funzionamento della giustizia. La massima dei togati è originata dalla pubblicazione di alcuni atti coperti da segreto istruttorio ad opera di un giornalista svizzero. Il tribunale elvetico ha multato il cronista per un ammontare di 3850 euro. Una cifra ora ritenuta ammissibile dalla Corte di Strasburgo. Del resto, come precisato dai giudici, le sanzioni previste per la violazione del segreto istruttorio hanno carattere generale. La Corte giudica anche che la sanzione non può essere considerata come atto potenzialmente dissuasivo dell’esercizio della libertà di espressione.

Rassegna Stampa del 07/06/2017

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Indice Articoli

Rai, Leone si chiama fuori

Rai, Leone si chiama fuori Ipotesi interim a Maggioni

Calcio e tv, conto alla rovescia sui diritti

Lega Pro verso l’ asta diritti tv

Rai, sui palinsesti il tempo stringe

Rai 3, diretta da Daria Bignardi, è diventata un colabrodo

Rai, Leone si chiama fuori. E torna l’ ipotesi azzeramento Cda

Rai, cresce l’ ipotesi Orfeo dg Fazio in uscita verso La7

La partita da 1 miliardo

Chessidice in viale dell’ Editoria

Rai, Leone si chiama fuori

Il Manifesto

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L’ ex direttore di Raiuno Giancarlo Leone ha tanti consigli da dare al futuro direttore generale Rai, eli scrive sul blog di Q10 Media, la società di cui è ad. Ma, assicura, lui intende restare lì, a Q10 Media, appunto, quindi ribadisce di non essere in corsa come dg. Serve un’ intesa entro oggi per permettere al cda (che deve essere convocato con almeno 24 ore di anticipo) di riunirsi domani per nominare il successore di Campo Dall’ Orto. Il consiglio – preoccupato dalla fuga degli artisti intende continuare a lavorare al regolamento sugli stipendi, ma poiché un dg serve, non si esclude un interim alla presidente Maggioni. Nel frattempo i 5 Stelle, freschi di accordo sulla legge elettorale, gridano all’ inciucio: «Prove di un nuovo patto del Nazareno- dice Fico- in vista delle elezioni».

Rai, Leone si chiama fuori Ipotesi interim a Maggioni

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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La quadratura del cerchio, data ormai per trovata fra Forza Italia e ampi settori del Pd sul nome di Giancarlo Leone, alla fine non ha retto. E lo stesso ex direttore di Rai 1 ieri, per la seconda volta in tre settimane, è tornato a chiamarsi fuori. Si complica la partita per la nomina del nuovo dg Rai in sostituzione di Antonio Campo Dall’ Orto che ieri ha chiuso ufficialmente la sua esperienza in Viale Mazzini. Tecnicamente ora manca una guida , con un totonomi che al momento non registra grandi novità e con importanti dossier aperti. Primo su tutti il regolamento con le deroghe al tetto degli stipendi degli artisti, ma anche la chiusura del cerchio sui palinsesti, la cui presentazione è stata programmata per il 28 giugno a Milano. Un ruolo non secondario in questo contesto lo sta senz’ altro giocando la concomitanza con legge elettorale. A questo punto le lancette sono tuttavia spostate alla giornata di oggi per capire se e come il premier Paolo Gentiloni e il segretario Pd Matteo Renzi riusciranno a trovare la quadra su un nome che potrebbe arrivare al Cda programmato (ma non ancora convocato) per domani. Tramontata l’ ipotesi Leone la soluzione interna sembra al momento quella più probabile con in auge la terna di nomi Paolo Del Brocco, Nicola Claudio e Luciano Flussi. Altra soluzione che sarebbe gradita al Pd è quella di Nino Rizzo Nervo, vicesegretario generale della presidenza del Consiglio. In queste ore però, di fronte alla mancanza di intesa sul nome del futuro dg, si fa strada anche l’ ipotesi di un conferimento di deleghe specifiche e a tempo sui dossier o di un interim alla presidente Monica Maggioni. Sono ipotesi, come quella che la palla finisca nella metà campo del Cda chiamato a fare i nomi fra cui scegliere il dg anche senza intesa politica, come da normativa. «Nelle prossime ore il Cda con la sua presidente dovranno votare un nuovo direttore generale. E stavolta non si può sbagliare» ha ammonito il deputato Pd Michele Anzaldi. Di «consueto schema fatto di convenienze di partiti e interessi di parte» ha invece parlato il deputato M5S e presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Calcio e tv, conto alla rovescia sui diritti

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Le parole del ceo di Vivendi e neo presidente di Telecom Italia Arnaud de Puyfontaine sull’ imminente sbarco in Italia della media company transalpina e sul possibile interesse per il calcio italiano accende ulteriormente l’ asta per i diritti tv della Serie A del triennio 2018-2021. La prima in cui nella Penisola si potrebbe assistere a una competizione tra broadcaster, telco e giganti del web. All’ apparenza, la scadenza ravvicinata del termine per depositare le buste con le offerte (sabato 10 giugno alle 10) renderebbe improbabile una partecipazione diretta di Vivendi. C’ è però un aspetto da considerare che, paradossalmente, potrebbe avvantaggiare i francesi dando loro più tempo. C’ è infatti da tenere in conto quello che potrà accadere sul fronte dell’ Antitrust, con l’ Authority chiamata a pronunciarsi sul ricorso di Mediaset che ha chiesto una revisione del bando perchè ritenuto dal gruppo di Cologno squilibrato nella distribuzione dei pacchetti. Qualora l’ istanza venisse accolta, ci sarebbe più tempo per eventuali players intenzionati a partecipare alla gara. Una decisione, a quanto risulta al Sole 24 Ore è attesa già nelle prossime ore. Gli scenari sono tutti aperti in una contesa in cui l’ elemento tempo sta giocando un ruolo non secondario, con la scelta della Lega Serie A e dell’ advisor Infront di aprire il bando per l’ acquisizione dei diritti tv per la Serie A in contemporanea con il bando della Uefa per la trasmissione dei match di Champions ed Europa League. Scadenza dei termini per presentare le offerte il 10 giugno per la Serie A; il 12 giugno per le competizioni europee. L’ uscita di Vivendi che attraverso il suo ceo – e attuale presidente Telecom – non ha escluso un interesse per le aste sui diritti sportivi e quindi anche quelle attuali sul calcio rischia di infiammare questi ultimi giorni prima dell’ apertura delle buste, favorendo interrogativi sdulle reali intenzioni dei francesi. Stando a quanto riportato nel bando, Vivendi potrebbe tentare di acquisire i pacchetti per l’ online (web/iptv) o quello più corposo con le esclusive di 12 club (tra cui Roma , Lazion e Fiorentina) avendo un margine temporale per dimostrare di essere in possesso di un’ adeguata capacità di trasmissione per raggiungere il 50% della popolazione. Bisognerà capire se la spesa (almeno 200 milioni per prendere i due pacchetti web in modo da poter coprire le quattro squadre con la maggior audience, vale a dire Juve, Milan, Inter e Napoli e 400 milioni per il pacchetto D) sarà ritenuto eccessivo. Canal+, la tv controllata da Vivendi, in Francia non vive un periodo felice e ha perso i diritti della Champions a favore di Altice che ha offerto 350 milioni a stagione, subendo sul fronte interno la concorrenza di beIn-Sport, la rete di canali sportivi di Al Jazeera (per il pacchetto principale 2016-20 della Ligue 1, Canal+ spende circa 500 milioni all’ anno). D’ altro canto, anziché, presentarsi direttamente Vivendi potrebbe muoversi in sinergia con Telecom (per quando l’ ad Flavio Cattaneo si sia dimostrato piuttosto “freddo” sul tema) o con Mediaset. Un modo per sedersi di nuovo a un tavolo, come ha spiegato de Puyfontaine. Certo, la discesa in campo di Vivendi potrebbe rivelarsi proficua nell’ ottica della Lega per alzare la posta in gioco. Oltre a Sky si potrebbe profilare anche la partecipazione di Perform e Amazon sempre più impegnate sul fronte dei diritti sportivi. Sembra invece nutrire meno ambizioni sui pacchetti della Serie A, Discovery che tuttavia potrebbe tentare di prendere i diritti dell’ Europa League. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Lega Pro verso l’ asta diritti tv

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Mentre il mondo del calcio e dei broadcaster televisivi è tutto concentrato sull’ asta per i diritti della Serie A 2018-2021 (le offerte dovrebbero pervenire entro sabato 10 giugno), c’ è un altro comparto del pallone italiano, con 60 squadre e 9 milioni di tifosi, che sta spingendo per un forte rinnovamento. La Lega Pro, associazione il cui campionato, dal prossimo anno, tornerà a chiamarsi Serie C, muove circa 200 milioni di euro di fatturato all’ anno. E, come associazione, si trova a gestire risorse pari a circa 40 milioni di euro annui. Il 70% arriva dai diritti televisivi ex legge Melandri e dalla vendita diretta dei diritti tv di Lega Pro (circa 3 milioni di euro all’ anno), il restante 30% soprattutto dall’ attività di marketing. Sul fronte diritti tv, pure la Lega Pro è alle prese con la preparazione di una asta pubblica: l’ Antitrust sta vagliando le linee guida, e, appena ricevuto l’ ok dalla Authority, la Lega Pro aprirà il bando per il campionato 2018-2019: «Abbiamo comunque preparato tre pacchetti», anticipa a ItaliaOggi Gabriele Gravina, presidente della Lega Pro, «il primo con due gare in chiaro, il secondo su base interregionale per le tv locali, e il terzo relativo all’ intero nostro canale, con tutte le partite di Lega Pro in pay tv». Fino al giugno 2018 è invece ancora in essere il contratto tra Lega Pro e la piattaforma ott Sportube, fondata nel 2010 da Bruno Stirparo e appena rilevata, al 51%, dal broadcaster internazionale Eleven Sports. Le partite in streaming, proprio dall’ ultima stagione 2016-2017, sono diventate a pagamento, «e con questa scelta, ovviamente, abbiamo perso in visibilità. Ma ne abbiamo guadagnato sia in termini economico-finanziari, sia in termini di qualità del prodotto trasmesso. Ci sono ampi margini di crescita», aggiunge Gravina, «ma la formula della pay tv sta dando ottime soddisfazioni». Come detto, l’ altro aspetto su cui la Lega Pro sta spingendo molto è quello relativo ai ricavi da attività di marketing. E il nuovo format Finall, con le semifinali e la finale giocate nella stessa città per determinare l’ ultima squadra che salirà in Serie B, è uno degli esempi di questa strada. Finall sarà un vero e proprio evento, organizzato a Firenze dal 12 al 17 giugno. Il capoluogo toscano sarà sede delle finali per almeno quattro anni, e nella prima edizione 2017 i match di semifinale (Parma-Pordenone il 13 giugno, Alessandria-Reggiana il 14 giugno) e la finale del 17 giugno saranno intervallati da convegni, iniziative, animazioni, con un notevole pool di sponsor, tra cui il title sponsor AmTrust Insurance, Rds, Calcio e Finanza, Gewiss, Diners ecc. Le partite di Finall saranno trasmesse sia da Rai Sport, in chiaro, sia in streaming su Sportube, e, a conclusione dell’ evento, si stringerà sulla individuazione del title sponsor del campionato di Serie C 2017-2018: «Ci stanno lavorando delle nostre professionalità interne», spiega Gravina, «ma è iniziato anche un percorso di ricerca di mercato su alcune agenzie ed aziende di consulenza alla fine del quale selezioneremo quella che ci affiancherà di qui in poi. Ovvio che trovare gli sponsor, per noi come anche per la Serie A, non è semplicissimo. Tuttavia dobbiamo valorizzare il nostro forte radicamento al territorio, la coesione sociale che la Serie C rappresenta. E pure il fatto che il 40% dei calciatori di Serie A arrivi proprio dalla Serie C, che sta pure esprimendo due dei calciatori della nazionale italiana in questi giorni al Mondiale Under 20. Gli allenatori delle prime quattro squadre in classifica del campionato di Serie A 2016-2017 si sono tutti formati in Serie C. Quindi», conclude Gravina, «è importante che anche in Italia il calcio impari a fare sistema, come accaduto in Germania, Spagna, Inghilterra e Francia. La modalità di distribuzione dei diritti tv in Italia è la madre di tutti i problemi del calcio, con enormi ricchezze concentrate su poche squadre invece di essere distribuite più equamente per il bene comune. La Lega Pro, infatti, avrebbe bisogno di almeno 60-70 milioni di euro di risorse all’ anno per sostenere il sistema». © Riproduzione riservata.

Rai, sui palinsesti il tempo stringe

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il prossimo 28 giugno la Rai dovrebbe presentare a Milano i palinsesti per la stagione 2017-2018. Il problema è che, a venti giorni dall’ appuntamento, in viale Mazzini nessuno ha idea di cosa presentare agli investitori pubblicitari. Il consiglio di amministrazione deve ancora nominare un nuovo direttore generale al posto di Antonio Campo Dall’ Orto. Inoltre deve risolvere la grana del tetto alle remunerazioni (fissato in 240 mila come per i dirigenti pubblici) che, se dovesse restare, convincerebbe la gran parte delle star televisive della Rai a emigrare verso altri lidi, sconvolgendo, quindi, i palinsesti stessi. Il fatto è che tutti i consiglieri sanno di non poter mandare al macero la Rai limitando così tanto i compensi ai volti tv più noti, ma al contempo nessuno se la sente di battersi contro un provvedimento che piace alla piazza, pur essendo piuttosto demagogico quando si parla di star della tv, e che avrebbe invece una sua logica se applicato, anche in maniera più severa, agli stipendi degli altri dipendenti Rai. In questo scenario di incertezza sovrana ci sono anche le direzioni di rete un po’ traballanti: il giovane Andrea Fabiano, direttore di Rai Uno, ha perso una figura di grande riferimento, Giancarlo Leone, che a fine 2016 ha preferito lasciare viale Mazzini (dove coordinava tutti i palinsesti) per fondare la società di consulenza Q10 Media e assumere la carica di presidente dell’ Associazione produttori televisivi; Ilaria Dallatana, direttore di Rai Due, ha lavorato bene, ma è una fedelissima di Campo Dall’ Orto; Daria Bignardi, direttore di Rai Tre a sua volta fedelissima dell’ ex d.g., si è sempre definita un direttore a tempo, e il suo primo anno ai vertici della terza rete si può giudicare con luci e ombre. Pazzesco che la tv di stato versi in una situazione del genere al termine di una annata che, dal punto di vista editoriale, è andata invece molto bene: Campo Dall’ Orto ha fatto crescere gli ascolti, ha svecchiato il target, ha proposto molti nuovi programmi, ha ridefinito la grafica delle reti. La pubblicità è cresciuta bene nel 2016 (+6%), e ha continuato a farlo, pur con un ritmo più basso, anche nei primi cinque mesi del 2017. Ottime le performance di Rai 4, che ormai se la gioca con i principali canali digitali, esclusi i sette generalisti. E, in generale, tutte le reti semigeneraliste della Rai vengono apprezzate sia dal pubblico, sia dagli investitori pubblicitari, con un +10% di raccolta nei primi cinque mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016. Tuttavia, il lavoro di Campo Dall’ Orto è stato gettato alle ortiche per conflittualità del management di vertice col mondo della politica. L’ appoggio di Matteo Renzi è venuto meno, e in Rai, senza la spinta del Palazzo, non sei nessuno e vieni digerito ed espulso dalla massa di 13.230 dipendenti. Peraltro anche Campo dall’ Orto, come tanti suoi predecessori, lascia in Rai molte vedove: sbarcato in viale Mazzini il 6 agosto del 2015, il manager, in maniera piuttosto risoluta, aveva infatti imposto una serie di suoi uomini di fiducia esterni nei gangli vitali della Rai. E quei manager, a loro volta, si erano dovuti costruire una squadra con altri uomini di loro fiducia. Stime interne contano almeno un paio di centinaia di persone di area «campo dall’ ortiana» che adesso dovranno andarsene (ma dalla Rai non se ne va quasi mai nessuno) o, meglio, riposizionarsi, conservando lo stipendio senza magari più avere molto da fare. Ed è questa la vera condanna che appesantisce, anno dopo anno, i conti della Rai. © Riproduzione riservata.

Rai 3, diretta da Daria Bignardi, è diventata un colabrodo

Italia Oggi
GIORGIO PONZIANO
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Daria Bignardi, direttore di Rai3, rete colabrodo. Virginia Raffaele le è stata scippata da Rai2 ed è stata una rinuncia a uno dei pezzi forti della sua programmazione, poi è stata la volta della fiction Non Uccidere, anch’ essa originariamente prevista per Rai3 e poi trasmessa da Rai2. Adesso se ne va (a La7) Diego Bianchi, in arte Zorro, col suo Gazebo. Incerta è la permanenza di Fabio Fazio e di Alberto Angela, entrambi concupiti da altre emittenti. Le rimangono i flop, a cominciare da Cartabianca, condotto da Bianca Berlinguer. Ilary Blasi e Alfonso Signorini al lavoro per formare il cast del Grande Fratello Vip (Canale5). Si tratta di bissare il successo della prima edizione, quando lo share arrivò al 20% (una media di 4 milioni di telespettatori). Molto dipenderà dai personaggi che accetteranno di partecipare al reality. Perciò i due sono impegnati nella campagna acquisti e Signorini ha twittato: Il gfvip scalda i motori. Chissà se Ilary Blasi riuscirà a convincere a partecipare il marito Francesco Totti, ora che non ha più impegni calcistici. Giancarlo Leone (figlio dell’ ex presidente della Repubblica, Giovanni Leone), direttore vincente di Rai1 disarcionato da Antonio Campo Dall’ Orto, poteva tornare con tutti gli onori e soprattutto coi gradi di d.g. Ma lui, fiutata l’ aria che tira (in politica e in azienda), ha voluto precisare: «Auguro alla Rai di riprendere le sua strada senza ulteriori soste. La seguirò da fuori senza alcuna tentazione di rientrarvi». Max Giusti e la rivincita. Il suo access time, Non solo quiz (Nove), chiuderà la stagione il 9 giugno con un ragguardevole 2% di audience, che significa 600 mila spettatori, risultato insperato per un canale ancora in fase di rodaggio, anche se ha potuto contare sull’ ingaggio di Maurizio Crozza. Addirittura egli ha battuto (quando in sovrapposizione) Fiorello e la sua Edicola (SkyUno e Tv8). Giusti aveva portato al successo Affari Tuoi su Rai1 poi era stato defenestrato per far posto a Flavio Insinna, sulla cui disavventura dice: «Mica entro in questa polemica. Dico solo che si può avere passione stando attenti a non urtare la sensibilità delle persone». Filippo Bisciglia condurrà dal 19 luglio la nuova stagione di Temptation Island (Canale 5), reality in cui cinque coppie di fidanzati senza figli passano 21 giorni in una location da sogno e mettono alla prova il loro amore che viene sfidato da aitanti tentatori e sexy tentatrici. È il quinto anno e ancora una volta si punta al pubblico estivo che reclama leggerezza. Per i concorrenti e gli sfidanti si è attinto a piene mani dai programmi di Maria De Filippi. Antonella Clerici saluta il pubblico della Prova del cuoco (Rai1) lamentando un certo disinteresse dell’ emittente pubblica: «Ogni tanto diamoci noi un po’ d’ importanza, visto che non è facile che ce la diano gli altri». Poi il botto finale, con la presenza di Oscar Farinetti, patron di Eataly, che viene quasi adulato: «Grande imprenditore e scrittore. Io adoro Oscar Farinetti perché è un uomo coraggioso, simpatico e che sa vivere. Tu sei un gudurioso ti butti nelle imprese innovative, per te è come fare l’ amore con una donna che ti piace. Io invece sono innamorata del cibo ad esempio». Confessioni di inizio estate. Angelo Teodoli, direttore di Rai4, festeggia il record: per la prima volta il canale ha superato il milione di ascolto grazie al film The Equalizer, che ha totalizzato 1 milione 41 mila telespettatori (4.6%). Il precedente record apparteneva alla telecronaca della Gialappa’ s di Italia-Spagna dell’ Europeo del 27 giugno 2016 con 951 mila telespettatori (4,3%). Laura Pausini redarguisce i canali televisivi italiani, nessuno escluso. E promuove le radio. Su Twitter applaude al concerto di Manchester: «Bravissimi tutti gli artisti. L’ emozione mi ha ricordato il concerto pro-L’ Aquila. Peccato che allora nessuna tv italiana ci aiutò. Le radio invece furono così all’ avanguardia da essere poi giustamente imitate. Insieme si può sempre dare un messaggio d’ amore vero». Davide Parenzo da lunedì è alla conduzione di L’ Aria che tira (La7). Ha preso il posto di Myrta Merlino, che piangendo ha salutato così: «Io per questa stagione mi fermo qui perché ho bisogno di dedicarmi alla mia famiglia. Ho un problema familiare che sento di dover affrontare. Per tutto l’ anno ho messo questo programma, che per me è casa mia, davanti a tutto, ma adesso devo occuparmi dei miei affetti perché se non lo facessi me ne pentirei». Lacrime anche per Monica Leofreddi nell’ ultima puntata di Torto o Ragione? (Rai1): «Grazie per l’ affetto con il quale ci avete sempre seguito Grazie, per quest’ anno finisce qui». In realtà potrebbe non esserci un altro anno. L’ ex d.g. Antonio Campo Dall’ Orto aveva deciso di non riproporre la trasmissione. Il suo successore confermerà? Altre lacrime (un’ epidemia?) a Tv8 nell’ ultima puntata di The Real Italia, il talk show pomeridiano al femminile, che ha raramente superato la soglia dei 100 mila telespettatori e quindi non avrà un seguito. «Mi porterò dietro», dice, salutando, una delle quattro conduttrici, Marisa Passera, «delle gigantesche valigie piene della gamma di tutti i sentimenti che non credevo potessero coesistere nella stessa persona. Spero di non dimenticarmene mai nessuna, di queste valigie». Gabriella Facondo e Massimiliano Niccoli hanno festeggiato le 500 puntate di Siamo Noi, rotocalco quotidiano di Tv2000, la televisione dei vescovi italiani, ora anticipato alle 13,50. «Abbiamo all’ attivo», dicono i conduttori, «tre anni di dirette quotidiane nel corso delle quali abbiamo mostrato l’ Italia che ascolta, condivide e costruisce, con oltre 7 mila ospiti, 200 collegamenti e 3 mila servizi». Valentina Bisti trasloca dal Tg1 delle 13,30 a UnoMattina. Dal 12 giugno, assieme a Tiberio Timperi, incomincerà alle 6,45 e per tutta la mattina via con l’ attualità e i servizi di costume. Novità di questa nuova stagione sarà il programma-inserto, Quelle brave ragazze (dalle 10,05 alle 11), condotto da Arianna Ciampoli, Valeria Graci, Veronica Maya e Mariolina Simone. Veronica Maya vorrebbe però anche essere riconfermata presentatrice dello Zecchino d’ Oro, sempre su Rai1 e non lo nasconde: «Rivolgo un accorato appello a Carlo Conti, nel ruolo di direttore artistico del 60° Zecchino d’ Oro, affinché trovi un piccolo spazio anche per me, vorrei esserci perché lo Zecchino d’ Oro è un programma a cui sono molto legata. D’ altra parte sono mamma di tre figli rispettivamente di 5, 4 e un anno e mezzo». Tribolato invece l’ esordio (sempre su Rai1) di Estate in diretta, versione estiva della Vita in diretta. Per la Rai sono giorni di incertezza dopo le dimissioni del dg Antonio Campo Dall’ Orto e questo influisce anche sulla programmazione. Così il programma, che doveva debuttare il 5 giugno, è stato rinviato al 19 (sarà condotto da Paolo Poggio e Mia Ceran) e quindi sono stati in tutta fretta richiamati al lavoro Cristina Parodi e Marco Liorni, per prolungare La Vita in diretta. La prima, però, aveva altri impegni e dopo qualche giorno se n’ è andata. A guardia del bidone è quindi rimasto Liorni, che sarà premiato con la riconferma in autunno. Flavio Insinna e le ripercussioni dei fuorionda proposti da Striscia la notizia (Canale5) in cui offende collaboratori e concorrenti. Egli si ritrova schiaffeggiato da uno dei maggiori sponsor della sua trasmissione (Affari Tuoi, Rai1). Brio Blu, la società che distribuisce le acque minerali Uliveto e Rocchetta, ha deciso di sospendere la programmazione degli spot, anche alla ripresa del programma se alla sua guida ci sarà lo stesso conduttore. Durissimo il comunicato della società: «Ci rammarichiamo per quanto successo, anche noi siamo rimasti stupefatti. Alla luce di questo abbiamo deciso di sospendere i nostri spot in maniera definitiva». Intanto Insinna torna su Rai1. È infatti tra i protagonisti della quarta e quinta stagione di Don Matteo, in replica alle 11,30 al posto della Prova del cuoco, andata in vacanza. Twitter: @gponziano.

Rai, Leone si chiama fuori. E torna l’ ipotesi azzeramento Cda

Il Messaggero
GIANCARLO LEONE
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LA TV PUBBLICA ROMA Alla Rai ci vorrebbe un Giancarlo Leone. L’ articolo indeterminativo è d’ obbligo perché Leone ha già rifiutato in tutte le salse di tornare al timone di viale Mazzini. Con la Rai Leone vuole interloquire da presidente dell’ Associazione produttori tv e quindi chiede sul blog della sua società, Q10Media, che arrivi presto un dg e che metta mano ai prossimi palinsesti, i compensi degli artisti, il piano news, la gestione dell’ imminente campagna elettorale, «alcune priorità che diano valore e significato al progetto del servizio pubblico; almeno a istruirle, condividerle con il tessuto sociale e politico, lasciarle in eredità al nuovo vertice». Detta così sembra una passeggiata facile facile. Le quotazioni oggi danno Paolo Del Brocco stabile e Nicola Claudio in discesa, ma solo perché fa il tifo per la cordata Del Brocco che è il candidato favorito della presidente Monica Maggioni e suscita le simpatie anche della sottosegretaria Maria Elena Boschi. Però, è chiaro, l’ assenso deve arrivare dai piani altissimi di Palazzo Chigi e quindi dal premier Paolo Gentiloni e anche da Matteo Renzi. CAMPAGNA ELETTORALE Il segretario del Pd è impegnato sulla partita della legge elettorale e la questione Rai è un file aperto, certo, ma si sta caricando molto lentamente. Il nuovo dg non dovrà sbrigare solo gli affari correnti ma orchestrare una campagna elettorale che si preannuncia infuocata con i quattro partiti protagonisti dell’ accordo sulla legge elettorale, che quando andranno in onda diventeranno all’ improvviso quattro moschettieri l’ uno contro l’ altro. Materia al calor bianco, evidentemente. Per questo serve mantenere centrale nel recruiting del nuovo direttore generale la sensibilità giornalistica. Ecco perché c’ è chi torna a pensare ad Antonio Di Bella, direttore di RaiNews24 ma anche ex direttore di Tg3 e Rai3. Entra nel toto nomi Eleonora Andreatta, detta Tinni, direttore di Rai Fiction, molto stimata per i risultati raggiunti. Resiste Nino Rizzo Nervo, attualmente vicesegretario generale della presidenza del Consiglio. E spunta anche Mauro Masi, che nel 2009 arrivò direttamente a Viale Mazzini da Palazzo Chigi, dove era segretario generale. L’ impasse ha tolto voce al consiglio di amministrazione che dopo aver sfiduciato lo straniero di Camus ora sembra in attesa di un Godot. Mentre torna a circolare l’ ipotesi di un azzeramento dell’ intero cda. Ecco i sospetti di Carlo Freccero: «Non vorrei che l’ inaspettata e prolungata impasse sulla nomina di un nuovo dg nascondesse ben altro obiettivo: azzerare l’ intero cda e arrivare alla nomina di un nuovo consiglio e quindi di un dg che verrebbe blindato per tre anni, cioè ben oltre le elezioni politiche». «Ipotesi infondata sui fatti», taglia corto il collega di Freccero, Franco Siddi che nutre invece grosse aspettative sull’ organo di cui fa parte, il consiglio appunto. Per Roberto Fico, presidente della Vigilanza Rai e deputato M5S c’ è già odore di larghe intese, e precisamente di patto del Nazareno tra Pd e FI. Fico, attualmente anche capogruppo M5S, schiera già gli argomenti per la campagna elettorale: «In queste ore si stanno svolgendo le solite contrattazioni tra partiti e governo. L’ accordo che stanno cercando è ovviamente solo politico, da perfetto clima di larghe intese, mai veramente sopite e pronte a rinvigorirsi a ogni occasione utile». Ste.P. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, cresce l’ ipotesi Orfeo dg Fazio in uscita verso La7

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA SILVIA FUMAROLA
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ROMA. Mario Orfeo è vicino alla Direzione generale della Rai. Sul filo di lana, scalzerebbe l’ altro nome uscito nelle ultime ore, Tinni Andreatta, direttore di Rai Fiction. Invece Fabio Fazio è a un passo da La7, dopo l’ incontro di ieri tra l’ editore dell’ emittente Cairo e l’ agente dell’ artista, Beppe Caschetto. La crisi al vertice della tv di Stato arriva, dunque, a un punto di svolta. Gli esponenti più influenti del mondo renziano puntano, adesso, su un solo nome, che è quello del direttore del Tg1, Orfeo. Il giornalista – che ha diretto anche il Tg2 – è considerato un uomo azienda. Ha i numeri per varare un piano di riforma delle news concreto e realistico. Potrà gestire con autorevolezza la stagione torrida della par condicio che precederà le elezioni politiche. Gli otto consiglieri di amministrazione della Rai – che dovranno proporre il nome di Orfeo al ministero dell’ Economia e alla Siae, azionisti della televisione pubblica garantiranno al direttore del Tg1 un largo consenso. L’ unico voto contrario sarà – si pronostica – quello di Carlo Freccero. Il governo guarda con assoluto favore all’ arrivo di Orfeo e pensa che la procedura di nomina – se e quando ultimata – avrà rispettato tutte le regole del caso. I dubbi procedurali nascono dalla lettura della circolare con cui il ministro Padoan – il 16 marzo 2017 – ha dettato le regole di scelta dei «componenti degli organi sociali delle società partecipate» dall’ Economia. La circolare chiede istruttorie «di carattere qualitativo e attitudinale »; chiede che le scelte siano fatte servendosi di società specializzate nella ricerca di top manager. A questo percorso, il dg della Rai si sottrarrebbe in ragione delle leggi speciali che governano la televisione di Stato. Tutto fatto, allora? Chi spinge per Orfeo direttore generale sa bene che bisognerà trovare un altro numero uno per il Tg1, premiato fin qui dagli ascolti, quando siamo quasi in campagna elettorale. La Rai di Orfeo dovrà fare a meno, quasi certamente, di Fabio Fazio. Ieri il manager Beppe Caschetto ha incontrato Urbano Cairo per definire gli ultimi dettagli prima della firma sul contratto. Il conduttore di Che tempo che fa domenica, salutando il pubblico, ha detto che «l’ unico punto fermo in Rai è il cavallo di Viale Mazzini. Non è mai stato sfiduciato». Il tetto dei compensi e l’ incertezza sul futuro hanno avuto il loro peso nella scelta di Fazio, che ha anche la tentazione di autoprodursi, per essere autonomo. Il terreno di caccia dell’ editore Cairo, dopo l’ arrivo di Andrea Salerno a La7 come direttore, è la Terza rete: il primo a ufficializzare il passaggio è stato Zoro. Il progetto è la creazione di un terzo polo tv. Nella rete che punta molto sull’ informazione (con Mentana, Gruber, Floris, Formigli, Paragone), Fazio avrebbe mano libera per un intrattenimento intelligente, per talk show con ospiti e prime serate evento. Quello di Fazio a La7 sarebbe un clamoroso ritorno. Nel 2001 l’ artista approdò già all’ emittente dove condusse solo la trasmissione inaugurale. Con l’ arrivo del nuovo proprietario Tronchetti Provera, il suo Fab show fu cancellato a tre giorni dal debutto. Si parlò di 28 miliardi di lire tra penali e buonuscita. Ma quelli erano davvero altri tempi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA In calo la pista alternativa che porta a Tinni Andreatta, direttrice di Rai Fiction Nell’ ingaggio di Fazio previsti un talk show e la realizzazione di eventi da prima serata Fabio Fazio prossimo a salutare la Rai per accasarsi a La7.

La partita da 1 miliardo

La Repubblica
MARCO MENSURATI
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Sabato mattina alle 10 si giocherà una partita decisiva, per il calcio italiano. Quella dell’ assegnazione dei diritti tv per il prossimo triennio (2018-2021), la grande torta che alimenta tutto il giocattolo. Nei desideri della Lega, la gara dovrebbe produrre un introito di almeno1 miliardo (che dovrebbe diventare 1,4 con i diritti esteri e altri diritti “ancillari”). Una montagna di soldi che da sola spiega il nervosismo di tutte le parti in causa in queste ore di vigilia. Ore dominate da un’ unica certezza: qualsiasi esito avrà la gara, sarà il prodotto di un compromesso al ribasso. Non può essere infatti definito diversamente il bando pubblicato lo scorso 26 maggio, in fretta e furia, dalla Lega Calcio commissariata da Carlo Tavecchio, dopo che le era esploso tra le mani un parare dell’ Antitrust che inceneriva gli ultimi otto mesi di lavoro . RITORNO AL PASSATO La Lega aveva per lungo tempo ragionato intorno all’ idea di proporre per il triennio ’18-21, un bando in piena discontinuità rispetto al precedente (quello «brutalmente manipolato» dall’ asse Infront, per usare le parole della procura di Milano). All’ asta non sarebbero dunque andati più pacchetti suddivisi «per piattaforma » (satellitare, digitale terrestre e internet); ma pacchetti suddivisi per “prodotto” cioè per eventi in esclusiva. L’ Italia si sarebbe insomma allineata ai mercati più maturi, come quello inglese o tedesco. Interrogata l’ Antitrust, però, la Lega ha ricevuto una bocciatura: per tutelare la concorrenza era meglio optare per un sistema che riducesse le vendite per prodotto. Volendo ricevere le offerte prima della gara Uefa per la Champions e l’ Europa League, la Lega ha dovuto quindi rivedere in corsa i propri programmi, finendo per proporre quattro pacchetti, tre (A, B, C) suddivisi per piattaforma e uno (D) per prodotto. Un sistema ibrido, che ha scontentato tutti. Non solo Sky e Mediaset (che sarebbe anche naturale) ma anche molte società di calcio (gli azionisti della Lega). TUTTI SCONTENTI Secondo molti club (almeno 9 su 21) la Lega, prima del suo commissariamento, e Infront avrebbero gestito male il rapporto con l’ Antitrust per tutta la fase preparatoria del bando – avvalendosi ad esempio di uno degli avvocati coinvolti nell’ inchiesta penale sulla vecchia gara -, di fatto «provocando» un parere che «allontana l’ Italia da procedure che in Europa sono ormai standard». Il tutto aggravato dalla volontà, non condivisa, di “bruciare” l’ Uefa. Scontente, come si diceva, anche le due emittenti. Mediaset ha inviato un esposto all’ Antitrust sostenendo che si tratti di un documento squilibrato in favore di Sky. La quale, invece, si sente messa all’ angolo: per mantenere il livello di offerta attuale dovrebbe pagare circa 700milioni, duecento in più rispetto al triennio precedente. In effetti considerando che allora la Lega, dalla vendita degli stessi diritti, aveva ricavato 800 milioni di euro e che adesso vuole fare un 1 miliardo, si può dire che la differenza sarebbe dunque tutta sulle spalle della tv di Murdoch. L’ INCOGNITA DEL PACCHETTO D Che si ritrova anche la mina del pacchetto D: quello che vende in esclusiva 324 partite – praticamente tutta la serie A, ad eccezione di Juventus, Inter, Milan e Napoli, e delle ultime quattro – per una piattaforma a scelta dell’ acquirente (base d’ asta 400milioni). Per Sky si tratta di un acquisto obbligato (insieme al pacchetto A, o a sorpresa B) se vuole continuare a vendere ai propri abbonati tutta la serie A. Il rischio però è quello di sbattere contro qualche gigante: il pacchetto D, potrebbe essere anche un prodotto interessante per un nuovo soggetto che volesse affacciarsi sul mercato italiano, potrebbe essere il caso di Amazon Prime, di Perform, di Telecom-Vivendi o di Discovery. LA STRATEGIA DELLA LEGA Tutte le accuse vengono respinte dalla Lega. Forti della linea della “assoluta correttezza” imposta a Infront e ai propri collaboratori dal vice commissario incaricato del dossier Paolo Nicoletti (che appena arrivato ha cambiato l’ intero pool di legali), il nuovo n.1 di Infront, Luigi De Siervo e i suoi tirano dritto per la loro strada. Se l’ asta del 10 (che Nicoletti, vorrebbe assegnare in giornata) dovesse chiudersi positivamente sarebbe comunque un buon risultato. Se dovesse andare deserta offrirebbe l’ opportunità di tornare in Antitrust e riproporre con presupposti diversi uno schema di vendita per prodotto. LA PISTOLA SUL TAVOLO Se poi la situazione finisse in stallo, è pronto persino il piano C (a cui molti guardano con diffidenza per via di parecchie assonanze con un vecchio progetto di Marco Bogarelli, l’ ex deus ex machina di Infront e del calcio italiano), quello del canale tematico di proprietà, Serie A Channel. Un canale da vendere non direttamente agli utenti ma alle varie piattaforme, a prezzo unificato. Il progetto – qualcosa a metà tra una pistola da appoggiare sul tavolo delle trattative con Sky e Mediaset e un’ idea verosimile per il futuro – è già pronto. E secondo molti, dietro, ci sarebbe sempre Bogarelli, il quale starebbe persino pensando di presentare un’ offerta. (L’ interessato, trasecolando, smentisce categoricamente). Ma la Lega, al canale di proprietà, ci sta pensando seriamente, tanto che l’ ha messo nero su bianco nel suo bando. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il peso dell’ inchiesta della Procura di Milano su Infront “Un bando brutalmente manipolato” Un quadro reso ancora più complesso dagli appetiti per l’ assegnazione delle partite di Champions League Nella foto in alto Piersilvio Berlusconi, 48 anni. Al centro Gabriele Romagnoli, 56 anni. In basso Rupert Murdoch, 86 anni.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Agenzie stampa, il Consiglio di stato respinge l’ appello del Velino contro il bando europeo. La quinta sezione del Consiglio di stato ha rigettato, per ora in sede monocratica con un decreto del consigliere delegato Paolo Giovanni Nicolò Lotti, l’ appello dell’ editore dell’ agenzia Il Velino, Fcs Communications srl, alla mancata concessione della sospensione da parte del Tar del Lazio sulla gara europea sui servizi delle agenzie. Gara contro cui la Fcs ha presentato ricorso. Go Tv, pubblicità su del 10,1% ad aprile. Lo scorso aprile, secondo l’ Osservatorio Fcp-Assogotv (Fcp-Federazione Concessionarie Pubblicità), la raccolta della Go Tv ha toccato quota 1.227.000 di euro. Nel primo quadrimestre, le inserzioni sono pari a 4.381.000 di euro (-2,4%). «Con aprile si è confermato il consolidamento e l’ accelerazione della crescita che diventa a doppia cifra e che ci porterà a maggio al totale recupero del ritardo del primo bimestre», ha dichiarato Angelo Sajeva, presidente Fcp-Assogotv. «Il turismo diventa il primo settore per investimento con nuove campagne di aziende che utilizzano questo media per rinforzi territoriali su aree strategiche nei mesi di alta stagionalità, apprezzando l’ opportunità di offrire video ad alto impatto nel day time con elevata frequenza. Aumentano anche le campagne pianificate dai centri media con un conseguente arricchimento delle tipologie di settori rappresentati: oltre al pharma, la distribuzione e l’ alimentare, si affermano la cura della persona, la tecnologia e l’ abbigliamento». Vodafone blocca la pubblicità sui siti di bufale e incitamento all’ odio. Il gruppo Vodafone ha adottato nuove regole contro le fake news e l’ hate speech, per evitare che i propri annunci pubblicitari compaiano all’ interno di media digitali (siti e altro), il cui principale obiettivo è la diffusione e la condivisione di tali contenuti. Le nuove regole seguono un approccio basato su una whitelist attraverso un sistema di controllo implementato dal network globale di agenzie pubblicitarie di Vodafone (guidate da WPP), da Google e da Facebook. Maggio: mese da record per Nove. Discovery Italia archivia un mese di maggio con il 6,8% di share per l’ intero portfolio con una crescita del +6% rispetto a maggio 2016. Risultati record per Nove che registra la propria performance mensile migliore di sempre: la prima serata tocca quota 1,8% con una crescita del +77% anno su anno, conquistando l’ ottava posizione fra i canali nazionali. Nel giorno medio share dell’ 1,4% e +44% anno su anno. F compie cinque anni. Il settimanale femminile di Cairo Editore diretto da Marisa Deimichei festeggia con il numero in edicola da oggi dedicandosi a «Le passioni dell’ estate», attraverso approfondimenti tematici su moda e beauty, viaggi e benessere, alimentazione e ricette. F, che ha chiuso il 2016 a +20% di fatturato, continua la sua crescita anche nei primi 5 mesi dell’ anno, con un +15%, hanno fatto sapere ieri dal gruppo editoriale. Gazzetta dello Sport con Magazine G per chi ama la vela. Magazine G, dedicato agli appassionati di vela, sarà in edicola l’ 8 giugno in regalo con La Gazzetta dello Sport. In copertina c’ è Francesco De Angelis, l’ uomo che ha fatto innamorare gli italiani, sfiorando la vittoria della Coppa America con Luna Rossa. Il magazine si concentra su tre grandi regate: la Giraglia Rolex Cup, il cui prologo da Sanremo parte il 9 giugno, i maxi yach, che si sfidano a settembre in Sardegna, e la Barcolana in programma in autunno a Trieste. Mediaset, spot per la promozione della lettura. Dopo gli spot a favore della lettura ideati dal Centro sperimentale di cinematografia e trasmessi su tutte le emittenti tv italiane, scatta la campagna creata da Mediaset per promuovere i libri e la lettura sulle proprie reti tv, emittenti radio e siti online. Obiettivo: dare concretezza al Patto per la lettura, promosso dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini, grazie a 19 artisti, conduttori e giornalisti Mediaset che hanno testimoniato in 19 diversi spot da 15 secondi i motivi per cui amano leggere, concludendo ogni video con il claim della campagna nazionale «Io leggo e tu?», ideato dalla direzione creativa Mediaset. Tom’ s Hardware lancia la sezione motori. Il sito Tom’ s Hardware, specializzato nel mondo della tecnologia, espande la propria offerta di contenuti con il lancio del primo verticale dedicato all’ automotive orientato alle nuove tecnologie. Il gruppo editoriale Purch, proprietario della testata, continua il proprio percorso di espansione sul mercato italiano, puntando su un comparto che, con l’ 11,1% della quota di mercato pubblicitario, rappresenta il secondo settore in termini di investimenti, dopo l’ alimentare (15%).

Comunicazioni elettroniche: Cardani, dichiarazione di Lisbona garanzia di collaborazione tra paesi UE ed extra UE

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“La Dichiarazione di Lisbona rappresenta un passaggio fondamentale per garantire una sempre maggiore collaborazione tra i regolatori dei Paesi europei ed extraeuropei nel settore delle comunicazioni elettroniche. Puntiamo a sviluppare un modello di lavoro coordinato, capace di promuovere l’armonizzazione dei quadri normativi nazionali e le best practices regolatorie, a vantaggio sia degli investitori che dei consumatori”. Lo ha affermato il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Marcello Cardani a margine del summit di Cascais che ha riunito l’Euro-Mediterranean Regulators Group (EMERG), il Body of European Regulators of the Electronic Communications (BEREC), la Eastern Partnership Electronic Communications Regulators Network (EaPeReg) ed il Latin American Forum of Telecommunications Regulators (REGULATEL).
Il summit portoghese, al quale Cardani è intervenuto in qualità di Presidente dell’EMERG, di membro del BEREC e di REGULALTEL, aveva l’obiettivo di promuovere pratiche regolamentari armonizzate tra le varie aree continentali sulle principali sfide innovative del settore. Nel corso della riunione sono stati discussi, in particolare, gli strumenti utili a favorire gli investimenti in ultra-high capacity networks e ad abbattere il digital divide, le sfide legate alla neutralità della rete e i diritti dei consumatori in un mondo convergente. Nella dichiarazione conclusiva, i partecipanti hanno sottolineato la portata globale delle tematiche discusse, auspicando un approccio regolamentare condiviso nonché collaborazione e scambio di esperienze tra
regolatori europei e non-europei. “Le sfide connesse alla diffusione sempre più pervasiva della connettività, allo sfruttamento efficiente delle risorse frequenziali, all’adozione dello standard 5G ed ai diversi approcci verso il tema della neutralità della rete, sono sfide che tutti i regolatori del settore delle comunicazioni elettroniche si trovano ad affrontare ha aggiunto – L’importanza di Summit come quello di Cascais sta nel mettere a confronto posizioni ed esperienze di regolatori di diversi continenti e discuterle al fine di pervenire ad un approccio maggiormente condiviso su scala globale e più rassicurante per gli investitori”.


Rassegna Stampa del 08/06/2017

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Indice Articoli

Rai bloccata da Matteo & Silvio. Domani Cda, rischio dg ad interim

Rai, nuovo dg l’ ex premier da Gentiloni l’ ipotesi è Orfeo

Rai per il dg tramontate le ipotesi Orfeo e Andreatta

Il futuro della Rai

Domani cda sul dg Rai Accordo o interim

Rai spenta per legge elettorale E tutti i poteri passano al cda

Rai, domani riunione cda per nomina dg o interim

Chili, aumento di capitale per competere sui mercati

Feltrinelli si riorganizza e ritorna anche all’ utile

Feltrinelli in utile dopo 5 anni

Chessidice in viale dell’ Editoria

Rcs, Cairo studia l’ emissione di un bond

Radio Freccia missione compiuta

L’ Antitrust e Mediaset: l’ asta non slitta

Rai bloccata da Matteo & Silvio. Domani Cda, rischio dg ad interim

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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In Rai si è costretto alle dimissioni il dg Antonio Campo Dall’ Orto senza avere una soluzione alternativa. Il nome del nuovo direttore generale ancora non c’ è e gli scontri in atto sulla legge elettorale non aiutano i partiti a trovare un’ intesa. Risultato: a Viale Mazzini si brancola nel buio. Il Cda che dovrebbe procedere alla nomina è stato fissato a domani mattina (doveva tenersi due giorni fa), ma la novità delle ultime ore è che, se non si troverà una soluzione, gli stessi consiglieri potrebbero prendere l’ interim dei poteri del dg, delegando uno di loro a firmare le delibere (Diaconale?). L’ idea è venuta agli stessi consiglieri (c’ è un precedente del 2006, con l’ interim al consiglio e il potere di firma all’ allora presidente Claudio Petruccioli) secondo cui non è possibile lasciare l’ azienda senza vertice mentre incombono decisioni urgenti come la questione del tetto alle retribuzioni di 240 mila euro, che si porta dietro anche l’ approvazione dei palinsesti per la prossima stagione. Palinsesti che difficilmente si possono comporre se ancora non si sa quali artisti restano e quali se ne andranno, come ha fatto due giorni fa Diego Bianchi, migrato a La7. Nelle ultime ore, intanto, sono stati fagocitati nella confusione generale un altro paio di nomi di possibili candidati alla successione, secondo alcuni mai realmente in campo: quello di Mario Orfeo, che però avrebbe aperto il problema della sua conseguente sostituzione al Tg1, e quello di Tinny Andreatta, ora al timone di Raifiction, uno dei fiori all’ occhiello della tv di Stato. Dal ministero del Tesoro non filtra nulla. Da Palazzo Chigi e dal Nazareno nemmeno. La politica, dunque, ancora non ha deciso. Il nome del nuovo dg, infatti, dovrà avere il via libera di Pd, Forza Italia e 5 Stelle. E le scintille andate in scena ieri sulla legge elettorale non aiutano di certo a superare l’ impasse a Viale Mazzini. Infine, a conferma del nervosismo, da registrare anche uno scontro tra Michele Anzaldi e Carlo Freccero su Giovanni Minoli. “Il giornalista sta lasciando Radio 24. Prenderlo in Rai potrebbe essere un segnale di vitalità per l’ azienda. Che ne pensa il Cda?”, ha chiesto il deputato dem. “A questo punto perché il dg non lo fa direttamente Anzaldi?”, replica Freccero. “Ho solo proposto di dare un programma a Minoli, Freccero legga prima di parlare”, la controreplica di Anzaldi. Come se fosse normale che un parlamentare proponga un nome a cui affidare un programma.

Rai, nuovo dg l’ ex premier da Gentiloni l’ ipotesi è Orfeo

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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Ancora in corsa Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, col sostegno di Maggioni ROMA. In un incontro faccia a faccia, il premier Paolo Gentiloni e il leader del Pd Matteo Renzi discuteranno oggi della crisi al vertice della Rai. Siamo a poche ore dalla riunione del Consiglio di amministrazione di Viale Mazzini, convocato per domani mattina. I ruoli sono distinti. Spetta a Gentiloni individuare il nuovo direttore generale. Renzi – che ha sempre spiegato di volersi tenere fuori dalla gestione della tv di Stato – rappresenterà al premier il punto di caduta cui il Pd è arrivato dopo giorni di confronto interno. Un punto di caduta che ha il volto di Mario Orfeo, considerato il professionista più adatto a raccogliere l’ eredità di Antonio Campo Dall’ Orto alla Direzione generale. Anche Gentiloni e il ministro dell’ Economia Padoan stimano Orfeo, che ha diretto il Tg2 e guida ora il Tg1, con buoni risultati. Se dal 2011 tutti i telegiornali della televisione pubblica hanno perso dall’ 1 al 4 per cento di ascolto, il Tg1 delle 20 è stato l’ unico a consolidare le sue posizioni. La considerazione di cui il giornalista gode ne fa – come anticipato da Repubblica – l’ assoluto favorito nella corsa per la poltrona di dg. La partita però non è chiusa. I consiglieri di amministrazione rispettano Orfeo, ma preferirebbero un manager a un cronista, per quel ruolo. D’ altra parte Campo Dall’ Orto – che era molto bravo sul piano dei contenuti editoriali – era più debole nella gestione economica. E Orfeo, a loro parere, rischia di avere gli stessi punti di forza e le stesse debolezze. Per questo motivo, il presidente Maggioni continua a fare il tifo per Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema; mentre il consigliere Siddi spera che il dg esca da una terna che include l’ ex direttore del Tg3 Nino Rizzo Nervo, il direttore generale di Rai Pubblicità Luciano Flussi e il segretario del Consiglio di amministrazione Nicola Claudio. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Paola e Angelo piangono con Antonio Scocozza la perdita della cara Franca Salerno, 8 giugno 2017.

Rai per il dg tramontate le ipotesi Orfeo e Andreatta

Italia Oggi

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Si è in alto mare sulla nomina del nuovo dg Rai e sono subito tramontate le ipotesi di Mario Orfeo o di Eleonora Andreatta nel ruolo di successore del dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto. Due ipotesi filtrate nelle ultime 24 ore ma che poi in ambienti Rai, specie tra componenti del cda e politici non hanno trovato conferme o quanto meno indicazioni che siano percorribili. E tra i motivi che in qualche modo sono ostativi al passaggio di Orfeo negli uffici del settimo piano di viale Mazzini c’ è proprio il successo di ascolti del suo Tg1: un’ eventuale migrazione significherebbe dover trovare da subito un direttore per la principale testata che sia in grado di tenere lo stesso passo e garantire gli stessi risultati dell’ attuale. E per giunta in una fase politicamente delicata per il paese, chiamato a dotarsi di una nuova legge elettorale che in questi giorni si sta disegnando con un accordo ampio tra i maggiori partiti. C’ è inoltre da considerare che più di una volta in commissione di vigilanza si sono levate voci dell’ opposizione contro Orfeo, accusato di favorire i partiti di governo. Non è la vigilanza che sceglie il dg ma certo è difficile pensare a una nomina che non trovi un gradimento bipartisan sul fronte politico. Quanto ad Andreatta, viene rilevato che dalla sua ci sono i successi di ascolto della fiction Rai e si tratta di una direzione che sta funzionando, con progetti di punta già in fase avanzata e altri in prospettiva. La fiction è un asset importante dell’ offerta Rai e quindi si bada a non disperderlo. Altri nomi nuovi non ne vengono fatti e in ambienti di viale Mazzini si dà pressoché per scontato che venerdì il cda decida per un periodo, brevissimo, di interim alla direzione generale. Un interim fatto però in modo collegiale, non affidato al singolo, neppure alla presidente Maggioni. Da stabilire quindi se coinvolgere tutti e i sette consiglieri (Paolo Messa si è dimesso nei giorni scorsi) più la presidente oppure optare per un numero ridotto di consiglieri delegati a ricoprire questo ruolo per assicurare l’ ordinaria gestione aziendale e tenere fede a scadenze, oltre che per evitare future contestazioni sulla mancata adozione di deliberazioni o provvedimenti necessari all’ attività dell’ azienda.

Il futuro della Rai

Il Foglio

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Roma. L’ uscita di Antonio Campo Dall’ Orto ha riaperto la partita della governance della Rai. Il 6 giugno CDO ha scritto una lettera di congedo ai dipendenti. Un saluto “nel quale non c’ è amarezza, ma solo il dispiacere per non aver potuto completare questo bellissimo viaggio”, scrive CDO, secondo cui la Rai “deve essere inclusiva e innovativa al tempo stesso”. Missione “che viene servita innanzitutto aumentando le libertà di ciascuno… Credo che solo dando libertà a chi lavora a questo ininterrotto, splendido progetto che è la Rai essa potrà aumentare la libertà di tutti gli italiani”. La Rai, aggiunge Campo Dall’ Orto, “è la storia del paese; tutti noi ne siamo, o ne siamo stati, solo una piccola parte. Essa è molto più della somma di coloro che ci lavorano; è parte di un quadro più grande di noi, più grande di ogni singolo, anche se con un ruolo di responsabilità come quello che ho avuto I privilegio di ricoprire fino ad oggi. Gli uomini passano ma la Rai resta; ed anzi il compito principale che mi sono dato quando ho accettato questo incarico è stato proprio quello di provare ad aggiungere un pezzetto a questa fantastica storia e lasciare l’ azienda, se possibile, più forte e libera di prima”. Ora c’ è bisogno di un nuovo direttore generale che prenda il posto dell’ ex manager di Mtv e i nomi che circolano sono diversi, da Giancarlo Leone ad Antonio Di Bella, a Nicola Claudio, a Paolo Del Brocco. Proprio su quest’ ultimo, amministratore delegato di Rai Cinema, Guelfo Guelfi, membro del cda in quota Pd, avanza qualche critica. “La Rai – dice Guelfi al Foglio – aspetta le decisioni con il prime time che pare incollato sopra il 40 per cento (41,7), Mediaset al 26,9, La 7 al 5,9. E questo il martedì, il giorno dello scontro dei talk. Stavolta “Cartabianca” non ha vinto. Un milione e 245 mila spettatori de La7 superano il milione e 43 mila della Rai. Quel mondo ha quei numeri lì”. Insomma, spiega Guelfi, “potremmo dire che la relazione che tiene unita l’ offerta televisiva e i suoi consumatori non accenna a soffrire della crisi del vertice. Potrebbe significare che il palinsesto è stato fin qui ben costruito e lascia il tempo ai nuovi propositi di manifestarsi buoni. Ora l’ attenzione si concentra sulla porta. Vediamo le spalle di chi esce ma non ancora il volto di chi entra. Si sente il rumore di piccole schiere, non quello delle meningi. Si è partiti con un favorito sulla bocca di tutti tanto da far credere che fosse già lì: nelle intenzioni di chi spingeva, Antonio Campo dall’ Orto, fuori. Paolo Del Brocco da dieci anni al vertice di Rai Cinema, Paolo Del Brocco, che si interrogava sulla conferma o meno nel suo ruolo, si dice che potrebbe avere i requisiti per gestire una crisi di cui si parla, ma di cui poco si capisce se guardiamo la premessa da cui partono le mie modeste e solitarie osservazioni. L’ uomo che ha gestito una risorsa significativa per il cinema italiano saprà certamente risolvere la grande questione del sistema d’ informazione della nostra emittente pubblica. Sarà così perché sarà aiutato. Da chi? Dal cda? La vedo dura. Ma in fondo è sempre andata così, il favorito della prima ora è difficile che arrivi al traguardo. Ribot (cavallo campione di galoppo, ndr) lo faceva. Sempre. Poi lo misero a far figli di razza”. Nessun preconcetto Comunque, dice Guelfi, “nessun preconcetto. Credo che la cosa andrebbe spiegata bene, che il cda avrebbe dovuto interloquire, essere parte attiva nella analisi della crisi, uno ‘strumento di orientamento, di indirizzo e di controllo’, ma così per ora non è. E’ lo strumento per la vidimazione degli atti, c’ è chi vorrebbe scioglierlo ma non sa come fare, c’ è chi vorrebbe blandirlo e cerca di farlo prima con uno e poi con un altro. Sono non solo imprevedibili le cose che si sottovalutano, sono anche sorprendenti, a volte!”. (da)

Domani cda sul dg Rai Accordo o interim

Il Manifesto

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Il cda Rai è convocato domani per la nomina del nuovo direttore generale. Se nel frattempo non sarà stato trovato un accordo sul successore di Campo Dall’ Orto, scatterà un interim consiliare: l’ intero cda sarà investito della gestione della tv pubblica (ci sono ancora da definire la questione degli stipendi e i palinsesti) in attesa del nuovo dg. In questo modo i vertici Rai vanno in pressing sulla politica. All’ orizzonte il capolavoro della Rai versione Renzi: dal direttore generale con i super poteri a un cda che assume i poteri del dg.

Rai spenta per legge elettorale E tutti i poteri passano al cda

Il Giornale
PAOLO BRACALINI
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Altro che «fuori i partiti dalla Rai», come prometteva Matteo Renzi appena arrivato a Palazzo Chigi. Dopo due anni (e una riforma) di gestione renziana, la Rai si ritrova arenata sulla scelta del nuovo direttore generale perché si attende l’ accordo sulla legge elettorale. Cosa c’ entra mai la decisione sul manager a cui affidare la Rai, col sistema di voto per le prossime elezioni? In effetti, due vicende che dovrebbero essere indipendenti tra loro. E invece una è legata all’ altra, perché si tratta di capire chi sta con chi, quali sono le alleanze trasversali in Parlamento, e quindi chi può avere potere di parola e di veto sulla nomina del direttore generale di Viale Mazzini. Esempio pratico con l’ ultimo nome salito nelle quotazioni del toto-dg, Mario Orfeo, direttore del Tg1, molto sponsorizzato dal Pd renziano (in particolare dalla Boschi, tornata influente sulle nomine governative), gradito anche da Forza Italia ma osteggiato dai Cinque Stelle. In altre fasi politiche il veto del M5s sarebbe stato indifferente, ma il movimento di Grillo al momento è ancora uno dei contraenti del patto sul Tedeschellum, a rischio di impallinatura dei franchi tiratori alla Camera. E la Rai è talmente legata alla politica che se il patto a tre sulla legge elettorale resta in piedi, il governo Pd non potrà nominare un dg Rai palesemente sgradito al M5s («Orfeo? Siamo alla pazzia, deve essere uno super partes» ha bocciato il grillino Fico, presidente della Vigilanza Rai). Se invece l’ accordo salta, basterà un nome condiviso da Pd e azzurri per risolvere il rebus Rai, come appunto il direttore del Tg1. Ecco perché si prende ancora tempo dopo l’ addio di Campo Dall’ Orto, che già da due giorni ha fatto gli scatoloni e salutato i dipendenti con una lettera («Ho lasciato una Rai più forte e più libera»). L’ ufficio è vuoto, e potrebbe restarlo più a lungo del previsto. Un cda è convocato per domattina alle 10, le ipotesi sono due. La più improbabile è che nelle prossime ore esca dal cilindro di Palazzo Chigi un nome e che il cda possa votarlo, per chiudere la pratica e affrontare i dossier sul campo (i tetti agli stipendi, i palinsesti autunnali, il piano news dell’ azienda, il contratto di servizio) con un nuovo comandante in campo. La più concreta, invece, è che non ci sia un nome e che l’ interim della direzione generale – funzione che prevede ampi poteri da amministratore delegato – vada al consiglio di amministrazione stesso, magari con deleghe diverse ai consiglieri o ad un gruppo ristretto di loro, con un ruolo primario per la presidente Monica Maggioni, molto attiva per prendere in mano il piano news. C’ è anche un precedente, quando nel 2006 l’ allora dg Alfredo Meocci venne dichiarato incompatibile, fu il cda ad assumerne i poteri per circa due mesi, con delega per la firma dei provvedimenti al presidente Rai. Anche con una gestione collegiale ad interim «l’ azienda andrà avanti secondo scadenze già definite» – fanno sapere fonti Rai -, specie sul fronte dei contratti e degli ordini. In attesa che Palazzo Chigi trovi la quadra sul nome, settimana prossima. Oltre ad Orfeo (la cui nomina aprirebbe la casella del Tg1, e in pole c’ è Andrea Montanari, direttore del Giornale Radio Rai, che verrebbe a sua volta sostituito con Gennaro Sangiuliano vicedirettore del Tg1) ci sono i tre interni già in corsa: Paolo Del Brocco, Nicola Claudio e Luciano Flussi. Sembra invece esclusa la candidatura di Giovanni Minoli, nonostante l’ endorsement pubblico del renziano Anzaldi, mentre è ritenuta una provocazione quella del consigliere Carlo Freccero, che porterà in consiglio la proposta di Alessandro Baricco (già simpatizzante renziano) come dg Rai.

Rai, domani riunione cda per nomina dg o interim

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Si terrà domani mattina la riunione del Cda Rai nella quale si dovrebbe procedere alla nomina del prossimo dg. Condizionale d’ obbligo in attesa della quadra politica attorno a un nome. In mancanza, l’ intenzione del Cda è di andare avanti con un interim consigliare. Sempre ieri l’ ex dg Antonio Campo Dall’ Orto ha salutato i dipendenti con una lettera, parlando di congedo «senza amarezza», ma con il «dispiacere per non aver potuto completare questo bellissimo viaggio». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chili, aumento di capitale per competere sui mercati

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Affari in crescita e una nuova iniezione di capitale per 10 milioni: soldi che serviranno per sostenere la promozione di Chili dopo il rilascio della nuova release della piattaforma di videostreaming, in arrivo a cavallo dell’ estate. «Ancora non possiamo svelare nulla, ma sarà una nuova go to market experience con cui punteremo a fare il salto di qualità». spiega Giorgio Tacchia, tra i fondatori, presidente e ad di Chili, piattaforma di videostreaming fondata nel 2012 e attiva nel cosiddetto Tvod: video on demand con formula basata su singoli acquisti simile all’ home video di un tempo e differente dallo “Svod” che è invece la modalità di video on demand in abbonamento scelta da Netflix, Infinity, Timvision, Now Tv (Sky). A inizio maggio Chili ha deliberato un aumento di capitale per 10 milioni, già sottoscritto per 3,5 milioni, attraverso un veicolo lussemburghese finalizzato all’ investimento nella società. Un’ iniezione di risorse, dunque, che arriva a qualche mese di distanza dall’ ingresso nel capitale delle major americane: Paramount, Viacom e Warner Bros in estate (con le prime due che hanno investito singolarmente pur essendo Paramount controllata da Viacom) e Sony Pictures a dicembre . A queste potrebbero aggiungersene anche altre di major: «Al momento stanno valutando» dice il numero uno di Chili. Certo, altri ingressi di questo tipo avverrebbero non in questa tranche da 10 milioni ma con investimenti diretti nel capitale. A ogni modo, in un paio di mesi Chili conta di chiudere questa operazione di aumento di capitale in una compagine che conta al primo posto fra gli azionisti il veicolo dei fondatori “Brace”, al 37,3%. Altri azionisti sono Investinchili, in cui ci sono varie persone fisiche, Negentropy (fondo basato a Londra), il fondo Antares di Stefano Romiti, altri privati e, appunto, le majors al 16,1 per cento. Con la nuova proposizione che arriverà a cavallo dell’ estate per Chili partirà anche una campagna di comunicazione da 6 milioni di euro l’ anno, «con investimenti sul digitale, non in pubblicità televisiva» spiega Tacchia. E, sempre con la nuova release, per Chili arriverà il momento della verità sui mercati internazionale in cui è presente. Oltre all’ Italia, infatti, la piattaforma di video streaming è da fine 2015 attiva con il suo servizio in Polonia, Uk, Germania e Austria. La presenza c’ è, qualche cliente pure, ma mai si è fatta una vera e propria campagna. Ora si punta a cambiare passo, aggiungendo clienti «al milione di oggi» che anche se non si possono definire continuativi «hanno fornito le loro credenziali e hanno fatto almeno un acquisto. Ad aprile abbiamo fatto 110mila nuovi clienti e a maggio ne abbiamo contato 60mila in più». Con la nuova release aumenterà, dunque, l’ impegno sui mercati esteri «e a regime Inghilterra e Germania dovrebbero rappresentare per noi i primi due mercati. L’ Italia sarebbe il terzo». Del resto in termini di mercato potenziale Uk e Germania valgono il 60% del mercato europeo. Certo, le proiezioni di mercato non sono favorevoli al modello Tvod, destinato a ridurre la propria quota a fronte di uno Svod in crescita. «Va però tenuto presente – replica Tacchia – che come Tvod abbiamo la prima finestra dopo il cinema. Parliamo di contenuti disponibili 105 giorni dopo l’ uscita in sala. Dopo 3-6 mesi arriva la pay tv e poi gli altri». Insomma, elementi che potrebbero giocare a vantaggio di chi opera in questo ambito. «Per quanto ci riguarda – aggiunge Tacchia – siamo in crescita e contiamo di arrivare all’ utile nel 2018, come da business plan». Nel 2016 i conti hanno chiuso in rosso, ma «i ricavi 2016, pari a 7,1 milioni, sono stati più che superati già nei primi 4 mesi di quest’ anno, in cui abbiamo raggiunto i 10 milioni». Intanto Chili ha ufficializzato l’ acquisizione di CineTrailer, app di cinema con oltre 5 milioni di download in Europa. In Italia, CineTrailer è uno dei servizi più usati per scegliere il film e decidere dove vederlo. Uno strumento, quindi, che consentirà a Chili di avere informazioni utili per arrivare in maniera targhettizzata al cliente finale. Cosa non secondaria: l’ app è disponibile nei principali mercati europei, vale a dire Germania, Spagna, Francia, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia e Uk. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Feltrinelli si riorganizza e ritorna anche all’ utile

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Ora siamo nelle condizioni di guardarci intorno». Roberto Rivellino, amministratore delegato di Feltrinelli – carica che ricopre dal 2012 – lo fa capire con molta chiarezza che, per la casa editrice fondata da Giangiacomo Feltrinelli, adesso ci sono le condizioni per pensare al futuro in un’ ottica di sviluppo. Dopo cinque anni di perdite Feltrinelli è infatti ritornata in utile, con ricavi in lieve crescita e l’ obiettivo di chiudere il 2017 con risultati in linea. «Il mercato del libro non è trainante. E quindi per noi è una sfida. Oggi però – ha commentato l’ ad – siamo più liberi, più solidi e da questa posizione possiamo guardare se si presentano occasioni sul mercato, sia nell’ ambito del digitale sia nei contenuti». Nel primo caso si guarda all’ espansione dell’ e-commerce, ma anche della trasformazione dei contenuti in chiave digitale. E lo sguardo va dunque a società o startup specializzate in quest’ ambito. Nel secondo caso «possiamo pensare di crescere sia per linee interne, con nuovi autori per esempio, sia con acquisizioni di piccole case editrici, decise a sposare il nostro progetto». A ogni modo Rivellino tende e precisarlo più volte: «Al momento non c’ è nulla di concreto», risposta che dà anche all’ ipotesi di quotazione in Borsa: «Non escludiamo un’ apertura al mercato, ma al momento non ci siamo neanche iscritti al progetto Elite». La chiave di volta per far girare i conti in positivo è stato lo scorporo delle attività immobiliari in cui è stato conferito anche il debito, completato a gennaio 2017. Lo stesso investimento immobiliare per la sede in Viale Pasubio a Milano è nella dotazione del fondo paritetico Feltrinelli per Porta Volta, frutto dell’ accordo con Coima Sgr (cui sono stati peraltro ceduti i muri di 5 librerie per 50 milioni). «I dati del 2016 – ha comunque spiegato Rivellino – sono frutto di una serie di attività e modalità gestionali che interpretano tutto nell’ ottica della creazione di un sistema integrato». Insomma, dopo aver archiviato il complesso spin off delle attività immobiliari conferendovi anche il debito, il gruppo controllato dall’ omonima famiglia tramite la holding Effe 2005 ha chiuso il bilancio consolidato 2016 con segno positivo e può dirsi pronto a guardare il mercato con un approccio da potenziale acquirente o catalizzatore. Escluse dunque le attività immobiliari, la casa editrice con la sua rete retail e il canale tv LaEffe (in esclusiva su Sky e ora a breakeven) ha chiuso il 2016 con 366,6 milioni di ricavi (+6,4%, ma +1,5% non considerando la controllata spagnola Anagrama). Sempre in questo perimetro l’ Ebitda recurring (al netto di eventi non ricorrenti) è di 22,8 milioni (+12,3 milioni sul 2015) con utile netto di 3,3 milioni, da un rosso di 25,2 milioni l’ anno prima, e posizione finanziaria netta positiva per 3,3 milioni. Se nella parte editoriale – dove Feltrinelli con il 4,7% è quarta nel mercato trade dopo Mondadori (29%), Gems (11%), Giunti (9%) – la casa editrice vuole porsi come aggregatore, nel retail, forte di 117 punti vendita, di cui 11 in franchising, il progetto è quello di far crescere la formula Red, sviluppata in jv con Cir Food, unendo ristorazione e libreria. Il piano è di arrivare a 20 nuovi punti entro il 2020 (con ricavi triplicati a 45 milioni) «e le prime, nel corso di quest’ anno, saranno a Milano e a Roma». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Feltrinelli in utile dopo 5 anni

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Dopo 5 anni il gruppo Feltrinelli torna in utile (+3,3 milioni) e si guarda intorno per trovare possibili acquisizioni o integrazioni da realizzare, senza escludere a priori nemmeno la quotazione in Borsa o l’ apertura a terzi del capitale, che l’ omonima famiglia detiene al 100% e da cui al momento non pensa di uscire. Solo «adesso siamo nelle condizioni per fare valutazioni future sia sul fronte del digitale», spiega l’ a.d. Roberto Rivellino, «sia su quello dei contenuti come aggregatore di piccoli editori di libri. Siamo pronti ad aprirci solo a chi è interessato. Al momento, però, non c’ è nulla di concreto così come per l’ ipotesi Borsa o l’ apertura del capitale. Non abbiamo partecipato al consolidamento del settore, ma la nostra dimensione va bene così. Non puntiamo a raggiungere Giunti», aggiunge Rivellino facendo riferimento alla vendita di Bompiani a Giunti da parte di Mondadori, dopo l’ acquisizione di Rcs Libri. Oggi poi, nel segmento trade, Mondadori ha una quota di mercato intorno al 30%, Gems all’ 11%, Giunti al 9% e il gruppo guidato da Carlo Feltrinelli (che comunque si è interessato al dossier Bompiani) segue al 5% ma con all’ attivo partnership, che uniscono il gruppo tra gli altri alla Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi come suo promotore commerciale, o investimenti veri e propri in altre società come nel caso della neonata editrice Sem (vedere ItaliaOggi del 25/1/2017), di cui Feltrinelli possiede una quota del 37,5% che potrà o meno salire. «Guardarsi intorno solo due anni fa non sarebbe stato possibile», prosegue l’ a.d. del gruppo che ha chiuso il 2016 in utile per 3,3 milioni di euro (rispetto al rosso 2015 di 25,2 mln) a fronte di ricavi per 366,6 milioni (+6,4%). L’ ebitda al netto degli elementi non ricorrenti è pari a 22,8 milioni (a quota 10,5 mln nel 2015). La posizione finanziaria netta è positiva per 3,3 milioni. Conti che non comprendono le attività immobiliari separate l’ anno scorso, insieme al debito (sceso a circa 134 milioni), dalle attività core culturali e librarie. In particolare, il segmento delle librerie (117 in tutto, di cui 11 in franchising e 5 a insegna Red-Read eat dream), che comprende oggi sia la ristorazione sia l’ e-commerce, genera più dell’ 80% del fatturato complessivo (317,3 mln, +1,1%) e assicura un ebitda al netto degli elementi non ricorrenti di 13,9 milioni (+6,1%). Quindi, il riordino del gruppo non ha riguardato solo le attività immobiliari ma ha compreso anche le attività retail, adesso confluite tutte sotto quelle librarie, senza dimenticare la cessione al partner immobiliare Coima sgr di 5 unità immobiliari per 50 milioni di euro («restano solo un paio di negozi con muri di proprietà», a giudizio dell’ a.d.). Passando invece all’ editrice italiana di libri insieme con la spagnola Editorial Anagrama (controllata al 99%), il business mosso è di 40,2 milioni (+24,8%) e l’ ebitda registrato di circa 7 milioni. C’ è infine la televisione laeffe, passata dal digitale in chiaro al satellitare di Sky al numero 139, che segna un ebitda sopra il milione di euro, oltre il punto del break-even. Per il 2017 Rivellino punta a risultati in linea con l’ esercizio precedente e vede tra le sue prossime sfide «l’ integrazione tra offline e online, cavalcando il nostro e-commerce che cresce più del mercato». Ma tra le scommesse del futuro c’ è anche l’ espansione del format di libreria Red con annesso servizio di ristorazione (per le altre tipologie di punti vendita non sono previste inaugurazioni). L’ obiettivo confermato è aprire 20 negozi entro il 2020: «prime tappe Milano e Roma», conclude Rivellino. Operazioni da attuare tramite Fc Retail, joint venture con Cir Food che segue anche l’ insegna palermitana Antica focacceria San Francesco. Per Red il traguardo ultimo da tagliare resta quello dei 45 milioni di ricavi, entro il 2020, proprio grazie alle nuove aperture di librerie.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Calcio, l’ Antitrust si riserva di decidere sull’ esposto Mediaset. L’ Antitrust si riserva di decidere sull’ esposto presentato da Mediaset contro il bando per i diritti tv della Serie A di calcio nel triennio 2018-2021. Lo hanno affermato ieri fonti dell’ authority. Mediaset aveva inviato un esposto contestando il bando perché favorirebbe la concorrente Sky. Il termine per presentare le offerte è sabato prossimo, quando si deciderà sull’ assegnazione. Minoli, niente Rai e più impegni a La7. Giovanni Minoli non tornerà in Rai: il suo futuro nell’ immediato è a La7, secondo quando reso noto ieri dallo stesso giornalista. Minoli lascia dunque Radio 24 del gruppo Sole 24 Ore. «Nella nuova stagione farò più televisione a La7», ha ribadito il giornalista che lascia l’ editore confindustriale insieme a tutto il suo staff: Pietrangelo Buttafuoco, Mario Sechi e le autrici Alessandra Fiori e Ale Cravetto. Minoli fa anche riferimento alle polemiche di pochi giorni fa relative alla sua intervista a Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria, durante il programma tv Faccia a Faccia in onda proprio su La7. «Qualcuno mi ha detto», ha dichiarato, «che l’ intervista a Boccia con la relativa difesa del lavoro professionale di Roberto Napoletano non è piaciuta né al nuovo management né al nuovo direttore del quotidiano Guido Gentili né a quello della radio Sebastiano Barisoni. Non credo sia vero. Considero invece prezioso il lavoro sui tagli di budget necessario per rianimare l’ azienda». Fazio a La7, Cairo: non so, vediamo. L’ editore del canale tv La7 Urbano Cairo non si sbilancia riguardo a eventuali contatti con il conduttore Rai Fabio Fazio per portarlo nella propria scuderia. «Fazio ha fatto l’ ultima puntata, però è ancora in Rai. Perlomeno fino al 30 giugno, che sappia io, è alla Rai. Poi, dopodiché, non so, vediamo», ha dichiarato Cairo ieri a Milano a margine della consegna del premio Socrate fondato da Cesare Lanza. Quanto alle indiscrezioni secondo le quali Cairo si è visto con Beppe Caschetto, manager di Fazio, l’ editore ha spiegato: «sì, ma è anche l’ agente di molti altri conduttori e conduttrici. Vediamo. Però non credo, pur stimando molto Fazio». Cairo ha concluso dicendo che «vediamo se le cose evolveranno in un modo o in un altro. Lui comunque è in Rai in questo momento». Pinterest, round da 150 milioni di dollari (133,3 mln di euro). Il social network con sede a San Francisco fondato nel 2009, arriva così a una raccolta complessiva di 1,47 miliardi di dollari (1,3 mld di euro) dagli investitori. Il social conta 175 milioni di utenti attivi al mese (meno dei 301 mln di Snapchat e molti meno dei 700 mln di Instagram) e basa il suo business sulla vendita di spazi pubblicitari. La sua valutazione è di 12,3 miliardi di dollari (10,9 mld di euro). Nel 2017 punta a un fatturato di 500 milioni di dollari (444,2 mln di euro). Sky, programmazione speciale per la Giornata degli oceani. In occasione della 25° Giornata mondiale degli oceani indetta dall’ Onu, oggi e per tutto il mese, Sky proporrà contenuti speciali e approfondimenti sul problema dell’ inquinamento dei mari. Si parte oggi con una programmazione speciale di Sky Tg24. Elle Decor firma le vetrine per i 100 anni della Rinascente. La Rinascente compie 100 anni e affida il progetto delle vetrine a Elle Decor Italia, che ha scelto gli oggetti più emblematici per raccontare un secolo di moda e design. Esposizione in calendario fino al prossimo 12 giugno nel negozio di piazza Duomo, a Milano.

Rcs, Cairo studia l’ emissione di un bond

Italia Oggi

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Il gruppo Rcs-Corriere della Sera sta valutando l’ ipotesi di una emissione obbligazionaria: lo ha confermato ieri a Milano il numero uno della holding editoriale Urbano Cairo, a margine della cerimonia del premio Socrate fondato da Cesare Lanza. «Vediamo, stiamo valutando la cosa. Non è un fatto deciso. È una cosa a cui stiamo pensando», ha dichiarato Cairo che poi ha aggiunto: «stiamo anche parlando con le banche con le quali abbiamo il finanziamento». Quindi ancora nulla di definitivo sull’ argomento ma, ha chiosato l’ imprenditore che è anche editore di vari magazine, del canale tv La7 nonché patron del Toro calcio, «se lo faremo, il bond serve a ridurre parte del debito. A meno che con le banche non si faccia un allungamento diverso». E per quanto riguarda invece il rifinanziamento con le banche? Cairo ha risposto che «è tutto collegato. Certamente siamo in contatto».

Radio Freccia missione compiuta

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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«Missione compiuta». Lorenzo Suraci esulta per la sua ultima impresa: aver raggiunto il 60% della copertura del territorio e di tutti i capoluoghi di provincia per Radio Freccia, l’ ultima nata delle sue emittenti, posta accanto all’ ammiraglia Rtl 102.5 e a Radio Zeta l’ italiana. Ieri è scaduto il termine entro il quale Suraci doveva presentare al ministero dello sviluppo economico la situazione degli impianti della radio rock, dimostrando carte alla mano che l’ obiettivo minimo di copertura era stato raggiunto. Un test non da poco, dopo gli sforzi fatti negli ultimi mesi per mettere in piedi Radio Freccia a cui ora seguiranno le verifiche del ministero. «Ma ci siamo riusciti, abbiamo fatto un grande lavoro, si può scrivere un libro», dice l’ editore. «Abbiamo allineato il lavoro sul format della radio con la copertura. Siamo passati dal 38 al 60% del territorio italiano in pochi mesi, e viste le condizioni geografiche dell’ Italia si può comprendere quanto sia stato difficile. Ora comunque arriviamo a più del 90% della popolazione». Suraci parla di un investimento su Radio Freccia di 19 milioni di euro, nato con l’ acquisizione della concessione di radio comunitaria nazionale e di alcune frequenze da Radio Padania nell’ agosto 2016 e terminato qualche giorno fa sempre con la radio della Lega, dalla quale l’ imprenditore ha comprato le ultime frequenze rimaste (tranne una). Con il contratto iniziale la transazione fra i due è stata di circa 2,1 milioni, con l’ ultimo meno di 1 milione per altre dieci frequenze. Ma Suraci ha acquisito diverse frequenze anche da emittenti locali per riuscire ad arrivare nei capoluoghi di provincia. Inoltre ha acceso impianti autonomamente occupando spazi dell’ etere liberi gratuitamente, grazie alla legge che dà questa possibilità unicamente alle radio comunitarie, quale è Radio Freccia in virtù della concessione che era di Padania. «Non dico che questa possibilità è stata ininfluente, però abbiamo dovuto mettere mano al portafoglio. Ci siamo indebitati per i prossimi 10 anni ma ne vale la pena». La verifica del ministero, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, era già stata avviata quando ancora la concessione era di Radio Padania e le conseguenze in caso di non rispetto delle norme sarebbero state il downgrade a emittente locale con differenti vincoli, tra i quali quello di non potersi espandere oltre i 15 milioni di abitanti. E dire che l’ idea di Radio Freccia è nata quasi un anno fa come ripiego. In un primo momento, infatti, le frequenze di Padania dovevano essere usate per ampliare Radio Zeta, ma l’ acquisizione fu rimandata al mittente dal ministero perché una radio comunitaria non poteva vendere a una radio commerciale. Così Suraci ha pensato di farsi un’ associazione e di creare una nuova emittente comunitaria, con vincoli maggiori su autoproduzione e tetti pubblicitari ma comunque con un target di amanti del rock appetibile. All’ epoca la notizia, svelata da ItaliaOggi, ebbe grande successo sui social dove si scherzò sulla vendita della radio dei leghisti a un calabrese (sebbene trapiantato da giovane a Bergamo) per la legge del contrappasso. Gli investimenti comunque per ora sono fatti, compresi quelli sul palinsesto. «Siamo sempre in diretta, 24 ore su 24. Abbiamo assunto una cinquantina di persone, fra dj, giornalisti e tecnici, perché ci crediamo. Radio Freccia e Radio Zeta, inoltre, sono state allineate in tv a Rtl, perché ora sono tutte e due in radiovisione sul digitale terrestre. La programmazione di Zeta, inoltre, è stata rinvigorita. Abbiamo dato più spazio alle conduttrici femminili e la responsabilità artistica a Federica Gentile sotto il coordinamento di Angelo Baiguini che si occupa da anni di Rtl 102,5 e a cui fa riferimento anche mio figlio Daniele per Radio Freccia». Per quanto riguarda la pubblicità, Suraci parla di una prima parte del 2017 allineata rispetto allo stesso periodo del 2016. «Siamo soddisfatti dei risultati, sebbene raggiunti con i coltelli affilati fra i denti, specialmente ora con la concorrenza di RadioMediaset. Parlo ovviamente di Rtl, perché Freccia e Zeta sono ancora giovani. Siamo in attesa dei nuovi dati di ascolto che arriveranno a settembre (quelli del Ter, Tavolo editori radio, ndr), senza diventa difficile proporre agli inserzionisti. Comunque non facciamo pacchetti di vendita con le altre radio, vendiamo separatamente». L’ avvento di RadioMediaset ha anche mosso le acque delle partnership televisive, per esempio con Rtl che è uscita fra gli altri da Amici (a cui si affianca ora Radio 105) per andare a prendere il posto di Deejay a X Factor. «Non abbiamo preso niente a nessuno», specifica Suraci. «Era qualche anno che Sky ci chiedeva collaborazione, così come è successo per Masterchef. Quest’ anno c’ è stata l’ opportunità di X Factor, penso che fossero in chiusura con Linus». E a proposito, che dice Suraci delle dichiarazioni del direttore artistico di Deejay che parlando appunto di X Factor aveva detto che Rtl vi «si è buttata sopra con l’ eleganza che la contraddistingue e noi siamo lieti di lasciarle spazio»? «Ci siamo visti a Radiocompass (l’ evento di Mindshare dedicato alle radio, ndr)», risponde, «e ci siamo salutati senza alcun rancore. Non ho preso male la sua uscita, d’ altronde non ho letto i giornali quei giorni lì». © Riproduzione riservata.

L’ Antitrust e Mediaset: l’ asta non slitta

La Repubblica

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L’ Antitrust si è ieri riservata di decidere in un secondo momento in merito all’ esposto presentato da Mediaset contro il bando della Lega Calcio per l’ assegnazione dei diritti tv per il triennio 2018-2021. Si tratta di un primo piccolo successo per la Lega commissariata da Carlo Tavecchio e per il suo advisor Infront che possono dunque procedere come da programmi con il processo di assegnazione: ricezione delle offerte entro le dieci del mattino di sabato, convocazione dell’ assemblea il giorno stesso alle ore 12, e assegnazione entro i successivi cinque giorni. L’ Antitrust interverrà eventualmente dopo, qualora dovesse ritenerlo opportuno. Mediaset chiedeva all’ Autorità un differimento dell’ asta con una riformulazione del bando. Lamenta, in particolare, che i pacchetti in cui è stato suddiviso il “prodotto Serie A” siano squilibrati, consegnando nelle mani di chi si dovesse aggiudicare il pacchetto D troppe partite, troppo importanti e a un prezzo (400milioni) troppo elevato. «Il pacchetto D – avevano spiegato da Mediaset – viola platealmente la legge Melandri laddove prevede che non vi possa essere un unico compratore dei diritti, e penalizza i consumatori italiani costretti ad aderire ad una sola offerta commerciale ». Secondo alcuni osservatori, dietro l’ esposto di Mediaset ci sarebbe però anche dell’ altro. E cioè un alto livello di nervosismo dovuto alla preoccupazione di trovarsi sabato mattina di fronte ad altre offerte (avanzate da Sky o da altri operatori) per il pacchetto B, quello per la trasmissione sul digitale terrestre delle gare di Juve, Milan, Inter e Napoli (oltre alle ultime quattro). Potrebbe essere questo infatti uno degli effetti collaterali della scelta della Lega di bruciare l’ Uefa e raccogliere le offerte prima dell’ asta per la Champions e l’ Europa League (prevista per il lunedì successivo). I broadcaster, in queste ore, stanno infatti mettendo a punto una strategia complessiva e non è escluso che qualcuno punti più a “marcare la concorrenza” che non ad aggiudicarsi una fetta più grossa. In un lungo comunicato, l’ advisor Infront, ieri ha ribadito la bontà della sua decisione: «L’ Assemblea della Lega ha preso la decisione, dopo un approfondito dibattito cui hanno partecipato tutti i club, di procedere, in coerenza con quanto richiesto dall’ Antitrust, con la vendita mista e di anticipare la Uefa Champions League. Nessun club ha votato contro queste determinazioni, vi sono stati infatti solo alcuni astenuti». ( ma. me.) ©RIPRODUZIONE RISVATA.

Circolare n. 20 del 08/06/2017 – Certificazione del bilancio di esercizio, del prospetto dei costi di testata e della diffusione

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Come ogni anno, ricordiamo alle imprese editrici che accedono ai contributi all’editoria di cui alla legge 250/90 e s.m. che – a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 – è stato abrogato l’albo delle società di revisione tenuto presso la Consob.

Ne deriva che le certificazioni previste dalla normativa per accedere ai contributi all’editoria (ovvero certificazione del bilancio d’esercizio, del prospetto dei costi di testata e della diffusione) possono essere rilasciate dai soggetti regolarmente iscritti al Registro dei revisori legali istituito presso il Ministro della giustizia dal 13 settembre 2012.

Chiaramente, tutte le società che negli anni precedenti hanno effettuato la revisione sono transitate nel nuovo registro, per cui rimangono abilitate al rilascio delle certificazioni richieste.

Il nuovo regime consente, comunque, di ampliare in maniera considerevole il numero di soggetti cui rivolgersi.

Per verificare il possesso del titolo di revisore legale necessario per rilasciare le certificazioni, è possibile consultare il Registro al seguente link:
https://www.revisionelegale.mef.gov.it/opencms/opencms/Revisione-legale/ricercaRevisori/

 

Rassegna Stampa del 09/06/2017

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Indice Articoli

Orfeo, il Minzolini di Renzi, in pole per la Rai

Dg Rai, Orfeo in pole position Ma senza accordo sarà interim

Rai, sull’ ipotesi Orfeo è braccio di ferro tra Renzi e Gentiloni

Parte l’ asta dei diritti tv sul calcio, tutti contro tutti

Pubblicità, quadrimestre stabile

Tv -0,6%. Rai -2%, Sky +1,4%, Mediaset -0,8%, Discovery +5%

Tv, una raccolta fra alti e bassi

Chessidice in viale dell’ Editoria

Class Editori, Giorgio Luigi Guatri presidente

Il compenso di Travaglio a La7 è top secret. Fatti i conti sono circa 125 mila

Quotidiani, aprile avaro di copie

Cresce +4.2% il mercato globale dei media. L’ adv online stacca la tv; i ricavi da vendita dei quotidiani superano quelli da pubblicità. Pwc: imperativo per le aziende trasformare i clienti in fan – DOCUMENTO e INFOGRAFICA

I dati Ads di diffusione della stampa di quotidiani e settimanali a aprile e dei mensili a marzo

Gli investimenti pubblicitari calano in aprile (-2.8%) e nel quadrimestre (0.3%). Male tutti i mezzi tranne la radio (+0.7%). I dati Nielsen – TABELLE

Aria di Intesa sul Sole24Ore

La cooperazione digitale, nuova frontiera dei media Ue

Il cda di Class Editori nomina Guatri presidente

Pironti, ottant’ anni tra pugni, libri e grandi firme

Orfeo, il Minzolini di Renzi, in pole per la Rai

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Oggi si prevede un’ altra giornata campale in Viale Mazzini. Si riunisce il Cda della Rai per nominare il nuovo direttore generale dopo l’ uscita di Antonio Campo Dall’ Orto. Il problema è che un nome ancora non c’ è e il vertice aziendale, senza indicazioni chiare dalla politica, sembra brancolare nel buio e non si esclude l’ interim delle deleghe del dg affidato ai consiglieri. Tra i papabili c’ è il direttore del Tg1 Mario Orfeo. Sarebbe assai gradito a Matteo Renzi ma sconta due handicap: se diventasse dg, si aprirebbe il problema della sua sostituzione alla guida del Tg1; inoltre è considerato troppo vicino al vertice del Pd, per ci sarebbe un veto M5S . Per il giornalista napoletano sarebbe il coronamento di una carriera bruciante, che negli ultimi anni l’ ha visto fare la spola tra carta stampata e tv. Il suo primo giornale, nel 1984, è stato Napolinotte, dove entrò grazie alle amicizie del nonno, il senatore dc Ludovico Greco. Lo zio, invece, Vincenzo Maria Greco, era collaboratore del napoletano allora più potente su piazza, Paolo Cirino Pomicino, che prese il giovane Orfeo al mensile Itinerario. La svolta, però, arriva nel 1990 quando, anche grazie alle sue sponde Dc, Orfeo approda alla redazione napoletana di Repubblica, a soli 24 anni. Qui si fa talmente apprezzare che, nel 1994, Ezio Mauro lo chiama a Roma, al politico e poi all’ ufficio centrale. Nella Capitale continua a ben frequentare: Pier Ferdinando Casini e, di rimando, il di lui suocero Francesco Gaetano Caltagirone. Il quale, a sorpresa, nel 2002 nomina Orfeo direttore del Mattino. In quei nuovi anni napoletani il giornalista aumenta le vendite e stringe un buon legame con Italo Bocchino e Mara Carfagna. Una coppia che, racconta Giancarlo Perna su La Verità, gli è utilissima per arrivare, nel 2009, alla direzione del Tg2. Il grande salto. Apprezzato un po’ da tutti, da Berlusconi a Monti, da Napolitano (che lo nomina commendatore) a D’ Alema, per lui è un gioco da ragazzi approdare nel 2012 alla guida del Tg1, dopo la defenestrazione di Augusto Minzolini. E da quella plancia, dal 2013, fiutato il nuovo vento che spira da Firenze, tesse buoni rapporti col mondo renziano, in particolare – si racconta – con Maria Elena Boschi. Non solo conoscenze, però: il Tg1 di Orfeo va a gonfie vele. “Alle 8.30 ha già letto tutti i giornali, non gli sfugge nemmeno una breve sulla stampa locale. Segue tutte le edizioni, fino a notte fonda. È attento a ogni dettaglio, difficile prenderlo in castagna”, raccontano a Saxa Rubra. Due estati fa, per dire la tenacia, ha saputo perdere 18 chili per amore della sua compagna. In Viale Mazzini, intanto, la tensione è alle stelle, come dimostra lo scontro tra Cda e il sindacato dei giornalisti Usigrai per un comunicato letto ieri durante Tg e Gr. “Il Cda e la presidente sono corresponsabili di due anni d’ immobilismo e sono troppo impegnati a compiacere i partiti”. “Parole false e lesive dell’ immagine del servizio pubblico”, replica l’ azienda. Controreplica Usigrai: “Portateci in tribunale, e lì chiariremo i fatti”

Dg Rai, Orfeo in pole position Ma senza accordo sarà interim

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Si gioca sul filo di lana la partita per il nuovo dg della Rai, dopo l’ uscita di Antonio Campo Dall’ Orto. A tirare le somme saranno il premier Paolo Gentiloni e il segretario del Pd Matteo Renzi in vista del cda in programma oggi. A tarda sera ancora non era arrivata alcuna indicazione definitiva sui nomi o sulla terna di nomi che potrebbero essere in qualche modo suggeriti al cda cui spetta, formalmente, il compito di indicare il direttore generale. Lo strappo sulla legge elettorale complica le cose, ma da un certo punto di vista potrebbe semplificarle con un Pd che si troverebbe ad agire senza il rischio di rompere i delicati equilibri che si erano venuti a creare con le altre forze politiche (in primis M5s). In pole comunque c’ è il nome di Mario Orfeo (nel caso, per la direzione del Tg1 il nome più accreditato è quello del direttore di Rainews Antonio Di Bella ), seguito dall’ ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco. Ma senza un accordo la soluzione sarebbe l’ interim consigliare. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, sull’ ipotesi Orfeo è braccio di ferro tra Renzi e Gentiloni

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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ROMA. Sulla crisi del vertice Rai va in scena un confronto serrato, quasi un braccio di ferro tra Matteo Renzi – deciso a portare Mario Orfeo alla Direzione generale della tv di Stato – e il premier Paolo Gentiloni, invece dubbioso su questa soluzione. Nel faccia a faccia di ieri con il segretario del Pd, Gentiloni ha definitivo Orfeo (oggi alla guida del Tg1) uno straordinario centravanti che – per definizione – rende alla grande quando schierato di punta. Se spostato in porta, in un ruolo manageriale invece che giornalistico, Orfeo rischia di andare in affanno. E intanto l’ attacco di Viale Mazzini, il Tg1, potrebbe perdere in incisività e ascolti. Renzi resta convinto che la soluzione Orfeo sia la migliore (e questa sua idea peserà molto). Ma il leader del Pd ha anche chiarito, per rispetto dei ruoli istituzionali, che la mossa finale spetta al presidente del Consiglio e al ministero per l’ Economia. Il governo dovrebbero scegliere già nelle prossime ore il nuovo direttore generale, anche alla luce del Consiglio di amministrazione convocato alle 10 di oggi per l’ incoronazione. Rinviare oltre la pratica Rai – su questo tutti gli attori in campo sono d’ accordo – non è consigliabile a pochi giorni dalla presentazione del palinsesto dei programmi, ancora incompleto. Sulla necessità di una soluzione veloce, sta insistendo il presidente della tv pubblica Maggioni nei suoi contatti istituzionali con l’ azionista quasi totalitario, che è l’ Economia. Sono ormai tre giorni che l’ azienda manca del suo numero uno, dopo l’ uscita di scena del dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto. Il confronto tra Renzi e Gentiloni, ovviamente, non cade in una giornata qualunque. Ieri il castello della legge elettorale è crollato. Questa dirompente novità politica – secondo gli esponenti gentiloniani – autorizza Palazzo Chigi a individuare il nuovo dg di Viale Mazzini al di fuori da qualsiasi accordo con le opposizioni. Se questa tesi avesse il sopravvento, la Direzione generale della Rai finirebbe all’ ex consigliere di amministrazione ed ex direttore del Tg3 Nino Rizzo Nervo, anche a costo di deludere influenti esponenti di Forza Italia che lo considerano come il diavolo (leggi Maurizio Gasparri). Viceversa, molti leader renziani pensano che la rottura sulla legge elettorale si sia consumata con i 5Stelle e che il dialogo sulle riforme resti in piedi e andrà consolidato con Berlusconi. Questo secondo schema di gioco restituisce a Orfeo il ruolo di favoritissimo per il ruolo di dg perché il giornalista non è mai stato avversato dai forzisti. Oggi, dunque, si riunirà il Consiglio di amministrazione che – in assenza della designazione di un nuovo direttore generale – potrà assumerne i poteri, come la legge e lo Statuto aziendale gli permettono. A Viale Mazzini, l’ aria è carica di elettricità come dimostra il comunicato diffuso dal sindacato dei giornalisti. «Ogni giorno perduto significa soldi sprecati, i vostri soldi. E occasioni sprecate, come quella di rilanciare il servizio pubblico», scrive l’ Usigrai, Il Cda e la sua presidente Maggioni, corresponsabili di due anni di immobilismo, sono troppo impegnati a compiacere i partiti che vogliono usare la Rai come un treno per la prossima campagna elettorale. Per questo non trovano il macchinista che metta tutti d’ accordo. Da oggi conteremo con voi ogni giorno perduto. Salviamo insieme la nostra, la vostra Rai». A queste parole, la televisione pubblica replica, piccata: «Il vostro comunicato si basa su assunti distorsivi della realtà e lesivi dell’ immagine del servizio pubblico. Nessuno, men che mai il Consiglio, si è prestato a interessi di parte». L’ Usigrai tiene il punto e ribatte: «Portateci in tribunale, è quella la sede ideale per stabilire chi distorce la realtà» ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il nuovo direttore generale di Viale Mazzini potrebbe essere scelto oggi stesso L’ altro candidato ancora in corsa è Nino Rizzo Nervo, vicesegretario generale di Palazzo Chigi GARA A DUE In corsa per la poltrona di direttore generale Rai Mario Orfeo (sopra), già direttore del Tg2 e ora del Tg1, e Nino Rizzo Nervo (sotto), ex direttore del Tg3 FOTO: ©ANSA.

Parte l’ asta dei diritti tv sul calcio, tutti contro tutti

Il Manifesto
NICOLA SELLITTI
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NICOLA SELLITTI II Un tesoretto da oltre un miliardo di euro. E un pezzo di storia recente del pallone italiano. Domani mattina saranno assegnati i diritti tv (anche quelli esteri) per il triennio 2018-2021, del campionato spezzatino, con tre partite il sabato, cinque di do menica e chiusura il lunedì sera. In gioco ci sono Sky a Mediaset, che per il triennio 2015-18 si azzuffarono tra ricorsi, multe e visite alla procura di Milano, c’ è l’ incognita Antitrust e alcune possibili sorprese (Vivendi) pronte a rovesciare il tavolo. SUL PIATTO ci sono quattro pacchetti. Il primo (A) con una base d’ asta da 200 milioni di euro, riguarda i diritti satellitari per le partite di Juventus, Milan, Inter, Napoli, le tre neopromosse dalla Beil club con utenza più bassa; poi quello B, sempre da 200 milioni di euro, per le trasmissioni sul digitale terrestre delle gare delle squadre citate nel pacchetto A. La busta C invece ri guarda i diritti di trasmissione sul web, con due sotto pacchetti (C1 e C2), ognuno con quattro tra le squadre citate nei due precedenti pacchetti. Infine c’ è l’ opzione D, unica per prodotto e non per piattaforma: esclusiva delle altre 12 squadre, compreso le due romane e la Fiorentina, costo da 400 mln di euro complessivi. Ma prima dell’ asta c’ è stata la conta degli scontenti. La Lega inizialmente voleva creare un bando che piazzasse i pacchetti non per piattaforma (digitale terrestre, satellitare e web) ma per prodotto, materiale in esclusiva, come in Germania e Inghilterra. MA PER L’ ANTISTRUST sarebbe sta ta ostacolata la concorrenza. Quindi, formula ibrida con quattro pacchetti (tre per piattaforma) che ha deluso Sky (per confermare l’ offerta attuale dovrà spendere 700 mln, 200 in più ri spetto a tre anni fa, per sviare l’ offensiva di Amazon Prime, Performe, Telecom -Vivendi o Discovery Channel) e Premium Mediaset, con conti in rosso e che ritiene avvantaggiata Sky. E poco felici per il bando di Lega e di Infront sono state anche alcune società di A. Sabato c’ è il rischio che l’ asta veda solo sedie vuote. Nel caso, carte rimescola tee diritti venduti per prodotto. Oppure, piano C; canale tematico (Serie A Channel) che sarebbe ceduto alle tre piattaforme, a prezzo unificato.

Pubblicità, quadrimestre stabile

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Nel primo quadrimestre 2017, il mercato degli investimenti pubblicitari chiude in calo dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2016 (-2,9% se si esclude dal web la stima Nielsen sul search e sul social per un totale di 2,068 miliardi di euro). Nel singolo mese di aprile la raccolta perde il 2,8% (-6,4% senza search e social). «Il mercato registra un sostanziale pareggio nel primo quadrimestre dell’ anno», ha spiegato Alberto Dal Sasso, tam e ais managing director di Nielsen: i prossimi due o tre mesi saranno probabilmente in «rosso» per motivi di pura stagionalità degli anni dispari, vista l’ assenza di grandi eventi sportivi particolarmente mediatici. Ci aspettiamo una ripresa nell’ ultima parte dell’ anno, quando il raffronto con il periodo degli Europei di calcio nel 2016 non condizionerà la raccolta pubblicitaria come nei mesi centrali». Relativamente ai singoli mezzi, la tv, come si vede nell’ altro articolo in pagina, è in calo del -4,2% nel singolo mese e chiude il periodo gennaio-aprile con un leggero decremento (-0,6%). Negativa la stampa: ad aprile i quotidiani e i periodici si attestano a -19,4% e -8,9% rispettivamente, portando la raccolta nel quadrimestre a -11,2% (204 milioni) e -8% (140 milioni). La buona performance della radio nel singolo mese (+3,5%) riporta l’ andamento del mezzo in terreno positivo (+0,7%, 120 milioni). Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in crescita del 7,3% (-1,4% se si escludono il search e il social). Chiudono il quadrimestre in trend negativo cinema (-16,1%, 4,7 milioni) e outdoor (-18,5%, 23,7 milioni). Cali più lievi per transit (-2,8%, 39 milioni) e direct mail (-5,5%, 96,8 milioni). La Go Tv (-2,4%, 4,4 milioni nei quattro mesi), è cresciuta nel solo mese di aprile del 10,1%. «Anche ad aprile la Go Tv con una crescita a doppia cifra segna la miglior performance tra tutti i media andando a ridurre il ritardo dei primi mesi dell’ anno», ha commentato Angelo Sajeva, presidente Fcp-Assogotv. «Sono molto soddisfatto perché il lavoro fatto dagli associati Class Editori, Grandi Stazioni e Vidion ha fatto sì che gli investitori e i centri media stiano progressivamente premiando un media moderno e ad alta tecnologia come la Go Tv. La nostra tv è riconosciuta ancor di più nei mesi di alta stagionalità per rinforzi territoriali su aree strategiche per i consumi dei brand, potendo offrire nel day time video personalizzabili ad alto impatto e con elevata frequenza». Per quanto riguarda i settori merceologici degli investimenti in generale, se ne segnalano 11 in crescita, con un apporto complessivo di circa 55 milioni di euro. «L’ accelerazione dell’ economia italiana, riportata dalla recente correzione al rialzo della stima preliminare sul pil del primo trimestre (dallo 0,2 allo 0,4%), che migliora le stime governative, è confermata dall’ Istat che riporta buoni segnali sia sui consumi interni che sull’ occupazione. Attendiamo di vedere se e come questi segnali possano scaricarsi anche in parte sul mercato della pubblicità, a sostegno dei consumi»», ha concluso Dal Sasso. «Ci si muove ancora tra segnali contrastanti. La stagione delle elezioni in grandi Paesi d’ Europa potrà consegnarci maggiori certezze per il 2018, ma crediamo che il 2017 rimarrà un anno di transizione: le nostre previsioni aggiornate a maggio ci mostrano una fine dell’ anno con una crescita inferiore al 2%». © Riproduzione riservata.

Tv -0,6%. Rai -2%, Sky +1,4%, Mediaset -0,8%, Discovery +5%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Un pessimo aprile per la raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo. Le festività e i ponti concentrati nel mese allontanano le pianificazioni e trascinano la tv a un -4,2% rispetto all’ aprile 2016. Ma i mesi di maggio e giugno, secondo le stime, faranno tornare il sereno. Comunque, i primi quattro mesi del 2017 chiudono con una tv al -0,6% sul 2016, e una prevalenza di segni negativi. Si salvano solo Discovery, a +5,5%, e Sky, a +1,4%. E in effetti questi sono anche gli unici gruppi a sfangarla pure in aprile: +4,7% per Discovery e +0,5% per Sky Media. Sky (12,1%) e Discovery (5,9%) controllano però solo il 18% del mercato degli investimenti pubblicitari in tv. Sono invece i big a soffrire: Mediaset (56,3% del mercato tv) scende del 4,4% in aprile e dello 0,8% nei primi quattro mesi; Rai (21,6% del mercato tv) molto male in aprile (-9%) e giù del 2,1% nel quadrimestre (da ricordare che dal maggio 2016 non ha più la raccolta di YoYo). La7, infine, è al -4,1% nel quadrimestre, ma in aprile migliora relativamente la sua performance, fermandosi al -3%.

Tv, una raccolta fra alti e bassi

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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C’ è l’ effetto Europei di calcio 2016 che sicuramente penalizza Rai e Sky nel confronto con il primo semestre del 2017. Ma, fatta questa premessa, i dati di raccolta pubblicitaria nel periodo gennaio-giugno tratteggiano piuttosto bene gli sviluppi dello scenario televisivo italiano. In base alle stime raccolte da ItaliaOggi, il gruppo Mediaset, che controlla circa il 56% degli investimenti pubblicitari televisivi italiani, dovrebbe avere una raccolta in crescita dell’ 1% sul mezzo tv nel primo semestre 2017 rispetto allo stesso periodo 2016. Un report di Credit Suisse attribuisce poi al Biscione un incremento del fatturato pubblicitario del 2,5% sull’ intero anno, considerando però anche il comparto radio, che rappresenta una voce sensibile e nuova nel confronto col 2016. Il gruppo Rai, che controlla invece circa il 21,6% della torta degli investimenti pubblicitari televisivi, stima di chiudere il primo semestre, al netto degli Europei di calcio 2016 e di Rai Yo-Yo (che dal maggio 2016 non può più trasmettere spot), con un calo dell’ 1%. Pesa, soprattutto, la cancellazione del talent show The Voice, che nel primo semestre 2016 aveva assicurato 11-12 milioni di euro di raccolta pubblicitaria, venuta meno nel 2017. Per chiarezza ricordiamo che «al netto degli Europei e di Yo-Yo» significa confrontare il dato 2017 col dato 2016 depurato dagli introiti relativi agli Europei e a Rai Yo-Yo. Il budget della concessionaria di Viale Mazzini fissa come obiettivo per fine 2017 una raccolta complessiva attorno ai 680 milioni di euro, in crescita del 2% sul fatturato 2016, sempre al netto di Europei e Rai Yo-Yo. La concessionaria Sky Media, che in questi primi sei mesi ha avuto un andamento molto ondivago, con picchi in basso (soprattutto a inizio anno) e in alto (marzo, maggio e giugno hanno performance molto buone in primis grazie ai canali in chiaro, e soprattutto Tv8; poi per merito di un mese di maggio con un calendario di eventi sportivi ricchissimo; infine, pure l’ on demand ha un andamento positivo e un peso sempre più rilevante), dovrebbe chiudere il primo semestre con un +5% al netto degli Europei di calcio 2016. Controlla circa il 12% degli investimenti pubblicitari televisivi e punta forte sull’ ottima curva degli ascolti di Tv8. Le previsioni interne danno inoltre una stima di chiusura in crescita anche su tutto l’ anno, e pure al lordo degli Europei 2016. Chi va meglio dei concorrenti in termini di crescita della raccolta pubblicitaria sul mezzo televisivo è tuttavia il gruppo Discovery Italia. Ha in mano circa il 6% del mercato pubblicitario televisivo, e, probabilmente grazie all’ arrivo di Maurizio Crozza su Nove, e agli interessanti risultati di ascolto di Cucine da incubo (Antonino Cannavacciuolo) e di Boom (Max Giusti), dovrebbe chiudere il primo semestre 2017 con un +7% sullo stesso periodo del 2016 (ottimi i mesi di marzo, +16%, e di maggio, +13%). La7, infine, paga un primo semestre 2017 difficile e potrebbe incassare un -4% nella raccolta pubblicitaria rispetto allo stesso periodo 2016. Controlla il 4% degli investimenti pubblicitari sul mezzo televisivo, e sta provando a rilanciarsi con una nuova direzione di rete (il direttore Andrea Salerno si è insediato da pochi giorni) e con una serie di novità in palinsesto. È già arrivata la squadra di Gazebo da Rai Tre, e pure il team di Giovanni Minoli (appiedato da Radio 24) potrà concentrarsi maggiormente sulla collaborazione con La7, curando più progetti. Poi ci sono i grandi personaggi in predicato di abbandonare la Rai: fonti interne di viale Mazzini danno per più che probabile l’ addio di Fabio Fazio e pure quello di Piero e Alberto Angela. Vedremo se La7 riterrà opportuno fare sforzi in questo senso. Perché comunque di enormi sforzi, in termini economici, si tratterà. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Nazione, Carassi fa il bis alla direzione. Francesco Carrassi torna alla guida del quotidiano toscano che ha già diretto da aprile 2002 a dicembre 2008. Firmerà domani. L’ ex direttore Pierfrancesco De Robertis rimane nel gruppo guidato da Andrea Riffeser Monti con altro incarico. Yahoo, ok alla fusione con Verizon, verso il taglio di 2.100 posti. Gli azionisti di Yahoo hanno dato il via libera alla fusione con Verizon. L’ accordo dovrebbe essere chiuso come previsto il 13 giugno. La nuova entità si chiamerà Oath. Secondo la stampa americana potrebbero essere tagliati 2.100 posti di lavoro. L’ acquisizione di Yahoo da parte di Verizon costerà 4,5 milioni di dollari. Al Jazeera sotto attacco hacker. Al Jazeera ha denunciato ieri di essere sotto attacco hacker. La prima rete all-news araba sta fronteggiando l’ emergenza, hanno fatto sapere ieri dal Qatar, ma l’ emirato è da giorni sotto pressione dopo la decisione di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Yemen di rompere ogni relazioni con il governo di Doha, accusato di finanziare gruppi terroristici oltre che di tenere relazioni troppo strette con l’ Iran. Pwc, il mercato media & intrattenimento in crescita. Nel 2021, il mercato mondiale dell’ Entertainment & Media avrà un valore stimato di 2.237 miliardi di dollari (2 mila mld di euro), pari a un tasso di crescita annua composto del 4,2%. Il dato emerge dal Global E&M Outlook 2017-2021 di PwC. Lo studio registra come nel 2016, per la prima volta, i ricavi della pubblicità via internet (190 mld di dollari, 169,6 mld di euro) abbiano superato quelli della tv (169 mld di dollari, 150,8 mld di euro). #Media4EU, la ripresa passa dai progetti in partnership. Cooperazione digitale, scambio dati e condivisione di competenze ed esperienze tra i produttori di informazioni della Ue: sono questi i punti di #Media4EU, la ricerca dedicata all’ innovazione nel campo dell’ informazione promossa da EurActiv e presentata ieri a Roma. Wind Tre in pubblicità per parlare alle aziende. Wind Tre Business, il nuovo marchio di Wind Tre dedicato ad aziende e pubblica amministrazione, lancia una campagna pubblicitaria con il presentatore Carlo Conti come testimonial e dedicata all’ offerta Gigashare. Audiweb scioglie online i dubbi sull’ audience. Audiweb ha pubblicato una nuova pagina del suo sito per raccogliere le risposte alle domande più frequenti e semplificare la comprensione del sistema di rilevazione.

Class Editori, Giorgio Luigi Guatri presidente

Italia Oggi

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Il consiglio di amministrazione di Class Editori, riunitosi oggi con all’ ordine del giorno la nomina del presidente e cooptazione di un nuovo consigliere, ha cooptato e nominato presidente il dott. Giorgio Luigi Guatri, che in consiglio prende il posto del professor Gualtiero Brugger, il cui mandato come presidente era scaduto con l’ assemblea del 25 maggio e che si è dimesso da consigliere in data 7 giugno. Il consiglio di amministrazione, prendendone atto, ha rivolto al professor Brugger il più sentito ringraziamento per aver presieduto temporaneamente la casa editrice dopo la morte del professor Victor Uckmar. Giorgio Luigi Guatri è partner dello Studio Prof. Luigi Guatri e partner della Gnudi Guatri Consulenti Associati. Laureato in Economia e Commercio, è iscritto all’ Albo Unico dei Dottori Commercialisti di Milano, al Registro dei Revisori Contabili e all’ Albo dei Consulenti Tecnici del Giudice. Svolge l’ attività di dottore commercialista, con particolare riferimento a: pianificazione fiscale, joint venture internazionali, assistenza nelle valutazioni d’ azienda, controllo di gestione, riorganizzazione aziendale, contabilità e bilanci nazionali e internazionali. Tra le sue pubblicazioni, La valutazione del capitale economico dell’ impresa (Giorgio Guatri – Emanuela Fusa, Il Sole 24 Ore), Valutazione e financial reporting – Gli intangibili specifici acquisiti nelle business combination: identificazione e valutazione (Giorgio Guatri – Marco Villani, Marzo 2010, Egea), Le valutazioni per il Patent Box – Il Guatri Patent Box Method (Giorgio Guatri – Marco Villani, Dicembre 2015, Egea). «L’ accettazione del dottor Giorgio Luigi Guatri ad assumere la presidenza è motivo di particolare soddisfazione per tutti noi della casa editrice», ha dichiarato Paolo Panerai, vicepresidente e amministratore delegato della società, «anche perché rappresenta una linea di continuità con la tradizione di Class Editori, che prese avvio con la presidenza del professor Luigi Guatri, il quale come amministratore delegato oltre che Rettore dell’ Università Bocconi, aveva deciso di concorrere (con il 20% del capitale) alla fondazione della casa editrice attraverso la holding dell’ Università, Finanziaria 2000».

Il compenso di Travaglio a La7 è top secret. Fatti i conti sono circa 125 mila

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Proprio martedì scorso i due comici Luca e Paolo, nell’ introdurre il programma diMartedì su La7, ironizzavano sulla costante presenza di Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, nelle trasmissioni della rete di Urbano Cairo: «Ormai Travaglio non si può più considerare un ospite», dicevano, «ma un ostaggio di La7». Tuttavia il tema «Travaglio» era già stato ampiamente trattato addirittura durante l’ assemblea dei soci di Cairo communication, lo scorso 8 maggio a Milano. L’ azionista Gola, in particolare, aveva rilevato come «la costante presenza di certi giornalisti di parte come Marco Travaglio deprimono, a mio giudizio, la qualità dei programmi di La7», mentre il socio Marino si era avventurato nell’ argomento compensi: «Ho udito che Travaglio avrebbe compensi di 500 mila euro all’ anno per partecipare alla trasmissione Otto e mezzo». In effetti Travaglio ha un contratto per le sue apparizioni a La7. Contratto che, tuttavia, come da prassi, ha delle clausole di riservatezza. Il presidente di Cairo communication, Urbano Cairo, in sede di assemblea, ha comunque tenuto a rassicurare personalmente il socio Marino: «Il compenso di Travaglio, come ordine di grandezza, è circa la metà della metà della cifra da lei detta». Quindi, secondo quanto affermato da Cairo, si parla di 125 mila euro che La7 versa a Travaglio, per le sue ospitate. Soldi obiettivamente ben spesi, aggiungiamo noi, visto che è una delle poche grandi firme della carta stampata in grado di bucare il video. Dai verbali della assemblea di Cairo communication emergono anche altri interessanti siparietti. Alcuni soci vorrebbero «partecipare alla presentazione dei palinsesti autunnali di La7», il socio Facchetti sottolinea di aver saputo «di una recente cena tra i manager del gruppo all’ Hotel Principe di Savoia a Milano. Sarebbe opportuno, in futuro, allargare tali iniziative anche ai soci». Il socio Marino, riprendendo la richiesta di Facchetti, si accontenterebbe che alle cene fossero «invitati almeno i soci che partecipano all’ assemblea: in fondo non sono molti». Ovviamente Cairo communication risponde che «la presentazione dei palinsesti è un evento per addetti ai lavori con posti limitati», e che la cena «è quella di Natale», che Urbano Cairo organizza da 21 anni coi suoi manager. Ci si interroga pure su quanto costi l’ affitto della location in cui si tiene l’ assemblea (nel 2017 infatti si è passati in via Balzan 3, area Corriere della Sera, dopo alcuni anni al Circolo della stampa di corso Venezia, sempre a Milano). Costa 3 mila euro. Un socio, poi, ha voluto soddisfare una sua curiosità circa il numero di giornalisti praticanti utilizzati dal gruppo Cairo communication nel 2016: sono stati quattro in Cairo editore, nessuno a La7, e 14 in Rcs. Ma di questi 14, a oggi, ne sono rimasti solo cinque. Il socio Mancuso, con buon fiuto, chiede pure se siano stati presi contatti con Fabio Fazio, dato in uscita dalla Rai. Ma non riceve risposta. Qualcuno insinua, invece, se non sia stato un errore perdere Maurizio Crozza: «Visti i precedenti e l’ abitudine del dott. Cairo di far lavorare le persone gratuitamente o pagandole poco, non è che allo stesso modo egli abbia tentato di abbassare il prezzo di Crozza, giocando male le sue carte?». Ma la risposta di Cairo communication è piuttosto netta: «Nella primavera del 2013 il programma di Crozza faceva l’ 11,4% di share, poi il 9,2% nella primavera 2014, il 7,8% nel 2015 e il 7% nel 2016. Costava oltre 10 milioni di euro all’ anno, aveva una durata di 80 minuti, relativamente breve, ed era in perdita, non redditizio rispetto alla raccolta pubblicitaria connessa al programma. Crozza è un bravo artista, ma è stato meglio non proseguire nel rapporto». C’ è pure una incursione sul fronte debiti (204,2 milioni di euro verso Intesa San Paolo, di cui 126 milioni relativi a Rcs; e 63 milioni verso Unicredit, dei quali Rcs è responsabile per 48 milioni), per poi finire con la domanda del secolo: «Ci sono contratti segreti tra il dottor Cairo e il gruppo Mediaset?». Indovinate la risposta. © Riproduzione riservata.

Quotidiani, aprile avaro di copie

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Aprile conferma i cali nelle diffusioni complessive carta+digitale per molti quotidiani italiani, che in alcuni casi diventano contrazioni a doppia cifra. Così, secondo le rilevazioni Ads del mese confrontate con quelle di aprile 2016, Libero arretra del 40,2%, Repubblica del 20,7%, la Gazzetta dello Sport del 20,4% (ma è a -9,1% con l’ edizione del lunedì), il Sole 24 Ore del 17,7%, il Giornale del 16,7%, il Corriere della Sera del 13,8%, la Stampa del 13,7%, il lunedì di Tuttosport del 12,3% (ma -4,3% durante la settimana). Limitano le perdite a una cifra Qn Quotidiano nazionale-Nazione -9,4%, Corriere Sport-Stadio -5,6% e -6% il lunedì, Qn-Resto del Carlino -5,6%, Messaggero -6,5% e Qn-Giorno e Avvenire entrambi a -2,2%. Confermano il segno positivo davanti ItaliaOggi (+6,1%) e Fatto Quotidiano (+1,3%), secondo i dati Ads in cui debutta La Verità con 22,9 mila copie diffuse tra carta e digitale (di cui 22,1 mila in edicola) mentre escono dalle rilevazioni di aprile Arena e Giornale di Vicenza, entrambi editi dal gruppo Athesis. A proposito di andamenti generali, non si discostano da quello dei quotidiani i settimanali che, su 39 magazine monitorati solo in 4 crescono ad aprile (Espresso +43,9%, Grazia +2,5%, Milano Finanza +1,6%, Settimanale Nuovo +1,1%) mentre 2 si mantengono stabili (Diva e Donna -0,2% e Gioia -0,3%). Riordinando tutte le testate quotidiane in ordine decrescente, le prime dieci posizioni confermano sia il Corriere della Sera primo sia Qn Quotidiano nazionale (dorso sinergico di Giorno, Nazione, Resto del Carlino) secondo con 223.502. Terza Repubblica. Seguono giù dal podio Sole 24 Ore, il lunedì della Gazzetta dello Sport e la Stampa, che si riprende il sesto posto e supera la Gazzetta dello Sport in settimana, ora scesa al settimo. Chiudono la top ten Avvenire, Messaggero e il lunedì di Corriere Sport-Stadio. In edicola non cambia la situazione con il trend al ribasso che rimane generalizzato e solamente due testate al rialzo: ItaliaOggi +24,7% e Qn-Giorno +4,1%, che si sostituisce quindi al Fatto Quotidiano giù del 4,1%. Nel resto del segmento editoriale Libero è a -26,6%, il Sole 24 Ore a -21,3%, il Giornale a -17,2%, Repubblica -16,6% e Stampa -10,9%. Limitano le perdite Messaggero a -8,4%, Qn-Nazione -8,3%, Gazzetta dello Sport -8,1% (e 7,5% al lunedì), Corriere Sport-Stadio -7,2% (-7,3% al lunedì), Tuttosport -4,1% (-12,3% al lunedì), Corriere della Sera -3,4%, Qn-Resto del Carlino -3,3% e Avvenire a -0,3%. Il ranking a 10 vede il ritorno sul gradino più alto del podio di Qn Quotidiano nazionale, che questo mese supera con 201.398 copie il Corriere della Sera in un costante sfida a due. Li separano appena 263 copie. Repubblica presidia il terzo gradino. La classifica prosegue poi invariata con il lunedì della Gazzetta dello Sport e le sue successive edizioni, poi con la Stampa, il lunedì del Corriere Sport-Stadio, il Messaggero e il Corriere Sport-Stadio in settimana. Decimo, rientra in classifica il lunedì di Tuttosport, scavalcando e facendo uscire dal ranking il Giornale. Sul digitale, infine, il panorama si ravviva un po’ con Qn-Giorno +130% (a quota 161 copie singole+copie abbinate, dalle precedenti 70), Qn-Nazione +94,6%, Qn-Resto del Carlino +82%, Avvenire a +78,4%, Fatto Quotidiano +24,1% e ItaliaOggi +5,4%. Stabile Libero. Perdono terreno Repubblica -43,4%, Giornale -19,9%, Corriere della Sera -10,3%, Corriere Sport-Stadio -16,7% (e -15,9% il lunedì), Gazzetta dello Sport -12,2% (e -12,1% il lunedì), Stampa -10,8% e a seguire Tuttosport -4,3% (e -5,2% il lunedì), Messaggero -4,2% e il Sole 24 Ore -3,3%. La classifica non fotografa movimenti: in ordine, ci sono Sole 24 Ore, Corriere della Sera e Repubblica. Poi Stampa, Avvenire, Fatto Quotidiano, il lunedì della Gazzetta dello Sport, la Gazzetta dello Sport degli altri giorni, l’ Unione Sarda e il Gazzettino.

Cresce +4.2% il mercato globale dei media. L’ adv online stacca la tv; i ricavi da vendita dei quotidiani superano quelli da pubblicità. Pwc: imperativo per le aziende trasformare i clienti in fan – DOCUMENTO e INFOGRAFICA

Prima Comunicazione

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Studio PwC – Global Entertainment & Media Outlook 2017-2021. Highlights Nel 2021 il mercato E&M mondiale varrà 2.237 miliardi di US$ (CAGR +4,2%) rispetto ai 1.818 miliardi del 2016 L’ imperativo strategico per le aziende E&M, oggi, è trasformare i clienti in “fan” Per la prima volta nel 2016 i ricavi Internet Advertising (190 miliardi US$) hanno superato i ricavi TV Advertising (169 miliardi US$). I ricavi Internet Video – con un CAGR dell’ 11,6% al 2021 – supereranno quelli dell’ Home Video nel 2017 I ricavi da vendita dei quotidiani (61,9 miliardi US$) superano i ricavi da pubblicità (61,6 miliardi US$) per la prima volta nel 2016 Nel 2016 i ricavi del segmento Digital Recorded Music (11 miliardi US$) hanno superato quelli Physical Recorded Music (8,5 miliardi US$), mentre la musica in streaming (6,6 miliardi US$) ha superato i download (3,4 miliardi US$) Per prosperare in un mercato sempre più competitivo, affollato e caratterizzato da bassi tassi di crescita, le aziende del settore Entertainment & Media (E&M) dovranno sviluppare efficaci strategie e soluzioni per coinvolgere e monetizzare i loro utenti più fedeli e appassionati: in altre parole, i loro fan. Secondo le previsioni di PwC pubblicate nel rapporto Global Entertainment&Media Outlook 2017-2021, le aziende devono essere in grado di combinare contenuti coinvolgenti con un’ ampia e profonda capacità di distribuzione, connettendo questi asset con una user experience altamente interattiva, dove il contenuto risulta facilmente fruibile su un’ ampia varietà di piattaforme e device ad un prezzo competitivo. Lo studio, giunto alla 18esima edizione, rappresenta un’ analisi complessiva circa l’ evoluzione della spesa nel settore, raccogliendo le previsioni al 2021 sull’ andamento in 54 paesi dei 17 principali segmenti: libri, business-to-business, cinema, data consumption, e-sports, accesso ad Internet, pubblicità online, video online, periodici, musica, quotidiani, pubblicità out-of-home, radio, TV e home video, pubblicità televisiva, videogames, realtà virtuale. Le previsioni Pwc di crescita delle revenue da video online negli Usa Le previsioni Pwc sulla crescita delle revenue dagli sport online nelle diversi Paesi Le previsioni Pwc sull’ andamento della diffusione e advertising dei quotidiani in diversi Paesi Il posizionamento del mercato Entertainment & Media dei diversi Paesi secondo Pwc I comparti del mercato Entertainment & Media che cresceranno di più nei prossimi anni secondo le previsioni Pwc Le innovazioni della tecnologia orientano le strategie direct-to-consumer Mentre le aziende del settore competono per sviluppare user experience sempre più coinvolgenti, anche gli investimenti in tecnologia sono al centro delle loro strategie. Oltre a migliorare l’ esperienza di fruizione dei propri servizi, le aziende possono sfruttare le nuove tecnologie ed i dati raccolti per creare un circolo virtuoso, in cui l’ incremento dell’ interazione e dell’ interesse del consumatore consenta di raccogliere sempre più dati e informazioni su ciò che gli utenti desiderano. Grazie alla maggiore comprensione delle abitudini e delle esigenze degli utenti, le aziende potranno migliorare la loro offerta, coinvolgendo il loro target di riferimento e creando nuove opportunità per generare ricavi. A tale scopo, si stanno diffondendo modelli di business basati su strategie direct-to-consumer (D2C), abilitate dalla tecnologia e caratterizzate da una maggiore possibilità di scelta e controllo da parte degli utenti: nei prossimi cinque anni i segmenti Internet video e music streaming cresceranno ad un CAGR, rispettivamente, dell’ 11,6% e del 20,7%. Il settore E&M crescerà meno del PIL L’ attenzione sulla ricerca di nuove fonti di ricavo, trasformando i consumatori in fan, è accentuata dal rallentamento complessivo dell’ industry E&M e dalle pressioni sul segmento pubblicitario. Nei prossimi cinque anni l’ industry E&M mondiale crescerà ad un CAGR pari al 4,2%, in ritardo rispetto alla crescita del PIL globale. All’ interno del dato complessivo, anche i ricavi pubblicitari globali cresceranno ad un CAGR del 4,2%, in calo rispetto al 5,1% stimato nella scorsa edizione del presente studio. Questo rallentamento riflette le pressioni sui modelli tradizionali di business basati sulla raccolta pubblicitaria, guidate dalla preferenza dei consumatori per esperienze ad-free e dall’ insoddisfazione degli inserzionisti verso le attuali capacità di misurazione dei media digitali. Gli inserzionisti sono ancora disposti a investire, ma la spesa pubblicitaria è attualmente guidata dagli investimenti su internet. Cresce la pubblicità mobile, ma servono migliori strumenti di misurazione La crescita del segmento Internet advertising è alimentata dai ricavi mobile, cresciuti del 58,7% nell’ ultimo anno e con un’ espansione prevista del 18,5% fino al 2021. Nonostante questa crescita, la pubblicità online via cavo rappresenta il 61,6% del totale della pubblicità online nel 2016. Inoltre, la forte crescita della pubblicità online in realtà maschera una forma di inerzia. Senza sistemi di misurazione che siano in grado di garantire trasparenza dell’ efficacia e dell’ efficienza delle principali piattaforme, i brand premium sono riluttanti ad assumersi il rischio legato ad una maggiore concentrazione della pubblicità sui media digitali, con la conseguenza che i grandi centri media e i loro clienti non investono ulteriori risorse in pubblicità. Maria Teresa Capobianco, PwC Italian E&M Leader commenta: “Per qualsiasi operatore Media è prioritaria la capacità di conoscere e predire esigenze, interessi ed aspirazioni del consumatore, mediante strumenti di analytics, ma soprattutto modelli e processi previsionali evoluti. Le aziende del comparto Media per fare ciò devono adeguare i propri processi operativi alle esigenze del mercato e dei consumatori e devono dotarsi di processi snelli e flessibili. I dati hanno un valore anche per ridefinire le modalità di ingaggio e di retention dei consumatori. Fidelizzare attraverso gli strumenti tradizionali può essere più costoso e meno efficace di fidelizzare attraverso il prodotto e la user experience, creando fan.” Andrea Samaja, PwC Italian Technology Media & Telecommunications (TMT) Leader commenta: “Il mercato Media & Entertainment attraversa da anni una fase di profonda trasformazione dei paradigmi tradizionali; le tecnologie, in particolare, hanno favorito, l’ affermazione di modelli di business direct-to-consumer e di un’ offerta più ricca ed eterogenea che va incontro ai gusti e agli interessi del consumatore. Tecnologia e digitalizzazione sono inoltre elementi che rendono dinamico lo scenario competitivo con player che sono tanto più forti quanto più in grado di differenziarsi mediante utilizzo di tecnologie innovative. La crescente affermazione di modelli di business direct-to-consumer ed attenzione strategica sulla user experience dei propri consumatori da parte delle aziende è un fattore addizionale che distoglie una parte d’ investimenti che erano tradizionalmente orientati ai piani di comunicazione”.

I dati Ads di diffusione della stampa di quotidiani e settimanali a aprile e dei mensili a marzo

Prima Comunicazione

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I dati Ads stimati dagli editori, riferiti al mese di aprile per quotidiani e settimanali e al mese di marzo per i mensili. Ads – Accertamenti Diffusione Stampa è la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa quotidiana e periodica di qualunque specie pubblicata in Italia. In arrivo su Primaonline.it la rielaborazione grafica sui dati dei quotidiani realizzata da L’ Ego Editoriale per Primaonline.it QUOTIDIANI – I dati dei quotidiani a aprile 2017 (.xls) SETTIMANALI – I dati dei settimanali a aprile 2017 (.xls) MENSILI – I dati dei mensili a marzo 2017 (.xls)

Gli investimenti pubblicitari calano in aprile (-2.8%) e nel quadrimestre (0.3%). Male tutti i mezzi tranne la radio (+0.7%). I dati Nielsen – TABELLE

Prima Comunicazione

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Nel primo quadrimestre 2017, il mercato degli investimenti pubblicitari chiude in calo dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2016 (-2,9% se si esclude dal web la stima Nielsen sul search e sul social). Nel singolo mese di aprile la raccolta perde il 2,8% (-6,4% senza search e social). Lo dicono i nuovi dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di aprile 2017 (.pdf). “Il mercato registra un sostanziale pareggio nel primo quadrimestre dell’ anno: i prossimi due o tre mesi saranno probabilmente in “rosso” per motivi di pura stagionalità degli anni dispari, vista l’ assenza di grandi eventi sportivi particolarmente mediatici” – spiega Alberto Dal Sasso, TAM e AIS Managing Director di Nielsen. “Ci aspettiamo una ripresa nell’ ultima parte dell’ anno, quando il raffronto con il periodo degli Europei di calcio nel 2016 non condizionerà la raccolta pubblicitaria come nei mesi centrali”. Relativamente ai singoli mezzi, la tv è in calo del -4,2% nel singolo mese e chiude il periodo gennaio – aprile con un leggero decremento (-0,6%). Sempre negativa la stampa: ad aprile i quotidiani e i periodici si attestano a -19,4% e -8,9%, portando la raccolta nel quadrimestre rispettivamente a -11,2% e -8%. La buona performance della radio nel singolo mese (+3,5%) riporta l’ andamento del mezzo in terreno positivo (+0,7%). Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in crescita del 7,3% (-1,4% se si escludono il search e il social). Chiudono il quadrimestre in trend negativo tutti gli altri mezzi: cinema (-16,1%), outdoor (-18,5%), GoTV (-2,4%), transit (-2,8%) e direct mail (-5,5%). Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 11 in crescita, con un apporto complessivo di circa 55 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti: alle performance positive di automobili (+6,2%), farmaceutici (+10,2%) e abitazione (+2,2%), si contrappongono i cali delle telecomunicazioni (-11,6%), media/editoria (-13,4%) e del largo consumo (-4,3%) che riunisce insieme bevande, alimentari, gestione casa e toiletries. “L’ accelerazione dell’ economia italiana, riportata dalla recente correzione al rialzo della stima preliminare sul PIL del primo trimestre (dallo 0,2 allo 0,4%), che migliora le stime governative, è confermata dall’ Istat che riporta buoni segnali sia sui consumi interni che sull’ occupazione. Attendiamo di vedere se e come questi segnali possano scaricarsi anche in parte sul mercato della pubblicità, a sostegno dei consumi” – conclude Dal Sasso. “Ci si muove ancora tra segnali contrastanti. La stagione delle elezioni in grandi Paesi d’ Europa potrà consegnarci maggiori certezze per il 2018, ma crediamo che il 2017 rimarrà un anno di transizione: le nostre previsioni aggiornate a maggio ci mostrano una fine dell’ anno con una crescita inferiore al 2%”. – Leggi o scarica i dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di aprile 2017 (.pdf).

Aria di Intesa sul Sole24Ore

Il Giornale

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Il Sole 24 Ore ha sottoscritto con Banca Imi un accordo di pre-garanzia per la costituzione di un consorzio di garanzia per l’ inoptato dell’ aumento di capitale da 50 milioni. In Confindustria sperano che il braccio operativo di Intesa Sanpaolo, che compare anche tra i creditori del gruppo, ripeta il miracolo già compiuto in casa Rcs. La stessa banca d’ affari aveva infatti seguito dalla panchina l’ attaccante Urbano Cairo nella partita, vinta, contro i vecchi soci del Corriere. I giornalisti del Sole ora sperano che dal tunnel dell’ aumento esca un nuovo socio capace di riportare il gruppo fuori dalla zona retrocessione.

La cooperazione digitale, nuova frontiera dei media Ue

MF
FRANCESCO CHIERCHIA MF-DOWJONES
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Cooperazione digitale, maggiore scambio dati e condivisione di competenze ed esperienze tra i produttori di informazioni dell’ Ue. Sono questi i punti di #Media4EU, la ricerca dedicata all’ innovazione nel campo dell’ informazione promossa da EurActiv, presentata ieri a Roma in un convegno organizzato presso la Fieg. I media tradizionali devono trasformarsi radicalmente in modo da poter competere con le piattaforme social, e ciò potrebbe accadere attraverso la cooperazione e l’ integrazione europea. La stampa tradizionale ha risposto alla globalizzazione con un approccio troppo localista; e soprattutto il modello di business editoriale non è più legato solamente alla pubblicità, ma anche all’ organizzazione di eventi e partnership inedite. Negli ultimi dieci anni le risorse destinate all’ editoria sono state progressivamente ridotte fino al 50%, come ha ricordato il dg della Fieg, Fabrizio Carotti. Con l’ avvento di Facebook, Twitter, Google e delle altre piattaforme digital il settore dell’ informazione è mutato in maniera sostanziale. Il sostanziale stato di fermo dell’ editoria europea può essere riavviato attraverso progetti e investimenti in partnership. L’ Unione europea sta lavorando allo sviluppo di un Mercato unico digitale che sfrutta un modello di diffusione orizzontale per ridurre gli ostacoli, ma da solo non basta. Serve ridurre il gap tra Paesi sia in termini di età/competenza sia di modello di editoria/business. Per ottenere simili risultati bisognerebbe puntare inoltre su un progetto definito Erasmus4Media, in grado non solo di alimentare uno scambio di contenuti, ma di far condividere tra Paesi tutti gli aspetti cardine della comunicazione. Un piano capace di interessare e coinvolgere anche molteplici aziende e think tank. Per Christophe Leclercq, presidente e fondatore di EurActiv, l’ industria dell’ informazione vive una crisi parallela ed equivalente a quella che sta vivendo l’ Europa. «La domanda di condivisione di informazioni in Europa è alta, ma al contempo c’ è un’ esigenza di migliorare questo tipo di scambio. Bisogna trovare un modo per sostenere questo processo», ha affermato Leclercq, aggiungendo che nell’ attuale scenario caratterizzato dai social network «il settore media o si adatta o muore». (riproduzione riservata)

Il cda di Class Editori nomina Guatri presidente

MF

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Il consiglio di amministrazione di Class Editori, riunitosi ieri con all’ ordine del giorno la nomina del presidente e la cooptazione di un nuovo consigliere, ha cooptato e nominato presidente il dottor Giorgio Luigi Guatri, che in consiglio prende il posto del professor Gualtiero Brugger, il cui mandato come presidente era scaduto con l’ assemblea del 25 maggio e che si è dimesso da consigliere in data 7 giugno. Il consiglio di amministrazione, prendendone atto, ha rivolto al professor Brugger il più sentito ringraziamento per aver presieduto temporaneamente la casa editrice dopo la morte del professor Victor Uckmar. Giorgio Luigi Guatri è partner dello Studio Prof. Luigi Guatri e partner della Gnudi Guatri Consulenti Associati. Laureato in Economia e Commercio, è iscritto all’ Albo Unico dei Dottori Commercialisti di Milano, al Registro dei Revisori Contabili e all’ Albo dei Consulenti Tecnici del Giudice. Svolge l’ attività di dottore commercialista, con particolare riferimento a: pianificazione fiscale, joint venture internazionali, assistenza nelle valutazioni d’ azienda, controllo di gestione, riorganizzazione aziendale, contabilità e bilanci nazionali ed internazionali. Tra le sue pubblicazioni La valutazione del capitale economico dell’ impresa (Giorgio Guatri-Emanuela Fusa, Il Sole 24 Ore), Valutazione e financial reporting-gli intangibili specifici acquisiti nelle business combination: identificazione e valutazione (Giorgio Guatri-Marco Villani, marzo 2010, Egea), Le valutazioni per il Patent Box-Il Guatri Patent Box Method (Giorgio Guatri-Marco Villani, dicembre 2015, Egea). «L’ accettazione del dottor Giorgio Luigi Guatri ad assumere la presidenza è motivo di particolare soddisfazione per tutti noi della casa editrice», ha dichiarato Paolo Panerai, vicepresidente e amministratore delegato della società, «anche perché rappresenta una linea di continuità con la tradizione di Class Editori, che prese avvio con la presidenza del professor Luigi Guatri, il quale come amministratore delegato oltre che rettore dell’ Università Bocconi aveva deciso di concorrere (con il 20% del capitale) alla fondazione della casa editrice attraverso la holding dell’ Università, Finanziaria 2000».

Pironti, ottant’ anni tra pugni, libri e grandi firme

Il Mattino
Francesco Durante
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Il sorriso più smagliante di Napoli appartiene al principe di Piazza Dante, Tullio Pironti, che domani, per lo stupore di chiunque lo conosce, compie ottant’ anni. Ho scritto «principe», e lo ribadisco. Tullio Pironti, benché non abbia mai vantato ascendenze bizantine, e non si proclami né un Comneno né un Focas, principe lo è nell’ anima, e di una specie che soltanto a Napoli si può trovare, capace di coniugare autentica nobiltà d’ animo, sorgiva generosità e naturale eleganza con l’ essenza più profondamente popolare della città, quel patrimonio senza tempo che ne modella la facies e fa sì che essa sfidi ogni rovescio della fortuna e dica: Ebbene, sono ancora qua e grazie a Dio «non omnis moriar», e da qualche parte, se grattate bene e a fondo, saprete ritrovarmi. Il Gran Tullio regna benigno su Piazza Dante da oltre mezzo secolo. Chi scrive lo frequenta da trentasette anni, e sa che può incontrarlo esclusivamente lì. Un principe, del resto, non è che possa andare e venire dove vuoi tu, sei tu che devi cioncarti a fargli visita. E io da trentasette anni ho potuto vedere con quale amorevole cura egli presidi i confini del suo principato, che si estende dalla libreria eponima a tre ristoranti «53», «Leon d’ Oro» e l’ ormai cessato «Dante e Beatrice» avventurandosi poi per un breve tratto sotto la volta di Port’ Alba e fin’ anche nell’ ardimentoso attraversamento di via Pessina, verso Palazzo Bagnara, dove si trovano gli uffici della sua casa editrice, e più ancora verso la torrefazione Passalacqua. Il principe è metodico e abitudinario. Un tempo, vivo il suo grande amico Giò Marrazzo, del quale pubblicò il super-bestseller Il camorrista da cui Giuseppe Tornatore trasse l’ omonimo film con Ben Gazzara, poteva capitare che la sera, verso le undici, si recasse a cena in un luogo lontanissimo, niente meno che al ristorante «Da Peppino a Santa Lucia» di via Palepoli, anch’ esso non più esistente, ma che era allora il posto dove, a mezzanotte, si potevano trovare tutti i giornalisti, tutta la gente di teatro e tutte le poche, eroiche donne di piacere che ancora battevano la zona. Per il resto, Piazza Dante forniva tutto ciò di cui c’ era bisogno. In quei primi, magici anni Ottanta, Tullio era la quintessenza dell’ editore d’ assalto. Da The Vatican Connection di Richard Hammer a In nome di Dio di David Yallop al Camorrista di Marrazzo, finiva sempre primo nella classifica dei più venduti. Se qualcuno aveva un libro scomodo da pubblicare, veniva a trovarlo. Tullio era una specie di «editore da strada»: suoi consulenti volanti erano giornalisti o professori universitari cui mostrava progetti di titoli e copertine mangiando un piatto di maccheroni. Ero presente, per dire, il giorno in cui Giuseppe Zaccaria, inviato de «La Stampa», risolse il problema del titolo di un libro di Gunter Wallraff che in originale suonava Ganz Unten e nell’ edizione Pironti divenne Faccia da turco. E soprattutto ero presente quel fatidico giorno del 1985 in cui Tullio, che partecipava all’ asta per aggiudicarsi i diritti italiani di Bret Easton Ellis avendo come avversario il più grande editore italiano, quando si trattò di fare l’ offerta decisiva volle prima stendersi dieci minuti sul divano. Chiuse gli occhi e rimase in silenzio. Poi si alzò, prese il telefono, chiamò l’ agenzia ALI e scandì la sua cifra a sette zeri, e vinse. A quel tempo il dollaro stava a 2000 lire, e gli venne una puntina di mal di testa. Ellis, come poi Don DeLillo, Raymond Carver e qualche altro autore, era stato un suggerimento di Fernanda Pivano, che secondo me di Tullio s’ era tecnicamente innamorata. Sto parlando, intendiamoci, di un fatto assolutamente platonico. Ma sono sicuro che alla base del fecondo sodalizio Pivano-Pironti ci fosse proprio una cosa di puro affetto. D’ altra parte, Tullio è sempre piaciuto molto alle donne: sarà il sorriso, sarà quella luce negli occhi, tenera e birbante, insomma il principe non passa inosservato, e l’ ha sempre saputo benché abbia sempre fatto le mostre di non avvedersene. Posso anche dire di aver constatato come questo suo successo funzionasse anche su scala internazionale, essendomi recato con Tullio a Francoforte per la Buchmesse, a Zagabria per conoscere l’ autore di 7000 giorni in Siberia, e avendo addirittura trascorso una settimana di vacanza con lui in Inghilterra nell’ estate 1986. A Londra incontrammo Yallop, e dopo ce ne andammo nel Galles, ad Aberystwith e poi a Liverpool, e di nuovo a Londra. Avevamo un’ auto a noleggio, quando alla guida c’ era Tullio ero molto agitato e alla fine capii perché, dato che Tullio mi confessò che da un occhio ci vedeva poco un’ eredità del tempo in cui faceva pugilato ed era l’ occhio che, con la guida a sinistra, gli sarebbe servito di più. Ci facemmo una foto nell’ isola di Anglesey, sotto il cartello del paese col nome più lungo del mondo: Llanfairpwllgwyngyllgogerychwyrndrobwllllantysiliogogogoch. Le prime cose che ho imparato sull’ editoria libraria le ho imparate lavorando con Tullio alla fine di una stagione in cui Pironti avrebbe potuto fare il gran salto e diventare una casa davvero importante, che aveva in catalogo gli americani più cool, e poi tanti altri da Jean-Noel Schifano a Edmond Jabés, che faceva un’ importante rivista filosofica come «Metaphorein» e che riusciva a intercettare tempestivamente un mucchio di bestseller saggistici d’ assalto. Ma alla fine Tullio ha preferito conservare il principato rinunciando alla managerialità. Come mi ha detto più volte: quel lavoro là, l’ ha sempre fatto soltanto perché si divertiva. E se per diventare grandi e produttivi devi rinunciare a divertirti, beh, allora che senso ha? Il tempo, comunque, non s’ è fermato, e Tullio ha pubblicato tanti altri libri, ha incontrato gente curiosa, stimolante, o decisamente matta, e s’ è molto divertito. Tinto Brass, Giancarlo Dotto, Maria Roccasalva e molti altri sono diventati suoi amici e autori e insomma la produzione editoriale continua. Piazza Dante nel frattempo è assai cambiata, eppure se fanno le cartoline è assai probabile che venga fuori anche lui. Adesso, dopo pranzo, di preferenza gioca a scacchi. Ai tempi, a chi lo cercava a quell’ ora veniva riferito che era in riunione. In realtà stava facendosi una mano di tressette col personale di «Dante e Beatrice». I grandi i grandi veri fanno così. maildurante@gmail.com © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mario Orfeo nuovo dg della Rai

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Il Cda della Rai, riunitosi questa mattina a Viale Mazzini, ha designato per la nomina alla direzione generale, il direttore del Tg1, Mario Orfeo. Ora il passaggio successivo è l’assemblea totalitaria per raggiungere l’intesa con l’azionista sul nome del nuovo dg, prevista dallo statuto. Il Cda ha dunque formulato il proprio intendimento di nominare Orfeo e ha dato mandato al presidente Monica Maggioni di promuovere l’intesa con i soci e di convocare l’assemblea totalitaria.
Dopo che verrà deliberata l’intesa (che appare scontata) sul nome di Orfeo da parte dell’assemblea dei soci, tornerà a riunirsi il Cda per la nomina vera e propria. Che difficilmente in questo caso avverrà all’unaniimità, avendo nei giorni scorsi il consigliere Carlo Freccero annunciato il suo voto contrario.

Un’intenzione ribadita anche questa mattina. Durante le dichiarazioni di voto sulla designazione di Orfeo, Freccero – a quanto si apprende – ha infatti provocatoriamente proposto se stesso come dg invece di Orfeo, annunciando di voler chiedere «un’audizione pubblica in Vigilanza per sapere chi è più competente». E votando contro.

Rassegna Stampa del 10/06/2017

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Indice Articoli

Mercato unico digitale, i pericoli per l’ industria dell’ audiovisivo

Diritti tv la serie A apre le buste

Asta diritti tv il giorno decisivo per la serie A

L’ ad Moscetti: «Sole 24 Ore, la redditività sta migliorando»

Caltagirone editore, Opa totalitaria sul flottante

Class Cnbc, la hit parade della pubblicità in tv

Chessidice in viale dell’ Editoria

Periodici, più copie per pochi

COME SI DICE SERVIZIO PUBBLICO NELL’ EUROPA DELLE TV

Rai, alla fine arriva Mario Orfeo. Il primo dg del Nazareno 2.0

Un Nazareno Doc sul trono della Rai ridotta a Telerenzi

Orfeo direttore generale «Nazareno»

Orfeo al vertice Rai, nuovo direttore generale

Orfeo nuovo dg Rai: ok Pd-Fi, no M5S Allarme conti sul 2018

Rai, Mario Orfeo nuovo d.g.

Una vita fra giornali e tg

Rai, Orfeo è il nuovo dg. Solo Freccero dice no

L’ agenda complicata tra piano news e stipendi Prima l’ erede al Tg1: in pista anche Di Bella

Rai, Orfeo è il nuovo dg Sul tavolo già un dossier: fermare la fuga delle star

Orfeo nuovo dg Subito lo scoglio del piano news `

«Non ridimensionare le sedi locali»

Patto del Nazareno in Rai Il cda vota Orfeo nuovo dg

L’ ex pupillo di Ezio Mauro che ha scelto il profilo bipartisan

Orfeo, il coperchio che va bene per qualsiasi pentolino

Parte il totonomi per il telegiornale

Orfeo nominato dg Rai

La crisi dei giornali: amarezza per le edicole che chiudono la stanza di Gian Galeazzo Biazzi Vergani

Mercato unico digitale, i pericoli per l’ industria dell’ audiovisivo

Il Manifesto

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GIOVANNA BRANCA II Già lo scorso giugno la produttrice inglese Rebecca O’ Brien – che con la sua Sixteen Films aveva appena prodotto il vincitore della palma d’ oro, I, Daniel Blake di Ken Loach-in una lettera aperta al «Guardian» evidenziava i rischi del Dsm, il disegno di legge europeo per il mercato unico digitale. «Gli attuali piani d’ intervento della Commissione Europea per quanto riguarda le distribuzioni cinematografiche e televisive renderebbe virtualmente impossibile che film come I, Daniel Blake continuino a venire prodotti». SULLA CARTA il Digital Single Market mira a implementare un vero mercato unico dell’ Unione per le tecnologie digitali – è grazie a questo disegno di legge se, per esempio, a partire da metà giugno verrà abolito il roaming nei paesi dell’ Ue. Ma per quanto riguarda l’ industria dell’ audiovisivo potrebbe avere conseguenze disastrose: «È un’ enorme delusione per gli sceneggiatori e i registi europei», si legge in un comunicato di due giorni fa della Society of Audiovisual Authors. Il primo fondamentale principio intaccato dalla proposta di legge è quello della territorialità, la spina dorsale delle produzioni e distribuzioni indipendenti. Con le modifiche proposte diventerebbe infatti impossibile per i distributori vendere i diritti di un film – odi una serie tv – ai diversi paesi interessati con degli accordi «locali», presi cioè di volta in volta con ognuno di essi. PER I PRODUTTORI si perderebbe invece quella parte dei finanziamenti ai film che vengono dalle prevendite dei diritti di broadcasting ai vari paesi interessati. Questo perché il Dsm – in nome della diversità dell’ offerta e del livellamento dei prezzi per i consumatori – prevede che tutti i film e le serie tv vengano resi disponibili su qualunque piattaforma contemporaneamente in tutta l’ Unione Europea – creando anche un possibile cortocircuito per cui in qualche paese un film potrebbe arrivare prima online che in sala. «In ballo c’ è la nostra futura capacità di finanziare le produzioni, il marketing e la distribuzione in Europa attraverso degli accordi di coproduzione e/o con la prevendita dei diritti», sostiene in un’ intervista a «Variety» Benoit Ginisty della International Federation of Film Producers Associations. «I piani della commissione europea otterranno l’ opposto delle loro intenzioni – aggiunge John McVay, presidente della Producers Alliance for Cinema and Television – lasciando il pubblico con meno contenuti e prezzi più alti, e causando un danno devastante alla diversità culturale». UNO STUDIO sui probabili effetti del Dsm sull’ industria dell’ audiovisivo finanziato da 21st Century Fox, Sky e Itv prevede inoltre perdite peri produttori europei intorno agli 8,2 miliardi di euro, e un crollo negli investimenti- per cinema e televisione – del 48%. Entro l’ estate verranno fatti gli ultimi emendamenti al disegno di legge, e alla commissione affari legali Ue spetta, in settembre, l’ ultima parola. Eppure, diceva a «Variety» lo scorso febbraio Martin Moskowicz, della Costantin, «nonostante gli sforzi congiunti dell’ industria audiovisiva le nostre preoccupazioni non sono state ascoltate né prese in considerazione».

Diritti tv la serie A apre le buste

Il Mattino

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Diverse incognite pendono sull’ asta dei diritti tv della Serie A 2018-21 e sono diversi gli scenari che potrebbero prendere corpo oggi dopo l’ apertura delle buste con le offerte, davanti al notaio e al commissario della Lega, il presidente della Figc Carlo Tavecchio. È quasi scontato il tentativo di Sky di accaparrarsi di nuovo i pacchetti dell’ intero campionato, ma rappresenta una variabile significativa la strategia della francese Vivendi, così come quella di Mediaset sul digitale terrestre, mentre Tim non dovrebbe partecipare all’ asta. Di certo c’ è l’ obiettivo della Lega, che vuole incassare almeno un miliardo di euro, senza contare diritti tv accessori e internazionali. Vari club hanno fretta di chiudere la partita: incombono scadenze finanziarie e risorse fresche fanno comodo per il mercato. Così non è escluso che alcuni pacchetti vengano assegnati e per gli invenduti si proceda con un nuovo bando. Il più ricco dei cinque pacchetti è il D: vale 400 milioni di euro, garantisce 132 esclusive fra cui il derby di Roma.

Asta diritti tv il giorno decisivo per la serie A

Corriere della Sera
Daniele Sparisci
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Niente calcio spettacolo, occhi puntati solo sul risultato. Del resto la posta in gioco è altissima e la serie A non può permettersi passi falsi se non vuole perdere altro terreno rispetto a Inghilterra e Spagna. Stamattina in via Rosellini si scoprono le carte: la Lega di A capirà se ha fatto un buon affare cedendo i diritti televisivi per il 2018-2021 (si aspetta almeno un miliardo, più 400 da quelli esteri e da altre licenze). Non solo: lunedì è il turno della nuova Champions, quella con quattro squadre italiane qualificate nella fase a gironi dal 2018-19. Ma andiamo con ordine: la gara per i diritti tv di casa nostra entra nel vivo con l’ apertura alle 10 delle buste davanti al notaio e al commissario Tavecchio: sarà l’ Assemblea alle 14 a discuterne e a decidere l’ assegnazione entro massimo 5 giorni. In caso di fumata grigia – offerte sotto al minimo, pacchetti non assegnati – si ricomincerà. Ipotesi da non sottovalutare. Per la prima volta il terreno è stato preparato anche per i colossi delle telecomunicazioni e di Internet, ovvero Tim, Amazon e Perform. Segno di una rivoluzione dei tempi, sempre che vada in porto perché 200 milioni per i match via web non sono pochi per un mercato tutto da costruire. Lo scenario è pieno di incognite, a cominciare dalla posizione dell’ Antitrust, chiamata in causa da Mediaset per pronunciarsi su un bando giudicato «troppo squilibrato». Il Garante ha preso tempo per valutare, e non sono da escludersi sorprese dell’ ultima ora. Mediaset non si aspettava che l’ asta partisse così presto e con il ricorso ha cercato di rallentarla in attesa di chiarire il complicato nodo Vivendi e di trovare un partner con cui fare sponda. Del resto la strategia della Lega e del suo advisor Infront è stata chiara: anticipare l’ asta della Champions – dove Sky è in pole – per evitare offerte al ribasso sul campionato. La crisi della tv di Berlusconi non ha giocato a favore del calcio Made in Italy: con Sky in una posizione di forza, la strada scelta dalla Lega e Infront è stata quella di un mega-pacchetto, il D, valutato 400 milioni (quello che ha fatto storcere la bocca a Mediaset). Strategia rischiosa? Si vedrà. Ecco perché sullo sfondo resta sempre come extrema ratio il canale della Lega.

L’ ad Moscetti: «Sole 24 Ore, la redditività sta migliorando»

Il Sole 24 Ore

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Per l’ aumento di capitale de Il Sole 24 Ore «abbiamo un timetable e quello rimane». Così l’ amministratore delegato della società, Franco Moscetti, interpellato ieri dai cronisti a margine di un intervento alla convention della Cassa Forense. La tempistica per la ricapitalizzazione «è scolpita nella pietra», ha aggiunto Moscetti, «anche per i tempi tecnici determinati dal Codice civile». Durante l’ intervento davanti alla platea, Moscetti ha ricordato l’ operazione di aumento di capitale de Il Sole 24 Ore che verrà proposta all’ assemblea a fine giugno e, al termine, interpellato dai cronisti sulla possibilità che un investitore istituzionale come Cassa Forense possa partecipare, ha risposto: «C’ è un consorzio di garanzia con Banca Imi a cui tutti possono rivolgersi nel caso ci fosse inoptato». Moscetti ha inoltre sottolineato che Il Sole 24 Ore sta migliorando la redditività nei primi mesi dell’ anno. «A fronte di ricavi inferiori – dice – stiamo migliorando la redditività perché siamo molto impegnati nell’ azione di riduzione dei costi». Il Sole 24 Ore è un pezzo importante di questo Paese, ha ricordato l’ amministratore delegato. Il gruppo, ha sottolineato Moscetti, è costituito dal quotidiano, dalla radio, dall’ agenzia di stampa, dalla business school, dall’ area professionale e «non può che avere come target i professionisti». Il top manager de Il Sole 24 Ore, affiancato sul palco dal direttore Guido Gentili, spiega che il percorso di sviluppo verrà fatto con Gentili e, rispondendo a una sollecitazione del moderatore del convegno sulla direzione, ha affermato: «per quanto mi riguarda lunga vita a Gentili, bravissimo direttore». In precedenza Moscetti aveva osservato che «oggi quelli che urlano sono considerati bravi, ma io credo che anche quelli che si svegliano la mattina, stanno zitti e lavorano bene sono bravi». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Caltagirone editore, Opa totalitaria sul flottante

Corriere della Sera

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Chiara Finanziaria, società creata il 15 maggio scorso dal gruppo Caltagirone (e controllata da una delle finanziarie di famiglia, la FGC), promuoverà un’ opa volontaria sul flottante della Caltagirone editore, pari al 40% del capitale. Dall’ offerta sono escluse le azioni detenute da Francesco Gaetano Caltagirone tramite le società Gamma, FGC Finanziaria e Parted 1982. Mediobanca è advisor per il delisting. Lanciato nei giorni scorsi un vasto programma di acquisto di azioni proprie.

Class Cnbc, la hit parade della pubblicità in tv

Italia Oggi

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Sono di Vigorsol, Ikea, Sergio Rossi, McDonald’ s ed Estathé gli spot che concorrono questa settimana alla hit parade delle migliori campagne pubblicitarie elaborata nel corso della trasmissione Marketing Media and Money, il programma di Class Cnbc (Sky 507) dedicato al mondo del marketing, della pubblicità e della comunicazione, in onda ogni martedì sera alle 21 (in replica mercoledì alle 23,30) e condotto da Andrea Cabrini e Silvia Sgaravatti. A rischiare il podio dei flop, invece, Ceres, Montana, Strep, Findus e Saratoga. Le classifiche sono elaborate in base ai giudizi di una giuria composta da studenti della laurea specialistica in marketing management dell’ Università Bocconi che spiegano ai telespettatori i motivi delle loro scelte.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Mediaset, si chiama Ebx la società fondata con ProSiebenSat.1 e Tf1 per la pubblicità. Ufficializzata la notizia della creazione di una joint venture in campo pubblicitario fra Mediaset, il gruppo tedesco ProSiebenSat.1 e la francese TF1. Si chiama Ebx, European Broadcaster Exchange e nasce per proporre agli investitori campagne video digitali pan-europee. La nuova società avrà sede a Londra, base delle maggiori agenzie media specializzate nella pianificazione di campagne pan-europee. Dopo l’ approvazione delle Autorità garanti della concorrenza europee, verrà formato il sales team e sarà attivata la piattaforma congiunta per la videopubblicità digitale. L’ attività di Ebx riguarderà principalmente campagne video programmatic che comportano la gestione automatizzata e su database di vendite e acquisti di pubblicità digitale. Bando agenzie di stampa, all’ Ansa il primo lotto. È stato assegnato il primo lotto dei 10 previsti dal bando di gara indetto dalla presidenza del Consiglio dei ministri per decretare l’ affidamento di servizi giornalistici e informativi per gli organi centrali e periferici delle Amministrazioni dello Stato. Lo ha reso noto il sito della Federazione nazionale della stampa. Il lotto 1 è andato all’ agenzia Ansa, unica ad aver partecipato alla tranche di gara che assegnava la realizzazione di un notiziario quotidiano generale in lingua italiana, diffuso 7 giorni su 7, per un minimo di 15 ore di trasmissione al giorno e con una media di almeno 1.000 lanci giornalieri, almeno 700 dei quali relativi all’ Italia, e di un secondo notiziario quotidiano regionale in lingua italiana. L’ agenzia è stata l’ unica a partecipare anche al secondo lotto previsto dal bando. Dovendo optare per un solo segmento ha deciso per il primo. Otto milioni il valore dell’ offerta presentata, con un ribasso del 15% rispetto alla base d’ asta. Per conoscere le agenzie vincitrici degli altri lotti bisognerà però aspettare il 14 giugno, il giorno dopo la discussione del ricorso presentato al Tar dall’ AdnKronos. Agcom, al via il confronto sulle linee guida del contratto di servizio Rai. L’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha deciso di avviare un confronto con i principali stakeholders del settore radiotelevisivo, a partire dalla Rai, in merito all’ aggiornamento degli impegni del Servizio pubblico, in vista del prossimo contratto di servizio. Il consiglio dell’ autorità adotterà uno schema di Linee guida da trasmettere al ministero per lo Sviluppo Economico nella riunione del 27 giugno prossimo. Rai, anche su Tivùsat in 4k Stanotte a Venezia di Alberto Angela. Il programma in onda su Rai 1 martedì 13 giugno in prima serata, sarà diffuso anche in 4K sulla piattaforma satellitare gratuita Tivùsat che trasmette sulla flotta Eutelsat. Stanotte a Venezia sarà visibile sul canale Rai4K al tasto 210 del telecomando Tivùsat per gli spettatori che dispongono di televisore Uhd e Cam certificata. Premio Cairo 2017, la redazione di Arte al lavoro per selezionare i 20 partecipanti. La redazione di Arte, il mensile di Cairo Editore diretto da Michele Bonuomo, è al lavoro per selezionare i 20 giovani artisti under 40 che parteciperanno al Premio Cairo 2017. Come da tradizione dovranno realizzare un’ opera inedita che sarà giudicata da una giuria composta da direttori di musei e di fondazioni d’ arte contemporanea, da critici e operatori del settore. Al vincitore sarà dedicata la copertina del mensile Arte e sarà assegnato un premio di 25 mila euro. Le 20 opere del Premio Cairo 2017 e le opere vincitrici delle passate edizioni, saranno esposte a Palazzo Reale a Milano, in una mostra a ingresso gratuito. m2o radio ufficiale del Gay Village Fantàsia. m2o è ancora una volta radio ufficiale del Gay Village Fantàsia, edizione 2017: 3 mesi di eventi, musica dal vivo, dj set, party esclusivi e le dirette dell’ emittente al Parco del Ninfeo a Roma.

Periodici, più copie per pochi

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Anche i periodici italiani non se la passano meglio dei quotidiani tricolore (si veda ItaliaOggi di ieri), almeno stando alle ultime rilevazioni Ads sul mese di aprile 2017 per i settimanali e su quello di marzo 2017 per i mensili (entrambe confrontate con i rispettivi mesi dell’ anno scorso). Sono pochi i segni positivi davanti alle principali testate in tutti e due i segmenti editoriali mentre i cali nelle diffusioni complessive carta+digitale non solo si confermano più numerosi ma sono anche trasversali agli argomenti trattati. Quindi, tra i settimanali conquistano copie solamente in quattro: Espresso su del 43,9%, Grazia del 2,5%, Milano Finanza dell’ 1,6%, Settimanale Nuovo dell’ 1,1%. Non crescono, ma nemmeno arretrano, Diva e Donna, stabile intorno al -0,2%, e Gioia al -0,3%. Spostandosi poi tra i mensili, il quadro d’ insieme non varia e così si salvano Cucina No Problem su del 63,9%, In Viaggio a +30,4%, Cose di Casa +7,1% e Insieme +2,1%, seguiti da una nutrita schiera di pubblicazioni che mantengono stabilmente le rispettive posizioni, partendo da Elle ed Elle Decor Italia (+0,2%) e arrivando fino a Gardenia (+0,4%). Tra i settimanali, così come le testate in crescita trattano materie differenti altrettanto accade a quelle col segno negativo davanti che spaziano da gossip e volti noti (per esempio Chi a -11,9%, Settimanale Di Più -5%, Sorrisi e Canzoni Tv -4,7%) a attualità&informazione come i newsmagazine e i familiari tra cui Panorama -23,7%, Famiglia Cristiana -6,7% e Gente -4,9%. Non fanno eccezione le pubblicazioni che seguono temi d’ interesse più femminile (come Tu Style a -19,5%, Vanity Fair a -13%, Donna Moderna a -8,8% ed F, che pure argina le perdite al -2,3%) né, di contro, le testate che hanno un pubblico di riferimento maschile. Tra gli altri ci sono Motosprint a -16,7% e Sport Week a -11,7%. Tra i mensili è vero che alcune testate di cucina e casa aumentano le diffusioni ma le rilevazioni registrano anche casi dello stesso segmento editoriale che contraggono. Ne sono solo alcuni esempi Casa facile a -8,8% e Casa in Fiore a -6,6% oppure Cucina Italiana a -25,5% e Cucina moderna a -17,2%. A marzo scorso, confermano l’ andamento generale sia i mensili che si occupano di motori (come Auto -22,8%, Al Volante -15,9% e In Moto -11,3%) sia i maschili generalisti tra cui For Men magazine a -25% e Gq a -17,2%. Ci sono, infine, i femminili con il -25,8% di Cosmopolitan, il -14,6% di Glamour, il -10,8% di Vogue Italia, il -10,3% di Amica e, ancora, il seppur più contenuto -5% di Marie Claire. Non sembrano attirare più lettori di altri neanche gli argomenti che possono interessare chiunque come i viaggi, la cultura e la conoscenza in generale. Infatti Condé Nast Traveller va giù del 34,7% e Bell’ Europa del 2,2% (anche se Bell’ Italia lima il calo ancora di più al -0,9%). Nella divulgazione scientifica, Focus resta intorno al -2,7% con le sue varie declinazioni come Focus Junior (-8,8%) e Focus Storia (-8,4%). © Riproduzione riservata.

COME SI DICE SERVIZIO PUBBLICO NELL’ EUROPA DELLE TV

Il Foglio
MARIANNA RIZZINI
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Antonio Campo Dall’ Orto si è dimesso dalla carica di direttore generale Rai, Mario Orfeo è stato designato come suo successore ma, come capita con il cambio di stagione quando gli armadi nascondono orrori ed errori, si rimanda di giorno in giorno la discussione sottostante (e ricorrente): che cosa fare della Rai medesima? Da innumerevoli anni, infatti, a ogni nuovo governo e a ogni smottamento di maggioranze e minoranze in Parlamento, sempre e comunque alla Rai si guarda: Rai come specchio di quel che accade, Rai come eterno punto da programma elettorale, Rai come foresta di simboli in cui addentrarsi per cercare gli indizi di un qualche cambiamento (nuove alleanze politiche) o di una qualche restaurazione (vecchie geometrie partitiche che da Viale Mazzini vengono rilanciate perché Montecitorio intenda). Ma è proprio quello il problema: non appena la si vuole meno “dipendente dalla politi ca”, la Rai, c’ è qualcuno che insorge dicendo che la Rai “è troppo in balìa del mercato” (la questione compensi delle star è soltanto uno dei punti di attrito sul tema). Di Rai irriformabile si è parlato sotto i governi Berlusconi e sotto i governi Prodi, sotto Massimo D’ Alema e persino in epoca tecnica (con Mario Monti e con l’ arrivo del Luigi Gubitosi supertecnico in viale Mazzini). Di Rai irriformabile si parla oggi, dopo le dimissioni di Campo Dall’ Orto e sull’ onda della disfida sul cosiddetto piano news, bestia nera degli ultimi, tormentati mesi: tanto che sotto Natale, per via del piano news, si dimetteva l’ allora direttore per l’ offerta informativa Carlo Verdelli. Ed è dunque sul piano news, con contorno di polemiche sulla risistemazione dell’ area digitale (per la quale era stata pensata una supervisione -direzione di Milena Gabanelli), che è finita l’ epoca Campo Dall’ Orto. “Con il suo siluramento sfuma ogni ipotesi di riforma”, ha scritto su Repubblica il critico Antonio Dipollina (“… toccherà rimpiangere la Rai dell’ èra Campo Dall’ Or to. Non per meriti particolari… quanto per l’ inevitabile nuova discesa agli inferi a cui sarà soggetta l’ azienda di Stato, la famosa prima industria culturale del paese, destinata a perpetuare la condizione di eterno trastullo per le smanie della politica in fiamme…”). E il critico del Corriere della Sera Aldo Grasso dice al Foglio che “non si può lavorare avendo sempre contro il Cda, i cui membri, spesso impreparati, sono stati scelti dal governo e dai partiti in nome di quel fantasma chiamato ‘plura lismo’. Nessuna industria moderna è in grado di sopportare un simile peso. Non si può lavorare dovendo rendere conto, a ogni piè sospinto, ai ‘guardiani’ della Commissione di Vigilanza, agli Anzaldi o ai Gasparri. Non si può lavorare credendo ancora alla favola delle ‘grandi professionalità interne’. La Rai ha fior di professionisti, nessuno lo discute, ma sono anni che la linea di comando è scelta non per competenze ma per appartenenza e il nuovo scenario mediatico non lo tollera più. Chiudere Viale Mazzini e rifondare la Rai. E’ l’ unica strada praticabile”. Poi c’ è chi, come Agostino Saccà, ex direttore generale Rai, già direttore del marketing strategico, direttore di Rai 1, direttore della Fiction e produttore cine -televisivo, da anni si dice convinto che la Rai possa ancora “vo lare”: la Rai, dice, “è come il calabrone che a rigore scientifico non dovrebbe volare, con quella massa, e invece vola, nel senso della quota di mercato miracolosamente mantenuta a dispetto dei cambiamenti in atto nei media. Chiediamoci però perché tutte le tv pubbliche europee sono grandemente facilitate nella loro realtà industriale di servizio pubblico e la Rai no. Chiediamoci che cosa è in realtà il canone, definito con espressione fuorviante ‘soldi pubblici’, quando è invece un’ imposta di scopo per finanziare il servizio pubblico’: io ti do soldi perché tu mi dai un servizio, è una transazione commerciale. E, se si guarda all’ este ro, si vede che la Bbc prende, tra canone e sovvenzioni, oltre 5 miliardi di euro all’ anno; la tv francese 3 miliardi e mezzo; la tv tedesca quasi 9 miliardi; la Rai neppure due miliardi. In Europa ci si è resi conto che, per essere veramente presenti, c’ è bisogno di risorse fuori dalle risorse di mercato, specie in mercati nazionali piccoli e con gli Stati Uniti che hanno per mercato il mondo. E infatti Bbc, Ard e Zdf fanno fiction che vendono ovunque”. E’ come se ora restassero sul selciato tutte le “irriformabilità” del caso Rai, anche dopo la parziale riforma della governance, con legge votata dal Parlamento a fine 2015, sotto il governo Renzi. E ci si domanda anche: ma così fan tutti? Se si alza lo sguardo alla situazione delle tv pubbliche nel resto d’ Europa, infatti, si vede che la Rai Gulliver, legata da mille fili al terreno lillipuziano dei partiti, dei partitini e dei gruppi di interesse è abbastanza un caso unico, per ragioni storiche, economiche e politiche. “Le grandi tv pubbliche europee”, dice Saccà, “agi scono in assoluto regime di concorrenza, mentre in Italia la tv pubblica agisce come in asfissia, trattata con una normativa da ente pubblico. Eppure un servizio pubblico fortemente concorrenziale è una necessità. Un tempo c’ era scarsità di frequenze e c’ era quindi l’ esigenza di tutelare il pubblico interesse. Oggi, con tutte le frequenze che si hanno a disposizione, in teoria illimitate, i servizi pubblici, sulla carta, non dovrebbero neppure esistere. Invece c’ è ancora più bisogno di una forte presenza pubblica nella comunicazione, proprio per tutelare l’ in teresse generale dalla moltiplicazione degli interessi privati. E poi, per reggere la concorrenza di altri paesi, in particolare gli Stati Uniti, e avere quindi un’ industria audiovisiva forte che abbia la capacità di rappresentarsi, servono grandissime quantità di risorse fuori mercato. Questa è la ragione per cui Bbc e la tv tedesca hanno risorse imponenti, e non a caso hanno una pro duzione concorrenziale anche nei confronti degli Usa”. Nel momento in cui si frantumano le audience, e le opinioni si moltiplicano, aggiunge Saccà, “c’ è anche bisogno di finanziare un’ infor mazione e una produzione di carattere generalista che tuteli l’ interesse generale del paese, e questa indicazione giunge anche a livello di Unione europea. Il servizio pubblico – di questo si rendono conto per esempio inglesi, tedeschi e francesi – è tanto più strategico oggi: ma se questa è la necessità, com’ è possibile allora che un’ azienda che, come la Rai, ha i conti in ordine e meno dipendenti di altre tv pubbliche europee, sia alle prese con il problema del tetto ai compensi? Il problema è che in Italia il rapporto tra Rai e siste.

Rai, alla fine arriva Mario Orfeo. Il primo dg del Nazareno 2.0

Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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L’ antefatto si svolge nella tarda serata di giovedì quando, al termine della convulsa bagarre alla Camera sulla legge elettorale, i consiglieri Rai di maggioranza vengono convocati dal sottosegretario allo Sviluppo con delega alle telecomunicazioni, Antonello Giacomelli, e dal ministro con delega all’ editoria Luca Lotti. Oggetto dell’ urgente comunicazione (urgente perché il consiglio d’ amministrazione è convocato alle 10.30 del giorno successivo, cioè ieri) è la decisione del capo (Matteo Renzi) di nominare nuovo direttore generale il direttore del Tg1 Mario Orfeo. Il segretario del Pd, ricevuto nel tardo pomeriggio a Palazzo Chigi, aveva risposto picche alla proposta del premier Paolo Gentiloni che per quel posto fortissimamente voleva Nino Rizzo Nervo, ex consigliere Rai, suo amico e attuale vicesegretario della Presidenza del Consiglio: non che avessimo dubbi su chi comanda davvero. Adda passà ‘a nuttata e la pochade mattutina inizia con un tweet, solo apparentemente neutro, di Maurizio Gasparri che alle 9.49 – dunque addirittura prima dell’ inizio del cda – dà la nomina di Orfeo come cosa fatta. Fatta e approvata anche da Gianni Letta che con Renzi ha mediato la nomina per conto di Silvio Berlusconi: il Nazareno delle tv. Alle 10.30 inizia la seduta consigliare – assente Franco Siddi, arriverà mezz’ ora dopo – con un’ impettita Monica Maggioni che propone la nomina di Orfeo. Il consigliere Carlo Freccero si dice contrario e si autocandida, chiedendo un’ audizione alla commissione di Vigilanza per comparare i curricula. “Il tweet di Gasparri – dirà più tardi alle agenzie – è la dimostrazione che tutto era stato deciso tra Renzi e il centrodestra. Di fronte a questo ho ritenuto di contrapporre il mio nome a quello di Orfeo, chiedendo un’ audizione della Vigilanza per valutare le competenze di entrambi”. Intanto però il cda incorona Orfeo. Unico voto contrario quello di Freccero: con lui il neodirettore generale, appena fatto il suo ingresso in consiglio, ha un vivace scambio di battute a sfondo calcistico. Che si conclude con Freccero che gli rinfaccia la sua doppia fede calcistica (mezzo milanista, mezzo juventino, che per uno di Napoli non è male): “Trasversale anche nel calcio”. Il consiglio si riaggiorna a mercoledì 14, giorno in cui si discuterà della “questione delle questioni”: il tetto ai cachet delle star, da cui dipende anche il destino di alcuni volti Rai (Fabio Fazio, Alberto Angela, Massimo Giletti). E poi – ma questo è il problema minore – bisognerà pensare alla successione del direttore del Tg1: il più accreditato è Antonio Di Bella, attualmente direttore di RaiNews, dove potrebbe approdare Gerardo Greco. Maretta anche sulle direzioni di rete: Daria Bignardi avrebbe già un piede fuori dalla porta di Rai3, più complessa la situazione di Ilaria Dallatana che con Rai2, sperimentando, ha avuto buoni risultati. Tornando a Orfeo, già prima di pranzo arrivano – 5Stelle a parte, che gridano al “colpo di mano” dei renziani – gridolini di gioia a reti pressoché unificate. Il consigliere Guelfo Guelfi non teme il ridicolo: “Il direttore del Tg1 Mario Orfeo è un collezionista di record, che ha portato la testata a essere invidiata in tutto il mondo e fonte autorevole del sistema informativo non solo del nostro Paese”. Il collega Franco Siddi è in versione camomilla: “Ora ciascuna componente aziendale può tornare tranquillamente a operare al compito per il quale è stata chiamata ad agire, come sempre sul merito delle cose”. Un grande merito, visto che da sistemare c’ è quella cosuccia chiamata palinsesti, che dovrebbero essere presentati tra due settimane ma sono in alto mare, a causa dello stallo di questo periodo. In molti hanno osservato che l’ attuale organigramma vede a capo della Rai due giornalisti e nessun manager che sappia qualcosa oltre l’ informazione. Chiaramente ai partiti interessava blindare la campagna elettorale, ma resta un problema di competenze specifiche, capacità di dialogo in vista dei palinsesti con gli altri mondi Rai (fiction, intrattenimento, cinema). Tipo: di Sanremo, una macchina piuttosto complessa, chi si occupera? Dentro Viale Mazzini, peraltro, Maggioni è considerata la grande sconfitta: la presidente avrebbe cercato in tutti i modi di tenere per sé le deleghe all’ informazione, ma non c’ è stato verso, Renzi non s’ è fidato. A margine, ma mica tanto, ieri si è dimesso anche il direttore finanziario della Rai, Raffaele Agrusti. Del suo addio si sapeva, quel che non si sapeva era il contenuto delle slide presentate prima dell’ addio, ovvero i numeri del bilancio di previsione 2018. Molto rossi: il risultato ante imposte senza correttivi sarà negativo per 89 milioni. Che diventerebbero 100 se la Rai, come ha intenzione di fare, acquistasse un pezzo di Champions League. Auguri ai nuovi vertici.

Un Nazareno Doc sul trono della Rai ridotta a Telerenzi

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“La quotidiana azione di mediazione, la vacuità dell’ impegno in forma mediatica dell’ uomo politico, ingaggiato ogni sera in trasmissioni televisive orripilanti per dare voce al proprio vaniloquio, non prevede più alcuno spazio per dire no” (da “Il trono vuoto” di Roberto Andò – Bompiani, 2012 – pagg. 128-129) Chi conosce personalmente Mario Orfeo e ha lavorato per qualche anno insieme a lui nella redazione di Repubblica, com’ è il caso del sottoscritto, non fa fatica a ricordare le sue doti originarie di “uomo di macchina”, efficiente e solerte. Né può dimenticare il cursus honorum del nuovo direttore generale della Rai. Prima di salire sul trono di Viale Mazzini, Orfeo ha diretto due giornali come Il Mattino di Napoli e Il Messaggero di Roma, entrambi del Gruppo Caltagirone, e due testate televisive come il Tg2 e il Tg1. Sono state tutte esperienze di successo: in particolare, l’ ultima in ordine di tempo, sebbene il maggior telegiornale della tv di Stato – sotto la sua gestione – sia diventato l’ house organ del Partito democratico, contravvenendo alle funzioni e ai doveri del servizio pubblico. Tanto da insinuare oggi il sospetto che questa nomina sia in realtà un riconoscimento retroattivo. Un guiderdone, insomma, per i servigi resi. Una prima riserva è d’ obbligo, dunque, sulle capacità manageriali di Orfeo, dal momento che la “riformicchia” del governo Renzi ha unificato le funzioni di direttore generale e amministratore delegato. E per quanto l’ informazione rappresenti il core business della Rai, lascia tuttavia qualche perplessità l’ accoppiata con la presidente Monica Maggioni, anche lei di estrazione giornalistica, sotto l’ aspetto dell’ integrazione e della complementarietà. Ma, sul piano della gestione, bisognerà giudicare il nuovo dg alla prova dei fatti, in base alle scelte e ai risultati. Ciò su cui si deve eccepire, piuttosto, riguarda il criterio e il meccanismo di nomina, in forza di quella pseudo-riforma che induce a rivalutare persino la famigerata legge Gasparri. Un’ investitura diretta da parte del ministero dell’ Economia e quindi del governo, in spregio a tutte le sentenze della Corte costituzionale che in nome del pluralismo attribuiscono al Parlamento il controllo della Rai. Questo è, per così dire, il “peccato originale” di Orfeo, come lo era già di Antonio Campo Dall’ Orto e lo sarebbe domani di chiunque altro nella medesima situazione. Dopo la “strasconfitta” del referendum costituzionale e il fallimento della riforma elettorale, il Pd di Renzi avrebbe potuto approfittare di questa occasione per correggere la rotta e lanciare un segnale al sistema politico, e soprattutto all’ opinione pubblica, designando al vertice della Rai una figura di garanzia, “super partes”, indipendente e autorevole, al di sopra di ogni sospetto. E invece, l’ ex rottamatore ha imposto un suo “uomo di fiducia”; un professionista tanto esperto e navigato quanto subordinato al partito di maggioranza o, meglio ancora, all’ attuale maggioranza del partito di maggioranza. Un “Nazareno doc”, insomma, per richiamarsi alla casa madre del Partito democratico. Senza ripercorrere qui tutta la “galleria degli antenati”, il nuovo dg della Rai ricorda l’ Ettore Bernabei della vecchia Rai di regime, all’ epoca del monopolio televisivo: il “padre-padrone” della tv pubblica che tutelava il potere democristiano, come ha fatto il Tg1 nel corso dell’ ultima gestione con il “caso Etruria” o il “caso Consip”, i fischi a Renzi o le censure al M5S . Ma Orfeo, rispetto a Bernabei, può solo augurarsi di essere all’ altezza del suo predecessore.

Orfeo direttore generale «Nazareno»

Il Manifesto

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Roma II A destra spopola. Perfino Daniela Santanchè, che non è certo una tenera, è prodiga di complimenti nei confronti del nuovo direttore generale di viale Mazzini. L’ impasse sulla nomina del successore di Antonio Campo Dall’ Orto del resto si è ufficialmente sbloccata con un tweet di Maurizio Gasparri che ha annunciato al posto del consiglio d’ amministrazione la fumata bianca sul nome dell’ attuale direttore del Tg1 Mario Orfeo. Su Orfeo ha insistito Matteo Renzi, di fronte al premier Paolo Gentiloni (l’ indicazione del dg Rai spetta al governo) che invece nutriva dubbi, evidentemente messi da parte senza fare troppe storie. Una volta saltato l’ accordo a quattro sulla legge elettorale, il segretario del Pd ha scelto di mantenere comunque intatto il solido filo dei rapporti con Forza Italia che appunto approva subito la scelta, e di procedere invece speditamente su un nome visto come fumo negli occhi dai 5 Stelle, che contro Orfeo hanno portato avanti una campagna senza esclusione di colpi accusandolo di renzismo spinto. Per dirne solo una, Beppe Grillo in passato ha tra l’ altro accusato il Tg1 di aver «raggiunto livelli vomitevoli di spudorata propaganda di regime». Alla nomina del nuovo direttore generale il consiglio d’ amministrazione ha dato il via libera con 7 voti a favore compreso quello della presidente Monica Maggioni, che però a quanto si dice avrebbe preferito l’ attuale ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco. Probabilmente anche perché la presidente vorrebbe dedicarsi in prima persona al piano per l’ informazione e con un giornalista come Orfeo potrebbe entrare in merito delle cose». Mentre per il consigliere renziano Guelfo Guelfi «chiedere al direttore del Tg1 di occuparsi dell’ azienda vuol dire investire la carta migliore che abbiamo in questo scorcio di mandato, perché sappiamo che le questioni da affrontare sono importanti e strategiche». Orfeo, 51 anni, in passato direttore di due quotidiani del gruppo Caltagirone (Il Mattino e Il Messaggero) lascia la appunto guida del Tg1 e si apre subito il toto -successore. Uno de4i primi nomi che sono stati fatti è quello di Antonio Di Bella, che però sembra preferisca restare alla direzione di Rainews (se invece passasse al Tg1, al suo posto potrebbe andare Gerardo Greco). Con insistenza si fa anche il nome di Andrea Montanari, attuale direttore del giornale radio Raie già vicedirettore di Orfeo al Tg1. Ma le principali incomben.

Orfeo al vertice Rai, nuovo direttore generale

Il Mattino
Stefania Piras
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ROMA Non è un manager puro, ma è un giornalista il nuovo direttore generale della Rai designato ieri in consiglio di amministrazione. È Mario Orfeo che da direttore del Tg1 diventa quindi il numero uno di viale Mazzini. Sette i voti a favore, compreso quello della presidente Monica Maggioni e uno contrario, quello del consigliere Carlo Freccero, che in modo provocatorio si era autoproposto come dg chiedendo «un’ audizione pubblica in Vigilanza» per sapere chi fosse «più competente di tv». L’ intesa su Orfeo tra il segretario dem Matteo Renzi e il premier Paolo Gentiloni, giornalista ed ex ministro delle Comunicazioni, è stata raggiunta l’ altra sera dopo una giornata convulsa in cui la pax elettorale è saltata in Parlamento. Il piano dell’ informazione non è più rinviabile dopo i fallimenti, nell’ ordine, di Luigi Gubitosi e Carlo Verdelli che a gennaio aveva dato le dimissioni dopo il voto contrario del consiglio di amministrazione. Sul fronte news dovrà decidere se confermare l’ incarico di Milena Gabanelli assunta dall’ ex dg come vicedirettrice per il rinnovo dell’ offerta web della tv pubblica. Sarà un weekend di fuoco per il nuovo dg. Entro lunedì infatti deve avere già le idee chiare sui compensi agli artisti e i molti conduttori dati in uscita. Ecco, il nuovo dg li incontrerà tutti, da Conti, Fazio, ad Angela e Giletti. Li vedrà uno per uno per convincerli a rimanere. Anche perché alla presentazione ufficiale dei palinsesti si deve sapere chi resta. L’ ultima volta si era parlato di una deroga per chi lavora in programmi sostenuti da introiti pubblicitari almeno per il 50%. Inoltre bisognerà trovare la giusta definizione di prestazione artistica (e quindi sciogliere i dubbi su figure come Bruno Vespa). Poi Orfeo dovrà fare subito due nomine nevralgiche: il nuovo direttore finanziario e il capo staff. In più deve portare in consiglio (forse il 14 giugno)il nome del nuovo direttore del Tg1. In pole position per prendere il suo posto ci sarebbero Andrea Montanari, direttore del Gr e Antonio Di Bella, direttore di RaiNews24. Ma circolano anche i nomi di Ida Colucci, direttore del Tg2, Fabrizio Ferragni, direttore delle Relazioni Istituzionali, Costanza Crescimbeni, vicedirettore del Tg1, Andrea Covotta, attuale vicedirettore del Tg2. Ed un esterno, Claudio Cerasa direttore del Foglio. La prossima settimana la Rai, e quindi Orfeo, deve decidere se partecipare alla gara sui diritti di trasmissione della Champions League del 2018. Mentre entro qualche mese va approvato il contratto di servizio della Rai. Insomma, dovrà lavorare a pieno ritmo da subito, forte di una nomina che gode di un consenso ampissimo. Attestati di stima e auguri a Orfeo arrivano da quasi tutti gli schieramenti, a partire da Pd e Forza Italia. Per il consigliere in quota M5S Freccero si tratta di una scelta che dimostra larghe intese. «La normativa – dice – prevede che sia il cda a fare le proposte per la nomina del direttore generale, ma un tweet di Maurizio Gasparri ha anticipato il nome. È la dimostrazione che tutto era stato deciso tra Renzi e il centrodestra». È una «scelta strategica» invece per il consigliere Guelfo Guelfi vicinissimo a Renzi. «Il ritorno di un direttore giornalistico dopo Agnes e Locatelli è una bella notizia, significa che l’ informazione torna al centro della Rai» dice Giancarlo Leone, cortegiatissimo fino all’ ultimo. L’ ex dg Rai e attuale presidente dei produttori televisivi oltre ai complimenti a Orfeo ha offerto da subito collaborazione per il rilancio del prodotto audiovisivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Orfeo nuovo dg Rai: ok Pd-Fi, no M5S Allarme conti sul 2018

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Il regolamento sul tetto agli stipendi degli artisti, prima dei palinsesti da presentare il 28 giugno; il Piano news sul quale, almeno formalmente, è naufragata l’ esperienza di Antonio Campo Dall’ Orto alla direzione generale della Rai; ma anche il rinnovo del contratto di servizio per i prossimi cinque anni: proprio ieri Agcom ha fatto sapere di aver avviato una consultazione con gli stakeholders, fra cui ovviamente la Rai, prima di adottare il 27 giugno uno schema di linee guida da trasmettere al Mise (per un via libera del contratto di servizio entro l’ estate a detta del sottosegretario Antonello Giacomelli). È un ricco menu quello sul tavolo del nuovo dg Rai, Mario Orfeo. Risolutivo per la scelta di Orfeo alla guida di Viale Mazzini è stato l’ incontro di giovedì sera fra il premier Paolo Gentiloni e il segretario del Pd Matteo Renzi, al termine di una giornata caratterizzata sul piano politico dallo scontro sulla legge elettorale. Uno strappo – con la fine del patto a 4 fra Pd, Forza Italia, M5S e Lega – che paradossalmente può avere dato un’ accelerazione alla nomina del nuovo dg, con un Pd non più legato a cautele necessarie per non rompere gli equilibri con le altre forze politiche, in primis M5S. E così, all’ ok di Pd e Forza Italia ha fatto da contraltare la reazione dei pentastellati: «Mi sembra benzina sul fuoco perché avevamo chiesto tutti un uomo sopra le parti e io non ritengo Orfeo un uomo sopra le parti», ha commentato Roberto Fico, capogruppo M5S alla Camera e presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Il cda ieri ha dunque nominato Orfeo – lunga esperienza nella carta stampata fra Repubblica, la direzione del Mattino e del Messaggero, oltre alla Rai (direttore Tg2 fra 2009 e 2011 e del Tg1 dal 2012) – con un solo voto contrario, quello di Carlo Freccero che, provocatoriamente, si era anche proposto per l’ incarico. Il nuovo dg, dopo aver partecipato al suo primo consiglio, ha incontrato sia la presidente Monica Maggioni, sia Campo Dall’ Orto per un passaggio di consegne. Ieri è stato anche il giorno del commiato dalla Rai per l’ ex direttore finanziario Raffaele Agrusti, con un passaggio in cda accompagnato da numeri che però hanno destato qualche allarme. A marzo 2017 i ricavi esterni del Gruppo Rai a 667,8 milioni si confrontano con i 691 di un anno prima. Alla fine, la prima riparametrazione del 2017 (anno in cui i ricavi da canone sono attesi in calo da 1,909 miliardi a 1,768 per il taglio da 100 a 90 euro) vede un rosso di 1 milione contro i 2 milioni di utile messi a budget e i 18,1 milioni di fine 2016. A pesare ci sono 15 milioni in più, rispetto al budget, sulla voce costi esterni (1,038 miliardi contro 1,023 miliardi ma comunque sotto gli 1,151 del 2016) ma anche una previsione di 10 milioni in meno rispetto al budget sui ricavi da pubblicità. In conclusione, fra flessione dei ricavi da canone e con i costi per gli eventi sportivi del prossimo anno, le prime stime su un 2018 “inerziale” indicano 78 milioni di rosso all’ ultima riga di bilancio. La nomina di Orfeo apre ora il tema della successione alla direzione del Tg1. L’ ipotesi al momento più accreditata riguarda Antonio Di Bella, attuale direttore di Rainews con Gerardo Greco a sostituirlo, ma si parla anche di Andrea Montanari, attuale direttore di Giornale Radio e Radio1 (in questo caso alla Gr potrebbe andare Gennaro Sangiuliano, attuale vicedirettore del Tg1). Si fa anche l’ ipotesi Fabrizio Ferragni. La questione dovrebbe essere risolta al prossimo cda previsto per mercoledì. Per lo stesso giorno è stato anche convocato l’ ufficio di presidenza della Commissione di Vigilanza per decidere quando calendarizzare il voto per l’ elezione del consigliere in sostituzione di Paolo Messa. L’ ipotesi di non procedere sembrerebbe non tenere. È vero che così avvenne per Luisa Todini nella precedente consiliatura, ma in questo caso i tempi sono più lunghi fino ad agosto 2018. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, Mario Orfeo nuovo d.g.

Italia Oggi
MARCO LIVI
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È Mario Orfeo il nuovo direttore generale della Rai. L’ accordo sul nome fra Pd e area di centrodestra è stato raggiunto nella tarda serata di giovedì così ieri è arrivata nomina del giornalista da parte del cda di viale Mazzini, dopo il via libera dell’ assemblea totalitaria degli azionisti (Tesoro più una piccola partecipazione della Siae, lo 0,44%). Orfeo, attuale direttore del Tg1, prende il posto del dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto. Sette consiglieri hanno votato a favore della nomina: la presidente Monica Maggioni e i consiglieri Guelfo Guelfi, Rita Borioni, Giancarlo Mazzuca, Arturo Diaconale, Franco Siddi e Marco Fortis, quest’ ultimo rappresentante del Tesoro. Contrario Carlo Freccero, che al momento della designazione e indicazione agli azionisti aveva proposto se stesso nel ruolo di d.g. Rai. «Propongo me stesso nel ruolo di direttore generale della Rai», era stata la dichiarazione di rottura di Freccero nella riunione da cui doveva uscire l’ indicazione agli azionisti del nome del successore di Campo Dall’ Orto. Il consigliere Rai ha voluto così apertamente manifestare il proprio dissenso verso una scelta ritenuta frutto di un accordo tra Pd e centrodestra e che allontanava l’ ipotesi di un interim consiliare. Freccero ha anche preannunciato di voler richiedere alla commissione di Vigilanza un’ audizione che serva a verificare sul campo le competenze, proprie e di quelle di Orfeo. Da rilevare che martedì Orfeo era stato dato come tra i più papabili e poi di colpo nel giro di poche ore l’ ipotesi era caduta. Sembra che a sostenerlo sia stato soprattutto il segretario del Pd Matteo Renzi, mentre il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni Antonello Giacomelli avrebbe preferito puntare sull’ ex direttore del Tg3 ed ex cda Nino Rizzo Nervo, nome però questo non gradito al centrodestra. Orfeo traghetterà l’ azienda nell’ ultimo anno del mandato dell’ attuale cda che attualmente, peraltro, ha un membro in meno essendosi dimesso Paolo Messa. Non è detto, però, che la Vigilanza arrivi a reintegrare il consiglio prima della sua scadenza. A favore del giornalista ha giocato sicuramente il fatto che il suo Tg1 macini ascolti, distanziando il diretto competitor, e quindi riconoscendogli di fatto anche una capacità manageriale. Orfeo, al Tg1 dal 2012, ha diretto anche il Tg2 dal 2009 al 2001 oltre che il Mattino di Napoli e il Messaggero, quotidiani entrambi in capo al gruppo Caltagirone. Come nuovo direttore del Tg1 si parla ora di Antonio Di Bella, attualmente a capo di RaiNews24. Sono ora diversi e delicati i dossier sul tavolo del nuovo d.g. a cominciare dalla riforma del sistema news della Rai, lo scoglio su cui prima Carlo Verdelli, come direttore editoriale per l’ offerta informativa, e poi lo stesso Campo Dall’ Orto hanno trovato difficoltà rivelatesi tali da portare alla rottura in cda e alle dimissioni di entrambi, in tempi diversi. C’ è poi da gestire la questione palinsesti: una parte di essi è preparata ma arriva fino al termine dell’ estate, ed è fondamentale arrivare a fine mese con il materiale da presentare agli investitori pubblicitari. Inoltre Orfeo dovrà gestire la non meno delicata questione dei compensi per gli artisti: quali criteri adottare per stabilire quando è valido il tetto di 240 mila euro oppure no? Le deroghe sono possibili, ma in cda da tempo si discute su come decidere per chi e in che misura si può sforare il tetto fissato dalla legge per i dipendenti pubblici. Orfeo potrebbe trovarsi a dover arginare una possibile fuga di star. C’ è ancora da chiudere la partita del contratto dei dipendenti Rai non giornalisti e la questione dei diritti sportivi relativi al calcio di casa nostra. Polemici gli esponenti del Movimento 5Stelle: Orfeo d.g. «è benzina sul fuoco», ha commentato il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Roberto Fico. «Avevamo chiesto un uomo sopra le parti, ma io non ritengo Orfeo un uomo sopra le parti» Per Giacomelli, invece, Orfeo «conosce la Rai, ha tutte le caratteristiche per fare bene e valorizzare le risorse umane e professionali dell’ azienda. Fico dice che non è super partes? Contro Campo Dall’ Orto quando è stato nominato hanno usato espressioni molto più dure… quindi tutto sommato la interpreto come una accoglienza positiva», ha ironizzato il sottosegretario. © Riproduzione riservata.

Una vita fra giornali e tg

Italia Oggi

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Un’ alternanza tra le direzioni di quotidiani e di telegiornali, fino a diventare direttore generale della Rai. È il cammino in alta quota di Mario Orfeo. Nato a Napoli il 21 marzo 1966, Orfeo è stato direttore del Mattino di Napoli (Gruppo Caltagirone) nel 2002, poi direttore del Tg2 dal luglio 2009 al 2011, quindi direttore del Messaggero (anche questo del Gruppo Caltagirone) dal marzo 2011 al novembre 2012, quando diventa direttore del Tg1. Il suo percorso professionale comincia dalla carta stampata nella seconda metà degli anni Ottanta, quindi nel 1990 entra nella redazione napoletana de La Repubblica per poi passare a quella centrale di Roma come caporedattore, fino a sostituire Paolo Gambescia nel 2002 al Mattino dove comincia la serie di direzioni. Il 23 luglio 2009 viene nominato direttore del Tg2, su proposta del direttore generale Mauro Masi e con voto unanime del cda. Vi resta fino al 2011 quando va al Messaggero per un anno e mezzo. Quindi il 29 novembre 2012, su proposta del d.g. Luigi Gubitosi, viene nominato direttore del Tg1 con un voto a maggioranza in cda.

Rai, Orfeo è il nuovo dg. Solo Freccero dice no

Corriere della Sera
P. Co.
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ROMA Mario Orfeo, direttore del Tg1 dal 29 dicembre 2012, è il nuovo direttore generale della Rai da ieri mattina. È stato proposto dal ministero dell’ Economia e votato ad ampia maggioranza dal Consiglio di amministrazione Rai: sette voti favorevoli, inclusa la presidente Monica Maggioni, e l’ unico contrario di Carlo Freccero. I voti sono stati otto perché il Consiglio ha perso un membro con le dimissioni del consigliere Paolo Messa e nessuno ancora sa dire se la Vigilanza lo reintegrerà , visto che alla scadenza del Consiglio di amministrazione manca ancora un anno pieno di lavoro. Il nome di Orfeo è stato il frutto di un accordo, giovedì sera, tra il Pd e il centrodestra che hanno individuato nel direttore del Tg1 il nome interno, e di alto profilo, adatto a traghettare la Rai fino all’ agosto 2018 quando scadrà l’ attuale Consiglio. Soddisfatti Pd e centrodestra. Per Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera, «Mario Orfeo è un professionista della comunicazione serio, capace e competente». Per Maurizio Gasparri «è la persona giusta». Andrea Romano, Pd: «In bocca al lupo a Mario Orfeo per questo nuovo impegno lavorativo. La Rai è un patrimonio del Paese e deve essere valorizzata al meglio e la professionalità di Orfeo è una scelta che va in questa direzione». Anche Giorgia Meloni, Fratelli d’ Italia, è d’ accordo: «Buon lavoro al nuovo Dg Rai, Mario Orfeo, con l’ auspicio che sotto la sua guida esperta il servizio pubblico saprà garantire quell’ equilibrio e quel pluralismo che troppo spesso gli sono mancati». Gianpiero D’ Alia, coordinatore dei Centristi per l’ Europa: «La nomina di Mario Orfeo a direttore generale della Rai è ineccepibile. Un professionista interno all’ azienda, che ha dimostrato nel tempo grandi competenze. Finalmente l’ uomo giusto al posto giusto». Giancarlo Leone, per giorni indicato come possibile direttore generale, invia da presidente dell’ Associazione Produttori Televisivi gli auguri a Orfeo: «La sua nomina è un’ ottima notizia per il sistema televisivo». Ottimista il consigliere di amministrazione Guelfo Guelfi, di area renziana: «Chiedere al direttore del Tg1 di occuparsi dell’ azienda vuol dire investire la carta migliore che abbiamo in questo scorcio di mandato, perché sappiamo che le questioni da affrontare sono importanti e strategiche». Il «no» di Freccero è stato interpretato come la voce dei Cinque Stelle in consiglio. L’ ex direttore di Rai2 e Rai4 ed ex presidente di RaiSat ha dichiarato: «Propongo me stesso come direttore generale e chiedo un’ audizione pubblica in commissione parlamentare di Vigilanza per verificare chi tra i due sia più competente». Le reazioni politiche dei pentastellati sono state esplicite. Roberto Fico, presidente della Vigilanza del M5S: « È benzina sul fuoco. Avevamo chiesto un uomo sopra le parti, ma io non ritengo Orfeo un uomo sopra le parti… Finalmente possiamo avere una informazione libera, trasparente e indipendente, così come è stato il Tg1 in questi anni!». E il gruppo M5S in Vigilanza parla di «golpe renziano». La Federazione nazionale della stampa e l’ Usigrai chiedono a Orfeo «da subito atti concreti in discontinuità con la gestione degli ultimi due anni, mettendo al primo posto la qualità del prodotto e la piena valorizzazione delle risorse interne».

L’ agenda complicata tra piano news e stipendi Prima l’ erede al Tg1: in pista anche Di Bella

Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA Il direttore del Tg1 Mario Orfeo diventa direttore generale della Rai. E il tam-tam aziendale in pochi minuti formula la diagnosi: l’ accordo Pd-centrodestra vede in lui il traghettatore capace di mettere mano al piano della riforma delle news. Cioè l’ ostacolo che fece cadere Antonio Campo Dall’ Orto lunedì 22 maggio e, prima ancora, aveva portato alle dimissioni di Carlo Verdelli, direttore editoriale dell’ Informazione. Per non parlare del piano dell’ ex direttore generale Luigi Gubitosi, osteggiatissimo dal corpaccione Rai e prontamente rottamato. Chi ha seguito le prime reazioni alla nomina di Orfeo al settimo piano di viale Mazzini ha registrato, per dirla molto diplomaticamente, un certo quale disorientamento negli ambienti della presidenza. La presidente Monica Maggioni, quel 22 maggio, aveva clamorosamente votato proprio contro il piano delle news di Campo Dall’ Orto spingendo il direttore generale alle dimissioni. Ed erano in molti a decifrare un progetto: Maggioni avrebbe puntato alla delega sul piano news per gestirlo in prima persona. Al punto che, per un paio di giorni, si era parlato di lei come possibile direttore generale. Ma la nomina di un direttore del Tg1 alla direzione generale polverizza ogni ipotetica strategia: non essendo Orfeo un manager aziendale, è lampante che si occuperà soprattutto di informazione e contenuti editoriali, semplicemente perché è il suo lavoro. Primo nodo, immediato: direzione del Tg1. Candidati: Antonio Di Bella, ora a Rainews 24, oppure Fabrizio Ferragni, oggi alle Relazioni Istituzionali, o Andrea Montanari, direttore del Giornale Radio. Secondo nodo: il futuro del progetto di rifondazione dell’ informazione digitale, affidata da Campo Dall’ Orto (con la qualifica di vicedirettore) a Milena Gabanelli. Un piano coraggioso e editorialmente aggressivo (con coinvolgimento di tutti i volti noti della Rai, inclusi i corrispondenti e gli inviati sui fronti di guerra) che però (secondo quanto ha dichiarato Gabanelli al Corriere della Sera ) «non è mai piaciuto alla presidenza», nonostante gli investimenti già realizzati. Verrà finalmente varato o sarà, anche questo, accantonato? Terzo nodo: la razionalizzazione dei costi e la riduzione delle innumerevoli edizioni dei diversi tg Rai, come chiede la nuova convenzione Stato-Rai. E poi, ultima ma non ultima questione, la regolamentazione dei compensi ai divi Rai: a chi verrà applicato il tetto di 240 mila euro annui? Si potranno agganciare i contratti agli introiti pubblicitari? Sono tante le voci di possibili addii alla Rai: Fabio Fazio, Alberto Angela, Massimo Giletti, Carlo Conti (tutti campioni di ascolti) che aspettano di capire per decidere se fare i bagagli o restare in viale Mazzini, dopo adeguate rassicurazioni economiche. Tutto questo è il compito di Mario Orfeo: le sue ferie estive sono in serio pericolo…

Rai, Orfeo è il nuovo dg Sul tavolo già un dossier: fermare la fuga delle star

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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Il primo tentativo sarà quello di convincere Fabio Fazio a non lasciare l’ azienda Al prossimo consiglio il nome del suo successore al Tg1, Montanari in pole ROMA. Nella sua prima giornata come direttore generale della Rai, Orfeo scopre di avere un Everest di fronte a sé, con l’ urgenza peraltro di completare la scalata in pochi giorni. I consiglieri di amministrazione – che ieri lo hanno nominato con 7 voti a favore, contrario il solo Freccero hanno chiarito al nuovo dg la quantità e la qualità degli impegni che lo aspettano. E così anche il direttore generale uscente Campo Dall’ Orto, ieri sera, nella lunga riunione per il passaggio delle consegne. Il plauso di Pd e Forza Italia alla nomina rafforza Orfeo (i grillini parlano invece di “golpe renziano”), ma l’ impresa resta complicata per il prescelto. Alla prossima seduta del Consiglio il 14 giugno, Orfeo potrebbe portare un candidato per la guida del Tg1, che lui ha appena lasciato. Difficile fare ipotesi oggi. Ma certo vanno tenuti d’ occhio outsider come Andrea Montanari che proprio Orfeo volle come vice direttore e responsabile della edizione delle 20 al Tg1 (era il 2013). Montanari dirige oggi il Giornale Radio e Radio 1. Sulla guida del principale telegiornale e sul piano di riforma generale delle news, il dg entrante dovrà misurarsi con la volontà del presidente Maggioni di pesare in questo ambito. Orfeo poi sta provando a prendere Fabio Fazio per i capelli, scongiurando sul filo di lana il suo trasloco a La7. Come già Campo Dall’ Orto, anche il nuovo dg proporrà allo showman il trasloco dalla Terza alla Prima Rete, con la garanzia di un investimento produttivo importante. Trattenere Fazio è molto difficile, non impossibile. Serve una delibera chiara ed efficace che autorizzi compensi oltre i 240 mila euro lordi annui per artisti di comprovata redditività come la stella Fazio. Il direttore generale deve trovare anche un rimpiazzo per la figura manageriale più importante dell’ azienda – il direttore finanziario – dopo l’ addio di Raffaele Agrusti che si è trasferito alla compagnia assicurativa Itas (deluso per la defenestrazione di Campo). Orfeo cerca l’ uomo dei conti con un braccio legato dietro la schiena. Il tetto alle retribuzioni per i manager – quello sì fissato a 240 mila euro lordi annui – impedisce di pescare un grande nome sul mercato. Una prima soluzione porterebbe all’ ingaggio di un super burocrate del ministero dell’ Economia, disponibile a ricoprire un incarico di prestigio alla Rai perché a fine carriera. La seconda soluzione è assoldare un dirigente interno (in una rosa di nomi che comprenderebbe Del Brocco, Forleo, Zucca). D’ altra parte Campo Dall’ Orto ha avviato, prima di andar via, il concorso interno per la posizione di direttore finanziario attraverso un job posting, e Orfeo non potrà ignorare la procedura. I conti della televisione di Stato sono in sicurezza per il 2017. Il risultato positivo d’ esercizio, ipotizzato a 2 milioni nel bilancio di previsione, potrebbe essere rivisto in lieve rialzo in autunno. Il problema è il 2018 quando i possibili investimenti per i diritti dei Mondiali di calcio e le Olimpiadi invernali porterebbero a un rosso di 70 milioni. Orfeo dovrà anche mettere in piedi la squadra che negozierà con il governo il nuovo Contratto di servizio. L’ atto elencherà tutti gli obblighi che Viale Mazzini dovrà rispettare per i prossimi 5 anni ricevendo in cambio il canone tv. In realtà Campo Dall’ Orto – rivela un consigliere d’ amministrazione – aveva già messo in piedi un team che comprendeva anche due consulenti esterni (i professori Bassan e Razzante). Adesso Orfeo dovrà decidere se confermare le scelte oppure cambiare la delegazione. ©RIPRODUZIONE RISERVATA MARIO ORFEO, L’ ex direttore del Tg1 è stato nominato ieri dal cda nuovo direttore generale della Rai.

Orfeo nuovo dg Subito lo scoglio del piano news `

Il Messaggero
MARIO ORFEO
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LA TV PUBBLICA ROMA Non è un manager puro, ma è un giornalista il nuovo direttore generale della Rai designato ieri in consiglio di amministrazione. È Mario Orfeo che da direttore del Tg1 diventa quindi il numero uno di viale Mazzini. Sette i voti a favore e uno contrario, quello del consigliere Carlo Freccero, che in modo provocatorio si era autoproposto come dg chiedendo «un’ audizione pubblica in Vigilanza» per sapere chi fosse «più competente di tv». L’ intesa su Orfeo tra il segretario dem Matteo Renzi e il premier Paolo Gentiloni, giornalista ed ex ministro delle Comunicazioni, è stata raggiunta l’ altra sera dopo una giornata convulsa in cui la pax elettorale è saltata in Parlamento. Orfeo arriva con il voto favorevole della collega e presidente Monica Maggioni che pure, dicono a viale Mazzini, avrebbe preferito una soluzione decisamente diversa. Uno dei motivi? Vede sfumare per sempre quella delega al piano news a cui ambiva e su cui era riuscita a far detonare la sfiducia a Campo Dall’ Orto. Il piano dell’ informazione non è più rinviabile dopo i fallimenti, nell’ ordine, di Luigi Gubitosi e Carlo Verdelli che a gennaio aveva dato le dimissioni dopo il voto contrario del consiglio di amministrazione. «Questo consiglio ha ora la possibilità di impostare la riforma del sistema dell’ informazione», dice molto chiaramente Guelfo Guelfi. Sul fronte news Orfeo in un pugno di mesi dovrà operare una profonda riorganizzazione e procedere a quella razionalizzazione delle testate chiesta dalla convenzione. Deve decidere il destino di Milena Gabanelli che Campo Dall’ Orto aveva assunto come vicedirettrice per occuparsi del rinnovo dell’ offerta web. Sarà un weekend di fuoco per il nuovo dg. Entro lunedì infatti deve avere già le idee chiare sui compensi agli artisti e i molti conduttori dati in uscita. Ecco, il nuovo dg li incontrerà tutti, da Carlo Conti, Fabio Fazio, ad Alberto Angela e Massimo Giletti. Dovrà convincerli a rimanere. Anche perché tra due settimane c’ è la presentazione ufficiale dei palinsesti ed è necessario (perché fa la differenza per gli inserzionisti) sapere chi intende rimanere in Rai. TETTO COMPENSI L’ ultima volta si era parlato di una deroga per chi lavora in programmi sostenuti da introiti pubblicitari almeno per il 50% o in una trasmissione di servizio pubblico che abbia un forte valore aziendale. Inoltre bisognerà trovare la giusta definizione di prestazione artistica (e quindi sciogliere i dubbi su figure come Bruno Vespa). Poi Orfeo dovrà fare subito due nomine nevralgiche: il nuovo CFO (direttore finanziario) e il suo capo staff. In più deve portare in consiglio il nome del nuovo direttore del Tg1. In pole position per prendere il suo posto ci sarebbero Andrea Montanari, direttore del Gr e per anni vice di Orfeo al Tg1, e Antonio Di Bella, direttore di RaiNews24. La nomina ufficiale sarà proposta al cda mercoledì prossimo. Altre scadenze importantissime: la prossima settimanala Rai, e quindi Orfeo, deve decidere se partecipare alla gara sui diritti di trasmissione della Champions League del 2018. Mentre entro qualche mese va approvato il contratto di servizio della Rai. A proposito di contratti, sulla scrivania del nuovo dg ce ne sono almeno un centinaio da firmare ex novo o rinnovare. E poi ci sarebbe anche la questione dei consiglieri di amministrazione pensionati, ora in maggioranza, che hanno fatto causa alla Rai ponendo il problema di un eventuale compenso. Insomma, dovrà lavorare a pieno ritmo da subito, forte di una nomina che gode di un consenso ampissimo. Attestati di stima e auguri a Orfeo arrivano da quasi tutti gli schieramenti, a partire da Pd e Forza Italia. Gli unici a storcere il naso e a gridare al golpe sono stati i Cinque Stelle con Roberto Fico, capogruppo M5S e presidente della Vigilanza Rai. «Finalmente possiamo avere un’ informazione libera, trasparente, indipendente» ha detto con sarcasmo. Orfeo fu inseguito e subissato di domande da insistenti videomaker dei Cinque Stelle. Per il consigliere in quota M5S Freccero si tratta di una scelta che dimostra larghe intese. «La normativa – dice – prevede che sia il cda a fare le proposte per la nomina del direttore generale, ma un tweet di Maurizio Gasparri ha anticipato il nome. È la dimostrazione che tutto era stato deciso tra Renzi e il centrodestra». È una «scelta strategica» invece per il consigliere Guelfo Guelfi vicinissimo a Renzi. «Il ritorno di un direttore giornalistico dopo Agnes e Locatelli è una bella notizia, significa che l’ informazione torna al centro della Rai» dice Giancarlo Leone, cortegiatissimo fino all’ ultimo. L’ ex dg Rai e attuale presidente dei produttori televisivi oltre ai complimenti a Orfeo ha offerto da subito collaborazione per il rilancio del prodotto audiovisivo. Stefania Piras © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Non ridimensionare le sedi locali»

Il Messaggero

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Le sedi regionali Rai non possono essere «ridotte a mere redazioni periferiche». Lo dice Franco Iacop, presidente della Conferenza dei Parlamenti regionali che ha approvato all’ unanimità un ordine del giorno per evitare il ridimensionamento delle sedi Rai regionali e per il rinnovo della convenzione Stato- Rai. Si chiede al presidente del Consiglio dei ministri e il ministro competente di «tutelare e salvaguardare l’ articolazione regionale del servizio radiotelevisivo pubblico Rai e le sedi Rai regionali da qualsiasi ipotesi di chiusura o ridimensionamento o accorpamento», e in particolare per la piena attuazione delle previsioni normative riguardanti le sedi Rai regionali quali «centri di produzione decentrate per le esigenze di promozione delle culture e di tutela delle minoranze linguistiche presenti nelle Regioni». «L’ informazione locale autorevole non può essere delegata esclusivamente all’ emittenza privata» ha detto Iacop.

Patto del Nazareno in Rai Il cda vota Orfeo nuovo dg

Il Giornale
LAURA RIO
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Un giornalista a capo della grande azienda Rai. Alla fine dei giochi, ieri, è stato nominato direttore generale della tv di Stato Mario Orfeo, attuale responsabile del Tg1. Insomma, per risolvere il rebus che si era creato dopo le dimissioni forzate di Antonio Campo Dall’ Orto, si è scelta una figura professionale apprezzata in molti ambienti, con posizioni politiche moderate e capace di mantenersi in equilibrio in situazioni complesse. Certo non un uomo di televisione, nel senso di conoscenza del mondo dello show, della fiction, dell’ intrattenimento. Ma si farà aiutare da persone più esperte. La sua nomina è frutto di un accordo tra l’ area renziana-governativa e l’ area di centrodestra. Tecnicamente il candidato viene indicato dal ministero del Tesoro e poi l’ approvazione spetta al Consiglio di amministrazione Rai (e all’ assemblea totalitaria dei soci). Non per nulla in cda tutti i consiglieri hanno votato a favore, tranne Carlo Freccero (vicino al Movimento cinquestelle, ma soprattutto vulcanico pezzo di storia Rai). Il nome di Orfeo come papabile neo direttore circolava da giorni, più volte dato per certo, poi l’ ipotesi sembrava tramontata. A rimescolare le carte sarebbe stata la decisione dei pentastellati – che non volevano Orfeo sulla poltrona di dg – di far saltare il banco della riforma elettorale. Fino a poche ore prima si cercava un direttore generale che potesse avere anche il consenso del gruppo di Grillo. Venuti meno gli accordi politici, si è tornati alla casella iniziale. Le reazioni politiche ne sono lo specchio. Grandi apprezzamenti da esponenti del Pd e del centrodestra, durissimo Alessandro Di Battista del M5s che parla di «golpe dei renziani» e che descrive il modo di fare informazione di Orfeo come «parziale, strumentale, cucito su misura sul Pd e su Renzi». «Oggi – attacca – la sua fedeltà viene premiata: nonostante sia stato uno dei peggiori direttori della storia del Tg1». Orfeo è stato scelto anche in vista della campagna elettorale, qualunque sia la data delle elezioni politiche: un giornalista che sappia gestire con serenità l’ informazione. O, secondo gli oppositori, che «sia prono a Renzi». Si vedrà. I consiglieri Rai avrebbero preferito un dirigente interno, come Nicola Claudio e Paolo Del Brocco. In particolare la presidente Monica Maggioni avrebbe preferito la seconda soluzione che le avrebbe consentito, come desiderava da tempo, di gestire più direttamente il complesso capitolo della riforma del settore informazione. Ora, ovviamente, da giornalista, se ne occuperà Orfeo. Che, tra gli altri gravosi compiti, dovrà risolvere anche la questione del tetto ai cachet degli artisti, mettere a punto i palinsesti della prossima stagione da presentare entro il 28 giugno, occuparsi dei problemi finanziari legati alla diminuzione delle entrate del canone. Il consigliere Giancarlo Mazzuca è chiaro: «Io avrei preferito Nicola Claudio, comunque stimo molto Orfeo, giornalista di grande esperienza. Mi auguro che venga affiancato da persone di grande competenza nei settori di cui lui non è esperto, soprattutto per le questioni economiche». L’ altro consigliere vicino al centrodestra Arturo Diaconale invece auspica una «maggiore collaborazione tra Cda e direttore generale, cosa che non avveniva nelle precedente gestione e un maggiore pluralismo nell’ informazione». Freccero che, per protesta si autocandida a dg, invece, gongola per il tweet scritto da Maurizio Gasparri di prima mattina che annunciava la nomina di Orfeo ancora prima che cominciasse il Cda (in effetti un’ anticipazione inopportuna da parte di un componente della Commissione di vigilanza Rai): «Il suo tweet ha rivelato il Patto del Nazareno che il cda ha poi ratificato». Replica di Gasparri: «Ho solo saputo una notizia e l’ ho data». Tutti giornalisti, in Rai. E, a proposito, ora si apre il toto successore alla guida del Tg1. In pole position ci sarebbero, tra gli altri, Andrea Montanari, direttore del Gr, Antonio Di Bella, direttore di RaiNews24 e Claudio Cerasa, attuale direttore del Foglio. Si deciderà in uno dei prossimi cda.

L’ ex pupillo di Ezio Mauro che ha scelto il profilo bipartisan

Il Giornale
Anna Maria Greco
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Anna Maria Greco Roma È stato quattro volte direttore, dividendosi equamente tra carta stampata (Mattino e Messaggero) e tv di Stato (Tg2 e Tg1), ma anche pupillo di Ezio Mauro a La Repubblica. Piace a sinistra e a destra, a Matteo Renzi e a Silvio Berlusconi, solo per il M5s è come fumo negli occhi. Anche nel calcio pare sia un po’ bipartisan: la sua passione è il Milan, ma è per «metà juventino», secondo Carlo Freccero, l’ unico nel cda a votare contro e anche l’ unico vicino ai grillini. Il successo di Mario Orfeo pare costruito sulla sua capacità di dialogo, di trasversalità, di intessere rapporti fruttuosi con i potenti, da Franco Caltagirone a Fedele Confalonieri, da Massimo D’ Alema (ora meno) a Maurizio Gasparri, ma anche di difendere un giornalismo di qualità, sensibile alle sfide Hi tech. Il nuovo direttore generale della Rai, dopo una sfilza di manager venuti da fuori (Masi, Gubitosi e Campo Dall’ Orto), è prima di tutto un giornalista di razza e un dirigente interno di viale Mazzini. Scelta che eviterà perdite di tempo, visto che la macchina della Rai la conosce bene. Per trovare il precedente di un giornalista-dg bisogna risalire ad Alfredo Meocci e ancora prima a Biagio Agnes. Napoletano, classe ’66, Ariete per lo Zodiaco, Orfeo è uomo schivo e riservato soprattutto nella vita privata, grande lavoratore, capace di farsi amare dalle sue redazioni, lontano dalla mondanità, ma attento alle frequentazioni che contano. Inizia nella carta stampata nella seconda metà degli anni ’80: un apprendistato a Napoli notte e al Giornale di Napoli. Poi, nel 1990, apre la redazione partenopea de La Repubblica e nel 1994 arriva a Roma per occuparsi di politica. Nel quotidiano fondato da Scalfari brucia le tappe e nel 2000 è caporedattore centrale, braccio destro di Mauro. Studia da direttore, occupando il suo posto a tempo pieno. Racconta un vecchio collega: «All’ arrivo del direttore aveva già letto tutti i quotidiani ed era in grado di fargli un quadro completo della situazione. Uno con queste caratteristiche diventa per un capo un collaboratore prezioso, anzi indispensabile». Lo nota Caltagirone nel 2002, per sostituire Paolo Gambescia al Mattino. Lì rimane fino al 2009, quando il dg Masi lo vuole direttore del Tg2, con voto unanime del cda. Porta novità alla linea editoriale, rinnova lo studio, la sigla, le musiche. Nel 2011 lo chiama ancora Caltagirone a dirigere Il Messaggero. Rimarrà fino al dicembre 2012, quando Gubitosi lo propone come direttore del Tg1. Stavolta la nomina è controversa: 5 favorevoli e 4 contrari, metà Pd e metà Pdl. L’ anno prima ci sono stati attriti con il centrodestra al governo e con il predecessore al Tg1 Augusto Minzolini. Orfeo innova molto, con il digitale e gli ascolti salgono. Lo scontro con Beppe Grillo è dell’ agosto 2014: il leader lo accusa di disinformazione per non aver dato abbastanza spazio al suo videomessaggio. Gli altri partiti lo difendono, ma il M5s continua ad attaccarlo anche per la campagna referendaria. Nel 2015 Napolitano lo nomina commendatore della Repubblica, prima ha avuto la laurea honoris causa dall’ università Federico II di Napoli. Ma è affezionato soprattutto al premio Ischia internazionale di giornalismo: l’ ha vinto nel 2007 ed è convinto che gli abbia portato fortuna. Da allora torna ogni anno nell’ isola e ha un posto nella giuria.

Orfeo, il coperchio che va bene per qualsiasi pentolino

Libero

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FRANCESCO SPECCHIA È meglio a tenè ‘a mala spina ca nu malo vicino, meglio avere una spina nel fianco che un cattivo vicino, sussurrano a Napoli. Ora, considerando che il napoletanissimo Mario Orfeo, classe 66, fresco direttore generale della Rai -benedetto nella liturgia trasversale del partito azienda, dei risultati ottenuti e dei «poteri forti»- ha come unica spina nel fianco Beppe Grillo e i suoi distillati di odio; be’, rientra nell’ ordine naturale delle cose che, per lo stesso Orfeo, non spunti un vero nemico nemmeno a pagarlo. Orfeo è uno strano, fascinoso mix. Possiede la tigna professionale di un Ezio Mauro (di cui è stato pupillo come ottimo caporedattore centrale a Repubblica) e la paraculesca capacità di relazione democristiana di un Carlo Rossella. È mostruosamente bravo, ma è pure in grado di farsi concavo e convesso verso qualsiasi superficie di potere. Il coperchio adatto ad ogni pentola. Orfeo ha mantenuto affettuosi rapporti con l’ ex giornale-partito di Scalfari; è passato indenne dalle forche caudine dei Caltagirone; ha fatto magnificamente surf, in perfetto equilibrio politico, sui frenetici cambiamenti di spoil system nei telegiornali Rai che ha diretto. Ma, nel contempo, ha pure risollevato giornaloni come Il Mattino e Il Messaggero; ha rinnovato tecnologicamente il Tg2 dove l’ aveva piazzato il berlusconianissimo Mario Masi; ed è stato richiamato, da un tecnico puro come Gubitosi, alla guida di un Tg1 che dal 20% -gestione Minzolini- ha fatto veleggiare verso un ascolto record del 26-27%, circa 6-7 milioni di spettatori nelle edizioni pregiate. «È velocissimo, si presenta alle 8 del mattino in redazione conoscendo anche le brevi dei giornali locali. Ti rompe i coglioni su tutto, dalle immagini ripetute agli accenti sbagliati nei servizi. È ineusauribile sia sul lavoro che nelle relazioni…», concordano amici e nemici -in egual numero- della sua redazione. Tutti colleghi che, onestamente, lo vedono arrivare sempre per primo ed andarsene sempre per ultimo. C’ è da dire che, sotto quella barba incolta, quell’ aria da personaggio gioviale estratto da un racconto di Luciano De Crescenzo, Orfeo lascia serpeggiare un’ irascibilità oltre l’ umano. Più di una sedia, presa a calci, al secondo piano di Saxa Rubra ha subito atroci destini, tra le urla del capo. C’ è, però, anche da aggiungere che, dieci minuti dopo, Orfeo torna il cazzaro di sempre: battuteggia, racconta barzellette, fa scherzi ai colleghi più inamidati costretti ad una passiva resistenza. Orfeo è comunque rispettoso di chiunque, vuoi per naturale educazione, vuoi perchè -pensava Rossella- si sa mai chi hai davanti e chi potrà diventare. A parte le rituali ospitate a Porta e porta e qualche anelito di gossip (Dagospia scrive che abbia perso 18 chili grazie ai consigli alimentari della salutista Francesca Fiadini, a lui assai vicina), il neo direttore generale blinda tenacemente ogni notizia del suo privato. Si sa che frequenta il ristorante Settembrini, vicino casa, praticamente un secondo ufficio come la toilette di Fonzie. Si sa che, curiosamente, non è tifoso di una squadra di calcio ma di un singolo allenatore, l’ amico Allegri, che segue ad ogni cambio di casacca. Si sa che in modo quasi sciamanico, è in grado di contenere i latrati dei politici. Tranne appunto di Grillo e dei Cinque Stelle che l’ accusarono di una direzione giornalistica troppo filorenziana e troppo antigrillina per via di presunti e frequenti servizi contro Virginia Raggi. Una volta Orfeo è stato oggetto di un “agguato” in stile Iene di militanti M5S armati di telecamera. L’ hanno accusato di non essere sopra le parti. Solo che lui se n’ è fottuto altamente e ha pure educatamente salutato verso l’ operatore. In effetti, Orfeo non sta né sopra le parti, né sotto. Gli sta semplicemente accanto, attento osservatore. Nessun cattivo vicino, per l’ appunto. Non è un caso che – se si eccettua quel pazzo di Carlo Freccero che, in un gesto vaporoso alla Sartre, ha proposto se stesso alla direzione- , anche il cda che l’ ha nominato dopo Campo Dall’ Orto s’ è mostrato estremamente rispettoso. Dal nuovo dg ora s’ attende una scossa al piano d’ informazione. Orfeo probabilmente la farà, mentre gli altri sono distratti… riproduzione riservata.

Parte il totonomi per il telegiornale

Libero

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Con la nomina di Mario Orfeo alla direzione generale della Rai, si è aperto il toto-successore alla guida del Tg1. In pole position ci sarebbero Andrea Montanari, direttore del Gr e per anni vice di Orfeo al Tg1, e Antonio Di Bella, direttore di RaiNews24. Ma circolano anche diversi altri nomi: Ida Colucci, Fabrizio Ferragni, Costanza Crescimbeni, Andrea Colotta. L’ unico nome esterno che circola è quello di Claudio Cerasa, attuale direttore del Foglio.

Orfeo nominato dg Rai

Milano Finanza

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Mario Orfeo è il nuovo direttore generale della Rai prendendo il posto del dimissionario Antonio Campo Dall’ Orto. A favore del direttore del Tg1 hanno votato sette componenti del consiglio d’ amministrazione della radio e televisione pubblica, compresa la presidente Monica Maggioni. L’ unico contrario è stato Carlo Freccero, ma va segnalato che il cda è sceso da nove a otto componenti per le dimissioni nei giorni scorsi del consigliere Paolo Messa. La scelta di Orfeo è frutto di un accordo tra il Partito democratico e il centrodestra, ma è criticata dal Movimento 5 Stelle, che per bocca del presidente della commissione di Vigilanza parlamentare, Roberto Fico, giudica Orfeo non sopra le parti: «Conosce la Rai, ha tutte le caratteristiche per fare bene e valorizzare le risorse umane e professionali dell’ azienda», ha commentato invece il sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli.

La crisi dei giornali: amarezza per le edicole che chiudono la stanza di Gian Galeazzo Biazzi Vergani

Il Giornale

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Caro Petraglia, anche per me la morte di un’ edicola è un colpo al cuore. Purtroppo ne sono morte molte e la crisi temo non sia finita perché è sempre viva la difficoltà dell’ editoria che dura ormai da molti anni. Il suo auspicio di un intervento del governo è indice di saggezza ed è una proposta di civiltà. Ma il governo non ha soldi e quindi non è il caso di nutrire speranze. Porti un saluto e un abbraccio affettuoso alla sua edicolante che ha conquistato la sua stima, unito all’ augurio di lunga e serena vita.

Rassegna Stampa del 11/06/2017

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Dario Di Vico
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A vremo un giorno o l’ altro nel mondo del calcio un’ iniezione di vera managerialità? A leggere le vicende di ieri non sembrerebbe, eppure il football è l’ unica industria dell’ intrattenimento globale che ha il cuore in Europa e il calcio italiano ha cominciato ad attrarre consistenti investimenti dall’ estero (Cina). Le pratiche operative però restano distanti dallo standard minimo che un business di questa portata richiederebbe. L’ improvvisazione la fa da padrona, si litiga ad ogni piè sospinto, abbondano i personaggi in cerca d’ autore. Prendiamo il caso dei diritti televisivi della serie A, decisivi per i bilanci dei club che nella stragrande maggioranza dei casi incassano il 90% dei loro ricavi per questa via. La società che ne gestisce la vendita, la Infront, ha voluto anticipare l’ asta per le annate 2018-2021 anche per rubare il tempo ad un’ altra competizione, quella (europea) che domani assegnerà i diritti di una edizione della Champions League ancor più appetita visto che per la prima volta vedrà ben 4 squadre italiane ai nastri di partenza. In più l’ intenzione dei manager di Infront era di alzare gli introiti delle precedenti stagioni sommando ai pagamenti dei broadcaster televisivi anche quelli degli operatori del mondo online. Per centrare quest’ obiettivo – rispettando anche un suggerimento dell’ autorità antitrust – Infront ha confezionato i pacchetti di vendita in maniera diversa e più complessa del passato, nella sostanza frazionandoli. Malauguratamente per loro – e per il calcio italiano – qualcosa è andato storto e il prodotto offerto con quelle modalità non ha incontrato il favore del mercato, ovvero i grandi compratori non si sono comportati come previsto e hanno, in pratica, fatto saltare le strategie dei venditori. Sky alla fine ha offerto per il «nuovo» pacchetto satellitare meno di quanto sperassero i banditori, Mediaset ha addirittura saltato l’ asta dopo averla contestata e Vivendi-Telecom, che avrebbe dovuto con il suo ingresso animare la competizione, non si è fatta vedere. Risultato: l’ asta si è rivelata un flop e si dovrà aggiornare. Addirittura a novembre-dicembre secondo le prime dichiarazioni. I venditori di Infront sperano così che a quel punto le strategie dei compratori saranno più chiare e soprattutto che Vivendi e Mediaset avranno trovato nel frattempo il modo di collaborare tra loro e di conseguenza di partecipare con costrutto all’ asta. Ma da qui all’ autunno inoltrato non sappiamo quali dinamiche si possano mettere in moto, la mossa di ieri infatti rischia di gettare il calcio italiano nel caos perché i club non avranno chiaro l’ orizzonte dei propri ricavi a partire dalla stagione 2018-19, i grandi gruppi televisivi dovranno fare i conti con l’ incertezza di un’ asta procrastinata e dovranno quantomeno aggiornare le loro strategie. Il tempo, come è noto, è fratello del denaro ed è singolare che chi voleva anticipare tutti per guadagnarne, alla fine dovrà posticipare mettendo in difficoltà tutti gli altri giocatori del tavolo e il sistema-calcio imperniato sull’ asse pallone-tv. La stessa campagna acquisti, che viene seguita con trepidazione da tutti i tifosi, già da domani potrà risentirne. I direttori sportivi alle prese con investimenti che quest’ anno si presentano ancora più onerosi potrebbero subire la sindrome del braccino corto e rinviare le scelte di compravendita, favorendo oggettivamente i club stranieri che non hanno le incertezze dei nostri nella programmazione delle entrate. Inoltre nel rapporto tra i club e le banche la mancanza di ricavi certi, seppur per la stagione successiva, introduce un elemento di ulteriore rigidità in una fase in cui gli istituti di credito hanno altri grilli per la testa.

Calcio, la battaglia dei diritti tv

Corriere della Sera
Monica Colombo Daniele Sparisci
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Il pallone è sgonfio, sgonfissimo. Al punto che la partita neanche comincia: la gara per assegnare i diritti televisivi della Serie A per il triennio 2018-2021 è un flop clamoroso. Offerte al ribasso, concorrenti in ritirata – Mediaset non si presenta anticipando la decisione con una nota polemica -, proteste in busta in stile campagna elettorale (firmate dalla sconosciuta Italian Way), nervi tesi fra le grandi squadre e l’ advisor Infront che per conto della Lega Serie A ha organizzato l’ asta. Si aspettavano di incassare almeno un miliardo, si ritrovano con la metà e nel caos. E con tutti scontenti. Le tv sono il motore dell’ economia pallonara: per avere un’ idea nel campionato inglese gli accordi fra i club e le emittenti (inclusi i ricavi dall’ estero) assicurano 3,9 miliardi l’ anno. La Spagna viaggia a quota 1,7, anche la Germania ci ha superato (1,4) . E allora come si giustifica la débâcle italiana? «Non è il valore reale del nostro calcio – spiega il presidente della Figc Carlo Tavecchio -, a queste condizioni non diamo nulla». Si ricomincia da zero, mentre domani la Uefa darà il via all’ assegnazione delle licenze della nuova Champions League (al via l’ anno prossimo con 4 squadre italiane qualificate già nelle fase a gironi) drenando risorse preziose alla Serie A. Lo stallo era nell’ aria da giorni, da quando Mediaset aveva fatto ricorso all’ Antitrust contro un bando «squilibrato» e che ora bolla come «inaccettabile». Il Garante, che aveva contribuito ad approvare le linee guida dei pacchetti, non poteva accogliere l’ esposto, ma la mossa di Mediaset è andata in porto lo stesso. Far saltare il banco e prendere tempo in attesa di chiarire la complicata questione Vivendi. Da Cologno smentiscono qualsiasi collaborazione con i francesi, ma la guerra con Parigi non potrà proseguire all’ infinito e un punto di contatto prima o poi si troverà. I pontieri sono al lavoro. Secondo il Biscione si è voluto giocare troppo d’ anticipo con un mercato non ancora pronto e con dei pacchetti non adatti alle esigenze commerciali: una situazione figlia del vuoto di potere, con la Lega commissariata per i litigi dei club sull’ elezione del nuovo presidente. E Sky? La pay tv di Murdoch sostiene di aver messo sul piatto la cifra giusta (poco meno di mezzo miliardo, inclusi i diritti opzionali «Gold & Silver»). Il problema – sottolineano – non siamo noi, ma gli altri che non hanno partecipato. Durissima la presa di posizione contro la scelta «di posticipare un nuovo bando in attesa che l’ industria tv trovi un ipotetico nuovo assetto solo per contrastare la nostra azienda». Il riferimento è alle parole di Luigi De Siervo, a.d. di Infront: «A un certo punto la situazione arriverà a maturazione e al colosso Sky si contrapporrà quello Vivendi-Mediaset-Telecom». Per sbrigliare la matassa servirà tempo, si va a «novembre-dicembre» secondo Tavecchio. A giorni gli avvocati della Lega chiederanno all’ Antitrust il via libera per modificare le offerte commerciali, magari con aggiustamenti per prodotti anziché per piattaforma. Ma è solo uno degli scenari: perché se non andasse in porto il polo Vivendi-Mediaset-Telecom, Sky resterebbe da sola a dettare le condizioni. La terza ipotesi, alla quale in pochi credono, è un canale autonomo della Lega, che poi rivenderebbe il prodotto a tv e Internet. Palla al centro, si ricomincia.

Posizioni lontanissime Divisi anche su bar e hotel

Corriere della Sera

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Nelle pieghe delle scontro fra tv, Lega e l’ advisor Infront c’ è di tutto: Sky difende la sua offerta da 494 milioni, circa 70 milioni in meno di quanto messo sul piatto nella precedente asta del 2014. Perché nei nuovi pacchetti non sono inclusi i diritti per trasmettere le partite in bar e hotel, un mercato florido. E neanche quelli per l’ Iptv, per la visione via web.

«La serie A italiana è uno show di alto livello e va pagato Offerte troppo basse L’ ipotesi di un canale della Lega»

Corriere della Sera
Daniele Dallera
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Carlo Tavecchio, grande capo del calcio italiano, nel doppio ruolo di presidente della Federazione appena riconfermato e di commissario della Lega serie A, è abituato ad affrontare problemi e grane. «Ma questa è grossa…», ammette. L’ asta dei diritti tv, un affare da un miliardo di euro, vissuta e gestita da commissario della Lega, un organismo diviso, ricco di gelosie, dove presidenti-direttori generali-amministratori delegati fingono amicizia, ma poi sono pronti a farsi ogni tipo di dispetto, sta diventando il caso dell’ estate del pallone. Dica la verità presidente Tavecchio: non se l’ aspettava una vicenda così complicata? «Francamente no». Ma conosce il calcio, i suoi protagonisti, le loro virtù e debolezze (comprese le sue). Affrontata l’ asta atto primo, finita ieri nel peggiore dei modi, il commissario Tavecchio già sta pensando al secondo atto, un’ altra asta. Lei comunque non si arrende? «No, non sono io la parte in causa. Non si arrende la Lega che rappresento. Il calcio italiano, in questo caso, la serie A, ha un suo valore, una sua dimensione che devono essere rispettate con offerte congrue. Quelle di ieri non lo sono state». Ma il bando proposto ai vari network televisivi rischia di non accontentare nessuno. Mediaset-Premium lo contesta da una parte, Sky sostiene che il suo prezzo è giusto, Vivendi per ora non gioca la sua partita, almeno ufficialmente, Telecom sta dietro le quinte. Insomma una sceneggiatura difficile da interpretare. «Va bene tutto, d’ accordo. Ma la Lega non è certo obbligata a svendere il suo prodotto di alto valore, considerato in tutto il mondo». Adesso, presidente non esageri. «Guardi che in Spagna, in Inghilterra, in Germania, i diritti tv hanno una forbice che va da 1 a 2 miliardi. Il miliardo complessivo da noi valutato ha quindi una sua forte motivazione, basi logiche. Per questo riteniamo che le offerte pervenute non rappresentino il valore reale del massimo campionato». C’ è chi sostiene che il bando per piattaforme non funzioni. Meglio vendere il prodotto per fasce. «Abbiamo costruito la nostra tipologia anche su indicazione dell’ Authority. Le piattaforme sono e-qui-li-brate. I nostri interlocutori devono capire che non abbiamo alcun obbligo ad accettare offerte che non ci convincono». E adesso? «Studieremo il caso, c’ è al lavoro una Commissione di alto livello presieduta dal dottor Nicoletti, uomo esperto, che studierà il caso. Sarà valutata ogni opzione». Il tempo però passa. «Nessuna fretta, si può andare tranquillamente a novembre-dicembre». E magari nel frattempo creare anche un canale televisivo gestito dalla Lega? «È un’ operazione complicata, ma quando parlo di opzioni e alternative c’ è anche questo». Meglio pensare per oggi a Italia-Liechtenstein, ci si diverte di più.

Briciole sulla Serie A, il grande flop dei diritti televisivi

Il Fatto Quotidiano
Paolo Ziliani
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Se è vero che gli stadi italiani sono sempre più deserti, più deserta ancora è andata ieri, negli uffici della Lega di Serie A, l’ asta per l’ acquisizione dei diritti-tv (e web) 2018-2021. E la figuraccia rimediata da tutti i soggetti scesi in campo, o rimasti in tribuna, nessuno escluso, è stata monumentale. Mediaset (e con lei Tim) ha deciso in segno di protesta di non presentare offerte. Sky ne ha presentate due, ma una inferiore di 190 milioni (400 la richiesta, 210 l’ offerta) alla base d’ asta del pacchetto considerato più prezioso. Comunque, la tv di Murdoch con mezzo miliardo ha di fatto confermato le cifre dell’ ultima volta. Il solo soggetto presentatosi per i diritti web (Perform) ha offerto per due pacchetti 50 milioni su una base d’ asta di 100. Infront, l’ advisor della Lega che dopo aver chiuso il bando scorso (2015-2018) a 943 milioni aveva annunciato di voler arrivare al miliardo, si è ritrovata a contare offerte misere. La Lega aveva la faccia da pugile suonato del commissario Tavecchio che 10 giorni fa aveva assicurato: “Pochi spettatori nei nostri stadi? Sentire i commenti in tv e vedere i replay è bello, sono cose che non vedi allo stadio. Non dobbiamo preoccuparci per la mancata presenza della gente negli impianti, gli share tv aumentano: chi investe in Italia capirà che se la gente non va allo stadio vede la tv, quindi cresceranno i diritti”. Non si direbbe. Per la serie “Le ultime parole famose”, il quadro del calcio somiglia a quello di un day after: un carrozzone che vende partite giocate in stadi vuoti a tivù che cominciano a tirarsi indietro. E comunque, prima di tuffarci nella cronaca spicciola della Caporetto pallonara, la notizia è che la Lega e Infront, grazie alla clausola che consente loro di annullare il bando se un pacchetto viene venduto a meno della base d’ asta (ieri è successo a 3 su 4), hanno invalidato la gara e ora riformuleranno un nuovo bando: che quasi certamente verrà fatto per piattaforma (che rimetterebbe in gioco Mediaset per il digitale) e non più per prodotto (i pacchetti di club, e di partite). La bomba che destabilizza subito il giorno tanto atteso arriva a metà mattina da Cologno Monzese: Mediaset annuncia che non presenterà alcuna offerta “in coerenza con l’ esposto presentato all’ Autorità Garante della Concorrenza al fine di ottenere una nuova formulazione del bando”, essendo questa “totalmente inaccettabile in quanto abbatte ogni reale concorrenza e penalizza gran parte dei tifosi”. Detto che l’ esposto Mediaset era appena stato respinto dall’ Antitrust, il Biscione contestava la formulazione del bando che a suo dire favoriva smaccatamente Sky. La quale Sky depositava invece in Lega la sua offerta: 230 milioni per il pacchetto A con Juve, Milan, Inter e Napoli (base d’ asta 200) ma solo 210 per il D (base d’ asta 400) che abbinato a qualsiasi altro pacchetto consentiva la copertura integrale di tutte le partite. “Sky deve sapere che chi troppo vuole, nulla stringe. Non devono dimenticare che grazie al calcio guadagnano 3 miliardi di euro”, polemizzava Ferrero, presidente Samp. Assemblea che si chiudeva col sigillo del commissario Tavecchio: “Ritenendo che le offerte non rappresentino il valore reale del calcio italiano, l’ assemblea di Lega ha deciso di non assegnare i diritti tv a nessuno dei concorrenti”. Si procederà con un nuovo bando il cui “valore di partenza sarà quello indicato in questo”, tuonava Tavecchio. Che di colpo diceva che no, non c’ è proprio nessuna fretta di concludere: “Possiamo arrivare anche a novembre o a dicembre”. Ah!, saperlo.

Buste vuote, salta l’ asta per i diritti tv. Calcio italiano a rischio estinzione

Il Manifesto

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Roma II Partite di calcio in televisione a rischio e squadre senza i ricchi proventi derivanti dall’ assegnazione dei diritti televisivi. Il calcio d’ inizio del prossimo campionato non avrebbe potuto essere peggiore. Con un colpo di scena Mediaset e Tim si sono infatti ritirate ieri dalla gara per l’ assegnazione dei diritti televisivi perla serie A relativi al trien CARLO LANIA II «Allah loves equality» dice il cartello tenuto ben in alto da un giovane pachistano. Accanto a lui, nella stessa fila, alcuni ragazzi omosessuali della comunità ebraica romana sventolano bandiere arcobaleno con al centro la stella di David. A vederli sfilare assieme viene da pensare che questo gruppo di ragazzi potrebbe essere l’ immagine giusta per racchiudere il Gaypride che ieri ha percorso le strade di Roma, seconda tappa di un’«onda» che si concluderà il 19 agosto dopo aver toccato 24 città italiane. «Corpi senza confine» è il titolo che gli organizzatori hanno voluto dare alla manifestazione. E non potrebbe essere nio 2018/21. Sul piatto è restata così la sola offerta di Sky: 440 milioni, 230 dei quali per il pacchetto sul satellite (30 più del minimo richiesto e che riguarda 8 squadre come Juve, Napoli, Milan, Inter) e 210 per il pacchetto D che riguardale gare di 12 squadre. Ben poco se si pensa che, secondo un calcolo della Federazione italiana gioco calcio, nel 2016 i diritti per la sola serie A hanno fruttato alle società 1,1 miliardi più giusto, perché oltre ai giovani ebrei e musulmani che sfilano rivendicando lo stesso diritto a essere semplicemente quello che sono, ieri diversi confini, almeno per 24 ore, sono stati abbattuti. A partire dal fatto che tra le decine di migliaia di persone che hanno manifestato da piazza della Repubblica fino a Fori Imperiali non c’ erano soltanto le associazioni Lgbtqi (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer e intersessuali), i militanti che ti aspetti di vedere in occasioni come queste. Accanto a loro, dietro striscioni colorati o a bordo di carri allegorici straripanti ogni genere di musica, si sono visti – alcuni per la prima volta- anche collettivi aziendali e non. C’ era quello dell’ Ame di euro su un fatturato complessivo par a 2,3 miliardi. Ora i presidenti delle Società dovranno decidere come procedere. Anche perché nel bando e’ stata inserita una clausola: la Lega si riserva di non assegnare i pacchetti qualora anche solo uno dei cinque in vendita non raggiunga la base d’ asta. Anche se al momento non c’ è nulla di ufficiale è assai probabile che almeno uno dei pacchetti rimarrà vacante. Il ri rican Express, l’ Acea, Vodafone (che ha sponsorizzato magliette a striscione), il «Gruppo buddista arcobalena», i vigili del fuoco dell’ Ubs, che seppure impegnati in una difficile vertenza non hanno voluto mancare. E poi la Cgil e la comunità canadese, in rappresentanza di un paese particolarmente benvoluto dai manifestanti, visto che in Canada le persone dello stesso sesso non possono solo sposarsi, ma anche diventare genitori attraverso l’ adozione o la gestazione per altri. «E’ la società che finalmente si sta aprendo», commenta Mario Colamarino, presidente del Circolo Mario Mieli. «La mia libertà protegge la tua», afferma uno dei cartelli mostrati dai manifestanti. Ma schio che la partita debba ripartire da zero, insomma, e che il bando debba essere riformulato è grande. «E’ in fase di definizione la situazione complessa di Vivendi, Telecom e Mediaset: a un certo punto arriverà a maturazione» e «al colosso Sky si contrapporrà quello Vivendi -Media set -Telecom. Quindi non sono preoccupato», ha detto l’ ad di In front, Luigi De Siervo. La corsa per Mediaset si è fer anche: «Sesso, razza, credo: bello perché vario» e, soprattutto, «Né Stato né Dio sul corpo mio». Chi sfila rivendica con orgoglio la propria identità sessuale, ma vuole anche mettere paletti precisi alle conquiste fatte, piccole o grandi che siano. In fondo la legge sulle unioni civili è stata approvata solo un anno fa dopo tre decenni di attesa, ma senza la possibilità di adottare il figlio del partner, a dimostrazione di come la strada sia ancora in salita. «Corpi senza confini» anche perché quello che accade oltre i confini reali spesso fa mata con una nota della società in cui si annunciava in coerenza con l’ esposto presentato all’ autorità garante della concorrenza che il consiglio di amministrazione aveva deciso di non presentare alcuna offerta all’ asta. E in una nota la società’ spiegava: «Al di là dei contenuti sportivi e dei valori economici attribuiti ai singoli pacchetti, ribadiamo che la formulazione dell’ invito a presentare offerte è paura. Non a caso la piattaforma politica che ha preceduto la convocazione del pride capitolino pone molta attenzione all’ estero. A partire dagli Stati uniti, dove la presidenza rischia di fare cadere conquiste che si ritenevano ormai acquisite. «Bandire le persone perché di cultura odi religione diversa- spiegano le associazioni – definanziare le Ong che si occupano di genitorialità responsabile e di aborto, rendere legittimo discriminare sulla base proprie convinzioni etiche e religiose sono tutti pericolosi passi indietro per le nostre de totalmente inaccettabile in quanto abbatte ogni reale concorrenza e penalizza gran parte dei tifosi italiani costretti ad aderire obbligatoriamente a un’ unica offerta commerciale». E come Mediaset, Tim non ha ugualmente presentato offerte e secondo alcune fonti, ha giudicato «non interessanti i pacchetti predisposti peril digitale né dal punto di vista dell’ offerta né’da quello dei prezzi». m.d.c. mocrazie» Passi indietro che si vedono anche in Europa, con i governi che alzano muri per fermare i migranti, oppure indicano referendum, come fa la Romania, per modificare la Costituzione al solo scopo di impedire il matrimonio tra due persone dello stesso sesso. E al peggio non c’ è mai fine. «In Ce cenia – proseguono le associazioni, torna l’ orrore dei campi di concentramento per le persone omosessuali, ma nella comunità internazionale pochissime voci istituzionali si sollevano per fermare questa barbarie».

Calcio, diritti tv nel caos: rinuncia anche Mediaset

Il Mattino
Mimmo Ferretti
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Salvatore Riggio ROMA. Usando il gergo pallonaro, verrebbe da dire che la partita, tiratissima, è stata sospesa. Momentaneamente, però. Perché in pochi dubitano del fatto che verrà ripresa per arrivare, come da regolamento, al minuto numero 90, recupero escluso. E, come si conviene, con una stretta di mano tra i protagonisti. Sospesa la partita dei diritti tv, insomma, e con uno scenario caotico o quasi. Il peggiore in assoluto, probabilmente. Per ora. La corsa ai diritti tv della serie A per il triennio 2018-2021 è in salita, ma si sta cercando di farla diventare meno faticosa. Riassumiamo i fatti: con un colpo a sorpresa, ieri Mediaset ha deciso di far saltare il banco scegliendo di non presentare alcuna offerta e mandando così all’ aria i piani della Lega serie A e del suo advisor Infront. Una decisione che la stessa Mediaset ha spiegato con un comunicato stampa, definendo «inaccettabile il bando (emesso in fretta e furia dalla Lega, il 26 maggio scorso, per anticipare l’ asta della Uefa per i diritti della Champions, ndr) che penalizza gran parte dei tifosi italiani». Oltre a Mediaset, all’ asta avevano partecipato anche Sky (pacchetti A e D, in pratica l’ esclusiva della massima serie) e Perform (diretta web). In più, al notaio della Lega è stata consegnata anche una busta chiusa intestata all’ Italian Way srl, una società appena costituita. Però, ancora non si conosce il contenuto dell’ offerta. Secondo alcune indiscrezioni, Vivendi e Mediaset hanno lavorato per trovare un accordo. L’ obiettivo di entrambe le aziende era quello di presentare una mega offerta. Ma poi cosa sarebbe successo? In poche parole, hanno deciso di non decidere per far saltare tutto. I fatti dicono che Sky ha offerto 230 milioni di euro per il pacchetto A e 210 per il D, per un totale di 440 milioni per l’ intero campionato della massima serie. Una cifra nettamente più bassa rispetto alle aspettative dei 20 club, della Lega e della stessa Infront. Altri soldi potrebbero arrivare da Perform, che ha fatto un’ offerta per i due pacchetti web. Da ricordare che nell’ ultima asta, quella dei diritti televisivi del triennio 2015-2018, al quarto piano di via Rosellini a Milano, sede della Lega di Serie A, avevano guadagnato 840 milioni di euro. Adesso viene il difficile. Carlo Tavecchio, presidente della Figc e commissario della Lega, è stato chiaro: si procederà con un nuovo bando in cui il valore di partenza sarà quello indicato nel bando bocciato. Ossia, circa un miliardo di euro. Di certo, le società della Serie A non hanno accolto serenamente le notizia provenienti da Milano, con un mercato che si è rivelato più ostile e agguerrito del previsto. «I club di A A sono tutti allineati, adesso valuteremo se procedere con il canale della Lega che al momento ci sembra la soluzione più rispondente alla situazione di mercato dei broadcaster», le parole di Massimo Ferrero, patron della Sampdoria, che non ha problemi a lanciare una stoccata a Sky: «Chi troppo vuole, nulla stringe. Non devono dimenticare che grazie al calcio guadagnano circa 3 miliardi di euro». «È in fase di definizione la situazione complessa di Vivendi, Telecom e Mediaset: a un certo punto arriverà a maturazione e al colosso Sky si contrapporrà quello Vivendi-Mediaset-Telecom. Quindi non sono preoccupato», ha dichiarato l’ ad di Infront, Luigi De Siervo. Soldi e strette di mano, appunto. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Biscione tra stop al bando e nodo-Vivendi

Il Mattino
Roberta Amoruso
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ROMA. Premium senza calcio dal 2018? È ancora presto per dire se sarà davvero così. Ma il risultato dell’ asta dei diritti del calcio di serie A, di fatto un flop, dice almeno due cose: primo, che di un accordo con Vivendi non c’ è nemmeno l’ ombra; secondo, che davvero Mediaset ha messo in conto di fare a meno del calcio. Sulla carta, nessuna sorpresa: già con la presentazione del piano industriale a inizio anno, a Londra, Mediaset aveva messo le mani avanti, parlando di approccio «opportunistico» sui diritti e di «sostenibilità» del business anche senza calcio. Senza contare che la scelta del Biscione di farsi da parte, ieri, di frtonte a un’ asta «inaccettabile» è del tutto «coerente» con la bocciatura del bando della Lega, con tanto di esposto all’ Antitrust, rigettato. Eppure fino all’ ultimo sul mercato si scommetteva su una svolta a sorpresa, magari legata ad un accordo con Vivendi, dopo che il ceo, Arnaud de Puyfontaine, aveva ammesso di voler fare «un pensierino» sulle aste dei diritti del calcio. L’ accordo però non c’ è stato. E a sentire loro, non c’ è stato nemmeno il minimo contatto nell’ ombra tra i due gruppi, Mediaset e Vivendi, ai ferri corti per l’ affare Premium. Si poteva pensare allora un asse tra Mediaset e Tim, magari con un accordo commerciale passando da Tim Vision da costruire dopo l’ asta. Ma nessuna intesa era possibile, si dice. Non con questo bando e non a questi prezzi, giudicati poco appetibili un po’ da tutti (i due pacchetti on-line erano valutati sul mercato 40 milioni, contro i 200 richiesti e i 50 offerti secondo indiscrezioni dalla tedesca Perform). Anche Vodafone e Tim (che già due settimane si era sfilata) hanno dunque dato forfait. Strano che Infront, l’ advisor della Lega, si dica «deluso» dall’ assenza di Telecom. La stessa Sky ha offerto pochi spiccioli per pacchetti ben più ricchi. Ora chissà, magari il nuovo bando per cui c’ è tempo fino a dicembre oppure l’ ipotesi di un canale della Lega che i diritti per le partire di Serie A, potrebbero riaprire un po’ i giochi anche per Mediaset. A patto che i prezzi siano diversi. Ma intanto, oltre a fare ricorso «in tutte le sedi competenti», come annunciato ieri, Tar compreso, Mediaset starà a quel piano industriale senza calcio a partire dal 2018. Già, perchè fino ad allora avrà «tutti i match delle principali squadre di serie A e soprattutto della Champions League in esclusiva assoluta», ha ribadito ieri una nota del gruppo. Se poi tra due anni non ci sarà più il calcio sui canali Premium, arriveranno comunque 468 milioni di Ebit in più tra 2017 e 2020. Si tratta, hanno assicurato dal gruppo a Londra, di accrescere ulteriormente il market share sul mercato pubblicitario e puntare su produzioni proprie locali e di qualità. Infine, si punta a lanciare piattaforme cross-media aperte alla collaborazione con gli Over the top. Perchè questo può funzionare, dicono a Cologno Monzese, in un mondo che va verso la convergenza con i gruppi di telco e consolidamento transfrontalier». C’ è dunque una virata verso film, serie tv e intrattenimento. Una strategia che prevede anche di mettere a disposizione canali pay prodotti da Mediaset anche ad altri operatori e di aprire la piattaforma Premium a tutti i produttori di contenuti interessati. Nei prossimi mesi andrà avanti il contenzioso con Vivendi. E da parte sua il gruppo d’ Oltrampe avrà il tempo di costituire Vivendi Italia spa e guardare con più calma alle opportunità sul tavolo. In realtà i francesi sembrano poco interessati ai diritti di Serie A, al momento. Soprattutto a questi prezzi, il dossier è stato aperto e richiuso in pochi giorni. Rimane da vedere come finirà «la riflessione» per l’ asta dei diritti Champions che scade domani (la base d’ asta è 200 milioni). Ma in pochi credono che a questo punto i francesi si presenteranno all’ appuntamento. Questione di «sostenibilità del business». Fatto sta che finora non è decollato alcun accordo sull’ asse tra Vivendi (che controlla Telecom al 23,9%), Mediaset (controllata dai francesi al 29%) e la stessa Telecom. E chissà quando e se mai decollerà. Intanto, ben prima che arrivi il nuovo bando dei diritti di serie A, entro la prossima settimana Vivendi dovrà presentare un piano per superare i paletti dell’ Agcom su Mediaset (l’ ipotesi più probabile è il congelamento di una parte della quota). Per la verità a un asse tra Vivendi-Mediaset e Telecom sembra crederci invece Infront, l’ advisor della Lega. «È in fase di definizione la situazione di Vivendi, Telecom e Mediaset che a un certo punto arriverà a maturazione e si potrà contrapporre a Sky. Quindi non sono preoccupato», ha detto l’ ad di Infront, Luigi De Siervo. Se non sarà così, «l’ unica ipotesi plausibile sarebbe il canale della Lega». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tutto da rifare, bando sui diritti tv della Serie A rinviato a settembre

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Tutto da rifare o quasi per la vendita dei diritti tv. Per sapere dove e come si potranno vedere le partite della Serie A nel triennio 2018/21 bisognerà attendere dopo l’ estate. L’ apertura delle buste ieri mattina ha riservato infatti molte sorprese. Non certo positive per il calcio italiano. Soprattutto per la diserzione di Mediaset che non ha depositato offerte. Presentate invece da due società: Sky e Perform Group che si sono candidate ad acquisire 4 dei 5 pacchetti. Le somme proposte però sono risultate al di sotto delle attese della Lega e dell’ advisor Infront: circa 550 milioni contro un miliardo. Per questo il commissario della Lega, Carlo Tavecchio, dopo l’ incontro dei club ha annunciato il rinvio dell’ asta. «Ritenendo che le offerte non rappresentino il valore reale del calcio italiano, con voto unanime l’ assemblea della Lega ha deciso di non assegnare i diritti tv a nessuno dei concorrenti», ha detto Tavecchio. Dunque si rifarà un nuovo bando dopo l’ estate («C’ è tempo fino a sei mesi prima dell’ inizio della prossima stagione»), il cui «valore di partenza sarà quello indicato in questo bando», ha assicurato il numero uno della Figc. Ieri Sky avrebbe offerto 230 milioni di euro, 30 più del minimo richiesto, per il pacchetto A, per la trasmissione sulla piattaforma satellitare delle partite di otto squadre, fra cui Juventus, Napoli, Milan e Inter (248 eventi totali). Sempre Sky avrebbe fatto invece un’ offerta da 210 milioni di euro per il pacchetto D (su una base d’ asta di 400 milioni) che copre le gare di 12 squadre, fra cui Roma, Lazio, Torino e Fiorentina, per un totale di 324 eventi di cui 132 in esclusiva, incluso il derby della Capitale. La tv del gruppo Murdoch ha anche chiesto i diritti accessori dei due pacchetti (silver e gold) per un ammontare complessivo dell’ offerta di circa 500 milioni. L’ altro soggetto in corsa, Perform, aper i pacchetti C1 e C2, che insieme comprendono i diritti tv per la piattaforma iptv e web (rimasti invenduti nel bando per il triennio in corso) delle stesse squadre dei pacchetti A e B, proposti al mercato con un prezzo minimo di 100 milioni ciascuno. avrebbe offerto in totale circa 50 milioni. D’ altro canto, Mediaset in coerenza con l’ esposto all’ Antitrust per ottenere una riforma del bando (ricorso a quanto si apprende bocciato dall’ Authority) ha scelto di disertare l’ asta. Per il Biscione «la formulazione dell’ invito a presentare offerte è inaccettabile in quanto abbatte ogni reale concorrenza e penalizza gran parte dei tifosi italiani costretti ad aderire obbligatoriamente a un’ unica offerta commerciale. Mediaset si riserva di ricorrere in tutte le sedi competenti». Chiusura di prassi che però lascia presagire la possibilità che la vicenda diritti tv implichi nuovi strasichi giudiziari. Nessuna offerta è giunta da Discovery, Telecom (la cui intenzione di non partecipare era comunque già trapelata nelle scorse settimane) e Vivendi che pure aveva manifestato un interesse per i diritti sportivi. Lunedì prossimo intanto sul fronte europeo si chiuderà l’ asta per i diritti tv italiani di Champions ed Europa League e si riunirà la commissione audiovisivi della Lega per decidere le prossime mosse. Se qualche presidente di club ieri ha rilanciato l’ ipotesi un canale della Lega che si occupi della produzione dei match da distribuire poi attraverso i canali esistenti, è più probabile che si vada verso una formulazione del bando che punti maggiormente sul “prodotto” (e su una diversificazione delle esclusive per fasce orarie) e meno su quella per piattaforma pur caldeggiata dall’ Antitrust. Società, advisor e Lega nondimento si confronteranno con quest’ ultima per fissare i margini di manovra futuri a fronte del cattivo esito dell’ asta di ieri. A proposito della quale Luigi De Siervo, ad di Infront (che ha garantito anche per il triennio 2018/21 un minimo di un miliardo alla Serie A), ha espresso in particolare perplessità sulla scelta di Tim («La grande Telecom legittimamente ha scelto di non offrire ma, personalmente, perplime che un soggetto con in mente di raggiungere milioni di famiglie, snobbi il prodotto primo per antonomasia del sistema pay»). Ma si è anche detto non preoccupato: «Ci siamo arrivati vicini: c’ è stato un forte interessamento da parte di Amazon e Google. Ed è in fase di definizione la situazione complessa di Vivendi, Telecom e Mediaset: a un certo punto arriverà a maturazione e al colosso Sky si contrapporrà quello Vivendi-Mediaset-Telecom». Sky Italia in serata ha emesso un comunicato, sottolineando la propria «volontà di competere con razionalità e trasparenza» a fronte di una Lega che «ha posticipato molto in là nel tempo un nuovo bando, in attesa che il mercato dell’ industria televisiva trovi un ipotetico nuovo assetto solo per contrastare la nostra Azienda». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Ecco Perform, la «Netflix» dello sport

Il Sole 24 Ore
M. Bel.
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L’ asta per i diritti tv della Serie A per il triennio 2015/18, al di là dell’ esito complessivamente insoddisfacente per le società e il rinvio a settembre, ha visto il debutto nel mercato italiano di un nuovo player, Perform, interessato alla trasmissione delle partite sul web (i pacchetti C1 e C2) . Perform Group è una sports media company globale, con sede nel Regno Unito, attiva su una vasta gamma di piattaforme digitali. È proprietaria, tra i vari asset, del network di siti Goal, di Runningball e di OptaSports. Nel 2015 ha fondato una piattaforma di live sports streaming, denominata Dazn (si pronuncia “The Zone”), attualmente presente in due mercati: il Giappone e il cosiddetto Dach (Germania, Austria, Svizzera tedesca). Come spiega il Ceo di Perform Group, Simon Denyer, Dazn vuole essere «un sistema di streaming, con un’ offerta di eventi sportivi live che non teme paragoni». Il “palinsesto” annovera intorno agli 8mila eventi l’ anno, con pacchetti ad hoc per i due mercati e una forma di utilizzo che prevede sia la visione in diretta, sia in differita o con la possibilità di fermare la trasmissione in diretta per poterla proseguire in un secondo momento. Per il mercato tedesco, ad esempio, il pacchetto prevede gli highlights della Bundesliga e la trasmissione delle partite di Serie A, Premier League, Liga, Ligue 1, J-League, Nba, Nfl, Nhl, il tennis dei circuiti Wta, Atp 250, Coppa Davis, Fed Cup e Sei Nazioni di Rugby. Per il Giappone, il pacchetto non prevede Premier League e Sei Nazioni ma in compenso offre come fiore all’ occhiello la visione di tutte le partite della locale J-League. Lo scorso anno, infatti Perform ha siglato un accordo con le Lega giapponese per il decennio 2017-2026, portando la cifra a disposizione dei club dai 47 milioni di dollari frutto del precedente contratto con Sky Perfect a circa 200 milioni di dollari all’ anno, fissando un nuovo record per l’ industria sportiva nazionale. Dazn metterà a disposizione i tre campionati della J-League (J1, J2 e J3) che saranno fruibili in diretta e poi lasciati a disposizione degli spettatori per la visione in differita. La scelta di preferire una piattaforma online ai tradizionali canali tv deriva anche dalla volontà della J. League di sfruttare le nuove tecnologie per aumentare le capacità di contatto con i tifosi. Ma come opera Dazn? Gli appassionati di sport possono utilizzare una app disponibile per una grande varietà di device come smartphone e tablet Android, iPhone, iPod Touch e iPad, smart Tv come Android Tv, Amazon Fire Tv, Fire Tv Stick, Apple Tv e consolle come Sony Playstation 3 e 4 e Xbox One. La stessa app è disponibile sui browser Chrome, Firefox, Safari, Internet Explorer e Opera. È possibile guardare un massimo di due eventi diversi in contemporanea con lo stesso account. Una delle novità di Dazn è la flessibilità dell’ abbonamento: dopo il primo mese di prova, si passa a un canone mensile fisso, che può essere disdetto in qualsiasi momento, senza vincoli nè penali. Il costo varia dai 9,99 euro in Germania e Austria, ai 12,9 franchi in Svizzera a 1750 Yen in Giappone ( circa 14 euro). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

A furia di pensare al denaro hanno rotto anche il pallone

Libero

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GIANLUIGI PARAGONE Il giocattolo non poteva reggere e infatti si sta rompendo: il pallone si sta afflosciando sotto i nostri sguardi. Il gran circo della serie A non attira gli stessi soldi di quando le tivù si misero in mezzo cambiando i connotati al calendario e soprattutto modificando le nostre abitudini. Per la serie A a trazione bianconera, senza grandi patemi d’ animo sul traguardo, nessuno si dissangua più: Mediaset ha salutato tutti, Tim manco si è presentata e Sky ha messo sul tavolo il minimo per stare al tavolo. I riflettori si spengono e gli abbonati calano perché l’ intero spettacolo ha perso il gusto del finale a sorpresa. «Non assegniamo i diritti», ha annunciato Tavecchio prendendo tempo. C’ è persino chi parla di un canale autonomo, una scelta tutt’ altro che facile sul piano pratico. Lo avevo scritto l’ altro giorno: lo strapotere in Italia della Juve non fa bene a noi tifosi (cedo due scudetti in cambio di una bella Champions), non fa bene alla squadra perché manca la tensione del testa a testa e non fa bene agli investimenti. L’ assegnazione dei diritti televisivi è una sfida senza fuochi d’ artificio, nessun player è più disposto a rilanci stratosferici per mandare in onda il campionato. Non Sky, non Mediaset, non Tim. Offerte basse, pochi soldi e quindi anche ripensamenti gestionali. La verità sugli abbonati alle piattaforme non è stata detta fino in fondo: il colosso di Murdoch pubblicizzava i nuovi ingressi ma ha messo il silenziatore sulla scontistica applicata pur di non mollare gli indecisi. Fino a che punto insomma i rilanci potevano essere una costante? A maggior ragione col calare dello spettacolo? Hanno promosso il calcio a tutte le ore, lo hanno venduto come si vendono le attrazioni nei mega parchi divertimento ma quando il divertimento non c’ è la gente se ne va e non torna. Non solo, le alleanze tra club e tv sono state funzionali anche alla definizione del potere pallonaro. Ecco perché oggi siamo in questa fase di stallo. Se non di mezza crisi. Grandi media e big del calcio devono riflettere su quanto sta accadendo. Il calcio non è solo il confezionamento di una stagione o di un big match. Il calcio va rispettato esattamente come lo rispettavano quei presidenti ruspanti che resero memorabili le nostre domeniche. Ci avevamo raccontato che lo spezzatino avrebbe reso tutto più felici. Oggi gli stessi prestigiatori restano con il cerino in mano. Il calcio che hanno creato non rende né felici né ricchi. Le regole del pallone in tv vanno riscritte e pure il potere si deve domandare quanto gli convenga la sua conversione in arroganza. C’ è stata una mega ubriacatura, ora resta il mal di testa. Mediaset, già scottata dai diritti sulla Champions pagati salatissimi, si è ritirata dalla gara. Tim ha dato subito forfait. Sky finché non verrà minacciata dal gruppo Discovery si tiene abbottonata, per quanto abbia le maggiori responsabilità in questa corsa allo spezzatino. Non è vero che stanno cambiando le abitudini dei tifosi-telespettatori; è vero invece il contrario: molto si sono stufati. Manca l’ evento, restano solo gli effetti speciali. In questa corsa ora anche i club dovranno rivedere i loro piani di investimenti. A meno che anche questo giro sia il preliminare prima del super campionato europeo, e allora lì sì che al tavolo torneranno tutti i giocatori. Con le loro fiches pesanti. riproduzione riservata.

Calcio sul baratro

Libero

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UGO BERTONE Tutto il calcio italiano vale più o meno quanto la clausola di rescissione del contratto di Messi: 440 milioni contro 400. È questo l’ esito paradossale dell’ asta che avrebbe dovuto assegnare i diritti del campionato di calcio 2018/21, culminata con un clamoroso «flop» tra liti e incomprensioni che hanno portato all’ annullamento della gara. Le conseguenze dello strappo? Per il tifoso, forse, nessuna. Ci sono ampi spazi per organizzare un altro bando, già anticipato dalla Lega calcio come ha ribadito lo stesso commissario Tavecchio. «Si procederà – ha detto – con un nuovo bando in cui il valore di partenza sarà quello indicato», cioè un miliardo di euro. E c’ è tempo «fino a novembre, dicembre, 6 mesi prima dell’ inizio della prossima stagione». Non è nemmeno escluso che, nel frattempo, prenda corpo il progetto caldeggiato dal presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero: il canale della Lega. «Tutte le società di serie A – spiega – sono allineate». Difficile che si arrivi a tanto, anche perché non è la prima volta che l’ asta dei diritti tv riserva sorprese e si finisce ai supplementari. Ma stavolta, non a caso nella prima asta che Mediaset affronta dopo la cessione del Milan da parte di Fininvest, il confronto si presenta più teso. Un ostacolo in più per i club, costretti ad affrontare il prossimo mercato senza avere un’ idea precisa delle risorse su cui contare in un futuro mica tanto lontano. In netto contrasto con i club inglesi, benedetti dal contratto siglato dalla Premier: circa 6 miliardi di euro per le prossime tre stagioni, 14 volte tanto quanto offerto da Sky, l’ unica concorrente che ha quantificato la sua proposta. Bastano queste cifre per capire che in Italia è andato in onda l’ ennesimo pasticcio culminato nella decisione di Mediaset di disertare l’ asta a sorpresa, anche se spiegano al Biscione, è una scelta «coerente», ritenendo inaccettabile il bando «in quanto abbatte ogni reale concorrenza e penalizza i tifosi italiani», cioè il mega-pacchetto imposto dalla Lega per sostenere anche i match meno attraenti. Sky ha replicato: «È evidente la volontà di Sky di competere con razionalità e trasparenza, rispettando i tempi imposti dalla Lega e dal suo advisor». La gara, adesso, si è ristretta a un confronto a due: Sky e Perform group, interessato ai diritti sul web. In tutto 540 milioni, di cui 440 in arrivo dall’ emittente del gruppo Murdoch, assai meno generoso che in passato. Sky, infatti, avrebbe offerto 230 milioni per il pacchetto A, ovvero il diritto di trasmissione di 248 partite sulla piattaforma satellitare delle partite di 8 squadre (tra cui Juve, Napoli, Milan e Inter) più 210 milioni per il pacchetto D (tra cui Roma, Lazio, Torino e Fiorentina) , composto da 324 partite, di cui 132 in esclusiva, tra cui il derby capitolino. Anche Perform group ha deluso le attese della Lega: per i pacchetti C1 e C2, cioè l’ esclusiva Internet l’ offerta è stata di soli 100 milioni. Ora si dovrà ripartire da zero, ma con un’ importante novità: tra pochi giorni, alla scadenza dell’ ultimatum dell’ AgCpm, si potrà capire l’ esito del duello tra Mediaset e Vivendi. Solo allora scenderanno in campo i Big: le tv del Biscione ma anche Vivendi e Telecom che (così come Amazon) hanno rinunciato a scendere in capo in una situazione ancora in movimento. riproduzione riservata Claudio Lotito, Massimo Ferrero e Enrico Preziosi.

Sky resta sola, Mediaset aspetta Vivendi L’ asta diritti tv è un flop: tutto da rifare

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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Tutto da rifare. L’ asta dei diritti per trasmettere in tv (digitale terrestre e satellite) e via Internet le partite della Serie A per le stagioni che vanno dal 2018 al 2021 si risolve in un flop totale. A infrangere il sogno della Lega di un incasso miliardario arriva innanzitutto la botta di Mediaset che «in coerenza con l’ esposto» inoltrato all’ Antitrust, spiega in una nota, «ha deciso di non presentare alcuna offerta». Come tutti già sapevano, non c’ è Tim, stanno alla larga le evocate Amazon e Discovery. Si presentano in due. Sky, anzitutto, che mette sul piatto 440 milioni, 494 coi diritti accessori: 230 milioni per il pacchetto «A», quello satellitare che vede Juventus, Milan, Inter e Napoli (che rappresentano il 73% della tifoseria), ma appena 210 milioni per il «D», quello multipiattaforma con 12 squadre (tra cui Roma, Lazio, Fiorentina e Torino, tutte legate ad aree ristrette e che trascinano appena il 27% della tifoseria) cui la Lega aveva posto come base d’ asta 400 milioni. Per Sky vale la metà. E i signori del pallone non si consolano nemmeno con l’ unica offerta pervenuta per gli innovativi pacchetti «C1» e «C2» dedicati alla trasmissione via Internet di squadre di prim’ ordine. La Lega il aveva valutati 100 milioni ciascuno. I tedeschi di Perform ne offrono appena 50, non è chiaro se per uno o per entrambi: comunque sia è disposta a pagare dalla metà a un quarto. Un canale autogestito L’ assemblea della Lega, che si riunisce nel primo pomeriggio e dove siedono presidenti che coi diritti tv ci fanno anche il 70% dei loro bilanci, è tiratissima. Chiaro che i 600 milioni totali, se si contano anche i diritti opzionali, non basteranno mai: «Ritenendo che le offerte non rappresentino il valore reale del calcio italiano, con voto unanime l’ assemblea della Lega Serie A ha deciso di non assegnare i diritti tv a nessuno dei concorrenti», proclama il commissario, Carlo Tavecchio. Per poi annunciare che il circo è pronto a ripartire con un nuovo bando, in cui «il valore di partenza sarà quello indicato in questo bando», quel miliardo di euro rimasto nel libro dei sogni. A quando, dunque? C’ è tempo «fino a novembre, dicembre: sei mesi prima dell’ inizio della prossima stagione». Ed è possibile che si rispolveri un bando per prodotto e non più per piattaforma, come preferiva l’ Antitrust: pacchetti di squadre e partite con libertà di trasmettere dove più aggrada. In parallelo si ragionerà sull’ alternativa: un canale della Lega da distribuire attraverso le piattaforme esistenti. Di certo il bando proposto non ha funzionato, perfino nei tempi: molti avrebbero preferito attendere gli esiti della gara per la Champions, che si terrà domani, per valutare il da farsi sulle partite nostrane. Il circo riparte Chiaro poi che l’ assenza di Mediaset è stata cruciale. Si dice che il cda, in mattinata, avesse sul tavolo due opzioni: una busta con 200 milioni per il pacchetto «B» (digitale terrestre) o un «arrivederci e grazie». Così è stato. Astenendosi dal fare offerte, ha mandato a monte l’ asta e ha guadagnato tempo prezioso. Da mesi i Berlusconi litigano con Vincent Bolloré e la sua Vivendi che si era impegnata a comprare la pay tv Premium, salvo poi ripensarci. Ancora lunedì, l’ ad francese Arnaud de Puyfontaine aveva lanciato segnali di pace, dicendosi interessato ai diritti del calcio. E invece niente. Francesi e italiani, poi, smentiscono le voci su contatti dell’ ultim’ ora per trovare un accordo sul pallone: servirà altro tempo per vedere se le rose (ri)fioriranno. Nel frattempo da Sky non tollerano il fatto che perfino da Infront si aspettano che entri in campo, quale loro concorrente, l’ ipotetica corazzata Vivendi-Mediaset-Tim. Sky rivendica la propria «volontà di competere con razionalità e trasparenza». E accusa Mediaset, pur senza citarla: «Se oggi anche gli altri operatori già esistenti sul mercato avessero effettuato offerte anche solo pari alla base minima d’ asta, la Lega Calcio si sarebbe già trovata a disporre del target economico tanto auspicato». E invece siamo al rinvio, con Sky che «auspica una soluzione chiara e soddisfacente». Da Infront individuano anche un altro «colpevole», quella Tim che è pure sponsor del campionato (ancora per poco: improbabile che tra un anno confermerà tale impegno). Sperano che almeno punti sui diritti Champions in modo da scatenare Sky sul campionato. Così facendo, però, si rischia di accumulare troppe illusioni. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

«Macché fallimento Bisogna far maturare le nuove alleanze»

La Stampa
TIZIANA CAIRATI
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Luigi De Siervo è amministratore delegato di Infront Italy, nel suo curriculum vanta una carriera in Rai, nel settore commerciale. Il 20 giugno del 2016 il salto a Infront, l’ advisor della Lega Calcio di A. Si può dire che l’ asta per la vendita dei diritti tv della Serie A è stata un disastro? «Assolutamente no. È stata un’ asta vera, ognuno ha offerto ciò che credeva. Il problema è che sono stati chiesti al mercato 200 milioni in più rispetto al passato». Come spiega la mancanza di offerte e quelle al ribasso? «Fa parte della regola cercare di deprezzare il prodotto. Ce lo aspettavamo. Abbiamo dovuto adeguarci alle indicazioni dell’ Autorità. Il mercato, però, non ha aderito, torneremo alle idee iniziali (vendita per prodotto)». È preoccupato del fatto che sia venuto meno un attore importante come Mediaset? «È in via di definizione la situazione complessa di Vivendi, Telecom e Mediaset: a un certo punto arriverà a maturazione e al colosso Sky si contrapporrà quello Vivendi-Mediaset-Telecom. Quindi no, non sono preoccupato». Mediaset si è lamentata del bando definendolo «inaccettabile» «Mediaset aveva sul tavolo due buste, una vuota e l’ altra con 200 milioni che poi ha ritirato». In Inghilterra il Sunderland ultima in classifica ha preso più soldi dai diritti tv della Juventus «Lì c’ è una maggiore equivalenza nella ripartizione. Le dico un’ altra cosa: in Lega si stanno battendo per dividere al 50 e 50 come in Inghilterra (ora è 60 e 40)». Quindi si punta a cambiare la Legge Melandri «Lo ha già detto anche il Ministro Lotti». I diritti esteri? «Come data abbiamo previsto il 15 luglio. Suning farà offerte? Me lo auguro».

La Premier fa il pieno con le esclusive Come riempire le casse e anche gli stadi

La Stampa
MASSIMILIANO NEROZZI
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Da noi si sospende il bando dei diritti tv per eccesso di ribasso, all’ estero si festeggia per eccesso di rialzo. Come l’ ultimo contrattone da 5,1 miliardi di sterline (in euro, sui 5,8 miliardi) strappato dalla Premier League per il triennio 2016-2019, e senza contare i diritti per l’ estero (altri due miliardi). Con un’ impennata del 71 per cento rispetto all’ accordo precedente. L’ organizzazione, e la programmazione, funzionano meglio dei risultati, se nessuna squadra inglese è arrivata in finale nelle ultime cinque edizioni di Champions. Per essere bravi venditori, ci sono poche ma serie regole, che in Italia neppure prendono in considerazione. La Premier non trasmette tutte le partite in diretta, al contrario di quel che succede in serie A, e un match non è mai sparato nell’ etere da due tv: si chiama esclusiva, quella vera. E, quindi, mercato. Morale: 168 sfide live nelle case degli inglesi su un totale di 380 gare, il 44,2%. Tutto il resto, sabato pomeriggio alle 15, con stadi stipati. Nello specifico, 126 incontri griffati Sky, 42 da Bt Sport. Altra non indifferente indicazione, ci sono diversi e specifici pacchetti «minori», come quello della Bbc, che paga sui 202 milioni per avere gli highlights, linfa del seguitissimo programma «Match of the day»: un po’ 90° minuto, un po’ La Domenica Sportiva. Quello dove Gary Lineker annunciò il suo stiptease per il titolo del Leicester. Maggior equilibrio Diverso anche il sistema di distribuzione degli introiti, quello che garantisce al Sunderland, ultimo in classifica, più quattrini che alla Juve. Un modello comunque criticato dalle big: le due di Manchester, Tottenham, Arsenal, Chelsea e Liverpool. In particolare, non va giù la suddivisione dei diritti per l’ estero, riassunti da una battuta: «A Pechino nessuno fa l’ abbonamento per vedere l’ Hull City». Tutto il mondo è paese. In ogni caso, il sistema inglese smentisce un altro luogo comune molto italiano: la tv svuota gli stadi. Dipende, da come ci si organizza, e da come sono gli impianti: qui vecchi e scomodi, là per lo più nuovi e invitanti. Meglio di noi fa anche la Bundesliga, che ha superato la serie A, all’ incasso. In Germania i ricavi da contratti tv sono arrivati a circa un miliardo e 400 mila euro, con una crescita del 70 per cento. Anche qui, dalla prossima stagione, l’ impressione è quella di una maggior equità nella distribuzione: il 70% verrà diviso fra tutte le società di Bundesliga 1 e 2, tenendo conto della classifica degli ultimi cinque anni; e per il 23% si terrà invece conto della classifica ponderata degli ultimi 5 anni dei 36 club che giocano nei due campionati, una specie di summa storica. Ha cambiato anche la Liga, dove Real Madrid e Barça restano dominanti, ma prendono sui 40 milioni in meno di introiti. Ergo, qualche soldo in più per le altre. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Diritti tv, offerte basse. E la Lega rinvia tutto

Il Tempo

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Tutto da rifare. L’ asta per i diritti televisivi della Serie A relativi alle stagioni 2018-2019, 2019-2020 e 2020-2021 è stata rinviata, non è stato assegnato alcun pacchetto. Il commissario straordinario Tavecchio ha preso atto della mancata offerta di Mediaset che – dopo aver visto respinto il proprio ricorso dall’ Antitrust – ha deciso di non presentare offerte così come Telecom. «In coerenza con l’ esposto presentato all’ Autorità Garante della Concorrenza al fine di ottenere una nuova formulazione del bando per l’ assegnazione di diritti tv Serie A 2018 -2021 -si legge nella nota di Mediaset – il consiglio di amministrazione ha de ciso di non presentare alcuna offerta all’ asta che si è conclusa in data odierna. Ribadiamo che la formulazione dell’ invito a presentare offerte è totalmente inaccettabile in quanto abbatte ogni reale concorrenza e penalizza gran parte dei tifosi italiani costretti ad aderire a un’ unica offerta commerciale». Sky ha presentato due offerte, una per il satellite (230 milioni a fronte di una richie sta di base da 200 ml) e una per le esclusive (proposta da 210 milioni a fronte da una richiesta base di 400): una combinazione per arrivare a trasmettere tutte e 380 partite del campionato. Perform Group è stata l’ unica a presentare offerte per i diritti inter net (invenduti nel triennio precedente), ma ben al di sotto della base minima fissata a 100 milioni. Ieri mattina, all’ apertura delle buste, le offerte presentate erano soltanto quattro, e alla fine -sfruttando una clausola che riservava alla Lega il diritto di non assegnare i pacchetti nel momento in cui anche solo uno dei cinque in vendita non avesse raggiunto la base d’ asta, si è deciso di non cedere i diritti relativi al campionato di calcio di A. La Lega calcio non vuol retrocedere neanche di un metro: pretende almeno un miliardo di euro. «Ritenendo che le offerte non rappresentino il valore reale del calcio italiano, con voto unanime l’ assemblea della Lega serie A ha deciso di non assegnare i diritti tv a nessuno dei concorrenti». Tutto rinviato a dopo l’ estate, il commissario Carlo Tavecchio sottolinea che ci sarà tempo fino a novembre, dicembre quando arriverà un nuovo bando in cui il valore di partenza sarà lo stesso indicato per quello precedente, ovvero un miliardo di euro. «La situazione, aun certo punto, arriverà a maturazione e avremo una situazione chiara e al colosso Sky si contrapporrà il colosso Vivendi, Telecom, Mediaset- spiega l’ ad di Infront, Luigi De Siervo – non sono preoccupato che avremo un soggetto equivalente. C’ è stato un tentativo di Vivendi di risolvere sullo slancio questa complessità. Non è avvenuto, ma avverrà necessariamente». Ma ieri, all’ appello mancavano proprio le offerte di Telecom, Vivendi e Media set. Sim. Pie.

Il pallone si sgonfia

La Repubblica
MARCO MENSURATI
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IL CALCIO ITALIANO guarda se stesso attraverso gli occhi del mercato, e quello che vede è talmente brutto che l’ unica speranza è che si tratti di un incubo. Ieri a Milano si teneva l’ asta per i diritti tv della Serie A – teoricamente il prodotto più pregiato di ogni palinsesto televisivo, nonché la principale fonte di sostentamento dei club – e Mediaset e Sky, unici due soggetti interessati all’ acquisizione, hanno di fatto mandato deserta la gara. Anzi, peggio, hanno rovesciato il tavolo, inviando, sia pure in modi e probabilmente per motivi diversi, lo stesso identico messaggio ai padroni del vapore, ovvero i presidenti della Serie A: «Ragazzi, il vostro prodotto vale molto meno di quanto pensiate». Messaggio ancora più drammatico se si considera che il prezzo a cui “il prodotto” Serie A avrebbe potuto essere interamente acquistato, all’ asta di ieri, si aggirava intorno ai 650 milioni di euro, niente rispetto alle cifre della Premier o della Bundesliga. La sorpresa è arrivata poco dopo le 10 del mattino, termine ultimo per la ricezione delle offerte in busta chiusa per i cinque pacchetti (A, base d’ asta 200 milioni, per il satellitare; B, base d’ asta 200 milioni, per il digitale terrestre; C1 e C2, base d’ asta 100 milioni l’ uno per internet; D, base d’ asta 400 milioni esclusiva delle gare della Serie A tranne Juve, Milan, Inter e Napoli, piattaforma libera) in cui la Lega calcio commissariata da Carlo Tavecchio e l’ advisor Infront avevano suddiviso, in fretta e furia e tra mille polemiche, il campionato. IL COLPO DI MEDIASET Aperte le buste, è arrivata la prima doccia gelata. Si è scoperto infatti che Mediaset aveva deciso di non partecipare alla gara, definendo il bando «inaccettabile ». Nei giorni scorsi i manager di Cologno avevano fatto un esposto all’ Antitrust, sostenendo che il pacchetto D fosse ipertrofico e che di fatto, in abbinata con uno dei primi due pacchetti (A o B) violasse le regole della concorrenza «costringendo gli utenti ad aderire un’ unica proposta commerciale ». In altri termini, Mediaset accusava la Lega di aver fatto dei pacchetti su misura per Sky. L’ Antitrust in un primo momento, anche per non interferire con l’ asta, si era riservata di decidere. Un minuto dopo l’ apertura delle buste, ha detto la sua, respingendo il ricorso di Mediaset. Che tuttavia, «riservandosi di ricorrere in tutte le sedi competenti», aveva già pronto il suo colpo di teatro: zero offerte. L’ OFFERTA DI SKY Al notaio della Lega, erano dunque pervenute solntanto tre buste. Una da parte della neo costituita Italian Way srl (dentro non vi era un’ offerta vera e propria ma un’ altra contestazione del bando); un’ altra da parte della società internazionale Perform, che offriva appena 50 milioni, un quarto del minimo richiesto, per aggiudicarsi i due pacchetti di Internet (C1 e C2); e una terza da parte di Sky, che aveva offerto 230 milioni per il pacchetto A e 210 per il D. A guardare bene, quest’ ultima offerta è stata la notizia peggiore del giorno, per il calcio italiano. Perché offrendo praticamente la metà del prezzo base per il pacchetto D, Sky non si è limitata a dichiararsi indisponibile a comprarlo, ma ha anche fatto lo “sgarbo” di offrire al mercato internazionale quella che secondo l’ azienda è la sua valutazione della Serie A (non in esclusiva): cioè 494 milioni di euro. LA SCONFITTA DI INFRONT Al di là della conseguente, comprensibile, amarezza dei presidenti di Serie A, sul banco degli imputati è finita immediatamente Infront, accusata da almeno la metà della Lega Calcio di aver sbagliato i tempi e i modi del bando. Alla vigilia l’ advisor pensava di coinvolgere almeno tre giocatori per un asta da un miliardo; torna a casa con due offerte che superano appena la metà. Nel mirino dei più critici, in particolare, la gestione del rapporto con l’ Antitrust e l’ accelerazione finale imposta al processo nel tentativo di bruciare l’ asta Uefa per la Champions (che si celebra domani). A giochi fatti si può dire che la mossa non ha pagato, l’ Italia ha infastidito l’ Uefa e in cambio non ha ottenuto nulla se non stimolare le offerte di interlocutori non ancora pronti a formularne. «Siamo solo all’ inizio di una partita che durerà a lungo – ostenta sicurezza Luigi De Siervo, il numero uno di Infront – Vedrete che alla fine raggiungeremo il nostro obbiettivo (1.4 miliardi di euro compresi i diritti internazionali, ndr) ». LA STRATEGIA DELLA LEGA In effetti Lega e Infront sembrano avere ancora parecchie frecce a loro disposizione. Il fattore principale è il tempo: saltata l’ asta di ieri se ne riparlerà in autunno, e per allora, come ha spiegato De Siervo (facendo infuriare Sky), «l’ accordo tra Vivendi, Telecom e Mediaset arriverà a maturazione» e il «nuovo colosso si contrapporrà a Sky» accendendo una concorrenza che farà tornare in alto le quotazioni del calcio italiano. Da questo punto di vista appare qualcosa di più di una semplice suggestione l’ ipotesi che Vivendi, Telecom e Mediaset si siano coordinate per mandare deserta l’ asta. LA MINACCIA “LEGA CHANNEL” Di qui all’ autunno, la Lega non si limiterà a registrare con l’ aiuto dell’ Antitrust (il primo appuntamento è previsto per domani) un nuovo bando più compatibile con le richieste del mercato. Ma andrà avanti, «a tutta velocità » (come dice De Siervo), nello sviluppo del progetto del canale tematico della Lega. Un canale rivolto non al consumatore ma alle piattaforme di distribuzione, per il quale c’ è un progetto già bell’ e pronto. Ovviamente, firmato Infront. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

IL FANTASMA DEL CANALE “LEGA CALCIO”

La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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Scusi, vorrei abbonarmi al canale della Lega Calcio”. Più che una mossa di mercato la frase racchiude un potenziale incubo per il telespettatore tifoso dei prossimi anni. Evocato da sempre come l’ uomo nero da chiamare se i bimbi non trangugiano la minestra, il canale in questione magari un giorno ci sarà pure (al momento i presidenti mandano avanti Massimo Viperetta Ferrero per ribadire l’ ipotesi minacciosamente, e forse non è un caso) ma diciamo che come spauracchio al momento è più credibile che come ipotesi. E in un momento in cui ballano euro a milioni ma quelli che stanno sul pratico – vedi Mediaset hanno trascorso buona parte della giornata di ieri a tranquillizzare il tifoso disorientato con comunicati, tweet e cose simili: calmi tutti, stiamo parlando del 2018; la prossima stagione, per non dire della Champions League, è uguale a quella che si è appena conclusa e da qui ad allora vedrete, un modo si trova. Ammesso che che tutti si siano messi tranquilli si vorrebbe dire che siamo alle solite di ogni rinnovo di contratto tv, ma in realtà tira un’ aria infinitamente più complicata che in passato. Con quelli di Sky, sornioni e melliflui, che fanno passare messaggi del tipo: scusate, abbiamo presentato un’ offerta superiore alla base, perché non viene accettata? E poi nel segreto delle stanze si danno il 5 a vicenda, o qualcosa del genere. Nel prodotto-pallone televisivo dove, guai, non vale alcuna regola di mercato (del tipo: scusate, se non accettate questo prezzo a chi diavolo vendete?) come non vale per gli ingaggi dei calciatori per non parlare dei divi della tv, urge vigilare sulla tranquillità futura del tifoso. Che in qualche modo ha sempre avuto opzioni per scegliere ma ultimamente ha avvertito qualche scricchiolio (esempio limite: il tifoso del Toro che se vuole la sua squadra in casa deve avere Sky e non Premium) ma alle brutte il bar sotto casa gestito dai cinesi abbonati a Premium lo ha sempre trovato. E con i colossi tv che alla fine si sono divisi, non proprio alla pari, le spese per sfamare i presidenti famelici. Se salta il baraccone, invece, saranno guai veri: in questi casi, in passato, era lecito concludere “quindi non salterà”. Ma il mondo intorno non somiglia minimamente a quello del passato, questo è il punto. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Le mosse di Mediaset e Vivendi prove di pace a spese del calcio

La Repubblica
ETTORE LIVINI
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MILANO. La telenovela della guerra tra Mediaset e Vivendi – scoppiata un anno fa quando i francesi hanno fatto saltare l’ acquisto di Premium dal Biscione – inizia, sulla pelle della Serie A, le prove generali per trovare un lieto fine. Il copione, dicono fonti attendibili, è già scritto. E il primo atto è andato in onda in queste ore sul fronte dell’ asta per i diritti tv 2018-2021 del campionato. I legali delle due società – dicono fonti attendibili – hanno lavorato giorno e notte per capire se c’ erano le condizioni per presentare un’ offerta congiunta (con la partecipazione straordinaria di Tim, controllata al 24,9 per cento dal gruppo transalpino). Il primo mattone su cui costruire un armistizio a 360 gradi e chiudere gli scontri degli ultimi dodici mesi. I tempi però non sono ancora maturi. La scadenza del bando era troppo vicina, le ferite aperte dal tentativo di scalata di Vincent Bolloré a Mediaset sono ancora fresche e in tribunale sono aperte cause miliardarie. La proposta quindi non si è materializzata. Ma questi primi abboccamenti hanno portato (in modo concertato, dicono le malelingue) a una posizione comune: il no alla partecipazione all’ asta di Mediaset, Tim e Vivendi. Un siluro che ha fatto fallire la gara – come era facile immaginare – e ha modificato radicalmente lo scenario: Berlusconi e Bolloré hanno ora tutto il tempo necessario per fare la pace. Il 24 giugno, data prorogabile al 24 ottobre, scade il termine per trovare una mediazione alla Camera arbitrale della Lombardia. Se, come oggi pare molto più probabile, i due litiganti firmeranno l’ armistizio, l’ ex-Cav e il finanziere bretone potranno presentarsi insieme ai nastri di partenza dell’ asta bis sulla Serie A di fine anno, sfidando Sky e consentendo alla Lega di tirare un sospiro di sollievo. Il calcio del resto è il terreno ideale per provare a riavvicinare le posizioni di Parigi e Arcore. Mediaset ha pagato carissima la sua avventura nella pay tv e nel pallone, nata per frenare la crescita delle televisioni di Rupert Murdoch: Premium ha aperto un buco di 850 milioni dal 2004 nei conti del Biscione. Piersilvio Berlusconi ha provato a sparigliare le carte svenandosi per conquistare i diritti della Champions. Ma è stato un boomerang. Gli abbonati sono cresciuti molto meno delle previsioni, Sky ha tenuto botta e i 630 milioni l’ anno spesi per la Serie A e il torneo continentale hanno allargato il rosso invece di ridurlo. Cologno, alla fine, ha alzato bandiera bianca. E dopo la mancata vendita a Vivendi della pay-tv («una Fiat Tipo che ci hanno spacciato per una Ferrari», il sarcastico commento del numero uno dei francesi Arnaud de Puyfountaine) ha detto basta – a inizio 2017 – agli investimenti faraonici nel calcio. L’ asse con i transalpini potrebbe consentire ora ai Berlusconi di tenere un piede in campo senza pagare un conto troppo salato. Bolloré ha annunciato nei giorni scorsi la nascita di una Spa in Italia per puntare proprio sul cinema e sullo sport («specie sulla Champions», dicono fonti di Parigi). Un ramoscello d’ ulivo teso a Mediaset, a detta di tutti, per provare a unire le forze sul pallone. Vivendi potrebbe mettere buona parte dei soldi per i diritti, Cologno la piattaforma digitale, Tim quella online. L’ unione, in questo caso, farebbe la forza. E consentirebbe di presentare di comune accordo un’ offerta competitiva con quella di Sky. Il lieto fine, a quel punto, sarebbe assicurato per tutti: l’ asta per i diritti della Serie A andrebbe in porto con un incasso in linea con le previsioni. E Mediaset, dopo un 2016 da dimenticare chiuso con 295 milioni di perdite per i guai di Premium, volterebbe pagina chiudendo la guerra con Parigi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA L’ asse coi francesi potrebbe consentire a Berlusconi di limitare i danni economici Da Vivendi i soldi per i diritti da Mediaset la piattaforma digitale, da Tim quella online.

Sky: “Qui siamo gli unici a rispettare le regole”

La Repubblica

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IL CASO.PUGNALIN, VICE-DIRETTORE ESECUTIVO: “OFFERTO MEZZO MILIARDO, TUTELEREMO I NOSTRI DIRITTI” MILANO. L’ asta per i diritti della Serie A? «Come entrare in campo con un arbitro che continua a cambiare le regole del gioco e degli avversari, con l’ obiettivo di batterti. Ma devono sapere che non è consentito». Riccardo Pugnalin, vicedirettore esecutivo di Sky Italia, non ci sta. Il network di Rupert Murdoch è stato l’ unico a presentare un’ offerta. E oggi, con la gara rinviata a fine anno per mancanza di concorrenti studia le carte per capire se esistono margini di manovra per contestare l’ iter del bando. «L’ operazione era stata validata dall’ Antitrust – recita una nota del gruppo – . Noi ci siamo impegnati con trasparenza, rispettando i tempi nonostante la formula di vendita aumentasse di molto la concorrenza». Se i concorrenti avessero presentato domande vicine al minimo d’ asta «la Lega Calcio avrebbe centrato il target previsto». Non è andata così. E il sospetto in casa Sky, leggendo tra le righe, è chiaro: lo stop all’ asta di oggi e il ritiro collettivo di Vivendi, Mediaset e Telecom ha il sapore di un piano studiato a tavolino. E il rinvio «molto più in là nel tempo» della vendita dei diritti del campionato per il periodo 2018-2021 è stato deciso dai vertici del pallone italiano «in attesa che il mercato televisivo trovi un nuovo ipotetico assetto soltanto per contrastare la nostra azienda». I margini di manovra per contestare il congelamento dell’ asta sembrano tuttavia pochi. La Lega aveva in teoria il diritto di bloccare l’ operazione. Come può (e pare intenda farlo) rivederne la struttura. L’ unico appiglio per una controffensiva legale di Sky è legato dunque all’ ipotesi che venga provata una collusione tra Infront e la galassia Mediaset-Vivendi per arrivare allo stop della gara. Percorso molto difficile. Gli uomini di Murdoch comunque tirano dritti: «Abbiamo messo sul piatto mezzo milione di euro, offerta ancor più rilevante se si considera l’ assenza dei concorrenti. Tuteleremo i nostri diritti nella speranza di una soluzione chiara per la completa visione in tv del campionato». ( ettore livini) ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Addio a Mammì Fu il padre della legge sulla televisione

Corriere della Sera
Francesco Di Frischia
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È morto ieri Oscar Mammì, il padre della legge che sancì nel 1990 la divisione fra reti televisive pubbliche e private incarnate dal duopolio Rai-Mediaset. Nato a Roma 90 anni fa, si laurea in Economia e commercio. Da giovane impiegato di banca, Mammì si comincia a interessare con passione alla politica: sempre fedele al Partito Repubblicano Italiano, viene rieletto alla Camera dei deputati dal 1968 al 1992, e ricopre il ruolo di ministro sia negli «anni di piombo» che durante il «pentapartito». Con lo tsunami di «Mani pulite» lascia il Parlamento e si ritira definitivamente alcuni anni dopo per motivi di salute. Tra i tanti incarichi nell’ esecutivo, diviene sottosegretario all’ Industria e commercio nel II governo Rumor e nel governo Colombo, poi ministro per i Rapporti con il Parlamento nel I e II governo Craxi, oltre che ministro per le Poste e Telecomunicazioni nei governi Goria, De Mita e nel VI governo Andreotti. Nel 1990, tra mille polemiche, Mammì presenta la legge che riordina il settore radiotelevisivo, in forte espansione: secondo gli oppositori di quella norma, Mammì si limita a legittimare la situazione anomala preesistente, facendo un favore al futuro leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che quattro anni dopo scenderà in politica. Per protesta cinque ministri della sinistra Dc (tra cui l’ attuale presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) si dimettono quando il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, su pressione del Psi mette la fiducia. Nel 2005, a 78 anni, Mammì debutta come attore nella fiction di Rai Tre «Walter e Giada. I migliori anni della nostra vita», ispirata al romanzo «I promessi sposi». «Mi sono divertito moltissimo», confida all’ epoca. E gli amanti delle carte lo ricordano per un manuale sullo «scopone scientifico» edito da Mursia.

Rassegna Stampa del 12/06/2017

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Indice Articoli

Radio, il ritorno di una tradizione riparte la raccolta pubblicitaria

Diritti tv: l’ Italia aspetta, ora tocca all’ Uefa

Diritti tv per la serie A, scende in campo Cairo

Aiutate la Rai Vendetela

Aiutate mamma Rai: vendetela subito

«Diritti tv, svolta o canale dei club»

Infront: «Pronti all’ autoproduzione»

Diritti tv, Cairo in pressing «Ora il canale della Lega»

La Lega pensa ad una propria tv: pressing di Cairo

“Il calcio non è svalutato ma servono riforme sì al canale della Lega”

Mediaset-Sky, nuova sfida con l’ incognita Vivendi

Diritti tv, oggi è il giorno della Champions

Radio, il ritorno di una tradizione riparte la raccolta pubblicitaria

Affari & Finanza
Veronica Ulivieri
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[ IL CASO] S empre più diffusa e amata, più capace di attrarre investimenti pubblicitari rispetto alla tv e a prezzi più competitivi, la radio sta vivendo una nuova primavera: quest’ anno si prevede che la raccolta pubblicitaria registrerà un aumento del 13% rispetto al 2014, contro il + 5% della tv. Solo Internet farà meglio, come è ormai abituale, con una crescita del 28%. Una tendenza positiva favorita in primo luogo dal fattore economico: secondo un rapporto della società di comunicazione Mindshare presentato a Milano durante l’ evento Radiocompass, fare promozione in radio in Italia costa meno di un terzo (29%) che in tv e un tredicesimo rispetto alla pubblicità online interattiva con video. In confronto ai grandi Paesi europei, solo la Germania è più competitiva (28% rispetto alla televisione), mentre in Gran Bretagna si arriva al 32%, in Spagna al 34% e in Francia addirittura al 38%. La crescita della raccolta si lega all’ aumento degli ascolti registrato negli ultimi anni: «Tra il 2014 e il 2016, la radio ha conquistato un milione di ascoltatori, passando da 43,5 a oltre 44,5 milioni di persone che si sono sintonizzate almeno una volta durante una settimana. Anche i tempi sono in crescita: nel 2014 il tempo speso in un giorno medio era di tre ore e 17 minuti, ora siamo a tre ore e 22», ha spiegato l’ ad di Mindshare Roberto Binaghi a Radiocompass, organizzato insieme all’ associazione delle concessionarie di pubblicità radiofonica Fcp-Assoradio per fare il punto sullo stato di salute dell’ etere. Lo studio 2017 smentisce chi pensava a una sconfitta delle frequenze da parte del web o a una subalternità residua rispetto al piccolo schermo, e delinea nuovi spazi di sviluppo. La radio è seconda alla tv, in sofferenza per la capacità di raggiungere persone con più di 15 anni di età (67% contro 74%, mentre internet segue in terza posizione a quota 52%), ma le cose cambiano se si restringe il focus alla popolazione compresa tra i 15 e i 45 anni, il target forte della maggior parte delle campagne pubblicitarie. In questo caso l’ etere vola al primo posto con una capillarità del 76%, contro il 62% della tv e il 57% del web. Non solo: «Le nostre analisi rivelano che la radio ha un target di ascoltatori evoluto: la parte attiva della popolazione, quella su cui anche le aziende possono contare come un’ interessante base commerciale», continua Binaghi. Chi si sintonizza con regolarità sulle frequenze radiofoniche, infatti, adotta pratiche di consumo in genere più avanzate. Prendiamo ad esempio l’ uso dell’ e-commerce: se in Italia oggi hanno acquistato online 21 milioni di persone, circa il 30% della popolazione, tra gli ascoltatori assidui della radio la percentuale sale al 95,5%. O, ancora, l’ uso di un conto corrente on line: lo ha attivato il 56% degli heavy radio listener, 14 punti percentuali in più rispetto alla media degli acquirenti on line. A favorire la crescita della pubblicità sono anche i dati che mostrano l’ efficacia degli spot via etere per la decisioni di acquisto: la radio è un valido mezzo di raccomandazioni commerciali per oltre l’ 8% degli italiani, contro il 6% di tedeschi e spagnoli, il 5% dei francesi e addirittura il 4% dei britannici. Nel nostro Paese, almeno un acquirente su due dichiara di essere stato aiutato dalla radio per decidere: sempre secondo il report Radiocompass, il dato è al 53% per gli acquisti di auto e prodotti finanziari, per salire al 63% quando si parla di tecnologia e cibo e toccare addirittura il 70% per i viaggi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Diritti tv: l’ Italia aspetta, ora tocca all’ Uefa

Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Per scoprire come finirà l’ asta sui diritti televisivi del campionato italiano – fallita sabato al primo tentativo – è utile osservare le tattiche di Sky Italia e Mediaset (e chissà, Vivendi) sull’ esclusiva della Champions League. Oggi scadono i termini per presentare l’ offerta all’ Uefa, che per la coppa più prestigiosa d’ Europa confida di incassare dall’ Italia almeno 240/260 milioni di euro a stagione per il prossimo triennio (2018/2021); fra l’ altro da settembre 2018 le partecipanti della Serie A saranno tre dirette più una agli spareggi. Il bacino aumenta e pure gli introiti. Per un’ emittente la Champions è un investimento da gioielleria, quasi uno sfizio: non è una proposta commerciale totale, ma è un corredo che attrae spasimanti. Tant’ è che Mediaset, tre anni fa, si è svenata rovesciando il tavolo e spiazzando la famiglia Murdoch con oltre 600 milioni di euro per abbellire l’ ammaccata Premium e consegnarla a Vincent Bolloré. Ma l’ accordo con Vivendi s’ è trasformato in un assalto dei francesi al fortino di Cologno Monzese con la scalata in Borsa e il contenzioso giudiziario. A proposito, Sky ha spedito una busta all’ Uefa per riprendersi la Champions; da Mediaset non commentano, ma non potranno di certo disertare com’ è accaduto per l’ asta italiana organizzata da Infront. I presidenti di Lega, come sostiene Urbano Cairo (Torino), non sono spaventati: o riescono a piazzare la Serie A per circa un miliardo di euro all’ anno oppure fanno un canale, lo chiamano Lega Calcio e lo vendono sempre a Sky e Premium. Luigi De Siervo, il capo di Infront, pronostica un gioco di sponda fra gli ex (?) litiganti Mediaset e Vivendi e prepara un nuovo bando, mentre Telecom (il cui azionista principale è Vivendi di Bolloré) smentisce l’ interesse per la Champions. Il modello per la Serie A sarà lo spezzatino: tre pacchetti divisi per fasce orarie – anticipi, posticipi, pomeriggi – e al massimo due acquisti per un’ emittente. Vuol dire che il telespettatore sarà costretto a sottoscrivere due abbonamenti. Forse Sky, sibilano dalla Lega Calcio, sabato ha mancato l’ occasione per estromettere Premium dal campionato italiano. Come? Con una proposta pari alla richiesta della Lega Calcio. E le regole? Facezie. Qui conta far girare il denaro e garantire un futuro a tanti dei venti presidenti di Serie A che, fra stadi deserti, marketing debole e mercato di calciatori insensato, devono sopravvivere con i diritti tv. Attenzione: ma chi paga davvero è il tifoso dal divano, che rischia di pagare due volte e fra qualche ora saprà a chi deve versare la quota per la Champions League.

Diritti tv per la serie A, scende in campo Cairo

Il Giornale
Camilla Conti
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Camilla Conti «O si cambiano le regole, oppure ci facciamo un nostro canale». Parola di Urbano Cairo, presidente del Torino, di Cairo Communication nonché proprietario di La7 e azionista di controllo di Rcs, che scende così in campo nella partita sui diritti tv dopo il flop dell’ asta per il triennio 2018-2021 disertata da Mediaset e Tim e in cui Sky ha offerto una cifra ben inferiore di quanto sperato dalla Lega Calcio. Il patron granata, che ha piazzato la sua squadra nella zona tranquilla della classifica del campionato, non vede il pallone italiano sgonfio. Anzi. «Il calcio è quella cosa che in America chiamano killer application, per cui tu che hai un prodotto grazie a questo enorme moltiplicatore di interesse lo vendi di più: quindi noi siamo in una botte di ferro», ha dichiarato ieri in un’ intervista all’ agenzia Ansa. Insomma, secondo Cairo, «o gli operatori ci daranno più soldi perché faremo un bando che soddisferà il desiderio di calcio di alcuni di loro; o prenderemo più soldi perché faremo un canale della Lega». Che prima dovrebbe comunque «sviluppare un dipartimento interno che faccia le produzioni e le faccia bene» come stanno facendo in Spagna con la Lega diretta da Tebas, «un manager bravissimo che ha sviluppato molto queste attività: le producono loro. E sviluppano i diritti all’ estero con presenze ovunque nel mondo per raccogliere 630 milioni invece dei nostri 180. Quasi quasi, se le cose non si svilupperanno potrebbe essere una benedizione essere costretti a fare una tv della Lega, perché potremmo avere dei vantaggi importantissimi», ha chiosato l’ imprenditore. Nel frattempo, in un’ intervista alla stampa il presidente della Federcalcio e commissario della Lega di A, Carlo Tavecchio, continua a difendere la gara. «Il calcio italiano, in questo caso, la serie A, ha un suo valore, una sua dimensione che devono essere rispettate con offerte congrue. Quelle ricevute sabato non lo sono state». Pur dicendosi sorpreso sull’ esito, e riconoscendo che l’ offerta al ribasso risente di una contingenza di mercato, Tavecchio ricorda che in Spagna, in Inghilterra, in Germania «i diritti tv hanno una forbice che va da 1 a 2 miliardi. Il miliardo complessivo da noi valutato ha basi logiche». Ma le polemiche non si spengono. Ieri Tim ha precisato «di non avere mai neppure ipotizzato né discusso una partecipazione assieme ad altri soggetti ai bandi per i diritti della Serie A, essendoci peraltro un pacchetto dedicato alla banda ultralarga». La società ha sottolineato in una nota che «ha più volte ribadito nei mesi scorsi, anche direttamente all’ ad di Infront, che i pacchetti per il digitale, per come erano strutturati dal punto di vista dell’ offerta e dei costi, non erano interessanti per Tim. I risultati dell’ asta confermano la sproporzione della richiesta». Il gruppo, inoltre, non farà offerte per l’ asta dei diritti tv della Uefa per la Champions League anche perché la Uefa non ha strutturato la sua offerta con pacchetti dedicati alla diffusione via internet.

Aiutate la Rai Vendetela

Il Tempo
MARCELLO VENEZIANI
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Ma a che serve la Rai? Non fa servizio pubblico da svariati anni, non produce programmi di qualità per far crescere civilmente e culturalmente l’ Italia, non inventa nulla di nuovo come format, autori, registi, giornalisti, artisti, linguaggi, ma importa, copia, ripete; non valorizza i talenti ma deprime i migliori, e con lo stupido comunismo di ritorno della Livella imposta agli emolumenti, fa scappare le residue star; sceglie sempre di farsi guidare (…) segue -) a pagina 16.

Aiutate mamma Rai: vendetela subito

Il Tempo
MARCELLO VENEZIANI
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(…) dai mediocri e dai servili, ogni capo non deve avere attitudine al comando ma al servilismo, deve saper usare non lo scettro e la frusta ma il tappetino e la livrea. Ogni assetto nuovo è la brutta copia di quello precedente, ogni nomina è nel segno del peggioramento della specie. La Rai vive da tempo una degenerazione progressiva, inarrestabile. In compenso costa ancora un botto, ha decine di migliaia di dipendenti e collaboratori inerti, fantasma o sottoutilizzati, sedi regionali affollate, e poi ere geologiche di direttori, stratificate dai tempi della prima repubblica in poi, fossilizzati nelle poltrone con stipendio e benefits ma con l’ obbligo di non fare nulla. In più produce veleni, polemiche e patti mafiosi tra capi, ca petti, partiti, per spartirsi il feudo e industriarsi a individuare il servo multiuso, quello che riesce comodo a più padroni politici. Si preferiscono direttori incuiciosi che sappiano usare correntemente almeno quattro lingue: una per leccare Renzi, una per slinguazzare la sinistra, una per compiacere Berlusconi e una per linguettare qua e là le opposizioni. Per anni ho difeso il ruolo della Rai come servizio pubblico e prima azienda culturale del Paese, ci ho lavorato, ho seppur brevemente avuto un’ esperienza ai suoi vertici, ho studiato e scritto progetti di riforma e ho persino tentato di realizzare qualcuna. Ma posso dire, anche al lume dell’ esperienza diretta, che la Rai è irriformabile, o meglio si ri -forma continuamente uguale a se stessa, rigida e inamovibile, non riesce a pensare il futuro, non riesce a decidere, a cambiare, a innovare, a premiare i migliori, a selezionare, e tanto meno a educare, a far crescere culturalmente e civilmente il Paese. E’ solo la copia lenta delle tv commerciali con tutti i limiti della Tv di Stato in mano ai Partiti. Sul piano dei contenuti si limita a gestire l’ ovvietà, come una specie di Mattarella dilatato a reti unificate; amplifica il politically correct, scopre l’ acqua calda ed elogia i più stucchevoli luoghi comuni, è la principale industria del conformismo di massa, in più smarchetta aum-aum in favore di amici e potenti. E ha una struttura obsoleta. Ci vorrebbe al suo vertice un vero mana ger come amministratore delegato e un vero direttore editoriale che si curi dell’ intrattenimento e dell’ informazione. Invece non ha manager né esperti di tv, ma giornalisti ovunque, alla presidenza, alla direzione generale e nel cda, che andrebbe soppresso (lo capii quando ne fui dentro e lo dissi appena ne fui fuori). Se non cambia radicalmente verso, se non si sottrae ai pariti e ai regnanti, meglio venderla ai privati. Che senso ha tenere in vita un pachiderma così malmesso e così litigioso, che è la fotografia di un Paese in degrado? Svendetelo a tranci, il Bestione; o in blocco, come un’ Alitalia due. E poi disperdete di entrambi le ceneri nell’ etere… Marcello Veneziani.

«Diritti tv, svolta o canale dei club»

Corriere della Sera
Massimo Sideri
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Una cosa a questo punto è sicura: l’ anomalia non è il calcio italiano, come in molti negli ultimi anni hanno tentato di argomentare (passò alla storia chi lo paragonò alle popolari penne a sfera Bic laddove il calcio inglese era una stilografica Montblanc). L’ anomalia gravitazionale che non fa rimbalzare bene il pallone ogni volta che si finisce a parlare di quanto vale sta in come sono stati gestiti i diritti tv delle partite finora, compresa – un po’ – anche la gara della serie A con tanto di flop fresco di appena 48 ore. La serie A può valere di meno della Premier League che, peraltro, ha industrializzato i diritti del calcio inglese già da anni, ma non un quarto come si dovrebbe evincere dalla pura sintesi matematica della giornata di sabato. Una cifra ridicola anche per gli agnostici del pallone e per gli amanti del badminton. «È il momento della svolta, o individuiamo un nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale. E comunque un dato è certo: il calcio italiano vale molto di più. Non solo di quello che è stato offerto ieri, anche di quello che prendevamo» ha detto ieri Urbano Cairo, presidente del Torino e anche di Rcs, editore del Corriere , parlando del clima che si respira in Lega. Dunque: o un cambio di metodo, che vorrebbe dire smetterla di volere indebolire le esclusive (vero succo economico della questione) parcellizzandole per canali; oppure passare alla gestione diretta del canale, imparando magari dagli errori che si fecero con il test ai tempi della Lega di Matarrese (a partire dal nome: «Gioco Calcio»). Per questo mai come in questo caso va compresa l’ importanza e il peso della partita dei diritti, un elemento che finora è stato ampiamente sottovalutato (tranne che, bisogna riconoscerlo, da Marco Bogarelli). Peraltro oggi scade il termine per presentare le offerte per la Champions (stagioni 2018-2021, dunque stesso triennio della serie A) che in passato è stata oggetto di attriti tra Mediaset e Sky e che dunque, sebbene del tutto separata come partita, è da seguire per capire gli umori. E anche per valutare quanto possa pesare sul calcio la diatriba tra Mediaset e Vivendi che, per inciso, controlla Tim. Per questo Cairo ha voluto ripuntare i fari sulla materia prima, allontanando l’ attenzione dalle perturbazioni: «Il calcio è quella cosa che in America chiamano “killer application”, per cui tu che hai un prodotto grazie a questo enorme moltiplicatore di interesse lo vendi di più: quindi noi siamo in una botte di ferro». «Credo – ha aggiunto – che i diritti tv abbiano, come dimostrano i Paesi europei, e parlo non solo di Gran Bretagna e Spagna ma anche di Germania, un valore ben superiore a quello che per il momento abbiamo ottenuto come Lega. Per cui sono assolutamente sereno, ma non lo dico soltanto perché sono dalla parte di chi vende con altre 19 società. Semplicemente, è così». Il fatto è che sulla valorizzazione della serie A finora ha prevalso un contesto sfavorevole con un «commissariamento doppio»: quello della Figc sulla Lega, ufficiale, e anche quello semi-ufficioso dell’ Antitrust che non fidandosi di fatto dell’ advisor Infront, visti i trascorsi, ne vuole rivedere tutti i passaggi dei bandi di gara a priori. Ma il risultato di sabato ha mostrato che a favorire la pluralità non sempre si aiuta la concorrenza, quella degli economisti che spinge i prezzi all’ insù. Il tempo c’ è per trovare una soluzione ma non poi così tanto. Per buona parte delle squadre di serie A la certezza degli incassi dei diritti sulle tre stagioni 2018-2021 è fondamentale per la rinegoziazione con le banche sulle linee di credito (che si fa generalmente a fine anno). È questa una delle leve che seppe usare la vecchia Infront di Bogarelli, che attende, proprio entro la fine del mese, la decisione del Tribunale del riesame sulla misura cautelare chiesta dalla procura. Tra debiti, incertezze e lettere di patronage che ormai difficilmente potranno convincere qualcuno, gli incassi dei diritti sono la vera garanzia delle banche che finanziano il pallone (senza contare che anche per i big ci sono nell’ aria bond e aumenti di capitale). Per certi versi l’ incertezza potrebbe influenzare, almeno psicologicamente, qualche mossa del calciomercato estivo.

Infront: «Pronti all’ autoproduzione»

Corriere della Sera
Daniele Sparisci
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Il piano C è diventato il B. Il bando andato a vuoto sabato ha dato una spinta al progetto di canale autonomo della Lega serie A. Le contromosse sono sul tavolo, nei prossimi giorni inizia il complesso iter per far ripartire l’ asta. Oggi, in contemporanea alla gara della Uefa per la Champions, la commissione audiovisivi della Lega si riunirà per dettare la linea: il primo step prevede un passaggio all’ Antitrust per abbandonare il modello di vendita per piattaforma in cambio di una formula per prodotto. Poi i big del calcio discuteranno la seconda opzione, quella dell’«autoproduzione» dei contenuti. Una soluzione appoggiata da Urbano Cairo e con molti consensi. Luigi De Siervo, a.d. di Infront, sottolinea l’ importanza della presa di posizione del presidente del Torino ed editore di Rcs e La7 : «Sono contento che anche lui abbia sposato il progetto con questo entusiasmo. La sua conoscenza imprenditoriale e televisiva ci sarà di grande supporto». Non solo: «Dopo sabato alcune squadre, sia grandi che piccole, chiedono di lavorarci da subito. In passato ci sono state esperienze fallimentari in questo senso, ma il nostro è un progetto completamente diverso». Il flop della pay tv autarchica «Gioco Calcio», nata nei primi anni 2000, fa ancora rumore. Stavolta il ragionamento è opposto: non si va a sfidare Sky, Mediaset & co. rivolgendosi direttamente ai telespettatori – impresa impossibile -, piuttosto si costruisce un palinsesto a uso e consumo per le pay tv. Per i tifosi a casa non cambierebbe nulla. La Lega già oggi produce le immagini attraverso la regia unica, ma un passo del genere è paragonabile a un triplo salto carpiato: da organizzatrice del campionato diventerebbe anche editore con una società ad hoc. Un caso unico in Europa. Trattative private e vendita diretta dei contenuti senza aste. Possibile? Tecnicamente sì, Infront, che ha alle spalle il colosso cinese Wanda, ha le capacità produttive per farlo. Servono però soldi e una visione comune in un mondo che dovrà superare la sua litigiosità. Il concetto parte da una considerazione: allargare la platea all’ insegna del «più calcio per tutti». Quelli che pagano, naturalmente. Ma al netto delle difficoltà del mercato, il piano A resta favorito: vendere il campionato per prodotto. De Siervo manifesta fiducia: «Le critiche sono fisiologiche ma noi facciamo il nostro mestiere con serenità. Se entrambe le squadre (Mediaset e Sky ndr ) escono dal campo convinte di essere state svantaggiate significa che l’ arbitro ha arbitrato in modo equilibrato senza fare favoritismi. Continuo ad essere ottimista sul futuro: la serie A è un ottimo prodotto. Otterremo più di un miliardo».

Diritti tv, Cairo in pressing «Ora il canale della Lega»

Il Mattino
Salvatore Riggio
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MILANO. Il giorno dopo la mancata offerta di Mediaset per i diritti televisivi del triennio 2018-2021, il calcio fa le sue riflessioni e cerca di capire quale sarà il suo immediato futuro. C’ è chi, Massimo Ferrero in primis, ha parlato di creare, ampliare e sviluppare il canale tv della Lega serie A. Sono in molti a pensare di andare avanti senza perdersi troppo nelle preoccupazioni per la mancata offerta. Al coro si è unito anche Urbano Cairo, il presidente del Torino che ha rilasciato un’ intervista all’ Ansa. «È il momento della svolta: o individuiamo un nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale», la sua riflessione. Ed è chiaro come mai Cairo, il proprietario de La 7, stia facendo pressing su questa faccenda. Comunque, è la maggioranza dei presidenti della massima serie A pensarla come il collega granata. Nessuno ha comunque paura di quanto successo in via Rosellini. Prendendo ad esempio il calcio in Germania, Inghilterra e Spagna, non si può non considerare alto il valore del calcio italiano. Sicuramente superiore rispetto a quanto si potrebbe ricavare dalle offerte di Sky e Perform. Calcio fai da te Resta l’ alternativa del canale della Lega appunto. Un punto di partenza per portare avanti il calcio italiano e non impantanarsi tra ostacoli e difficoltà. Nato qualche anno fa, questo mezzo è pronto quindi a crescere. Certo, resta il problema di come far riconoscere il proprio valore, magari studiando nuove proposte e altri tipi di pacchetti da vendere. Questo perché in Italia si è sempre agito per piattaforme, (ossia dare quindi la stessa partita a più operatori), ma c’ è da capire se si riuscirà a fare qualcosa di diverso, cambiando strada. Sono tutte cose che i presidenti di serie A devono prendere in considerazione, compresa appunto la creazione di fare una piattaforma gestita internamente dalla Lega. Ma come può svilupparsi una realtà del genere? La Lega serie A deve avere un dipartimento interno avanzato, che possa occuparsi della produzione delle partite. L’ esempio è in Spagna con la Lega diretta da Javier Tebas. Il canale della Lega sarebbe anche una possibilità per incrementare i guadagni. Magari sviluppando i diritti all’ estero con presenze ovunque nel mondo per arrivare a guadagnare addirittura 630 milioni di euro. Cifra superiore rispetto ai 180 milioni di oggi. Ed è per questo che i presidenti di serie A potrebbero benedire la mancata offerta di Mediaset. Significherebbe guardare oltre e fare una tv della Lega per cercare di avere dei vantaggi importantissimi. In Italia è arrivato il momento di fare squadra tra le 20 realtà calcistiche della serie A. La partita è ancora aperta. L’ estate sarà rovente. Da settembre si riparlerà del bando dei diritti televisivi. E perché no, anche del progetto del canale della Lega. Chissà se si riuscirà a trovare un accordo. Se lo augurano i tifosi, che non hanno voglia di pensare a tutte questi intrighi. L’ importante è rivedere il calcio vero. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La Lega pensa ad una propria tv: pressing di Cairo

Il Messaggero
SALVATORE RIGGIO
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IL CASO MILANO Il giorno dopo la mancata offerta di Mediaset per i diritti televisivi del triennio 2018-2021, il calcio fa le sue riflessioni e cerca di capire quale sarà il suo immediato futuro. C’ è chi, Massimo Ferrero in primis, ha parlato di creare, ampliare e sviluppare il canale tv della Lega di Serie A del commissario Tavecchio. Sono in molti a pensare di andare avanti senza perdersi troppo nelle preoccupazioni per la mancata offerta. Al coro si è unito Urbano Cairo, il presidente del Torino, che ha rilasciato un’ intervista all’ Ansa. «È il momento della svolta: o individuiamo una nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale», la sua riflessione. Ed è abbastanza chiaro come mai Cairo, il proprietario de La 7, stia facendo pressing su questa faccenda. Comunque, è la maggioranza dei presidenti della massima serie a pensarla come il collega granata. Nessuno ha comunque paura di quanto successo in via Rosellini. Prendendo ad esempio il calcio in Germania, Inghilterra e Spagna, non si può non considerare alto il valore del calcio italiano. Sicuramente superiore rispetto a quanto si potrebbe ricavare dalle offerte di Sky e Perform. CALCIO FAI DA TE Resta l’ alternativa del canale della Lega appunto. Un punto di partenza per portare avanti il calcio italiano e non impantanarsi tra ostacoli e difficoltà. Nato qualche anno fa, questo mezzo è pronto quindi a crescere. Certo, resta il problema di come far riconoscere il proprio valore, magari studiando nuove proposte e altri tipi di pacchetti da vendere. Questo perché in Italia si è sempre agito per piattaforme, (ossia dare quindi la stessa partita a più operatori), ma c’ è da capire se si riuscirà a fare qualcosa di diverso, cambiando strada. Sono tutte cose che i presidenti di serie A devono prendere in considerazione, compresa appunto la creazione di fare una piattaforma gestita internamente dalla Lega. Ma come può svilupparsi una realtà del genere? La Lega serie A deve avere un dipartimento interno avanzato, che possa occuparsi della produzione delle partite. L’ esempio è in Spagna con la Lega diretta da Javier Tebas. Il canale della Lega sarebbe anche una possibilità per incrementare i guadagni. Magari sviluppando i diritti all’ estero con presenze ovunque nel mondo per arrivare a guadagnare addirittura 630 milioni di euro. Cifra superiore rispetto ai 180 milioni di oggi. Ed è per questo che i presidenti di serie A potrebbero benedire la mancata offerta di Mediaset. Significherebbe guardare oltre e fare una tv della Lega per cercare di avere dei vantaggi importantissimi. In Italia è arrivato il momento di fare squadra tra le 20 realtà calcistiche della serie A. La partita è ancora aperta. L’ estate sarà rovente. Da settembre si riparlerà del bando dei diritti televisivi. E perché no, anche del progetto del canale della Lega. Chissà se si riuscirà a trovare un accordo. Se lo augurano i tifosi, che non hanno voglia di pensare a tutte questi intrighi. L’ importante è rivedere il calcio vero. Salvatore Riggio © RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Il calcio non è svalutato ma servono riforme sì al canale della Lega”

La Repubblica
MARCO MENSURATI
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«LA verità è che vorrei essere al mio posto». Il giorno dopo il grande shock – l’ asta per i diritti tv della Serie A andata deserta – Urbano Cairo, editore e presidente del Torino, interviene per tranquillizzare tutti. «I presidenti dei club, i loro rappresentanti della Lega, l’ advisor Infront, sono in una condizione ideale: hanno in mano un prodotto eccezionale, il calcio, che vale molto di più di quanto non abbia detto l’ asta di ieri e anche di più di quanto sia valutato oggi. Si tratta solo di venderlo bene». Non sembra facilissimo. «Ma è quello che dobbiamo fare. Fino a oggi abbiamo provato mettendo sul mercato il nostro prodotto in pacchetti divisi “per piattaforma”. Non ha funzionato, ed è quindi un’ occasione d’ oro per valutare insieme se non esista un metodo migliore». Lei preferirebbe procedere, come dice Sky, vendendo il calcio per esclusive? «Dico soltanto che il prodotto è ottimo e noi ci troviamo davanti a tre strade. La prima è continuare come abbiamo fatto fino a oggi. La seconda è vendere il calcio come fanno in Inghilterra, che è il benchmark del nostro settore, ovvero vendere il nostro prodotto suddiviso in una serie di esclusive. E poi la terza…». Il canale di proprietà della Lega. I broadcaster sono convinti che si tratti solo di una minaccia irrealizzabile. «Ma sta scherzando? Il progetto è fattibile e a mio avviso potrebbe valorizzare in maniera notevole il prodotto». Che comunque pare non entuasiasmare il mercato… «Guardi, il calcio è una killer application, come si direbbe in America: uno di quei prodotti che moltiplicando l’ interesse fanno crescere interi business. È così in tutto il mondo, non solo in Inghilterra o Spagna, ma anche in Germania e Francia. Ed è così pure in Italia. Ripeto: dobbiamo solo venderlo nel migliore dei modi. E non mi riferisco solo al mercato domestico, ma anche e forse soprattutto a quello internazionale: noi vendiamo la Serie A all’ estero a 180 milioni l’ anno; la Liga spagnola la vendono a 600». E come mai? «Ho recentemente incontrato il capo della Liga: sono strutturatissimi, hanno persone in tutto il mondo che gestiscono contatti diretti con i broadcaster. In Lega dobbiamo fare così». Ma è proprio sicuro che il prodotto sia così straordinario? «Penso di sì. Poi è vero che se una competizione viene vinta per sei anni dalla stessa squadra c’ è qualcosa che non va». E come si interviene? «Modificando la redistribuzione dei proventi dei diritti tv. In Spagna, dove ci sono Barcellona e Real, il 50 per cento si divide in parti uguali e alla fine la ripartizione è molto più equilibrata. Ma è lo stesso anche in Inghilterra». Ma non è eccessiva tutta questa dipendenza dai diritti tv? «Sì. Forse dovremmo cominciare a non vendere alle tv l’ intero programma domenicale: alcune partite si possono vedere solo allo stadio». Non c’ è qualcosa di migliorabile nella gestione dei club? «Noi presidenti abbiamo le nostre responsabilità, certo. Però diciamola tutta: anche il sistema dovrebbe venirci incontro. Se vogliamo più equilibrio dobbiamo fare gli stadi e sviluppare il merchandising. E allora servono leggi per proteggere i nostri marchi e procedure certe per migliorare i nostri impianti. Vogliamo liberare il calcio dalla tv? Allora la politica deve aiutarci: da quanto tempo si parla di una riforma della legge Melandri?». ©RIPRODUZIONE RISERVATA ,, I proventi devono però essere redistribuiti, con più equilibrio, come in Europa. E abbiamo bisogno di nuove leggi ” L’ IMPRENDITORE Urbano Cairo, 60 anni, da uno presidente di Rcs e, da 12, del Torino Fc.

Mediaset-Sky, nuova sfida con l’ incognita Vivendi

La Repubblica
L’ ASTA DESERTA CHAMPIONS LEAGUE IL NUOVO BANDO
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LA saga dei diritti tv conoscerà questa mattina una nuova puntata: alle dieci in punto scadranno infatti i termini per la presentazione delle offerte all’ Uefa per aggiudicarsi i diritti di trasmissione su territorio italiano di Champions ed Europa LE TAPPE Sabato l’ asta per i diritti tv della Serie A è stata mandata deserta da Mediaset. Unica offerta da Sky, 494 mln. La Lega voleva un miliardo Oggi, ore 10, all’ Uefa arrivano le buste con le offerte relative ai diritti tv di Champions ed Europa League del triennio 2018-21 League per il triennio 2018-2021. A differenza di quanto avvenuto per la Serie A, le domande dovranno essere consegnate via email. L’ Uefa non comunicherà immediatamente l’ esito dell’ asta ma si riserva di condurre una successiva trattativa diretta con i vari offerenti con lo scopo di ottimizzare il ricavo. Come sempre, alla vigilia c’ è molta incertezza sia sull’ identità dei particpanti, sia sull’ entità delle offerte. Di sicuro ci saranno Mediaset (la titolare dei diritti per il triennio in corso) e Sky. E le loro offerte dovrebbero aggirarsi intorno ai 240 milioni. All’ asta non parteciperà, invece, Tim. Questo, almeno stando, a quanto trapelato ieri dalla stessa società. Le ragioni ufficiali sono le stesse spiegate in occasione del bando per la serie A: i diritti sportivi sono interessanti solo all’ interno di un quadro di sostenibilità economica; inoltre non sono stati predisposti “pacchetti” appetibili per la diffusione via Internet. In realtà, proprio come accaduto in occasione del bando andato deserto per la Serie A, sono in molti a ipotizzare che alla fine Telecom parteciperà al bando in maniera indiretta: o attraverso Mediaset (magari stipulando un contratto separato per la di diffusione on line della Champions) o con Vivendi. Proprio questo tipo di speculazioni hanno innescato ieri una netta presa di posizione ufficiale di Tim: «In relazione a indiscrezioni di stampa, Tim precisa di non avere mai neppure ipotizzato né discusso una partecipazione assieme ad altri soggetti ai bandi per i diritti della Serie A. La società ha più volte ribadito nei mesi scorsi che i pacchetti per il digitale, per come erano strutturati dal punto di vista dell’ offerta e dei costi, non erano interessanti per Tim. Ricostruzioni diverse da questa realtà sono quindi frutto di fantasia e Tim tutelerà i suoi interessi nelle sedi più appropriate». ( ma. me.) Lega calcio e Infront riscriveranno il bando per la Serie A con all’ Antitrust, poi torneranno sul mercato in autunno ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Diritti tv, oggi è il giorno della Champions

La Stampa
TIZIANA CAIRATI
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Diritti televisivi: dalla Serie A alla Champions. Oggi l’ Uefa riceverà le buste con le offerte dagli operatori per acquistare i diritti delle partite della Champions League per il triennio 2018-2021. E, a differenza degli altri anni, questa volta da Nyon potrebbero assegnare entro mercoledì al vincitore i diritti per le sfide della maggior competizione europea. La scelta di essere rapidi non sarebbe del tutto casuale. Tant’ è che le indiscrezioni provenienti dalla Svizzera parlano di un’ Uefa irritata con la Lega di A per aver scelto il 12 giugno – due giorni prima dell’ apertura delle buste Champions – come data per assegnare i diritti tv domestici. Obiettivo: più 30% A Nyon saranno pure infastiditi, ma al contempo possono sorridere. Essendo sfumata a data da destinarsi l’ asta della Serie A (da oggi si ricomincia a lavorare per il nuovo bando), i broadcaster italiani hanno ancora le casse piene di denaro da spendere per la competizione continentale, che dal 2018 vedrà in corsa quattro squadre italiane. Il procedimento a pacchetto usato in Svizzera è lineare e verte su due variabili, ritenute fondamentali: offerta e visibilità. Per quanto riguarda la proposta economica a Nyon vorrebbero guadagnare un 30% in più rispetto al triennio precedente venduto per 700 milioni. Anche se non ci sarebbe da restare turbati se per i prossimi tre anni il vincitore dovesse pareggiare la vecchia somma. Il motivo è semplice ed è che dai diritti ceduti in Francia a Telco per 350 milioni annui, l’ Uefa ha guadagnato il doppio rispetto al passato. In questa battaglia tutta francese Canal Plus, ovvero Vivendi, ne è uscito sconfitto. Alle luce dei fatti, Sky e Mediaset – pronte a battagliare fino all’ ultimo euro – potrebbero trovarsi a concorrere con, oltre alla Rai, un player agguerrito come Vivendi che, in attesa di chiarire la vicenda con l’ azienda del Biscione e Telecom, potrebbe presentare un’ offerta faraonica. Ma ci sono altri scenari con Sky che non avendo intenzione di restare ancora senza Champions potrebbe stringere una partnership cedendo alla Rai le partite in chiaro. Mentre Mediaset, dopo un esborso carissimo, vorrebbe dare continuità al progetto confermandosi come la «tv della Champions». Ma il passo successivo dell’ azienda di Cologno Monzese potrebbe essere di cedere a Tim – che ufficialmente si è tirata fuori – i match per il web. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.


Circolare n. 21 del 12/06/2017 – Pubblicazione bilanci d’esercizio

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Ricordiamo che ai sensi dell’art. 1, comma 33, DL 23/10/96 n. 545 – Legge 23/12/96 n. 650 entro il prossimo 31 agosto, le imprese editrici di quotidiani, le imprese editrici di periodici con più di cinque giornalisti assunti a tempo pieno e le concessionarie di pubblicità di giornali quotidiani sono tenute a pubblicare su tutte le testate edite lo stato patrimoniale e il conto economico del bilancio di esercizio, corredato da un “Prospetto di dettaglio delle voci di bilancio relative all’esercizio dell’attività editoriale” secondo le modalità previste dalla Delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 129/02/CONS e s.m.

La norma non prevede l’ipotesi, ricorrente, nella quale alla data del 31 agosto non sia stato approvato dall’assemblea dei soci il bilancio relativo all’esercizio precedente. A nostro avviso, in questa ipotesi, entro la data del 31 agosto 2017 consigliamo di pubblicare i dati dello stato patrimoniale e del conto economico rappresentati dalla bozza di bilancio predisposta dall’organo amministrativo. Altrimenti, riteniamo che i dati in oggetto possano essere pubblicati sulle testate edite appena approvato il relativo bilancio dall’assemblea dei soci; chiaramente, laddove vengano mosse contestazioni sarà necessario documentare l’effettiva data di approvazione del bilancio.

Roaming, dal 15 giugno stop ai costi aggiuntivi

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In vista delle prossime vacanze estive, i viaggiatori europei avranno un pensiero in meno da mettere in conto prima di partire: i costi del roaming. Da giovedì infatti scatterà la fine degli extracosti: chiamate, sms e traffico dati costeranno in viaggio nell’Ue come a casa. Si tratta di una novità importante che rende un po’ più concreta la realizzazione del Digital Single Market dopo anni di trattative e discussioni. Il nuovo regolamento di costi verrà applicato in tutti i 28 Stati membri, compresa la Gran Bretagna. Si aggiungono alla lista anche Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
Ma i costi del roaming non posso ancora definirsi un lontano ricordo. Il Regolamento prevede due scenari con i quali sarebbe consentito agli operatori di addebitare dei costi per il roaming:
se il modello tariffario di un operatore venisse intaccato dall‘abolizione delle tariffe di roaming, questo può ottenere dall’Autorità di Regolamentazione nazionale il permesso di riscuotere tariffe di roaming in determinate circostanze particolari;
qualora l’utente dovesse infrangere la cosiddetta clausola di “fair use” durante il periodo di osservazione di quattro mesi previsto dal Regolamento stesso e non considerare l’avviso dell’operatore, il gestore può addebitare dei sovrapprezzi. La clausola prevede che nei quattro mesi non si possa trascorrere più tempo all’estero rispetto al proprio paese ed allo stesso tempo utilizzare di più il proprio telefono all’estero, fatto salvo chi è in grado di poter dimostrare di avere uno stretto legame causato da motivi di studio, o di lavoro con il paese estero stesso. Con tale clausola viene dunque negata la possibilità di utilizzare in modo permanente una SIM estera. Fintantoché si trascorre più tempo nel proprio paese e si utilizza il telefono di più all’interno del proprio paese si può stare sicuramente tranquilli. È doveroso ricordare che è sufficiente anche una solo connessione al giorno presso il proprio paese per dimostrare che non ci si trova costantemente presso un paese estero.
Allo stato attuale restano diversi gli interrogativi e soltanto nel corso dei prossimi mesi sarà possibile vedere come si comporteranno gli operatori telefonici in merito a questa novità. In merito a ciò Milena Favretto del Centro Europeo Consumatori e Simone Romani del Centro Tutela Consumatori Utenti sollevano qualche dubbio su alcuni aspetti di questo Regolamento. Tanto per cominciare, dicono dalle associazioni, il Regolamento presenta alcuni punti poco chiari che rischiano di mettere in difficoltà il consumatore che fatica a comprendere cosa effettivamente cambierà.
Anche in merito ai sovrapprezzi in caso di violazione della clausola di corretto utilizzo c’è molta confusione e poca trasparenza. Il rischio maggiore inoltre è che siano gli utenti a pagarne comunque le conseguenze con dei rincari sulle tariffe. (helpconsumatori)

Rassegna Stampa del 13/06/2017

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Indice Articoli

Diritti calcio, c’ è Sky dietro l’ angolo

“Grazie Mario”: com’ è contenta la politica per Orfeo in Rai

Perché nel calcio è crollata la piramide assistenziale pagata dalla tivù

La schiarita che può arrivare dalla Champions

Calcio, prima i diritti tv all’ estero

Champions Sky e Mediaset sono in campo

Facebook, in vista funzione per abbonarsi alle news

Rai, domani l’ esordio di Mario Orfeo in cda come direttore generale

Chessidice in viale dell’ Editoria

Auditel, comScore per la tv online

La classifica e trend dei quotidiani più diffusi (carta+web) ad aprile. Tutti segni negativi tranne Tuttosport (+9%). Invariate le posizioni – INFOGRAFICA

Champions, Sky in pole nella gara con Mediaset Assenti Rai e Discovery

L’ Uefa fa catenaccio sui diritti tv: segreti i nomi dei network in gara

Caltagirone Editore vuole uscire dalla borsa e ieri il titolo ha superato il prezzo d’ offerta

Diritti calcio, c’ è Sky dietro l’ angolo

Il Fatto Quotidiano
Dario Falcini
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Si intravede un sorriso dietro le bocche cucite dei dirigenti Sky, nel giorno del termine ultimo per le offerte sui diritti tv della Champions League 2018-2021. Le email dei broadcaster italiani sono arrivate a destinazione, ma il nome del vincitore non è stato ancora reso noto. Questa volta la Uefa potrebbe prendersi più tempo, consapevole del caos che domina tra le istituzioni del pallone italiano dopo la mancata offerta di Mediaset per i diritti della Serie A. Le grandi manovre tra i gruppi editoriali sono solo agli inizi e a Nyon qualcuno vorrebbe evitare un’ ulteriore destabilizzazione. “Siamo in attesa” è il commento che arriva da Sky e da Mediaset, ma le due risposte sono molto diverse tra loro. Per Cologno è il secondo no comment nel giro di due giorni e finché il futuro di Premium non sarà più chiaro è lecito attendersi altri silenzi. Proprio il tentativo di lanciare la piattaforma pay due anni fa portò all’ investimento da 690 milioni per tre anni di Champions League, un all in da cui Mediaset non si è mai ripresa. L’ estenuante trattativa con Vivendi ha fatto il resto. Per questo motivo Sky è ora convinta di avere la strada spianata per portare a casa la coppa a costi contenuti. Sarebbe un grande affare per l’ azienda di Rogoredo, che ha saputo gestire bene l’ assenza dai propri schermi della competizione principale: dal 2018 la Champions, con quattro italiane ai gironi e due fasce orarie (19 e 21) per le gare, diventa ancora più appetibile. Sullo sfondo la Rai, che spera di lucrare da questa situazione e fa il tifo per Sky, con cui sono avviate le trattative per la cessione dei diritti di una partita del mercoledì e degli highlights. Dal canto suo la Uefa ha la certezza di reperire altrove le risorse: più di 2 miliardi arriveranno solo da Inghilterra e Francia. In attesa di conoscere le cifre ufficiali di Italia, Spagna e Germania, dove desta interesse il tentativo di Dazn di potenziare l’ offerta di calcio online, l’ obiettivo dei 3,4 miliardi di fatturato pare decisamente alla portata.

“Grazie Mario”: com’ è contenta la politica per Orfeo in Rai

Il Fatto Quotidiano
Nanni Delbecchi
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Che differenza c’ è tra un giornalista di successo e un boiardo espresso dalla politica? Nessuna, se il giornalista ha saputo servire la politica come si deve. È così che si diventa dg della Rai, come è appena capitato al direttore del Tg1 Mario Orfeo. Ma sarebbe ingiusto addebitargli ciò che in Italia è prassi consustanziale alla nascita stessa del mezzobusto; meglio concentrarsi sulle qualità che rendono Orfeo l’ uomo giusto nel momento giusto. Ma quale uomo: Orfeo è un mito a partire dal nome, oggi come allora equivicino e trasversale: apollineo-dionisiaco l’ argonauta dell’ antica Grecia; renzian-berlusconiano il direttore dell’ odierna Saxa Rubra. Uno con la sua lira inteneriva perfino i sassi, l’ altro con il suo tg ha intenerito il Cda di Viale Mazzini quasi al completo. “Alle 8.30 ha già letto tutti i giornali”, ci informa Mario Ajello sul Messaggero; così – aggiungiamo noi – sa già quali notizie dare, e quali togliere. Venerdì scorso, giorno della sua nomina, sì a Matteo Renzi in diretta Facebook (“Cinque stelle inaffidabili”), no alle rivelazioni di Graviano su Berlusconi, fatte però commentare dall’ avvocato di B. Niccolò Ghedini. Ieri, servizio di apertura sulla “resa dei conti nel Movimento 5 Stelle” (ma senza dichiarazioni dei diretti interessati); poi subito la parola a Renzi (“Il populismo si sgonfia”). Si suole dire che la gratitudine non è di questo mondo. Luoghi comuni: la promozione di Mario Orfeo a dg Rai dimostra che invece la gratitudine esiste. Eccome.

Perché nel calcio è crollata la piramide assistenziale pagata dalla tivù

Il Foglio

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Roma. I divanisti del calcio conosceranno il proprio futuro, triennio 2018-2021, solo ad autunno, con il prossimo ex “campio nato più bello del mondo” iniziato, magari l’ ultimo delle vacche grasse, gli 1,2 miliardi di diritti televisivi pagati da Sky nel 2015. A settembre la Lega ripeterà l’ asta fallita il 10 giugno: aveva fissato una base di un miliardo, sono stati offerti 494 milioni da Sky, unico concorrente, con Mediaset al momento fuori gioco, in attesa che si ripristini l’ eventuale accordo con Vivendi e Telecom Italia. Ed è su questo che puntano i presidenti ottimisti, tipo Urbano Cairo, proprietario del Torino e di Rcs, secondo il quale “il nostro calcio vale molto di più della cifra ridicola di Sky”. A settembre però il campionato sarà appunto partito (il 20 agosto), il mercato estivo finito, i nuovi contratti depositati, quelli in corso prorogati o ritoccati. Quanti se la sentiranno di rischiare senza il paracadute degli introiti televisivi? Già, perché oltre a que sto non c’ è molto altro a determinare il valore del calcio italiano. “Da anni tutti gli esperti invitano a non aspettare la manna dal cielo della televisione”, dice Marcel Vulpis, economista di marketing sportivo e direttore dell’ agenzia Sporteconomy. “In Italia il prodotto calcio è poco internazionalizzato, gli investimenti negli stadi, nelle sponsorizzazioni e nel merchandising sono indietro rispetto alla concorrenza europea”. Lo conferma l’ analisi di Kpmg, che in coincidenza della finale di Champions persa dalla Juventus contro il Real Madrid ha calcolato in 30 miliardi il valore d’ im presa (redditività, popolarità, potenziale sportivo, diritti tv e proprietà dello stadio) delle 32 maggiori squadre europee. La Juve è nona con 1,2 miliardi in una graduatoria che vede al primo posto il Manchester United (3,2) seguito da Real e Barcellona, dal Bayern Monaco e da altre quattro inglesi, Manchester City, Arsenal, Chelsea e Liverpool. Molto peggio se la passano Mi lan (15esima), Roma, Inter e Napoli (da 18 a 20esima), e Lazio (29esima con 240 milioni). Ma non è la sconfitta juventina per mano dei Galacticos, e l’ ormai preoccupante digiuno delle italiane dalla vittoria in Champions – ultima, l’ Inter nel 2010; la Juventus manca dal ’96 – a determinare il minor valore dei club, e di conseguenza dei campionati, rispetto a inglesi, spagnoli e tedeschi. I diritti tv sono stati pagati 3,6 miliardi in Inghilterra, 1,7 in Spagna, 1,4 in Germania; ma negli ultimi dieci anni solo due squadre inglesi (Manchester United e Chelsea), due spagnole (Real Madrid e Barcellona) e una tedesca (Bayern), rispetto alle italiane Milan e Inter, hanno alzato la grande coppa. Mentre nel report di Kpmg tra le squadre che superano il miliardo parecchie non hanno mai vinto (Manchester City, Arsenal, Tottenham, Paris SG), altre vittoriose vivono di glorie passate. La vera differenza è altrove: tutte le prime dieci, Juve compresa, hanno uno stadio di proprietà o privato. Anfield Road dove gioca il Liverpool è inoltre della multinazionale americana Fenway che oltre all’ impianto e alla squadra controlla i Boston Red Sox di baseball. E neppure il paragone dei super sponsorizzati e moderni stadi privati stranieri con i vecchi e pubblici Meazza, Olimpico e San Paolo basta a spiegare la crisi finanziaria del calcio italiano. C’ è un numero, ed è quello delle squadre professionistiche italiane che campano in pratica di diritti tv: sono 102 tra A, B e C. In Inghilterra sono 92, ma solo Premier League e Championship si spartiscono la torta televisiva. In Germania 56, in Spagna 42, in Francia 40. Insomma il modello del pallone italiano è una gigantesca piramide assistenziale che ha come quasi unici introiti la televisione. Finché la domanda ha compensato l’ offerta, è durato. Ora che il mercato lo fa chi compra e non chi vende non regge più. Renzo Rosati.

La schiarita che può arrivare dalla Champions

Il Sole 24 Ore
Marco Bellinazzo e Andrea Biondi
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Lo stallo sulla vendita dei diritti tv della Serie A mette a repentaglio l’ equilibrio economico di tutto il calcio italiano Spa. Anche le serie minori, infatti, attraverso il complicato (e criticato) meccanismo della mutualità, dipende dalle entrate televisive. Dal 2000 a oggi gli introiti annuali assicurati dai broadcaster sono saliti da circa 500 milioni a 1,2 miliardi. Una crescita del 140% che ha annebbiato le strategie dei padroni del football tricolore, troppo impegnati a litigare per spartirsi queste risorse per preoccuparsi dello sviluppo industriale del settore. A parte qualche isola felice (come la Juventus) in questi anni sono mancati investimenti sugli stadi, sulle reti commerciali, sui canali digitali, sui prodotti collettivi rendendo il calcio italiano sempre meno appetibile. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: mentre la Serie A arranca, la Premier League incassa 3,6 miliardi all’ anno, la Liga spagnola 1,7 e la Bundesliga 1,4 miliardi. Certo, lo spettacolo televisivo offerto dai 20 team della Penisola per la Serie A non è ancora del tutto scredidato, ma senza politiche industriali adeguate sarà difficile “estrarre” questo valore e farlo rendere al meglio. Anche realizzando un canale Tv della Lega. Il contenitore è l’ ultimo dei problemi se non c’ è un contenuto all’ altezza. Su questo però Urbano Cairo, presidente del Torino, ma anche di Rcs e dell’ emittente televisiva La7, ha voluto dire la sua con decisione, dopo il flop dell’ asta: «O individuiamo una nuovo sistema di vendita o ci facciamo un nostro canale. E comunque un dato è certo: il calcio italiano vale molto di più. Non solo di quello che è stato offerto, anche di quello che prendevamo». Fatto sta che né Mediaset (che pure ha contestato il bando all’ Antitrust), né Tim (che da parte sua aveva fatto intendere già da un paio di settimane almeno che a queste condizioni non avrebbe offerto ritenendo pacchetti inadeguati al costo) hanno presentato offerte per alcuno dei pacchetti messi a bando per la Serie A. Anche Discovery (con la sua Eurosport) è rimasta alla finestra. A presentare offerte per la massima serie sono stati solo Sky e Perform, sports media company globale con sede in Uk che nel 2015 ha fondato una piattaforma di live sports streaming denominata “Dazn”. Come da bando, si sapeva che se anche solo un pacchetto fosse andato invenduto l’ asta sarebbe potuta andare a monte. Così è stato. Ma è importante rilevare che Sky ha sì puntato sul pacchetto satellitare (30 milioni in più rispetto alla base d’ asta), ma sul D (27% della tifoseria) ha precisato che il valore non poteva essere quello richiesto (400 milioni), presentando un’ offerta ampiamente sotto soglia. Per quanto riguarda Perform, sui pacchetti C1 e C2 ha offerto un quarto del valore richiesto da Lega e Infront. Due segnali che fanno capire che, a queste condizioni, il calcio italiano non è poi ritenuto così profittevole lato broadcaster. Si vedrà. È chiaro del resto che è in atto una partita che un impatto non potrà non averlo come dimostra il botta e risposta a caldo sabato: Sky è intervenuta subito in maniera abbastanza critica dopo le esternazioni dell’ ad Infront Luigi De Siervo, che si era detto non preoccupato anche perché «la situazione complessa di Vivendi, Telecom e Mediaset a un certo punto arriverà a maturazione e al colosso Sky si contraporrà quello Vivendi-Mediaset-Telecom». Parole che per la media company di casa Murdoch segnalano una volontà di attendere che si arrivi a «un ipotetico nuovo assetto solo per contrastare la nostra azienda». Lega e l’ advisor (cinese) Infront hanno intanto deciso ieri di avviare il percorso di vendita dei diritti della Serie A all’ estero. Non si farà più un’ asta generale, ma si darà luogo ad aste per territori omogenei per elevare i ritorni dai 187 milioni di media annuale versati da Mp&Silva per lo scorso triennio a 3-400 milioni, facendo leva sul boom del mercato calcistico asiatico e nordamericano. Resta il fallimento dell’ asta dello scorso weekend in territorio italico cui ha di certo contribuito non solo la crisi sistemica del calcio, ma anche la peculiare situazione della pay tv in Italia, fra abbonati che non crescono (anche perché uno degli attori, Mediaset Premium, non se l’ è vista proprio bene negli ultimi tempi) e grande lotta fra broadcaster con un nuovo entrante, Vivendi, sui cui da quasi un anno si concentrano interrogativi sulle reali intenzioni. Una schiarita sulle dinamiche industriali in corso tra broadcaster, telco e le cosiddette “over the top” potrebbe venire dall’ assegnazione dei diritti italiani della Champions e dell’ Europa League per la quali ieri la Uefa ha chiuso l’ asta. Quantomeno si capiranno le munizioni che rimarranno ai broadcaster per la battaglia sulla Serie A, quando si riaprirà. Al momento non sono stati resi noti né i partecipanti né tantomeno i vincitori. Unica indiscrezione che circola: alla Uefa sarebbe arrivata un’ offerta monstre per la Champions. Indiziati Sky, Mediaset, ma anche Vivendi. Discovery dovrebbe aver puntato sull’ Europa League. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Calcio, prima i diritti tv all’ estero

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dopo il flop dell’ asta per i diritti tv della Serie A di calcio 2018-2021, che non ha avuto offerte ritenute accettabili e che si rifarà a fine anno, la Lega Serie A e il suo advisor Infront si concentrano sulla vendita dei diritti internazionali del Campionato di calcio italiano, vendita che per la prima volta si effettuerà prima dell’ asta domestica. Nel triennio 2015-2018 i diritti tv della Serie A all’ estero avevano portato nelle casse dei club 186 milioni di euro all’ anno. Questa volta, visto soprattutto il boom verso il mercato cinese e l’ area asiatica in generale, si punta a 300 milioni all’ anno, con una serie di aste territoriali. Ieri, alle 10 del mattino, è scaduto poi il termine per presentare offerte circa i diritti tv della Champions league di calcio 2018-2021, dove ben quattro squadre italiane verranno ammesse direttamente ai gironi. E sul mercato è corsa voce che una grande offerta sarebbe arrivata agli uomini Uefa, in grado, quindi, di chiudere l’ asta nel giro di pochissimi giorni. La ipotesi che si fa strada è quella di una ricca busta da parte di Vivendi (che in Francia, attraverso Canal Plus, ha risparmiato i soldi per la Champions, avendo perso l’ asta 2018-2021 a favore di Altice dell’ operatore telefonico Sfr), che avrebbe indicato in Tim la società operativa per la distribuzione del contenuto in pay, e che sarebbe pronta a un accordo con Mediaset per la trasmissione in chiaro di una partita di una squadra italiana al mercoledì. In alternativa a questa ricostruzione, ci sarebbe invece l’ offerta di Sky (nell’ ordine, però, dei 200 milioni all’ anno, e quindi più bassa rispetto ai 230 mln pagati annualmente da Mediaset per il triennio 2015-2018), con una intesa con Rai per la trasmissione in chiaro del match del mercoledì. È invece escluso che Mediaset, da sola, possa aver fatto offerte. E pure il gruppo Discovery Italia ha rinunciato a partecipare all’ asta della Champions. Che, per i broadcaster interessati, è comunque ritenuta un’ asta vera e propria, in grado di concedere, al migliore offerente, l’ esclusiva assoluta del prodotto Champions, su tutte le piattaforme. Esattamente il contrario dell’ asta organizzata per la vendita dei diritti Serie A, con pochissime esclusive interessanti (nel pacchetto D, al prezzo di 400 mln di euro all’ anno, c’ erano partite per un bacino pari al 27% dei tifosi, non molto lontano dalla Serie B, i cui diritti tv però costano 22 mln di euro all’ anno), e che per questo è fallita. Sky, in realtà, le sue oneste offerte le aveva fatte: 495 milioni complessivi per i pacchetti A e D e i diritti ancillari. Assolutamente paragonabile a quella che la stessa società aveva fatto per il triennio 2015-2018, in cui aveva messo sul piatto 572 milioni di euro all’ anno, ma con diritti ulteriori (tipo la trasmissione dei match su Now Tv, in Iptv, nei bar o negli hotel) che invece nel bando 2018-2021 restavano fuori. Mediaset, in coerenza con l’ impugnazione del bando, non ha invece avanzato alcuna offerta per il pacchetto B (quello del digitale terrestre), piuttosto certa che nessun altro avrebbe messo qualcosa sul piatto. E in questo modo ha fatto saltare l’ asta. Il pacchetto C, quello per gli operatori telefonici e gli Ott, ha ricevuto una sola offerta, dalla media company inglese Perform group, che ha già un accordo con Lega Serie A per la distribuzione dei match su YouTube. Curioso siparietto in fase di lettura dell’ offerta: sabato 10 giugno, verso l’ ora di pranzo, presso la sede della Lega Serie A a Milano, un notaio ha aperto la busta. La base d’ asta per il pacchetto C era di 200 mln complessivi (due pacchetti C1 e C2 da 100 mln ciascuno). Ma il notaio stesso non ha capito se nel documento in cui Perform presentava l’ offerta fosse scritto «50 milioni complessivi» o «50 milioni per pacchetto». E, come il notaio stesso ha spiegato, «poiché non è mio compito interpretare quanto scritto, rimetto il tutto alla assemblea di Lega Serie A». Essendo poi saltato il bando, non ci sono stati ulteriori approfondimenti. Di certo, rispetto al miliardo di euro all’ anno attesi (e garantiti da Infront alle squadre di calcio di Serie A), ci si è fermati a poco più della metà. Per questo ora si cambia: come spiegato da Luigi De Siervo, amministratore delegato di Infront, «la vendita per piattaforme verrà archiviata e si passerà a una vendita per prodotto, con pacchetti in esclusiva a prescindere dalle piattaforme. Ma bisognerà aprire un canale con l’ Antitrust» per comprendere meglio fino a dove ci si potrà spingere nelle esclusive di prodotto. È chiaro che Infront ne esca un po’ con le ossa rotte da questa vicenda: sia le linee guida dell’ Antitrust, sia qualche promessa fatta da alcuni operatori (telefonici in primis) prima del bando, sia l’ oggettiva difficoltà del mercato televisivo italiano, sia la fretta con cui è stata lanciata l’ asta (e per la prima volta ben il 35% dei club non aveva dato l’ ok, tra cui squadre importanti come Juventus, Roma e Napoli) hanno portato l’ advisor fuori strada, convincendolo a predisporre dei pacchetti che, alla fine, hanno invece scontentato tutti. © Riproduzione riservata.

Champions Sky e Mediaset sono in campo

Corriere della Sera
Daniele Sparisci
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Le candidature sono arrivate, la gara per l’ assegnazione dei diritti tv italiani della Champions League (2018-21) è partita nel massimo riserbo. Ieri scadevano i termini per presentare le offerte, che ora sono al vaglio della Uefa. Da Nyon si limitano a dire che la procedura è in corso, tutto l’ iter viene condotto in maniera segreta: trattative private con chi ha scelto di sedersi al tavolo. Il verdetto è atteso a giorni, secondo alcune letture il fatto che non si sia arrivati a una conclusione nella primissima fase sarebbe il segno di un sostanziale equilibrio. Nessuno ha fatto una puntata tale da mandare all’ aria i piani della concorrenza. Ai blocchi di partenza Sky appare favorita: la pay tv di Murdoch vuole riprendersi l’ ex Coppa dei Campioni e si sta dando parecchio da fare. Quattro squadre italiane qualificate già nella fase a gironi sono un menù invitante, così come le fasce orarie inedite (match sempre al martedì e al mercoledì alle 19 e alle 21). Mediaset, che ha disertato l’ asta della serie A, non vuole perdere la Champions, ma i tempi dell’«All-in» – i 690 milioni di euro spesi nel precedente triennio – sono alle spalle. Però gli ascolti stellari dei match della Juventus, quelli delle fasi finali, trasmessi in chiaro su Canale 5, autorizzano un ripensamento. Sullo sfondo l’ incognita Vivendi: i francesi sconfitti in casa – Canal Plus ha perso le licenze – potrebbero rifarsi da noi tessendo quel primo tassello del mosaico funzionale a ricucire con Mediaset. Vedremo. Si muove qualcosa anche in Italia: ieri la commissione audiovisivi della Lega serie A ha discusso del bando per la vendita dei diritti all’ estero. Partirà in settembre, prima di quello domestico previsto per l’ autunno, l’ obiettivo è raccogliere 300 milioni. A luglio al via il roadshow per promuovere il campionato: Usa, Sudamerica, Medio Oriente, Cina e Gran Bretagna le tappe del tour commerciale. Sul fronte interno è stata creata una commissione ad hoc (presenti il vice commissario Nicoletti e l’ advisor Infront e i rappresentanti di 5 club: Chievo, Inter, Roma, Lazio e Juve) incaricata di discutere con l’ Antitrust. Per modificare le linee guida commerciali passando dalla vendita per piattaforma a quella per prodotto.

Facebook, in vista funzione per abbonarsi alle news

Italia Oggi

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Facebook sta sviluppando una nuova funzione che consentirà agli utenti di abbonarsi ai contributi editoriali direttamente tramite l’ app. Lo hanno dichiarato fonti a conoscenza del progetto. La funzione sarà presentata entro la fine del 2017. Molti dettagli rimangono ancora ignoti ma probabilmente il nuovo servizio sarà reso disponibile solamente per le storie pubblicate originariamente su Facebook tramite Instant Articles. Si è inoltre discusso su come strutturare la funzionalità, con la società che spinge verso un modello di pagamento che consenta agli utenti di leggere gratuitamente un numero prestabilito di articoli prima di chiedere loro di pagare il servizio. Un altro punto in discussione riguarda le modalità di pagamento e come queste saranno elaborate. Un modello preso in considerazione prevede che Facebook conservi le informazioni sugli utenti mentre gli editori riceveranno quanto dovuto. «Stiamo lavorando a stretto contatto con i nostri partner per comprendere al meglio il loro business ed esplorare nuovi modi per aiutarli a trarre maggiore valore da Facebook,» ha dichiarato la società in una nota. La nuova funzionalità rappresenterebbe un vero e proprio vantaggio per gli editori che sottolineano sempre più l’ importanza degli abbonamenti digitali per la crescita dei ricavi, inclusi il The Wall Street Journal, il New York Times, il Washington Post e il Financial Times. Da tempo gli editori mostrano il loro disappunto verso il ruolo chiave che ricopre Facebook nella diffusione delle notizie e nel mercato della pubblicità digitale. Il predominio di Google e Facebook nella pubblicità online è una delle ragioni per cui molti quotidiani ora considerano la crescita degli abbonamenti un elemento primario.

Rai, domani l’ esordio di Mario Orfeo in cda come direttore generale

Italia Oggi

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È previsto per domani l’ esordio di Mario Orfeo nel consiglio di amministrazione della Rai come direttore generale di viale Mazzini. Proprio domani è stata convocata infatti la riunione del cda per affrontare alcuni temi chiave di cui il neo d.g. e i consiglieri dovranno occuparsi a breve: palinsesti, tetto ai compensi per le star, contratti. I palinsesti sembrano i più urgenti, considerando l’ imminente appuntamento per la presentazione agli investitori pubblicitari, il 28 giugno a Milano e qualche giorno dopo a Roma. Ma ai palinsesti sono anche legati i compensi delle star: c’ è il rischio che più d’ uno dei personaggi di maggior appeal lasci viale Mazzini per approdare su reti di competitor. Oltre a questi c’ è però in primissimo piano anche la nomina del nuovo direttore del Tg1, finora guidato da Orfeo. Su quest’ ultimo punto non ci sono ancora indicazioni, sebbene si facciano i nomi dell’ attuale direttore del Gr e di Radio1 Rai Andrea Montanari, dell’ attuale direttore delle relazioni istituzionali Rai Fabrizio Ferragni, e del direttore di RaiNews (comprendente il canale all news, il sito web e Televideo) Antonio Di Bella, il quale nei giorni scorsi era stato anche dato come uno dei possibili indicati per il ruolo di d.g. Rai. Tra i tre, secondo i rumor il più avvantaggiato è Montanari (che con Orfeo ha lavorato al Tg1, con ruolo di stretto collaboratore, prima di approdare alla radio). Secondo quanto riporta l’ Agi, al momento nessun confronto è stato avviato tra direzione generale e consiglieri Rai, dove le decisioni del primo devono per necessariamente passare per la decisione del cda: questo ha infatti potere decisionale nell’ assenso o meno alle proposte di nomine editoriali.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Mediaset, Calenda: norma anti-scalata per competere ad armi pari. «Servono meccanismi di messa in sicurezza dell’ Italia: io ho proposto una norma anti-scorrerie, una norma francese, il che costituisce anche una sottile ironia. Dice che se vuoi comprarti una percentuale qualificata in un’ azienda italiana devi spiegare che cosa ci vuoi fare: non puoi bloccare un’ azienda in attesa di capire e di giocare una partita a scacchi». Lo ha detto il ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, nel corso del suo discorso all’ assemblea generale di Assolombarda, riferendosi indirettamente, ma senza citarlo, al caso Mediaset-Vivendi. «Dobbiamo dotarci di sistemi che ci consentono di lottare ad armi pari», ha proseguito Calenda. La norma anti-scalata «non è protezionismo o altro ma si tratta di liberismo pragmatico, non mi interessa nulla di chi sia la proprietà ma un’ azienda non può essere bloccata per anni prima di capire dove vada a parare». Sole 24 Ore, Carlo Bonomi: Confindustria non ne esce bene. «Abbiamo ereditato una situazione difficile che, per il nostro ruolo istituzionale, non possiamo ignorare: dalla vicenda del Sole non usciamo bene». Lo ha detto il presidente eletto di Assolombarda Carlo Bonomi nel corso della sua relazione in assemblea. «È un grande asset, per la cultura e l’ informazione economica nazionale. Ma agli occhi dell’ opinione pubblica il sistema Confindustria è apparso come poco incisivo proprio nell’ esercizio di quelle funzioni di controllo e di sana gestione che noi tutti chiediamo per il nostro Paese. Noi saremo pronti a dare tutto il sostegno necessario, perché Il Sole torni ad avere solidità finanziaria ed efficienza gestionale. Per avere un asset che insista sull’ informazione di qualità, garanzia di migliore democrazia politica ed economica, ancor più essenziale in tempi di crisi e di distorsioni della pubblica opinione con le fake news. Ma tutti insieme dobbiamo dare prova che quei gravi errori ci hanno insegnato molto, che ne avvertiamo il peso, e che non sono più destinati a ripetersi». La7, 5% di share medio per le comunali. Ha sfiorato il 5% di share (4,92%) lo speciale del TgLa7 dedicato alle elezioni amministrative condotto domenica da Enrico Mentana. La lunga diretta ha fatto registrare (dalle 22.26 alle 02.00) 543.138 telespettatori medi, 4.430.959 contatti e picchi dell’ 8,49% e 1.270.598. La7 ottiene inoltre il 5,06% di share nella fascia di seconda serata (22,30-02,00). Sul fronte digital lo Speciale Tgla7 è entrato nel Top5 Nielsen dei programmi più seguiti e commentati sui social network nella settimana appena conclusa (unico programma presente dell’ area news&approfondimento) con 13.300 autori attivi e 24.300 interazioni tra Facebook e Twitter per #maratonamentana. In edicola lo speciale di Corriere Motori «Autoevoluzione». Sullo speciale di Corriere Motori «Autoevoluzione», in edicola domani gratuitamente con il Corriere della Sera, gli scenari futuri dell’ automobile tra possibilità che sembrano invenzioni cinematografiche e invece sono occasioni concrete e soluzioni già esistenti. Sky Arte Hd, tornano le bellezze di «Sei in un paese meraviglioso». Dopo il successo delle prime due stagioni, da lunedì 19 giugno il programma promosso da Autostrade per l’ Italia si arricchisce di contenuti nuovi, attraverso il racconto dei siti italiani della lista del patrimonio mondiale dell’ umanità. Immagini in alta definizione per 18 nuovi appuntamenti e 2 conduttori d’ eccezione: Dario Vergassola, per la terza volta protagonista della serie, e la novità di quest’ anno, Veronica Gentili, attrice e giornalista. Radio, al via le trasmissioni digitali di 24 emittenti Aeranti-Corallo in Toscana. Iniziano in questi giorni le emissioni di Toscana Dab e di Radio Digitale Toscana i due operatori di rete per il digitale DAB+ che veicoleranno 24 emittenti radio locali associate Aeranti-Corallo nelle province di Firenze, Pistoia, Prato, Arezzo e Siena. «Da oggi in cinque province toscane, compreso il capoluogo», ha detto Marco Rossignoli, coordinatore di Aeranti-Corallo, «24 imprese radiofoniche locali diffonderanno i propri programmi, oltre che in tecnica analogica, anche in tecnica digitale, offrendo all’ utenza una sempre maggiore qualità del servizio». Sinclair rinnova gli accordi affiliazione con Cbs. Sinclair Broadcast Group ha raggiunto un accordo per rinnovare i contratti di affiliazioni con Cbs. In particolare il deal della durata di diversi anni riguarda le stazioni in Utah, Texas, Indiana e Florida. L’ accordo si estenderà inoltre alle sei affiliate di Cbs che Sinclair ha in programma di acquistare come parte della transazione con TribuneMedia, che è ancora in attesa dell’ approvazione da parte degli enti regolatori. Secondo i termini del deal, Sinclair continuerà a collaborare con Cbs nella distribuzione di All Access, servizio in abbonamento di video-on-demand e live streaming di Cbs. Le due società si sono inoltre accordate sulla distribuzione delle stazioni Cbs di proprietà di Sinclair sul servizio streaming YouTubeTV. Il Tirreno con Toscana Economia. Esce domani con Il Tirreno il secondo numero di Toscana Economia, il nuovo inserto gratuito con cadenza mensile realizzato dal quotidiano di Livorno. Questo mese il focus è dedicato alla Toscana di charme: ai luoghi più belli e alle strutture alberghiere di maggior fascino, ai complessi termali e ai centri del wellness che attirano un turismo internazionale su cui si costruisce una parte consistente del pil della regione.

Auditel, comScore per la tv online

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ Auditel ha scelto il partner per la rilevazione dell’ audience televisiva online, quella delle trasmissioni viste attraverso tv connesse, smartphone e tablet o altri dispositivi. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi si tratta di comScore, la società americana attiva ormai da diversi anni in Italia nella rilevazione di Internet. Il contratto non è stato ancora siglato, ma Auditel ha chiesto a comScore di affinare la proposta economica, che generalmente significa accordarsi per uno sconto sulla fornitura, più alcuni chiarimenti. Si parla del livello di servizio, questioni come i tempi di fornitura dei dati o della presenza dell’ archivio storico e altri chiarimenti che dovrebbero riguardare anche l’ utilizzo dei big data. I tempi non dovrebbero essere lunghi, le risposte sono attese entro qualche settimana ma c’ è tutto l’ interesse a cominciare a mettere a punto il sistema nel più breve tempo possibile perché i primi dati dovranno arrivare a luglio del 2018. comScore batte così il concorrente Nielsen, che comunque detiene la fornitura della rilevazione degli ascolti principale, quella realizzata finora. La nuova sarà un’ appendice da aggiungere per completare il quadro, oggi che la visione dei contenuti televisivi non si ha unicamente davanti al piccolo schermo. Oltre a Nielsen e a comScore nell’ aprile dell’ anno scorso erano state chiamate a proporre la propria soluzione anche Gfk e Kantar. Di fatto comScore (rappresentata in Italia dalla Sensemakers guidata da Fabrizio Angelini), in principio specializzata sulla rilevazione di internet, sta puntando molto anche a espandersi su quella televisiva mettendosi in competizione con Nielsen a partire dagli Stati Uniti dove ha acquisito l’ anno scorso la Rentrak, che ha portato in dote la sua capacità di contare gli spettatori della tv on demand, dei set top box, fino ad arrivare a quelli del cinema. Di quali dati si parla. Il nuovo tassello che si aggiungerà ai dati Auditel riguarda i contenuti televisivi fruiti attraverso la rete. Non tutto l’ universo, però, perché bisogna ricordare che servirà per completare l’ audience degli editori televisivi e quindi sarà in quest’ ottica. Se DiMartedì di La7 viene visto in streaming live oppure on demand qualche giorno dopo su un dispositivo connesso, quella visione sarà conteggiata alla pari di quella fatta davanti alla tv. Purché, comunque, si fruisca entro un determinato tempo, che dovrebbero essere sette giorni, lo stesso termine posto come limite per le rilevazioni delle trasmissioni registrate o viste on demand oggi (per esempio con il MySky). Restano salve le metriche Auditel attuali, col minuto medio, i contatti eccetera e quindi restano fuori gli over the top puri, da Tim Vision in poi. La logica è quella dei broadcaster ed è probabilmente anche per questo che non si è arrivati a una condivisione del lavoro con Audiweb. Pronto il superpanel. Per fare questo lavoro sarà fondamentale il superpanel a cui il cda dell’ Auditel presieduto da Andrea Imperiali di Francavilla ha dato il via libera. In una nota diffusa ieri si spiega che da una parte già nel 2016 è stato sostituito il campione base di 5.700 famiglie (dopo il problema della diffusione delle mail con i nomi dei partecipanti in chiaro) e che sono state selezionate altre 10.400 famiglie e dotate di set meter. In tutto 16.100 famiglie, praticamente triplicate, per circa 41 mila individui. Questo superpanel permetterà in primo luogo di migliorare la rilevazione degli ascolti tradizionali già con i dati che saranno diffusi a partire da fine luglio. Soprattutto i canali con un basso numero di telespettatori potranno essere rilevati meglio e ci sarà una maggiore precisione anche nell’ individuazione dei canali visti grazie a una migliore analisi dell’ audio, lo strumento attraverso il quale il meter capisce cosa si vede. La fetta aggiuntiva di 10,4 mila famiglie, però, sarà fondamentale anche per avviare la rilevazione in capo a comScore, grazie a meter in grado di rilevare anche gli ascolti online che si aggiungeranno agli altri strumenti a disposizione della società. © Riproduzione riservata.

La classifica e trend dei quotidiani più diffusi (carta+web) ad aprile. Tutti segni negativi tranne Tuttosport (+9%). Invariate le posizioni – INFOGRAFICA

Prima Comunicazione

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La classifica dei quotidiani a aprile 2017 (.xls) per diffusione carta+digitale elaborata da Primaonline.it su dati Ads . La classifica è realizzata comparando il dato appena diffuso da Ads con quello del mese precedente per permettere un confronto omogeneo visto che, a causa della questione ‘copie multiple digitali’, un paragone anno su anno non è ancora proponibile. Ads ha fatto sapere che i primi dati sulla diffusione digitale prodotti con il nuovo regolamento saranno quelli relativi alle stime di maggio 2017 che verranno pubblicati a luglio. – Leggi o scarica le tabelle con dati Ads di diffusione della stampa di quotidiani e settimanali ad aprile e dei mensili a marzo Ads – Accertamenti Diffusione Stampa è la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa quotidiana e periodica di qualunque specie pubblicata in Italia. – Leggi o scarica le tabelle con dati Ads di diffusione della stampa di quotidiani e settimanali ad aprile e dei mensili a marzo.

Champions, Sky in pole nella gara con Mediaset Assenti Rai e Discovery

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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Archiviata (per il momento) la saga dei diritti delle partite di Serie A, ecco irrompere la Champions League. Ieri alle 10 è scaduto il termine per presentare – per via telematica – le offerte per trasmettere in tv le partite delle stagioni 2018-2012 di quella che una volta era la Coppa dei Campioni. Alla Uefa, che gestisce l’ asta, le bocche sono cucite. Se non si andrà ai supplementari (con richieste di approfondimenti o di rilanci), il verdetto potrebbe giungere tra oggi e domani. Per ora ci sono solo voci, in particolare relative a un’ offerta particolarmente generosa. Secondo alcuni sarebbe quella di Sky, in pole position dopo tre anni di digiuno imposti da Mediaset. Anche Cologno Monzese – che all’ ultimo giro si aggiudicò il torneo per quasi 650 milioni – avrebbe presentato un’ offerta in linea con il nuovo corso «opportunistico» impresso da Pier Silvio Berlusconi sul pallone, ma secondo qualcuno comunque competitiva. Per partecipare all’ asta bisognava già indicare i canali di trasmissione: per questo per molti sarebbe una sorpresa vedere un’ offerta targata Vivendi, visto che Tim – l’ unica piattaforma distributiva dei francesi in Italia, almeno finché non troveranno un nuovo accordo con Mediaset – è fuori dalla partita. Nello stesso tempo risulta che Discovery non avrebbe presentato alcuna proposta, così come sarebbe assente la Rai. Chi vincerà (si parla di un impegno da almeno 600 milioni) non pagherà tutto insieme ma scaglionato per stagione. Il 20% della prima annualità dovrà essere versato entro i primi 10 giorni dalla data del contratto, il 30% entro il 31 luglio e il 50% entro il 31 gennaio 2019. Nei due anni successivi il pagamento sarà suddiviso per il 50% entro il 31 luglio, il resto entro il 31 gennaio dell’ anno seguente. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

L’ Uefa fa catenaccio sui diritti tv: segreti i nomi dei network in gara

Il Messaggero

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CHAMPIONS MILANO La Uefa mantiene l’ assoluto riserbo sulle candidature per le gare di Champions League del triennio 2018-2021. Il massimo organismo continentale ha deciso di non svelare i nomi dei broadcasters che aspirano a trasmettere la competizione europea sul territorio italiano (ieri è scaduto il termine per presentare le offerte). «La procedura è attualmente in corso e al momento non abbiamo alcun commento da fare», il comunicato della Uefa. Con Mediaset che si è defilato (con il suo canale digitale, Premium, ha l’ esclusiva fino al giugno 2018), ora è Sky Sport a essere in pole, ma è da settimane che si parla di un’ offerta al di sotto delle aspettative, vista appunto l’ assenza di rivali nell’ acquistare i diritti televisivi. Secondo indiscrezioni delle scorse settimane, l’ obiettivo della Rai è quello di acquisire l’ esclusiva delle gare in chiaro. Ma al momento la trattativa è in corso e la Uefa non ha nemmeno comunicato quando prenderà la decisione sulla vendita finale. Per quanto riguarda l’ Italia, la Lega serie A punta sull’ offerta internazionale in vista del bando per la vendita dei diritti televisivi all’ estero che sarà pubblicato a settembre. Invece, dopo il flop dell’ asta di sabato, per quanto riguarda la vendita nel Belpaese bisognerà aspettare ottobre o novembre, senza dimenticare che l’ alternativa resta il canale della Lega. La base d’ asta internazionale non è ancora stata decisa: l’ obiettivo è incassare 300 milioni di euro. Si pensa a una struttura spacchettata in base alle zone d’ utenza, culturali e linguistiche per andare incontro alle esigenze dei singoli operatori. Salvatore Riggio © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Caltagirone Editore vuole uscire dalla borsa e ieri il titolo ha superato il prezzo d’ offerta

Italia Oggi

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Prima l’ acquisto delle azioni sul mercato della Caltagirone Editore da parte di Chiara Finanziaria, la società veicolo creata lo scorso 15 maggio e controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone, poi il delisting della casa editrice fra gli altri del Messaggero e del Mattino di Napoli. Mantenere la società in Borsa con l’ attuale scarsità di liquidità dei mercati e l’ attuale corso delle azioni non consente di «esprimere il valore intrinseco della società». Tradotto, con scarso flottante e i titoli che non hanno spiccato il volo, restare quotati significa soltanto avere adempimenti in più rispetto alla normale amministrazione della casa editrice, meglio uscire. Il primo passo sarà quindi l’ offerta pubblica di acquisito su tutte le azioni tranne quelle detenute da Caltagirone (il 60,7%) tramite le società Gamma, Fgc finanziaria e Parted 1982, quelle dei famigliari (4,6%) e le azioni proprie (1,8%). L’ offerta è di un euro per azione, con un premio del 19% sugli 84 centesimi con cui il titolo ha chiuso giovedì. L’ esborso totale per il 32,7% del flottante sarà di quasi 40,9 milioni di euro. Già ieri in Borsa il titolo ha superato il prezzo dell’ offerta, grazie a un rally che ha portato a una crescita del 21,1% a 1,016 euro. Secondo passo sarà quello del delisting, dopo 17 anni di presenza in Borsa. Il perfezionamento dell’ offerta è però subordinato al raggiungimento di una partecipazione di almeno il 90% delle azioni dell’ editrice, in capo a Caltagirone o ai figli anche indirettamente: nel caso non si raggiunga questa soglia, l’ editore si riserva la decisione di rinunciare oppure di acquistare un quantitativo di azioni inferiore rispetto a quanto indicato. In vista di questo processo, alla comunicazione hanno fatto seguito le dimissioni di Francesco Gaetano Caltagirone dalla carica di presidente e consigliere, Azzurra Caltagirone dalla carica di vice presidente e consigliere, di Alessandro e Francesco Caltagirone dalla carica di consigliere. Già un anno e mezzo fa Caltagirone aveva fatto un delisting, quello della Vianini Lavori, la società attiva nell’ ingegneria civile e delle costruzioni quotata in Borsa dal 1986, anche in quel caso con una valutazione sull’ opportunità di restare nel mercato azionario.

Regolamento Ue: al via l’iniziativa del Garante privacy per le Pubbliche amministrazioni

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E’ partita, con il primo incontro dedicato alle Authority, l’iniziativa del Garante per la protezione dei dati personali rivolta alle pubbliche amministrazioni in vista dell’applicazione del Regolamento europeo sulla protezione dati, prevista dal 25 maggio 2018.

L’iniziativa del Garante nasce con l’intento di accompagnare il processo di adeguamento alle nuove norme dei soggetti pubblici e di fornire indicazioni utili, raccogliere le eventuali esigenze di chiarimento e le azioni messe già in atto, condividere gli approfondimenti svolti e le riflessioni eventualmente già maturate.

All’incontro con le Autorità indipendenti seguiranno, sempre nel mese di giugno, quello con le amministrazioni centrali e quello con gli enti territoriali.

Tra le priorità fissate dal Garante per l’applicazione del Regolamento, ci sono la designazione del Responsabile della protezione dei dati (RPD), l’istituzione del Registro delle attività di trattamento e la notifica delle violazioni dei dati personali, i cosiddetti data breach.

Il piano del Garante prevede anche un successivo ciclo di incontri, a partire dal mese di ottobre, nei quali il Garante fornirà indirizzi e assicurerà il supporto all’opera di implementazione del Regolamento, aiutando ad individuare le soluzioni più efficaci per una corretta transizione verso le nuove regole.

L’Autorità sta collaborando attivamente, in sinergia con le altre Autorità privacy europee, alla definizione di linee guida e contributi per facilitare l’applicazione del nuovo quadro regolatorio e delle importanti novità introdotte. Sul sito del Garante sono infatti già state pubblicate le Linee guida sul Responsabile della protezione dati (RPD) e sul diritto alla portabilità dei dati e una Guida all’applicazione del Regolamento Ue (www.garanteprivacy.it/regolamentoue). Il lavoro di supporto proseguirà nei prossimi mesi con l’elaborazione di ulteriori atti di indirizzo.

Facebook, idea notizie a pagamento. Si inizia a fine anno

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Per leggere le notizie bisognerà abbonarsi. Anche se l’articolo lo troviamo sulla nostra bacheca Facebook e non sul sito della testata giornalistica. Sarebbe questo, secondo alcune indiscrezioni riportate dal Wall Street Journal, il sistema a cui sta lavorando la piattaforma di Mark Zuckerberg per andare incontro alle sempre più insistenti richieste degli editori. Un «paywall» — per social network — che potrebbe entrare in vigore già da fine 2017 sull’app di Facebook. Il secondo step, nella manovra di avvicinamento al mondo del giornalismo che sta compiendo la società di Menlo Park, dopo le varie collaborazioni strette negli ultimi mesi per combattere il fenomeno delle «fake news».
“Stiamo lavorando con i nostri partner per comprendere i loro modelli di business ed esplorare strade che permettano loro di incanalare maggior valore da Facebook”, ha detto al WSJ un portavoce dell’azienda di Mark Zuckerberg. “Stiamo prendendoci il tempo che serve per comprendere in maniera approfondita i loro bisogni e i loro obiettivi”.

I grandi gruppi avevano spinto per l’implementazione di una soluzione di pagamento già prima del lancio degli Instant Articles, ma Facebook si era opposta per evitare di porre troppi ostacoli tra il clic dell’utente e il contenuto da leggere. Gli Instant Articles, attivi dal 2015, sono versioni degli articoli più leggere e ottimizzate per gli smartphone, ospitate dalla piattaforma e non dal sito del giornale. Vi si può accedere solo dall’app di Facebook e solo per contenuti specifici, selezionati a priori dagli editori.

Secondo gli esperti di settore, i pagamenti in-app per le notizie potrebbero aiutare soprattutto le pubblicazioni più piccole e regionali che ancora faticano a definire una strategia digitale di successo. Per Facebook sarebbe inoltre un modo per concorrere con Google (AMP) e Apple (News). Una delle principali critiche che i grandi gruppi muovono agli Instant Article di Facebook è che la quantità di pubblicità che si può inserire nelle versioni ottimizzate degli articoli non è sufficiente a garantire introiti adeguati. Di recente il social network ha allentato i termini del servizio e ha permesso agli editori di inserire negli Instant Article un modulo per l’iscrizione alle newsletter, ma non ha modificato nessuna impostazione sul numero e la tipologia degli annunci pubblicitari.

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