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Rassegna Stampa del 04/07/2017

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Indice Articoli

Famiglia Cristiana, tre giorni di sciopero L’ editore azzera gli accordi integrativi

Caltagirone, sfida dei piccoli soci: esposto in Consob

«Grande giornale» (l’ Unità al tempo di Ibio Paolucci)

Cinema, intesa Medusa-Vision

Accordo Medusa-Vision per la distribuzione di film

Famiglia Cristiana, sciopero e nuovo stato di crisi agitano le acque

In tv arriva il canale Cine Sony

Chessidice in viale dell’ Editoria

Presto in onda Tele-Facebook

Sul decoder Cibor I approdano 15 nazioni

«Noi siamo real news» La difesa a oltranza dei reporter della Cnn

Famiglia Cristiana, tre giorni di sciopero L’ editore azzera gli accordi integrativi

La Stampa
FABIO POLETTI
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Tre giorni di sciopero e non era mai successo. A Famiglia Cristiana tra la redazione e la proprietà è guerra totale. Il giornale delle Edizioni San Paolo naviga in acque difficili. L’ editore, con una decisione unilaterale, ha deciso di azzerare gli accordi integrativi, dal premio di produzione al premio per gli articoli online agli straordinari forfetizzati. I 34 giornalisti – 30 laici e 4 sacerdoti giornalisti – hanno picchiato il pugno sul tavolo ma i mal di pancia sono tanti. Luciano Scalettari che fa parte del comitato di redazione dice quello che pensano tutti: «Non siamo solo di fronte a una vertenza aziendale. Da credente non capisco come la proprietà possa muoversi in questo modo unilaterale dopo le parole di Francesco sul lavoro. Ci giochiamo anche la nostra credibilità». Le parole che citano tutti sono quelle del Papa agli operai dell’ Ilva di Genova lo scorso 26 maggio quando parlava della dignità del lavoro e dei «padroni»: «Il buon imprenditore è prima di tutto un lavoratore, non è uno speculatore». Don Rosario Uccellatore, direttore dell’ Apostolato e amministratore delegato dei Paolini nella parte dello «speculatore» non ci si ritrova: «Lo dico da sacerdote a un giornalista: cosa è meglio? Che la licenzi o che ci sediamo attorno a un tavolo per ragionare anche sui tuoi 10 privilegi?». La parola «privilegi» farebbe imbestialire chiunque in redazione. Don Rosario picchia duro sulla realtà: «Io non sono lo speculatore che vuole far soldi licenziando i giornalisti o tagliando i salari. O ci diamo una mano o da qui a un po’ crolla tutto». Il giornale viaggia sulle 200 mila copie. Una volta erano ben sopra il milione. I conti non sono nemmeno male: nel 2015 il passivo era di appena 50 mila euro, le previsioni del 2016 sono comunque non oltre il mezzo milione. Nel comunicato dell’ editore si fa riferimento alla nuova legge sui pensionamenti e sui prepensionamenti che limita gli ammortizzatori sociali per mettere i conti in ordine. I redattori che in questi anni hanno strapagato di persona con cassa integrazione e contratti di solidarietà, guardano al futuro: «Non stiamo difendendo dei privilegi. Stiamo difendendo un modello culturale cristiano e cattolico». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Caltagirone, sfida dei piccoli soci: esposto in Consob

Il Fatto Quotidiano
Carlo Di Foggia
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La strana operazione finanziaria che da qualche settimana coinvolge la Caltagirone editore finisce davanti alla Consob. Un gruppo di soci di minoranza ha infatti deciso di presentare un esposto all’ Autorità che vigila sulla Borsa e alla Borsa Italiana (che gestisce il mercato finanziario) denunciando il tentativo dell’ azionista di maggioranza, il gruppo Caltagirone, di voler espropriare i piccoli azionisti. Una mossa che prelude a una battaglia legale. Breve riassunto. Nelle scorse settimane il gruppo che fa capo all’ imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone ha annunciato l’ intenzione di togliere dal listino di Borsa la Caltagirone editore (23.400 soci) lanciando un’ Offerta pubblica d’ acquisto (Opa) sulla quota che ancora non controlla della società che edita diversi quotidiani, tra cui Il Messaggero. Caltagirone ne controlla il 65% e offre un euro per azione ai soci di minoranza. Un prezzo che valuta la società 125 milioni. Nel luglio del 2000 fu quotata a 18 euro per azione, con una capitalizzazione di Borsa di 2,25 miliardi. Operazione che portò 630 milioni di euro di liquidità. Per Caltagirone oggi vale un ventesimo, e gli investitori della prima ora hanno perso quasi l’ 80% dell’ investimento. Secondo diversi soci di minoranza il prezzo offerto da Caltagirone è troppo basso. E così alcuni di questi, come i londinesi di Credo Group e l’ italiana Banca Ifigest, capitanati dalla società inglese Archer street Capital limited – che in totale posseggono 5,5 milioni di azioni – hanno preso carta e penna e scritto al presidente della Consob Giuseppe Vegas chiedendogli di intervenire contro “il tentativo di espropriare legalmente gli azionisti di minoranza ad un prezzo altamente ingiusto che sottovaluta fortemente il valore fondamentale dellaCaltagironeEditore”. Il ragionamento è questo: la società ha in cassa liquidità per 134 milioni, che su un capitale di 125 milioni di azioni si traduce in un valore di 1,09 euro a titolo. Poi ci sono le attività finanziarie, come i 5,7 milioni di azioni delle Generali, che valgono circa 80 milioni (0,70 euro per azione) e terreni e immobili per 60 milioni (0,49 euro per azione). Tirate le somme: già siamo a un patrimonio “netto tangibile” di 277,3 milioni, quindi 2,25 euro per azione. Non è finita. C’ è infatti il business della società, cioè i quotidiani. Quelli editi dalla Caltagirone editore (Il Messaggero, Il Mattino, Corriere Adriatico, Quotidiano di Puglia, Leggo, Il Gazzettino ) valgono una quota del 22,9% del mercato. Secondo una valutazione recente, di cui dà conto il bilancio 2016, il segmento vale 250 milioni di euro. Secondo i soci, un prezzo di vendita di 100 milioni porterebbe a un valore di 0,82 euro per azione. Totale: 377 milioni di patrimonio tangibile, cioè 3,07 euro per azione. Vale la pena di notare – sottolineano i piccoli soci – che la stessa società nel bilancio 2016 parla di un patrimonio netto (capitale più riserve) di 472 milioni. E che il prezzo delle azioni in Borsa (0,74 euro al 31 dicembre) “risente delle deboli e volatili condizioni del mercato finanziario che differiscono significativamente da una valutazione basata sui fondamentali del gruppo”. Per i piccoli soci, insomma, il prezzo giusto sarebbe di 3,85 euro per azione. E per questo chiedono alla Consob di intervenire prima di approvare il prospetto informativo dell’ Opa “chiedendo e avviando con la massima urgenza una valutazione indipendente” della società. E qui scatta il secondo allarme. Nei giorni scorsi, il patron Caltagirone si è dimesso da presidente del cda, insieme alla figlia Azzurra (vice presidente) e i figli Francesco e Alessandro per lasciare spazio ai consiglieri indipendenti. L’ azionista di controllo ha dato mandato alla banca Leonardo di fornire al cda una valutazione congrua sul prezzo dell’ Opa. I consiglieri indipendenti hanno dato identico mandato al commercialista romano Enrico Laghi. Una scelta che per gli autori dell’ esposto “desta preoccupazione” per due motivi. Il primo è che Laghi è presidente del collegio sindacale di Acea, la multiutility del controllata dal Comune di Roma, ruolo in cui è stato nominato dalla Fincal Spa, società appartentente al gruppo Caltagirone. Il secondo è che il professionista romano e Banca Leonardo “sono stati gli stessi esperti indipendenti coinvolti nella precedente Opa sulla Vianini Lavori e nominati dalla Fgc Finanziaria (sempre del gruppo Caltagirone). Come ricordano i piccoli azionisti di Vianini, solo un anno dopo la deludente Opa di 6,80 euro e l’ addio alla Borsa è avvenuta una distribuzione speciale di dividendi di 7,30 euro ad azione agli azionisti”. La conclusione è lapidaria: “Il precedente scioccante mina la nostra fiducia () La trasparenza e il rispetto degli azionisti di minoranza sono la base stessa dei mercati di capitali funzionanti”. Se ne vedranno delle belle.

«Grande giornale» (l’ Unità al tempo di Ibio Paolucci)

Il Manifesto

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Se n’ è andato, a 91 anni, anche Ibio Paolucci, giornalista che ha contribuito a fare la storia dell’ Unità, soprattutto durante gli anni difficilissimi del terrorismo, di cui si occupò intensamente e rigorosamente, guadagnandosi anche due «condanne a morte» emesse da organizzazioni armate dell’ epoca. Quel tempo lo ha raccontato lui stesso nell’ ultimo libro che ha scritto, con un titolo volutamente polemico: «Quando l’ Unità era un grande giornale» (Melampo 2015). Il riferimento non era certo ai colleghi che in quel momento lavoravano nell’ ex «organo del Pci», ma alla sua linea e gestione schiacciata propagandisticamente sulla leadership di Renzi. Oggi approfitto di questa occasione e di questo spazio per dire anch’ io che è vergognoso l’ esito che il partito di Renzi ha determinato con la nuova chiusura della testata, con i suoi lavoratori lasciati senza stipendio e senza impiego, mentre nasce un altro foglio on-line col titolo “Democratica”. Tutta la solidarietà a loro, ma non posso fare a meno di pensare che quella storia è veramente finita, e che non aveva più senso immaginare un collegamento tra questo PD e un giornale che conserva la scritta «fondato da Antonio Gramsci». Di Ibio avevo incontrato le tracce, nelle parole e nella grande stima degli altri redattori, nella redazione genovese dell’ Unità, dove si era occupato di cultura nel dopoguerra. Poco più tardi l’ ho conosciuto personalmente. Non sempre ero d’ accordo col taglio di alcuni suoi pezzi, e della «linea» generale del giornale sulla crisi in cui era emerso il fenomeno terrorista. Mi sembrava che non si facessero tutte le necessarie distinzioni tra chi aveva imboccato la strada della lotta armata, e una vasta area di dissenso estremistico e di contestazione, soprattutto giovanile. Che non si cogliessero pienamente le ragioni di quel profondo disagio sociale. Forse sbagliavo. Ma a maggior ragione voglio ricordare le passioni di un confronto aperto, allora possibile anche in una fase in cui sull'”applicazione della linea” non si scherzava. Si aveva la sensazione di imparare molto. Umanamente e professionalmente. Paolucci era un uomo che al rigore politico e professionale univa una ricca sensibilità e cultura, amava moltissimo l’ arte e la musica. E le conosce va molto bene. Ho saputo da altri colleghi che a Milano avevano mantenuto stretti contatti con lui – Dario Venegoni, Oreste Pivetta, Beppe Ceretti, Paola Rizzi – che è mancato pochi giorni dopo la scomparsa della moglie Gabriella, con cui viveva «in una casa piena di gatti e di libri, sempre avvolta nella musica». Sono parole lette nel ricordo che ne ha fatto su facebook Dario Venegoni, che ha tratteggiato una biografia fatta di lavoro operaio a Sestri Ponente, dove si era trasferito ragazzo con la famiglia da Castiglione della Pescaia, degli scioperi contro il fascismo, dell’ arresto e della deportazione in un campo di lavoro forzato in Po lonia. E poi di una intensa attività nel mondo della cultura con il Pci a Genova, e la carriera giornalistica all’ Unità, dove a Milano fu anche a lungo responsabile della sezione del partito che riuniva giornalisti e poligrafici. Ricordare e capire di che cosa si è trattato mi sembra importante, non solo per chi ha vissuto quella stagione. Ho letto nuove sciocchezze sul valore negativo della «nostalgia». Non si tratta, credo, di rimpiangere nulla. Se non l’ assenza di persone care. Ma conoscere bene le radici della propria storia mi sembra indispensabile per tentare davvero qualcosa di nuovo e di meglio.

Cinema, intesa Medusa-Vision

Il Sole 24 Ore

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Il mondo Sky e quello Mediaset trovano un punto di incontro nella distribuzione cinematografica dei propri listini. È stata infatti annunciata la partnership commerciale fra Medusa (Mediaset) e Vision Distribution, società creata da Sky Italia e cinque case di produzione italiane: Cattleya, Wildside, Lucisano Group, Palomar e Indiana Production. «La partnership – si legge in una nota – prevede la condivisione tra le due aziende della stessa rete commerciale Theatrical, mentre entrambe le società manterranno piena autonomia riguardo alla propria linea up editoriale, le attività di marketing e di gli accordi commerciali». (A. Bio.) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Accordo Medusa-Vision per la distribuzione di film

Italia Oggi

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Prove tecniche di intesa tra Mediaset e Sky: potrebbe essere interpretato così l’ accordo siglato da Medusa Film (gruppo Mediaset) e Vision Distribution, la nuova società di distribuzione cinematografica nata sulla base di un progetto di Sky Italia e di cinque case di produzione italiane (Cattleya, Indiana, Lucisano Media Group, Palomar, Wildside). La partnership prevede la condivisione tra le due aziende della stessa rete commerciale Theatrical mentre entrambe le società manterranno piena autonomia per quanto riguarda la propria linea editoriale, le attività di marketing e gli accordi commerciali. In un momento di forti cambiamenti dei modelli produttivi e distributivi, questa alleanza, fanno sapere da Medusa, «vuole rappresentare una soluzione in grado di valorizzare e rendere sempre più protagonista del mercato il cinema italiano, producendo importanti benefici per tutto il comparto industriale e produttivo nazionale e rafforzando la sua competitività nei confronti della cinematografia internazionale». Per Andrea Scrosati, presidente di Vision, «questa è una fase dove il cinema italiano ha bisogno di alleanze e di partnership. Sono orgoglioso che il primo atto concreto di Vision vada proprio in questa direzione». «L’ alleanza con Medusa rafforza e accelera il nostro ingresso nel mercato. Vision crede nella collaborazione tra operatori per aumentare il perimetro dell’ industria cinematografica e questo accordo segna una direzione di crescita strutturata per il cinema italiano», ha aggiunto l’ a.d. di Vision Nicola Maccanico. Secondo Carlo Rossella, presidente di Medusa, «questo accordo tra due grandi società come Vision e Medusa valorizzerà ancora di più il cinema italiano; lavorare insieme nella stesa direzione ci renderà più forti». «Siamo felici della partnership con Vision per la distribuzione theatrical dei loro film nelle sale italiane», ha concluso l’ a.d. di Medusa Giampaolo Letta. «Il listino Vision potenzierà ulteriormente la nostra presenza sul mercato, consentendoci di consolidare il rapporto con gli esercenti e dare una maggiore offerta al pubblico del cinema in Italia».

Famiglia Cristiana, sciopero e nuovo stato di crisi agitano le acque

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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È terminato ieri lo sciopero di tre giorni per i giornalisti del gruppo editoriale Periodici San Paolo, quello di Famiglia Cristiana. Ma si preannunciano altri giorni di passione in via Giotto a Milano visto che, dopo la disdetta del contratto collettivo aziendale (quello che comprende tra l’ altro la gestione degli straordinari, degli incentivi ed è stato alla base dello sciopero), si va verso la fine dell’ attuale stato di crisi a gennaio 2018. Le nuove trattative potrebbero ripartire fin dall’ inizio del prossimo autunno. Intanto, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, in uscita dal gruppo ci sono gli ultimi due manager laici dell’ editrice che fa capo alla famiglia religiosa dei Paolini. Si tratta di Andrea Carbini, responsabile della diffusione, e il publisher Marco Basile. Già la settimana scorsa, comunque, non sono mancate le novità con la presentazione del nuovo piano editoriale per Famiglia Cristiana da parte del direttore don Antonio Rizzolo, a poco tempo di distanza dall’ annuncio della disdetta del contratto collettivo aziendale. Rizzolo ha sostituito a novembre 2016 don Antonio Sciortino, da 17 anni a capo del settimanale (testata di punta dei Periodici). Successore interno che conosceva il gruppo editoriale e la macchina redazionale del magazine, Rizzolo ha rappresentato una garanzia di continuità rispetto al periodo di Sciortino, che però in questi anni ha interpretato soprattutto gli orientamenti meno conservatori della congregazione e quelli più vicini a Papa Francesco. Adesso, proprio in virtù di questa continuità, è probabile che non arrivino significative novità editoriali per Famiglia Cristiana. La testata continuerà nel solco tracciato come settimanale per famiglie, con una parte riservata al target femminile (importante sia come decisore di acquisto del giornale sia da un punto di vista pubblicitario). Anche per il 2016, infine, le stime sulla chiusura del bilancio prevedono un rosso per i Periodici della Famiglia Paolina, che controlla anche l’ omonima editrice di libri e l’ emittente tv Telenova.

In tv arriva il canale Cine Sony

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Come anticipato da ItaliaOggi del 14 aprile scorso, il gruppo Sony pictures television networks apre in Italia anche un canale in chiaro dedicato al cinema, all’ lcn 55 del digitale terrestre. Si chiamerà Cine Sony e, dal prossimo 7 settembre, andrà ad affiancare il canale kids Pop, partito lo scorso 4 maggio sempre in chiaro sul dtt. La tv free, in effetti, sta diventando un terreno di scontro mica da ridere qui in Italia: a prescindere dai nuovi assetti del comparto generalista, con Sky (Tv8) e Discovery (Nove) che cercano di insinuarsi nel castelletto da decenni presidiato da Rai-Mediaset-La7, la battaglia si sta spostando pure sui canali tematici in chiaro. C’ è Mediaset, che in primavera ha rilevato l’ lcn 20 (investendo 15 milioni di euro, nei quali sono compresi anche gli lcn 120 e 520) da Rete Capri, e che sta lavorando al lancio di un nuovo canale. Il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi, in quella zona di lcn, ha bisogno di presidiare il target più giovane e un po’ più maschile, con un prodotto costruito con contenuti pregiati e che sappia valorizzare l’ immensa library di film e serie a disposizione del Biscione, sfruttando al massimo gli accordi di esclusiva free e pay con major quali Warner e Universal, e pescando nel bacino di contenuti, disponibili pure per l’ emissione in chiaro, e per i quali erano già state chiuse intese per alimentare, in origine, soprattutto i canali della pay tv Mediaset Premium. Quindi film e serie con cui proverà a contrastare il successo di Rai 4, Rai Premium, Paramount channel e, da settembre, Cine Sony, su un target molto interessante dal punto di vista degli investitori pubblicitari. C’ è poi La7, che ha in mente progetti legati a un canale di sport (soprattutto parlato, poiché i diritti tv costano troppo), e pure Viacom, nelle cui stanze sono al lavoro per nuovi sbarchi sul free, dove il broadcaster è già presente con Paramount channel (lcn 27) e Vh1 (67). Il gruppo Scribbs è partito, dallo scorso 8 maggio, con Food network all’ lcn 33, affiancandolo a Fine living (49). E pure Fox Italia, un annetto fa, aveva annunciato di pensare a ipotesi di canali in chiaro. Intanto, un colosso come Sony investe molto sul comparto televisivo free tricolore. E dopo aver spento in marzo i suoi due canali Axn veicolati sulla piattaforma satellitare a pagamento di Sky, ha acquisito gli lcn 45 e 55 da Rete Capri (sborsando circa 10 milioni di euro). Il 4 maggio è partita Pop, all’ lcn 45 (al posto di Neko tv), per sfidare Boing e Cartoonito editi da Mediaset e Turner, K2 e Frisbee editi da Discovery, Super! di De Agostini, e poi Rai Gulp e Rai Yo Yo. E, come detto, il 7 settembre all’ lcn 55 arriva Cine Sony (al posto di Capri Gourmet), che «beneficerà del ricco patrimonio cinematografico di Sony Pictures (gli studios Columbia pictures, ad esempio, ndr), offrendo al pubblico italiano un mix composto da film, documentari, programmi di approfondimento e dietro le quinte del mondo del cinema». La raccolta pubblicitaria di Cine Sony, come quella di Pop, sarà gestita da Viacom international media networks pubblicità & brand solutions, che ha già un notevole know how sia nel segmento bimbi sia in quello cinema, mentre partner di Sony per la capacità trasmissiva sul digitale terrestre dei due canali sarà sempre Persidera. Le iniziative di Sony pictures television networks in Italia sono guidate dall’ operations/territory director Gabriele Moratti, mentre la executive vice president della divisione Western Europe International networks di Sony pictures television è Kate Marsh. L’ espansione in Italia, peraltro, fa seguito agli investimenti fatti nel Regno Unito nel comparto del free to air, dove Sony pictures television networks già detiene e gestisce il canale commerciale a target kids più importante per ascolti, e quelli di cinema al secondo e terzo posto della graduatoria sul territorio inglese. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Fossati direttore di La Cucina Italiana. Maddalena Fossati ha assunto la direzione del brand di Condé Nast La Cucina Italiana. La giornalista negli ultimi sette anni a Vanity Fair si è occupata di food in tutti gli ambiti, print, digital ed eventi. Radio, raccolta di maggio a +14,8%. Secondo i dati dell’ Osservatorio Fcp-Assoradio (Fcp-Federazione Concessionarie Pubblicità) a maggio 2017 il fatturato della pubblicità nazionale radiofonica è stata pari a 36.475.000 euro, in crescita del 14,8% rispetto allo stesso mese dell’ anno precedente. «A maggio il fatturato della emittenti monitorate dall’ Osservatorio Fcp-Assoradio fa segnare un sensibile incremento: +14,8% sul 2016 e +16,1% sul 2015», ha commentato il presidente di Fcp-Assoradio Fausto Amorese. «Si tratta della crescita più consistente da gennaio 2017, che porta il progressivo dei primi cinque mesi a +4,1%. Un dato sopra media rispetto all’ andamento del mercato pubblicitario in questa prima parte dell’ anno. Maggio è per la radio tra i mesi più importanti per fatturato, con un’ incidenza sul totale di circa il 10%. I numeri mostrano pertanto un mezzo che dal 2015 cresce costantemente consolidando la propria presenza nelle pianificazioni degli investitori». Vice Media Italia, La Selva direttore strategico e della comunicazione. Roberta La Selva passa in Vice Media Italia come direttore strategico e della comunicazione. Lascia Condé Nast Italia dove ricopriva la carica di senior vice president, responsabile dell’ hub creativo dell’ editore nonché direttore del business development. La Selva ha precedentemente lavorato in agenzie pubblicitarie, terminando questo percorso professionale come direttore generale di J. Walter Thompson Italia. In Vice Media Italia La Selva si occuperà prevalentemente della strategia per i brand partner nella struttura produttiva e creativa interna Virtue. La Confindustria francese riprende ItaliaOggi. Un articolo sul debito pubblico francese scritto da Giuseppe Corsentino, firma di punta di ItaliaOggi da Parigi, è stato ripreso da Cap’ IDF, la rivista del Medef, la Confindustria transalpina. Iap rafforza la tutela nella comunicazione digitale. L’ Istituto dell’ autodisciplina pubblicitaria (Iap) lancia la seconda edizione della Digital Chart, l’ iniziativa che si occupa specificatamente e diffusamente delle più diffuse forme di comunicazione commerciale digitale (l’ endorsement da parte di influencer e celebrity, la pubblicità native, i social network, i siti di content sharing, l’ in app advertising e l’ advergame) delineando le linee guida operative per l’ applicazione del codice di autodisciplina. La Digital Chart, che sarà periodicamente aggiornata per rispondere alle evoluzioni tecnologiche e di mercato, fissa per ciascuna tipologia di comunicazione le modalità da adottare per rendere esplicito ai consumatori il fine promozionale dei contenuti diffusi via web, dai social media ai siti di content sharing. Mondadori lancia Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica. Sarà in edicola da oggi Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica, il primo settimanale di enigmistica di Tv Sorrisi e Canzoni, diretto da Aldo Vitali. Il primo numero del nuovo magazine Mondadori sarà disponibile in regalo per i lettori di Tv Sorrisi e Canzoni, Telepiù e Guida Tv, con una tiratura complessiva di 1 milione di copie. Il secondo numero sarà in vendita autonomamente a partire da martedì 11 luglio al prezzo di lancio di 50 centesimi. Con una foliazione di 48 pagine a colori, in un formato pratico per l’ uso a casa e nel tempo libero, il giornale presenta ogni settimana 100 giochi: si va dai classici dell’ enigmistica come cruciverba di cultura generale, rebus, sudoku, incroci di parole, enigmi, passatempi e vignette umoristiche, fino ai nuovi giochi dedicati alla televisione, alla musica, al cinema: «Telequiz», «Le canzonissime» e «Ciak si gira». Triboo Media si dà al direct marketing. Triboo Media, digital company controllata dall’ omonimo gruppo, ha lanciato Triboo Direct, società esclusivamente focalizzata sulle strategie di direct marketing. Triboo Direct nasce come risultato dell’ acquisizione del 70% di Bee Adv, azienda specializzata in attività di digital direct marketing sia in Italia sia all’ estero. Il percorso di sviluppo di Triboo Direct sarà improntato alla costruzione di una rete di venditori locali che, inizialmente con le mail, successivamente con gli altri prodotti del gruppo, permetterà lo sviluppo del mercato locale italiano, hanno fatto sapere ieri da Triboo Media con una nota.

Presto in onda Tele-Facebook

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ ultima mossa è della scorsa settimana: Facebook ha siglato un accordo con Fox Sport per trasmettere negli Usa 12 partite della prossima Champions League, alcune delle quali in esclusiva. Non è il primo accordo con cui il social network di Mark Zuckerberg si aggiudica diritti sportivi: a febbraio è stata annunciata la partnership con Univision per la trasmissione di 46 partite della massima serie del campionato messicano, mentre a marzo è stata la volta del calcio americano con la Major League Soccer. Tutte queste mosse (che per ora interessano solo il mercato americano), e altre fatte in precedenza, rientrano nella strategia che Zuckerberg sta perseguendo con forza ultimamente: video first. Gli utenti di Internet hanno decretato il successo dei video online? Facebook deve diventare l’ approdo principe anche per questi contenuti perciò via alle partnership e alle produzioni di video, quelli lunghi e professionali, non solo quelli realizzati dagli utenti. Il discorso è il solito: Facebook per garantirsi di ottenere il massimo dai suoi utenti in termini di monetizzazione pubblicitaria deve trattenerli il più possibile, offrendo tutto quello che cercano: è stato così per i giornali e l’ informazione, è così anche per i video. È la competizione per il tempo delle persone, quella che in un mondo ricco di offerta di contenuti, molti dei quali gratuiti, è diventata fondamentale. Ma non è solo una questione di quantità. Puntare su video lunghi e non generati dagli utenti per Facebook significa sì poter inserire più pubblicità ma anche poter sviluppare formati di premium advertising da far pagare di più. Anche perché viene meno il pericolo di contenuti inappropriati più probabili nei video realizzati dagli utenti, il fenomeno che ha portato alcuni marchi a bloccare la propria pubblicità nel timore di essere associati a violenza o incitamento all’ odio. Chiaro che questa è una sfida con piattaforme online diverse come YouTube o Netflix ma anche con la tv tradizionale. Con tutti i distinguo del caso (e per ora sono molti), comunque si tratta di competere nella suddivisione dei budget pubblicitari. Per giunta c’ è da considerare che Facebook vuole proporre i suoi video anche nel salotto di casa: l’ app con i soli video per l’ Apple tv, Android tv e smart tv dovrebbero servire proprio a questo, ammesso che passi un utilizzo del social molto differente rispetto a quello usuale. In ogni caso la marcia è cominciata e così la volontà di mettere i bastoni fra le ruote a Twitter che pure aveva iniziato a trasmettere incontri sportivi nella sua piattaforma. Lo sport è il contenuto principe per Facebook: la finale di Champions fra Juve e Real Madrid è stata commentata da 34 milioni di utenti per 94 milioni di interazioni. E sarà proprio questo il fil rouge dei video su cui Facebook punta: soprattutto sport ma non solo purché si tratti di show sui quali si accende la condivisione degli utenti. Difficile quindi che si parli di film. Per sperimentare Zuckerberg non vuole spendere molto, niente produzioni milionarie come quelle di Netflix e quando si può revenue sharing sulla pubblicità con produttori e detentori dei diritti, un modo meno rischioso per sviluppare anche questo fronte. Nel caso della Champions, per esempio, già Fox trasmetteva alcune partite soltanto sulla propria piattaforma online (Fox Sports Go), ma ha deciso comunque di andare anche su Facebook sicuro di poter attrarre ancora più spettatori e quindi pubblicità. © Riproduzione riservata.

Sul decoder Cibor I approdano 15 nazioni

Il Tempo

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Quindici nazioni, tra cui Romania, Polonia, Grecia, Bulgaria, Austria, sbarcano sul decoder CIBOR-I prodotto dalla Italian televisioni network, una tv che ad oggi trasmette su 140 canali televisivi digitali terrestri e satellitari Sky in Italia e in Europa. Basta acquistare il decoder e godere di un collegamento Internet perché documentari e programmi televisivi che non trovano comunemente spazio nei canali tradizionali di distribuzione siano “traghettati” verso questa piattaforma di ultima generazione promossa in tutto il mon do con spot nelle TV anche di stato. Un modo veloce per permettere alla folta platea di immigrati nel nostro paese, di seguire un programma televisivo di una o più emittente che trasmette nella loro lingua madre. «La formula vincente- spiegano gli ideatori e Ceo (amministratore delegato) del gruppo, Roberto Onofri e Marco Matteoni – è quella di avere una squadra giovane e capace che lavora su questo prodotto h24 e che con i suoi sviluppatori Massimo Spaggiari e Marco Ricciuti ha trovato ilperfetto binomio di praticità ed innovazione». «Nel mondo spiega ancora Marco Matteoni – avere una punta di diamante come l’ ex patron del festival di Sanremo, Adriano Aragozzini, ci ha aperto contatti con le più grandi nazioni ad alta densità di italiani». Intanto giugno si chiude con oltre cinquecento decoder venduti e ordinativi che sono schizzati nella misura del 300 per cento dall’ inizio del progetto di Italian Television Network. Il nuovo decoder sulla scia di Sky, Mediaset Premium, Alice Telecom, dà la possibilità di far vedere su qualsiasi televisore e ovunque la programmazione di canali e delle tv che ospita sulla propria piattaforma: dalla musica, al cinema, ai viaggi, passando per la cucina, il made in Italy, e il super trendy Makeup Channel, canale dedicato esclusivamente al crescente fenomeno di Makeup Artist. CIBOR – I, che aprendosi a nuovi Paesi cambia nome in CIBOR-I WORLD TV BOX si istalla in un minuto tramite presa HDMI di una qualsiasi TV collegato ad un Wi-Fi, anche dal cellulare. Il decoder Cibor -I è prodotto dalla Italian televisioni network, tv che trasmette su 140 canali televisivi digitali terrestri e satellitari Sky in Italia e in Europa. Funziona con un collegamento internet.

«Noi siamo real news» La difesa a oltranza dei reporter della Cnn

Corriere della Sera
G. Sar.
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON La Cnn si barrica dietro quattro righe di comunicato ufficiale. «Non facciamo altri commenti, c’ è tutto nella nota ufficiale, a proposito ce l’ ha?» dice al telefono Bridget Leininger, responsabile delle pubbliche relazioni della tv di Atlanta. È in California, in vacanza per il 4 luglio, così come gli anchor e i reporter titolari. Nessuno di loro ha risposto alle mail: Jack Tapper, Wolf Blitzer, Dana Bash, Don Lemon e altri. Brien Stelter, il conduttore della trasmissione su media e politica Reliable sources , Fonti affidabili, si fa vivo con un laconico «Non posso, mi dispiace». Da due giorni l’ emittente continua a trasmettere il video postato con Donald Trump che finge di aggredire un uomo, durante un incontro di wrestling. Sul viso della persona investita dai pugni il logo della Cnn . La nota ufficiale parla di «comportamento infantile» e accusa «il presidente degli Stati Uniti di fomentare la violenza contro i reporter». Ieri a Washington i pochi giornalisti americani rimasti a presidiare il territorio erano convinti che Trump ce l’ avesse in particolare con Jim Acosta, il capo dei corrispondenti della Cnn alla Casa Bianca. Neanche Acosta ieri è stato raggiungibile. Ma il suo pensiero è su Twitter (320 mila follower). L’ account si apre con messaggio fisso: «Noi siamo real news Mr. President». L’ altro ieri ha commentato la clip di Trump con queste parole: «Promemoria: giusto pochi giorni fa la Casa Bianca aveva detto che il presidente non aveva mai promosso o incoraggiato la violenza». Il reporter è in costante polemica con i portavoce di Trump e qualche settimana fa aveva twittato: «Sarò fatto all’ antica, ma penso che il presidente debba avere la fibra per rispondere a tutte le domande». Un altro possibile bersaglio di Trump potrebbe essere Don Lemon, conduttore dell’ ultima fascia della giornata. Il presidente guarda la tv soprattutto la mattina presto e a tarda sera. News e talk show. Il 29 giugno, il giorno dell’ attacco del presidente alla giornalista Mika Brzezinski, Lemon ha iniziato la trasmissione guardando fisso in camera: «Il presidente si dovrebbe vergognare e chiedo ai repubblicani fino a quando sopporteranno cose di questo tipo. Che cosa stanno aspettando per prendere le distanze dal presidente?». I giornalisti politici, come Dana Bash o Jeff Zeleny, hanno preferito, invece, non esporsi direttamente, ma ritwittare critiche e commenti di altri, per esempio dei senatori repubblicani. Silenti i big: sull’ account Twitter di Anderson Cooper, 10 milioni di follower, l’ ultimo aggiornamento risale a venerdì 30 giugno ed è il promo di uno speciale sulla strage terroristica al club Pulse di Orlando, lo scorso anno. Cooper, Wolf Blitzer e gli altri se la cavano riproponendo il comunicato aziendale.


Privacy Shield: a settembre la prima revisione dell’accordo Usa-Ue

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Il Gruppo che riunisce le Autorità Garanti europee (WP 29) ha reso note le raccomandazioni indirizzate alla Commissione Ue in vista della prima revisione congiunta dell’Accordo “Privacy Shield” relativo al trasferimento dei dati dall’Unione agli Stati Uniti. L’Accordo sullo “scudo privacy”, adottato il 12 luglio 2016, si fonda su un sistema di autocertificazione in base al quale le organizzazioni statunitensi che intendono ricevere dati personali dall’Unione europea s’impegnano a rispettare un insieme di principi in materia di privacy fissati dal sistema medesimo. Lo “scudo” prevede un riesame periodico dell’accertamento di adeguatezza al fine di verificare che le constatazioni relative al livello di protezione assicurato dagli Stati Uniti nell’ambito dello Scudo continuino ad essere giustificate in fatto e in diritto. La prima revisione periodica dell’accordo del Privacy Shield è prevista per il prossimo settembre 2017 quando la Commissione europea incontrerà i rappresentanti delle organizzazioni statunitensi interessate, in primo luogo la Federal Trade Commission e il Dipartimento del Commercio e, per le questioni relative alla sicurezza nazionale, i rappresentanti dell’intelligence e il Mediatore (Ombudsperson) istituito dallo Scudo. Per garantire che le autorità statunitensi siano in grado di rispondere costruttivamente alle preoccupazioni riguardanti l’applicazione concreta dell’Accordo, il Gruppo dei Garanti Ue comunicherà alla Commissione le informazioni e i chiarimenti su cui, anche alla luce dei commenti e delle criticità già evidenziate nel parere del dell’aprile scorso,  concentrerà la sua attenzione. Per quanto riguarda la parte commerciale, alcune preoccupazioni erano state sollevate, ad esempio, sulle garanzie riguardo a decisioni automatizzate o in relazione all’assenza di indicazioni specifiche per l’applicazione dei principi del Privacy Shield da parte delle società che operano, quali responsabili del trattamento, per titolari stabiliti in Ue. Per quanto riguarda gli aspetti di law enforcement e sicurezza nazionale, il WP 29 chiederà garanzie  in merito al rispetto dei principi di necessità e proporzionalità nella eventuale raccolta massiva di dati personali,  nonché sulle nomine dei quattro membri del Privacy and Civil Liberties Oversight Board (agenzia indipendente che si occupa della tutela della privacy e delle libertà fondamentali nell’ambito delle attività governativa statunitense per la lotta al terrorismo), sulla nomina del Mediatore e sulle procedure che ne disciplinano il funzionamento.

Diffamazione, il tribunale di Roma rigetta la richiesta danni di Woodcock

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l tribunale di Roma ha rigettato la domanda di risarcimento presentata da magistrato John Henry Woodcock nella causa civile intentata nei confronti della giornalista e presidente di Fino a prova contraria Annalisa Chirico, di Mondadori e della casa editrice Rubbettino. Il magistrato aveva chiesto 260mila euro per i presunti danni subiti a causa di un’intervista su Panorama a firma della Chirico al politologo statunitense Edward Luttwak e di un testo contenuto nel libro “Condannati preventivi” relativo alle falle dell’inchiesta sulla presunta P4.

testo sentenza

Democratica e L’Unità: pacco, contro pacco e paccotto

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Il nuovo giornale del PD, “Democratica”, dimostra che il vecchio adagio ‘che a tutto c’è un limite’ è stato superato. Ci sta che un giornale di partito perda la propria funzione di strumento di comunicazione, soprattutto se il suo segretario preferisce mezzi alternativi di propaganda; ci stava un po’ di meno che i soci del giornale del più grande partito italiano fossero soggetti privati, con altri interessi; ma era strumentale al vezzo di sostenere che il giornale del partito non fruisce dei contributi pubblici all’editoria. Ci sta che chi disse che grazie a lui il giornale tornava in edicola grazie ad un progetto industriale al passo con i tempi; e ci può anche stare che quel progetto industriale nasceva da un importante taglio redazionale, favorito da prepensionamenti e altri ammortizzatori sociali – sempre soldi pubblici sono – ma chissà perché imbarazzano di meno, nonostante in concreto si è trattato di trasformare dei lavoratori in disoccupati; ci sta pure che chi decantò quel progetto industriale non ha detto niente quando nel momento stesso in cui i conti non sono tornati i soci hanno deciso di chiudere il giornale. Come Grillo dice di non essere il responsabile del suo blog, Renzi può dire di non essere responsabile dei destini dell’Unità.
Ci sta di meno, ma molto di meno, che quel giornale sia proprio l’Unità, una parte di storia non solo di un partito, ma del Paese. Ma non ci sta, proprio, non ci sta, non ci può stare, che il principale partito italiano mandi a mare un giornale, il suo giornale, con i dipendenti, i suoi dipendenti, per vantarsi di aprirne un altro a pochi giorni di distanza, sullo stesso sito. E’ un problema di educazione, di rispetto delle regole, non solo quelle civili, ma anche e soprattutto quelle morali.
Il lavoro è un valore, o no? E allora come è possibile che il direttore di Democratica è Andrea Romano, l’ex vicedirettore dell’Unità? Il conto di un progetto industriale fallito lo hanno pagato in parte i soci, in parte lo Stato, molto i dipendenti che hanno creduto nel progetto di Renzi. Ma non è possibile che mentre si presenta, in silenzio, con la mano destra il conto di un fallimento, con la mano sinistra si agiti il megafono per l’ennesimo annuncio di innovazione. Venghino, venghino, lor signori, piccolo spot pubblicità.
E in un assordante silenzio che mortifica il lavoro ed i giornalisti dell’Unità.
Enzo Ghionni

Rassegna Stampa del 05/07/2017

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Indice Articoli

Tempi brevi per i fondi a Tv e radio locali

L’ ultima del Pd: galera per i giornalisti «sgraditi»

«Libero» censurato per aver difeso i cattolici perseguitati

Fondi al “Riformista” e a “Libero”: chiesti 4 anni per Angelucci

Ai giornali di partito regalati 248 milioni Ma chiudono lo stesso Gli 80 euro sono finiti nelle tasche di benestanti e ricchi

Un nuovo manifesto culturale: «Fare rete tra tutti gli operatori»

La Cei e il Vaticano hanno una grana: «Famiglia Cristiana»

«System 24, tre mosse per tornare alla crescita»

RadioMediaset, non solo rock

Sapete quando si smette di essere giovani? La risposta è su 7

chessidice in viale dell’ editoria

Leggo.it rinnova l’ homepage versione pc

Alevi entra in Lucisano col 5,76%

Bbc si apre sui contenuti

Nasce ‘Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica’, il settimanale di enigmistica di Tv Sorrisi e Canzoni, diretto da Aldo Vitali

Mainetti e la Sorgente dei guai di Enasarco nel mirino della vigilanza

Tempi brevi per i fondi a Tv e radio locali

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Entro la pausa estiva contiamo di arrivare all’ approvazione del regolamento», aveva detto il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli a giugno durante il RadioTv Forum di Aeranti Corallo. A questo punto i presupposti, almeno sulla carta, ci sono, per arrivare all’ approvazione entro la pausa estiva del regolamento per l’ erogazione dei contributi alle emittenti locali. Il Consiglio di Stato ha dato infatti lunedì l’ ok allo schema di regolamento sui criteri di riparto «tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali», predisposto in attuazione della Legge di stabilità 2016. Lo schema di decreto – approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri a marzo – passa ora alle commissioni parlamentari competenti che hanno 30 giorni di tempo. A seguire il ritorno dello schema al Mise per poi passare all’ approvazione definitiva del Consiglio dei ministri. In ballo ci sono risorse che nel corso degli ultimi anni sono cresciute: si è passati dai 43 milioni stanziati nel 2015 ai circa 100 milioni del 2017 comprensivi dei 50 milioni di recupero dell’ evasione del canone destinati alle emittenti locali, come da Legge di stabilità 2016 e ribaditi dalla legge sull’ editoria (198/2016). L’ ok delConsiglio di Stato è arrivato comunque con osservazioni, rilevando innanzitutto come non sia sufficientemente chiaro se i contributi andranno a tutti i soggetti in possesso dei requisiti o solo ai primi della lista. Tra le atre cose è segnalata la necessità di evitare possibili duplicazioni nell’ assegnazione delle risorse. Le associazioni di categoria (Confindustria Radio Televisioni, Aeranti Corallo e la Alpi), a quanto risulta al Sole 24 Ore si starebbero intanto apprestando a segnalare al Mise osservazioni ritenute migliorative. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

L’ ultima del Pd: galera per i giornalisti «sgraditi»

Libero

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FOSCA BINCHER È diventata una delle bandiere della guerriglia politica, e se la danno in testa vicendevolmente soprattutto Pd e Movimento 5 stelle. Ognuno dei due non disdegna di impugnarla come una lancia verso la testata considerata ostile, e quel che sta avvenendo in Italia accade in proporzioni ancora più grandi negli Stati Uniti. Ora la rissa sulle fake news rischia di trasformarsi in qualcosa di assai più serio. Perché un deputato emiliano del Pd, Andrea De Maria, ha appena depositato a Montecitorio un insidiosissima proposta di legge per vietare proprio le fake news. Anche se di moda, il termine forse non è ancora noto a tutti. Noi in italiano lo potremmo tradurre in molti modi. Qualcuno più prosaico, come “balle” che appaiono assai spesso sui social network e di tanto in tanto anche sulla tradizionalissima e antichissima stampa. Qualcun altro più fantasioso, come “leggende metropolitane”, che sembrano più lievi: una vox populi che lentamente e tenacemente fa notizia, penetrando i media tradizionali. Letteralmente “fake news” si traduce con “notizie false”, e il termine è diventando di tendenza negli Stati Uniti prima con la campagna elettorale e poi con la presidenza di Donald Trump. C’ è chi dice che proprio grazie a notizie non esatte, inventate di sana pianta o comunque gonfiate a dismisura rispetto alla realtà, Trump ha conquistato la poltrona più importante negli Usa. Naturalmente lui accusa gli avversari e i media ostili della stesa nefandezza: spargerebbero “fake news” a mani basse per danneggiarlo. Già dirlo così fa capire come i confini di quelle verità false o mezze verità siano assai labili, e opinabili, perché ognuno li definisce a suo vantaggio. Ma anche in Italia ci si è stupidamente convinti che lì sia il fianco debole della politica, e che limitando o vietando le fake news ogni dichiarazione di questo o quell’ onorevole, di questo o quel capo politico, membro del governo, amministratore pubblico, brillerebbe nello splendore della sua verità certificata. Così il buon deputato Pd De Maria non contento dei guai già combinati caricando sui tribunali ogni regolazione di contesa, affida alla magistratura una caccia spietata ai diffusori di leggende metropolitane. Mettendo nelle mani dei pm un meraviglioso bazooka: “Chiunque pubblica o diffonde”, spiega il nuovo articolo 656 del codice penale rivisto dal Pd, “anche mediante l’ utilizzo della rete telefonica o attraverso strumenti telematici o informatici notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ ordine pubblico ovvero ad arrecare danno ingiusto alle persone, è punito- se il fatto non costituisce più grave reato- con la reclusione da tre mesi a cinque anni”. Quindi mano libera ai pm per intercettare telefonini, computer, social network (altrimenti come fanno a punire le notizie esagerate o tendenziose?). E un aggravante prevista: “la pena è aumentata se il fatto è commesso per fini di lucro, ovvero se le notizie riguardano atti di violenza a sfondo razziale, sessuale, o comunque di natura discriminatoria”. Si capisce la buona fede del giovane onorevole, ma chi mai diffonde notizie per fini di lucro? Giornali e giornalisti. Che secondo quel criterio potrebbero marcire tutti in galera per chissà quanto tempo, visto che non mancano i casi di esagerazione delle notizie nei titoli dei quotidiani, e che comunque tutto questo è assai opinabile (per me questa notizia è importante e la esagero, per un altro no e non meriterebbe manco un trafiletto). Anche se l’ arma potrebbe diventare a doppio taglio: perché non è mai mancato in politica chi la spara un tantino grossa, talmente grossa da distanziarsi e di molto dalla realtà. E chissà che l’ ingenuo De Maria con la sua proposta di legge non sia in futuro ricordato come l’ uomo che sterminò il Pd…

«Libero» censurato per aver difeso i cattolici perseguitati

Libero

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L’ Ordine dei giornalisti di nuovo all’ attacco di Libero. Dopo i procedimenti disciplinari nei confronti del direttore responsabile, Pietro Senaldi, e del collega Filippo Facci, il primo per il titolo su Virginia Raggi, il secondo per le proprie opinioni su l’ Islam, è toccato ad Andrea Morigi, finire nel mirino del Consiglio di disciplina. Al collega della redazione di Milano, esperto del mondo cattolico e di Islam, è stata confermata la sanzione dell’ avvertimento, essendo stato respinto il ricorso presentato a seguito dell’ apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti, relativamente all’ articolo apparso sul quotidiano fondato da Vittorio Feltri il 15 maggio del 2015, con il titolo «Piccoli talebani crescono a casa nostra». Il procedimento disciplianare puntava a «verificare se vi sia violazione delle norme deontologiche che presiedono alla professione di giornalista». Per il Consiglio di disciplina dell’ ordine, confermando l’ avvertimento, c’ è stata la violazione del Codice deontologico sul trattamento dei dati personali, «sotto il profilo razziale». Secondo il Consiglio di disciplina dell’ ordine dei giornalisti della Lombardia, nonostante «la notizia dell’ aggressione da parte di un bambino musulmano ad una compagna di scuola cattolica per strapparle il crocifisso di dosso» fosse stata pubblicata da diversi quotidiani e siti, il collega Morigi ne avrebbe fatto «un esempio lampante della impossibilità di una pacifica convivenza fra italiani e immigrati islamici». Non solo. L’ Ordine contesta al collega il fatto di non aver verificato «la notizia appresa dall’ agenzia». Nella memoria difensiva presentata dall’ avvocato Valentina Ramella è stata evidenziata «l’ assenza di qualsivoglia finalità discriminatoria», che «risiede nel fatto che nessuna contestazione è stata mossa nei confronti della ricostruzione operata dal Morigi con riferimento agli altri, numerosi, accadimenti citati». Anche perché l’ intento del giornalista era unicamente quello di suscitare un dibattito intorno al fenomeno di intolleranza verso la religione cattolica e questo è ravvisabile in molti passaggi del testo contestato». Tutto ciò, evidentemente, non è servito a far cambiare idea al Consiglio di disciplina dell’ ordine. Del resto che vi sia una sorta di opera di «controllo», con relative sanzioni, su Libero è un datto di fatto. Il direttore, Pietro Senaldi, è stato censurato dal Consiglio di disciplina dell’ Ordine dei giornalisti della Lombardia per il titolo («Patata bollente») comparso sul quotidiano lo scorso 10 febbraio, mentre Filippo Facci è stato sospeso per due mesi dalla professione e dallo stipendio. Tutto ciò a causa di un articolo pubblicato su Libero il 28 luglio 2016, dal ttolo «Perché l’ Islam mi sta sul gozzo». Le regole saranno pure regole, ma la libertà di stampa e d’ opinione rischiano d’ essere messe seriamente in discussione. ENRICO PAOLI riproduzione riservata.

Fondi al “Riformista” e a “Libero”: chiesti 4 anni per Angelucci

Il Fatto Quotidiano

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Tentata truffa e falso. Questi reati contestati dalla Procura di Roma al parlamentare di Forza Italia Antonio Angelucci per il quale è stata chiesta una condanna a 4 anni di carcere nell’ ambito di un processo legato ai contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani Libero e Il Riformista. Per gli altri due altri imputati, i rappresentanti legali delle sue società Editoriale Libero e Edizioni Riformiste, che editavano i quotidiani, Arnaldo Rossi e Roberto Crespi, il pubblico ministero Francesco Dall’ Olio ha sollecitato una condanna a 3 anni e sei mesi. Il pm al termine della requisitoria ha dichiarato prescritta l’ accusa di truffa consumata. Per questa vicenda, nel giugno del 2013, la Guardia di Finanza eseguì un sequestro preventivo di 20 milioni nei confronti delle due società. Secondo l’ impianto accusatorio le due società, nel 2006 e nel 2007, hanno dichiarato di appartenere a editori diversi per aggirare il divieto di richiedere contributi pubblici per più di una testata da parte dello stesso editore.

Ai giornali di partito regalati 248 milioni Ma chiudono lo stesso Gli 80 euro sono finiti nelle tasche di benestanti e ricchi

La Verità

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Ai giornali di partito regalati 248 milioni Ma chiudono lo stessoI giornali di partito negli ultimi 20 anni hanno intascato 248 milioni di soldi pubblici eppure molti sono falliti. L’ Unità si è mangiata 62,5 milioni, ma dallo scorso mese non esce più in edicola. Non hanno fatto meglio La Padania (38,5 milioni), Liberazione (31,9) o Europa (32,5). Sono solo tre i giornali sopravvissuti: tra questi il Secolo d’ Italia, che di milioni ne ha presi 28,2, e ora è disponibile solo online. Gli 80 euro sono finitinelle tasche di benestanti e ricchi Il bonus voluto da Matteo Renzi, rivela l’ Istat, è andato a rimpinguare le tasche delle fasce medio-alte anziché di quelle medio-basse. Dei 9,4 milioni di famiglie che ne hanno beneficiato 2,4 sono concentrate nella fascia dei benestanti, 1,6 in quella dei ricchi e solo 1,4 milioni nella fascia dei poveri. Un paradosso.

Un nuovo manifesto culturale: «Fare rete tra tutti gli operatori»

Il Mattino
FRANCESCO DURANTE
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Il Pd e tutti i risvolti partenopei stavolta non c’ entrano. Perché il presidente democrat Matteo Orfini ieri è a Napoli solo per discutere di temi culturali. Ovvero una tavola rotonda tra gli operatori alla ricerca di un nuovo manifesto di politica culturale. Prima di varcare però le sale della chiesa di Santa Maria Donnaregina Vecchia Orfini, accompagnato dal consigliere delegato alla Cultura regione Campania Sebastiano Maffettone e dal consigliere di Scabec Nicola Oddati, tiene visitare il museo Madre di Napoli. E qui si sofferma sulla collezione site-specific del museo con le opere di Bianchi, Clemente, Fabro, Koons, Kapoor, Paladino, Kounellis, Horn, Paolini, Serra, Long e Lewitt ed al secondo piano che ospita le opere la mostra retrospettiva di Roberto Cuoghi «Perla Pollina 1996-2016». «Il Madre è una vera eccellenza che merita di essere non solo visitata ma anche curata e sostenuta il più possibile perché di esempi come questo non ce ne sono tanti nel nostro paese», spiega il presidente democrat. In sala ad attenderlo i partecipanti della tavola rotonda con l’ obiettivo di costruire un nuovo discorso sulla cultura in cui il fare si trasformi in «azione reale, concreta ed urgente sia per lo sviluppo del territorio sia per sollecitare protagonisti sociali consapevoli in una città intesa come una vera e propria residenza culturale». Con l’ obiettivo di creare occupazione. «L’ industria culturale – spiega Oddati che è tra gli organizzatori – è quella su cui puntare. In Italia dà lavoro ad un milione di persone ma si potrebbe arrivare ad 1,5. Ma l’ obiettivo è puntare sul comparto con l’ idea di creare formazione e lavoro senza cercare solo il consenso a breve termine». «L’ ambizione – aggiunge il filosofo Massimo Adinolfi – è creare qualcosa di stabile e duraturo coinvolgendo tutti gli operatori culturali affinché facciano rete». In tutti i campi delle arti magari tornando alla metà degli anni 90 quando la città era un fermento di iniziative nate però dal basso. Dalla letteratura alle arti passando per il cinema di quella nouvelle vague napoletana che entusiasmò i critici. «In questo momento in città ci sono al lavoro ben 19 set al lavoro», ricorda Maffettone. Ma subito dopo Angelo Curti, leggendario produttore dei vari Martone, Capuano, Incerti e Corsicato di quella meravigliosa e irripetibile stagione aggiunge: «Quel nuovo cinema napoletano di cui si dibatteva non era però fatto solo di set ambientati qui ma prodotto interamente a Napoli. Per questo occorre creare un nuovo modello di fertilità». Sulla letteratura e sull’ editoria è invece il turno di Francesco Durante e Diego Guida. Il primo, organizzatore di «Salerno Letteratura», propone che «si faccia rete tra eventi e organizzatori in tutta la Campania» mentre il secondo (appena nominato presidente dei piccoli editori) racconta di come da mesi lavori come un matto per riportare a Napoli un salone del libro che manca dall’ arenamento di quella galassia Gutemberg che era un appuntamento di rilievo nazionale. «Ho fatto grandi giri – racconta Guida – per proporre l’ evento ma non ho visto, nei fatti, tanto entusiasmo. Poi con due gazebo in piazza sono riuscito a raccogliere ben 12mila firme per organizzare un salone a Napoli. E, per ora, il Comune ha offerto una quota della tassa di soggiorno e il complesso di San Domenico Maggiore». «Una discussione sulla cultura e sulle politiche pubbliche a suo sostegno deve essere orientata a rendere la cultura un asset strategico e produttivo. E prevedere sistemi di verifica puntuali e oggettivi sull’ efficacia delle scelte operate», ragiona invece Ciro cacciola, direttore del Mav di Ercolano, nel suo intervento. Orfini ascolta e prende appunti silenzioso. Poi, prima cita in maniera positiva il bonus cultura per i giovani varato dal governo Renzi, e chiude: «Occorre sostenere la domanda del mercato culturale ma la domanda di fondo è come creare un rapporto tra realtà urbane e creatività culturale». Specificando, infine: «una città come Napoli può e deve essere un luogo dove non solo si distribuisce cultura ma vi si produca anche». ad.pa. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La Cei e il Vaticano hanno una grana: «Famiglia Cristiana»

La Verità

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lorenzo bertocchiTre giorni di sciopero dei giornalisti che lavorano a Famiglia cristiana, Credere e Jesus, noti periodici delle Edizioni San Paolo. È stata una scelta forte, «una decisione molto grave» che non ha precedenti e che ha coinvolto il 100% del personale laico. Oggi alle 9.30 nuova assemblea di redazione.Hanno bloccato perfino gli aggiornamenti del sito web di Famiglia Cristiana. «Il sito è l’ unica piattaforma veramente in crescita, mentre le vendite delle riviste sono in calo costante da anni», dicono alla Verità alcune fonti che preferiscono restare anonime. I giornalisti della redazione non hanno gradito il merito e il metodo con cui l’ azienda ha comunicato la disdetta di tutti gli accordi di secondo livello, dal premio di produzione al premio per gli articoli online agli straordinari forfettizzati. Anche perché piove sul bagnato, visto che i 34 giornalisti coinvolti sono ormai al quarto anno di cassa integrazione; per gli impiegati non giornalisti si arriva a riduzioni dello stipendio che vanno dal 50 al 70%. «Con casi di persone», si legge nel secondo comunicato della redazione, «che sono state messe letteralmente su una strada». Quello che lamentano è soprattutto l’ atteggiamento «aggressivo» con cui i vertici dell’ azienda, l’ amministratore delegato è don Rosario Uccellatore, un sacerdote paolino, hanno comunicato le decisioni con scadenza al 31 dicembre 2017. Nel frattempo è stata proposta una trattativa a cui, però, i giornalisti non credono. I cronisti sono convinti di potersi mettere seduti al tavolo solo quando sarà tolta dallo stesso quella che ritengono essere «una pistola carica».Le cose non vanno bene in casa San Paolo, una realtà editoriale fondata dal beato Giacomo Alberione che credeva nei mezzi di comunicazione come «nuova frontiera» dell’ evangelizzazione. La crisi dell’ editoria è una realtà nota, ma l’ emorragia di copie di Famiglia Cristiana è comunque grave. Negli anni Sessanta sfondò per la prima volta il tetto del milione di copie stampate, nel 1992 tirava ancora oltre il milione di copie, ma già quando la direzione passò a don Antonio Sciortino nel 1999, le copie erano circa 750.000. Nel 2016, quando è entrato l’ attuale direttore don Antonio Rizzolo, il giornale viaggiava intorno alle 200.000 copie. In venticinque anni Famiglia Cristiana ha perso circa 800.000 copie.Gli ultimi bilanci non sono particolarmente brillanti. Dopo un consuntivo 2013 con un passivo di 12 milioni di euro, nel 2015 la perdita era di 50.000 euro e per il 2016 la previsione è di una perdita che non dovrebbe superare il mezzo milione di euro. Ufficialmente l’ editore non vuole chiudere testate, ma l’ impressione, come si dice, è che si vogliano fare le nozze con i fichi secchi. Quattro anni di cassa integrazione alle spalle e un futuro fatto di prepensionamenti e ancora cassa integrazione, più ridefinizione di tutti gli accordi di secondo livello. I giornalisti che si dicono preoccupati per la «serenità» loro e delle loro famiglie hanno qualche motivo valido per stare in guardia.Il direttore Rizzolo è vicino alla redazione, ma anche lui è un sacerdote paolino e come tale si trova in una situazione piuttosto delicata. «Da parte dell’ amministrazione c’ è poca progettualità», ecco il commento che emerge tra le pieghe della faccenda. In effetti le ultime dichiarazioni dell’ amministratore delegato Uccellatore, che ha parlato di «privilegi» dei giornalisti, non hanno migliorato molto il clima. Peraltro lo stesso amministratore ha già ridotto di oltre la metà il numero dei dipendenti di San Paolo libri e la situazione nei vari rami del gruppo editoriale non è proprio delle migliori. Ad esempio c’ è il caso eclatante di Telenova, l’ emittente televisiva milanese affiliata al gruppo San Paolo, in cui sono andati in onda licenziamenti collettivi e i pochi rimasti sono letteralmente sul lastrico.Sembra dunque scricchiolare paurosamente un impero editoriale importante. Quando don Alberione fondò Famiglia Cristiana, la rivista era il punto di riferimento soprattutto del mondo rurale cattolico del Settentrione. Quel mondo in buona parte è stato perso. Famiglia Cristiana lo si trovava nel banco della «buona stampa» in fondo alle chiese, te lo portavano a casa ragazzi di buone speranze, te lo regalavano i parroci quando ci si sposava. Poi venne la stagione della Famiglia Cristiana politicamente impegnata, con uno sguardo aperto a sinistra, soprattutto con la direzione di don Leonardo Zega, dal 1980 al 1998, quindi, dopo una parentesi dovuta al «commissariamento» dei paolini, con quella di don Alberto Sciortino fino al 2016. La stagione del cardinale Camillo Ruini presidente Cei segnò una svolta nei rapporti tra chiesa italiana e Famiglia Cristiana, il cardinale non nascose le sue perplessità rispetto alla linea politicamente schierata a sinistra.Oggi la crisi in atto nel gruppo San Paolo potrebbe anche ribaltarsi sul tavolo della Cei e del Vaticano, con cui pure non esistono legami aziendali formali. Ed è una grana che né il Vaticano né la Cei vorrebbero.

«System 24, tre mosse per tornare alla crescita»

Il Sole 24 Ore
R.I.T.
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milano La strada per il ritorno alla crescita di System 24, la concessionaria pubblicitaria del Gruppo 24 Ore, passa attraverso tre mosse: «L’ adeguamento dei prodotti core business ai mutati scenari di mercato, la crescita del perimetro con l’ acquisizione di nuove concessioni, la focalizzazione sui target che funzionano». A parlare è Massimo Colombo, direttore generale commerciale del Gruppo 24 Ore che, a poco più di un mese dal suo insediamento, mette a fuoco le strategie di rilancio. Partendo dai “fondamentali”: «Il sistema Sole – spiega – ha tre pilastri che sono il quotidiano, Radio 24 e l’ online. La prima sfida che ci poniamo è adeguare questi prodotti core a uno scenario di mercato in continua evoluzione». In questo senso, il Gruppo 24 Ore ha commissionato una ricerca a Gfk con lo scopo di raccogliere feedback dal pubblico di riferimento su come riorganizzare l’ offerta. «Temi quali il formato del quotidiano – dice Colombo – ma anche l’ accesso ai contenuti del sito o la valorizzazione della radio che rappresenta un formidabile strumento di intrattenimento economico, qualcosa di unico nel suo genere, vanno declinati nel massimo rispetto della platea con la quale ci confrontiamo». Il sistema Sole raggiunge giornalmente quasi 3 milioni di individui con il quotidiano, mentre radio e sito web del gruppo arrivano a più di 15 milioni di utenti al mese. «Aspetto da non trascurare – dice Colombo – è il fatto che il Sole 24 Ore ha un tasso di penetrazione del 71% presso la business community di riferimento». Meglio di quanto nei loro Paesi facciano giornali di taglio analogo come Les Echos (55%), Expansion (51%), Handelsblatt (39%) o addirittura il Financial Times (23%). Per quanto riguarda la diffusione del quotidiano, Colombo ha annunciato che il Gruppo 24 Ore non ha comunicato ad Ads le copie digitali multiple di maggio 2017: il dato che dovrebbe essere pubblicato entro il mese «sarà zero». Ora si lavora al recepimento del nuovo regolamento. «Alla luce delle regole Ads – ha sottolineato Colombo – è necessario recuperare il dato della “adoption” delle copie digitali multiple, ossia il loro reale utilizzo. Un’ operazione complessa che comporta un confronto con i clienti a volte, anche per problemi di privacy, non pronti a fornire i riferimenti delle persone che utilizzano le copie da loro acquistate. Non è facile per noi e presumo non lo sarà neanche per gli altri gruppi editoriali. Da parte nostra, comunque, nessun tono polemico nei confronti di Ads ma la massima volontà a collaborare». Con il vecchio regolamento di Ads, in ogni caso, il Sole «oggi conterebbe 60mila copie multiple digitali». La concessionaria del gruppo punta intanto ad allargare il proprio portafoglio: «Al momento – ha sottolineato il dg – la nostra offerta spazia dai prodotti del sistema Sole a quotidiani come Libero e Osservatore Romano, magazine come 11 e Studio, prodotti digital come i siti di Lei e Famiglia Cristiana, solo per citarne alcuni, passando anche l’ area Cultura ed Eventi del gruppo e i giornali internazionali (come Financial Times e Washington Post, ndr) per i quali presidiamo il mercato italiano. L’ obiettivo, – dice Colombo – in un contesto che va verso le concentrazioni, è di fare massa critica». Radio e web, ha rimarcato il dg, offrono grandi potenzialità di sviluppo. Terzo punto importante, per Colombo, è la «focalizzazione sui target che funzionano: il sistema Sole, per esempio, ha il filone dei professionisti per il quale il quotidiano ma anche i prodotti di approfondimento sono veri e propri strumenti di lavoro, così come il filone del lusso che gode di un notevole seguito. Si lavora per comprendere al meglio come sviluppare questi settori». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

RadioMediaset, non solo rock

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il 12 luglio Virgin Radio compie dieci anni. Nata da una intuizione geniale di Alberto Hazan, ora l’ emittente fa parte del gruppo RadioMediaset, ovvero il braccio armato del Biscione in fm. Un comparto, quello della radio, sempre più strategico nelle logiche di Cologno Monzese, soprattutto tenendo conto del fatto che la raccolta pubblicitaria complessiva del mezzo in Italia è in salute (+4,1% nei primi cinque mesi del 2017, +14,8% in maggio). Per questo il polo con tre network nazionali, a breve, potrebbe essere consolidato con nuove acquisizioni. Al momento c’ è infatti 105 che gioca per le posizioni di vertice nella classifica degli ascolti; c’ è Virgin Radio, con il suo style rock a quota 2,5 milioni di ascoltatori nel giorno medio e una programmazione dove la musica italiana è sotto al 5%; e infine R101, anch’ essa con musica molto internazionale e poco tricolore. RadioMediaset, allora, potrebbe crescere proprio nel bacino della musica italiana. Non può farlo, per legge, attraverso acquisizioni di network nazionali. E allora la strategia del Biscione è quella di consolidarsi attraverso una serie di acquisizioni di importanti radio macroregionali, senza snaturarle, smontarle o cambiare loro il nome, ma provando a inserirle in un sistema e puntando decisamente sulla musica italiana. Radio Subasio potrebbe essere uno degli obiettivi, ma non il solo. Il tutto entro il 2020, quando poi per RadioMediaset non sarà proprio più possibile crescere facendo shopping in Italia. A governare il mondo radiofonico di Mediaset c’ è l’ amministratore Paolo Salvaderi, che parla a ItaliaOggi reduce da una nottata di festa con i Coldplay dopo il concerto a San Siro, Milano. Domanda. Il 12 luglio del 2007, alle ore 12, iniziò la storia di Virgin Radio con un disco dei Ramones. Una radio nata su iniziativa di Alberto Hazan, che ebbe grandi intuizioni e seppe mostrare come realizzare una nuova emittente, l’ ultima nata ad avere grande successo, sulle ceneri della fallimentare esperienza di Play Radio targata Rcs. Perché Virgin funzionò sin da subito? Risposta. Alberto Hazan, da grande editore, è stato capace di vedere le cose prima degli altri, prima delle ricerche di mercato. Virgin è un progetto nato tutto nella sua testa, e poi Hazan ha avuto anche il guizzo di non partire con un marchio nuovo e sconosciuto, ma di utilizzare il brand Virgin, proponendo una formula di style rock molto larga, e all’ interno della quale riuscì a infilarci tanti generi. È un format senza eguali a livello internazionale, con un pubblico molto segmentato, ma non di nicchia. Di nicchia era quello di Rock Fm, che aveva 60 mila ascoltatori. D. E adesso come sta cambiando Virgin Radio? R. Quando è partita non aveva conduzione, non aveva programmi. Ora, invece, io punto molto sui programmi e sulla conduzione, per fidelizzare di più il pubblico, aumentare la permanenza e quindi gli ascolti. C’ è ovviamente Ringo, che fu il primo ad andare in onda e che preserva lo spirito iniziale anche in qualità di direttore creativo di Virgin Radio. Poi abbiamo rilanciato il morning show, ci sono Beppe Severgnini, il programma di Paola Maugeri, e, ancora, Andrea Rock e Giulia Salvi. In rotazione va pochissima musica italiana, meno del 5%, ed è più probabile trovare i Litfiba o i Subsonica piuttosto che Vasco Rossi o Ligabue. L’ audience non deve essere una ossessione per Virgin Radio, è una emittente che può accrescere gli ascolti con tranquillità, senza sporcare il palinsesto e senza allargare troppo i generi. Il prossimo step sarà quello di migliorare la rete di distribuzione del segnale, sia armonizzando le frequenze all’ interno del nostro gruppo, sia scambiandole con editori terzi o acquistandole sul mercato. D. Per tanti anni Virgin Radio è stata quasi monopolista sul mondo del rock, seppur nella sua versione allargata. Ora c’ è qualche timore per la concorrenza di Radiofreccia, lanciata da Lorenzo Suraci, patron di Rtl 102,5, nell’ ottobre del 2016? R. I dati di ascolto non ci sono ancora. Diciamo che dai nostri indicatori, sia i social sia i vari strumenti di relazione con il pubblico, non abbiamo percezioni o sintomi di disaffezione su Virgin. Poi anche i target sono diversi. Piuttosto, mi preoccupa una cosa D. Che cosa? R. Beh, se Mediaset avesse lanciato una radio con le modalità con cui è stata lanciata Radiofreccia, avremmo i carri armati sotto casa. Comunque ci sono le autorità preposte che faranno tutte le verifiche del caso. Ma di sicuro molte cose non sarebbero mai state concesse a Mediaset. D. Per esempio? R. Radiofreccia ha una concessione di radio comunitaria, e non si capisce esattamente cosa voglia dire. Ha un tetto dell’ 8% di affollamento pubblicitario. Vorrei sapere se la raccolta pubblicitaria va a finire in attività di beneficenza o cosa. Poi, col fatto che è radio comunitaria, può andare in giro per l’ Italia a cercare frequenze libere, e riempirle senza chiedere permessi. Questo è un bel vantaggio competitivo rispetto agli altri. Anche perché spesso le frequenze vengono lasciate libere proprio per non dare fastidio ad altri segnali. Riempiendole, invece, si va a danneggiare il segnale di emittenti concorrenti. D. Però è comprensibile che un imprenditore come Suraci, trovandosi di fronte a un colosso nato nel giro di un anno come RadioMediaset, abbia voglia di reagire provando a sua volta a costruire nuove offerte R. Certo, costruire più network ha un senso, si profila meglio l’ ascolto, si fanno sinergie che migliorano il conto economico. Io tutto questo lo capisco. Poi, però, si tratta di discutere sulle modalità. Diciamo che serve più regolamentazione sul punto. D. RadioMediaset edita 105, Virgin Radio e R101. Ha un accordo commerciale con Rmc, ha dovuto lasciare la raccolta di Radio Italia a fine 2016 per questioni di Antitrust, e lo stesso dovrà fare a fine 2017 con Kiss Kiss. È vero che vi volete comprare Radio Subasio? R. Non entro nel merito. È vero che la nostra crescita potrebbe passare attraverso acquisizioni di radio territoriali molto forti. Vorremmo avere una offerta più importante sulla musica italiana, integrando una serie di emittenti macroregionali. Non saranno acquisizioni per smontare, svuotare, ribrandizzare. Ma per dare forma ad eccellenze locali, puntando sulla musica italiana. © Riproduzione riservata.

Sapete quando si smette di essere giovani? La risposta è su 7

Corriere della Sera
Rossella Tercatin
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«Non so se il mio scalpo è nell’ ufficio della Maggioni (presidente Rai ndr ). Spero di no per lei, ma non mi interessa personalizzare». L’ esperienza tattile, visiva, olfattiva di un anno in Rai «cominciato e finito con un cactus»: sul nuovo numero di 7 in uscita domani con il Corriere della Sera , Carlo Verdelli, nominato direttore dell’ informazione di viale Mazzini nel novembre 2015 e dimessosi dopo soli tredici mesi di lavoro, racconta ad Antonio D’ Orrico i retroscena di quella che continua a definire «un’ avventura meravigliosa», a dispetto delle difficoltà che ne hanno scritto prematuramente la parola fine. «Un servizio pubblico con le dimensioni della Rai darebbe anche modo di ascoltare gli italiani. Il problema dell’ informazione nazionale, e non solo dell’ informazione (vedi l’ astensione elettorale), è che non ascolta più i cittadini», sottolinea Verdelli, che a proposito della scelta di lasciare spiega: «Il 3 gennaio 2017 mi sono dimesso perché ho capito che da lì dovevamo andare alla guerra. Ma perché? Era nell’ interesse della Rai? No! E allora basta. Sai, io tifo per la Rai, e non perché ci ho passato un anno, ma perché è la cosa con cui è cresciuta la mia famiglia». Quando si smette di essere giovani? A trent’ anni secondo Eurostat, ufficio statistico dell’ Unione Europea, a 52 secondo i greci (e a 65 è già tempo di pensione…). L’ inchiesta di copertina è divisa in due. Maurizio Ferrera, editorialista del Corriere esperto di temi dello stato sociale, parte da una domanda capace di fotografare epoche, società e generazioni. Edoardo Boncinelli, genetista classe 1941, racconta cosa vuol dire per lui invecchiare, a partire dal giorno in cui, a 45 anni, si ritrovò a indossare il primo paio d’ occhiali per la presbiopia («La vecchiaia? Una sorpresa dopo l’ altra»). Una penna speciale risponde alle domande di Stefania Chiale nell’ Intervista Disegnata, David Silverman, che dal 1987 anima i mitici Simpson. Tra i soggetti dei suoi schizzi per 7 una ciliegia (per colazione), una tuba (lo strumento musicale) e naturalmente lui, l’ unico e inimitabile Homer Simpson. Ancora, sul numero di 7 in edicola domani, Paolo Di Stefano e Francesco Battistini si confrontano in un derby tra ebook e libro di carta. Poi due reportage: la giovane scrittrice Claudia Durastanti racconta Lisbona, nuova mecca dei creativi europei; Alessandra Testoni, veterana della cooperazione, narra un’ Etiopia fantascientifica, il triangolo di Afar, «l’ angolo di mondo che è quanto più simile a Marte esista sulla Terra».

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Marie Claire, Bussi alla direzione. Alla fine di quest’ anno in cui si celebrano il 30° anniversario della testata e il 10° anniversario della sua direzione, Antonella Antonelli lascerà la guida di Marie Claire Italia. Prenderà il suo posto (come anticipato da ItaliaOggi del 20/6/2017) Antonella Bussi, già condirettore di Marie Claire ed ex vicedirettore di Vanity Fair. Bussi arriverà in Hearst a settembre, inizialmente per occuparsi di un nuovo progetto aziendale e poi firmare il primo numero di Marie Claire a gennaio 2018. Internet, raccolta a +7,5%. A maggio, secondo l’ Osservatorio Fcp-Assointernet, gli investimenti online sono cresciuti del 7,5% per un totale di 182,3 milioni, a fronte del web che contrae dell’ 1,1%, il mobile che cresce dell’ 84,1%, dei tablet a +116,6% e di smart tv-console su del 30,4%. «L’ incremento di maggio è il più elevato da gennaio 2015», ha dichiarato il presidente Fcp-Assointernet Giorgio Galantis. «Il risultato recupera la flessione del primo quadrimestre spostando in terreno positivo il dato progressivo gennaio-maggio, al +0,6%». Italiaonline lancia Iol Advertising. Italiaonline si fa la concessionaria di pubblicità online nazionale: Iol Advertising. Tra i suoi clienti ci sono Lettera 43, 3BMeteo e FattoreMamma. Iol Advertising poggia sull’ audience delle property di Italiaonline, dai portali alla mail passando per i siti verticali. Tre le parole d’ ordine della nuova concessionaria: audience, brand safety, innovazione tecnologica. SportItalia si allea con Sportradar. SportItalia, canale tv in chiaro sul dtt (canale 60) e sul satellite (canale Sky 225), ha chiuso un accordo pluriennale con Sportradar. SportItalia fornirà i contenuti mentre la società svizzera metterà a disposizione la piattaforma e la tecnologia per lo streaming e l’ on demand. Audible distribuisce Gems. La società di Amazon, specializzata nella produzione e distribuzione di audiobook digitali, ha firmato un accordo di distribuzione con il gruppo editoriale Mauri Spagnol. Radio Italia con Elite Model Look Italia. Radio Italia è la radio ufficiale dell’ edizione 2017 di Elite Model Look Italia, il model scouting contest promosso dall’ agenzia Elite.

Leggo.it rinnova l’ homepage versione pc

Italia Oggi

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Debutta oggi la nuova homepage di www.leggo.it. Il sito internet della testata gratuita edita da Caltagirone Editore rimodella la sua prima pagina per pc in modo da poter variare formati e posizioni dei contenuti. Intorno al singolo articolo della testata diretta da Alvaro Moretti, poi, ci sarà un’ offerta completa d’ informazioni, dall’ articolo vero e proprio fino a interazioni social e multimediali. Il focus? Rimane lo showbiz, hanno fatto sapere dal gruppo editoriale romano.

Alevi entra in Lucisano col 5,76%

Italia Oggi

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Paola Ferrari De Benedetti entra con il 5,76% in Lucisano Media group, società quotata sul mercato Aim di Borsa Italiana e specializzata in produzione, distribuzione nel settore audiovisivo e gestione multiplex. L’ acquisto portato avanti attraverso la società Alevi ha un valore complessivo di 3 milioni di euro. Hanno ceduto quote i soci Fulvio Lucisano (per lo 0,96%), Federica e Paola Lucisano (ognuna per il 2,40%). L’ accordo sarà operativo da settembre e si concretizzerà in un patto parasociale di durata triennale e rinnovabile. In parallelo Paola Ferrari De Benedetti (che è impegnata anche in Visibilia Editore di Daniela Santanché) entra nel cda di Lucisano Media group come responsabile dell’ area docufilm documentari e new media.

Bbc si apre sui contenuti

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Bbc manderà in onda un palinsesto con molti più programmi di generi differenti, pur di arginare la fuga degli spettatori (soprattutto più giovani) verso internet e pur di combattere la concorrenza di nuovi operatori alla Netflix e Amazon. Quindi, secondo il nuovo piano di sviluppo firmato dal d.g. Tony Hall e dal presidente David Clementi, si partirà per esempio investendo 14,4 milioni di sterline in più (16,4 milioni di euro) nei programmi per bambini e ragazzi. A disposizione c’ è un budget complessivo di 124,4 milioni entro il 2019-2020 (141,7 milioni di euro), di cui 31,4 milioni riservati all’ online (35,8 milioni di euro). Ma le risorse aggiuntive non serviranno solamente per produrre nuovi format tv, oltre a quelli esistenti che proseguiranno, ma dovranno anche e soprattutto arricchire il ventaglio dei contenuti delle singole trasmissioni. Tra l’ altro, si vogliono lanciare sul mercato clip, blog e videoblog, podcast e applicazioni. Non solo, aumenteranno le news legate all’ attualità, il mix di musica trasmesso da Radio 1, i contenuti locali da Scozia, Galles e Nord Irlanda e le trasmissioni in streaming sulla piattaforma iPlayer e ancora i servizi di Reality Check contro le fake news. «La sfida è reinventarsi per andare incontro alle nuove generazioni», ha dichiarato Hall. «Esploriamo le ultime tecnologie» come la realtà virtuale, l’ attivazione vocale e ancora l’ intelligenza artificiale. In questo modo, sempre secondo il direttore generale, «vogliamo mantenere la nostra reputazione nella tv lineare e, al contempo, pianifichiamo uno degli investimenti più importanti per i giovani. Quello che vogliamo raccontare è la Gran Bretagna che cambia, le differenti realtà dentro la stessa nazione». Come la Gran Bretagna, di recente, che ha votato «leave» dalla Ue e ha spinto l’ emittente pubblica di Sua Maestà a rilanciare il servizio Internazionale. Certo non è tutto rose e fiori nella sede londinese della tv, che in passato è stata accusata di interessarsi maggiormente dei suoi ascolti e meno di assolvere ai compiti del servizio pubblico (pur essendo in Italia spesso usata come modello di riferimento per la Rai). Infatti a rovinare le aspettative ci sono i conti che non hanno permesso grandi manovre in questi anni. Nel 2016, per esempio è stato presentato un piano di contenimento dei costi per 550 milioni di sterline (626,2 milioni di euro). E in questo piano è rientrata con 80 milioni di sterline attesi di efficienze (oltre 90 milioni di euro) Bbc News, che proprio oggi si è tornati a sostenere. Il giusto compromesso? «Non rinunciare alla qualità dei contenuti e alla dimensione del racconto», ha concluso Hall, «armi contro le quali neanche Amazon e Netflix possono resistere».

Nasce ‘Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica’, il settimanale di enigmistica di Tv Sorrisi e Canzoni, diretto da Aldo Vitali

Prima Comunicazione

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Nasce ‘Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica’, settimanale di enigmistica di Tv Sorrisi e Canzoni, in edicola dal 4 luglio con una tiratura complessiva di un milione di copie. “Da tempo tanti lettori ci chiedevano un giornale dedicato ai cruciverba e ai giochi enigmistici. Abbiamo perciò pensato a un nuovo settimanale che anche tra parole crociate, rebus e quiz mantenesse un legame con Sorrisi e il mondo dello spettacolo, che è protagonista di alcuni nuovi giochi”, spiega il direttore Aldo Vitali. Con una foliazione di 48 pagine a colori, in un formato di 19×23,5 centimetri, il magazine presenta ogni settimana 100 giochi, dai classici dell’ enigmistica come cruciverba di cultura generale, rebus, sudoku, incroci di parole, enigmi, passatempi e vignette umoristiche, fino ai giochi dedicati a tv, musica e cinema. Per il lancio, spiega una nota stampa, è stata realizzata una campagna di comunicazione pianificata su tv, quotidiani, settimanali, radio, web, locandine sul punto vendita e visibilità nelle principali catene della grande distribuzione. La creatività, con il claim ‘Il Big Bang dell’ Enigmistica, la nuova origine del divertimento intelligente’, è stata ideata dall’ agenzia White Label. La realizzazione editoriale di Tv Sorrisi e Canzoni Enigmistica è curata da PRS Editore.

Mainetti e la Sorgente dei guai di Enasarco nel mirino della vigilanza

Il Fatto Quotidiano
Giorgio Meletti
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Un mese fa, inopinatamente, Il Foglio si è lanciato nell’ elogio di un’ esponente M5S . Roberta Lombardi, si è letto su colonne consacrate di regola al dileggio dei vari Raggi, Dibba e Di Maio, “tra i grillini della Capitale, che vanno in brodo di giuggiole quando la vedono, si muove come una regina: sorridente e affabile con tutti”. “Il lato scaltro del M5S ” (“dove gli altri grillini balbettano o sono aggressivi, lei è avvolgente”), “la più amata” a Roma, è stata designata dal Foglio come prossima presidente della Regione Lazio: “Se il bis del governatore del Pd Nicola Zingaretti fino a qualche tempo fa era quasi scontato, adesso forse lo è un po’ meno”. Forse non è un caso che pochi giorni prima dell’ elegiaco ritratto, Lombardi abbia firmato un’ interrogazione preoccupata per gli interessi del proprietario del Foglio Valter Mainetti, da tre anni coinvolto in una durissima controversia con l’ Enasarco, ente previdenziale che deve dare la pensione a 250 mila agenti di commercio. Il gruppo Sorgente, di cui Mainetti è proprietario, gestisce un quinto del vasto patrimonio immobiliare Enasarco. L’ ente possiede il 97,6 per cento del fondo immobiliare Megas, iscritto a bilancio per 340 milioni (ma Mainetti ha sostenuto in Parlamento che ne vale 600), e il 50,5 per cento del fondo Michelangelo 2, a bilancio per 90 milioni, anche se Sorgente Sgr (società di gestione del risparmio) dice che il fondo vale in tutto 400 milioni. Gli altri quotisti sono l’ Enpam (ente dei medici), l’ Inpgi (ente dei giornalisti) e la Banca popolare di Bari. Secondo Lombardi le gestioni di Mainetti hanno fruttato a Enasarco “un rendiconto annuale positivo pari al 2,93 per cento”. Covip, l’ ente che vigila sui fondi pensione, è invece preoccupata per il patrimonio di Enasarco: sostiene che Michelangelo 2 ha sommato quel rendimento in tutti i suoi anni di vita, mentre altre Sgr, come Idea Fimit e Prelios, facevano guadagnare ai loro clienti dieci o venti volte tanto. Per questo il braccio di ferro tra Enasarco e Mainetti sta degenerando. L’ ente, accusando Sorgente di gravi irregolarità, ha minacciato nel 2015 di revocare il mandato di gestione. Mainetti a quel punto ha trattato, firmando il 10 marzo 2016 gravosi impegni, tra cui la promessa di rilevare immobili dai due fondi a valore di libro (190 milioni), operazione che avrebbe consentito a Enasarco di ridurre la sua esposizione sul difficile mercato immobiliare, come raccomandato dalla vigilanza. Nella primavera 2016 Gianroberto Costa è diventato presidente di Enasarco al posto di Brunetto Boco, accusato da Mainetti (e dalla Lombardi) di “ripetuti comportamenti coercitivi e vessatori, lesivi della reputazione di Sorgente”. Costa, vicino a Comunione e liberazione, recentemente soccorsa da Mainetti rilevando il mensile Tempi, riceve una lettera in cui Mainetti lo invita a “uscire dalla gabbia di spunta pedissequa degli adempimenti declinati dall’ Accordo quadro”, un modo forbito per dire di azzerare gli accordi. Il presidente di Enasarco lo asseconda e scoppia il caos. Mainetti ha fatto causa a Boco e all’ ex direttore finanziario di Enasarco Roberto Lamonica, licenziato in tronco da Costa. Boco ha denunciato Costa alla Corte dei Conti, sostenendo che, non pretendendo da Mainetti l’ adempimento del contratto del 10 marzo 2016, avrebbe causato un danno da 200 milioni alla cassa previdenziale. La Corte dei Conti, che vigila sul denaro pubblico, ha aperto un fascicolo e il 9 giugno scorso gli avvocati di Mainetti hanno denunciato l’ Enasarco, quindi Costa, chiedendo danni milionari con questa tesi: intimorendolo con la minaccia di revocargli il mandato gli avrebbero estorto la firma di un contratto suicida. Ma nel frattempo Bankitalia, che vigila sulla gestione delle Sgr, aveva ispirato alla Covip una considerazione lapalissiana: se l’ accordo del 10 marzo era così pieno di trappoloni, come sostiene oggi Mainetti, Sorgente “avrebbe avuto il dovere, come gestore professionale soggetto a sua volta all’ obbligo di sana e prudente gestione, di rappresentarli come elementi impeditivi prima della definizione contrattuale, piuttosto che lamentarne l’ onerosità quattro mesi dopo”. Intanto la Consob, che vigila su correttezza e trasparenza delle Sgr, ha fatto un’ ispezione a Sorgente sgr e ha mandato una segnalazione alla Procura. Non solo. Il 6 febbraio scorso il presidente della Consob Giuseppe Vegas ha allertato la Covip, chiedendole una valutazione del caso. Il 31 marzo la Covip ha mandato una relazione al ministero del Lavoro che si è ricordato di girarla all’ Enasarco solo il 10 maggio. La relazione Covip è severa con Mainetti e con Costa, accusato tra le righe di voler favorire Sorgente a danno dell’ ente previdenziale che amministra. Intanto Inpgi e Enpam, per il fondo Michelangelo 2, hanno mandato alla Banca d’ Italia due distinti esposti contro Mainetti, accusandolo di gravi irregolarità e sollecitando provvedimenti. In un sistema in cui i soldi delle pensioni sono vigilati in concorso da Consob, Bankitalia, Covip, Corte dei Conti, ministeri dell’ Economia e del Lavoro, il rischio è di trovarci tra qualche anno a contare i danni senza trovare risposta alla domanda: dov’ era la Vigilanza? Sul punto Mainetti è sicuro di sé. Tre mesi fa ha detto in Parlamento: “Noi ci siamo sempre comportati con grande correttezza perché la nostra Sgr è governata, oltre che da noi, anche da ex esponenti di Banca d’ Italia”. Quindi siamo a posto. Gli ex esponenti si chiamano Rodolfo Cutino e Claudio Patalano. “Insieme abbiamo impostato il business plan e chiesto le autorizzazioni a Banca d’ Italia”, raccontava orgoglioso Mainetti all’ esordio della sua Sgr. Le porte girevoli non si fermano mai.

Rassegna Stampa del 06/07/2017

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Indice Articoli

Rai, contratto a Fabio Fazio: indaga la Corte dei Conti

«Tv di Stato, stop ai conflitti di interesse Nuove regole per gli agenti delle star»

Nessuno spot può ripagare il costo del conduttore

Banca Imi rifinanzia il debito Rcs

Periodici Mondadori, raccolta a +14/15%

Alleanza contro i colossi web

La GO TV cresce del 19,7% a maggio

Stampa, raccolta a -8,7%

Chessidice

Intesa rifinanzia il debito Rcs con 332 milioni

Pubblicità sulla stampa in calo dell’ 8,7% tra gennaio e maggio. I dati Fcp: quotidiani -10,2%, settimanali -4,3%, mensili – 7,2% (TABELLA)

Risale la pubblicità anche nel 2017 Investimenti +1,8%

Rcs-Corsera rifinanzia il debito

Rcs, accordo con Intesa sul debito«Finanziamento a condizioni migliori»

Rcs ottiene ristrutturazione del debito

Rcs, accordo con Intesa Rifinanziamento da 332 milioni

Rai, contratto a Fabio Fazio: indaga la Corte dei Conti

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Il contratto di Fabio Fazio finisce all’ esame della Corte dei Conti. Se ne occuperà, per competenza, la Procura regionale del Lazio. L’ esame arriva dopo l’ esposto alla magistratura contabile (e all’ Anac) da parte del deputato dem Michele Anzaldi. “Gli uffici mi hanno risposto dicendomi che se ne occuperanno a breve”, dice il parlamentare. L’ esposto invita la Corte dei Conti a porre l’ attenzione su alcuni punti del contratto che potrebbero rappresentare un danno erariale: la mancata applicazione della delibera del Cda per la riduzione del 10% dei compensi sopra i 240 mila euro; l’ assegnazione di un compenso a una società di Fazio che non risulta ancora costituita; il pagamento dei diritti a una trasmissione che va in onda in Rai da parecchi anni; l’ anomalia del contratto quadriennale e non triennale. Tutta una serie di questioni su cui, secondo Anzaldi, la magistratura contabile potrà dire la sua ed eventualmente condannare la Rai per danno erariale. Mario Orfeo, però, ribadisce la sua scelta. Alla presentazione dei palinsesti a Roma, martedì sera, il neo direttore generale ha sottolineato che rifarebbe “esattamente la stessa scelta, perché Fazio è un campione che la Rai non poteva lasciarsi scappare”. Insomma, nessun ripensamento da parte dei vertici di Viale Mazzini, con il conduttore che sarà il punto di forza di Rai1 per la prossima stagione. All’ interno del Cda, però, qualche perplessità resta. Giancarlo Mazzuca, per esempio, con una lettera aperta su Il Giornale, qualche giorno fa ha chiesto a Fazio di ripensarci e autoridursi il cachet.

«Tv di Stato, stop ai conflitti di interesse Nuove regole per gli agenti delle star»

Corriere della Sera
R. S.
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Il segnale in direzione viale Mazzini arriva chiaro e netto: stop ai conflitti di interessi tra agenti di artisti e conduttori. La richiesta arriva dalla Commissione di vigilanza Rai: l’ invito all’ azienda è quello di assumere «procedure per evitare conflitti di interesse nei rapporti tra gli artisti e i loro agenti che possano comportare ingiustificati benefici e sprechi di denaro pubblico: conflitti che ledono la necessaria trasparenza che dovrebbe ispirare la condotta dell’ azienda, l’ immagine e gli interessi economici del servizio pubblico creando all’ interno della società indebiti potentati». Il documento è stato presentato dal relatore Michele Anzaldi, deputato del Pd e segretario della commissione: «La questione del tetto agli stipendi, ma non solo, ha fatto emergere il ruolo sempre più influente degli agenti e delle loro società nelle trattative tra artisti, conduttori, giornalisti e collaboratori con il servizio pubblico». Il Cda della Rai avrà 90 giorni per adeguarsi alle procedure. Per «escludere che la produzione dei programmi trasmessi sia affidata a società di produzione collegate a agenti di spettacolo che rappresentino gli artisti che prendono parte agli stessi programmi». La Rai deve anche eliminare la possibilità che in uno stesso programma possano essere contrattualizzati più di tre artisti dello stesso agente».

Nessuno spot può ripagare il costo del conduttore

Il Sole 24 Ore
Francesco Siliato
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Molti conduttori immaginano di valere per quanta pubblicità riesca a raccogliere il programma che conducono. Non è così, non è ignorando i costi industriali, i costi fissi e di struttura che si possa stabilire il valore economico di una trasmissione. Per quanto capace ciascun conduttore è una ciliegina poggiata su una torta composta di abitudini degli spettatori, di progettazioni di palinsesti, di strategie di chi dirige la rete e l’ azienda, di capacità organizzative e tecniche. I conduttori hanno certo un valore, relativo, non paragonabile a quello della torta su cui stanno sopra. Sono tanti i fattori da considerare in un’ impresa televisiva, per esempio, sottrarre, o aggiungere, quanto quel programma realizzerebbe di ascolto e raccolta pubblicitaria con un altro conduttore. Elemento base è il costo di produzione dei contatti. In prima serata Rai Uno ha prodotto 4,8 milioni di spettatori nel minuto medio, la prossima stagione chi dovesse essere protagonista di una prima serata della prima rete andrà confrontato con questo dato. Se, per esempio, Fabio Fazio raggiungesse questi ascolti, sarebbe giustificato un costo orario pari al costo medio della prima serata di Rai Uno. Il rapporto costi benefici prende in considerazione anche altri fattori, come il traino e il target del programma. E’ infatti rilevante anche il rapporto tra costi e ricavi pubblicitari. È possibile che la Rai incassi nel 2018 oltre 10 milioni da spot e affini pianificati nel nuovo programma. Ma questo non significa che il programma si ripaghi con la pubblicità; si sottovaluterebbero i costi e sopravvaluterebbero i ricavi. Sui costi l’ errore è non considerare i costi condivisi: impianti, personale amministrativo, valore dei marchi e la ripartizione sui programmi a più alta attrattività commerciale delle perdite generate dagli obblighi di servizio pubblico. Lato ricavi l’ errore è più nascosto. Supponiamo che con un nuovo programma la Rai incassi 10 milioni di euro, perché cinque milioni di persone vedranno 432 secondi di pubblicità per ogni ora, raggiungendo il limite di affollamento pubblicitario consentito dalla legge. Limite orario, ma non l’ unico, c’ è un altro tetto che la Rai, e solo la Rai, ha; un limite settimanale medio di 144 secondi l’ ora. Quindi per ogni ora di un programma che trasmettesse 432 secondi di pubblicità occorrerebbe azzerare la pubblicità su altre tre ore. Chiunque sostenesse che un programma Rai si ripaghi con la pubblicità trascura molte cose. In realtà è assai improbabile che una trasmissione Rai possa ripagarsi con la pubblicità. Oggi pubblicità e canone sono vasi comunicanti; oltre metà del canone ripaga i mancati ricavi pubblicitari dovuti al basso affollamento. C’ è infine da chiedersi di quali altri indicatori, oltre quelli economici, debba dotarsi il servizio pubblico. Abbiamo elaborato, per esempio, un Indice di coesione sociale (Ics), ovvero la capacità di un programma di interessare più fasce sociali. Favorire la coesione sociale è uno degli obiettivi indicati nell’ articolo 1 della nuova Convenzione, per misurare il raggiungimento di questi obiettivi occorre elaborare indici e metodiche differenti da quelli economici. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Banca Imi rifinanzia il debito Rcs

Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Rcs rifinanzia il debito con il gruppo Intesa-Sanpaolo, come unico underwriter: in particolare l’ operazione è stata curata dall’ area corporate & strategic finance di Banca Imi, con l’ approccio seguito per altre realtà aziendali in fase di trasformazione come Ntv e Pirelli. Nel caso del gruppo editoriale che oggi è saldamente in mano a Urbano Cairo, l’ alternativa al finanziamento bancario per sostituire il finanziamento in pool in essere sarebbe stata un’ emissione obbligazionaria. Risulta che infatti siano arrivate a Rcs offerte a fermo a riguardo. Ma alla fine il bond è stato tenuto come opzione per l’ anno prossimo, dal momento che le condizioni – con i risultati del primo esercizio “pieno” sotto la nuova gestione – potrebbero essere decisamente migliori e che nel frattempo Rcs si potrà preparare a essere valutata con un rating ufficiale, essenziale per avere interlocutori istituzionali di qualità. L’ operazione di finanziamento, dunque, ha per la società come interfaccia Banca Imi, la quale però ha già avviato i negoziati per sindacare il prestito, dando la preferenza alle banche del vecchio pool che hanno accompagnato la società negli ultimi anni, non propriamente facili, e cioè Ubi, UniCredit, Bnp-Paribas, Bpm e Mediobanca, che dovrebbero restare dnque tutte in partita con quote da definire. Il finanziamento è suddiviso in una linea di credito term amortising dell’ importo di 232 milioni e in una linea di credito revolving dell’ importo di 100 milioni. Per la prima linea di credito è previsto un piano di ammortamento con rimborso di 15 milioni a fine 2017 e a seguire raate semestrali di 12,5 milioni. La scadenza finale del finanziamento da 332 milioni complessivi è fissata al 31 dicembre 2022, ma la vita media effettiva del prestito è di tre anni e mezzo. Il vecchio prestito che sarà sostituito (sarebbe scaduto a fine 2019) era stato rinegoziato da ultimo nel maggio dell’ anno scorso per un importo totale di 352 milioni, di cui 100 relativi a una linea revolving. Prevedeva un tasso variabile basato sull’ Euribor a tre mesi più uno spread degradante al miglioramento dei parametri societari fino a sotto i 300 punti base. Il sistema a “griglia” è stato mantenuto anche nel nuovo finanziamento a condizioni che non sono state rese note nel dettaglio ma che prevedono – come riferisce una nota di Rcs – «un tasso d’ interesse annuo pari alla somma di Euribor di riferimento e un margine variabile a seconda del leverage ratio più favorevole per la società rispetto ai margini previsti dall’ attuale finanziamento». La struttura del prestito è stata poi ampiamente semplificata con l’ inserimento di un unico covenant che è rappresentato appunto dal leverage ratio, cioè dal parametro indebitamento finanziario netto/Ebitda. Il ratio non dovrà risultare superiore a 3,45 volte al 31 dicembre 2017, a 3,25 volte al 31 dicembre 2018 e a 3 volte alla fine di ciascun anno successivo. Se, come è stato preannunciato dallo stesso Urbano Cairo, quest’ anno Rcs realizzerà un Ebitda dell’ ordine dei 140 milioni, non ci sarà alcun problema a rispettare i vincoli del finanziamento. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Periodici Mondadori, raccolta a +14/15%

Italia Oggi

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«Il semestre sta andando bene: sta andando bene l’ integrazione coi libri» ex Rcs e stanno andando «molto bene i periodici», ha detto ieri a margine dell’ incontro annuale Upa Ernesto Mauri, a.d. del gruppo Mondadori, precisando che sui magazine «registriamo nei primi 5 mesi del 2017 un bel +14/+15% nella raccolta pubblicitaria stampa+digitale. Dato che consolidiamo a giugno», seppur non sia a perimetro omogeneo vista l’ acquisizione dei siti web già Banzai. «Il digitale traina», ha proseguito Mauri, ma sono soddisfacenti anche gli andamenti diffusionali delle nostre nuove testate di carta: «Il terzo numero di Giallo Zafferano è sulle 200 mila copie. Il primo numero di Spy ne ha vendute 300 mila, il secondo cresce e per il terzo manteniamo il prezzo di lancio a 0,5 euro». Anche le pagine pubblicitarie di Spy «tengono», essendo passate nel tempo dalle 56 del debutto alle 46 più recenti. Peraltro il nuovo settimanale di gossip di fascia bassa «aiuta» anche le vendite di Chi, altro magazine mondadoriano ma di fascia alta. Dividendo a fine anno? «Noi facciamo di tutto», ha concluso Mauri. «Deciderà poi l’ azionista se distribuirlo o meno».

Alleanza contro i colossi web

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Come fermare la forza commerciale di Google, Apple, Facebook, Amazon, i colossi della comunicazione digitale (il famigerato quartetto Gafa) che ormai «s’ ecoulent», si scolano, come si dice qui in Francia, il 70% degli investimenti pubblicitari online, e non c’ è verso di ridurne la potenza di fuoco se non sperando nella prossima direttiva europea, la cosiddetta «e-Privacy», che vieta l’ utilizzo dei dati raccolti attraverso i «cookies», ma che rischia di essere un rimedio peggiore del male per gli editori europei? Quelli francesi, tranne i due gruppi che editano Le Figaro e Le Monde che hanno scelto un’ altra strada come si dirà più avanti, hanno deciso di giocare la carta dell’ alleanza, mettendo a fattor comune proprio la risorsa-chiave del mercato pubblicitario, cioè i dati profilati dei lettori, «l’ oro nero del XXI secolo» come lo definisce Denis Olivennes, il patron del gruppo Lagardère Active, uno dei più grandi (con testate di pregio come Paris Match, Elle, Tele7Jours) seppure in palese difficoltà sia nella diffusione sia nella raccolta pubblicitaria. «L’ union fait la data», l’ unione è la ricetta giusta per valorizzare i nostri dati, dice soddisfatto Olivennes che, insieme con Francis Morel, amministratore delegato del gruppo Les Echos, il primo quotidiano economico del paese, e Le Parisien, il quotidiano più diffuso della capitale (entrambi di proprietà del gigante del lusso Lvmh), si può considerare il vero inventore di Alliance gravity (così l’ hanno battezzata forse per dare il senso dell’ importanza, del peso politico e strategico, dell’ iniziativa), insomma l’ Union sacrée degli editori che ha un solo obiettivo: ridurre lo strapotere commerciale di Gafa. Tranne i due editori di Le Monde e Figaro, che hanno scelto un modello di alleanza più tradizionale mettendo insieme le risorse delle loro concessionarie pubblicitarie pur senza arrivare a una fusione vera e propria (l’ annuncio oggi, giovedì 6 luglio), quasi tutti gli altri hanno deciso di condividere, all’ interno di Gravity, il loro patrimonio di dati e di informazioni su clienti e lettori. Ci sono, oltre al gruppo Lagardère Active e al gruppo Les Echos-Le Parisien, soci fondatori del club, i tedeschi di Prisma Media (gruppo Bertelsmann) con tutto il loro ricchissimo portafoglio di testate (a cominciare da Femme Actuelle), gli americani di Condé Nast (Vogue, Vanity Fair), l’ editore di Science&Avenir, quello di Marie Claire, molte testate regionali (La Dépêche, Sud Ouest, Le Telégramme, La Montagne). Tutti soci pro quota di Alliance Gravity che ha la struttura di una società per azioni il cui capitale potrà allargarsi, come tutti si augurano, alla partecipazione di aziende di comunicazione non tradizionali come la Sfr, l’ operatore telefonico di Patrick Drahi diventato una media company, che infatti è stato il primo a unirsi alla squadra di Gravity, seguito da SoLocal, un sito di informazione sul mercato immobiliare e, al tempo stesso, un portale di annunci (come Immobiliare.it, per intenderci). Che cosa dovrà fare concretamente Gravity per fermare l’ avanzata, finora irresistibile, di Gafa? Per cominciare, creare una piattaforma «aperta e integrata», come dice Olivennes, di data marketing. È proprio qui la grande novità: editori (tradizionali e non) che mettono a fattor comune non le loro testate online, ma il patrimonio informativo dei loro lettori-clienti già profilati e geolocalizzati, cioè inseriti in contesti territoriali perché, tanto per fare un esempio semplice semplice, un conto è fare una campagna pubblicitaria per i potenziali clienti di Bordeaux, un altro puntare al mercato della Provenza. Cambia il modello di business, si capisce: le agenzie pubblicitarie e i centri media non compreranno più gli spazi dei siti, delle piattaforme editoriali (chiamarle giornalistiche forse è eccessivo), ma target di lettori digitali di cui si sa praticamente tutto, dall’ età ai gusti allo status sociale. In questo modo, quando un lettore di uno dei prodotti editoriali del sistema Gravity andrà sul media che gli interessa, troverà la campagna pubblicitaria costruita su misura delle sue esigenze e del suo profilo. Per dire, se si tratta di un appassionato di pesca, troverà tutti gli annunci e la pubblicità di articoli sportivi (magari con l’ indicazione del negozio più vicino, ecco il «miracolo» della geolocalizzazione). I media, a loro volta, saranno remunerati sulla base dei clic. Almeno per ora e fino a quando non si sarà trovato un sistema che permetta di sfuggire alle cosiddette «frauds au clic», il traffico internet generato non dai consumatori ma da sistemi informatici, da robot, come denunciano da tempo gli inserzionisti di mezzo mondo. Nell’ attesa di ridurre (non si dice di eliminare) l’ impatto dei robot, Gravity dà qualche timida rassicurazione agli editori francesi. @pippocorsentino.

La GO TV cresce del 19,7% a maggio

Italia Oggi

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Cresce la pubblicità della GO TV a maggio. L’ Osservatorio Fcp-Assogotv ha raccolto i dati relativi al fatturato pubblicitario del mezzo nei primi cinque mesi dell’ anno che evidenziano a maggio un investimento totale di 1.658.000 euro, in aumento del 19,7% rispetto allo stesso mese dell’ anno precedente. Nel periodo gennaio-maggio 2017, invece, la raccolta ha raggiunto quota 6.039.000 euro, con un incremento del 2,8% rispetto al medesimo periodo del 2016. «Straordinaria performance della GO TV a maggio con il raddoppio del tasso di crescita (+19,7%) rispetto al mese precedente: si registra non solo un totale recupero del ritardo del primo quadrimestre, ma anche un segno positivo del progressivo (+2.8%) che si stima in ulteriore crescita nel mese di giugno», ha commentato Angelo Sajeva, presidente di Fcp-Assogotv e di Class Pubblicità, la concessionaria pubblicitaria di Class Editori. «La GO TV è il media italiano con la maggior crescita prevista nel mese, che conferma come i clienti e i centri media stiano sperimentando l’ efficacia della GO TV e apprezzino il chiaro upgrade tecnologico fatto da tutti gli operatori, oltre ai plus della complementarità nelle pianificazioni tv quando si ricercano target preziosi e difficili come i millennials e il target della massima mobilità. In crescita la maggior parte dei settori e ai primi posti turismo, farmaceutici, alimentari, distribuzione e prodotti finanziari che utilizzano questo media con maggior continuità a conferma del ruolo sempre più strategico che gioca la GO TV per questi settori. Da evidenziare che le peculiarità del target della massima mobilità hanno avvicinato alla GO TV un numero crescente di campagne promozionali pianificate dai top media italiani (Sky, Fox, Rds, Radio Italia, Mondadori, Medusa) per generare call to action e call to vision (inviti all’ ascolto dei loro programmi)». © Riproduzione riservata.

Stampa, raccolta a -8,7%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Continua l’ andamento negativo degli investimenti pubblicitari sulla carta stampata. Secondo i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-maggio 2017 raffrontati con i corrispettivi 2016, la raccolta pubblicitaria del mezzo stampa in generale registra un calo del 8,7% raggiungendo quota 394,2 milioni di euro. In particolare i quotidiani nel loro complesso evidenziano una flessione sia a fatturato (-10,2%, pari a 246 milioni di euro) sia a spazio (-3,4%). Per quanto riguarda le singole tipologie, la commerciale nazionale vede una diminuzione del 13,2% a fatturato e del 10,7% a spazio, la commerciale locale del 5,0% a fatturato e dello 0,6% a spazio, la legale del 14,5% a fatturato e del 12,4% a spazio, la finanziaria del 17,5% a fatturato e del 14,0% a spazio. La tipologia classified chiude con un -3,2% a fatturato e un -3,2% a spazio. Nei primi 5 mesi dell’ anno i periodici segnano un calo sia a fatturato (-6,1%, a quota 148,1 milioni di euro) sia a spazio (-4,3%). I settimanali registrano un decremento del 4,3% a fatturato (pari a 78,7 milioni di euro) e del 4,5% a spazio. In negativo anche i mensili, che mostrano una flessione del 7,2% a fatturato (fermo a 64,5 milioni di euro) e del 3,5% a spazio. Le altre periodicità archiviano il periodo con un -17,8% a fatturato (a quota 4,8 milioni di euro) e -7,9% a spazio. © Riproduzione riservata.

Chessidice

Italia Oggi

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Poligrafici riporta in edicola Il Telegrafo. ll Telegrafo, storica testata di Livorno, sarà di nuovo nelle edicole a partire da sabato 8 luglio grazie a Poligrafici Editoriale. Il quotidiano fondato dal garibaldino Giuseppe Bandi nel 1877 ritorna dopo l’ esperimento di una trentina d’ anni fa voluto dall’ editore Monti. DeA Planeta Libri, Izzo per la narrativa italiana. DeA Planeta Libri ha nominato Stefano Izzo responsabile della narrativa italiana del neonato marchio DeA Planeta. Izzo si affianca a Francesca Cristoffanini, arrivata nel gennaio 2017 in qualità di responsabile della narrativa straniera. Radio Italia partner del volley. Radio Italia è l’ emittente ufficiale del Samsung Lega Volley Summer Tour 2017, il circuito itinerante di Sand Volley 4×4 che combina lo spettacolo della pallavolo femminile di Serie A e il divertimento in riva al mare. La manifestazione prenderà il via il prossimo weekend per proseguire fino alla fine del mese.

Intesa rifinanzia il debito Rcs con 332 milioni

Libero

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Rcs e Intesa Sanpaolo hanno raggiunto un accordo per il rifinanziamento totale dei debiti bancari pregressi (sottoscritti nel 2013) che prevede la concessione da parte dell’ istituto di credito di un finanziamento di 332 milioni di euro con scadenza al 31 dicembre 2022. Il prestito sarà suddiviso in una linea di credito «term amortising» (con piano di ammortamento) di 232 milioni e una linea di credito «revolving» (un fido) di 100 milioni. Il piano di ammortamento per la linea «term amortising» prevede il rimborso di 15 milioni al 31 dicembre 2017 e a seguire rate semestrali di 12,5 milioni.

Pubblicità sulla stampa in calo dell’ 8,7% tra gennaio e maggio. I dati Fcp: quotidiani -10,2%, settimanali -4,3%, mensili – 7,2% (TABELLA)

Prima Comunicazione

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I dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-maggio 2017 raffrontati con i corrispettivi 2016. Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -8,7%. Lo dicono i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp (xls). In particolare i quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato -10,2% che a spazio -3,4%. Le singole tipologie segnano rispettivamente: La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato -13,2% a fatturato e -10,7% a spazio. La pubblicità Commerciale locale -5,0% a fatturato e -0,6% a spazio. La tipologia Legale ha segnato -14,5% a fatturato e -12,4% a spazio. La tipologia Finanziaria ha segnato -17,5% a fatturato e -14,0% a spazio La tipologia Classified ha segnato -3,2% a fatturato e -3,2% a spazio. I periodici segnano un calo sia a fatturato del -6,1% che a spazio del -4,3%. I settimanali registrano un andamento negativo sia a fatturato del -4,3% che a spazio del -4,5%. I mensili segnano un calo a fatturato -7,2% e a spazio -3,5%. Le altre periodicità registrano -17,8% a fatturato e -7,9% a spazio. – Leggi o scarica i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp di maggio 2017 (xls)

Risale la pubblicità anche nel 2017 Investimenti +1,8%

La Repubblica

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ROMA. Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia crescerà quest’ anno dell’ 1,8% secondo le stime Upa, Utenti pubblicità associati, dopo il +3,7% fatto registrare nel 2016. «36 mesi consecutivi di crescita ci fanno dire che siamo fuori dalla recessione», ha detto il presidente Lorenzo Sassoli. La ripresa è trainata dal digitale, che crescerà in maniera significativa, mentre per la televisione l’ aumento sarà vicino al 2%. Ancora in flessione la stampa, anche se secondo Upa il “tax credit” per gli investimenti incrementali inserito nella legge di bilancio potrebbe far invertire la tendenza nel 2018. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rcs-Corsera rifinanzia il debito

Italia Oggi

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Rcs Mediagroup ha raggiunto con Intesa Sanpaolo un accordo per rifinanziare il debito con le banche, attraverso un nuovo finanziamento da 332 milioni di euro. Accordo che sostituisce le linee di credito e le loro rispettive condizioni definite il 14 giugno 2013 con un pool di istituti (Mediobanca, Unicredit, Intesa, Ubi, Bnl e Bpm). La scadenza del nuovo finanziamento è il prossimo 31 dicembre. In particolare, i termini principali dell’ accordo comunicato ieri con una nota dalla stessa editrice del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport (guidata da Urbano Cairo) prevedono la suddivisione del finanziamento in una linea di credito term amortising dell’ importo di 232 milioni di euro e una linea di credito revolving da 100 milioni di euro. Il tasso di interesse annuo è pari alla somma di Euribor di riferimento e un margine variabile a seconda del leverage ratio più favorevole per la società rispetto ai margini dell’ attuale finanziamento. È previsto un unico covenant rappresentato dal leverage ratio (posizione finanziaria netta/ebitda) e infine un piano ammortamento per la linea di credito term amortising che prevede il rimborso di 15 milioni di euro al 31 dicembre 2017 e a seguire rate semestrali di 12,5 milioni di euro. Ieri il titolo Rcs ha chiuso a +1,73% a 1,233 euro. © Riproduzione riservata.

Rcs, accordo con Intesa sul debito«Finanziamento a condizioni migliori»

Corriere della Sera
Giovanni Stringa
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Rcs MediaGroup rifinanzia il debito verso le banche. La società ha raggiunto un accordo con Intesa Sanpaolo per un credito da 332 milioni di euro, con scadenza a fine 2022. L’ obiettivo dell’ operazione: il rifinanziamento totale del debito bancario del contratto siglato a giugno 2013 (e poi modificato) con un pool di banche, come spiega una nota della società che pubblica il «Corriere». «E’ un bel apprezzamento del lavoro svolto in questo anno in Rcs. Intesa ha riconosciuto i miglioramenti rispetto al passato», ha commentato Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato del gruppo editoriale di cui ha il controllo (ora è al 59,83%) dall’ estate scorsa dopo un’ offerta affiancata dalla stessa Intesa. Tra gli aspetti sottolineati da Cairo ci sono «il consolidamento del debito, non più al 2019 ma al 2022» e il «progressivo contenimento dei tassi con il miglioramento del rapporto tra posizione finanziaria netta e margine operativo lordo». «E’ una bella case history , una bella storia – ha aggiunto l’ editore -: ci sono stati miglioramenti importanti non solo sul versante dei costi ma anche per le attività di notevole sviluppo su quotidiani, periodici, Rcs Sport, in particolare sul Giro, e in Spagna. Molte cose sono poi in avvio a settembre. Il Corriere ? Molto apprezzato, vitale, ricco di notizie e di spunti, autorevole ed equilibrato». Con l’ accordo di ieri, il tasso di interesse annuo corrisponde alla somma del saggio Euribor di riferimento e di un margine variabile a seconda del leverage ratio (leva finanziaria) «più favorevole per la società rispetto ai margini previsti dall’ attuale finanziamento», si legge nella nota. Positiva la reazione della Borsa, dove Rcs ha guadagnato l’ 1,73% a 1,233 euro. L’ intesa raggiunta ieri – «arranger» dell’ operazione è Banca Imi – verte su un elenco di condizioni per l’ organizzazione, sottoscrizione a fermo e concessione del credito, cui dovrà far seguito la formalizzazione del contratto di finanziamento. Tra gli altri termini principali dell’ accordo c’ è la suddivisione del finanziamento in una linea di credito «term amortising» di 232 milioni e una «revolving» di 100 milioni. E’ poi previsto un unico covenant (vincolo che regola il finanziamento): il rapporto tra posizione finanziaria netta e margine operativo lordo non dovrà essere superiore a 3,45x (3,45 volte) al 31 dicembre 2017, 3,25x a fine 2018 e 3x al termine di ciascun anno successivo. Il vecchio accordo, invece, includeva covenant anche sul patrimonio netto e il debito complessivo. Il piano di ammortamento per la linea di credito «term amortising» prevede il rimborso di 15 milioni al 31 dicembre 2017 e a seguire rate semestrali di 12,5 milioni. Ma non è detto che Intesa resti l’ unico finanziatore bancario del gruppo. E’ infatti possibile che la banca ceda parte del credito in questione ad altri istituti . Verosimilmente Intesa inviterà in prima battuta per un’ operazione di sindacazione le altre banche che ad oggi fanno parte del pool, vale a dire Unicredit, Mediobanca, Ubi, Banco Bpm e Bnp Paribas.

Rcs ottiene ristrutturazione del debito

Il Giornale

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Accordo fatto con Intesa Sanpaolo per la ristrutturazione del debito di Rcs. L’ intesa prevede il rifinanziamento del totale del debito bancario del gruppo del Corriere della Sera per complessivi 332 milioni di euro con scadenza al 31 dicembre 2022. Rcs precisa che il finanziamento è suddiviso in una linea di credito «term amortising» di 232 milioni» e in «una linea di credito «revolving» da 100 milioni. Il tasso di interesse annuo è pari alla somma di Euribor di riferimento e un margine variabile a seconda del Leverage Ratio più favorevole per la società rispetto ai margini previsti dall’ attuale finanziamento. È inoltre previsto un piano di ammortamento per la linea di credito term amortising che prevede il rimborso di 15 milioni al 31 dicembre 2017 e a seguire rate semestrali di 12,5 milioni.

Rcs, accordo con Intesa Rifinanziamento da 332 milioni

La Stampa
R. E.
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La nuova Rcs a guida Cairo rinegozia in tempi stretti il debito bancario a condizioni migliori, con un accordo che vede in pista la sola Intesa Sanpaolo. L’ istituto, già al fianco dell’ editore nell’ offerta dell’ estate scorsa sul gruppo, concede a Rcs un prestito da 332 milioni, con scadenza a fine 2022, che va a rifinanziare tutte le linee ricevute dal gruppo da un pool di banche, da ultimo nel 2013, poi modificate nell’ estate del 2016. Rcs mette così subito a frutto le migliorate prospettive finanziarie, dopo il ritorno all’ utile a fine 2016 (per 3,5 milioni). Il primo azionista, presidente e amministratore delegato Urbano Cairo, aveva del resto già anticipato ad aprile che, forte di questi risultati, avrebbe cercato di rinegoziare il rapporto con le banche. «Abbiamo un tasso importante, evidentemente legato a un andamento più problematico del passato che poteva giustificare un premio di extra tasso legato alla maggiore rischiosità – aveva detto – mi sembra che le cose stiano andando piuttosto bene». Il tasso ottenuto da Intesa non è noto, ma di certo Rcs andrà a pagare interessi più bassi. Il nuovo accordo – una linea di credito “term amortising” per 232 milioni e una linea “revolving” di 100 milioni – sembra poi prender atto della minor “emergenza” finanziaria, e fissa solo un vincolo sul rapporto tra indebitamento e margine operativo lordo (non dovrà superare il multiplo delle 3,45 volte a fine 2017, di 3,25 a fine 2018 e in seguito di 3 a fine anno). Il vecchio accordo prevedeva “covenant” anche sul patrimonio netto e il debito complessivo. Secondo gli importi ricordati un anno fa dall’ ex ad Laura Cioli, nel vecchio finanziamento oltre a Intesa (162,4 milioni) figuravano anche Ubi (108 milioni), Unicredit (54,5 milioni), Bpm e Bnl (entrambe per 40,6 milioni) e Mediobanca (17,6 milioni). Allora il finanziamento residuo era di 423,6 milioni (fine marzo 2016), dai 600 del finanziamento ricevuto in origine. Un anno dopo, nel marzo 2017 il prestito bancario si era ridotto a 342 milioni di euro. Intesa Sanpaolo ha affiancato Cairo nell’ offerta risultata vincitrice su Rcs, sia come advisor dell’ Opas (con Banca Imi), sia con un finanziamento alla Cairo Communication. Sempre nell’ operazione l’ istituto aveva fornito all’ editore anche la garanzia di subentrare alle altre banche del finanziamento se queste si fossero avvalse della facoltà di chiedere la restituzione del debito in caso del cambio di controllo. [r. e.] BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Lavoro e dati giudiziari dei dipendenti. L’azienda può trattarli, ma solo se autorizzata dalla legge o dal Garante

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l Garante per la protezione dei dati personali ha rigettato l’istanza di una società che chiedeva di essere autorizzata ad effettuare un trattamento di dati giudiziari dei propri dipendenti non previsto da una adeguata base giuridica [doc. web n. 6558837].

La società, che gestisce ed eroga servizi per clienti pubblici e privati, al dichiarato fine di ottemperare ad una richiesta contrattuale, intendeva infatti raccogliere e utilizzare le informazioni presenti nel casellario giudiziale fornito dai propri lavoratori e comunicarle a una ditta appaltante. Il trattamento dei dati giudiziari era finalizzato a consentire alla ditta appaltante di poter esprimere il proprio gradimento o meno sui lavoratori impiegati nello svolgimento dei servizi, nel caso specifico a bordo dei treni, inquadrati come manovale e pulitore.

Nel respingere l’istanza, l’Autorità ha ribadito che i soggetti privati possono trattare i dati giudiziari soltanto se autorizzati da una espressa disposizione di legge o da un provvedimento del Garante in cui siano indicate le finalità di rilevante interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati e le operazioni eseguibili. Nel caso esaminato dal Garante,  la società non ha indicato, né risulta esservi, una base giuridica (legislativa, regolamentare o contrattuale) adeguata a legittimare quel determinato trattamento di dati giudiziari. Nel Ccnl e nel contratto aziendale di gruppo inoltre, non vi sono disposizioni da cui emerge l’indispensabilità del trattamento dei dati giudiziari dei dipendenti per lo svolgimento delle attività nelle quali saranno impiegati i lavoratori.

La società infine, non ha indicato e comunque non risulta una base giuridica che autorizzi la comunicazione di dati alla società appaltante.

Circolare n. 24 del 06/07/2017 – Credito d’imposta sugli investimenti pubblicitari

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Facciamo seguito alla nostra circolare n. 22/2017 in relazione al credito d’imposta introdotto dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 che ha convertito il decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.

Nella suddetta circolare abbiamo detto che il credito d’imposta è introdotto a decorrere dall’esercizio 2018 per gli investimenti pubblicitari incrementali effettati per campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive locali, analogiche e digitali. Il credito d’imposta è pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti pubblicitari, elevato al 90 per cento per le micro imprese.

Il primo comma dell’articolo 57 bis prevede che: “A decorrere dall’anno 2018, alle imprese e ai lavoratori autonomi che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, il cui valore superi almeno dell’1 per cento gli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi di informazione nell’anno precedente, è attribuito un contributo, sotto forma di credito d’imposta, pari al 75 per cento del valore incrementale degli investimenti effettuati, elevato al 90 per cento nel caso di microimprese, piccole e medie imprese e start up innovative, nel limite massimo complessivo di spesa stabilito ai sensi del comma 3”.

Si pone, quindi, un problema relativo all’annualità da cui decorre l’agevolazione. Infatti, mentre da una lettura più sistematica sembrerebbe che il credito d’imposta compete in relazione agli investimenti incrementali effettuati nel 2018, una diversa interpretazione, più letterale, consente di riferire gli investimenti agevolabili come quelli effettuati nel 2017, attesa la possibilità di fruire del relativo credito d’imposta nel 2018.

La Fieg dà per scontato che l’agevolazione sia di immediata attuazione. Il problema è che in questa fase le imprese editrici dovrebbero promuovere gli investimenti pubblicitari sui propri mezzi con uno strumento, il credito d’imposta, sicuramente molto allettante, anche per l’intensità dello stesso. Ma ciò in assenza dei criteri che verranno fissati in un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro 120 giorni dalla pubblicazione della legge.

Il rischio, quindi, è quello di vendere, letteralmente, un beneficio la cui effettività dipende da un fatto, e da una volontà, del tutto indipendenti sia dall’impresa editrice che dall’inserzionista. Ciò anche tenendo conto che sia l’intensità della misura introdotta, che va dal 75 per cento al 90 per cento degli investimenti incrementali, che l’enorme platea coinvolta da questo beneficio determina un fabbisogno che, a nostro avviso, non potrà trovare copertura nemmeno utilizzando integralmente la dotazione del Fondo per il pluralismo e per l’innovazione.

Naturalmente, appena ci saranno chiarimenti e/o novità, provvederemo a informarVi con apposita circolare.


Rassegna Stampa del 07/07/2017

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Paolo Cognetti vince il Premio Strega

Fake news, Google premia l’ idea di Caltagirone editore

Il Mattino

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ROMA Si è concluso il terzo round del progetto Dni, Digital News Initiative, lanciato da Google, attraverso il quale Big G ha destinato 150 milioni di euro per supportare progetti innovativi nel settore dei media. Tra i premiati c’ è anche il progetto di fact checking Vis, Veritas in silico, di Ced Digital, la digital house di Caltagirone editore, il gruppo che edita Il Messaggero. Per questo terzo round sono stati presentati oltre 988 progetti da 72 Paesi e, di questi, 107 progetti hanno ottenuto un finanziamento da parte di Google. Il totale delle risorse distribuite è stato di 21,9 milioni di euro. Dei 107 progetti finanziati, 49 sono prototipi, ossia progetti ancora agli inizi che hanno bisogno di finanziamenti fino a 50 mila euro, 31 sono progetti di medie dimensioni, che necessitano di finanziamenti fino a 300 mila euro e 27 sono progetti di grandi dimensioni, con un supporto fino ad un milione di euro. La novità di questo round, ha sottolineato Google, è il crescente interesse in esperimenti di fact checking. Tra i progetti selezionati proprio in questo ambito, c’ è anche Vis (Veritas in Silico), proposto da Ced Digital e finanziato con 350 mila euro. Si tratta di un progetto collaborativo basato sulle reti digitali e sull’ intelligenza artificiale, il cui scopo è di accelerare il fact checking e combattere il fenomeno delle fake news direttamente nelle redazioni di testate cartacee e on line, ma anche all’ interno di blog indipendenti. Vis non è in competizione con altri progetti dedicati alle tecnologie per il fact checking come Factmata e Full Fact nel Regno Unito (già beneficiari di fondi Google-Dni) ma mira a sviluppare ulteriormente quanto già fatto con queste esperienze molto specializzate ed esterne alle redazioni dei grandi media per sviluppare uno strumento intuitivo e immediatamente utilizzabile dalle redazioni perché integrato nei sistemi editoriali già presenti, sia per il cartaceo che per l’ online. Il nuovo sistema di fact checking, ha commentato il gruppo Caltagirone, «è un passo importante per innovare il mondo del giornalismo perché aiuterà a identificare e contrastare le fake news. Il nostro scopo», si legge ancora nella nota, «è dare ai nostri lettori informazioni di alta qualità a un costo competitivo». Tra i progetti premiati anche quelli di Mondadori Scienza, Gedi (Gruppo l’ Espresso) e Radio Radicale. a. bas. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Giornalismo digitale, Google premia il progetto del Corriere

Corriere della Sera
Marco Castelnuovo
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DAL NOSTRO INVIATO AMSTERDAM Tra le varie figure che stanno nascendo nella professione giornalistica digitale, una ha un nome curioso: viene definita «elephant man», l’ uomo-elefante. Succede infatti che nelle redazioni da sempre occupate a seguire diversi temi e notizie che arrivano con sempre maggiore frequenza, non ci si accorge dell’ elefante che passa. Di quel tema di cui magari le persone parlano e su cui servono approfondimenti, ma che non trovano online. Le redazioni, semplicemente, non vedono passare l’ elefante. Non riescono cioè a trarre dall’ enorme quantità di dati che arrivano, le analisi giuste per sapere cosa c’ è bisogno di spiegare in quel preciso istante, mentre una notizia (magari falsa) sta diventando virale. Il Corriere della Sera ha messo a punto un progetto che ha vinto il Digital Initiative Fund di Google, un fondo per sostenere iniziative che migliorino la qualità del giornalismo, e potrà sviluppare un software ad hoc. Una piattaforma che riassume in tempo reale i dati che arrivano sia dal sito del Corriere sia dall’ esterno e provi a predire il successo di una notizia. Dove per successo si intende informare al meglio più persone possibili secondo i desiderata dei lettori. È il momento giusto per mandare una notizia in Rete? Ha un titolo corretto, che incontra le ricerche che per esempio i lettori fanno su Google? La parte visiva ha un impatto decisivo nella diffusione e condivisione di un articolo: la foto scelta è corretta? Il formato dell’ articolo è giusto per quel contenuto? Il Corriere predictive news si propone di elaborare un software capace di rispondere a queste domande, in modo che il giornalista possa soddisfare l’ esigenza di un cittadino di essere informato nel modo corretto, tralasciando quel rumore di fondo dei social e del web che rischia di confondere il lettore. Google da due anni mette in palio la possibilità di accesso a un fondo per migliorare la qualità del giornalismo digitale. In questo terzo round, l’ Italia è il Paese che ha ricevuto il maggior numero di finanziamenti per progetti di grandi dimensioni (e il secondo dopo la Germania per valore complessivo finanziato), cioè oltre i 300mila euro. In totale sono stati assegnati progetti di innovazione del mondo dell’ editoria per più di 3 milioni solo in Italia, sul totale di oltre 20 milioni in Europa. Il software predittivo così avanzato nell’ analisi di una mole sempre maggiore di dati sarà uno strumento essenziale per i giornalisti. Capire come portare notizie nel modo corretto migliora il servizio ai propri lettori. E il Corriere è in prima fila.

Fact checking, Google premia l’ idea di Caltagirone Editore

Il Messaggero

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INNOVAZIONE ROMA Si è concluso il terzo round del progetto Dni, Digital News Initiative, lanciato da Google, attraverso il quale Big G ha destinato 150 milioni di euro per supportare progetti innovativi nel settore dei media. Tra i premiati c’ è anche il progetto di fact checking Vis, Veritas in silico, di Ced Digital, la digital house di Caltagirone editore, il gruppo che edita Il Messaggero. Per questo terzo round sono stati presentati oltre 988 progetti da 72 Paesi e, di questi, 107 progetti hanno ottenuto un finanziamento da parte di Google. Il totale delle risorse distribuite è stato di 21,9 milioni di euro. Dei 107 progetti finanziati, 49 sono prototipi, ossia progetti ancora agli inizi che hanno bisogno di finanziamenti fino a 50 mila euro, 31 sono progetti di medie dimensioni, che necessitano di finanziamenti fino a 300 mila euro e 27 sono progetti di grandi dimensioni, con un supporto fino ad un milione di euro. La novità di questo round, ha sottolineato Google, è il crescente interesse in esperimenti di fact checking. Tra i progetti selezionati proprio in questo ambito, c’ è anche Vis (Veritas in Silico), proposto da Ced Digital e finanziato con 350 mila euro. Si tratta di un progetto collaborativo basato sulle reti digitali e sull’ intelligenza artificiale, il cui scopo è di accelerare il fact checking e combattere il fenomeno delle fake news direttamente nelle redazioni di testate cartacee e on line, ma anche all’ interno di blog indipendenti. Vis non è in competizione con altri progetti dedicati alle tecnologie per il fact checking come Factmata e Full Fact nel Regno Unito (già beneficiari di fondi Google-Dni) ma mira a sviluppare ulteriormente quanto già fatto con queste esperienze molto specializzate ed esterne alle redazioni dei grandi media per sviluppare uno strumento intuitivo e immediatamente utilizzabile dalle redazioni perché integrato nei sistemi editoriali già presenti, sia per il cartaceo che per l’ online.Il nuovo sistema di fact checking, ha commentato il gruppo Caltagirone, «è un passo importante per innovare il mondo del giornalismo perché aiuterà a identificare e contrastare le fake news. Il nostro scopo», si legge ancora nella nota, «è dare ai nostri lettori informazioni di alta qualità a un costo competitivo». Tra i progetti premiati anche quelli di Mondadori Scienza, Gedi (Gruppo l’ Espresso) e Radio Radicale. A. Bas. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

News del futuro Gedi si aggiudica i fondi di Google

La Repubblica

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ROMA. Gedi, attraverso la sua divisione digitale e il Secolo XIX, si è aggiudicata i finanziamenti nel terzo round di fondi di Digital News Initiative (DNI), la partnership creata da Google e alcuni editori europei per sostenere il giornalismo di qualità. Per i due progetti, su 7 italiani premiati, Gedi avrà 450 mila euro per Thriving News, piattaforma che permetterà alle redazioni di gestire il lavoro in un modo più innovativo ed efficiente con indicatori predittivi e un marketplace interno per la distribuzione delle notizie. Al Secolo XIX andranno 550mila euro per il suo Journalist Digital Assistant, che utilizza l’ intelligenza artificiale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fondo innovazione Google, Gedi e Corsera tra i vincitori

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Si conclude il terzo round di assegnazione di risorse da parte del Fondo per l’ Innovazione della Dni (Digital news iniziative) di Google: sono stati presentati oltre 988 progetti da 27 paesi ma tra loro sono 107 i progetti che verranno finanziati in 27 paesi, ricevendo in tutto quasi 21 milioni di euro sui 150 totali a disposizione del Fondo. Tra i nuovi temi più seguiti dai progetti in gara emerge il fact checking, l’ intelligenza artificiale, il giornalismo investigativo e ancora la realtà virtuale e quella aumentata. Al terzo round di finanziamenti della Digital news initiative (Dni), la partnership creata due anni fa da Google e alcuni editori europei per sostenere il giornalismo di alta qualità, Gedi Divisione digitale si è aggiudicata 450 mila euro destinati al progetto «Thriving News», piattaforma che permetterà alle redazioni del gruppo editoriale di gestire il lavoro in un modo più innovativo ed efficiente con indicatori utili a coprire i temi giusti al momento giusto, ottimizzando al contempo la distribuzione dei contenuti editoriali sulle pagine social più appropriate. Tra i vincitori del bando c’ è anche Il Secolo XIX, sempre testata del neonato gruppo Gedi, che ha ottenuto 550 mila euro per il suo «Journalist digital assistant», sistema che utilizza l’ intelligenza artificiale, basata sulle tecnologie del machine learning, per la creazione di contenuti. Lo strumento sarà quindi in grado di suggerire autonomamente informazioni e fonti. Ancora, tra i principali progetti italiani finanziati, c’ è «Corriere Predictive News» (Rcs) per gestire ed elaborare la quantità di dati giornalieri che entrano in redazione, mentre «Focus Ar Cms» (Mondadori) contribuirà ad associare facilmente pagine di giornali e contenuti realizzati in realtà aumentata, che aggiornano in automatico l’ applicazione. Ced Digital & Servizi (Caltagirone Editore) creerà infine Vis (Veritas in silico), sistema completo per fact-checking assistito e direttamente integrato con le attuali piattaforme per la gestione dei contenuti.

I fondi Google premiano Il Secolo XIX

Il Secolo XIX

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DUE SU DUE: Il Secolo XIX vede per la seconda volta premiato un proprio progetto dal fondo di Google per lo sviluppo dell’ editoria digitale. Il colosso della Rete con il suo Dni (digital news initiative) fund ha stanziato 150 milioni di euro in 3 anni per aiutare gli editori a migliorare la qualità dei loro prodotti. Il Secolo XIX ha partecipato al primo e al terzo bando, aggiudicandosi in entrambi i casi i finanziamenti. Ampio il lotto dei “concorrenti”: 988 i progetti presentati, provenienti da 27 Paesi. Tra questi Google ha scelto di sostenerne 107, di cui 7 in Italia, con il progetto del Secolo XIX al primo posto come entità dell’ importo. L’ assistente giornalista L’ idea premiata dal Dni fund è stata elaborata dal team del Secolo XIX insieme ad Accenture, società di consulenza che vanta un’ esperienza riconosciuta nell’ ambito di progetti di intelligenza artificiale. Si tratta di fornire alla redazione una sorta di aiutante digitale, sgravando il giornalista in tutto o in parte da alcuni compiti meccanici (ricerca di archivio, fact checking, elaborazione dati, individuazione delle fonti, suggerimento di ipertesti, revisione lessicale sono solo alcuni esempi). Il Journalist Digital Assistant è dunque un progetto che si basa sull’ intelligenza artificiale e sull’ apprendimento automatico della macchina, che attingerà informazioni oltre che dalle memorie digitali del giornale, anche dall’ esperienza quotidiana. L’ elemento umano, dunque, non solo non viene sostituito dalla macchina, ma viene in centivato a utilizzare la propria creatività e capacità di analisi. Il Journalist Digital Assistant sarà esportato e integrato nelle redazioni di altri editori italiani e internazionali inte ressati. L’ obiettivo è dare al lettore contenuti di maggiore qualità, più accurati, completi e approfonditi, con rimandi ampi e puntuali e con meno errori o refusi di testo. Il Dni fund di Google in questo bando ha scelto anche un altro progetto della divisione digitale del gruppo Gedi, di cui Il Secolo XIX fa parte. E’ “Thriving News”, a sua volta basato sull’ intelligenza artificiale, ma finalizzato anziché alla redazione di contenuti, alla gestione del flusso di notizie in arrivo. Gli altri progetti italiani scelti sono stati presentati da Corriere della Sera, Focus (gruppo Mondadori), gruppo Caltagirone, Radio Radicale e OnData.

Mondadori (ri)vive in digitale

Il Foglio

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La Mondadori pare lasciarsi alle spalle la crisi: nel primo semestre 2017 gli introiti pubblicitari aumentano del 15 per cento tra carta e web, “traina ti dal digitale” come dice l’ ad Ernesto Mauri. Un anno fa l’ azienda pagò 45 milioni a Banzai, il maggior gruppo italiano di e -commerce, per siti (Giallo Zafferano, Studenti.it, Pianetadonna, Mypersonaltrainer) con 50 milioni di utenti unici, oltre a un accordo per l’ utilizzo dei dati. La casa di Segrate ha fatto un’ inversione a “U” rispetto alla vecchia strategia aziendale della crescita interna, prima la carta poi internet. Autarchia seguita anche da Rcs – dalla quale la Mondadori ha comprato la divisione libri – che solo in ritardo ha virato sul digitale (il nuovo proprietario Urbano Cairo può ora annunciare la ri negoziazione del debito con Intesa). Og gi Mondadori è il primo editore digitale italiano, e i suoi siti i terzi dopo Google e Facebook. Si afferma così anche in Italia la lezione globalista spiegata al Foglio (24 giugno) da Giuseppe Vita, presidente del gruppo tedesco Axel Springer, primo editore d’ Europa, il cui fatturato viene al 72 per cento dal digitale a sostenere testate stampate famose come la Bild e la Welt. Per non parlare del Washington Post, che nel 2013 è stato salvato dal proprietario di Amazon, Jeff Bezos. Mentre in Francia due giornali da sempre politicamente opposti, il gauchista Monde e il conservatore Figaro, hanno annunciato ieri un’ al leanza in Skyline, nuovo gruppo per la raccolta pubblicitaria sul web. Obiettivo: rompere il monopolio di quello che lì sciovinisticamente chiamano Gafa: Google, Apple, Facebook, Amazon.

Mediaset si dà alla radio e alla Gialappa’ s

Il Fatto Quotidiano
Nanni Delbecchi
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Fermi tutti: abbiamo preso Radio Subasio. Quando Pier Silvio Berlusconi prende la parola davanti ai giornalisti generosamente accompagnati in gita sulla Costa Azzurra, abbronzati ma in chiara crisi di astinenza da notizie, la prima rivelazione è proprio questa: il closing delle trattative per Radio Subasio, magari da ribattezzare Subasiò, alla faccia dei francesi di Vivendì. Pare una battuta, ma alla presentazione dei palinsesti Mediaset niente è come sembra; è serissimo l’ impegno di Mediaset nel costituire un polo radiofonico, ed è altrettanto forte il richiamo della foresta, ovvero il ritorno al mercato domestico, stante il naufragio delle alleanze internazionali. Nel clima di preliquidazione di Premium, Pier Silvio non esclude nemmeno accordi in extremis per l’ ultimo anno di Champions. “Ho capito che con il calcio si perde sempre”, osserva amaro. “Se lo compri perdi soldi, se non lo compri perdi abbonati” (“Ma siccome avete sempre scritto che abbonati ne avevamo pochi”, lo consola il ceo di Premium Marco Giordani, “ne perderemo pochi”). Viva allora la piattaforma in streaming Infinity, viva il pay-per-wiew anche sulla singola partita, e viva la piattaforma Mediaset Play, che permetterà di rivedere qualsiasi programma quando e dove si vorrà. Senza però dimenticare l’ immutabile dna di Mediaset, la Tv generalista. La cena sulla terrazza a mare con vista sul Principato, roba degna di Montalbano, è perfetta per dimenticare la calma piatta del telemercato. Lontani i tempi in cui papà Silvio strappava a suon di milioni gli uomini d’ oro della concorrenza; adesso Pier Silvio glissa con eleganza sia su Fazio (“ottimo professionista, ma non ho mai pensato che avrebbe lasciato la Rai”), sia su Giletti (“ottimo professionista, ma non ci sono trattative in corso”); dopo Nicola Savino, sfila a Viale Mazzini anche la Gialappa’ s Band (un ritorno che indebolisce ancora di più la Rai), ma nega di avere fatto la campagna acquisti di Italia1 con il solo scopo di indebolire Rai2 (“Con Ilaria Dallatana ci conosciamo e ci stimiamo. Ottima professionista”). Pier Silvio stesso non sarà proprio uno che si è fatto da sé, ma è un ottimo professionista: in fase di assoluto fair play, ammette che nella fiction c’ è parecchio da rilanciare. La crisi e la bolla dei canali tematici, spiega, ci hanno costretti a giocare al risparmio, a puntare su melodrammi e soap opera, ma ora si volta pagina. Meno onore, meno rispetto e meno peccati in vista per Gabriel Garko (al massimo, resta la vergogna), e più racconto della realtà, meglio se sorretto dall’ impegno. Pezzo forte dell’ autunno, il ritorno alla fiction di Gianni Morandi con L’ Isola di Pietro, dove interpreta un medico così eroico che, tra una vita salvata e l’ altra, si mette a risolvere delitti. Infine, l’ inevitabile l’ evento. Nei primi mesi del 2018 dovrebbe approdare in prima serata il film di animazione Adrian, scritto e diretto da Celentano. Sono quattro anni che viene annunciato, ormai tutti si sono affezionati all’ annuncio e dispiacerebbe vederlo andare in onda, ma pare proprio che questa sia la volta buona.

Trattativa con Sky per i diritti di Champions

Il Giornale

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Il nodo dolente: Mediaset Premium, la pay tv nata per sfidare Sky, poi entrata in crisi, venduta a Vivendi che ha rotto i patti causando un danno enorme stimato in 341 milioni di euro e portando a risultati «terribili» nell’ ultimo anno. È lo stesso Pier Silvio Berlusconi a riassumere così la situazione del ramo aziendale a pagamento. In attesa di risolvere giudizialmente la questione con Vivendi, si cambiano gli obiettivi: «La priorità non è più il numero di abbonati, ma massimizzare il margine», cioè meno costi e meno clienti. In sostanza: Mediaset non abbandona la gara per i diritti del campionato italiano dal 2018, ma se non andrà a buon fine, terminati i diritti della Champions (2017/2018), Premium non offrirà più il calcio, ma serie, film e documentari. Prevista ovviamente una forte perdita di abbonamenti. Ancora possibile, intanto, un accordo con Sky per cedere alcuni diritti della Champions della prossima stagione (così andrebbe su entrambe le piattaforme) , in modo da alleggerire il carico economico di Mediaset, «ma dipenderà da quanto Sky sarà disposta a spendere».

«Mediaset tornerà all’ utile, danno terribile da Vivendi»

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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montecarlo All’ utile si tornerà. Per parlare di dividendi però «è ancora troppo presto». Il colpevole non tarda a essere indicato: nel bilancio 2016 «le perdite provocate da Vivendi sono state sui 350 milioni di euro. È stato terribile». A Montecarlo, dove nella serata di mercoledì sono stati presentati i palinsesti Mediaset, si percepisce la voglia di lasciarsi alle spalle un’ avventura sfortunata finita a carte bollate e tribunali. Il ripudio da parte dei francesi della piattaforma Premium brucia. «Su Vivendi – dice Pier Silvio Berlusconi – non ci sono novità, né trattative. La vicenda avanza sotto il profilo giudiziario». Si nota l’ amarezza. Anche perché, come precisa poi il cfo Marco Giordani, «la pay tv o si consolida a livello internazionale o si integra con le telco: l’ accordo con Vivendi (che controlla Tim, ndr.) aveva le due strade aperte sia come consolidamento internazionale con Canal+ sia come consolidamento con Telecom». Niente di tutto questo, ma anzi, riprende la parola il vicepresidente e ad di Mediaset «il comportamento di Vivendi ha messo in difficoltà e in imbarazzo anche Telecom. Non escludo accordi ma oggi tutto è più difficile» anche perché «c’ è grande attenzione da parte delle Autorità». Per ora su Premium si agisce cercando di aumentare la marginalità e pensando anche a formule come l’ introduzione della “pay per view” per il calcio (15 euro per singola partita). A questo punto possibile una condivisione dei diritti per la Champions visto che la prossima sarà l’ ultima stagione in cui il gruppo di Cologno avrà i diritti, prima di passarli a Sky? «Ad oggi non ci sono accordi, ma si sente che sta succedendo qualcosa. Le telco sono pronte a fare la mossa: i grandi gruppi vogliono gli eventi per portare abbonati». Le telco, ma «anche Sky potrebbe essere interessata ad avere la Champions con un anno di anticipo». Parole che sanno di apertura alla condivisione, ma «il tempo corre: è qualcosa che va fatto nel prossimo mese o mese e mezzo». Se l’ avventura della Champions sta per concludersi e su quella di Premium in futuro non ci sono grandi certezze (si veda articolo a lato), il gruppo di Cologno sta però aprendo altri capitoli. È stato ufficializzato il closing dell’ acquisto del canale 20 del digitale terrestre. Chiuso poi l’ accordo anche per l’ acquisto di Radio Subasio, per cui ora è atteso l’ ok delle Autorità». Al polo radiofonico di Mediaset (105; Virgin Radio; R101 e partnership con Rmc) si aggiunge Subasio per la quale Mediaset raccoglieva comunque la pubblicità. L’ ad di RadioMediaset, Paolo Salvaderi, ha indicato ricavi 2017 per circa 72 milioni: +7%. In generale la raccolta di gruppo nei primi sei mesi ha avuto, dice Pier Silvio Berlusconi, una crescita «intorno al 2%», in un quadro «complicato e, a livello totale di mercato, in discesa fra il 2,5 e il 3%». Il 2017 è intanto anche l’ anno della sperimentazione per l’ addressable advertising: pubblicità profilata per base geografica e abitudine d’ acquisto anche sulla tv free, grazie a un nuovo protocollo di trasmissione, Hbbtv. Vale solo sulle smart tv e si stima possa pesare il 2% sul totale raccolta pubblicitaria al 2020. Innovazione anche sul versante tecnologico tout court con Mediaset Play, piattaforma per vedere i programmi Mediaset dove e quando si vuole, sfruttando anche funzionalità innovative come i chatbot (esempio di intelligenza artificiale applicata alla tv) e la possibilità di rivedere o riprendere programmi in totale autonomia e su qualsiasi apparecchio (telefonino, tablet, tv). La nuova piattaforma trasmetterà anche produzioni create ad hoc, raccogliendo i frutti degli investimenti del gruppo nei “multichannel network”, quelle realtà che garantiscono ai creatori di video per il web e i social, visibilità e e dunque monetizzazione. Del resto Mediaset ha investito in Studio 71, la più grande rete di produzione e distribuzione multicanale di video. Ultima notazione sui contenuti. Oltre al ritorno della Gialappa’ s e alla serie animata Adrian, di Adriano Celentano, largo all’ intrattenimento, ma anche ritorno alla fiction, con prodotti originali . Parole che suonano dolci per i produttori tv indipendenti che avevano lanciato l’ allarme puntando l’ indice su un immobilismo seguito al bailamme con Vivendi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Svolta a Cologno: ora si punta sulla tv generalista

Il Sole 24 Ore
Simone Filippetti
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Montecarlo La prima fake news nella storia della televisione gira da anni. Almeno dieci. Ancor prima che il neologismo, di cui tutti oggi si riempiono la bocca, venisse inventato. E profetizzava la “morte” della Tv generalista, uccisa dalle pay Tv, da internet e dai social media. Ma siccome la Storia dimostra sempre che niente è più falso delle previsioni, la fine dei canali generalisti e gratuiti non c’ è mai stata. Anzi, casomai, a non sentirsi bene in Italia è invece la Pay Tv. Nella notte dei palinsesti, eccezionalmente trasferita a Montecarlo sulla terrazza dell Hotel Hermitage, Pier Silvio Berlusconi che non risparmia endorsmenet per un ritorno, l’ ennesimo. Del padre in politica («lo dico da italiano, non da figlio»),riporta la rotta su quello che la sua famiglia di editori sa fare meglio e lo fa da quasi 40 anni. Con amara constatazione che «con il calcio si perde sempre», Berlusconi lancia una sorta di ritirata strategica dalla pay tv. La parola switch-off, lo spegnimento del segnale, non è nel vocabolario di Pier Silvio, ma le sue parole suonano un po’ come un mea culpa: «Di errori ne avremo pure fatti, ma nessuno poteva immaginare che il mercato si sarebbe dimezzato». Non si può dargli torto. Nel 2007 le previsioni immaginavano una torta enorme per la Pay tv: 12 milioni di famiglie avrebbero pagato per avere film e sport. Dieci anni dopo la Tv a pagamento in Italia è ferma, e da molto tempo, sulla paludosa soglia dei 6 milioni di abbonati. Non si muovono. Nell’ arena della pay Mediaset c’ era entrata per difendersi: con la Tv generalista data per spacciata, con una sovraofferta di banda, con un mercato in sbornia collettiva da Pay Tv, chi non aveva canali a pagamento era emarginato. Dopo il debutto, il blitz sulla Champions: «Fu una mossa di sviluppo» ricorda PierSilvio, ma fu anche un assalto, senza precedenti, al nemico per strappargli uno dei suoi storici pezzi forti. Il prezzo, col senno di poi ma anche con un po’ di senno di allora, fu esagerato (circa 650 milioni) e con risultati inferiori al previsto. A quel punto in Mediaset hanno capito che bisognava cercare un marito per Premium: ci furono contatti con Al Jazeera, poi si vociferò pure di un clamoroso matrimonio con Sky. Lo sposo fu infine individuato in Vivendi dell’ allora amico Vincent Bollorè. Che però ha ripudiato Premium, lasciando Mediaset nei pasticci, e con un buco in bilancio di 120 milioni. Che succederà ora alla Pay tv? Per un altro anno ancora, Premium trasmetterà in esclusiva Champions League e Serie A (unica tv ad avere entrambe le competizioni). Poi però dalla stagione 2018-2019, la ex Coppa dei Campioni traslocherà (mentre per la Serie A è ancora tutto in alto mare) di nuovo a casa Sky. Dovesse rimanere del tutto senza calcio, con gli abbonati che a quel punto crollerebbero sotto il milione, Premium potrebbe confluire dentro Infinity, la piattaforma pay on demand, magari con una formula commerciale. Qualcuno dei manager presenti ieri sera sussurrava di un modello Spotify della tv. Una base gratuita e dei servizi a pagamento per una clientela ridotta. Anche perché la Pay Tv classica, quella che si fa oggi, «non ha futuro» chiosa Berlusconi: ormai funziona solo con i grandi eventi e le trasmissioni dal vivo, «prodotti costosissimi sui quali il rischio di perdere è altissimo». Le parole “Pay TV” e “Premium” non sono quasi mai state nominate a Montecarlo. Sostituite da parole storiche come TV o pubblico. Altro che social media, altro che Facebook. Oggi il 90% dei giovani si informa ancora con i telegiornali; la metà di loro li ritiene attendibili (contro appena il 20% dei vari social media). E Mediaset ha leadership sul pubblico dei giovani, il più pregiato (ma su questo c’ è una sorta di guerra a distanza con la Rai che ha il primato sugli over 60): la TV tradizionale è più viva che mai. Quello che è morto è il vecchio modo di vederla. L’ immagine della TV “nuovo focolare” attorno a cui la famiglia si riuniva, intuito da Renzo Arbore nella Vita è tutto un quiz, non esiste più. Il consumo di Tv è tutto spezzettato e senza orari. E allora ecco che la TV generalista e gratuita diventerà completamente on demand. Tradizionale, ma con un tasso di innovazione tecnologica altissimo, come dimostra il caso Mediaplay (si veda altro articolo in pagina). Il segnale del cambio di rotta, più che gli annunci o le parole, è sempre però nei numeri: la nuova Mediaset rifocalizzata sulla Tv generalista tornerà in utile già quest’ anno. Non è difficile: il maxi-rosso dell’ Annus Horribilis 2016 era tutto dovuto alla tegola Premium. Una volta sterilizzato quel problema, la macchina torna automaticamente a macinare soldi. Come ha sempre fatto. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Premium, evoluzione verso Infinity

Italia Oggi
DA MONTECARLO ANDREA SECCHI
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«Evoluzione verso Infinity». Sta in questa frase di Pier Silvio Berlusconi l’ ipotesi più probabile sul futuro di Mediaset Premium, la pay tv del Biscione che da un anno a questa parte sta vivendo un momento difficile dopo che Vivendi non ha rispettato il contratto d’ acquisto. E mercoledì sera alla presentazione dei palinsesti di Mediaset a Montecarlo si è parlato molto di come il gruppo possa riuscire a superare l’ impasse di un’ attività non più core con 341,3 milioni di oneri anche a causa della vicenda nel 2016. Infinity è il servizio di streaming on demand, il Netflix di Mediaset: il gruppo non ha ancora deciso esattamente cosa accadrà fra i due business, ma secondo Berlusconi jr. è chiaro che la pay tv tradizionale in generale non ha un grande futuro: «penso che la pay tv classica con un abbonamento alto e con tanti canali lineari sia un po’ arrivata», ha spiegato durante la conferenza stampa chiarendo poi di non aver detto che sia «morta, ma quel tipo di offerta difficilmente avrà sviluppi, superata dalla tv generalista da un lato e dagli ott dall’ altro». In sostanza nel caso che per Premium si avveri lo scenario peggiore nel 2018 previsto dal piano presentato a Londra, ovvero l’ assenza di diritti del calcio, la pay potrebbe essere alleggerita dalla sua struttura e restare sul mercato in altra forma. Per cominciare, però, le partite della prossima stagione Champions saranno vendute anche on demand singolarmente (il prezzo dovrebbe essere di 11 euro). Resta da vedere cosa accadrà con i diritti della Serie A in autunno, e con un vociferato accordo con Tim sul quale però non ci sono «passi concreti». Sul fronte Champions, invece, che dal 2018 passerà a Sky, Pier Silvio si è mostrato possibilista su un’ intesa con altri operatori per i diritti pay per l’ ultima stagione che resta ancora a Mediaset. L’ attenzione è sulle telco ma ovviamente il pensiero va anche a Sky: «avere la Champions con un anno di anticipo potrebbe interessare a Sky», ha risposto Berlusconi jr a una domanda, «ma bisogna chiederlo a loro. Noi potremmo valutare, dipende da diverse cose». A breve, in ogni caso, sarà presentata una nuova politica commerciale di Premium, ha spiegato il cfo del gruppo (oltre che presidente della pay) Marco Giordani, che terrà conto della mancanza della Champions il prossimo anno. Si lavora sui margini, non più sugli abbonati. Ma se il lancio della pay tv era una «mossa difensiva» contro Sky, in cui ammette Pier Silvio, «avremmo fatto tanti errori, ma è anche vero che il mercato non si è mosso», a dare soddisfazione al Biscione è ora la radio la cui raccolta crescerà del 7% nel semestre. Durante la conferenza è stata annunciata l’ acquisizione di Radio Subasio, l’ emittente locale del centro Italia che aiuterà a completare l’ offerta di Radio Mediaset (105, Virgin, R101 e la partnership con Rmc) con la musica italiana (si veda ItaliaOggi di mercoledì). Nessuna nuova acquisizione in vista su altre radio locali, secondo quanto dichiarato. Anche perché, se è vero che Subasio ha una licenza locale, nulla vieta a Mediaset di espanderne la ricezione oltre le regioni del centro-Italia, perché le locali hanno un limite nel numero di ascoltatori raggiungibili (15 milioni), non di tipo territoriale. Il business radiofonico ha la percentuale di crescita maggiore tenuto conto che la tv avrà comunque un segno positivo e il digital crescerà a una percentuale tripla rispetto al mercato, quindi intorno al 2%. In totale i sei mesi del gruppo si sono chiusi con una crescita del 2% dei ricavi pubblicitari. L’ operazione di Subasio deve ora passare per l’ Agcom, mentre è definitivo l’ acquisto dell’ lcn 20 della televisione digitale terrestre da Rete Capri. Mediaset sta lavorando sul tipo di canale da offrire quindi i dettagli per questo, così come dei palinsesti dei canali tematici, si avranno in autunno. Per la tv generalista il gruppo vuole puntare ancora di più sull’ autoproduzione. «Vogliamo sempre più prodotto fatto da noi, più made in Mediaset», ha detto Marco Paolini, direttore generale palinsesto e distribuzione, sottolineando come nel target commerciale (15-64 anni) Mediaset sia stata prima nella stagione 2016/2017 (34,8% contro 30,6% Rai) e come Canale 5 si dimostri più generalista di Rai 1 il cui ascolto si concentra soprattutto sul target dei più adulti. Di sicuro il Biscione negli ultimi anno ha perso terreno rispetto alla Rai sulla fiction. I motivi secondo Alessandro Salem, d.g. contenuti sono stati la moltiplicazione dell’ offerta e dei canali, l’ overdose del genere e soprattutto la crisi del mercato che ha portato a lavorare in maniera difensiva, senza sperimentare come invece ha fatto la Rai. L’ intenzione è ora di ripartire. Sull’ informazione il modello è collaudato, dai tg alla all news, all’ infotainment. Il d.g. informazione Mauro Crippa ha sottolineato il successo del TgCom, il sito news più seguito sul mobile e «primo esempio di integrazione multimediale in Italia», oltre alle 7.600 ore di informazione in un anno. Crippa ha difeso inoltre il ruolo della tv nelle news: «se un editore parla a tutti in maniera contemporanea e tutti questi sono milioni di persone e dice una fesseria, una fake news, viene scoperto immediatamente e deve risponderne. Dietro una notizia c’ è un professionista, un conduttore, che va a cercare una notizia e ci mette la faccia». Ma c’ è un’ altra novità che Mediaset dovrebbe lanciare entro 2018: Mediaset Play, una sorta di Rai Play (il nome è simile, ma già Premium Play esiste da molti anni, sottolineano) con contenuti in streaming live e on demand ma con funzioni che sono tipiche di un servizio pay, alcune presenti sul MySky: rivedere dall’ inizio un programma in corso, riprendere la visione dal punto in cui si era lasciata su un diverso dispositivo, ricevere notifiche personalizzate, scaricare per guardare successivamente e così via. Si tratta del lavoro del gruppo guidato da Pier Paolo Cervi, a capo del digital dallo scorso anno. Un’ evoluzione dell’ attuale Mediaset on demand che sarà fruibile da diversi dispositivi e soprattutto dalle smart tv, l’ ambiente in cui saranno servite le pubblicità personalizzate, la cui raccolta dovrebbe pesare per il 2% del totale entro il 2020. Sia Mediaset Play, che Premium e Infinity potrebbero essere però i tasselli di un disegno più ampio, ancora non annunciato, che porterà a creare una tv stile Spotify, modello freemium: una piramide con alla base contenuti gratuiti e successivamente offerte e pacchetti differenziati con contenuti più pregiati a pagamento in diverse forme per acquisto singolo o per pacchetti. © Riproduzione riservata.

Tv in ripresa ma segnali timidi

Italia Oggi
MARCO LIVI
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«La crisi del settore televisivo locale non conosce fine. La raccolta pubblicitaria è letteralmente crollata, i ricavi totali sono passati da 647 milioni di euro in era analogica a 318 milioni di euro nel 2015. Dal 2008 al 2015 il settore ha accumulato perdite per oltre 210 milioni di euro, che hanno intaccato pesantemente il capitale sociale delle aziende e bruciato le ricapitalizzazioni effettuate dai soci negli anni». Lo ha detto il presidente di Confindustria Radio Televisioni (Crtv), Franco Siddi, durante il suo intervento all’ Assemblea annuale 2017 di ieri a Roma. «Imprese televisive storiche da nord a sud hanno cessato l’ attività, per liquidazione volontaria o, peggio, per fallimento. Stiamo perdendo quote di un patrimonio unico, di libertà e pluralismo, di presidio informativo del territorio, di conoscenze. Stiamo perdendo centinaia di professionisti, giornalisti, tecnici, amministrativi», ha sottolineato Siddi. Nonostante ciò «ci sono ancora 70-80 emittenti locali che, con grandi sforzi economici, creano occupazione e forniscono un servizio informativo, di comunicazione, promozione e pubblica utilità sul territorio. Queste aziende proseguono il loro imprescindibile servizio di editori, in attesa di una seria riforma di sistema». Ci sono inoltre «Timidi segnali di ripresa», ma a bassi margini e al di sotto dei livelli pre-crisi». Per Siddi il sistema dei media globalmente inteso, può svolgere un ruolo importante «sia per mettere a fuoco i canali di intervento più utili, sia per invertire un clima di sfiducia permanente facendo comprendere le ragioni di un investimento e di un’ iniziativa industriale avanzata. Viviamo nell’ era della connessione sempre e ovunque e della globalizzazione. In questo contesto, particolarmente sfidante per le industrie e gli operatori nazionali, c’ è un’ unica certezza: all’ aumentare della capacità delle reti aumenta la richiesta di servizi e contenuti, soprattutto audiovisivi». Il presidente di Crtv ha affrontato anche il tema della concorrenza sleale degli gli over the top, che in pochi anni «hanno creato posizioni dominanti a livello globale e nazionale sfruttando il vantaggio competitivo offerto loro dall’ assenza di paradigmi normativi e regolamentari, senza doveri (e oneri) a tutela di diritti fondamentali ed eludendo la contribuzione fiscale nazionale. Ma il clima sta cambiando, come dimostrano le iniziative in tema fiscale intraprese in diversi Paesi, tra cui l’ Italia con la citata proposta di legge Mucchetti, nonché le multe comminate dalla Ue alle multinazionali della rete». Ovviamente «non si chiede certo di fermare l’ evoluzione e l’ innovazione. Si chiede di gestire il cambiamento ponendo le basi per una equa competizione nel sistema esteso alla rete». Dal canto suo il commissario dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Antonio Martusciello ha sottolineato la necessità di «garantire un nuovo framework regolamentare, capace di assicurare allo stesso tempo protezione, monetizzazione e distribuzione dei contenuti, nonché il corretto dispiegarsi del gioco concorrenziale tra gli operatori». Il commissario Agcom ha spiegato che il contenuto viaggia sulla rete indipendentemente dal mezzo per il quale è stato in origine prodotto ma tale accessibilità risulta però ancora «priva di una cornice normativa capace di fornire un’ adeguata tutela dell’ opera alla luce dei mutamenti tecnologici». © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Repubblica, Bellasio a capo degli esteri. Daniele Bellasio approderà al quotidiano diretto da Mario Calabresi dopo la metà di luglio, lasciando il Sole 24 Ore dove ricopre oggi la carica di caporedattore centrale web. Con un passato professionale anche al Foglio tra gli altri, si è occupato di esteri ed economia. Bellasio sostituisce Stefania Di Lellis, che passa al settimanale di Repubblica il Venerdì come inviata. Famiglia Cristiana, giornalisti in stato di agitazione. I giornalisti di Famiglia Cristiana, Credere e Jesus (tutte testate edite dalla Periodici San Paolo) hanno proclamato lo stato di agitazione contro la disdetta del contratto collettivo aziendale, affidando al comitato di redazione altri 12 giorni di sciopero che si aggiungono ai 12 già votati a inizio dello scorso marzo (vedere ItaliaOggi del 4/7/2017). Gazzetta di Modena diventa oggetto di cult su eBay, dopo il concerto di Vasco. È diventato un oggetto di culto il numero della Gazzetta di Modena, diretta da Enrico Grazioli, in edicola il 2 luglio scorso con la cronaca del maxi concerto a ModenaPark e la copertina poster dedicata Vasco Rossi. Ventimila copie esaurite in edicola (il doppio della diffusione abituale) già nelle prime ore della mattina, le 16 pagine sull’ evento ristampate come fascicolo in regalo, nel giornale uscito il mercoledì successivo. Pagine nel frattempo finite anche all’ asta su eBay con quotazioni fino a 20 euro mentre arrivano richieste dei numeri arretrati, compreso quello di giovedì 29 giugno con l’ inserto di presentazione (40 pagine di guida, biografia, canzoni, foto con i fans, ricordi di amici e colleghi, aneddoti e curiosità aperti da una copertina disegnata dall’ artista Marco Lodola). Le copie arretrate sono disponibili in versione digitale sul sito http://quotidiani.gelocal.it/edicola/gazzettadimodena/offertacopiasingola.jsp Vogue Italia, via al nuovo corso. È in edicola il primo numero del nuovo corso di Vogue Italia, firmato da Emanuele Farneti. Il mensile di Condé Nast è stato ripensato nei contenuti, nella grafica, nella carta e nel formato. Ad affiancare Farneti ci sono i nuovi vicedirettori Alan Prada, che si occuperà del magazine, e Sara Maino per i progetti speciali moda e di Vogue Talents. Fieg e Ferpi sulle derive dell’ informazione. Si è tenuto ieri a Roma l’ incontro organizzato dalla Federazione italiana editori giornali e dalla Federazione relazioni pubbliche italiana, dal titolo «Fieg e Ferpi sulle derive attuali dell’ informazione e del comunicare». Il confronto parte dal libro, edito da Hoepli, di Diomira Cennamo e Carlo Fornaro Professione brand reporter. Brand journalism e nuovo storytelling nell’ era digitale. Nel parterre Fabrizio Carotti, d.g. di Fieg, Daniele Chieffi, consigliere nazionale Ferpi ed head of digital pr di Eni, Andrea Falessi, direttore relazioni esterne di Open Fiber, e Paolo Iammatteo, responsabile comunicazione di Poste Italiane. Ford Italia, Mecacci è il nuovo capo ufficio stampa. Monica Mecacci è la nuova chief press officer di Ford Italia. Prima dell’ attuale nomina, ha ricoperto il ruolo di brand manager large cars.

Copie, si salvano solo 10 mensili

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Sono dieci i mensili in terreno positivo sui 57 complessivi rilevati da Ads lo scorso aprile. Tra le principali testate, confrontate con lo stesso mese del 2016, hanno il segno positivo davanti alle diffusioni carta+digitale Cotto e mangiato (+14,9%), Cucinare bene (+14,7%), Bell’ Europa (+8,1%), Elle (+3,9%), Casa in fiore (+1,2%) e ancora Bell’ Italia (+0,4%). Se non per qualche caso in più di crescita, i dati resi noti ieri non si discostano molto dalle precedenti indagini, che fotografavano un settore con pochi aumenti nelle diffusioni complessive carta+digitale e senza un tema particolare che sapesse attirare lettori. In particolare, i dati di ieri riguardano eccezionalmente i soli mensili visto che quotidiani e settimanali ad aprile sono stati già comunicati ma soprattutto perché il prossimo 20 luglio Ads renderà disponibili i nuovi trend di maggio, sia per i quotidiani sia per i settimanali sia per i mensili, in modo da «rendere omogenea la pubblicazione dei dati a seguito dell’ entrata in vigore del nuovo regolamento Ads edizioni digitali approvato il 3 febbraio scorso», hanno fatto sapere ieri dalla stessa società di certificazione Accertamenti diffusione stampa. Tornando agli andamenti dei mensili ad aprile, il segno negativo continua a dominare il segmento editoriale: ci sono i femminili Cosmopolitan (-25,5%), Glamour (-15%), Vogue (-14,7%) e Amica (-9,5%). Ci sono i maschili For men magazine (-11,5%) e Gq (-4,8%). Compaiono sia testate come Casa facile (-12,6%) e Ad (-7,3%) sia quelle dedicate ai motori (Quattroruote -14,2%, Al volante -6,8%, In sella -5%). Tra i culinari, Cucina moderna è a -41,9%, Cucina no problem a -22%. Completano la panoramica Dove (-15,7%), Focus (-12,1%), Airone (-13,1%). Invece la classifica a 10 dei più diffusi tra carta e digitale vede, nell’ ordine, Al volante, 50 & Più, Focus, Cose di casa, Quattroruote, Io e il mio bambino, Glamour, Casa facile, Touring e Silhouette donna. In edicola, da notare che in alcuni casi l’ andamento passa in positivo, rafforza il trend complessivo al rialzo o aiuta ad arginare le perdite. Così tra gli altri per Amica (+7,6%), Bell’ Europa (+19,5%), Marie Claire (+8,9% rispetto a -0,6%), Casa in fiore (+1,7% da +1,2%) e per Cucina italiana (a -2,7% da -9,5%). Non mancano comunque i casi in cui l’ edicola accentua l’ andamento diffusionale al ribasso: in edicola Glamour è a -24,6%, Vogue a -18,4% e Quattroruote a -17,4%. I primi 10 mensili in edicola sono Al volante, Cose di casa, Silhouette donna, Casa facile, AM Automese, Quattroruote, Focus, Elle, Casa in fiore e Guida cucina. Infine i mensili che puntano sul digitale sono soprattutto Focus (12,8%), Quattroruote (-6,5%), Focus junior (+3,8%), Cucina moderna (-10,5%), Sale & Pepe (-4,2%), Casa facile (-3,6%), Focus Storia (-0,4%), Dove (-16,8%), PleinAir (a 12.340 copie da 4.293), Cucina italiana (-5,3%).

‘Corriere dello Sport – Stadio’ e ‘Tuttosport tornano alle Baleari per l’ estate 2017

Prima Comunicazione

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Come nel 2016, i quotidiani ‘Corriere dello Sport – Stadio’ e ‘Tuttosport’ tornano alle Baleari anche questa estate. Fino al 3 settembre i due quotidiani saranno distribuiti anche in tutte le edicole e rivenditori di Ibiza, Formentera, Palma di Maiorca e Minorca. Secondo l’ Istituto di Statistica delle Isole Baleari nel 2016 sono giunti in queste isole 15.402.120 viaggiatori, di cui 689.801 (il 5,6% in più rispetto al 2015) provenienti dall’ Italia, precisa una nota dell’ editore.

I dati Ads di diffusione della stampa dei mensili ad aprile

Prima Comunicazione

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I dati Ads stimati dagli editori, riferiti al mese di aprile per le testate a periodicità mensile. Ads – Accertamenti Diffusione Stampa è la società che certifica e divulga i dati relativi alla tiratura e alla diffusione e/o distribuzione della stampa quotidiana e periodica di qualunque specie pubblicata in Italia. In una nota , la società ha segnalato che il 20 luglio 2017 saranno disponibili i nuovi dati mensili stimati relativi al mese di maggio 2017 per tutte le testate (quotidiani, settimanali e mensili), sottolineando che l’ anticipazione della pubblicazione dei dati delle testate a periodicità mensile costituisce “un’ eccezione una tantum, per rendere omogenea la pubblicazione dei dati a seguito dell’ entrata in vigore del nuovo Regolamento Ads edizioni digitali approvato il 3 febbraio scorso”. Il 7 agosto 2017 saranno disponibili poi i dati mensili stimati relativi al mese di giugno 2017 per le testate a periodicità quotidiana e settimanale. Nel mese di settembre, invece, saranno disponibili i nuovi dati mensili stimati relativi al mese di giugno 2017 per le testate a periodicità mensile e i nuovi dati mensili stimati relativi al mese di luglio 2017 per le testate a periodicità quotidiana e settimanale. MENSILI – I dati dei mensili ad aprile 2017 (.xls)

Google-Youtube: pubblicità oltre quota 1,6 miliardi

MF
ANDREA MONTANARI
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Un trend inarrestabile. È questo ciò che accade alla raccolta pubblicitaria di Google. Il colosso di Mountain View, freso di multa europea monstre d 2,42 miliardi di euro (poco meno del 3% del fatturato annuo della società americana), continua a incamerare spot, attingendo sempre più quote di mercato agli altri mezzi d’ informazione tradizionale. L’ ultimo aggiornamento – i dati non sono mai ufficiali e difficilmente ci sono riscontri oggettivi – fa riferimento a un incasso atteso per il 2017 superiore a 1,6 miliardi. Questo almeno è ciò che si apprende da un rapido giro d’ opinioni tra competitor e centri media. Ovviamente a contribuire al successo del big fondato da Larry Page e Sergey Brin c’ è anche Youtube. L’ accoppiata, in Italia, si sta consolidando in maniera significativa, al punto che ormai Google è il secondo media in termini pubblicitari dopo Mediaset (2,16 miliardi nel 2016, per una quota di mercato complessiva vicina al 34%) e vale quasi quanto tutti gli altri network televisivi nazionali (Rai, Sky, Discovery e La7). Il tutto ovviamente a fronte di bilanci che non raccontano questo boom impetuoso: perché l’ ultimo documento contabile disponibile, quello relativo all’ esercizio 2015, fa riferimento a un giro d’ affari di 65,5 milioni e un ebitda di 9,24 milioni. Nulla rispetto al reale valore dei volumi incamerati dal big americano. E se Google viaggia ben oltre la soglia degli 1,6 miliardi, Facebook continua a macinare percentuali di crescita esplosive. Quest’ anno, infatti, dovrebbe chiudere con una raccolta in aumento di oltre il 40%: nessun altro player ottiene questo risultato. Il totale degli spot che saranno incassati dal progetto sviluppato da Mark Zuckerberg ammonterà ad almeno 430-440 milioni. Il saldo complessivo tra il motore di ricerca più famoso al mondo e il social network più diffuso su scala globale supererà abbondantemente i 2 miliardi di raccolta. Un terzo, almeno, dell’ intera torta pubblicitaria, in un anno, il 2017, privo di eventi di grande richiamo (nel 2016 c’ erano stati gli Europei di calcio e le Olimpiadi brasiliane). Per questo da tempo si chiede trasparenza nei numeri e nei bilanci. E per questo Fieg, Upa, Assocom, Netcomm, Iab Italia, Fcp, Unicom e Fedoweb hanno dato alle stampe il Libro bianco della comunicazione digitale. E a più riprese chiedono, per ora senza ottenere risposte concrete, la collaborazione di Google e Facebook. (riproduzione riservata)

“Il futuro è multi-piattaforma e non lineare”

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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Una Mediaset sempre più digitale, multipiattaforma e che guarda al modello di Spotify, si prepara a rivoluzionare Premium. «Siamo convinti che la pay-tv classica, con abbonamenti alti e tanti canali lineari che trasmettono 24 ore al giorno, sia un po’ arrivata», dice l’ ad Pier Silvio Berlusconi a Montecarlo, alla presentazione dei palinsesti. Un anno dopo il grande strappo di Vincent Bolloré, che di punto in bianco con la sua Vivendi ha detto «no grazie» all’ acquisto già pattuito di Premium, Mediaset ripensa la strategia di un business ormai fermo. Premium, ricorda Berlusconi era nata «con un obiettivo difensivo» anti Sky, ma – anche dopo il «passo per lo sviluppo» con gli investimenti nel calcio – «non ha funzionato come si pensava, il mercato pay non è cresciuto». Premium «non è morta», sottolinea Berlusconi, ma cambierà: sposerà il modello leggero degli «over the top» alla Netflix, a partire dal prezzo: da subito venderà singole partite, a 15 euro l’ una. «L’ evoluzione di Premium – spiega Berlusconi – va verso Infinity (piattaforma web di contenuti disponibili on demand, ndr), anche se è presto per dire se diventeranno la stessa cosa». Sempre disponibili Del resto con l’ arrivo di Mediaset Play – che, prevede il direttore finanziario Marco Giordani, «se siamo veloci debutterà a gennaio» – tutti i programmi in chiaro del Biscione diverranno sempre disponibili in tv, su pc, smartphone e tablet, gli utenti saranno profilati con spot su misura che porteranno al gruppo, entro il 2020, un 2% di ricavi in più. In futuro, chi vorrà evitare la pubblicità e avere più servizi (film in anteprima, per esempio) potrà farlo pagando (poco) sul modello di Spotify, che lo fa per la musica. Nel mentre Mediaset si accaparra una nuova radio, Subasio, e compra il canale 20 del digitale terrestre. E Premium? Non punta più a far crescere gli abbonati, ma ad aumentare i margini contenendo i costi. Berlusconi sembra credere poco a un nuovo accordo con Bolloré. Su quel fronte, assicura, «non ci sono novità, se non giudiziarie, niente trattative o negoziazioni». Non è servito a granché il colloquio di Pier Silvio Berlusconi con l’ ad francese Arnaud de Puyfontaine di qualche mese fa, né il finora inedito confronto con lo stesso Bolloré che, a quanto si racconta, di fronte alle rimostranze dell’ ad di Mediaset («I contratti si rispettano!») avrebbe risposto con frasi di circostanza: «Mi dispiace… È stato un mio sbaglio». Le nozze con Tim Nell’ entourage di Mediaset restano convinti che «Tim ha bisogno di Premium, con cui potrebbe fare importanti sinergie». Ma Berlusconi jr è realista: il fatto che Tim sia in mano ai francesi «ci imbarazza entrambi» e rende «tutto più difficile», pure immaginare un accordo sui diritti del calcio, «anche se non lo escludo». Accordo che per l’ asta della Champions è stato reso impossibile proprio dagli intrecci azionari di Vivendi. Mediaset comunque «giocherà la sua partita» per la Serie A per Premium. Per l’ ultima stagione di Champions, invece, è pronta a stringere accordi. E, segno dei tempi che cambiano, cade anche un vecchio tabù: «Sky – dice Berlusconi – potrebbe essere interessata ad avere la Champions un anno prima. Dipende da quanto è disposta a pagare». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Caltagirone Editore, “il prezzo non è giusto”

La Repubblica
SARA BENNEWITZ
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MILANO. Il prezzo dell’ offerta promossa dalla famiglia Caltagirone sulla Caltagirone Editore è da rivedere. Lo dicono alcuni investitori padroni del 4,4% della società, e lo dice il mercato dato che il titolo è sempre stato sopra i valori dell’ Opa volontaria. Lo scorso 9 giugno, Chiara Finanziaria (società veicolo che fa capo alla famiglia Caltagirone) ha offerto un euro per azione per il 32% del capitale che è flottante sul mercato. Ma ieri a Piazza Affari il titolo ne valeva 1,2. Alcuni fondi azionisti, invece, ritengono che il titolo varrebbe almeno 3,85 euro. Per questo hanno scritto a Consob e Borsa spa, denunciando «il tentato esproprio ai danni delle minoranze» e chiedendo un intervento delle autorità. Stando ai bilanci della Caltagirone Editore, infatti, tra le azioni proprie (2,3 milioni di titoli), la liquidità (134 milioni di euro) e le partecipazioni immediatamente liquidabili come la quota in Generali (altri 83 milioni), solo la cassa del gruppo vale il doppio di quanto offerto, somma a cui si devono aggiungere gli immobili (60 milioni di euro) e l’ attività editoriale. Secondo l’ analisi dei fondi, le testate possedute, tra cui Il Messaggero, Il mattino, Il Gazzettino, il Quotidiano di Puglia e il Corriere Adriatico, hanno un valore nel bilancio 2016 che è esattamente il doppio rispetto alla valutazione offerta da Chiara Finanziaria. Qualcuno fa notare che ormai il gruppo è assimilabile a una holding, e in quanto tale è normale applicargli uno sconto rispetto al valore dei suoi asset, ma qualcun altro ricorda che quando nel 2000 Caltagirone Editore venne collocata in Borsa, i proventi dell’ Ipo sarebbero dovuti servire a finanziare gli investimenti nell’ editoria, invece furono investiti anche in partecipazioni finanziarie, come quella in Generali, che nulla hanno a che vedere con il core business. «Come investitori di minoranza, tra cui alcuni dai tempi dell’ Ipo a 18 euro – si legge nella missiva – chiediamo aiuto e protezione a Consob e Borsa Italiana». Peraltro tutte le ultime operazioni di riassetto da parte della famiglia Caltagirone, come quella su Vianini Lavori, lanciata nel 2015 e quella di Vianini Industria del 2016, sono state contestate dagli azionisti di minoranza. Conclusa l’ Opa sulla Vianini Lavori a 6,8 euro, è arrivato un dividendo straordinario di 7,3 euro ai soci che non avevano aderito. In quell’ occasione, ricordano i fondi azionisti di Caltagirone Editore, gli advisor «erano la stessa Leonardo & Co e il professor Enrico Laghi», chiamati ora ad esprimersi dalla società e dai consiglieri indipendenti della stessa, sulla congruità dell’ Opa di 1 euro. Quanto alla Vianini Industria, che si è fusa con l’ immobiliare Domus, oltre alla causa intentata da alcuni ex soci, è in corso un procedimento sanzionatorio da parte della Consob. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Così la pubblicità della Regione riempie le casse del giornale di Storace

La Repubblica

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LA CRISI si fa sentire e la carta stampata non ne è di certo immune. Non è un segreto che allora i quotidiani, piccoli o grandi che siano, vivano anche e soprattutto di pubblicità. Capita, dunque, che pure il Giornale d’ Italia dell’ ex governatore Francesco Storace si trovi a sondare il mercato per rimpinguare le casse. Curiosità: nell’ ultima settimana, l’ unica inserzionista ad acquistare spazi sul foglio pubblicato dal fondatore de La Destra è stata la Regione. Ecco l’ inserzione dell’ Arsial, l’ Agenzia regionale per lo sviluppo e l’ innovazione dell’ agricoltura del Lazio. In primo piano una stretta di mano, sullo sfondo un campo coltivato e poi lo slogan: “Passione che diventa sistema”. Quindi uno specchietto con lo stemma della Pisana: “La Regione informa”. Sul sito, poi, ecco le inserzioni delle Asl, dell’ Astral e dell’ Aremol. Tutte emanazioni più o meno dirette della Regione. Una mano santa per una srl in difficoltà, con diverse decine di migliaia di euro di debiti e una trattativa per la cessione della testata all’ orizzonte. NSOMMA, nonostante gli aiuti della Regione sotto forma di inserzioni pubblicitarie, il Giornale d’ Italia potrebbe non farcela. E, come temono i cronisti in attesa degli arretrati accumulati negli ultimi mesi, sventolare bandiera bianca. Il futuro del quotidiano ora dipende da Francesco Storace e dagli altri titolari delle quote della testata. L’ ex governatore e vice presidente del consiglio regionale è proprietario del 25 per cento del giornale, proprio come Roberto Buonasorte, ex consigliere e attuale capo segreteria di Storace. Azionista di maggioranza, con il restante 50 per cento, è un altro collaboratore del numero uno della Destra, Daniele Belli. Nelle casse della loro creatura, la “Amici del Giornale d’ Italia”, entrano ogni anno migliaia di euro della Regione. Nel 2014 erano stati 18.300. Ma l’ abbraccio tra la Pisana a guida Pd e il vecchio presidente della Regione, in teoria alfiere dell’ opposizione più dura, continua anche oggi. Per ora, infatti, gli attacchi del M5S («è un palese conflitto d’ interessi ») e del consigliere Fabrizio Santori di Fratelli d’ Italia sono caduti nel vuoto

Paolo Cognetti vince il Premio Strega

Il Sole 24 Ore

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«Sono arrivato fino a qui, ma so da dove arrivo. Saluto i miei amici della montagna»: così Paolo Cognetti (nella foto) ha commentato la sua vittoria del Premio Strega ieri a Roma, a Villa Giulia, conquistato con 208 voti con il romanzo “Le otto montagne” (edito da Einaudi). Seconda classificata Teresa Ciabatti, con 119 voti, con “La più amata” (Mondadori), a seguire Wanda Marasco, con 87 voti, con “La compagnia delle anime finte” (Neri Pozza), Matteo Nucci con 79 voti con “E’ giusto obbedire alla notte” (Ponte alle grazie) e infine Alberto Rollo, con 52 voti, con “Un’ educazione milanese” (Manni).

Famiglia Cristiana, continua lo sciopero dei giornalisti

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Prosegue l’agitazione dei giornalisti di Famiglia Cristiana, Credere e Jesus. Dopo i tre giorni di sciopero, dal 29 giugno al 3 luglio, il Cdr della Periodici San Paolo ha diramato una nota in cui si esprime tutta la preoccupazione per le rigidità dell’azienda e la mancanza di prospettive per i giornali del gruppo.

Proclamare lo sciopero, spiegano i giornalisti, è stata «una decisione molto grave, che ha pochissimi precedenti nella lunga storia dei nostri giornali. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la disdetta, con atto unilaterale, da parte dell’azienda, di tutti gli integrativi aziendali di giornalisti e impiegati e di tutti gli altri accordi firmati nel corso degli anni».

La decisione di proclamare lo sciopero, tuttavia, «è una risposta che va oltre quest’atto, pur dirompente, dell’azienda e ha a che fare – prosegue la nota – con la preoccupazione non per il mantenimento di inesistenti privilegi, ma per la difesa del nostro futuro, dei nostri posti di lavoro, delle nostre famiglie e per assicurare la qualità dei prodotti, cartacei e online, sempre più minacciata».

Per questo l’assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, all’unanimità, ha proclama lo stato di agitazione, affidato al Comitato di redazione un ulteriore pacchetto di 12 giorni di sciopero che vanno ad aggiungersi ai 12 già approvati dall’assemblea del 1° marzo 2017 e rinnovato al Cdr la delega piena «a mettere in atto in qualsiasi momento tutte le azioni di lotta e di protesta che riterrà opportune».

L’assemblea, infatti, mette in risalto come «da tempo, ormai, denunciamo un progressivo deterioramento dei rapporti con i vertici aziendali; osserviamo preoccupati l’accentramento di poteri e funzioni nelle mani di pochi, se non di uno solo; lamentiamo la pressoché totale assenza di progetti e investimenti per il futuro che impoverirà la presenza e l’autorevolezza di Famiglia Cristiana e delle altre testate del gruppo San Paolo, punti di riferimento da decenni per la Chiesa e la società italiane».

Ben consapevoli della situazione difficile in cui versano l’azienda e il comparto editoriale in Italia, i redattori ricordano di aver «senza tema di smentita, dimostrato in questi anni massima disponibilità a collaborare, fare pesanti sacrifici anche economici (due anni di contratto di solidarietà al 30% e due anni di Cassa integrazione al 22-23%) e dialogare con i vertici aziendali al fine di poter proseguire il nostro lavoro al servizio dei lettori e del Paese. Non possiamo fare a meno di osservare, però, che, a fronte di una crisi che ha investito tutto il mondo dell’editoria, altre aziende l’hanno affrontata non solo con tagli sui costi e sul personale, ma avviando nuove iniziative, rivitalizzando i prodotti e lanciando nuovi modi di fare comunicazione sul territorio».

Da qui la richiesta all’editore di impegnarsi ad investire sul futuro delle pubblicazioni e, «nel caso in cui l’azienda dimostrasse, nei fatti e non solo a parole, una reale volontà di apertura e di dialogo», l’assemblea dei giornalisti dà mandato al Cdr «di avviare immediatamente una trattativa». (Fnsi)

Operatori di rete tv: scadenza del 31 Luglio per il pagamento dei contributi per l’uso delle frequenze digitali

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Entro il 31 Luglio 2017 gli operatori di rete televisiva devono pagare i contributi per l’uso delle frequenze digitali. Per facilitare il calcolo per gli operatori di rete televisiva locali si fornisce una Tabellaesemplificativa con l’indicazione degli importi dovuti per l’intera copertura di province e regioni ed al lordo di eventuali sconti applicabili ai sensi dell’art. 2 c. 4 del D.M. 13 aprile 2017. Tali valori sono stati calcolati sulla base dei valori di riferimento fissati per l’anno 2017 per ogni regione all’art. 2, c.1 del citato D.M. e del numero di abitanti secondo i dati dell’ultimo censimento ISTAT, con l’applicazione dell’aliquota contributiva del 6,5% , indicata all’art. 2 c. 3 dello stesso D.M.

Il decreto 13 aprile 2017 stabilisce l’importo dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze televisive in tecnica digitale dovuti per l’anno 2017 e gli eventuali sconti od esoneri. Il pagamento va effettuato entro il 31 luglio di ogni anno mediante bonifico bancario
IBAN: IT 30N 01000 03245 344 0 18 2569 01
intestato alla Tesoreria Provinciale dello Stato di Viterbo
con la causale obbligatoria: “Contributi per i diritti d’uso delle frequenze digitali anno … da affluire al CAPO XVIII CAPITOLO 2569 art. 1.” Per gli operatori di rete locali è obbligatorio indicare nella causale l’Identificativo della rete e la Regione. Le attestazioni di pagamento devono essere inviate alla casella di posta elettronica certificata: dgscerp.entratetv@pec.mise.gov.it
Per facilitare il calcolo per gli operatori di rete televisiva locali il Ministero fornisce una Tabella esemplificativa con l’indicazione degli importi dovuti per l’intera copertura di province e regioni ed al lordo di eventuali sconti applicabili ai sensi dell’art. 2 c. 4 del D.M. 13 aprile 2017.

Rassegna Stampa del 08/07/2017

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“Orfeo vuole galleggiare in Rai, non cambierà l’ informazione”

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Il futuro della carta stampata tra brand reporter e rivoluzione digitale al centro del convegno Fieg-Ferpi. I nuovi soggetti devono assumersi la responsabilità del ruolo che stanno giocando

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“Orfeo vuole galleggiare in Rai, non cambierà l’ informazione”

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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La riforma dell’ informazione in Rai non vedrà mai la luce e, dunque, neanche il progetto sul web di Milena Gabanelli. Mario Orfeo non ha le caratteristiche per realizzarla e non ne ha nemmeno l’ interesse. Non glielo chiederanno neppure. Dovrà solo gestire l’ esistente. Fossi stato in lui, sarei rimasto al Tg1″. Angelo Guglielmi, colui che tra il 1987 e il 1994 fece diventare grande Raitre scoprendo innumerevoli talenti televisivi e ideando programmi che ancora oggi vanno in onda, guarda sconsolato agli ultimi avvenimenti a Viale Mazzini che, ancora una volta, hanno dimostrato come la vera padrona della Rai sia la politica. “Anch’ io venni nominato direttore grazie a un partito, il Pci, cui la lottizzazione – che allora era più esplicita e forse migliore – aveva attribuito il terzo canale. Ma fui fortunato, perché l’ interesse del Pci in quel momento non era controllare Raitre ma migliorare i suoi numeri. Così ebbi mano libera e gli ascolti decollarono”. Direttore, cosa ne pensa del cambio alla guida di Viale Mazzini? Chiariamo un punto: Campo Dall’ Orto non se n’ è andato, è stato cacciato, proprio quando ha provato a proporre una riforma dell’ informazione ragionevole. Il famoso piano di Verdelli aveva diversi elementi positivi, finalmente si intravedevano delle novità, a partire dal trasferimento del Tg2 a Milano. Lo stesso Verdelli, però, ha capito prima di Campo Dall’ Orto che quel piano non sarebbe mai passato e che il dg non aveva abbastanza potere per portarlo avanti, così se n’ è andato prima di lui. Campo Dall’ Orto ha provato a edulcorarlo, ma non è servito. Qual è stato, secondo lei, l’ errore di Campo Dall’ Orto? Premesso che l’ uomo aveva i suoi limiti, compresa una certa arroganza, ha pensato di avere un’ autonomia dalla politica che non aveva. Grazie alla riforma che dà maggiori poteri al dg e al fatto che avesse la piena fiducia di Renzi, credeva di avere mano libera su tutto. Ha sottovalutato il potere del consiglio d’ amministrazione e della presidente, Monica Maggioni. Negli ultimi mesi entrambi gli hanno remato contro. Il Cda è espressione dei partiti, ogni consigliere agisce su mandato di una forza politica. Del resto, Guelfo Guelfi chi l’ aveva mai sentito nominare? Mentre la presidente, che viene nominata su proposta del capo del governo con il benestare del primo partito di opposizione, quindi Renzi e Berlusconi, si è fatta garante dello status quo aziendale. Così, tra i veti dei partiti e quelli interni all’ azienda, il suo cammino si è fatto in salita. L’ ex dg si è trovato a essere un vaso di coccio tra due di ferro: il cda e la presidente. Dell’ attuale Cda non salva nessuno? Carlo Freccero, che è forse più bravo a parlare che ad agire, ed è anch’ egli un animale politico, ma è anche un grande uomo di televisione, l’ unico ad avere i titoli per stare lì. La Rai controllata dalla politica è storia nota. Cosa bisognerebbe fare? Abolire il Cda, che non serve a nulla, e la commissione di Vigilanza parlamentare, che si muove come un tribunale della Santa inquisizione verso l’ azienda. Poi tutto il resto, sul modello Bbc. Un board di grandi personalità, un cuscinetto tra politica e azienda. Certo, e un dg nominato dal premier che poi abbia pieni poteri e non debba più riferire a lui. Cosa pensa del contratto a Fabio Fazio? È il frutto dello strapotere degli agenti dei campioni televisivi, come accade anche nel calcio. È difficile che un personaggio con introiti milionari possa tagliarsi il compenso. Il tetto dei 240 mila euro per i divi tv non ha senso e infatti sono state fatte le deroghe. Se fossi stato il dg, avrei cercato di tenere Fazio allo stesso prezzo della scorsa stagione. Se non ci stava, l’ avrei lasciato andar via. La Rai è pagata anche con i soldi dei cittadini, vanno bene le deroghe per gli artisti, ma fino a un certo punto. Contro il tetto il più agguerrito è stato Vespa. Su questo punto Vespa ha ragione: la distinzione tra programmi giornalistici e di intrattenimento non ha senso. Ha un suggerimento da dare a Viale Mazzini? Investire sulle grandi fiction di qualità, che abbiano un mercato anche all’ estero. Le nostre sono troppo casalinghe. Poi rispristinare la prima e la seconda serata. I programmi che durano tre ore sono inguardabili, compresi i talk politici. Per fare un buon talk non basta il chiacchiericcio di uno contro l’ altro, ci vuole un’ idea, una sceneggiatura. Come faceva Santoro. Che ora fa bene a esplorare nuove strade.

“Corriere” segreto: le trattative per liberarsi di De Bortoli

Il Fatto Quotidiano
Gianni Barbacetto
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Non era mai successo che a un direttore di giornale fosse comunicata la sua data di scadenza. Accade a Ferruccio de Bortoli: una nota, il 31 luglio 2014, comunica a lui e ai lettori che a fine aprile 2015 il consiglio d’ amministrazione di Rcs MediaGroup nominerà un nuovo direttore del Corriere della sera. Nei mesi precedenti avvengono movimenti sotterranei, scontri feroci, consultazioni febbrili. Qualcosa ora emerge in superficie, grazie alle intercettazioni a cui era sottoposto (per tutt’ altre vicende: l’ indagine su Ubi banca) Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, azionista di Rcs, da anni il più influente tra i personaggi che hanno il potere di indicare il direttore del Corriere. Al termine dell’ inchiesta in cui Bazoli è indagato per ostacolo alla vigilanza e illecita influenza sull’ assemblea sociale, le intercettazioni sono state messe a disposizioni degli indagati e delle parti civili. Bazoli ha un buon rapporto con De Bortoli, che sente con frequenza. Il 31 marzo 2014, per esempio, i due parlano al telefono e “Bazoli si informa”, si legge nel brogliaccio della Guardia di finanza, “su quale è l’ opinione di Repubblica in merito alla situazione del governo Renzi”. Ma il 4 aprile si manifesta lo scontro che porterà al cambio di direttore: Bazoli chiama De Bortoli, che gli riferisce il contrasto con l’ amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane. Questi pretende bonus per sé e i manager, mentre taglia risorse per il giornale. De Bortoli non ci sta. Racconta al telefono: “Dopo la vicenda dei bonus e il fatto che il management, a cominciare dall’ amministratore delegato, ha fatto marcia indietro sui bonus in occasione di quella giornata, tra l’ altro io avevo minacciato le dimissioni per consentire l’ uscita del giornale con l’ intervista a Obama, loro sono andati avanti a tenere una posizione dura, al rischio di avere una crisi internazionale, perché c’ è stata un’ ora in cui la Casa Bianca ci aveva ritirato l’ intervista”. Conclude: “Se va avanti questa storia dei bonus, io mi dimetto”. Dopo questo episodio, “loro hanno ritirato e sospeso i bonus, il giorno dopo mi ha chiamato Scott Jovane e mi ha detto: ‘Guarda, noi l’ abbiamo fatto per fare un favore a te, perché questo è un nostro diritto sacrosanto sancito da una delibera del cda’”. Tra il direttore e l’ ad è guerra. Lo stesso giorno, chiama Bazoli anche Franco Dalla Sega, presidente della finanziaria Mittel. Bazoli gli dice che John Elkann, presidente della Fiat e grande azionista del Corriere, si è schierato con Scott Jovane e vuole sostituire De Bortoli. Bazoli è contrario, ma ha capito che non può più opporsi. Ecco il brogliaccio: “Riferisce che non si opporrà a tale decisione, ma ne prenderà atto e influirà sulla scelta del sostituto. Bazoli riferisce di Calabresi quale potenziale sostituto”. È il candidato preferito da Elkann. Due giorni dopo, il 6 aprile, a chiamare Bazoli è Paolo Colombo, il presidente di Saipem. Gli riferisce che “stanno succedendo cose inquietanti tutte legate a un tema, che puoi immaginare qual è e che hanno riflessi anche su situazioni che a te stanno particolarmente a cuore”. Il tema, aggiunge l’ estensore del brogliaccio, è “presumibilmente” il Corriere e le “dimissioni di De Bortoli”. Il giorno seguente, chiama Claudio Calabi, ex amministratore delegato di Rcs e presidente di Pandette, la holding del gruppo Rotelli, altro azionista del Corriere. L’ argomento è sempre De Bortoli. Bazoli dice a Calabi di “non fare quel passo l’ incontro mi ha portato di fronte a uno che non accetta più assolutamente nessun compromesso lui vuole distruggere il Corriere, l’ unica speranza è che sia io l’ obiettivo, distruggendo me ma è esasperato, totalmente esasperato”. Poi aggiunge che “la strada indicata da lui è di essere mandato via a testa alta e non in maniera punitiva e che sia scelto un successore che non sia debole”. Prosegue il brogliaccio: “Bazoli riferisce che l’ uomo del quale si parla (De Bortoli) ha indicato come condizione tassativa che ‘il piano sul Corriere deve cambiare radicalmente perché loro vogliono aumentare ancora il prezzo e non ha nessunissimo senso, vogliono abolire le edizioni locali e tutto questo per avere una redditività più elevata di quello che è giusto avere, tutto questo solo per i loro bonus”. Bazoli “dice di non accettare queste cose”. Il 9 aprile Giulia Maria Crespi, storica ex proprietaria del Corriere, chiama Bazoli. “Chiede se è vero che ‘va via Fontana e De Bortoli’. Bazoli riferisce di essere molto preoccupato, ma non sa dare una risposta certa. Riferisce che è in atto uno scontro sul fatto che il consigliere delegato col suo staff hanno richiesto dei bonus; bonus che sono stati ritirati perché c’ è stata una protesta e lo stesso direttore era contrario. Bazoli riferisce che il consigliere delegato è sostenuto dalla Fiat”. Il 12 aprile telefona Filippo Andreatta, professore a Bologna e figlio di Beniamino, grande amico e mentore di Bazoli. I due “parlano della situazione politica generale. Andreatta dice che l’ aveva chiamato perché aveva notizie, in merito al Corriere, dove sembra ci sia una certa pressione per cambiare la direzione. Bazoli conferma. Andreatta dice che queste vengono da Torino”. Cioè dalla Fiat. “Bazoli conferma nuovamente. Andreatta dice di sapere che ci sono anche delle resistenze. Bazoli dice che sta raccogliendo elementi e verificando dei rapporti tra azionisti prima di parlare con Torino, ma non esclude di dover fare un discorso molto duro essendo molto preoccupato. Bazoli dice che questo è frutto di uno scontro tra direttore e consigliere delegato e lui dà ragione al primo, mentre il secondo è difeso da Elkann. Andreatta dice che c’ è bisogno di saggezza ed equilibrio. Bazoli dice che probabilmente non accadrà nulla prima dell’ assemblea”. Poi “Andreatta gli ricorda, come riserva della Repubblica, il loro amico Aldo Cazzullo che è torinese e potrebbe essere una soluzione di compromesso. Bazoli dice che prima c’ è da difendere De Bortoli e poi, nel caso vada via, come è probabile, ci sarà il problema della successione Bazoli dice che questo è un po’ il suo cruccio di questi giorni essendo più tranquillo per la banca”. Il 31 luglio 2014 viene dato l’ annuncio che il direttore cambierà. E 30 aprile 2015 De Bortoli lascia il posto al suo condirettore, Luciano Fontana.

Sole 24 Ore, accordo coi sindacati: 236 esuberi su 812

Il Fatto Quotidiano

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I vertici del gruppo Sole 24 Ore hanno siglato presso la sede Fieg (associazione degli editori) di Roma con le rappresentanze sindacali nazionali e territoriali Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e le Rsu dei Poligrafici Milano e Carsoli, dei Grafici delle sedi di Milano, Roma, Carsoli, Trento, l’ accordo nazionale relativo al piano di riorganizzazione in presenza di crisi per i lavoratori grafici e poligrafici. Il piano industriale 2017-2020 per assicurare la continuità aziendale e il raggiungimento della sostenibilità economico-finanziaria del gruppo, prevede riorganizzazione delle principali aree di attività e taglio del 30% dell’ attuale costo del lavoro entro la fine del primo semestre 2019. L’ attuazione del nuovo modello produttivo comporta un esubero complessivo di 236 unità su un organico totale di 812 lavoratori. Il gruppo e le organizzazioni sindacali hanno raggiunto l’ intesa sull’ attivazione di ammortizzatori sociali di settore attualmente disponibili per un periodo consecutivo di 24 mesi, a partire dal 17 luglio 2017, a fronte di 215 eccedenze poligrafiche e grafiche su un totale di 729 unità.

Siglato accordo tra azienda e sindacati grafici e poligrafici

Il Sole 24 Ore
R. Fi.
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I vertici del Gruppo 24 Ore nella giornata di mercoledì 5 luglio, dopo un primo incontro presso il Ministero del Lavoro, hanno siglato presso la sede Fieg di Roma con le rappresentanze sindacali nazionali e territoriali Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil e le Rsu dei Poligrafici Milano e Carsoli, dei Grafici delle sedi di Milano, Roma, Carsoli, Trento, l’ accordo nazionale relativo al piano di riorganizzazione in presenza di crisi per i lavoratori grafici e poligrafici. L’ accordo è stato raggiunto dopo una serie di incontri avviati a partire da aprile 2017 in cui è stato presentato alle organizzazioni sindacali il piano industriale 2017-2020 che, per assicurare la continuità aziendale e il raggiungimento della sostenibilità economico-finanziaria del Gruppo, prevede la riorganizzazione delle principali aree di attività e interventi di razionalizzazione dei costi finalizzati alla riduzione strutturale del 30% dell’ attuale costo del lavoro entro la fine del primo semestre 2019. L’ attuazione del nuovo modello produttivo comporta un esubero complessivo di 236 unità su un organico totale di 812 lavoratori dislocato in tutte le sedi ed unità produttive. Il Gruppo e le organizzazioni sindacali hanno raggiunto l’ intesa sull’ attivazione di ammortizzatori sociali di settore attualmente disponibili per un periodo consecutivo di 24 mesi, a partire dal 17 luglio 2017, a fronte di 215 eccedenze poligrafiche e grafiche su un totale di 729 unità. Il Gruppo 24 Ore prosegue quindi nell’ opera di implementazione del piano industriale e di risanamento e rilancio della società. L’ accordo prevede: l’ attivazione di un contratto di solidarietà con riduzione oraria del 22%, a partire dal 17 luglio 2017 fino al 30 giugno 2019; un piano di smaltimento ferie e permessi maturati e non goduti al 31 dicembre 2016; l’ adozione di misure di gestione tra cui incentivi all’ esodo di personale in eccedenza, il ricorso a part time, iniziative di insourcing e/o di riduzione delle attività attualmente esternalizzate, compatibilmente con le professionalità esistenti, anche attraverso possibili riqualificazioni, nel rispetto della necessaria sostenibilità economica; il mancato rinnovo di contratti a termine in essere e la riduzione di collaborazioni esterne. È previsto che i vertici del Gruppo e le organizzazioni sindacali si incontrino entro il 31 marzo 2019 per esaminare l’ andamento del piano e il raggiungimento degli obbiettivi prefissati. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Marco, per diritto ereditario alla guida di “Stampubblica”

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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” Erano tempi duri per la Fiat, e l’ Avvocato proclamò che chi si occupa di fabbricare automobili non deve interessarsi di giornali (Stampa ovviamente esclusa) per ragioni di pubblica moralità ” (da un articolo di Eugenio Scalfari – Repubblica, 7 ottobre 1984) Chi è Marco De Benedetti, il nuovo presidente del gruppo Gedi che controlla la mega-concentrazione editoriale denominata “Stampubblica”? E cioè: La Stampa di Torino (Fiat), Il Secolo XIX di Genova (famiglia Perrone), Repubblica e tutto il gruppo De Benedetti, con il glorioso settimanale L’ Espresso e una costellazione di quotidiani locali, dal Veneto alla Toscana fino alla Sardegna. Marco De Benedetti è il secondogenito dell’ ingegner Carlo De Benedetti. In questa carica, succede al padre per diritto ereditario, come in un regime monarchico, secondo le vecchie regole del “capitalismo familiare” italiano. In vita sua, ha fatto il top-manager a Tim e a Telecom, poi il finanziere di Carlyle Group, uno dei maggiori fondi internazionali. Ma in realtà non s’ è mai occupato di editoria, se non per curare gli interessi di famiglia. Il fatto più sconcertante, però, è che nel 2005 Marco De Benedetti è stato – per così dire – il procacciatore dell’ infausto accordo fra il padre e Silvio Berlusconi, che prevedeva una partecipazione paritaria di 50 milioni di euro nel fondo “Management & Capitali” per la ristrutturazione e il rilancio di imprese in crisi. No, non parliamo qui di Sorgenia, la società per le energie alternative guidata dal fratello Rodolfo che accumulò un debito di quasi 2 miliardi di euro ed è stata salvata con l’ intervento decisivo del Monte dei Paschi di Siena che di suo aveva erogato 650 milioni. Parliamo dell’ accordo finanziario fra l’ Ingegnere e il Cavaliere, all’ epoca in cui questi era ancora presidente del Consiglio, che fortunatamente naufragò per l’ opposizione di Carlo Caracciolo e di Eugenio Scalfari, sostenuti dall’ esterno dal politologo Vanni Sartori, dall’ economista Paolo Sylos Labini che lo definì addirittura “un’ alleanza immorale” e dal “popolo dei fax” che insorse in difesa dell’ identità e dell’ immagine di Repubblica. Oggi, a distanza di dodici anni, l’ ideatore e artefice di quel “patto con il Diavolo” si ritrova per diritto dinastico a guidare la concentrazione editoriale di cui proprio il quotidiano fondato da Scalfari è il perno e l’ asset principale. Il che, evidentemente, la dice lunga sull’ ispirazione politico-culturale che ha orientato fin dall’ inizio questa controversa operazione. Se le aziende – in particolar modo quelle dell’ informazione – si possono giudicare dalla storia e dall’ estrazione degli uomini che le dirigono, la presenza di Marco De Benedetti alla testa della Gedi equivale a un’ ipoteca sul futuro di “Stampubblica” e delle altre testate del Gruppo. Tanto più che, a quanto pare, l’ avvicendamento fra padre e figlio al vertice della holding è stato provocato da un dissenso fra la Fiat e De Benedetti sulla gestione attuale di Repubblica. “Non avevo ancora capito che questa è una grande community”, confidò a suo tempo l’ Ingegnere dopo aver fatto precipitosamente marcia indietro ed essersi pentito di quell’ approccio con Berlusconi. Resta da verificare ora se anche il figlio Marco, neo-presidente di “Stampubblica”, ha avuto modo nel frattempo di ricredersi. Ma, come si sa, “business is business” e per il “capitalismo familiare” l’ obiettivo prioritario è sempre quello riassunto nel detto anglosassone “make money”: fare denaro. Quanto alla commistione con i giornali, come predicava l’ Avvocato, resta una questione di “pubblica moralità”.

Non è mai troppo tardi per il digitale

Il Foglio

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La decisione di Mediaset di lanciare all’ inizio dell’ anno prossimo una piattaforma gratuita su smart tv e su vari dispositivi mobili per la diffusione di contenuti della televisione generalista è solo l’ ultima dimostrazione della migrazione sul digitale dell’ intrattenimento. Lo storico broadcaster privato italiano della famiglia Berlusconi ieri ha pagato in Borsa le notizie incerte sul futuro dei diritti Champions League e quindi della pay tv Premium i cui risultati consigliano un cambio di strategia. Con lo spostamento sul digitale Mediaset si aggiunge a concorrenti – seppur tutti con modelli di business diversi tra loro – come Sky (Now Tv) e Rai (Rai Play) in un segmento popolato da società di distribuzione di contenuti televisivi e cinematografici in streaming o download come l’ americana Netflix, fenomeno mondiale, o l’ italiana Chili, realtà europea. La tendenza alla diffusione di contenuti digitali per incrementare le entrate pubblicitarie d’ altronde è palese e determinata dalle preferenze dei consumatori italiani. Secondo il rapporto Univideo sul settore dell’ intrattenimento domestico, elaborato dalla società di ricerche di mercato GfK, il fatturato del digitale si è confermato in crescita a 82,5 milioni di euro (il 21,6 per cento del mercato), mentre il fatturato dei supporti fisici (dvd e blue -ray) è statico a 299 milioni (il 78,4 per cento del mercato) con gli acquisti nelle edicole e il videonoleggio che perdono gradualmente appeal. Inoltre la pirateria online di contenuti diffusi via streaming senza licenza raggiunge la cifra stimata di 686 milioni di euro di giro d’ affari. Chi utilizza un contenuto senza pagarlo dice che lo fa per risparmiare. Ma la seconda motivazione è la velocità nel reperimento del contenuto. Quello che gli operatori di mercato intendono garantire.

Shopping tv, Qvc compra Hsn

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Il canale di shopping tv e online Qvc si compra la storica concorrente Hsn per 2,1 miliardi di dollari, ossia 1,8 miliardi di euro. L’ operazione punta non solo a fare massa critica sul mercato delle vendite retail ma anche e soprattutto ad arginare l’ avanzata dei colossi internet come Amazon o di quelli tradizionali, come Walmart, che hanno investito massicciamente nell’ e-commerce. Qvc è presente anche in Italia sul piccolo schermo (al canale 32 dtt e tivùsat, canale 132 tivùsat hd, canale 475 di Sky e Sky hd). Allargando la visuale, comunque, l’ acquisizione del rimanente 61,8% di Hsn che Qvc ancora non detiene fa parte di un progetto più ampio di John Malone, miliardario americano, acerrimo nemico di Rupert Murdoch nel mondo dei media e patron del gruppo Liberty (a cui fa capo Qvc tramite Liberty Interactive). L’ intenzione, secondo indiscrezioni di stampa Usa, è riunire tutte le attività retail di Qvc (Quality value convenience), Hsn (Home shopping network) e Zulily (specializzata in commercio elettronico e comprata due anni fa per 2,1 miliardi di euro) in un unico nuovo gruppo rinominato Qvc group. Mentre tutti gli altri business (compresa la tv via cavo Charter) rimarranno sotto Liberty Interactive. Il punto di partenza di questa rivoluzione sono i dati di vendita di Qvc (in fase di rallentamento) e quelli di Hsn (-3% l’ anno scorso, scontando anche l’ uscita dell’ a.d. Mindy Grossman). Con l’ unione delle due insegne, la previsione è di rafforzarsi creando un polo che realizzi vendite per oltre 12 miliardi di dollari (10,5 miliardi di euro). Business che proviene per circa 8,7 miliardi di dollari da Qvc (7,6 mld di euro) e per i rimanenti 3,5 miliardi di dollari da Hsn (3,1 mld di euro). Come in ogni fusione poi, anche se Hsn rimarrà una società a sé stante sotto Qvc, si punta sulle sinergie, l’ abbattimento dei costi e il maggior potere contrattuale nei confronti dei fornitori. Le stime aziendali parlano di una forchetta tra i 75 e i 110 milioni di dollari di risparmi (rispettivamente 65,8 e 96,5 milioni di euro). Se l’ operazione verrà finalizzata come preventivato nell’ ultimo trimestre di quest’ anno, tra pochi mesi nascerà un’ unica società (la terza in tutti gli Stati Uniti per ordine d’ importanza) con un pubblico di consumatori da 23 milioni di persone, 2 miliardi di visite online all’ attivo e 320 milioni di pacchi spediti. A livello tv, poi, si arriverà a produrre molte più ore di contenuti, format e trasmissioni d’ intrattenimento vario. Quindi, i benefici del matrimonio tra Qvc e Hsn sono chiari ma, hanno avvertito alcuni analisti americani, la vera sfida si gioca nel saper attrarre consumatori e trattenerli nel proprio ecosistema digitale, prima che emigrino verso le piattaforme internet stile Amazon. Una soluzione prospettata dagli analisti sono nuove forme di fidelizzazione, sulla falsariga di Amazon Prime. Dalla loro, però, Qvc e Hsn hanno già diversi anni di esperienza di vendite retail e, anche se altre insegne del calibro di American Apparel sono andate fuori mercato, Qvc e Hsn hanno saputo sviluppare attrattiva verso i clienti coinvolgendo volti famosi, creando veri palinsesti tv e allargando sensibilmente il loro catalogo.

Editoria, regole valide per tutti

Italia Oggi

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I ricavi della stampa in 10 anni si sono dimezzati: un dato che incide sulla sostenibilità economica delle imprese che fanno informazione professionale e che hanno necessità di fare investimenti. Per questo c’ è l’ esigenza di regole valide per tutti per un mercato che sia realmente competitivo e soprattutto di un’ adeguata tutela del diritto d’ autore online al fine della valorizzazione dei contenuti editoriali di qualità. In mancanza di questo non è possibile fare investimenti e garantire un prodotto professionale. Lo ha detto giovedì scorso il direttore generale della Fieg Fabrizio Carotti in un incontro organizzato nella sede della Federazione degli editori a Roma sulle nuove interazioni tra giornalismo tradizionale e le neonate forme del comunicare dell’ era digitale organizzato da Fieg e Ferpi (la federazione relazioni pubbliche). Durante l’ incontro sono intervenuti anche Daniele Chieffi, consigliere nazionale Ferpi e head of digital pr Eni, Andrea Falessi, direttore relazioni esterne Open Fiber e Paolo Iammatteo, responsabile comunicazione di Poste Italiane. Lo spunto è arrivato dalla presentazione del manuale di Diomira Cennamo e Carlo Fornaro Professione brand reporter. Brand journalism e nuovo storytelling nell’ era digitale, edito da Hoepli. Secondo i due autori «etica» e «verità» sono le due parole-chiave a fondamento dell’ attività di credibili comunicatori (e giornalisti) oggi, per una comunicazione che metta al centro il destinatario e che sappia usare con competenza e al meglio gli strumenti del digitale. Questo accanto al senso dì responsabilità. Nel percorso disegnato dal libro, ha detto Fornaro, si scopre che il giornalismo praticato in azienda può essere una voce importante all’ interno del ciclo di vita della notizia, contribuendo al meccanismo di ricostruzione dei fatti da parte di coloro che operano sulla scena dell’ informazione oggi, tra brand editoriali tradizionali e attori inediti. Un antidoto al dilagare delle fake news.

Le Figaro e Le Monde si alleano

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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All’ inizio della settimana, i primi ad allearsi a mettere insieme i big data, cioè tutte le informazioni profilate e geo-localizzate, dei propri lettori sono stati gli editori di periodici, da Lagardère Active a Prisma Presse a Condé Nast (vedere ItaliaOggi del 5 luglio scorso), a cui s’ è aggiunto il gruppo Les Echos (primo quotidiano economico del Paese) e Le Parisien (il più diffuso quotidiano parigino). A fine settimana, come aveva annunciato ItaliaOggi nella stessa corrispondenza da Parigi, sono i due grandi quotidiani nazionali – Le Figaro che fa capo al gruppo aeronautico Dassault e Le Monde controllato dal terzetto di finanzieri e tycoon BNP (Bergé-Niel-Pigasse) – a mettere insieme le proprie concessionarie pubblicitarie che operano nel segmento del web-advertising, la raccolta pubblicitaria online con l’ obiettivo di contenere lo strapotere commerciale dei colossi americani, Google-Apple-Facebook- Amazon (Gafa), che ormai coprono quasi il 70% del mercato. Gli editori di periodici, forse con una visione più aperta sul futuro e sugli sviluppi della tecnologia, hanno deciso di condividere i big data, come s’ è detto, all’ interno di una piattaforma comune che è stata battezzata Alliance Gravity quasi a volere trasmettere il «peso» di un sistema di vendita comune. Gli editori dei due maggiori quotidiani francesi, forse gelosi della loro storia e ben attenti a presidiare il perimetro dei propri mercati di riferimento, hanno preferito, invece, un’ alleanza più tradizionale – una joint venture operativa tra concessionarie – e l’ hanno battezzata Skyline, forse nella speranza di poter volare alti e di tracciare, loro da soli, il profilo del mercato del web-advertising che verrà. Come se in Italia fossero il Corriere della Sera e La Repubblica a voler egemonizzare il mercato dell’ online. I dati di partenza autorizzano un certo ottimismo: sommando i visitatori unici dei siti di Le Monde e del Figaro si arriva alla bella cifra di 35 milioni di lettori digitali al mese, appena un milione in meno di quelli di Microsoft, e non distanti dai 40 milioni di Facebook e i 44 milioni di Google. In più, si tratta di lettori diversi, meno erratici dei visitatori dei siti dei Gafa, più fedeli in qualche modo alla testata, abituati a cercare le notizie sulle piattaforme dei due quotidiani. «In ogni caso, i nostri lettori rappresentano l’ 80% di tutti gli internauti e i mobinauti francesi», spiegano all’ unisono, davanti a un gigantesco pannello con la scritta «Skyline, direct marketplace», il direttore generale del gruppo Le Figaro, Marc Feuillée, e il suo collega Louis Dreyfus, presidente del direttorio del gruppo Le Monde. Il modello di business di Skyline è semplice: disintermediare i tanti soggetti, tecnici e commerciali, presenti nella lunga catena della raccolta pubblicitaria; concentrare gli sforzi e offrire agli investitori una serie di prodotti (dai pop-up ai banner ai video e quant’ altro) ben inseriti all’ interno di contenuti di qualità. Che gli inserzionisti possono scegliere al momento dell’ acquisto. Nel senso che i loro annunci possono essere inseriti all’ interno di sei aree tematiche dei siti due quotidiani – attualità, economia, lifestyle, costume, cultura e high-tech) – seguendo una pianificazione ben precisa che non prevede spazi invenduti (e quindi regalati all’ inserzionista). «Gli inserzionisti non hanno bisogno di passare attraverso i centri media: trovano tutte le soluzioni più adatte rivolgendosi a Skyline», aggiunge la presidente della concessionaria di Le Monde, Laurence Bonicalzi Bredier, considerata una delle donne più potenti dell’ industria pubblicitaria francese. Resta aperta la questione finale: Gravity (periodici) e Skyline (quotidiani) finiranno per allearsi contro il comune nemico Gafa? Tutto dipende se l’ Union Sacrée della pubblicità riuscirà a contenere l’ avanzata americana. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sole, accordo con i sindacati sul piano di riorganizzazione. Mercoledì è stato siglato l’ accordo fra i vertici del gruppo 24 Ore e i sindacati di grafici e poligrafici sul piano di riorganizzazione in presenza di crisi. Alla base il piano piano industriale 2017-2020 che per assicurare la continuità aziendale e il raggiungimento della sostenibilità economico-finanziaria del gruppo prevede una riduzione del 30% dell’ attuale costo del lavoro entro la fine del primo semestre 2019 con esubero complessivi di 236 dipendenti su un organico totale di 812 in tutte le sedi ed unità produttive. Per quanto riguarda grafici e poligrafici si tratta di 215 esuberi su 729. L’ accordo prevede l’ attivazione di un contratto di solidarietà con riduzione oraria del 22%, a partire dal 17 luglio fino al 30 giugno 2019; un piano di smaltimento ferie e permessi maturati e non goduti; l’ adozione di misure di gestione tra cui incentivi all’ esodo di personale in eccedenza, il ricorso a part time, iniziative di insourcing e di riduzione delle attività attualmente esternalizzate, compatibilmente con le professionalità esistenti, anche attraverso possibili riqualificazioni; il mancato rinnovo di contratti a termine in essere e la riduzione di collaborazioni esterne. Vianello e Fasulo vicedirettori di Rai 1. Nuovo incarico per Andrea Vianello, ex direttore di Rai 3: sarà vicedirettore di Rai 1 e si occuperà in particolare del pomeriggio per ridare slancio ai programmi di infotainment. Assieme a lui il d.g. Mario Orfeo ha nominato vicedirettore anche Claudio Fasulo che avrà responsabilità su intrattenimento ed eventi. Anzaldi (Pd): sui costi di Fazio la Rai faccia vera trasparenza. «È positivo che la dirigenza Rai abbia iniziato a fare chiarezza sul contratto a Fabio Fazio, diffondendo alcune cifre sulla stampa. Ora, però, anche per facilitare il lavoro della corte dei conti che ha aperto un’ indagine su questo, ci sia vera trasparenza». È quanto scrive su Facebook il deputato del Partito democratico e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi. «Se la previsione di 615 mila euro di incassi pubblicitari a puntata è fondata è necessario che la Rai faccia una vera operazione trasparenza», ha proseguito Anzalzi, chiedendo se questa cifra sia lorda o netta e in ogni caso quali saranno le conseguenze se non sarà raggiunta. Così come Anzaldi chiede chiarimenti anche sui costi, quantificati in 450 mila euro a puntata. «È giusto che venga fatta chiarezza sulle cifre perché parliamo di soldi dei cittadini che pagano il canone. Resta poco comprensibile perché Fabio Fazio, un conduttore che dalla terza rete passa alla prima, abbia un tale trattamento di favore da essere il più pagato della Rai, con cifre che vengono definite fuori mercato sia dall’ amministratore di Mediaset che dal presidente del gruppo La7. La sua professionalità non è in discussione, ma sulla base di quali valutazioni la Rai gli garantisce questo mega compenso, peraltro nel momento in cui si era impegnata a ridurre le prime serate del 30%?». Antonio Sassano verso la presidenza della Fondazione Bordoni. Dovrebbe essere il docente universitario e consulente dell’ Agcom Antonio Sassano il prossimo presidente della Fondazione Bordoni. Lo ha anticipato il presidente di Confindustria Radio-Tv Franco Siddi durante l’ assemblea dell’ associazione. Sassano è uno dei massimi esperti italiani in tema di frequenze. Noi Messaggero Veneto, il primo caffè del direttore per aprire la redazione ai lettori. I lettori in redazione, ma non solo come ospiti. Al Messaggero Veneto, nell’ ambito del progetto di membership NoiMV, è stato organizzato il primo «Caffè del direttore». Una decina di lettori si sono iscritti all’ incontro con il direttore Omar Monestier e sono stati accolti nella sede di Udine. Il caffè, una chiacchierata sul funzionamento del giornale, il collegamento da Roma con il direttore editoriale dei quotidiani locali, Roberto Bernabò, e un giro in redazione per mostrare come si compongono le pagine, come si lavora al sito. Poi la riunione del pomeriggio insieme all’ ufficio centrale. Il direttore Monestier ha coinvolto i lettori nel dibattito, nella scelta dei titoli e della gerarchia delle notizie. DiPiù con il caricatore portatile. Il settimanale di Cairo Editore diretto da Sandro Mayer sarà in edicola da oggi con il caricatore portatile universale per cellulare, una delle otto iniziative estive di DiPiù.

Mediaset, analisti cauti e il titolo cala del 3%

Italia Oggi

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Mediaset (-3,07% a 3,22 euro) paga consistenti vendite in Borsa e segna i nuovi minimi dell’ anno a 3,18 euro. Il titolo è stato penalizzato dal downgrade di Exane Bnp Paribas che ha tagliato la raccomandazione sull’ azione da neutral a underperform, con prezzo obiettivo che scende da 3,5 a 2,7 euro. Secondo Exane Bnp Paribas, nonostante il rally delle azioni dovute all’ incremento della quota di Vivendi «i fondamentali restano preoccupanti». Gli esperti sono comunque pronti a cambiare la propria visione nel caso in cui «i rapporti con Vivendi dovessero migliorare». Anche Equita Sim ha abbassato il prezzo obiettivo del titolo a 3,7 da 3,9 euro (rating hold) in quanto «resta l’ incertezza sulla situazione di Premium». Dalla presentazione dei palinsesti di Mediaset è «emerso che la società è disponibile a cedere i diritti della Champions per un anno a Sky se il prezzo sarà adeguato». Pier Silvio Berlusconi «parla inoltre di una raccolta pubblicitaria incluse le radio attorno al +2% nel 1° semestre (+2,3% nel 1° trimestre) con un mercato complessivo in calo del 2,5-3%. Stimiamo quindi che nel 2° trimestre la raccolta sia in crescita dell’ 1,7% circa». Mediobanca Securities ritiene che «anche se la crescita della raccolta pubblicitaria è limitata a livello organico è giusto dire che Mediaset sta sovraperformando il mercato di riferimento» e che sembra esserci un miglioramento nel secondo trimestre dell’ anno.

Partite Iva, in arrivo il canone tv speciale

Italia Oggi
GIORGIA PACIONE DI BELLO
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Canone tv speciale in arrivo per tutti i detentori di partite Iva. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi da fine giugno la Rai ha iniziato a inoltrare diverse lettere a tutti coloro che hanno aperto una partita Iva tra il 2012 e il 2016. Il canone tv speciale deve essere però pagato solo da chi detiene un apparecchio atto alla ricezione di trasmissioni radiotelevisive in «esercizi pubblici, locali aperti al pubblico o comunque fuori dall’ ambito familiare» (artt. 1 e 27 del rdl del 21/2/1938 n. 246 e dall’ art. 2 del dllt 21/12/1944 n. 458). Il mancato pagamento della tassa, può essere rilevato in qualsiasi momento dal personale Rai incaricato e dall’ Autorità di controllo, e può comportare una sanzione fino a 619 euro. A differenza del canone tv che dal 2016 è stato incorporato all’ interno della bolletta elettrica, il canone tv speciale è rimasto scorporato dalle altre utenze domestiche ed è compito della Rai inviare i bollettini ai soggetti interessati dalla tassa. Quest’ anno però sono arrivate le lettere di pagamento anche a chi non ha un esercizio pubblico, e dunque non è soggetto al canone tv speciale. Nella lettera recapitata si legge che «le vigenti disposizioni normative impongono l’ obbligo del pagamento del canone speciale a chiunque detenga, fuori dall’ ambito famigliare, uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni televisive» e continua qualche rigo sotto specificando che «nel caso in cui non aveste ancora provveduto al pagamento del canone, vi invitiamo ad effettuare il relativo versamento per evitare così di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge». Il tutto viene firmato dal direttore della direzione canone. Ma non finisce qua perché nella busta, assieme alla lettera, sono presenti il bollettino del pagamento e un questionario. Il bollettino contiene una somma pari a 242,47 euro, per il semestre giugno-dicembre 2017, ed è già tutto perfettamente compilato con i dati del soggetto in questione. Nel questionario che è «da compilare e restituire imbustato o no alla Rai» si deve, invece, indicare se «ha iniziato un nuovo abbonamento speciale» se «è già titolare di abbonamento speciale», la «corretta intestazione abbonamento con codice fiscale o partita Iva», «eventuale aggiornamento dell’ indirizzo dell’ abbonamento», «dichiarazione di non possesso Tv/eventuali altre comunicazioni».

Il futuro della carta stampata tra brand reporter e rivoluzione digitale al centro del convegno Fieg-Ferpi. I nuovi soggetti devono assumersi la responsabilità del ruolo che stanno giocando

Prima Comunicazione

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Interazioni tra giornalismo tradizionale e nuove forme di comunicare dell’ era digitale al centro del dibattito organizzato da Fieg e Ferpi. Presenti, direttamente dal mondo della comunicazione: Fabrizio Carotti, direttore generale Fieg; Daniele Chieffi, consigliere nazionale Ferpi e head of digital pr di Eni, moderatore dell’ incontro; Andrea Falessi, direttore relazioni esterne Open Fiber; Paolo Iammatteo, responsabile comunicazione Poste Italiane. Lo spunto dalla presentazione del manuale di Diomira Cennamo e Carlo Fornaro , presenti all’ evento, ‘Professione Brand Reporter. Brand journalism e nuovo storytelling nell’ era digitale’, edito da Hoepli: “una sistematizzazione accurata – così Fabrizio Carotti – dei temi trattati e un’ analisi non superficiale delle nuove tendenze in atto”. Carotti nella sua introduzione fornisce alcuni dati di sintesi sulla situazione dell’ editoria oggi. I ricavi della stampa in 10 anni si sono dimezzati: un dato che incide sulla sostenibilità economica delle imprese che fanno informazione professionale e che hanno necessità di fare investimenti. Negativo anche il trend degli investimenti pubblicitari sui giornali, il 2016 sul 2015 registra una riduzione per i quotidiani del 7% e per i periodici del 4%. La diffusione dei primi 5 mesi del 2017 (dati Ads) per i quotidiani è scesa del 10% e per i periodici dell’ 6%. L’ ultimo dato riguarda la quota di mercato della pubblicità: a fronte di una raccolta pubblicitaria dell’ insieme della stampa quotidiana e periodica di 1 miliardo e 150 milioni, c’ è quella, solo stimata peraltro, degli Over the top, superiore ai 2 miliardi e 400 milioni e tendenzialmente in crescita. “C’ è quindi l’ esigenza – ha detto Carotti – di regole valide per tutti per un mercato che sia realmente competitivo e c’ è l’ esigenza, soprattutto, di un’ adeguata tutela del diritto d’ autore on line al fine della valorizzazione dei contenuti editoriali di qualità”. Il recente ‘ Libro Bianco sulla comunicazione digitale ‘ realizzato da Fieg, Upa e altre sei associazioni della comunicazione, “sarà elemento fondamentale di guida per la trasparenza del mercato digitale”. Quanto alla figura del “Brand reporter” descritta nel libro, Carotti immagina che sia una delle figure che potrebbero, avendo chiaro il legame diretto tra la realtà della notizia e i suoi effetti economici, di preservare e spiegare l’ importanza della notizia che garantisca qualità e veridicità. Da sinistra in alto in senso orario: Daniele Chieffi, Dimomira Cennamo, Fabrizio Carotti, Carlo Fornaro Anche per Andrea Falessi l’ etica è un aspetto fondamentale. L’ azienda ha una grande responsabilità quando deve comunicare il valore di un prodotto o di un servizio. Davvero qui il fact checking è rigoroso. Ma soprattutto le aziende possono fare brand journalism quando seguono un percorso vero di sostenibilità reale e concreta che consenta loro di presentare un prodotto o servizio altrettanto sostenibile. Daniele Chieffi ha sottolineato la complessità di uno scenario della comunicazione e dell’ informazione in cui c’ è una moltiplicazione degli attori che giocano la partita allo stesso livello degli attori tradizionali, i giornalisti, tra influencer e aziende, queste ultime che hanno la necessità di comunicare direttamente con i propri stakeholder, e hanno dovuto accogliere figure professionali come video reporter, grafici web, brand journalist, web writers. Va riaffermato tuttavia il ruolo dell’ editoria giornalistica tradizionale, oggi in crisi, che deve recuperare presa, autorevolezza e credibilità. Ma anche i nuovi soggetti devono assumersi la responsabilità del nuovo ruolo che stanno giocando. In sintesi, cercare la qualità nella comunicazione e nell’ informazione. Paolo Iammatteo è partito da un episodio occorso proprio a Poste Italiane per evidenziare i rischi per la reputazione di un’ azienda che derivano dalla diffusione virale in Rete di notizie false o non completamente rispondenti ai fatti. Più in generale, ha ricordato come “il giornalismo e la comunicazione sono due facce diverse di una stessa medaglia con le quali le aziende si confrontano quotidianamente, in un periodo storico in cui la disintermediazione e il digitale hanno cambiato e stanno ancora modificando profondamente le relazioni tra aziende, giornali, editori e in cui ovviamente c’ è il web come nuova modalità di comunicazione, territorio immediato, misurabile, che ha degli impatti sui media tradizionali e digitali assolutamente significativi. Tutte le aziende devono lavorare in quest’ ottica, devono ‘saper fare’ e lavorare per la loro reputazione con modalità completamente differenti rispetto al passato”.

Province, la giunta stacca un maxi assegno

La Nuova Sardegna

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CAGLIARIAlle quattro Province e alla Città metropolitana di Cagliari la giunta regionale ha assegnato in tutto 54 milioni, compresi i 600mila euro necessari per il funzionamento del museo di Man di Nuoro. Sempre dal Fondo unico per gli enti locali, che è il pacchetto dei trasferimenti dalla Regione agli enti locali, arrivano anche i 12 milioni destinati alle Unioni dei Comuni, che avranno a disposizione altri nove milioni di contributi statali. «È la quota nazionale – scrive in una nota l’ assessore agli enti locali Cristiano Erriu – più alta in Italia, perché «direttamente proporzionale alle risorse messe in campo dalla Regione».Intanto i segretari provinciali sardi del Pd hanno accolto con soddisfazione il nuovo impegno del governo, confermato dalla sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi, di un finanziamento nazionale – dovrebbe essere intorno ai 100 milioni – per «far fronte alla delicata situazione economica delle Province e delle Città metropolitane». Questo trasferimento di importante risorse economiche – hanno scritto – «sarà indispensabile per permettere agli enti locali intermedi di garantire quei servizi essenziali attesi dai cittadini».Le delibere. Sempre la giunta per sostenere l’ editoria sarda e la stampa periodica regionale, ha stanziato 200mila euro come aveva proposto l’ assessorato alla cultura. Il finanziamento è destinato ad abbattere i costi di prestampa per le aziende editrici che si occupano di periodici e dovrà puntare a migliorare anche la distribuzione delle copie stampate. Infine, la giunta ha approvato le linee guida dei piani regolatori dei porti d’ interesse regionale e l’ elaborazione degli stessi piani sarà delegata ai Comuni.Le interrogazioni. Il consigliere regionale Francesco Agus, Campo progressista, ha denunciato che «dal 2105 gli inoccupati attendono l’ esenzione dal pagamento dei ticket per le prestazioni sanitarie». Secondo l’ interrogazione, «le promesse, come previsto nella Finanziaria di due anni fa, non sono state mantenute nonostante esista una legge regionale che equipari gli inoccupati ai disoccupati, che da sempre hanno invece l’ esenzione» È rivolta invece all’ assessore all’ agricoltura l’ interrogazione presentata dal capogruppo dell’ Udc Gianluigi Rubiu, che sollecita nuove regole per l’ assegnazione dei pascoli pubblici permanenti. «Le ultime disposizioni dell’ Unione Europea – è scritto nell’ interrogazione – ancora non sono state applicate, mentre in altre regioni sono servite per risolvere i problemi dell’ allevamento nei territori svantaggiati».

Rassegna Stampa del 09/07/2017

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Indice Articoli

Mediaset, la tv generalista ora guarda al mondo del digitale

Tre giorni di summit sulla cine-industria, aspettando Sarandos

FATTA FUORI PERCHÉ AMICA DI GILETTI

Perché lo Strega è lo Strega

Asterix, viaggio in Italia

L’ ultimo regalo di Ilaria Alpi: farci tornare giornalisti

Radio 24 vara il palinsesto estivo e rinforza il weekend con lezioni semiserie di educazione finanziaria e radiofumetti

Mediaset, la tv generalista ora guarda al mondo del digitale

Corriere della Sera

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Se la presentazione dell’ offerta Rai per la prossima stagione è stata dominata dalla polemica sui «volti» (il contratto di Fabio Fazio, il futuro di Massimo Giletti), quella di Mediaset ha puntato più sui contenuti. La filosofia su cui si orienta Cologno sembra essere questa: la tv generalista è, in Italia, più viva che mai, bisogna solo «traghettarne» l’ esperienza nel mondo del digitale. Dicono che la pay tv classica (fatta di abbonamenti vincolanti, canali lineari e costi elevati) abbia il fiato corto, a fronte delle molte offerte più «leggere» che viaggiano in Rete (Netflix e gli OTT). Così, il contenuto, localmente prodotto, «caldo» e spesso in diretta, è ancora una volta la chiave per il successo. E dunque sul contenuto italiano o da «Strapaese» (De Filippi, Bonolis, «Striscia», «Iene», Celentano) si punta: venendo ai numeri, le tre principali reti commerciali hanno incrementato, in questi anni, le serate di produzione «made in Mediaset», che sono passate da 241 dello scorso anno a 281 (di cui 96 su Italia 1, 93 su Canale 5 e 92 su Rete4). Per la stagione 2017-18 l’ incremento di produzione di fiction, intrattenimento e approfondimento è previsto dal 25% (Canale 5) al 33% (Italia 1). Una mole di contenuto realizzato in Italia (anche se spesso basato su format internazionali) pronto per approdare nel mondo digitale: il nuovo servizio «Mediaset Play» (attivo, però, solo dal 2018!) consentirà, seppure in ritardo, una fruizione «anywhere» (tv, tablet, telefonini) e «anytime» (tutto on-demand), consentendo di passare facilmente dal «tutto gratuito» (pubblicità inclusa) a progressivi livelli di pagamento (per i contenuti pregiati), sul modello «freemium» (in parte free e in parte pay). A Cologno si pensa insomma sempre più a una «Spotify della tv» che alla «vecchia» (e mai decollata) Mediaset Premium. (a.g.) In collaborazione con Massimo Scaglioni,elaborazione Geca Italia su dati Auditel.

Tre giorni di summit sulla cine-industria, aspettando Sarandos

Il Mattino

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Tra i punti di forza dell’ Ischia Global Film & Music Fest, al di là del glamour e delle anteprime internazionali, c’ è il convegno dedicato alla produzione cinematografica e audiovisiva che, da qualche anno a questa parte, ha trasformato l’ appuntamento di luglio sull’ isola in un importante e atteso momento di confronto tra i principali players italiani e internazionali di un’ industria che, con l’ avvento del digitale e delle nuove tecnologie, è in continuo mutamento. Non è un caso che, un paio di anni fa, Netflix scelse proprio l’ Ischia Global per la sua prima uscita pubblica in Italia, inviando il suo potente responsabile dei contenuti, Ted Sarandos, a incontrare i principali produttori nazionali. E, anche se non ufficialmente annunciato, Sarandos potrebbe fare una sortita ischitana a sorpresa pure quest’ anno, anche perché tra le anteprime internazionali in programma al Regina Isabella di Lacco Ameno c’ è quel «Fino all’ osso» di Marti Noxon (To the Bone) che proprio il colosso statunitense della distribuzione in streaming diffonderà world wide a partire da venerdì. Così, Sarandos o non Sarandos, anche quest’ anno la kermesse ideata e prodotta da Pascal Vicedomini ospiterà un affollato Global Production Summit (in tre sessioni: domani, martedì e sabato), che quest’ anno proporrà al suo interno anche un interessante focus sulla Campania, in un momento peraltro caratterizzato dal recente varo della nuova legge regionale sul cinema e sugli audiovisivi e dalla partenza dei primi finanziamenti riservati proprio a quelle produzioni che gireranno in Campania. Come di consueto, il parterre sarà particolarmente qualificato, grazie alle presenze e agli interventi di Cheryl Boone Isaacs (la presidente uscente dell’ Academy), del produttore Art Linson (omaggiato ieri sera con una proiezione di «Gli intoccabili» di Brian De Palma nella baia naturale del Regina Isabella) e del chairman di Lionsgate Pictures, Patrick Wachsberger. Attesi anche Allen Shapiro, ceo della Dick Clark Production, produttore dei Golden Globes e degli American Music Awards; Avi Lerner della Millennium, Bobby Paunescu della Mandragora, Trudie Styler, Mark Canton, Andrea Iervolino e Monika Bacardi della Ambi, Andrea e Raffaella Leone del Leone Film Group, Iginio Straffi (presidente di Rainbow Group e «papà» della Winx), Edward Walson di Gravier Production, Stanley Isaacs di 100% Entertainment, Al Newman di Newman & Co., Lola Karimova Tillyaeva e Timor Tillyaev, Dorothy Canton della Mad Riot, Heidi Jo Markel della Eclectic Pictures, Christa Campbell di Campbell Grobam Films, Alessandro Salem di Medusa, Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Aurelio e Luigi De Laurentiis della Filmauro, Giuseppe Pedersoli di Smile Production, Nando Mormone di Tunnel Produzioni, Gianluca Curti di Minerva Pictures, Gaetano Di Vaio di Figli del Bronx, Pierpaolo Verga di O’ Groove e Attilio De Razza di Trump Limited.

FATTA FUORI PERCHÉ AMICA DI GILETTI

Libero

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«Vi racconto una storia amara ma “molto bella” che racconta anche l’ Italia dei giorni nostri e il malcostume che la governa. Riguarda me, e la mia famiglia». Chi scrive – su Facebook – è Catena Fiorello. La sorella di Rosario e Beppe. Catena è una scrittrice di successo. Gira l’ Italia con i suoi libri – da Nati senza camicia al più recente L’ amore a due passi – e la vediamo spesso nei salotti tv. Non in tutti però. «Oggi pomeriggio (lo scorso 29 giugno, ndr) dovevo essere ospite di un programma, era tutto confermato. All’ improvviso qualcuno, chissà chi, ha posto un veto. È accaduto sempre negli anni passati, ma sono andata avanti con la schiena dritta», ha fatto sapere via social. In un video ha poi aggiunto: «Ho ricevuto un messaggio che diceva: “Sei stata invitata, devi venire questo giorno e sarai insieme a… Poi, un altro: “Guarda che non mi fanno passare il tuo contratto. Per altro vado sempre gratis, l’ importante è che si parli un po’ dei miei libri». Il riferimento è probabilmente a uno dei contenitori Rai – solo la tv di Stato resta accesa nella stagione estiva – che quindi avrebbe cancellato la sua ospitata. Un curioso sincronismo, come lei stessa ha fatto notare: «Strana coincidenza: il veto sulla mia ospitata di oggi (l’ ennesimo) è arrivato dopo che mio fratello Rosario si è espresso circa il caso #Giletti. Strano davvero! Pensateci. #vorremmounitalialibera». Fiorello infatti si è schierato contro la chiusura de L’ Arena. La scrittrice insomma avrebbe «pagato» – non solo questa volta – per il suo cognome. Inspiegabilmente. «() Una presentatrice in particolare, me la ricordo benissimo, una biondina apparentemente dolce e amante della natura, disse ai suoi autori che ero troppo protagonista in video, e che preferiva che non andassi più nel suo programma. E poi i tanti altri che, avendo sullo stomaco (per invidia, è chiaro!) i miei fratelli, hanno sempre fatto pagare a me le loro masturbazioni mentali () In certi studi televisivi (e questo non è mai accaduto in #Mediaset, sottolineo per onestà intellettuale) funziona così: la tal responsabile del programma facendo la padrona, o il tale capo progetto in carica per oscuri motivi decidono per simpatie personali, e usano il loro piccolo potere per vendicarsi e divertirsi umiliando le persone«. Catena ha poi precisato «in Rai ho lavorato benissimo». Ha fatto infatti una serie di programmi molto apprezzati dal pubblico. «Nati senza camicia andava su Rai Tre dalle 11 a mezzanotte e faceva uno share veramente alto () Blog – Reazione a catena andava in onda in tarda serata su Rai Due e chiunque veniva in quel programma mi faceva i complimenti per quanto era bello. () Sono andata a La vita in diretta o dallo stesso Giletti, che mi ha voluto perché mi stima e non perché sono la sorella di, anche se mi disse all’ epoca che aveva avuto qualche problemino a farmi ospitare (). Fino a oggi mi hanno sempre chiamata, non è che io volevo andare a tutti i costi». Per poi concludere perentoria: «L’ omertà uccide il 90% degli ambienti televisivi». Diciamolo. »

Perché lo Strega è lo Strega

La Repubblica

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Da Benevento al Ninfeo di Villa Giulia, storia e cronaca della competizione letteraria più famosa. La scrive un protagonista particolare: un editor che per la prima volta è diventato candidato Testo di Alberto Rollo, fotografie di Lavinia Parlamenti Ecosì arriva il momento in cui un romanzo si impone, un editore si impone, un gusto si impone. Quest’ anno tocca a Le otto montagne di Paolo Cognetti. Il Premio Strega è sempre (o quasi sempre) riuscito a far leggere l’ opera che ha premiato, e a creare una dinamica imitativa che, fascetta o meno, ha fatto entrare lettori e consumatori in libreria. È di fatto un moltiplicatore che agisce sul mercato attraverso la comunità allargata dei lettori. Una vittoria implica un flusso di ristampe per l’ editore ma soprattutto innesca un passaparola che, quando la narrazione è veramente efficace, ” lavora” fino all’ anno successivo. ” Mi leggo lo Strega, quest’ estate” è un tormentone tuttora vivo, e spesso taglia titolo e autore per lasciar emergere il Premio. Al netto delle puntuali polemiche che hanno nutrito tutte le sue stagioni. I pacchetti di voti, le telefonate degli editori ai giurati, le promesse fatte, quelle palesemente tradite, il coinvolgimento degli uffici stampa (veri grandi protagonisti della triangolazione autore/editore/premio) e da qualche anno a questa parte di professionisti ingaggiati con il compito di interrogare i giurati, rammentare ai giurati, consigliare i giurati. Sembra un paradosso ma non lo è: la massima opacità dello Strega finisce con il coincidere con la sua massima trasparenza. Tutti sanno quello che sta succedendo, e lo sanno come impettiti, diplomatici nelle gallerie di specchi della Versailles di Luigi XIV, come aristocratici sospettosi della Pietroburgo post decabrista, come asburgici funzionari messi di fronte ai Fatti di Mayerling. Silenzio, sussurro, e quando va bene, riccioli di ironia. Ma in fondo a questa strada c’ è un romanzo che imbocca la strada della risonanza. L’ autore leva la bottiglia gialla sul palco, ingolla un sorso, il miracolo è fatto. La grande macchina delle trame si ferma e sembra una betoniera abbandonata fuori dal Ninfeo (e, a proposito, bentornati al Ninfeo). E allora? E allora fatemi ricordare: quest’ anno ci sono stato anch’ io. Dall’ altra parte. Per la prima volta. Non è stata una decisione semplice acconsentire. Ho fatto della mia ricognizione su Milano e sulla mia generazione un’ opera che il mio piccolo, nobile editore salentino ha voluto chiamare romanzo. E così, si va allo Strega. E lo Strega, per chi non lo sapesse, comincia a Benevento dove il celebre liquore si produce. Lì sotto l’ arco di Traiano ho rammentato come mi trovassi a far parte di una dozzina in cui comparivano miei ex autori, autori che avrei voluto pubblicare, autori che avrebbero voluto essere pubblicati e autori che sono autori della casa editrice in cui lavoro da sei mesi. Ci sono stati tempi in cui entravano anche cinque autori della stessa casa editrice (Feltrinelli nell’ edizione 1959 che vide trionfare Il Gattopardo). Ci sono stati tempi in cui nelle case editrici lavoravano scrittori, intellettuali, studiosi: un gran fermento che la selezione del Premio rifletteva. Quest’ anno eravamo in due – dato che concorreva anche Ferruccio Parazzoli, figura chiave della casa editrice Mondadori ma scrittore da sempre: ciò non toglie che mi sentissi un po’ solo con i miei trent’ anni di lavoro editoriale alle spalle, a reggere lo scarto che comunque agisce fra editor e autore. Ma il mondo è largo. C’ è spazio per fare anche questo genere di esperienza. E a quel punto è cominciato il teatro delle anime. Ti trovi a fianco persone, spesso meravigliose, che ci tengono, che hanno sudato sulla pagina, che hanno messo il cuore nella scrittura e improvvisamente si scoprono con una faccia diversa, con una faccia ” stregata”. Bewitched, come in una canzone di Rodgers e Hart. E non sono cominciate oggi quelle facce. Non è un caso che il Premio abbia dedicato un libro fotografico ai vincitori. Personalmente rammento, fra le facce, quella smagliante di blues della vittoria di Mimmo Starnone, quella torva di beatitudine di Maurizio Maggiani, quella lucida e ansimante di Ugo Riccarelli, quella tutta raccolta nelle pieghe ai lati della bocca di Nicola Lagioia, e fuori dai vincenti, quella severa e scavata di Vittorio Sermonti, quella indagante e sorniona di Paolo Sorrentino, già presago della ” mostruosa” bellezza sociale che dal Ninfeo avrebbe reinventato su una terrazza romana, e soprattutto quella di fanciullo un po’ sgomento e un po’ ferito del grandissimo Ermanno Rea che nel 2008 il vincitore Paolo Giordano voleva accanto a sé sul palco. Quando me ne parlava negli anni seguenti, Rea alzava le spalle: non recriminava e non snobbava – era ormai contento di star fuori dalle competizioni o comunque pensava che avrebbe dovuto battersi (e lo ha fatto) su altri piani della promozione editoriale. Già, gli sconfitti. Fanno parte della storia del premio. La faccia stregata la portano anche i giurati e funzionari editoriali: per quanto abbiano brigato, per quanto si siano spesi, la notte del Ninfeo hanno la grimace della sfida lanciata, il furore dei voti che non sono arrivati, il sentore desolante di aver “portato” il romanzo “sbagliato”, l’ incerta postura di chi non ha potuto portare a compimento la promessa di voto. Ci si volge indietro e la galleria di ritratti si allunga in una prospettiva infinita: c’ è tutta la narrativa italiana del dopoguerra nel “catalogo” degli scrittori che sono stati selezionati, anno dopo anno, dopo il fatidico 1947 che vide la vittoria di Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, edito da Longanesi. Forse allora una faccia “stregata” era ancora prematura, ma è già evidente, quasi dieci anni dopo, nella pensosa gratitudine di Giorgio Bassani, nella gioia vaporosa di Elsa Morante che indica sulla lavagna la sua Isola di Arturo, in quella di Paolo Volponi seduto accanto a Pier Paolo Pasolini in attesa dello spoglio (nel 1955 era stata fondata la rivista Officina e Pasolini aveva voluto la collaborazione dello scrittore urbinate). Sono foto di una festa quelle che arrivano dal passato, e raramente si contempla l’ altra metà della ideale “sala da ballo”. Che pure esiste. È come se ci fosse qualcosa di favoloso nella partecipazione al Premio, come se l’ Istituzione Culturale che esso è diventato accendesse un incanto, gettasse una malia ( siamo in fondo dentro i parametri della fiaba di Cenerentola e tutto finisce – o tutto comincia – dopo la mezzanotte). Vincitori e sconfitti sono messi al riparo dall’ incertezza, perché, se è pur vero che il Premio non canonizza, certamente disegna la dinamica di una affermazione che si ripete, puntuale, ogni anno. Lo scrittore è condotto ogni volta a palazzo. Perciò “vien su” una faccia particolare, quella che pregusta, che smania, che si colma di attesa. Ha il premio un nesso con la qualità? Ma certo che ce l’ ha. Ce l’ ha, perché osa, e seleziona. Comunque lo fa. Quando quell’ osare e selezionare fossero pure motivo di protesta e di ingiustizia, l’ innesco del tema della qualità è fatto. Da lì si può cominciare a discutere, proprio alla maniera antica, magari fuori dal legittimo articolare della critica, dove ” lavora” il basico duello fra “mi piace”, “non mi piace” – che è l’ utensile molto concreto, per nulla magico, della comunità dei lettori. Comunità di cui facciamo parte, editori o autori senza distinzione di ruolo. Ho guardato con curiosità i miei nuovi “colleghi”, quest’ anno: lo facevo da infiltrato, e la cosa era, a suo modo, interessante. Come stare in un acquario, e malgrado l’ ovidiana metamorfosi si sentiva in controluce la persona: e della persona il tormento, il sospetto, la fragilità. E la letteratura? Lo si dovrebbe usare con parsimonia questo termine. La letteratura è ciò che resta del lavoro sulla parola, non ne è mai la premessa. E “ciò che resta” va al di là di un premio, anche di un premio importante come lo Strega. Nell’ estate del 2005 ho avuto la fortuna di portare a pranzo nella sua Elba, trattoria sospesa sul mare, Anna Maria Rimoaldi. Ne hanno dette molte su Rimoaldi. Incuteva rispetto. Sapeva cosa fare, e come. Ma quel rispetto – l’ ho compreso bene allora, all’ ombra dell’ uva fragola – succhiava linfa da una sensibilità per le forme della narrazione a cui non è stata quasi mai tributata abbastanza attenzione. E lei per l’ appunto riusciva a parlare di che pasta erano fatti i romanzi, non di ” letteratura”. Come dire che il verdetto passa dal premio ai lettori e soprattutto ai lettori che verranno. La betoniera della macchina Strega ora si è fermata. Mi torna in mente lo struggimento creativo del protagonista de Il soccombente di Thomas Bernhard. ” Perché noi crediamo sempre di essere autentici e in realtà non lo siamo, e di essere concentrati e in realtà non lo siamo”. Spenti i clamori, ciascuno è lì che deve tornare, augurandosi di non incrociare mai (o di non rendersi conto che ha incrociato) un Glenn Gould, che, come accade nell’ opera di Bernhard ridimensiona ogni talentuosità, attraverso la necessità dell’ espressione e la semplice verità della bellezza . © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Asterix, viaggio in Italia

La Repubblica

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di Luca Valtorta Quattrocento milioni di copie vendute nel mondo, quattro di tiratura iniziale: il 26 ottobre uscirà la nuova storia tradotta in venti lingue. Qui, in anteprima, l’ intervista allo sceneggiatore, Jean-Yves Ferri TITOLO: ASTERIX E LA CORSA D’ ITALIA CREATORI: GOSCINNY & UDERZO SCENEGGIATORE: JEAN- YVES FERRI DISEGNI: DIDIER CONRAD EDITORE: PANINI PAGINE: 46 PREZZO: 12,90 EURO TRADUTTORI: V. VITALI & A. TOSCANI C’ è un motivo per cui il prossimo episodio delle avventure di Asterix sarà molto importante per noi: si intitolerà Asterix e la corsa d’ Italia. E non si svolgerà solo a Roma, il cuore dell’ Impero, la città di Giulio Cesare che è già stata mostrata in altre occasioni, ma dalla Transpadania al Bruttium. Siamo nel 50 a.C. e l’ Italia è sotto il dominio di Roma. Ma, con un certo dispiacere di Obelix che da sempre adora prendere i romani a sberle, i due galli si renderanno conto che non è proprio possibile assimilare tutti gli Italici a Roma, anzi! «Arrivati al trentasettesimo albo abbiamo deciso che era venuto il momento di raccontare che cosa era veramente l’ Italia», spiega lo sceneggiatore Jean-Yves Ferri che, con il disegnatore Didier Conrad ha ricostituito la coppia che fu dei grandi Goscinny e Uderzo, con la benedizione delle stesso Uderzo che lo scorso aprile ha compiuto novant’ anni. «Finalmente si gode il meritato riposo, anche perché giunti al terzo episodio, ormai si fida di noi». Come siete stati scelti da Uderzo agli inizi? «Tutto è cominciato quando Hachette ha segretamente contattato una decina di autori chiedendo di presentare un abbozzo di storia: il nostro è stato quello che lo ha convinto di più. Nel mio caso forse perché io ero già un autore di fumetti umoristici». Uderzo controlla tutti i disegni che vengono realizzati? «Quando abbiamo fatto il primo albo, Asterix e i Pitti, naturalmente ci ha dato molti consigli ma questa volta invece non è intervenuto per niente salvo che per l’ incoraggiamento: ha letto la storia all’ inizio e poi man mano guardava le tavole ma non ha mai chiesto un rifacimento. Era sempre molto soddisfatto dei disegni ed era felice che la storia fosse ambientata in Italia perché è il suo paese d’ origine». Quindi la scelta dell’ Italia non è stata sua? «No, è stata una scelta mia. Tutti i lettori di Asterix conoscono Roma ma non il resto dell’ Italia. Stranamente questo tema non era mai stato trattato nelle storie precedenti mentre succedeva per molti altri Paesi come la Spagna, il Belgio e ovviamente la Francia». Lei conosce bene l’ Italia? « Abbastanza, ma il problema è che bisognava raccontare l’ Italia dell’ anno 50 a.C., un lavoro più difficile di quello che può sembrare perché Asterix non è un trattato di storia ma non si può nemmeno prescindere dai riferimenti precisi a cui i lettori sono abituati». Goscinny e Uderzo si documentavano molto. Questa storia sarà un po’ come “Asterix e il giro di Gallia”? « Non proprio: quello era una sfida, una scommessa tra Galli e Romani che avrebbero sorpassato lo sbarramento romano. In questo caso invece sarà completamente diverso, non ci sarà una sfida». Sarà un viaggio da Nord a Sud? « Sì perché, venendo dalla Francia, è la strada più naturale. Mi sono documentato sulle vie dell’ epoca ed erano già molto servite». Una cosa molto complicata in Asterix sono i famosi calembour. Avremo delle cose simili anche in questa avventura? « Sono imprescindibili: in Francia sono considerati un vero e proprio patrimonio linguistico. Il lavoro difficile sarà per i traduttori…». Infatti per l’ Italia il grande Marcello Marchesi creò il famoso “Sono Pazzi Questi Romani”: nell’ originale come era? «In realtà in francese c’ era la frase “Ils sont fous, ces Romains!”: la genialità del vostro Marchesi è stata creare ed evidenziare l’ acronimo S. P. Q. R. Nel nuovo albo ci sono alcuni nomi di luoghi con cui vengono fatti dei giochi di parole che non sarà facile tradurre». Ci saranno anche i diversi dialetti italiani? «Il lettore francese non potrebbe capire, però forse nella traduzione italiana potrebbero esserci. Per esempio, in Asterix e i Pitti il traduttore scozzese ha fatto una ricerca sui modi di dire in gaelico e li ha inseriti, infatti è molto più interessante e ricca di quella inglese». In Italia c’ è sempre stata grande rivalità tra le città «L’ ho tenuta presente e spero di averla rispettata. In Francia sono sconvolti dalle rivalità anche culinarie tra le città italiane: per il visitatore però è molto piacevole perché è un segno di vivacità». In Francia non è così? «È un po’ diverso, da noi magari ci può essere rivalità tra la cucina della Borgogna e quella dei Pirenei: è più una cosa su scala regionale, mentre da voi ogni città o paese ha le sue caratteristiche». Quindi ci saranno anche questi aspetti per così dire ” gastronomici” nel nuovo Asterix? «All’ epoca i piatti forti della cucina italiana non esistevano e quindi non sarebbe stato verosimile. C’ era un equivalente della pasta ma non di altro, ma delle allusioni ci sono. Vi darò un piccolo scoop: nelle mie ricerche ho effettivamente trovato un condimento che veniva utilizzato molto ai tempi dei romani. Era fatto con viscere di pesce marinate con un gusto molto forte: se ne faceva un mercato molto ampio e ne esistevano diversi tipi e qualità. Per esempio ce n’ era uno per ricchi che costava moltissimo. Vicino a Napoli c’ era un allevamento di pesci apposta. Ho immaginato che i pirati di Asterix avrebbero potuto inserirsi nel “traffico” di questo condimento». Un albo di Asterix con protagonista l’ Italia potrebbe essere anche un ottimo richiamo per il turismo nel nostro paese. « Credo di sì: del resto una delle caratteristiche di Asterix è proprio quella di raccontare con ironia le caratteristiche umane, sociali, i modi di vivere nei vari paesi, giocando tra antico e moderno». Quanto tempo ci vuole per scrivere una storia di Asterix? « Due mesi per pensarci senza scrivere niente, sei mesi di lavoro sullo storyboard che poi mando a Didier, il disegnatore». E quanto tempo ci mette Didier a disegnarlo? «Circa sei mesi. Anche se sono solo quarantasei pagine Asterix richiede la massima attenzione anche ai minimi dettagli». Il suo rapporto con il disegnatore è di continuo scambio? «Sì, non di persona però perché lui vive in Texas». Un francese in Texas? Che cosa ci fa lì? «Non lo so (ride)». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

L’ ultimo regalo di Ilaria Alpi: farci tornare giornalisti

L’Espresso
TOMMASO CERNO
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SE c’ è un problema tra giornalismo, politica e magistratura – e c’ è – è arrivato il momento di affrontarlo nei fatti. C’ è qualcuno che ha il dovere di farlo, continuando a cercare. C’ è qualcuno che, per come stanno messe le cose in Italia e a livello globale, deve scegliere adesso che strada seguire. Facendo ciò per cui, un giorno, scelse di fare questo mestiere: il giornalista. Una scelta che implica di dedicare la propria vita alla ricerca, anche ossessiva, di qualcosa che – con molta approssimazione – è chiamata “verità”. Questo qualcuno siamo noi giornalisti, prima di tutti. Proprio adesso quando accade un fatto, prevedibile e grave. Un fatto che tocca nel profondo il rapporto fra informazione e realtà e ancora di più la “separazione delle carriere” fra cronista e magistrato. Dogma che negli anni ha dato la sensazione di vacillare, sostituendo a volte – diciamo pure spesso – l’ inchiesta giornalistica con un inseguimento western fra redazioni e procure. Che succede in questo universo fatto di milioni di bugie, sfoghi emotivi, sentimenti di rabbia o di tifo che si sostituiscono all’ analisi dei fatti, con il meccanismo che fu della magia contro la scienza? Che succede mentre nemmeno la prova fa più sorgere un dubbio nel lettore? Succede un semplice fatto di cronaca: ascoltiamo le dure e semplici parole di Luciana Alpi, madre di Ilaria, l’ inviata del Tg3 brutalmente assassinata a due passi dall’ amasciata italiana di Mogadiscio il 20 marzo 1994 assieme al suo operatore Miran Hrovatin. Dice all’ Italia e agli italiani “basta”, dice che se ne starà a debita distanza dai palazzi della giustizia dove ha passato quasi un quarto di secolo dalla morte della figlia. Questo dopo la seconda richiesta di archiviazione della Procura di Roma su quel barbaro omicidio, perché non siamo stati capaci di trovare un colpevole, una prova, qualcosa di solido. Quando tutti noi sappiamo che quell’ omicidio è una melma vischiosa dentro cui sguazza, lordo ma libero, un pezzo del nostro Stato. Vedremo come andrà a finire, ma c’ è qualcosa che dobbiamo fare: se la giustizia si ferma, il giornalismo deve andare avanti. Anzi deve ricominciare a cercare. Perché questa sordida storia lega Italia e Somalia, criminalità e potere. È una storia dove questo Paese proietta ombre lunghe, che non è possibile per il giornalismo far scomparire levando la luce della ricerca della verità. Quelle ombre devono vedersi nitidamente, devono essere descritte, non possono ritrarsi nel buio con il tramonto delle indagini ufficiali. Abbiamo oggi più che mai il dovere di descriverle nei dettagli e fare quello che è sempre stato, o avrebbe sempre dovuto essere, il nostro mestiere, il mestiere di Ilaria Alpi, morta per cercare pezzetti di una verità scomoda. Proprio quando il legame fra magistratura e giornalismo è al centro di dibattiti a volte surreali, proprio nel Paese dove una richiesta di archiviazione per qualche politico indagato fa gridare invece che allo scandalo al garantismo, dobbiamo riuscire ad andare là dove i giudici non vogliono o non possono andare. Perché credere alla fake news che nulla può più essere scoperto significa non soltanto offendere la memoria di Ilaria Alpi, ma demolire ancora di più la nostra professione. Significa infliggere a Ilaria una seconda morte e al nostro mestiere un colpo fatale. L’ impegno che L’ Espresso si prende è di cercare ancora. Di andare là dove un giornalista dovrebbe sempre stare, in mezzo ai fatti, su quel crinale dove la giustizia, ci auguriamo suo malgrado, diviene per l’ opinione pubblica ingiustizia. E come noi credo faranno molti altri colleghi. Non possiamo sapere se e cosa troveremo fra le ombre lasciate scivolare via, dolosamente in questi quasi venticinque anni. Ma siamo certi che non ci fermeremo. Perché la Verità per Ilaria è anch’ essa un grande cartello giallo che deve essere issato in ogni luogo. Siamo noi a doverlo riempire di parole diverse da quella, brutta, che abbiamo sentito pronunciare ancora dallo Stato: fermiamoci! n La Procura chiede di archiviare: impossibile trovare gli assassini. Ma il nostro dovere è cercare sempre. Oltre gli atti giudiziari Editoriale.

Radio 24 vara il palinsesto estivo e rinforza il weekend con lezioni semiserie di educazione finanziaria e radiofumetti

Prima Comunicazione

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Radio 24 apre le porte all’ estate nel palinsesto del week end. A luglio l’ emittente news&talk del Gruppo 24 ORE accanto all’ informazione dei GR e dei programmi di attualità, economia, cronaca e sport amati dagli ascoltatori, che continuano ad andare in onda per tutto il mese, propone tante novità da offrire al pubblico nel fine settimana estivo. Le novità – racconta il comunicato del gruppo – prendono il via sabato 9 luglio. Protagonisti i giovani con Maria Piera Ceci che interrogherà “I ragazzi del ’99”, quei ragazzi che quest’ anno diventano maggiorenni e affrontano la vita da adulti. Cosa pensano, cosa vorrebbero cambiare e come immaginano il loro futuro, Radio 24 racconta le storie e il pensiero di ragazzi straordinariamente normali. Un altro ritorno su Radio 24 è “Dylan Dog, l’ indagatore dell’ Incubo”, il seguitissimo radiofumetto in cui l’ investigatore dell’ horror prende voce e racconta in prima persona le più significative tra le avventure scritte da Tiziano Sclavi. Il racconto si alterna alle scene drammatizzate e il fumetto diventa un’ opera radiofonica, con una narrazione ricca di voci, suoni, musiche e di emozioni diverse. Torna anche “Terra in vista”, il mondo a misura di bambino, il programma condotto da Federico Taddia insieme a Telmo Pievani. Ogni sabato i conduttori risponderanno alle domande dei più piccoli, che questa volta saranno sul nostro paese. “L’ Italia spiegata a mio figlio” è un viaggio per raccontare a bambini e ragazzi il Bel Paese, svelando curiosità e facce inedite dell’ Italia con gli occhi della scienza, della cultura e della meraviglia. La domenica di Radio 24 vede il ritorno di uno degli appuntamenti classici dell’ estate di Radio 24: quello con “Nessun Luogo è Lontano” di Giampaolo Musumeci, che, dopo un anno di reportage in giro per il mondo, torna in radio e accompagna gli ascoltatori in un viaggio per comprendere cosa accade lontano dall’ Italia. Quali sono i beni per cui si combatterà in futuro? Cosa accomuna il business del petrolio con quello del cacao? Cos’ è l’ islam e cos’ è l’ ISIS? A luglio protagonisti i grandi temi: acqua, risorse e religione. Prenderà il via da sabato 22 luglio, e proseguirà per tutta estate, “Il Serpente Corallo”. Ogni sabato alle 9.00 arrivano i Ciappter Eleven – Mauro Meazza, Stefano Elli e Marco Lo Conte – tre giornalisti del Sole 24 Ore che terranno compagnia agli ascoltatori di Radio 24 con lezioni semiserie di educazione finanziaria, normativa e tributaria. Un programma per conoscere e possibilmente evitare le piccole e grandi fregature, ovvero i ‘serpenti corallo’ che sono sempre in agguato e che vogliono mordere i nostri risparmi, colpirci con le tasse, confonderci con le leggi. Su Radio 24 proseguono gli appuntamenti quotidiani classici del mattino con Alessandro Milan e Oscar Giannino a 24Mattino e Attenti a noi due, Debora Rosciani e Nicoletta Carbone con Cuore e Denari, Gianluca Nicoletti con Melog, e al pomeriggio Tutti Convocati con l’ aggiornamento sullo sport a cura di Carlo Genta e poi Sebastiano Barisoni con Focus Economia e come sempre l’ irriverenza della Zanzara con gli immancabili Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Nel week end sempre in onda anche Alessio Maurizi con Si Può fare e Oscar Giannino con I Conti della Belva, continuano anche gli appuntamenti con Federico Taddia e L’ altra Europa e con Laura Bettini e L’ altro Pianeta.

Rassegna Stampa del 10/07/2017

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Indice Articoli

Giornali di partito Buco da 238 milioni

SCAPPATI CON LA CASSA

La Fieg: regole valide per tutti «Tutela al diritto d’ autore online»

Le nuove regole del governo Stop ai contributi pubblici

«Testate inattuali Politici assunti come giornalisti»

MEDIASET NUOVA PAY IL SECONDO TEMPO DEL BISCIONE

Vision e medusa la scommessa inizia in sala

Parla Giletti: «Vi racconto la mia Arena antipatica»

Giornali di partito Buco da 238 milioni

Il Giorno
Matteo Palo
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I giornali di partito (tra cui l’Unità) hanno ricevuto, dal 2003 al 2015, 238 milioni di euro di finanziamento pubblico che sono finiti nelle casse di 19 testate di ogni orientamento politico. In cima alla classifica c’è l’Unità che ha ricevuto 62 milioni di euro. Sul secondo gradino del podio La Padania, con 38 milioni di euro, e subito dietro Europa, organo dell’ ex Margherita, con 32 milioni di euro.UNA PIOGGIA di soldi: 238 milioni di euro (i dati sono tutti riferiti al periodo 2003-2015). Per ottenere risultati molto mediocri: fallimenti, nella maggior parte dei casi. O ridimensionamenti, per salvarsi la vita. È questa la drammatica fotografia dei giornali di partito che è possibile scattare analizzando i dati disponibili sul sito di Palazzo Chigi: il sito Openpolis ha appena dedicato al tema un interessante approfondimento. Che dice molto, proprio adesso che il Partito democratico ha lanciato Democratica, la nuova testata on-line che avrà il compito di prendere il posto dell’Unità. IL QUOTIDIANOfondato da Antonio Gramsci è, infatti, in assoluto il giornale che dal 2003 ad oggi ha gravato maggiormente sulle casse dello Stato. Per la precisione, ha incassato la bellezza di 62,6 milioni di euro. Scorrendo la classifica, sono molti i quotidiani che pescano nel bacino di lettori di sinistra ad avere fatto incetta di finanziamenti. Al terzo posto in assoluto troviamo Europa, espressione della ex Margherita (poi confluita nel Pd), capace di raccogliere 32,5 milioni di euro di contributo pubblico. Liberazione, organo di stampa di Rifondazione comunista, si è messa in tasca poco meno di 32 milioni di euro. Anche a destra, però, si fa spesso incetta di contributi pubblici. Il secondo giornale più finanziato dallo Stato è, infatti, la Padania, organo della Lega Nord, che ha messo insieme 38,6 milioni di euro. Il Secolo d’Italia, diventato l’organo del Movimento sociale negli anni Sessanta e poi passato attraverso varie proprietà ad An, ha raccolto 28,2 milioni di euro. Ma non ci sono solo questi giornali dai nomi molto noti. Esiste anche una galassia di pubblicazioni meno conosciute che, messe in fila, hanno raccolto parecchio denaro. Terra-Notizie Verdi era l’organo ufficiale della Federazione dei Verdi: ha ricevuto finanziamenti per 13,8 milioni di euro. Cronache di Liberal, organo ufficiale dell’Unione di Centro, ha totalizzato contributi per 10,1 milioni di euro. Ancora, la Discussione, nato come giornale legato alla Democrazia cristiana, poi organo della Dc per le Autonomie, ha ricevuto 7,9 milioni di euro. Chiudono la classifica Zukunft in SudTirol, organo della Sudtiroler Volkspartei, con 6,1 milioni di euro e Rinascita della Sinistra, settimanale dei Comunisti italiani, con 5,9 milioni di euro. Il conto totale, da mandare allo Stato italiano per il saldo, è di 238 milioni di euro. MA C’È UN ALTRO aspetto che rende la questione dei finanziamenti ai giornali di partito ancora più interessante. Come spiega proprio l’analisi di Openpolis, queste pubblicazioni negli anni sono quasi tutte sparite. Delle 19 testate di partito presenti negli elenchi di Palazzo Chigi, infatti, quasi tutte sono state costrette, dopo lunghi periodi di sofferenza e lotte intestine, a chiudere i battenti. L’80%, infatti, ad oggi non esiste più. Sono solo due i casi di giornali ancora attivi nella loro versione cartacea: La Discussione e Zukunft in Südtirol. Mentre il Secolo d’Italia sopravvive in forma ridimensionata, con una versione on line. E’ evidente, insomma, che i contributi pubblici non aiutano la costituzione di imprese solide e sostenibili. E, anzi, nel tempo portano pericolosi effetti collaterali.

SCAPPATI CON LA CASSA

Il Giorno

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PROVIAMO a ragionare. Perché mai dovrebbero funzionare i giornali di partito, veri o finti, quando non funzionano i partiti? Nessuna meraviglia che siano quasi scomparsi da un già difficile panorama editoriale. Il problema è che sono scappati con la cassa. E magari fosse scappato chi ci ha lavorato. Sarebbe una sorta di liquidazione forzosa. Se li sono presi i partiti medesimi o qualche raider (razziatore) che da solo o in nome e per conto di un partito ha fatto finta di fare l’ editore: prendo il giornale, succhio i soldi e chiudo. Peggio per chi ci campa, e per le loro famiglie. Vedi l’ Unità, fondata da Gramsci a abbandonata dal Pd dopo una vecchiaia di stenti. E già sarebbe deprecabile. Se poi guardiamo a quanti soldi del contribuente sono finiti nelle casse di queste pubblicazioni, c’ è da inorridire. Un finanziamento indiretto ai partiti da scippo con destrezza, visto che quello diretto il popolo italiano lo aveva soppresso, giusto o sbagliato che sia, con il referendum del 1993. Aggirato in un primo tempo con i rimborsi elettorali, poi, appunto, con questi soldi a giornali spesso fantasma, da Samizdat, la stampa clandestina del’ Unione Sovietica. Non a caso, forse, troviamo tra i desaparecidos molte testate che sono appartenute alla gassosa galassia della sinistra. Soldi. Tanti soldi: 238 milioni. Intascati dagli stessi indignati speciali che predicano rigore e sobrietà, che vogliono (giustamente) ridurre le spese della politica, tagliare i parlamentari, i vitalizi, i rimborsi, le auto, gli scooter I virtuosi, con i soldi degli altri. Nostri. Adesso le regole stanno cambiando. Bene. Così ci sarà l’ opportunità di studiare un altro modo per aggirarle. Il digitale, il web, qualche tecnologia con cui i partiti diffonderanno messaggi che nessuno leggerà, come è accaduto per i giornali, chiusi non per decreto, ma per assenza di lettori. Sperando di essere smentiti, e che il Palazzo incominci a dire e a fare cose serie. Per esempio, non scappare con la cassa.

La Fieg: regole valide per tutti «Tutela al diritto d’ autore online»

Il Giorno

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ROMA I RICAVI della stampa in 10 anni si sono dimezzati: un dato che incide sulla sostenibilità economica delle imprese che fanno informazione professionale e che hanno necessità di fare investimenti. Per questo, ha sottolineato Fabrizio Carotti (nella foto), direttore generale della Fieg, «c’ è l’ esigenza di regole valide per tutti per un mercato che sia realmente competitivo e c’ è l’ esigenza, soprattutto, di un’ adeguata tutela del diritto d’ autore online al fine della valorizzazione dei contenuti editoriali di qualità. In mancanza di questo non è possibile fare investimenti e garantire un prodotto professionale».

Le nuove regole del governo Stop ai contributi pubblici

Il Giorno

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ROMA STOP ai finanziamenti erogati a «imprese editrici di organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali». La novità è recente e si applicherà a partire dai prossimi anni: è stata introdotta dal decreto che riforma le regole per il finanziamento all’ editoria, pubblicato dal governo a maggio. Il testo stabilisce i criteri per l’ erogazione di contributi diretti, i fondi che Palazzo Chigi attribuisce ai giornali. Escludendo esplicitamente alcune categorie di imprese. Tra queste, oltre agli organi di partito, «le imprese editoriali quotate in Borsa». Molti dei principali gruppi editoriali italiani non incassano un euro di contributi diretti. Non è chiaro quanto denaro verrà destinato a tali erogazioni nel 2017: la cifra è stabilita anno per anno. Lo Stato cercherà di incentivare la transizione al digitale: potranno incassare i contributi soltanto quelle imprese che pubblicano un’ edizione «in formato digitale dinamico e multimediale» della loro testata. Rispetto al passato, sono stati aggiunti paletti sull’ organizzazione del lavoro: bisognerà rispettare il contratto nazionale di categoria e andranno impiegati almeno cinque dipendenti assunti a tempo indeterminato. Non sono cambiate le regole per i finanziamenti indiretti, legati a tipologie di sconto fiscale e agevolazioni sugli acquisti della carta. A differenza dei contributi diretti, quasi tutti i grandi gruppi editoriali ne godono, ma con peso minimo nei bilanci. m. p.

«Testate inattuali Politici assunti come giornalisti»

Il Giorno
Giovanni Rossi
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SERGIO Staino, 77 anni, disegnatore, fumettista e regista – inventore del celebre Bobo – rischia di essere l’ ultimo direttore dell’ Unità, il quotidiano voluto da Antonio Gramsci, organo del Pci (e poi di Pds e Ds), successivamente controllato dal Pd. Ora che il giornale (per l’ 80% di proprietà del socio privato Piesse e per il 20% del partito) ha smesso di uscire, e che il Pd dal 30 giugno ha lanciato Democratica (nuovo quotidiano in formato pdf scaricabile), solo un miracolo potrebbe salvare l’ antica casa: giornalisti in cassa integrazione e direttore sempre in attesa di un colloquio con il segretario Matteo Renzi. Per ora negato. Staino dà prova d’ ironia: «Come si dice in questi casi, meglio ultimo al Tour de France che cinquantacinquesimo». Rivendica la maglia nera? «Potrei restare nella storia. Invece sono nel limbo». Tutti i direttori delle testate di partito lo sono. «Ma io più di altri. Renzi mi ha chiamato, nel 2015, come terza scelta – dopo Gianni Cuperlo ed Erasmo De Angelis – perché non voleva un giornale sdraiato sulla segreteria. Noto che ha cambiato idea. Come il lancio di Democratica dimostra: un house organ tarato sulle esigenze e sulla messaggistica del leader. Legittimo, per carità. Bastava dirlo». Non bisognerebbe mai credere ai leader che si immaginano aperti e plurali. Lo dicono, ma nell’ intimo non vogliono. «Verità sacrosanta, ma io sono un ottimista per natura e anche stavolta ci sono cascato. Del resto nel mio curriculum c’ è anche il sostegno a Massimo D’ Alema, il politico che più di ogni altro ha danneggiato la sinistra italiana». Provi ad astrarsi dal suo limbo e a guardare la situzione dall’ esterno. Hanno ancora senso le testate di partito? «No, probabilmente no. Di fronte a crollo delle ideologie, astensionismo in crescita, disillusione trasversale e massima mobilità di voto, l’ elettore non lo acchiappi più con il giornale della casa. Perché se fa da grancassa al segretario, non è credibile. E se invece si apre al dibattito, diventa motivo di tensione». Non ci poteva essere un modo più elegante per uscirne? «Assolutamente sì. Suona comodo alibi che il Pd non possa affrontare la situazione perché in minoranza nella compagine azionaria». Sono i fatti però. «Guardi che io capisco le esigenze del partito. Con tutti i soldi spesi per la campagna referendaria, una riflessione dopo la batosta era inevitabile. Però non così. Così fa male». I giornali di partito sono costati allo Stato 238 milioni in 15 anni. E sono quasi tutti morti, moribondi o confinati on line. Una parola a difesa? «La verità è che per anni sono stati caricati di costi impropri. Politici assunti come giornalisti, amministrativi a volontà, e via elencando. Errori che oggi si pagano in blocco». Sulla torre con Renzi e D’ Alema, chi butta giù? «D’ Alema non lo faccio neppure salire. E a Renzi dico: “Ho fatto il giornale aperto che mi hai chiesto. Perché reagire così?”» Intanto alle Feste dell’ Unità si mangia e si dibatte. «In nome di un giornale che non esce più». Macabro. «Foss’ anche solo per questo, una soluzione va pensata».

MEDIASET NUOVA PAY IL SECONDO TEMPO DEL BISCIONE

L’Economia del Corriere della Sera
Maria Elena Zanini
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L’ impressione è che il Biscione sia destinato nei prossimi mesi a cambiare pelle. Sotto assedio dei cugini francesi, contro i quali però è stata definita una strategia precisa, l’ obiettivo principe dalla galassia di Cologno Monzese è quello di arginare per quanto possibile il duplice colpo subito durante il 2016: il voltafaccia di Vivendi e l’ addio alla Champions League, passata (tornata, meglio dire) nelle mani di Andrea Zappia, alla guida di Sky. L’ impatto dell’ affair Vivendi sui conti del 2016 è stato importante. Come ha spiegato lo stesso Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, nel corso dell’ assemblea dei soci del 28 giugno, «La rottura (con Bolloré) ha segnato in modo profondo il 2016 e distrutto tutto il valore potenziale che sarebbe nato dalla combinazione di due grandi aziende di comunicazione». Tradotto in numeri significa una perdita record da 294,5 milioni di euro sul bilancio 2016 a causa di oneri straordinari per 341 milioni, generati proprio dal contenzioso con Vivendi. Ma le prospettive, stando alle dichiarazioni dell’ amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi, sono cautamente ottimistiche con la previsione di tornare per quest’ anno all’ utile, con forti dubbi però sul dividendo, che già Fininvest ha deciso di non distribuire per quest’ anno. Comprensibile dunque il «malumore» che serpeggia a Cologno Monzese e altrettanto comprensibili le barricate che sono state innalzate, modello si vis pacem para bellum , per citare sempre Confalonieri. Da qui la seconda causa intentata contro Vivendi per «violazione contrattuale, concorrenza sleale e violazione della legge sul pluralismo televisivo». Oltre al risarcimento danni (1,5 miliardi) e alla richiesta di esecuzione del contratto, ora Mediaset contesta anche l’ acquisto di azioni realizzato nella scalata che avrebbe violato vincoli presenti nell’ accordo firmato. Per quanto riguarda il capitolo Champions, l’ offerta presentata da Mediaset per accaparrarsi ii diritti per la sua pay tv (240 milioni a stagione, contro i 230 del precedente triennio) non è riuscita a superare quella della concorrente Sky che ha messo sul piatto oltre 900 milioni per le 340 partite. Poco male: non è un mistero che la competizione europea non aveva incrementato il numero di abbonati alla pay, così come non ne aveva tolti a Sky che deteneva i diritti tv della Champions prima del Biscione. E ora, a conferma che la competizione europa non sia automaticamente portatrice di valore aggiunto, sta cominciando a prender piede l’ ipotesi che Mediaset venda alla concorrente i diritti satellitari della Champions per il prossimo anno , l’ ultimo del triennio 2015-2018. Trattative vere e proprie non ce ne sono, ma non si può escludere nessuna mossa. Ma a questo punto si pone un problema di contenuti per Premium. Un nodo sarà quello dei diritti per la serie A, la cui asta, fallita a giugno per le offerte «troppo basse», è stata rimandata in autunno. Se Mediaset Premium non riuscisse ad accaparrarsi nemmeno un’ offerta di calcio Serie A, il futuro per la pay tv sarebbe tutto da rivedere. Già nel piano 2020 presentato a Londra lo scorso gennaio si era paventata la possibilità di una pay tv senza calcio con un conseguente calo del numero di abbonati. Del resto quella di Premium non è mai sata una storia di grandi numeri o bilanci in pareggio (dal 2007 non ha mai fatto utili) e i suoi abbonati non hanno mai superato la soglia dei 2 milioni (raggiunti lo scorso anno) contro i 4,5 di Sky. La priorità però adesso non è più aumentare il numero di abbonati ma quello di massimizzare il margine. Come riuscire a farlo però non è cosa semplice. Ecco perché il nodo della serie A diventa importante per il broadcaster. Specialmente se «aiutata» da Tim, in misura tutta da ipotizzare. Anche perché Mediaset tende a smorzare le voci di una possibile alleanza con la società di telecomunicazioni di fatto nelle mani del «corsaro» Bolloré che tanto sta facendo dannare i Berlusconi. Un’ alleanza tra le due società potrebbe rappresentare il ramoscello d’ ulivo utile per sedare la contesa che di fatto sta rendendo difficile capire in che direzione si muoverà non solo Mediaset, ma anche gli altri protagonisti del mercato televisivo. Occorre reinventare la pay dunque, mantenendo aperta la porta alla possibilità di creare un polo sovranazionale, come era nei progetti con Vivendi, tenendo presente che senza il calcio a Premium rimane solo l’ esclusiva dei film e e delle serie tv delle due major Warner Bros(fino al 2020) e NBCUniversal (fino al 2018). Il rischio così è di presentare contenuti molto simili a quelli in streaming online di Infinity che ha tra l’ altro prezzi più abbordabili di quelli della pay. Ma che l’ online e l’ ondemand sia in effetti il futuro del gruppo è emerso anche la scorsa settimana durate la presentazione dei palinsesti, occasione in cui i vertici Mediaset hanno annunciato la nascita di Mediaset play, la piattaforma digitale gratuita che veicolerà sulla tv le funzionalità della pay e dei device digitali. L’ obiettivo è di «ridefinire un nuovo piano editoriale che sia capace di intercettare il nuovo gusto del pubblico senza rinnegare il passato», nell’ ottica di un passaggio graduale a un modello incentrato sulla tv generalista, supportato dal web. Un graduale «ricollocamento» del modello pay. La direzione è sempre più verso i contenuti gratuiti generalisti e quelli delle piattaforme fruibili ovunque. Perché in fin dei conti, il business che mantiene il Biscione ancora (abbondantemente) sulla cresta dell’ onda è proprio la tv generalista la cui raccolta pubblicitaria nel primo semestre del 2017 ha segnato un +2% sul 2016. Ma anche questo settore, da sempre dominato dalle corazzate Rai e Mediaset si sta frammentando con l’ azione di Discovery, sempre più aggressiva e di La7 e La7D e con un trend generale del mercato che sta virando sempre più verso il negativo. Un fronte in espansione è invece quello delle radio. Dopo l’ unione di R101, comprata da Mondadori con Radio 105 e Virgin Radio, il polo radiofonico Mediaset ha acquisito anche Radio Subasio che pur avendo un bacino di utenza regionale (focalizzato nel centro Italia), registra numeri importanti con 1,6 milioni di ascoltatori al giorno.

Vision e medusa la scommessa inizia in sala

L’Economia del Corriere della Sera
Stefania Ulivi
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Un broadcaster televisivo (Sky) più cinque produttori (Cattleya, Wildside, Lucisano Media Group, Palomar e Indiana Production). Uguale, una nuova società di distribuzione, la Vision Distribution. Nata nel dicembre 2016, tra i primi atti, annunciato nei giorni scorsi, ha chiuso un accordo di partnership con uno dei principali concorrenti, la Medusa Film. Nicola Maccanico è l’ amministratore delegato di questo nuovo soggetto che non nasconde le ambizioni di porsi come un interlocutore importante nel panorama dell’ industria cinematografica italiana. «Il nostro è un prototipo, un modello innovativo -, racconta all’ Economia il manager, 45 anni, già direttore generale di Warner Bros -. L’ obiettivo è contribuire all’ evoluzione di un sistema rimasto statico per troppo tempo. Questa è la prima volta che si riesce a unire cinque produttori con un broadcaster per fare distribuzione cinematografica». E l’ ingresso di Sky nella distribuzione è certo destinato a impattare sugli scenari. Avrà il controllo dei diritti cinematografici dei film che distribuirà, sia pay che free . «Il modello Vision implica per tutti una maggior trasparenza e confidiamo nell’ apporto di tutti i soci, Sky e produttori, per costruire film più forti e rilanciare la cinematografia nazionale così come è accaduto per serialità tv». In Vision, Sky è socio di maggioranza con il 60%, ognuno degli altri soci ha l’ 8%. Il cda è composto da Andrea Scrosati (presidente), Margherita Amedei, Luisa Borella, Carlo Degli Esposti, Mario Gianani, Benedetto Habib, Domenico Labianca, Federica Lucisano, Nicola Maccanico, Luca Sanfilippo, Riccardo Tozzi. «Abbiamo un obiettivo comune, per raggiungerlo dobbiamo far coesistere sensibilità, lingue ed esigenze diverse in tutto il processo di produzione e distribuzione, fino all’ interlocuzione con l’ esercizio. Sono mondi che si parlano ancora troppo poco. Per andare oltre i perimetri attuali del nostro cinema dobbiamo costruire film più solidi, scriverli meglio e difenderli in sala», sostiene l’ ad. La nuova società arriva in un momento molto critico del settore, con il box office in sofferenza. Nel mese di giugno 2017 gli incassi sono stati intorno ai 25 milioni di euro (pari a 3 milioni e 800mila presenze), contro i 29,7 milioni di euro e un milione in più di presenze del 2016. «La situazione è chiara a tutti, ma noi siamo convinti che esistano importanti margini di miglioramento per il cinema italiano: l’ importante è ripensare ai modelli operativi. Noi puntiamo al 10% di quota del mercato, non è facile: si può fare solo se cresce tutto il comparto». Il business plan , spiega Maccanico, prevede di «arrivare a venti titoli all’ anno, film italiani molto diversi tra loro ma tutti di forte appeal commerciale». Tra quelli annunciati, Il premio , nuova regia di Alessandro Gassmann con Gigi Proietti, Anna Foglietta e Rocco Papaleo, produzione IIF («Un road movie sulla famiglia che farà ridere e emozionare»); Sono tornato , commedia diretta da Luca Maniero con Massimo Popolizio, prodotta da Indiana («Remake del film tedesco Lui è Tornato , che immagina in tono comico il ritorno di Mussolini nell’ Italia di oggi»). Mentre il primo gennaio 2018 arriverà nelle sale il nuovo film di Riccardi Milani con Paola Cortellesi e Antonio Albanese. La prima uscita è Monolith di Ivan Silvestrini, tratto dal fumetto cult di Roberto Recchioni e targato Sky. «Lo mandiamo in sala a Ferragosto, in controtendenza, è una scelta strategica e simbolica. Crediamo alla sala come luogo di eccellenza per la fruizione dei contenuti». Intanto, gli occhi sono puntati sull’ accordo di partnership con Medusa per la distribuzione cinematografica dei rispettivi listini. «La finalità dell’ accordo è rafforzare l’ ingresso di Vision nel mercato. Poter condividere la rete commerciale con un operatore come loro aumenterà la nostra incidenza immediata sull’ esercizio cinematografico e accelererà il percorso di crescita». Medusa, a sua volta, ha già rapporti stretti con diversi produttori. «L’ accordo Vision-Medusa implica totale autonomia editoriale, di marketing e commerciale per le due aziende, che sono libere di determinare come credono le proprie scelte strategiche. Questo vale anche nel rapporto con i produttori» spiega Maccanico. Sul fronte economico, questa partnership aumenta l’ otti-mismo. «Siamo più forti e quindi ancora più convinti di poter raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti».

Parla Giletti: «Vi racconto la mia Arena antipatica»

Libero

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DANIELA MASTROMATTEI Il tormentone dell’ estate: Massimo Giletti resta o se ne va, dopo che la Rai ha maldestramente chiuso L’ Arena, il suo gioiellino creato e condotto con spirito libero per 13 anni, senza mai schierarsi politicamente; e qui la sua grande forza oltre alle coraggiose inchieste e a una media altissima di telespettatori (4 milioni: non sono affatto pochi). Giletti è fuori dal coro, non è allineato, i suoi servizi di cronaca e denuncia che hanno dato tanto fastidio al Palazzo, mandando di traverso il pranzo della domenica al politico di turno, hanno dimostrato che lui non scende a compromessi. È un uomo d’ altri tempi con dei valori importanti con i quali non ama discutere quando si spengono le luci. Alla fine Giletti resta in viale Mazzini, accettando il sabato sera musicale, o lascia per andare a fare il battitore libero altrove? «Non ho ancora preso una decisione. Mio padre mi ha insegnato l’ arte di non abdicare mai a onestà intellettuale e dignità. Dalla Rai si entra e si esce. Spesso ho trovato in questa azienda persone che non mi hanno aiutato, anzi hanno cercato di ostacolarmi. Però poi c’ era una parte sana che mi dava una mano perché sapeva come lavoro. E si stava a galla con gli ascolti». E ora dove la porta l’ onestà intellettuale? «A non scendere a compressi. Io sono uno spirito libero, un anarchico. Essere su una rete importante ha alzato molto il livello della mia attenzione, perché tutto quello che avviene su Raiuno viene amplificato. Dall’ altra parte c’ è un utente, non un cliente. Una volta mi ha chiamato un direttore generale perché aveva ricevuto l’ ennesima telefonata di protesta e mi ha chiesto: “Ma lei da che parte sta, non lo capisco”. Gli risposi: se non lo capisce vuol dire che faccio bene il mio lavoro». Quindi è davvero contro la casta, non è solo un modo per fare audience? «Sono assolutamente contro la casta, e non solo quella dei politici, anche contro quella dei magistrati. Sono contro le inguistizie e i poteri forti che si approfittano della loro posizione e non fanno bene il loro mestiere, un conduttore deve stimolare il cambiamento». Le sue battaglie sono storia, la più memorabile è stata quella sui vitalizi, come dimenticare la sua lite furiosa con Mario Capanna. Avete fatto pace? «Quella a Capanna fu un’ intervista difficile, ma carica di verità. Non ci siamo più incontrati e sinceramente non ne sento il bisogno, è stato deludente. Lo ricordavo come un uomo che difendeva i diritti degli ultimi, vederlo far le barricate per i privilegi di pochi è stato imbarazzante. Ho pagato una sanzione di 20 mila euro alla Rai per aver scagliato il suo libro a terra, ma lo rifarei». È stato più facile intervistare Berlusconi o Renzi? «Sono due animali televisivi, molto preparati, possiedono grande dialettica e conoscono bene il mezzo televisivo, hanno regalato emozioni diverse molto intense in entrambi i casi. Renzi è figlio di Berlusconi». Berlusconi però durante l’ intervista più di una volta si è alzato minacciando di lasciare lo studio? «Dopo l’ intervista, dietro le quinte, mi ha stretto la mano e mi ha confessato: lei mi è piaciuto molto. Poi mi ha fatto la dedica su un cartoncino del suo programma, che conservo ancora come un cimelio». Pressioni più da destra o da sinistra per essere invitati in trasmissione? «Non mi piace mai fare nomi. Di pressioni ne ricevo, ma io scelgo il prodotto, scelgo l’ interlucutore per capacità dialettica che sappia esprimere contenuti veri, non slogan. Le belle statuine non mi interessano». Ogni tanto si sono viste anche delle belle statuine, sedute nel suo studio, ma poi non le ha fatte parlare… Ride. «A volte la velocità del programma mi ha costretto a dare meno spazio a qualcuno». Le è capitato di ricevere proposte scomode dai partiti? «Gli stessi partiti ormai sanno che devono mandare solo persone preparate, sanno che voglio soltanto i migliori». Invita i partiti, non le persone? «Per correttezza invito il partito. Ma dopo tanti anni mi può capitare di chiamare direttamente gli ospiti, ormai li conosco. Gli ospiti sono essenziali, non li baratto. Ho troppo rispetto per il pubblico che mi segue». E siamo sicuri che non si è mai lasciato condizionare dalle simpatie personali? «Ho invitato personaggi non simpatici ma erano oggetto di dibattito. Mai dare spazio alle emozioni personali. Per mia fortuna negli anni in cui ho condotto L’ Arena ho goduto di una grande libertà, staremo a vedere cosa succederà in futuro…». Tra due donne egualmente preparate e dello stesso partito ha mai invitato in trasmissione quella più carina? «Bisogna trovare delle alchimie. In tv l’ estetica gioca un ruolo importante, ma non può essere l’ unico elemento di valutazione». Deve essere stato un po’ imbarazzante invitare Alessandra Moretti mentre i giornali di gossip vi davano per fidanzati? «Ribadisco, il prodotto viene prima di tutto. Di sicuro dopo il bacio che ci siamo dati in Sardegna io non l’ ho più invitata». Se non l’ ha più invitata, vuol dire o che state ancora insieme, oppure che vi siete lasciati molto male. Ride. «Non ci casco». Perché vi siete lasciati? Divergenze politiche? Ride. Torniamo all’ Arena, qual è il personaggio che non è riuscito a intervistare e che avrebbe tanto voluto avere in studio? «Beppe Grillo». La prima domanda… «Sulla democrazia. Nel M5S c’ è poca dialettica e chi la pensa in modo diverso viene espulso. Dov’ è la democrazia. La politica non può essere imposizione». Lei da piccolo voleva fare il pompiere, e invece si è ritrovato più che a spegnere fuochi, ad accendere infuocati dibattiti… «Sembra un paradosso, ma non lo è. Non so stare fermo a guardare. Sono piuttosto un passionale, mi batto per il cambiamento, quando è necessario». Sembra la strada giusta per lanciarsi in politica. Silvio Berlusconi glielo ha già chiesto. E a sinistra qualcuno glielo ha proposto? «Me lo hanno chiesto dal centrodestra, io non ho mai detto che è stato Berlusconi, la sinistra non me lo ha proposto, per il momento. Difficile comunque convincermi. Come diceva Giorgio Gaber “la libertà non è star sopra un albero…la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione… vorrei essere libero, libero come un uomo”». Uno spirito libero che non usa facebook, né twitter, né instagram. Un uomo più legato alla vita vera che a quella virtuale, che ama leggere un libro all’ aperto su un prato. Però è molto attaccato al consenso del pubblico, piuttosto che perderlo preferirebbe essere lasciato dalla fidanzata, si è lasciato sfuggire. È ancora così? «Niente social. Vado controcorrente, ci hanno spacciato la tecnologia come mezzo per vivere felici e invece ha esasperato la nostra vita, nel bene e nel male. Ci ha trasformato in personaggi di reality che mettono tutto in vetrina. La tecnologia ha esaltato gli eccessi del narcismo. Io amo vivere con i miei tempi, con lentezza, preferisco passare il mio tempo libero in un parco, Roma ne è piena, piuttosto che restare incollato al telefonino. E poi mi piace andare nei boschi, mi rigenera, ieri ho passeggiato tre ore immerso nella natura. Oggi mi sento come nuovo». Non ha risposto all’ altra domanda… «Scontentare 4 milioni di persone, mi crerebbe qualche problema in più che scontentarne una sola». Diciamo che preferisce perdere la fidanzata piuttosto che 4 milioni di spettatori. Sarà contenta la fidanzata… Ride… Nel 2013 è stato in Iraq, per raccontare l’ Isis, ha avuto paura? «Sono stato in Iraq e in Libia, nei teatri di guerra, mi preoccuperebbe non aver paura, vorrebbe dire essere incoscienti. L’ incoscienza è un atteggiameno pericoloso. Per portare a casa la pelle devi aver paura». La democrazia si esporta? «L’ errore drammatico dell’ Occidente è pensare di esportare la democrazia in Paesi che non la conoscono. È un processo lunghissimo. Sui temi dell’ immigrazione purtroppo l’ Italia è stata lasciata sola. Dovremmo farci ripettare di più dall’ Europa». E lo Ius soli è una soluzione? «Il dibattito è ancora lungo. Certo, non possiamo fermare la storia, dobbiamo lavorare sull’ integrazione e andare in Africa per impedire ai barconi di partire». Un salto ancora nell’ Arena. Come viveva l’ antagonista Barbara D’ urso in onda alla stessa su Canale 5? O ha temuto di più le partite su Sky? «L’ Arena aveva una forte percentuale maschile di pubblico, temevo più le partite sportive. Con la D’ Urso siamo stati buoni vicini. Abbiamo storie diverse, ognuno fa la sua televisione». Lei è stato il vero re della domenica pomeriggio. Qual è il segreto del suo successo? «La credibilità, frutto di una grande passione con cui si lavora senza essere ideologici. Dietro L’ Arena c’ e un lavoro pazzesco non c’ è solo Giletti. I conduttori fanno l’ errore di pensare di essere Dio in terra solo perché appaiono in tv, in realtà il successo è figlio di un lavoro di gruppo». Grandi consensi, anche quando è stato intervistato dalla Berlinguer nel suo programma “Carta bianca”su Rai3. Lì ha riscosso un alto gradimento, mai sfiorato prima, da un pubblico sia di destra sia di sinstra. Dica la verità non si vedrebbe bene sulla poltrona di primo cittadino di Torino? «Fare il sindaco oggi è una follia. E per i giornalisti che vanno a fare i politici poi è un problema tornare a fare a i giornalisti, così come per i magistrati, che dopo un giro in politica vogliono riprendere a occuparsi di giustizia. Se vuoi essere credibile, forse puoi occuparti di sport, ma per carità…». Quindi mai in politica? «Mai dire mai». L’ ho vista cantare con il Volo e poi con i Pooh. Sarà per questo che i dirigenti Rai hanno pensato che sia perfetto per condurre un programma musicale il sabato sera? Ride. «Mi piace cantare, mi piace rompere gli schemi, sempre divertendomi. Se io mi diverto si divertono anche gli altri». Quando si spengono le luci e resta da solo chi è Massimo Giletti? «È un uomo che ama la solitudine, che non ha paura di stare solo. Anzi, desidera stare da solo. È un uomo alla continua ricerca delle mille anime che vivono in lui». Narcisista? «Chiunque fa il mio lavoro è ipocrita se non ammette di esserlo un po’, bisogna solo sperare di non esserlo troppo». È in perfetta forma fisica, piacere o dovere? «Piacere, è piacevole soffrire durante l’ allenamento. La fatica ti fa capire che non è facile raggiungere determinati obiettivi. Comunque vado almeno tre volte a settimana in piscina, gioco a calcetto e ho una piccola palestra in casa». E la sveglia a che ora suona la mattina? «Mi sveglio alle 8, un’ ora per allenarmi, e alle 10 in redazione, e a mezzanotte sono già a letto». Si addormenta guardando la tv oppure con un buon libro? «Preferisco leggere nel pomeriggio, la sera guardo molta televisione, ma poi dipende dalle serate. Non ho regole. E non le voglio». Vive da solo? «Sì». Sicuro? «Molto sicuro». Neanche con un cane o un gatto? «Amo troppo gli animali per farli vivere in un appartamento, ci vorrebbe un giardino. Ma ogni mattina una coppia di corvi si posa sul mio terrazzo, mi aspetta per la colazione. Abbiamo una sorta di appuntamento, si presenta sempre alla stessa ora per augurarmi il buongiorno, io gli offro qualcosa da mangiare. E poi i corvi, sempre in coppia, volano via». Spesso è sui giornali di gossip. Tante donne, anche tanti amori? «Amori pochi, tre, forse quattro, ma non mi chieda i nomi, non li farei neanche sotto tortura. Posso parlare però del primo, ormai è caduto in prescizione. Conosciuta sui banchi dell’ Università. Si chiamava Alessandra». Alessandra mi ricorda qualcuno… Ride. «A volte ritornano». In questo momento è innamorato? «Sono sempre innamorato della vita, le donne fanno parte della vita quindi sono spesso innamorato». Al primo appuntamento come si presenta per fare colpo? «Io non ragiono in questi termini. Non cerco di ingannare nessuno. Sono sempre me stesso. Sono un minimalista, che è anche la mia filosofia di vita. Amo molto lo stile di Giorgio Armani. La sua giacca destrutturata è come se fosse una seconda pelle. Regala una sensazione di libertà». Libertà…Immagino non abbia un bel rapporto con la cravatta. Obama aveva lanciato la moda dell’ eleganza senza cravatta anche per le più formali riunioni di Stato. Subito imitato da alcuni premier europei, anche da Renzi. Se ne può davvero fare a meno? O ci sono occasioni dove è necessaria? «Non la amo molto. Ma Obama così come Marchionne sono dei simboli di potere, possono permetterselo. Io in certe occasioni non ne posso fare a meno. Certo, appena rientro a casa mi tolgo persino le scarpe e cammino a piedi nudi. Camicia e pantaloni larghi, quelli alla turca per intenderci. Sono la mia divisa casalinga». E la donna cosa dovrebbe indossare per sedurla? «L’ abito dell’ intelligenza e della dolcezza, un abito difficile da indossare». Insomma le preferisce intelligenti e dolci. E la bellezza quanto conta? «Preferisco le donne affascinanti… la bellezza svanisce». Si vestono meglio le donne di destra o di sinistra? «Viviamo in una società dove destra e sinistra sembrano non esistere più. Quelle di sinistra hanno smesso i panni delle madonne addolorate. Comunque la più elegante è senza dubbio Daniela Santanché. Lei è il top». Solo per come si veste? Ride… Come giornalista-conduttore che voto si dà? «Sono gli altri che mi possono giudicare». E come uomo? «Come uomo ritendo di ssere coraggioso, mi dò un voto alto tranne che in amore». Ha più amato o è stato più amato «Sono stato più amato, purtroppo». Chissà quante ne ha fatte soffrire. Ride. Nel tempo libero, cosa fa vede gente, donne, cucina. «Nel mio tempo libero cerco di ritrovare me stesso a contatto con la natura, ma questo lo già detto». Amici? «Veri amici solo un paio. Uno fa il magistrato, l’ altro vive in Inghilterraè un professore di Italiano e Storia». E questa estate che vacanze farà? «In un’ isola sperduta del Mediterraneo, lontano da tutti». Con chi? «Con chi amo». E vero che va ogni anno a Lourdes? «Ho fatto oltre 30 viaggi, la prima volta, avevo 10 anni, sono andato con mia madre Giuliana e mia nonna Bianca Maria. Mi dissero: è ora che impari a conoscerere il mondo degli invisibili. È stato un arricchimento, una grande lezione di vita. Allora ero convinto di far del bene a loro. Oggi sono io che devo ringraziarli, mi regalano molto». Cosa pensa della sospensione di Filippo Facci, giornalista di Libero, da parte dell’ ordine dei giornalisti? Enrico Mentana aveva detto: “Qualsiasi cosa fosse, sesso, politica, terrorismo, economia, era una sua opinione. Non voglio sapere cosa abbia scritto, la libertà vale per tutte le opinioni. E io con gente che sanziona le opinioni non voglio avere nulla a che fare. Ditemi quindi dove firmare per chiedere di abolire l’ ordine dei giornalisti, ora che da inutile è diventato dannoso”. «Ho sempre lottato per chi ha un’ opinione diversa, noi giornalisti dobbiamo tutelare il rispetto di chi la pensa diversamente. Sono perfettamente d’ accordo con Enrico». riproduzione riservata.

Circolare n. 25 del 10/07/2017 – Contributi all’editoria esercizio 2016 – regolarità contributiva previdenziale

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Nell’imminenza della prossima scadenza per il perfezionamento delle domande di contributi per l’esercizio 2016, ricordiamo e raccomandiamo che la regolarità contributiva previdenziale relativa all’anno 2016 deve essere conseguita, a pena di decadenza, entro il termine di presentazione al Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri della documentazione istruttoria.

Il termine, come noto, è il prossimo 30 settembre.

Tale condizione si intende soddisfatta anche quando le imprese abbiano pendente un ricorso giurisdizionale in materia di contributi previdenziali, ovvero abbiano ottenuto una rateizzazione del pagamento dei contributi ed abbiano regolarmente versato le rate scadute.

Atteso il rischio che anche omessi o ritardati versamenti anche di piccoli importi o errori anche solo formali possano determinare la decadenza dal diritto ai contributi, invitiamo le imprese editrici a richiedere autonomamente agli Istituti Previdenziali i certificati attestanti la regolarità contributiva alla data del 31.12.2016.


Banda larga, Cardani auspica un approccio internazionale per la tutela dei diritti del consumatore

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“È necessario un approccio multidisciplinare ai big data, sia a livello nazionale che internazionale, capace di racchiudere in un unico intervento complessivo e coordinato le tutele di fondamentali diritti individuali e collettivi in materia di privacy, concorrenza, e di tutela degli utenti”. Lo ha affermato il Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni Angelo Marcello Cardani intervenendo alla FSR Communications & Media Annual Conference, presso la Florence School of Regulation. Nel ricordare l’indagine conoscitiva sui big data avviata congiuntamente da Agcom, dall’Autorità Antitrust e dall’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali lo scorso 30 maggio, Cardani ha sottolineato la necessità, in assenza di una disciplina organica, “di individuare attraverso un’azione coordinata le principali problematiche legate all’utilizzo dei big data e nella definizione di un insieme di regole che siano in grado allo stesso tempo di tutelare i singoli cittadini, la concorrenza nei mercati digitali, nonché la promozione del pluralismo nell’ecosistema digitale”. Il trattamento dei big data, pur rappresentando un notevole patrimonio informativo, “comporta specifici rischi per la tutela della riservatezza delle persone, tenuto conto anche del fatto che, grazie alle nuove tecnologie e alle tecniche di analisi, elaborazione ed interconnessione dei dati, risulta in molti casi possibile re-identificare un individuo attraverso informazioni apparentemente anonime”, ha proseguito Cardani. In particolare, soffermandosi sull’interazione tra big data, App e tutela degli utenti, il Presidente dell’Agcom ha evidenziato quanto il consumatore non abbia una chiara percezione di quali dati vengano ceduti e di come essi siano utilizzati, in quanto “il meccanismo dell’App si configura come una transazione una tantum riguardante altri servizi a fronte invece di un uso dinamico e prolungato delle informazioni degli utenti”. La potenzialità dei big data, ha concluso, anche rispetto a dati anonimi o aggregati, può tradursi in profilazioni sempre più puntuali ed analitiche, con il rischio di possibili restrizioni delle libertà.

Rassegna Stampa del 11/07/2017

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Indice Articoli

chessidice in viale dell’ editoria

Radio, aperta la caccia grossa

Un tetto ai compensi per la Bbc

I giornali Usa dichiarano guerra al duopolio Google-Facebook

Le menzogne contro Il Giornale d’ Italia

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Tar Lazio, il 7 febbraio l’ udienza per il ricorso Vivendi vs Agcom. È la data ufficiale dell’ udienza del Tar del Lazio per valutare il ricorso di Vivendi contro Agcom, che impone di fatto al gruppo francese di scegliere tra il controllo di Tim e la presenza a quasi il 30% in Mediaset. Vivendi si è uniformata al provvedimento annunciando di congelare i diritti di voto nel Biscione mentre in Tim, per adempiere alle richieste Ue, è pronta a cedere Persidera. Il 4 luglio il Tar ha registrato la richiesta dei francesi di rinunciare alla camera di consiglio fissata domani per andare direttamente nel merito. Usa, quotidiani contro Google e Facebook. La News media alliance ha chiesto al Congresso una deroga alla legge antitrust per proteggersi da Google e Facebook. Il gruppo sostiene che le leggi che impediscono ai media di lavorare insieme per contrattare accordi pubblicitari con le piattaforme internet favoriscano i due colossi. Virgin Radio compie 10 anni. L’ emittente festeggia affiancando gli artisti in tour in Italia e con la giornata speciale di domani quando gli speaker stravolgeranno il palinsesto, in diretta su Facebook oltre che in onda su Italia1. Blackpills debutta in Italia. E presenta le sue serie tv pensate per smartphone e il pubblico dei giovani adulti. Già presente in Francia e Usa, con blackpills lavorano nomi noti come Bryan Singer e James Franco. Sono 100 i libri iscritti alla 5ª edizione del concorso «Leggi in Salute – Angelo Zanibelli», riconoscimento letterario istituito da Sanofi e dedicato a testi che raccontano salute, sanità e malattia. Le opere edite sono 89, suddivise in esordienti under 35 e senior, e 11 nella nuova sezione degli inediti, la cui opera vincitrice sarà pubblicata da Cairo Editore. Quattroruote Academy lancia il «Master Restauratori auto d’ epoca». Realizzato in collaborazione con Asi (Autoclub storico italiano) e Fca Heritage, al master partecipa Ruoteclassiche, mensile dell’ Editoriale Domus, oggi diretto da David Giudici, che nel 2017 celebra i suoi primi 30 anni.

Radio, aperta la caccia grossa

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nel grande mercato editoriale italiano c’ è un forte movimento sul fronte radio. Tutto nasce dalla salute del mezzo, la cui raccolta pubblicitaria cresce costantemente dal 2015 (e ha appena chiuso un maggio strepitoso a +14,8% sullo stesso mese 2016 e a +16,1% sul maggio 2015) e dalla mossa di Mediaset, che, con l’ acquisto di 105, Virgin Radio, 101, Radio Subasio, e l’ accordo commerciale con Rmc, è diventata di fatto nel giro di un anno e mezzo l’ attore principale anche su quel mercato. La radio, ovviamente, consente importanti sinergie nei pacchetti pubblicitari offerti ai clienti inserzionisti. Ed è per questo che un po’ di dossier relativi a network radiofonici hanno iniziato a girare sulle scrivanie di grandi gruppi. Se la Rai presidia già il comparto radiofonico, ci sono invece altre media company come Sky, Discovery e La7 che potrebbero fare delle mosse nei prossimi mesi. Urbano Cairo, per esempio, già all’ inizio della sua avventura come imprenditore nel 1995 aveva sondato la possibilità di accordi azionari con l’ allora Finelco di Alberto Hazan. Poi non era accaduto nulla. Ma l’ ipotesi di rilevare la maggioranza di un network radiofonico potrebbe interessare ancora. Discovery Italia ha già stretto una alleanza con Radio Italia, trasmettendo sia il programma RadioItaliaLive, sia gli eventi RadioItaliaLive-Il concerto, e da settembre manderà in onda pure Rds Academy, trasmissione di Rds prima nel palinsesto di Sky Uno. La stessa Sky, non fosse altro per esigenze della concessionaria Sky media, sta facendo riflessioni su possibili incursioni nel mondo della radio. Che, d’ altro canto, non può lasciare completamente nelle mani del rivale Mediaset. Per la media company guidata da Andrea Zappia si era ventilato un interesse relativo a Radio 24, proprio nelle settimane in cui un dossier, con l’ ipotesi di cessione del 49% dell’ emittente, era girato su molte scrivanie che contano, compresa quella di Rds-Radio Dimensione Suono. Se qualche big dell’ editoria volesse quindi consolidarsi nel comparto radiofonico, a quali prede potrebbe puntare? Difficile dirlo. Sul mercato, comunque, si esclude un possibile disimpegno della famiglia Suraci dal gruppo Rtl 102,5, e pure possibili cessioni da parte del polo s (ex Espresso). Anche Radio Dimensione Suono, come prossima mossa rilevante di qui a qualche anno, punterebbe di più a una eventuale quotazione in borsa piuttosto che a fusioni con altri network. © Riproduzione riservata.

Un tetto ai compensi per la Bbc

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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La Bbc studia un tetto ai compensi dei suoi giornalisti e presentatori che si occupano d’ informazione: le retribuzioni delle «star» dell’ emittente britannica non potranno superare le 380 mila sterline, ossia 429,3 mila euro. Iniziativa che ricorda la querelle che ha scombussolato a lungo l’ italiana Rai per il limite dei 240 mila euro posto ai compensi. Limite che però alla fine è stato derogato per le prestazioni artistiche e d’ intrattenimento, riuscendo così a includere e salvare le collaborazioni coi volti più noti della tv pubblica tricolore. Nel caso della Bbc (spesso presa a modello per la Rai), comunque, la proposta fa parte di un più ampio e articolato piano per fare economie. Infatti, sugli studios londinesi che si occupano di attualità (la Bbc News) pende sempre la spada di Damocle degli 80 milioni di sterline (oltre 90 milioni di euro) da risparmiare entro il 2021-2022. Per esempio, il piano più articolato dell’ emittente comprende anche efficienze sui cosiddetti «impegni di lavoro imprevisti» che trattengono la redazione e i presentatori oltre l’ orario di lavoro. Una sorta di straordinario che, tra un fuoriprogramma e l’ altro, costa ogni anno un totale di 187 milioni di sterline (211,4 milioni di euro). Non poco, soprattutto se si aggiungono le spese dei taxi per tornare a casa, quando un redattore è rimasto al lavoro fino a tardi (o viceversa se deve arrivare in tv molto presto la mattina), e ancora se si sommano i conti al ristorante per chi si trova fuori sede. Per questi ultimi due ordini di problema, la Bbc suggerisce rispettivamente di affidarsi al trasporto pubblico e offre il rimborso-pasto solamente se ci si trova a non meno di un certo numero di chilometri dal proprio ufficio. Con una proposta distinta e parallela a queste, infine, lo stipendio di presentatori, responsabili in redazione e corrispondenti non toccati dai precedenti tagli saranno ridotti del 10%, progressivamente nei prossimi cinque anni. Insomma, nella perfida Albione il taglio delle spese è stato preso seriamente, anche perché da queste efficienze dipende il piano di rilancio dei contenuti, per esempio con nuovi programmi dedicati ai bambini e ai ragazzi o attraverso il debutto direttamente nel territorio dei vari Netflix di proprie clip, blog e videoblog, podcast e applicazioni (vedere ItaliaOggi del 5/7/2017). Certo a Londra nulla è stato ancora deciso e ad agosto ci sarà la votazione dei dipendenti per accettare o meno la proposta aziendale (i contrari sono dati vincenti) ma per tentare almeno di conquistare voti è prevista una serie di misure compensative, tra cui maggiori coperture economiche per i congedi di paternità, la malattia e le assenze per motivi familiari. Intanto, però, l’ emittente guidata dal d.g. Tony Hall e dal presidente David Clementi ha intenzione di calcare la mano e ha annunciato di voler pubblicare questo mese tutti i nominativi dei dipendenti che guadagnano più di 150 mila sterline (169,7 mila euro). Complessivamente a lavorare per l’ emittente di Sua Maestà sono in 19 mila a tempo pieno, di cui circa 7 mila sull’ informazione e l’ attualità. Unica consolazione è che Albione è perfida ma tutto il mondo è paese e dall’ anno prossimo non è detto che verrà ripubblicato o aggiornato l’ elenco dei presentatori e giornalisti con gli stipendi più alti. Infatti, molti di loro sono stati spostati sotto un’ altra divisione, di natura prettamente commerciale, che non ha l’ obbligo di rendere note le retribuzioni dei dipendenti. Anche di quelli, hanno insinuato indiscrezioni di stampa britanniche, che a fine mese portano a casa più di 1 milione di sterline (circa 1,1 milioni di euro). © Riproduzione riservata.

I giornali Usa dichiarano guerra al duopolio Google-Facebook

La Stampa
PAOLO MASTROLILLI
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La pazienza dei media am ericani verso Google e Facebook è finita. La loro associazione è insorta e ha chiesto al Congresso di cambiare le leggi antitrust, in modo da impedire che i due giganti digitali continuino a parassitare gratuitamente i contenuti giornalistici prodotti da altri, intascando tutti o quasi i profitti della pubblicità. Da questa sfida, appena lanciata ufficialmente dalla News Media Alliance con una petizione al Parlamento Usa, dipenderà non solo il futuro del giornalismo globale, ma anche della democrazia. Nel mondo non c’ è mai stata così tanta domanda di informazione come oggi. L’ instabilità e l’ incertezza che ci circondano hanno accresciuto il bisogno di conoscenza, e la quantità di notizie consumate è enorme, vere o false che siano. Eppure i giornali sono in crisi. Questo paradosso deriva soprattutto da due elementi: la crisi economica del 2008, che ha fatto precipitare la pubblicità sulla carta, e la rivoluzione digitale, che ha indirizzato altrove le risorse. Cioè verso i giganti online e i social, che non producono alcun contenuto giornalistico, ma sfruttano quello degli altri per guadagnare. I numeri, in proposito, sono chiari. Google e Facebook controllano il 70% del mercato americano della pubblicità digitale, che in totale ammonta a circa 73 miliardi di dollari, e il 50% di quello globale. L’ 80% dei ricavi generati dalle ricerche su Internet va a Google, e il 40% di tutti gli spot digitali va a Facebook. L’ 83% di ogni nuovo dollaro investito nell’ advertisement online entra nelle tasche di questo duopolio. In totale, l’ intero introito pubblicitario dell’ industria della stampa americana, cartacea e digitale, è 18 miliardi all’ anno, cioè un terzo di quanto incassava un decennio fa. Invece l’ anno scorso Alphabet, cioè Google, ha intascato da questo business 19 miliardi di profitti netti, e Facebook 10 miliardi. Tutto ciò avviene per un motivo molto chiaro: la pubblicità sulla carta diminuisce, e quella digitale aumenta, ma non va nelle tasche di chi investe per produrre l’ informazione. La maggioranza del pubblico non legge gli articoli comprando i giornali o abbonandosi ai siti, ma ci arriva gratuitamente attraverso le porte aperte dai giganti digitali come Google e Facebook. Siccome sono queste piattaforme che attirano il traffico degli utenti, 2 miliardi di persone nel caso del social media fondato da Mark Zuckerberg, gli inserzionisti vanno da loro. Così il duopolio si arricchisce grazie al consumo di notizie che non ha fatto nulla per produrre, mentre i media che generano i contenuti scippati rischiano di chiudere. Di questi temi, e quindi del futuro dei giornali, si è discusso a giugno nel convegno organizzato da La Stampa per il suo centocinquantesimo anniversario. In Europa qualcosa ha iniziato a muoversi, per correggere questa ingiustizia, ad esempio con la recente multa da quasi 3 miliardi di dollari che l’ Antitrust ha imposto a Google per la violazione delle regole sulla competizione. Negli Usa però non è successo nulla, e anzi i due giganti hanno avuto via libera per acquistare concorrenti, accrescendo la loro posizione dominante. Perciò la News Media Alliance (Nma), che riunisce oltre 2.000 testate in America e Canada, tra cui New York Times , Wall Street Journal e Washington Post , ha chiesto al Congresso di intervenire. Vuole cambiare le leggi antitrust, che paradossalmente penalizzano proprio i giornali, impedendo loro di unirsi in un cartello per negoziare con i colossi digitali. Se ciò avverrà, la Nma domanderà quattro cose: condividere con Google e Facebook i ricavi pubblicitari, ottenere che favoriscano le sottoscrizioni ai giornali, ricevere i dati sugli utenti che leggono i loro articoli attraverso le piattaforme digitali, promuovere i propri brand. Gli editori pensano di avere una finestra di circa 18 mesi per vincere questo braccio di ferro, e ritengono che il momento sia favorevole perché Google, Facebook e gli altri social sono stati danneggiati dalla bufera delle fake news. I giganti digitali sanno di avere bisogno dell’ informazione per attirare gli utenti, ma è necessario che sia attendibile. Solo i legacy media possono assicurare questa credibilità, qualunque cosa dica il presidente Trump via Twitter, e quindi sono nella condizione di ottenere che Google e Facebook paghino per averla. Non è una lotta fra il vecchio e il nuovo mondo delle comunicazioni, perché i giornali sono già impegnati nel campo digitale, ma un giusto riconoscimento della qualità prodotta su qualunque piattaforma. Le testate tradizionali possiedono questa affidabilità, e sono disposte a cedere i loro contenuti, a patto che siano onestamente compensate per il lavoro unico che svolgono, in modo da avere poi le risorse per continuarlo. È chiaro ormai che non si tratta solo di una questione di soldi, perché la libertà dell’ informazione dipende dalla sua capacità di sostenersi. Il presidente Jefferson diceva che a un governo senza giornali preferiva i giornali senza un governo. Il mondo però corre verso la prima ipotesi, antitesi della democrazia, se non si affretta a correggere gli abusi che stanno chiudendo la bocca all’ informazione di qualità. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Le menzogne contro Il Giornale d’ Italia

Il Giornale d’Italia

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Ci ha provato prima “Il Corriere della Sera”, adesso anche “La Repubblica”, due giornaloni nazionali sui quali la verità non la leggerete neppure per sbaglio. Diffondono la notizia che il giornale fondato (riaperto) da Francesco Storace nel 2012 sia finanziato da “Regione Lazio”, e di conseguenza non sarebbe vero che si tratterebbe di una testata che non riceve finanziamenti pubblici. Una menzogna, se ripetuta mille volte, diventa una verità. Ma pur sempre di menzogna si tratta. Il quotidiano diretto da Storace non riceve infatti neppure un centesimo di finanziamento pubblico all’ editoria; ciò a cui si riferiscono le accuse infondate di Repubblica e Corriere è esclusivamente pubblicità. Avete capito bene. Solo pubblicità. Ma dovete sapere che diffondere una menzogna può sempre destabilizzare moralmente le persone per bene. Soprattutto se non hanno nulla da temere. E Francesco Storace è una persona per bene. E il suo unico timore è quello che, di fronte alle menzogne, le aziende che si fanno pubblicità attraverso il Giornale d’ Italia possano tirarsi indietro per evitare sterili polemiche, provocando in tal modo seri problemi alle casse del giornale, il quale, lo ricordo, è completamente gratuito! Per quale motivo difendo “Il Giornale d’ Italia”? Dovete sapere una cosa. Ho conosciuto Storace via twitter nell’ estate 2014. Aveva frainteso un mio tweet tra lui e Gasparri. Ci chiarimmo. Il giorno dopo, leggendo un mio pezzo sull’ Erf, mi cito’ nel suo editoriale. Iniziai quindi a mandargli qualche mio articolo su euro, BCE, ri forma costituzionale, legge elettorale e su tantissimi altri temi scottanti. Ho addirittura scritto una novella a puntate sull’ euro, uscita in tre parti sul numero culturale della domenica. Mi ha sempre pubblicato. Senza mai una censura. Senza mai un taglio. Senza mai un’ obiezione. Si è sempre fidato di me. Caso più unico che raro trovare un quotidiano nazionale che dia spazio a scrittori e intellettuali indipendenti. Del resto, le letture del Giornale d’ Italia crescono sempre di più di anno in anno, e questo fa paura. Molta paura. In quel Paese in cui nessuno tutela la libertà di stampa di fronte alle menzogne, prima o poi vi sarà una dittatura. È sempre la solita storia: finché un qualcosa non ci tocca direttamente, facciamo finta di niente. Poi, quando arriva il nostro turno, ci rendiamo conto che a difenderci non ci è rimasto più nessuno. Giuseppe Palma.

Rassegna Stampa del 12/07/2017

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Indice Articoli

Dopo vent’ anni, l’ Agcom deve fare un tagliando

Antitrust, gli editori Usa chiedono riforme per fronteggiare Google e Fb

I NUMERI

L’ IMPATTO DI GOOGLE E FACEBOOK SULL’ EDITORIA

Per il garante la sfida di una crescente competizione

Tv, radio e online crescono, giornali ancora in calo

Per Mediaset, La7 e Rai raccolta giù a gennaio-maggio

Agcom, le tv ripartono Italia in coda sul web

Giornali Usa, guerra a Google&co

Comunicazioni, +1,5% nel 2016

Siae, l’ Antitrust e un errore fatale da non ripetere

Chessidice in viale dell’ Editoria

Pubblicità, i cinque mesi a +0,5%

Tv a -0,2%. Discovery +7%, Sky +1,2% Mediaset -0,5%, Rai -1,5%, La7 -2,6%

Il doppio ruolo di Infront un cavillo della Lega per affidarle il canale tv

LA PARTITA DEI DIRITTI TV

COS’ È INFRONT

Ritorna la pubblicità in tv: +7% Ma i giornali continuano a soffrire

Facebook ai giornali: collaboreremo per far pagare gli articoli sui social network

Riparte l’ industria dei media Ma non la vecchia stampa

Gli investimenti pubblicitari a maggio crescono del +2,7%. Performance timidamente positiva per i periodici (+0,8%) e continua la crescita della radio (+14,8%). Ancora male i quotidiani (-7,3%). I dati Nielsen (TABELLE)

Dopo vent’ anni, l’ Agcom deve fare un tagliando

Il Manifesto

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Apagina quattro della relazione annuale 2017 -pronunciata ieri alla Camera dei deputati- il presidente dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani tocca un punto cruciale. «Nell’ approssimarsi del ventennale dell’ Agcom (il 31 luglio prossimo cadrà l’ anniversario della legge 249 del 1997, ndr), è giusto richiamare le principali linee di azione, anche al fine di delineare le possibili direzioni verso nuove e necessarie competenze», così recita il testo. Serve, per dirla con il lessico di Pier Luigi Bersani, una sorta di tagliando: a fronte di una macchina che scricchiola visibilmente. Pur in un quadro di ostile accentramento decisionale, la questione obiettivamente si pone. Altri compiti dovrebbero essere assegnati, in particolare sull’ enorme territorio degli algoritmi – laddove si pone davvero il problema della sovranità nazionale – e sull’ immensa geopolitica del moderno «Palazzo d’ inverno»: quello abitato dagli Over The Top e dai poteri finanziari. Tutta via, è arduo pensare di aggiungere ulteriori funzioni ad un’ istituzione che fatica a coprire quelle previste dall’ articolo 1 della norma, alla cui fantasia innovativa si deve la prima «autorità multimediale». Primato condiviso all’ epoca con la Finlandia, mentre negli altri paesi europei vigeva il doppio regime: telecomunicazioni da una parte, editoria e radiotelevisione dall’ altra. Ecco, proprio la parte che più attiene al sistema nervoso del villaggio globale, vale a dire la tutela del pluralismo delle culture e delle idee, risulta poco battuta e spesso elusa. Ad esempio, sul tema della par condicio «zero carbonella», come dicono i bambini. Non solo. Con ironia certamente involontaria, la relazione parla della fusione tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX nel gruppo Gedi-Itedi, ma non dà conto delle eventuali iniziative anticoncentrazione intraprese, visto che le quote di mercato sono note. Eccedenti i limiti antitrust. Il discorso vale altrettanto per lo shopping del biscione nella radiofonia. Mentre la legge («il primo caso», si recita) è risultata immediatamente applicativa nel caso Vivendi-Mediaset, ma si sa che entriamo in un girone a parte rispetto ai comuni mortali. Insomma, c’ è materia per rimettere le mani sulla legge 249, in una revisione che toc chi la (contro)riforma della Rai del 2015 e la legge Gasparri del 2004. Immaginari futuri, da istruire in un dibattito pubblico, non solo tra i «soliti noti». La presentazione ha del buono. Anzi. Contiene un’ affermazione felice e strategica. A pagina 20 si sottolinea che «Internet è un bene comune». Viene la malinconia a pensare a colui che per primo pronunciò simili splendide parole, Stefano Rodotà. Ma complimenti a Cardani, perché si tratta di un argomento conflittuale, visto che gli attuali aggregatori dei dati – da Google, ad Amazon, a Facebook – hanno una brutale visione proprietaria dei saperi. E pure qui la relazione è virtuosa, evocando il sacrosanto principio della «Net neutrality», contro discriminazioni e divisioni digitali. Un po’ scontata e debole la parte sulla Rai, che finalmente ha scoperto che va scritto il contratto di servizio. Interessante, invece, l’ aggiornamento sui consumi. Risulta che, mentre i ricavi del comparto dopo un quadriennio sono cresciuti (+1,5%), la spesa media annua nei servizi di comunicazioni rappresenta la seconda voce dopo la casa. La quota prevalente è destinata alla linea/scheda telefonica e ad Internet. L’ Italia, però, rimane nella zona bassa della classifica.

Antitrust, gli editori Usa chiedono riforme per fronteggiare Google e Fb

Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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new york Gli editori americani hanno chiesto al Congresso una deroga alle leggi antitrust per poter fare i conti con la sfida presentata da Google e Facebook al business del giornalismo. La richiesta è quella di poter agire collettivamente per strappare migliori accordi ai due re delle piattaforme digitali, che oggi dominano tanto la distribuzione online di contenuto che la raccolta pubblicitaria su Internet e minacciano di schiacciare nella loro morsa i media di qualità. Gli editori – oltre duemila organizzazioni grandi e piccole tra Stati Uniti e Canada riuniti nella News Media Alliance, da Dow Jones-Wall Street Journal al New York Times e al Washington Post – hanno definito le normative antitrust nel loro caso “antiquate” e controproducenti. Perché avrebbero «le conseguenze indesiderate di preservare e proteggere il dominio di Google e di Facebook». Lo strapotere di questo duopolio è tutto nelle cifre. Secondo la società specializzata eMarketer Google e Facebook rastrellano nell’ insieme almeno il 60% delle inserzioni digitali, mentre il Pew Research Center spinge le stime fino al 70% d’ un mercato digitale da 73 miliardi. Ed è una quota in continua crescita visto che l’ aumento pubblicitario nell’ ultimo anno – 12 miliardi – è stato per il 77% appannaggio dei due gruppi. Google ha messo le mani su 40 centesimi per ogni dollaro speso online, Facebook su 37 centesimi. Tutti gli altri si sono accontentati di 23 centesimi. Allo stesso tempo le inserzioni sui giornali nel 2016 sono state pari a 18 miliardi rispetto ai 50 miliardi di dieci anni or sono. Grandi marchi, quali il Journal e il Times, hanno reagito con campagne di successo negli abbonamenti online, ma non bastano. Le richieste degli editori sono chiare: occorre trattare per una maggior protezione della proprietà intellettuale, strappare nuovo sostegno per modelli di subscription digitale e una più equa condivisione sia di entrate che di dati su consumatori e lettori. Tra i temi caldi c’ è anche l’ inadeguata lotta alle notizie false su Internet. L’ alleanza dei media, attraverso il suo presidente David Chavern, ha sottolineato che «il giornalismo di qualità ha un ruolo cruciale nel sostenere la democrazia ed è centrale per la società civile. Per assicurare che un simile giornalismo abbia un futuro, le organizzazioni che lo finanziano devono poter negoziare collettivamente con le piattaforme digitali che nei fatti controllano distribuzione e accesso all’ audience nell’ era digitale». Google e Facebook hanno dato segnali di voler cercare maggior cooperazione con i news media. Ma il terreno resta molto accidentato. Un incontro promosso dalla Neiman Foundation di Harvard si è concluso con scambi di accuse: un executive di Facebook ha insistito che non spetta loro risolvere i problemi del “modello di business” del giornalismo. Un editore ha risposto rinfacciandogli di esser poco più d’ un parassita che si approfitta indebitamente del contenuto di valore di altri. Chavern stesso, nel presentare adesso la richiesta di deroga antitrust, ha incalzato che Google e Facebook «non assumono reporters, non scavano tra documenti per inchieste sulla corruzione, non spediscono giornalisti in zone di guerra, non assistono agli eventi sportivi per commentarli, si aspettano che facciamo noi per loro questo costoso lavoro». Più recenti discussioni tra le parti hanno avuto toni meno tesi. Sia il colosso dei motori di ricerca che quello dei social network hanno promesso sensibilità all’ esigenza di proteggere il giornalismo e alla ricerca di soluzioni “sostenibili”. Agli occhi degli editori, la sospensione delle regole antitrust per consentire ad aziende giornalistiche concorrenti un fronte comune aiuterebbe un riequilibrio. Non sarà facile: il Congresso ne concede in media solo una ogni otto o dieci anni. L’ editoria ottenne l’ ultima nel 1970, con il Newspaper Preservation Act, che consentì a pubblicazioni regionali di unire attività di stampa e di business. Ora ne ritiene essenziale un’ altra per affrontare la battaglia digitale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I NUMERI

Il Sole 24 Ore

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Chi cresce tra i media I 14,7 miliardi di euro del mercato dei media nel 2016 sono complessivamente risultati in aumento del 3,9%, grazie a un +6,5% del comparto radiotelevisivo, al +3,2% del comparto radio e al +14,8% della componente online in cui Google e Facebook detengono ben oltre il 50% dei ricavi netti da pubblicità online. Per i giornali ancora crisi Per quotidiani e periodici i ricavi complessivi nel 2016 sono scesi del 6% a 3,8 miliardi. La carta stampata è alle prese ormai da molti anni con il declino delle copie cartacee (-43% per i quotidiani nel 2011-2016) e con gli editori che, dice Agcom, non riescono ancora a valorizzare il prodotto nel mondo digitale.

L’ IMPATTO DI GOOGLE E FACEBOOK SULL’ EDITORIA

Il Sole 24 Ore

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60-70% La quota delle inserzioni digitali Secondo la società specializzata eMarketer Google e Facebook rastrellano nell’ insieme almeno il 60% delle inserzioni digitali, mentre il Pew Research Center spinge le stime fino al 70% d’ un mercato digitale da 73 miliardi. 77% La quota della crescita L’ aumento pubblicitario nell’ ultimo anno – 12 miliardi – è stato per il 77% appannaggio dei due gruppi. Google ha messo le mani su 40 centesimi per ogni dollaro speso online, Facebook su 37 centesimi. Tutti gli altri si sono accontentati di 23 centesimi. 18 miliardi Le inserzioni sui giornali Le inserzioni sui giornali nel 2016 sono state pari a 18 miliardi rispetto ai 50 miliardi di dieci anni or sono. Grandi marchi, quali il Journal e il Times, hanno reagito con campagne di successo negli abbonamenti online, ma non bastano. 1970 L’ ultima sospensione antitrust L’ editoria ottenne l’ ultima sospensione delle regole antitrust nel 1970, con il Newspaper Preservation Act, che consentì a pubblicazioni regionali di unire attività di stampa e di business.

Per il garante la sfida di una crescente competizione

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Il presidente Agcom, Angelo Marcello Cardani, passa in rassegna tutti i punti che rendono il 2016 un anno non comune. «È stato l’ anno di importanti operazioni di consolidamento», dice citando Wind Tre; Vivendi che sale in Mediaset; la creazione del polo RadioMediaset; la fusione per incorporazione Gruppo Espresso-Itedi. In più c’ è stato l’ ingresso sul mercato di nuovi operatori, già sulla scena (Open Fiber) o attesi (la francese Iliad che sarà il quarto operatore mobile e che dovrebbe arrivare sul mercato italiano alla fine dell’ anno). Insomma non un anno come gli altri per un mercato della comunicazione che, comunque, sembra tutt’ altro che fermo e pacificato. L’ eco delle polemiche di questi giorni – con lo scontro fra Telecom e Governo sugli investimenti nelle reti a banda ultralarga sulla scia delle gare Infratel andate (la primo ufficialmente e per la seconda manca l’ ufficialità) a Open Fiber e contestati dall’ ex monopolista – si è potuta cogliere chiaramente nella presentazione di Cardani. «La concorrenza aggressiva – ha detto in un passaggio – per la conquista dei clienti sulle nuove reti non deve avvenire a scapito degli investimenti addizionali in innovazione e maggiore copertura; così come non dovrebbe essere ostacolata la concorrenza dinamica e potenziale». Non che sia mai stata sotterrata, ma l’ ascia di guerra fra i player del mercato delle tlc rischia di essere imbracciata con ancora più convinzione in mesi in cui sia nel fisso sia nel mobile vanno creandosi condizioni di particolare competizione. La controllata di Enel e Cdp sta per partire nella creazione di una rete di nuova generazione alternativa (cui si appoggeranno Wind Tre e Vodafone fra gli altri). E questo è un dato importante, con una Fastweb “terzo incomodo”. Nel mobile l’ arrivo di Iliad ha dato il la a una ridda di offerte, soprattutto “below the line”, che rischiano di riportare giù i valori del mercato. Bene per i consumatori, meno bene per l’ industry. E nei periodi di magra la conflittualità finisce per esplodere. Anche per la radio (alle prese con spiccate dinamiche di consolidamento) i prossimi mesi saranno decisivi. Nella tv il contratto di servizio aiuterà a disegnare i contorni della Rai presente sul mercato. Dall’ altra parte Mediaset lancia segnali di depotenziamento per Premium. A meno che non arrivino i diritti della Serie A o un cavaliere bianco, a contendere a Sky la primazia nel mercato pay. A far paura, intanto, sono Google, Facebook, ma anche Netflix come Amazon. L’ arena competitiva va allargandosi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tv, radio e online crescono, giornali ancora in calo

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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L’ aspetto positivo nei dati forniti ieri da Agcom sul settore media in Italia è quel segno più che arriva dopo anni di crisi. Ma come in tutte le medie, la fotografia finale restituisce una parte più luminosa (tv, pubblicità online e anche la radio) accanto a una in cui a dominare sono le ombre: per quotidiani e periodici i ricavi complessivi nel 2016 sono scesi del 6% a 3,8 miliardi. I 14,7 miliardi di euro del mercato dei media nel 2016 sono complessivamente risultati in aumento del 3,9%, grazie a un +6,5% del comparto radiotelevisivo (di cui +3,2% del comparto radio) e al +14,8% della componente online in cui Google e Facebook, secondo l’ Authority «detengono ben oltre il 50% dei ricavi netti da pubblicità online». In questo quadro è da segnalare l’ inversione di tendenza del mezzo televisivo, tornato sopra gli 8 miliardi di risorse complessive, ma al termine di una caduta ininterrotta a partire dal 2011, anno in cui gli introiti delle tv superavano i 9 miliardi. Pericolo scampato dunque? A sentire il presidente Agcom, Angelo Marcello Cardani, ieri durante la sua presentazione non sembrerebbe proprio così, visto che ha parlato di «fase di incertezza che pesa sugli investimenti» per «il mercato della televisione lineare e multicanale». Ad alimentarla sono «il futuro percorso di razionalizzazione dello spettro» con i broadcaster che dovranno liberare le frequenze della banda 700 a favore delle telco entro il 2022, «unitamente alle difficoltà di previsione della domanda di servizi». Il ricambio generazionale e le modalità di fruizione di contenuti audiovisivi che vanno sempre di più verso l’ on demand peseranno. Intanto però il mercato televisivo, ancora per il 2016, vede Sky al primo posto nella ripartizione dei ricavi dell’ intero settore, con una quota del 32% sul totale (pur se in calo di 1,5 punti percentuali), seguita da Rai che con una crescita di 1,8 punti (molto legata al canone in bolletta, con incassi saliti del 17% sul 2015) ha raggiunto il 29,7% dei ricavi superando Mediaset (27,9%; -0,6%). Insomma un mercato concentrato, sia nella tv in chiaro fra Rai e Mediaset sia in quella a pagamento con Sky-Fox al 77% di quota. Per tutta l’ industry un peso non da poco avrà a ogni modo il nuovo Contratto di servizio Rai, con cui dare declinazione operativa quinquennale alla nuova Convenzione Stato-Rai. Sul punto sanno tanto di appello a una maggiore chiarezza le parole di Cardani: «Anche attraverso l’ iniziativa dell’ Autorità (che deve varare le linee guida, ndr.) sarà importante definire con chiarezza la base su cui Rai dovrà operare, sia nei servizi/prodotti verso i consumatori che pagano il canone, sia rispetto alle attività commerciali ed editoriali svolte nel mercato libero». Comunque «sarà decisivo, rispetto al passato, delineare perimetro e gradi di libertà in cui Rai potrà muoversi, con una logica imprenditoriale concorrenziale». Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, a margine ha ribadito che la proposta del Governo dovrebbe arrivare «o subito prima o immediatamente dopo la pausa estiva in modo da consentire alla Commissione di Vigilanza di fare il suo lavoro». Si punta a «concludere tutto il percorso entro l’ anno». Come detto però, se la tv ha di che sorridere – seppur con la necessità di doversi guardare alle spalle dagli Over the top – chi mostra sempre più difficoltà è la carta stampata, alle prese con il declino delle copie cartacee (-43% i quotidiani nel 2011-2016) con «gli editori – si legge nella Relazione Agcom – che incontrano difficoltà a valorizzare il prodotto tradizionale nel mondo digitale». Cardani non manca poi di evidenziare «le perdite generate dalla maggiore difficoltà di gestione dei diritti d’ autore delle news online». Punto spinoso quello del copyright e del riconoscimento dei diritti per quotidiani e periodici. Dall’ altra parte ci sono player che popolano «una rete di libertà». Una bella medaglia, ma che ha un suo rovescio fin troppo evidente in questi ultimi periodi nelle fake news. Per Cardani «serve un intervento normativo» e non c’ è da fidarsi dell’ autoregolamentazione dei colossi web, che promettono «di sviluppare algoritmi per rimuovere le informazioni false e virali», ma sono anche «i principali “utilizzatori” gratuiti dell’ informazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Per Mediaset, La7 e Rai raccolta giù a gennaio-maggio

Il Sole 24 Ore

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Sono solo quelli che vengono considerati i “nuovi” entranti (che poi però tanto nuovi ormai non sono più) del mercato televisivo a sorridere per l’ andamento della pubblicità nei primi cinque mesi dell’ anno. Secondo le elaborazioni del Sole 24 Ore sui dati Nielsen diffusi ieri, Sky con il suo +1,2% (a 209,6 milioni di euro) e Discovery con un +6,9% (100,6 milioni) mettono in cassaforte un gennaio-maggio con il segno più quanto a raccolta pubblicitaria. Dall’ altra parte, a una Mediaset che con 967,5 milioni va poco sotto la stabilità (-0,5%), mantenendo la sua quota del 56% sul totale degli 1,7 miliardi di investimenti, si accompagnano una Rai che nei 5 mesi ha perso l’ 1,5% di raccolta (attestandosi a 377 milioni) e una La7 in cui la flessione è stata del 2,6% (con raccolta nei cinque mesi stimata a 69 milioni di euro). Il tutto in un mercato, quello tv, che ha mantenuto (-0,2%) nel quadro di un mercato pubblicitario complessivo, di tutti i mezzi, a +0,5%, ma solo contando la parte search e social (quindi Google e Facebook) che Nielsen può solo stimare non avendo accesso ai dati. Altrimenti sarebbe -1,9%. Facile indovinare chi ha vinto. (A. Bio.)

Agcom, le tv ripartono Italia in coda sul web

Il Messaggero

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LA RELAZIONE ROMA Le risorse sono ancora in calo nel settore media (la stampa «soffre più» di tutti). Ma non per la tv che, in controtendenza con il resto, «mostra nel 2016 i più evidenti segni di ripresa», fino a riagganciare e superare gli 8 miliardi di valore (+7%). È una conferma, invece, dice Angelo Cardani nella relazione annuale dell’ Agcom al Parlamento, il livello di «concentrazione elevato» nella tv in chiaro, con «oltre l’ 80% dei ricavi» in capo a Rai e Mediaset, e «molto elevato» nella pay, con il gruppo 21st Century Fox/Sky Italia di gran lunga in testa (77%), mentre Fininvest/Mediaset è al 21%. Nel 2016 Sky si conferma in pole position nei ricavi tv, (32%). Segue il gruppo Rai, con una quota prossima al 29,7% che supera Fininvest-Mediaset (28%). Quanto alla stampa, dice l’ Agcom, paga le «sofferenze maggiori». I ricavi 2016 sono calati del 6,6%, con una riduzione più netta per quelli pubblicitari (-7,7%), rispetto al dato sulle vendite (-6%). Quanto alle copie digitali (circa il 12% di quelle vendute), rappresentano ancora solo il 6% dei ricavi. Il Garante si fa poi sentire contro le fake news. «Ci vuole una norma», dice, contro «l’ eccessivo potere delle piattaforme online». Come è possibile, sottolinea il Garante, «fidarsi della promessa dei colossi del web di sviluppare algoritmi finalizzati a rimuovere le informazioni false e virali se questi stessi colossi sono anche i principali utilizzatori dell’ informazione gratuita sui motori di ricerca»?. Sotto i riflettori di Cardani c’ è poi il mondo dell’ internet superveloce. La fibra ha fatto passi da gigante, ma gli italiani rimangono i penultimi per l’ uso di internet (solo il 60%). Non è una buona notizia per i gruppi che investono, seppure secondo l’ Agcom dopo dieci anni sia arrivato il primo segnale di crescita per le tlc. L’ aumento della spesa per il mobile e in particolare per le connessioni frutta infatti un +2,4% che compensa la perdita del fisso (-2%). Per il resto, la copertura con reti a banda ultra larga è passata al 72% delle case, dal 42% del 2015. Tuttavia, il gap nell’ utilizzo dei servizi è sempre «elevato». Gli abbonati passano dal 5% nel 2015 al 12% nel 2016, ma restiamo al 24esimo posto in Ue. In questo contesto, la garanzia dell’ accesso ad Internet di alta qualità per tutti «è ancora lontana». E la «sinergia pubblico-privata rappresenta un’ opportunità». Poi l’ accenno alle polemiche Tim-governo. «La concorrenza aggressiva per la conquista dei clienti sulle nuove reti» non sia «a scapito degli investimenti addizionali in innovazione e maggiore copertura»; così come non deve «essere ostacolata la concorrenza dinamica e potenziale». R. Amo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Giornali Usa, guerra a Google&co

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Spira un certo venticello dell’ Est, una certa arietta europea nelle redazioni e negli uffici commerciali, marketing e pubblicità dei grandi giornali americani, il Wall Street Journal (Wsj, di proprietà dell’ australiano Rupert Murdoch), il Washington Post (Wp, che appartiene a Jeff Bezos di Amazon, e qui siamo all’ eterogenesi dei fini) e il New York Times (Nyt), l’ ultimo ancora in mano a una storica famiglia di editori. Che succede? Un fatto inevitabile: anche i giornali yankee si sono accorti, dopo Le Monde e Le Figaro in Francia (vedere ItaliaOggi dell’ 8/7/2017) e soprattutto dopo la multa di 2,4 miliardi di euro inflitta dalla Commissione europea a Google per abuso di posizione dominante, che i giganti del web, il famoso quartetto Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon), stanno divorando sistematicamente i loro fatturati pubblicitari, mettono a rischio la loro esistenza e quindi i giornali corrono ai ripari. Come? Provando ad allearsi, a creare piattaforme comuni (ma si studiano anche altre soluzioni) per gestire insieme la raccolta online che, solo negli Usa, vale 73 miliardi di dollari (63,9 miliardi di euro) e il 70%, cioè una cinquantina di miliardi, va dritto nelle casse dei Gafa, tra cui Amazon di mister Bezos che, dal 2015, è anche editore del Washington Post (e per questo abbiamo parlato prima di eterogenesi dei fini). Solo che mettersi insieme per contrastare la bulimia dei colossi del web, nella terra dei colossi, nel paese della Silicon Valley, è più facile a dirsi che a farsi. Perché, in barba al vero monopolio dei Google e degli altri, negli Stati Uniti creare una joint venture o una piattaforma comune per la raccolta pubblicitaria online (come hanno fatto qui in Francia i due quotidiani leader, Le Monde e Le Figaro) viola la legge sulla concorrenza. Viene considerato monopolio e quindi è vietato. Per questo i tre quotidiani nazionali insieme con alcune decine di testate locali si sono riuniti sotto un ombrello provvisorio, la News Media Alliance, un nome che è già un segnale politico: l’ alleanza dei media che fanno informazione (non fake news, si potrebbe aggiungere), hanno indirizzato una richiesta precisa al Congresso e hanno spedito il loro ceo David Chavern, perché spieghi alle varie commissioni parlamentari che quella alleanza è solo un tentativo per respingere (o contenere quanto meno) l’ arrembaggio commerciali dei veri monopolisti del web pubblicitario. Chavern illustrerà ai politici i dati del mercato: la raccolta pubblicitaria dei giornali tradizionali è scesa negli ultimi anni da 50 a 18 miliardi di dollari (da 43,8 a 15,8 miliardi di euro), la metà dei profitti di Google (19 miliardi di dollari, 16,6 miliardi di euro) e di Facebook (10 miliardi, 8,8 miliardi di euro) messi insieme. Ma accanto a lui, anzi dietro di lui, in tutta riservatezza si muoverà, stando ai rumor, Murdoch in persona, quello che un tempo era lo Squalo dei media e che, per fortuna degli editori americani, è un amico personale del presidente Donald Trump. Si dice che con l’ amico Donald userà un argomento convincente: la qualità informativa, unico argine al dilagare delle «fake news» che alla lunga finirebbero per danneggiare l’ immagine del Rodomonte installato alla Casa Bianca. Ma il Rodomonte ascolterà lo Squalo?

Comunicazioni, +1,5% nel 2016

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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Il 2016 ha rappresentato un’ inversione di tendenza nel settore delle comunicazioni rispetto al quadriennio precedente: «I ricavi complessivi riprendono infatti a crescere con un +1,5% dopo anni in diminuzione», attestandosi a 53,6 miliardi di euro. Lo ha detto ieri il presidente dell’ Agcom, Angelo Marcello Cardani, presentando la Relazione annuale 2017 al Parlamento. La quota prevalente di ricavi, ha spiegato ancora Cardani, è quella del mercato dei servizi di telecomunicazioni (60% del totale, pari a 31,9 miliardi, di cui 31% mobile e 29% fisso), seguita dai media (inserzionisti, utenti per i servizi a pagamento, contributi pubblici) con una quota del 27% e dai ricavi dei servizi postali, con il 13% del totale. Nei settori delle telecomunicazioni e dei media è possibile ravvisare un’ inversione di tendenza caratterizzata da un aumento, rispettivamente dello 0,2 e del 3,9%, dei ricavi complessivi. Nel 2016 il mercato dei media registra ricavi per 14,9 miliardi di euro, di cui il 49% derivanti da investimenti pubblicitari, il 37% da vendita di servizi e il 49% da canone e contributi pubblici. La componente radiotelevisiva cresce del 6,5%, mentre continua a perdere risorse il comparto dell’ editoria (-6%), seppur a un tasso inferiore rispetto al recente passato. L’ online, al contrario, continua a espandersi (+14,8%). Per quanto riguarda la tv, nel 2016 i ricavi complessivi sono stati pari 8,360 miliardi (+6,7%). Sky, che opera sia nella televisione in chiaro sia nella pay tv, mantiene la quota maggiore (32%), seppur in riduzione di 1,5 punti percentuali. Segue la Rai che, a fronte dell’ incremento dei ricavi conseguiti (in particolare il canone a +17%), balza al secondo posto (con una quota prossima al 30%), mentre il gruppo Fininvest/Mediaset, presente in entrambi i comparti della tv in chiaro e a pagamento, presenta un’ incidenza sul totale del 28%. Tra gli altri operatori spiccano i gruppi Discovery (2,4%) e Cairo Communication-La7 (1,7%), che in ogni caso mostrano quote molto inferiori rispetto ai primi tre. Nella pay tv, «il gruppo 21st Century Fox/Sky Italia, che propone offerte a pagamento fruibili attraverso la piattaforma satellitare e online, si conferma di gran lunga il primo operatore (77%), mentre il gruppo Fininvest/Mediaset, che offre contenuti a pagamento sulla piattaforma digitale terrestre e sul web, occupa la seconda posizione (21%)». Nel mercato della televisione in chiaro, conclude la relazione, «si rileva il permanere di un livello di concentrazione elevato: oltre l`80% dei ricavi totali della televisione in chiaro è stabilmente detenuto dai gruppi Rai e Fininvest/Mediaset, con il primo che raggiunge una quota (in crescita) pari a circa la metà del totale, e il secondo che possiede una quota (in riduzione) stimata attorno a un terzo». Nell’ ultimo anno il mercato delle comunicazioni è stato caratterizzato da importanti operazioni di concentrazione o consolidamento. Tra le principali l’ Autorità ha citato la joint venture tra Hutchison (H3g) e VimpelCom (Wind), l’ acquisizione del controllo congiunto di Metroweb da parte di Enel Open Fiver e Cdp, l’ acquisizione da parte di Rti (gruppo Fininvest) del gruppo Finelco (Rcs) e la fusione gruppo Espresso-Itedi nel mercato dei quotidiani. L’ Agcom cita inoltre l’ operazione di concentrazione in ambito europeo tra BSkyB-Sky Deutschland-Sky Italia e la nascita di Sky Europe. Infine, «il 2016-2017 è stato il periodo dell’ acquisizione del 30% della partecipazione nel capitale sociale di Mediaset e dell’ acquisizione del controllo di fatto di Telecom Italia da parte del gruppo Vivendi». Nell’ ambito di quest’ ultima operazione, l’ Agcom sottolinea che «si tratta del primo caso nella storia in cui l’ Autorità si è trovata ad applicare la normativa specifica e cionondimeno abbia agito tempestivamente al fine di chiarire le regole a garanzia della concorrenza e del pluralismo nei mercati di riferimento».

Siae, l’ Antitrust e un errore fatale da non ripetere

Italia Oggi
GABRIELE CAPOLINO
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Il 24 luglio l’ Autorità antitrust ha convocato il presidente della Siae, Filippo Sugar, nell’ ambito dell’ indagine legata alle presunte violazioni della concorrenza nell’ intermediazione del diritto di autore nel mondo della musica, del teatro, della letteratura. Sarà importante sentire ciò che un giovane editore musicale, figlio di una storia importante del mondo della musica, avrà da dire, perché in gioco c’ è un pezzo di economia importante per la tutela economica della creatività italiana. In sommi capi, la questione è semplice: il Governo, nel recepire la Direttiva Barnier, ha mantenuto in capo alla Siae l’ esclusiva dell’ intermediazione del diritto d’ autore in Italia. La Siae è un ente pubblico economico a base associativa che non ha scopo di lucro e in quanto tale è assoggettato a ben quattro vigilanti: MiBACT, Presidenza del consiglio dei ministri, Mef, Agcom, e deve riferire annualmente al Parlamento sui risultati dell’ attività svolta. La Società non riceve alcun contributo né finanziamento da parte del Governo, conta oltre 85 mila associati, dà lavoro direttamente a oltre 1.200 persone e a oltre 200 mila di indotto su tutto il territorio nazionale. Gestisce collettivamente il diritto d’ autore nei settori della musica, lirica, cinema, teatro, letteratura, arti visive e radiotelevisione, in un’ ottica solidaristica: amministrando vari repertori (live, riproduzioni ecc.), ridistribuisce le risorse in modo che quelli più remunerativi, come la musica, supportino quelli che lo sono meno e che gli autori di maggior successo sostengano i meno noti e i più giovani. Fino al 2011 la Siae è stata una mangiatoia di politici di ogni estrazione: esprimendo tre consiglieri sui nove (gli altri erano rappresentanti di autori ed editori, appunto), hanno approfittato dei ricavi che la Società otteneva con gli aggi e le varie convenzioni per abitare nelle case in cui la Società investiva gli utili, indicare i mandatari che sul territorio operavano per il controllo e l’ esazione, eccetera. Dopo una lunga lotta e con l’ appoggio di Gianni Letta nell’ ultimo governo Berlusconi, la Siae è stata prima commissariata, poi ha cambiato lo Statuto: ora è sotto stretta vigilanza pubblica ma ha una governance espressa dagli associati e basta. Nel giro di quattro anni, i risultati sono evidenti: i ricavi sono cresciuti raggiungendo nel 2016 i 796 milioni di euro (+18% rispetto al 2013), gli incassi sul multimediale sono passati da 9,3 milioni di euro del 2013 a 17,6 milioni di euro nel 2016 (crescita media annua del 17%), l’ aggio, ovvero il costo dei servizi agli associati, è sceso di oltre un punto percentuale, attestandosi al 15,2% (Apple e Android chiedono dal 25 al 30% agli autori delle App vendute nei loro stores), percentuale più bassa tra le società di collecting in Europa. La società controlla 14 milioni di opere gestite direttamente e 50 milioni di opere, fa oltre 1,2 milioni di contratti di licenza all’ anno con circa 580 mila soggetti che utilizzano il repertorio sul territorio. Ha investito 23 milioni di euro nello sviluppo tecnologico: dei 2,5 milioni di borderò (i giovani direbbero playlist) comunicati ogni anno da chi è tenuto a pagare i diritti, il 20% è comunicato per via digitale, così come online è anche l’ iscrizione e il deposito delle opere. In quattro anni sono stati erogati 4 milioni di euro in contributi di solidarietà ad autori in gravi difficoltà economiche, l’ iscrizione è diventata gratuita per autori ed editori sotto i 31 anni e da gennaio 2017 è stata abolita la quota di istruttoria per le nuove iscrizioni. Il tutto, con il solito regime di spietata compliance che vige in Italia quando si è sotto vigilanza statale: bilanci pubblici, così come la Relazione di trasparenza e le regole di ripartizione, cosa che non avviene per esempio per i soggetti privati che intendono ora affacciarsi sul mercato, tra cui la Soundreef, società di diritto inglese partecipata dai fondi LVenture e Vam Investment e che ha promosso l’ azione antitrust. Su quale fondamento? La direttiva Barnier non ha chiesto all’ Italia l’ abolizione dell’ esclusiva: essa stabilisce come gli organismi di gestione collettiva (come appunto la Siae) debbano operare con trasparenza, non discriminazione, efficienza, e come debbano investire i propri ampi flussi di cassa senza correre rischi e a vantaggio della categoria. In tutti i Paesi d’ Europa dove non c’ è monopolio legale, c’ è un monopolio di fatto: il che non è necessariamente un male, quando si devono difendere diritti e interessi di una grandissima pluralità di autori. Uno sportello unico, una gestione più semplice, più economie di scala sono possibili solo in questo modo. Inoltre bisogna avere spalle grosse anche per poter negoziare con i colossi globali: Google, Apple, Spotify, Amazon, Netflix sono i primi a chiedere un unico interlocutore. L’ esempio americano, che viene a sproposito citato dai fautori della liberalizzazione (in Usa non c’ è un monopolio), è deleterio per il mondo degli autori, degli editori e delle stesse piattaforme globali: gli autori minori non sono per nulla tutelati e sono una giungla il controllo e l’ esazione. Del resto, per convincere i giuristi dell’ antitrust che l’ Italia deve difendere il suo campione nazionale, semmai spingendolo a competere oltreconfine, basta un solo esempio, molto doloroso per chi scrive: guardare come sono finiti gli editori di giornali in tutto il mondo, incapaci di tutelare con una sola voce i diritti dei propri contenuti e il loro sfruttamento economico compiuto da altri. Duemila editori americani di quotidiani hanno dovuto chiedere un’ esenzione all’ Antitrust Usa per poter parlare con una sola voce a Google, Facebook & c.(!!!) In ballo in quel caso c’ è la difesa della democrazia: ma anche nel caso della Siae, la libertà di espressione culturale passa per la tutela e l’ efficienza del suo sfruttamento economico e una forza negoziale per ottenere equa remunerazione. Con una liberalizzazione vi sarà una spaccatura tra gli autori che, a torto o a ragione, ritengono di essere più coll di altri, che andranno con i Soundreef di turno, e la grandissima platea degli altri. E chi andrà a difendere diritti teatrali, quelli della lirica, una volta operata questa frantumazione? Un altro esempio, che forse non tutti conoscono: il privato in Italia può liberamente copiare la canzone acquistata online sui vari telefonini, tablet ecc. di sua proprietà: può farlo perché a pagare è il produttore del telefonino. Ve lo immaginate Soundreef e gli altri aspiranti esattori a trattare da nani con Apple, Samsung & c.? Avrebbero ricevuto in regalo una bella pernacchia. Ci pensino bene, i giuristi dell’ Antitrust. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Sole 24 Ore, nessun socio nuovo in vista secondo Boccia. «Non ci sono contatti con nessuno per l’ ingresso nell’ azionariato del Sole 24 Ore», ha dichiarato ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, a margine dell’ assemblea di Anima, l’ associazione delle industrie meccaniche. «La situazione è quella che conoscete: Confindustria sottoscriverà la sua parte dell’ aumento», ha aggiunto Boccia. «Se il mercato riterrà di sottoscrivere l’ altra parte, lo farà». Servizio pubblico, contratto con la Rai entro fine anno. Il contratto di servizio per la Rai arriverà entro fine anno, lo ha assicurato ieri il sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli, a margine della presentazione della relazione annuale Agcom. «Stiamo lavorando di intesa con Agcom», ha spiegato Giacomelli, «per presentare la proposta di contratto o subito prima o subito dopo la pausa estiva per il parere della commissione per chiudere entro l’ anno». In particolare, «nella nuova convenzione Stato-Rai è previsto un meccanismo molto rafforzato in tema di contabilità separata» tra proventi del canone e quelli dalla pubblicità, «che indica anche un ruolo più incisivo dell’ Agcom», ha concluso il sottosegretario allo sviluppo economico. Centro sperimentale di cinematografia, Crespi per l’ ufficio stampa. Il Csc comunica con Alberto Crespi nuovo responsabile ufficio stampa e comunicazione. Nel suo curriculum, la lunga esperienza di critico cinematografico all’ Unità, la conduzione di Hollywood Party su Rai Radio 3 e la direzione della rivista Bianco e Nero edita dal Csc. Radio Italia Live – Il Concerto contro le malattie cardiovascolari. Radio Italia Live – Il Concerto insieme con gli artisti, che hanno partecipato all’ evento di Radio Italia, mettono all’ asta chitarre autografate e oggetti personali, per sostenere la ricerca e la prevenzione delle malattie cardiovascolari della Fondazione gruppo ospedaliero San Donato. M2o, di nuovo radio ufficiale del Renault vertical summer. Ritorna per il sesto anno il Renault vertical summer tour, evento itinerante che tra luglio e agosto fa sosta nelle principali località marittime con dj set, giochi e balli. Radio ufficiale è per il secondo anno consecutivo m2o.

Pubblicità, i cinque mesi a +0,5%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Maggio è andato meglio delle attese nel mercato pubblicitario, con una crescita del 2,7% (+1,3% senza la stima Nielsen su search e social), così la media dei primi cinque mesi del 2017 si attesta su un +0,5% rispetto allo stesso periodo del 2016 (-1,9% se si escludono search e sul social). I prossimi due mesi saranno di «stallo fisiologico», ha spiegato Alberto Dal Sasso, Tam e Ais managing director di Nielsen, «dal momento che il mese di giugno 2016 aveva fatto registrare una crescita del 9,3% trainata dagli Europei di Calcio. Già con l’ inizio dell’ autunno, torneremo a rivedere numeri positivi: si consideri che nel 2016, il periodo settembre-dicembre aveva segnato una crescita dell’ 1,4%, a differenza di un quadrimestre precedente che cresceva in termini più robusti del 4,8%». Relativamente ai singoli mezzi, la tv chiude il periodo in sostanziale stabilità (si veda l’ altro articolo in pagina). L’ andamento di quotidiani e periodici nel solo mese di maggio è differente: continuano a calare i primi (-7,3%), mentre i magazine registrano una performance timidamente positiva (+0,8%). La raccolta nel periodo cumulato rimane comunque negativa per entrambi: quotidiani a -10,3% e periodici a -6,1%. Continua il buon andamento della radio che, grazie a un singolo mese di maggio a +14,8%, chiude i cinque mesi con una crescita del 4,1%. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in positivo del 7,4% (+0,6%, se si escludono il search e il social). Buoni segnali anche dal transit (0,7%) dalla GoTV (2,8%): «La GoTV continua a essere molto apprezzata dai clienti e soprattutto dai centri media che hanno ormai ‘sdoganato’ l’ inserimento del mezzo nelle pianificazioni tv», ha commentato Angelo Sajeva, presidente Fcp-Assogotv. Continua invece il trend negativo di cinema (-14,4%), outdoor (-17,6%) e direct mail (-4,7%).

Tv a -0,2%. Discovery +7%, Sky +1,2% Mediaset -0,5%, Rai -1,5%, La7 -2,6%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nei primi cinque mesi del 2017 la raccolta pubblicitaria sta premiando soprattutto il gruppo Discovery (grazie all’ exploit di Nove), che cresce di quasi il 7% sullo stesso periodo 2016 e incassa oltre 100 milioni di euro in pianificazioni (+11,7% nel solo mese di maggio con 24,1 mln di euro). E poi i canali di Sky (anche qui pesano in particolare le performance in chiaro di Tv8), con un +1,2% a sfiorare i 210 milioni (+0,5% in maggio con 52,6 milioni). Insieme i due gruppi, da un punto di vista del mercato pubblicitario televisivo italiano, valgono già una fetta vicina al 20% (12,1% Sky, 5,8% Discovery). Il comparto dell’ advertising tv tricolore nel suo complesso, tuttavia, non vive una stagione proprio da incorniciare: si attesta a un -0,2% nei primi cinque mesi (+1,1% in maggio a quota 426,5 mln), confermando, quindi, in sostanza i risultati del 2016. Il ritmo, naturalmente, lo detta sempre Mediaset, che arretra dello 0,5% incassando 967,4 milioni di euro in spot nel periodo gennaio-maggio (+0,5% nel singolo mese di maggio che vale 236,6 milioni), pari a una fetta del 56,1% della torta tv. Rai pubblicità cala dell’ 1,5% a 377 milioni (+0,5% in maggio con 96,6 mln), per una quota di mercato del 21,8%. E in coda c’ è La7, con i suoi 69 milioni di euro, giù del 2,6% rispetto ai primi cinque mesi del 2016 (c’ è però un +2,5% in maggio con 16,5 mln), e con una quota del mercato pubblicitario tv del 4%. Un dato da ricordare quando si inserisce La7 nel campo di battaglia generalista: il suo fatturato advertising vale 14 volte meno quello di Mediaset; Rai, con i soli spot (senza contare i miliardi di euro da canone pubblico), si mette in tasca ricavi 5,4 volte più alti della rete di Urbano Cairo; Sky, con la sola raccolta pubblicitaria (e lasciando perdere i miliardi di euro di ricavi da abbonamenti) incassa tre volte più di La7; e pure la raccolta di Discovery è pari a 1,44 volte quella di La7. Insomma, visti i mezzi a disposizione, si può dire che La7 faccia quasi i miracoli per raggiungere il suo 3,5% di share medio in prima serata.

Il doppio ruolo di Infront un cavillo della Lega per affidarle il canale tv

La Repubblica
MARCO MENSURATI
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ROMA La Lega Calcio continua a smentire, il suo advisor Infront pure, e però più passa il tempo e più la prospettiva del Canale tematico di proprietà come alternativa al tandem Mediaset/Sky per commercializzare i diritti tv della Serie A sembra assumere una sua inattesa concretezza. La cosa è diventata chiara a tutti nelle ultime settimane, dopo che, leggendo (finalmente) bene il contratto tra Lega e Infront, molti club di serie A hanno sgranato gli occhi davanti all’ articolo 71 nel quale tale possibilità non solo è stata esplicitamente prevista ma è persino stata regolamentata. Quanto meno nel suo tratto principale: quello in cui si stabilisce chi se ne dovrà occupare, e cioè Infront stessa, che da consulente diventerebbe così anche un super fornitore. «Quanto al Canale Lega – è scritto nero su bianco – nel caso la Lega nazionale professionisti Serie A ne decida la realizzazione, la affiderà a Infront, previa delibera». Del canale della Lega si parla praticamente da sempre, spesso citando molti felici modelli internazionali. Ma poi, di fronte alla prospettiva di un canale gestito da venti editori rissosi e non proprio ragionevoli (avete presente i presidenti delle squadre di calcio?) si è sempre preferito soprassedere. Il giorno dopo il fallimento dell’ asta bandita dalla Lega (e preparata da Infront) per la vendita dei diritti, lo scorso 10 giugno, il presidente del Torino, l’ editore Urbano Cairo ha rilanciato l’ idea: «I vantaggi – ha detto – sarebbero notevoli perché il calcio è il motivo principale per cui ci si abbona a una pay tv. Già lo fa la Liga spagnola, con risultati eccellenti. Con questo sistema la Lega riuscirebbe a incassare più soldi, senza dimenticare che avrebbe un pricing molto competitivo, con costi di gestione più bassi di un broadcaster tradizionale». Cairo, come gli altri presidenti, non sapeva però che la Lega si era già impegnata, nel caso, a farlo con Infront, il canale; canale che del resto era sempre stato il pallino di Marco Bogarelli, già presidente di Infront e, per lunghi anni, uomo più potente del calcio italiano. E questo ha aperto un nuovo vasto “fronte della diffidenza”, chiamiamolo così, da parte di tutte quelle società – Roma e Juventus in testa – che non hanno mai visto di buon occhio l’ eccesso di ruolo esercitato dall’ advisor (almeno fino all’ avvento della nuova gestione) sulle dinamiche decisionali e sulla governance della Lega. Letta alla luce dell’ articolo 71 del contratto tra Lega e Infront, l’ intera storia recente dei diritti tv del calcio italiano può assumere infatti tutto un altro aspetto. Il bando del 10 giugno, quello fallito, recitava, all’ articolo 2.4, una specifica avvertenza: «La Lega si riserva di avvalersi appieno delle opportunità previste dalla legge () attuando la distribuzione dei diritti all’ interno di una propria piattaforma». Una sorta di premonizione che oggi alimenta in molti il sospetto che Infront, l’ estensore materiale di quel bando, abbia avuto tutto l’ interesse a far fallire l’ asta per poi imporre – in autunno – grazie allo stato di necessità, il proprio progetto di Lega Channel. Si finirebbe così per «appaltare all’ esterno» – per usare le parole affidate a Repubblica da Franco Carraro in una recente intervista – «ruolo e funzioni istituzionali della Lega Calcio». Il sospetto viene seccamente respinto al mittente da Luigi De Siervo, attuale n.1 di Infront: «Quel contratto è stato stipulato prima del mio arrivo. Se le società vogliono rinegoziarlo io non ho alcun problema. Si diano una rappresentanza (al momento la Lega è commissariata, ndr) e ci mettiamo d’ accordo in 24 ore. Infront ha un atteggiamento più che laico, sul punto. Anche perché il canale della Lega non è affatto una nostra priorità. Noi aspettiamo che il mercato internazionale si consolidi, poi usciremo con il nostro bando». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Le ombre sul bando fallito del 10 giugno e il monito di Carraro su “l’ appalto all’ esterno” De Siervo, n.1 di Infront: “Siamo pronti a riscrivere l’ accordo, il Canale Lega non è una nostra priorità” Tavecchio, commissario di Lega.

LA PARTITA DEI DIRITTI TV

La Repubblica
26 MAGGIO 1 GIUGNO 10 GIUGNO 14 GIUGNO
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La Lega pubblica il bando dei diritti tv per il triennio 2018-2021. Ci sono 5 pacchetti: 4 includono 8 squadre, in escluva per piattaforma (satellite, digitale terrestre e 2 per tlcweb), uno ha 12 squadre in esclusiva assoluta Mediaset presenta un esposto all’ Antitrust contro il bando: nel mirino il pacchetto D, che garantisce l’ esclusiva assoluta per 12 squadre, fra cui Roma, Lazio, Fiorentina, Genoa e Bologna. L’ asta però non viene bloccata In Lega due offerte. Da Sky 230 milioni (base 200) per 8 squadre e 210 (base 400) per le altre 12. Per il web Perform offre 50 milioni, la metà della base d’ asta. Nessuna offerta da Mediaset e Telecom. I diritti non vengono assegnati Mentre la Lega prepara un nuovo bando, l’ Uefa assegna a Sky i diritti per Champions ed Europa League in esclusiva dal 2018 per tre anni. Mediaset ora pensa di cedere alcune partite di Champions a Sky nel 2017-2018.

COS’ È INFRONT

La Repubblica

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Infront Sports & MEdia è una società che gestisce diritti mediatici e commerciali di eventi sportivi. Ha sede a Zugo (Svizzera), è nata nel 2002 dalla fusione di tre società e nel novembre 2015 è stata acquistata dai cinesi di Wanda Group. In Italia Infront è advisor per la Lega e la Figc: è la società che deve vendere i diritti televisivi e procurare contratti commerciali.

Ritorna la pubblicità in tv: +7% Ma i giornali continuano a soffrire

La Stampa
F. D. P.
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La televisione torna a crescere, con un aumento dei ricavi pubblicitari nel 2016 pari al 7%, dopo anni di cali continui e un 2015 sostanzialmente stabile. E’ la sorpresa contenuta nella relazione annuale dell’ Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) presentata ieri a Montecitorio, secondo la quale aumentano in particolare i ricavi pubblicitari dalla tv in chiaro mentre calano gli introiti dalla vendita di offerte televisive. Risultato: cresce la Rai mentre fa passi indietro Mediaset. Stando al rapporto, il 2016 per il mercato dei media in Italia è stato un anno ri ripresa, con ricavi complessivi per 14,7 miliardi di euro, in rialzo del 3,9% rispetto all’ anno precedente. Stabile il mercato delle telecomunicazioni, che segna un +0,2%, con la rete mobile che cresce del 2,4% a fronte di un arretramento di quella fissa del 2%. Nei media, la parte del leone la fa come sempre la pubblicità, che pesa per il 49%, mentre il 37% arriva dalla vendita di servizi e il 14% da canone e contributi pubblici. Corre internet, col +15%, tiene la radio, con un +0,8%. La nota dolente è quella di giornali. «La stampa – spiega il presidente dell’ Agcom Angelo Cardani – è il settore che evidenzia i segnali di maggiore sofferenza». I quotidiani continuano a mostrare il declino strutturale – si legge nella relazione -. I ricavi complessivi subiscono una contrazione pari al 6,6%, con una riduzione maggiore dei ricavi pubblicitari (-7,7%) rispetto a quelli derivanti da vendita di copie, inclusi i collaterali (-6%), ipotizzando invariati i contributi e le provvidenze. «Il settore – sottolinea Cardani – registra una perdita complessiva dei ricavi negli ultimi cinque anni, non solo pubblicitari ma anche derivanti e dalla vendita delle copie (-24%)», il che ha provocato «un netto scivolamento della professione verso la precarizzazione». Al contrario, torna a crescere il settore televisivo, i cui ricavi sono passati dai 7,83 miliardi del 2015 agli 8,36 miliardi del 2016, arrivando a toccare livelli analoghi al 2012 dopo cinque anni di calo. La raccolta pubblicitaria rappresenta oltre il 40% del totale (pari a circa 3,5 miliardi, legati per il 90% alla tv in chiaro), seguita dalla vendita di offerte televisive (36%), in calo di 2 punti percentuali a favore dei fondi pubblici (canone Rai, convenzioni e provvidenze pubbliche), pari al 23%. Ma se internet è l’ area che mostra la maggiore dinamicità, è anche quella su cui bisogna intervenire più in fretta, sottolinea Cardani, che spinge per una legge che limiti lo strapotere di Facebook e Google. Il caso delle fake news, dice, «depone a favore di un intervento normativo la preoccupazione per l’ eccessivo potere delle piattaforme online. Ci si chiede, infatti, come sia possibile fidarsi della promessa dei colossi del web di sviluppare algoritmi finalizzati a rimuovere le informazioni false e virali sequesti stessi colossi sono anche i principali “utilizzatori” gratuiti dell’ informazione». [F. D. P.] BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Facebook ai giornali: collaboreremo per far pagare gli articoli sui social network

La Stampa
BRUNO RUFFILLI
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F acebook consentirà ai giornali di far pagare le notizie ai lettori. Lo aveva anticipato il Wall Street Journal qualche settimana fa, sia pure solo come possibilità. A Torino, alla Conferenza internazionale sul futuro del giornalismo, vi aveva fatto cenno Robert Thomson (ad di Newscorp), che aveva parlato di colloqui con Mark Zuckerberg per introdurre sul social network il meccanismo dell’ abbonamento. Ora la conferma arriva direttamente da Facebook: «Abbiamo appena iniziato a discutere con diversi organi di informazione per trovare il modo di incoraggiare i modelli di ricavo basati sugli abbonamenti», dichiara Campbell Brown, responsabile degli accordi con gli editori. Un ecosistema La mossa non è una risposta alle 2000 testate americane che hanno chiesto al Congresso di rivedere le leggi sull’ antitrust e trattare tutti insieme con Facebook e Google le condizioni per l’ uso dei loro contenuti. «Siamo impegnati ad aiutare il giornalismo di qualità a prosperare su Facebook. Stiamo facendo progressi nel nostro lavoro con gli editori, e abbiamo ancora altro lavoro da fare» commenta Brown. Molto, certamente. Perché il social network da due miliardi di iscritti si trova nella curiosa condizione di non essere un produttore di notizie, se non in minima parte, ma un formidabile mezzo di diffusione e amplificazione, che dalla sua popolarità ricava enormi guadagni pubblicitari. «Anche se Facebook non è un editore, siamo una parte importante dell’ ecosistema delle news – ammettono a Menlo Park – quindi abbiamo la responsabilità di lavorare con questo ecosistema e renderlo migliore per tutti». Come funzionerà Nel dettaglio, Facebook non rivela i piani per gli abbonamenti, ma è molto probabile che il meccanismo si baserà sugli Instant Articles. Si tratta di un formato specifico che consente di ridurre il tempo di caricamento delle pagine su smartphone in modo da poterle leggere appena si tocca un link: è stato accolto favorevolmente dai membri del social network, un po’ meno da giornali e siti web, che dopo l’ entusiasmo iniziale hanno cominciato a defilarsi. Per i guadagni scarsi, ma anche per la difficoltà di accedere ai preziosi dati degli utenti. Facebook potrebbe consentire ai giornali di pubblicare gratuitamente un certo numero di notizie ogni mese nel formato Instant Articles, ma poi – superata una soglia che ciascuno può decidere liberamente – sarà necessario un abbonamento. I giornali potrebbero scorporare i contenuti vendendo ad esempio pacchetti relativi allo sport o alla moda o alle notizie locali, un po’ come fanno le tv via satellite. Si discuterà a lungo di modalità di pagamento e percentuali, ma anche stavolta quello che veramente conta sono i dati, non i soldi. E i dati della carta di credito dei lettori sono preziosissimi, specie per Facebook. La risposta di Google «Vogliamo aiutare gli editori ad avere successo nel loro passaggio al digitale. Negli ultimi anni abbiamo creato numerosi prodotti e tecnologie, sviluppate apposta per aiutare a distribuire, finanziare e sostenere i giornali. Questa è una priorità e rimaniamo profondamente impegnati ad aiutare gli editori nell’ affrontare le loro sfide, come nel cogliere le opportunità». La risposta di Google non affronta la questione dei ricavi pubblicitari, che è la più rilevante tra le richieste della News Media Alliance; attualmente la percentuale che Mountain View incassa sulle inserzioni è circa il 30 per cento. Tra i vari progetti a sostegno del giornalismo di qualità, Google segnala poi che si è appena chiuso «il terzo round di finanziamenti del Fondo per l’ innovazione della Google Digital News Initiative (la partnership con molti editori europei), con finanziamenti per 107 progetti in 27 Paesi che riceveranno in totale oltre 21 milioni di euro». Di questi, 2,8 milioni sono stati destinati all’ Italia, per progetti di innovazione tecnologica dell’ editoria (e c’ è anche il gruppo Gedi). BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Riparte l’ industria dei media Ma non la vecchia stampa

Avvenire
PIETRO SACC’
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MILANO La stampa è la grande esclusa della ripresa dell’ industria italiana delle comunicazioni. Per la prima volta da cinque anni il giro di affari del mondo delle comunicazioni nel 2016 è tornato a crescere, scrive l’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) nel rapporto annuale presentato ieri alla Camera. Il fatturato complessivo è salito dell’ 1,5%, a 53,6 miliardi di euro grazie a una risalita dello 0,2% dei ricavi delle aziende delle telecomunicazioni (a 31,8 miliardi), una crescita anche più sostenuta del’ lindustria dei media (+3,9%, a 14,7 miliardi) e un andamento positivo dei servizi postali (+2,6%, a 7 miliardi di euro). Ogni ambito industriale ha i suoi punti deboli. Per le telecomunicazioni, per esempio, a soffrire sono gli introiti per i collegamenti su rete fissa, diminuiti di un altro 2% lo scorso anno, così come per le poste è il servizio universale a segnare un calo che assomiglia a un tracollo: -12,6%. Per i media la pecora nera del mercato è l’ editoria. Perché mentre gli incassi della televisione sono in decisa ripresa (+9,8% a 4,98 miliardi per quella in chiaro, +2,6% a a 3,4 miliardi per quella a pagamento) e anche la radio segna un buon aumento (+3,2%, a 639 milioni di euro) la carta stampata prosegue il suo declino. Il calo del giro d’ affari è del 6%, da 4 a 3,82 miliardi di euro, ed è un po’ più accentuato per i quotidiani (-6,6% a 1,84 miliardi) che per i periodici (5,5%, a 1,98 miliardi). Nonostante la ripresa generale del mercato della pubblicità (+5%, a 7,2 miliardi di euro complessivi) quella pagata ai giornali e ai periodici è ulteriormente diminuita, scivolando rispettivamente dell’ 8% e del 4%. Il 2016 è anche un anno a suo modo storico perché per la prima volta i ricavi del mondo online, saliti del 14,8% a 1,9 miliardi euro, superano quelli dei vecchi giornali, con gli editori che faticano a vedersi riconosciuti online gli introiti pubblicitari degli articoli prodotti dalle loro redazioni. Come scrive la stessa AgCom nel rapporto, il settore editoriale «non manifesta in alcun modo una inversione di tendenza». La crisi economica della carta stampata, che negli ultimi cinque anni ha visto precipitare del 34% il suo giro d’ affari e del 43% il numero di copie vendute, è a un livello tale da creare un allarme per il funzionamento della nostra democrazia, ha avvertito il presidente dell’ AgCom, Marcello Cardani. «La pluralità ma anche la qualità dell’ informazione – ha ricordato a Montecitorio – rappresentano condizioni imprescindibili di un sistema democratico, la contrazione e il depauperamento di un bene essenziale richiede l’ attenzione di tutti gli attori in campo, specie in un momento storico nel quale la domanda e l’ offerta di informazione di qualità sul web sembra minacciata da fenomeni di camere di risonanza, polarizzazione e strategie di disinformazione». I sintomi questo problema sono già visibili. Il crollo degli investimenti nel-l’ attività giornalistica a cui si è assistito nell’ ultimo decennio, segnala l’ Ag-Com, «non può non avere effetti sulla qualità di informazione, minando l’ attività di approfondimento e verifica delle fonti e generando fenomeni patologici, quali quello delle fake news». Non solo. A livello locale la situazione è anche più difficile, perché le testate sono più in difficoltà e per i giornalisti, stretti tra «precariato diffuso e retribuzioni sempre più esigue», è diventato «arduo riuscire a opporsi alle diverse forme di censura imposte dall’ esterno». L’ AgCom non offre soluzioni. Segnala l’ approvazione della riforma dell’ editoria dello scorso autunno e si impegna a una «costante attività di monitoraggio » del settore combinata a una strategia per affrontarne «tutti i nodi strutturali che vanno dalla drastica riduzione delle fonti di finanziamento alle criticità emerse nella professione giornalistica». RIPRODUZIONE RISERVATA.

Gli investimenti pubblicitari a maggio crescono del +2,7%. Performance timidamente positiva per i periodici (+0,8%) e continua la crescita della radio (+14,8%). Ancora male i quotidiani (-7,3%). I dati Nielsen (TABELLE)

Prima Comunicazione

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Nei primi cinque mesi 2017, il mercato degli investimenti pubblicitari chiude con una crescita dello +0,5% rispetto allo stesso periodo 2016 (-1,9% se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social). Positivo l’ andamento del mercato anche nel singolo mese di maggio: +2,7% (+1,3% senza search e social). Lo dicono i nuovi dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di maggio 2017 (.pdf) . “A maggio il mercato è andato meglio delle aspettative e registra un segno positivo nei primi cinque mesi dell’ anno nel suo perimetro totale. Nei prossimi due mesi verranno a mancare gli apporti degli eventi sportivi che hanno caratterizzato l’ estate del 2016, ma la tendenza rimane positiva” – spiega Alberto Dal Sasso, TAM e AIS Managing Director di Nielsen.”Avremo due mesi di stallo fisiologico, dal momento che il mese di giugno 2016 aveva fatto registrare una crescita del 9,3% trainata dagli Europei di Calcio. Già con l’ inizio dell’ autunno, torneremo a rivedere numeri positivi: si consideri che nel 2016, il periodo settembre – dicembre aveva segnato una crescita dell’ 1,4%, a differenza di un quadrimestre precedente che cresceva in termini più robusti del 4,8%”. Relativamente ai singoli mezzi, grazie a un singolo mese di maggio positivo (+1,2%), la tv chiude il periodo gennaio – maggio in sostanziale stabilità (-0,2%). L’ andamento di quotidiani e periodici a maggio è differente: continuano a calare i primi (-7,3%), mentre i magazine registrano una performance timidamente positiva (+0,8%). La raccolta nel periodo cumulato rimane comunque negativa per entrambi: quotidiani a -10,3% e periodici a -6,1%. Continua il buon andamento della radio che, grazie a un singolo mese di maggio a +14,8%, chiude i cinque mesi con una crescita del 4,1%. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in positivo del 7,4% (+0,6%, se si escludono il search e il social). Buoni segnali anche dalla GoTV (2,8%) e dal transit (0,7%), mentre continua il trend negativo di cinema (-14,4%), outdoor (-17,6%) e direct mail (-4,7%). Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 11 in crescita, con un apporto complessivo di circa 81 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti: alle performance positive di automobili (+4,9%), farmaceutici (+9,8%) e abitazione (+2,3%), si contrappongono i cali delle telecomunicazioni (-7,1%) e di media/editoria (-13,9%). Andamento molto positivo per tre settori – elettrodomestici, giochi/articoli scolastici e industria/edilizia/attività – che incrementano il loro fatturato rispettivamente del 50,4%, 44,7% e 47,9%, con un apporto complessivo di circa 32 milioni di euro. “L’ aggancio alla ripresa economica europea da parte dell’ Italia, ancora in lieve difficoltà, soprattutto dal punto di vista occupazionale, sarà fondamentale per il mercato della comunicazione. Ugualmente, lo saranno probabilmente del medio termine anche le iniziative tattiche come il Tax Credit” – conclude Dal Sasso. “I segnali di ottimismo in termini previsionali emersi dalla recente Assemblea dell’ UPA, insieme agli indicatori di cui riportiamo la consueta sintesi, ci consentono di confermare una chiusura d’ anno in crescita, seppur contenuta. Si tratta di un risultato importante, considerate le condizioni strutturali di un anno privo di eventi mediatici rilevanti”. In allegato, in un unico file: la nota, la tabella sugli investimenti per tipologia di media e la tabella sui settori di investimento. – Leggi o scarica i dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di maggio 2017 (.pdf) .

News su Facebook a pagamento. Il colosso social raggiunge un accordo con gli editori

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Facebook consentirà ai giornali di far pagare le notizie ai lettori. Lo aveva anticipato il Wall Street Journal qualche settimana fa, sia pure solo come possibilità. A Torino, alla Conferenza internazionale sul futuro del giornalismo, vi aveva fatto cenno Robert Thomson (ad di Newscorp), che aveva parlato di colloqui con Mark Zuckerberg per introdurre sul social network il meccanismo dell’abbonamento. Ora la conferma arriva direttamente da Facebook: «Abbiamo appena iniziato a discutere con diversi organi di informazione per trovare il modo di incoraggiare i modelli di ricavo basati sugli abbonamenti», dichiara Campbell Brown, responsabile degli accordi con gli editori. Il social network da due miliardi di iscritti si trova nella curiosa condizione di non essere un produttore di notizie, se non in minima parte, ma un formidabile mezzo di diffusione e amplificazione, che dalla sua popolarità ricava enormi guadagni pubblicitari. «Anche se Facebook non è un editore, siamo una parte importante dell’ecosistema delle news – ammettono a Menlo Park – quindi abbiamo la responsabilità di lavorare con questo ecosistema e renderlo migliore per tutti».
Nel dettaglio, Facebook non rivela i piani per gli abbonamenti, ma è molto probabile che il meccanismo si baserà sugli Instant Articles. Si tratta di un formato specifico che consente di ridurre il tempo di caricamento delle pagine su smartphone in modo da poterle leggere appena si tocca un link: è stato accolto favorevolmente dai membri del social network, un po’ meno da giornali e siti web, che dopo l’entusiasmo iniziale hanno cominciato a defilarsi. Per i guadagni scarsi, ma anche per la difficoltà di accedere ai preziosi dati degli utenti.
Facebook potrebbe consentire ai giornali di pubblicare gratuitamente un certo numero di notizie ogni mese nel formato Instant Articles, ma poi – superata una soglia che ciascuno può decidere liberamente – sarà necessario un abbonamento. I giornali potrebbero scorporare i contenuti vendendo ad esempio pacchetti relativi allo sport o alla moda o alle notizie locali, un po’ come fanno le tv via satellite. Si discuterà a lungo di modalità di pagamento e percentuali, ma anche stavolta quello che veramente conta sono i dati, non i soldi. E i dati della carta di credito dei lettori sono preziosissimi, specie per Facebook.

 

Contributi tv locali. Il testo del Provvedimento è arrivato alle Commissioni Parlamentari

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Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 10 luglio 2017, ha trasmesso – per l’acquisizione del parere parlamentare, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell’articolo 1, comma 163, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – lo schema di decreto del Presidente della Repubblica recante regolamento concernente i criteri di riparto tra i soggetti beneficiari e le procedure di erogazione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione in favore delle emittenti televisive e radiofoniche locali.
Tale provvedimento è stato assegnato, per la Camera, alle Commissioni VII (Cultura, scienza e istruzione) e IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni); per il Senato alla Commissione VIII (Lavori pubblici, comunicazioni). Le commissioni dovranno esprimere il relativo parere entro il 10 agosto p.v.

Testo del Provvedimento arrivato nelle Commissioni

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