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Rassegna Stampa del 08/01/2018

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Le elezioni in Vigilanza Rai: riesplode il caso Fazio-Vespa

Calcio, con le nuove regole per la torta miliardaria della tv tremano le big della Serie A

Gentiloni: “Giù il canone Rai Non giocate al voto Rischiatutto”

Eresie digitali

Le elezioni in Vigilanza Rai: riesplode il caso Fazio-Vespa

Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Oggi la campagna elettorale parte da San Macuto, il palazzo di Roma dove si riunisce la commissione parlamentare di Vigilanza Rai. E sarà un debutto feroce. I partiti dovranno approvare il regolamento sulla par condicio nel servizio pubblico (spazi uguali ai candidati) e l’ elenco – stilato dal dg Mario Orfeo – dei programmi e dei conduttori da inserire in palinsesto. Il direttore generale ha incluso Fabio Fazio e Bruno Vespa, “artisti” per definizione e tipologia dei contratti, e un pezzo di commissione (e di azienda) prepara la rivolta. La coppia di Rai1 ha ingaggi superiori al tetto di 240.000 euro imposto, invece, ai giornalisti e ai dipendenti di Viale Mazzini da una legge del governo di Matteo Renzi. E dunque, secondo numerosi partiti, la coppia non va utilizzata in campagna elettorale: “Perché Vespa e Fazio sì e Paolo Fox no? Un giorno fa l’ oroscopo, un altro intervista un politico”, provoca un esponente del centrodestra. Viale Mazzini ha interpretato in maniera originale la norma sui compensi e così ha offerto a Vespa – che fa Porta a Porta dal ’96 e non manca un appuntamento elettorale da oltre vent’ anni – un accordo da 1,2 milioni di euro (taglio del 30 per cento) e poi ha protetto Fazio da un profluvio di critiche per lo stipendio da 2,2 milioni e i costi di Che tempo che fa. Per milioni di motivi (e di euro), Orfeo non può rinunciare a Fazio e Vespa: con la scusa che l’ altra volta (e anche prima) erano in onda per le elezioni, li ripropone alla Vigilanza. C’ è una differenza, però: nel 2013 o nel 2008, non c’ era ancora la legge sugli stipendi del servizio pubblico, in vigore da un anno. Viale Mazzini deve affrontare una commissione spappolata e con divisioni all’ interno degli stessi partiti. Il progetto di Orfeo – che mescola i giornalisti Bianca Berlinguer e Lucia Annunziata con gli artisti Vespa e Fazio – prevede il controllo dell’ informazione in campagna elettorale di un’ unica testata: tocca al Tg1 che l’ attuale capo Rai ha gestito per quattro anni e mezzo e continua a seguire con attenzione. Il Parlamento deve scegliere il destino di Porta a Porta e Che tempo che fa e pure in fretta, la par condicio scatta dal 18 gennaio. In Vigilanza la maggioranza dipende dal Pd che, a sua volta, dipende dai resti degli alfaniani: un grumo è volato verso il Nazareno e un altro è rientrato da Silvio Berlusconi.

Calcio, con le nuove regole per la torta miliardaria della tv tremano le big della Serie A

Affari & Finanza

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CAMBIANO I CRITERI DI ASSEGNAZIONE: PESANO MENO I RISULTATI DEGLI ULTIMI CINQUE ANNI, AUMENTA LA QUOTA DELLE “PICCOLE” ED ENTRA NEL CALCOLO LO SHARE TELEVISIVO. LA PIÙ PENALIZZATA SARÀ LA JUVE SEGUITA DALLE MILANESI. INTANTO GLI STADI TORNANO A RIEMPIRSI Francesco Saverio Intorcia Matteo Pinci segue dalla prima E cco come funzionerà. L’ aumento della quota fissa, uguale per tutti, significa la certezza di 5 milioni in più per le squadre medio-piccole: quota significativa, i club con la fetta più magra finora si accontentavano di 25 milioni totali. Resta invariata, nel suo complesso, la percentuale attribuita ai risultati del campo, ma muta la ripartizione interna: finora, l’ ultima stagione pesava per il 5%, le ultime cinque per il 15%, tutto il passato del club per il 10%. La riforma voluta dal ministro Lotti premia il risultato della stagione in corso (il 15%), riducendo al 10% l’ incidenza dell’ ultimo quinquennio e al 5% quello del passato storico del club (dal ’46/47 a oggi). Non si può vivere di gloria antica, insomma. La novità, ispirata al modello anglosassone, dovrebbe incentivare le squadre a investire nella stagione corrente: finora, guadagnare una posizione in campionato significava ingrassare di poco l’ assegno finale, fra 0,5 e 1 milione. Il peso dei tifosi L’ altra novità riguarda il peso dei tifosi: il concetto di “radicamento sociale” sostituisce quello di “bacino d’ utenza”. In origine l’ incidenza del pubblico era del 30%: il 25% in base a indagini demoscopiche, il 5% in relazione alla popolazione della città. Adesso la platea vale solo il 20% e sarà calcolata tenendo presente il pubblico effettivamente pagante allo stadio nelle ultime tre stagioni “nonché in subordine l’ audience televisiva certificata”. Servirà un decreto di Palazzo Chigi per determinare, in concreto, i sistemi di calcolo dei nuovi parametri. Ma fra i club è già battaglia: le grandi temono di veder ridotta sensibilmente la propria fetta. Meglio garantire una spartizione democratica o la competitività delle grandi in Europa? È il nodo centrale della questione. Giovedì è stato approvato il nuovo bando per la cessione a tre piattaforme a quelle tradizionali via satellite (Sky) e digitale (Mediaset) si aggiungerà Perform, che distribuirà le immagini via internet, una sorta di Netflix del calcio – con base d’ asta fissata a 1 miliardo e 50 milioni, oltre 100 milioni in più rispetto all’ ultimo triennio. In Premier League, dove solo una parte delle partite viene trasmessa in diretta e nessuna emittente ha l’ esclusiva per l’ intera programmazione, l’ ultimo bando (2016-2019) ha fruttato circa 7 miliardi di euro. La Serie A punta a incassare un po’ di più del passato. Le big temono però di ricavare molto meno. Se in questo torneo la forbice tra la più ricca – la Juventus – e l’ ultima per incassi sarà di oltre 80 milioni, le prime stime per il prossimo triennio fanno pensare a tagli clamorosi. La Juve ne perderebbe circa 40, Milan e Inter 20, Napoli e Roma una decina. Da un lato, crescerebbe l’ equilibrio interno. Dall’ altro, le grandi perderebbero potere d’ acquisto e, dunque, competitività nelle coppe, con il rischio di scivolare nel ranking Uefa e di non riuscire a difendere i quattro posti Champions appena riconquistati. Brandendo questa tesi, le società più potenti si sono attivate: la Juventus è diventata la capofila di un gruppo che ha chiesto e ottenuto di discutere i termini di quel “radicamento sociale”. Ad esempio, inserendo nella norma il criterio dell’ audience televisiva. In fondo, se i soldi sono quelli delle tv, perché non tenere conto di quello che il pubblico in tv vuole vedere? Questo criterio mitigherebbe le perdite per le squadre principali. Ma la vera svolta è un’ altra: dagli uffici del ministero le big della Serie A hanno avuto indicazioni che la compilazione delle graduatorie parziali – quella del merito e quella degli ascolti – secondo i criteri che verranno definiti dal decreto governativo non avverrà più su base 20 (il numero delle squadre del campionato), ma su base 50, con nuovi coefficienti che daranno maggior peso alle prime posizioni rispetto alle ultime. Un po’ come quando la Formula Uno ha adottato il nuovo sistema di punteggio, che scava un solco più ampio fra il primo e il secondo posto e soprattutto fra il primo e l’ ultimo arrivato o il non classificato. Un altro elemento “premiante” per chi porta risultati migliori e pubblico alle tv. Il riferimento all’ audience però non ha fatto felici tutti. Anzi. E qui bisogna tornare al nuovo bando approvato giovedì. Secondo gli accordi, 8 squadre saranno trasmesse su tutte e 3 le piattaforme. Altre 12, su una soltanto. La Roma, che è tra le 12 che andranno in esclusiva, ha sollevato la questione insieme all’ Udinese: sarebbe svantaggiata. Inoltre, c’ è il problema delle fasce orarie: giocare da soli alle 20.45 porta più contatti che farlo alle 15 in contemporanea con altre 4-5 partite. E andare in campo di venerdì, di lunedì, o alle 12 cambia ancora. Serve un algoritmo che calcoli tutte le variabili. Ma chi lo svilupperà? Il governo o la stessa Lega Serie A? Torna all’ ordine del giorno un altro tema di vecchia data: il “paracadute”, i 60 milioni annuali stanziati a garanzia di chi retrocede in B. Le grandi possono minacciare di cancellarlo, per fare pressioni sulle piccole. L’ idea è comunque di ridurlo, soprattutto per chi retrocede dopo un solo anno in A. L’ effetto stadio Il criterio prevalente sull’ audience resta quello delle presenze allo stadio. I numeri della stagione sono incoraggianti: da quasi dieci anni non c’ era tanta gente a seguire le partite dal vivo. La media del girone d’ andata è stata di 24.579 spettatori per gara. Per avere un dato migliore bisogna andare al 2008-2009, quando il totale di paganti e abbonati era di 24.825. Secondo il Centro studi della Lega, quest’ anno la Serie A ha guadagnato 3mila spettatori. L’ incremento si spiega con le grandi aspettative intorno alle milanesi, le grandi assenti dalla lotta al vertice nelle ultime stagioni. L’ Inter di Spalletti ha guadagnato più del 30% di presenze rispetto all’ ultimo campionato e con 58mila spettatori di media guida la classifica. E anche il Milan, in estate, con una campagna acquisti ambiziosa, ha riconquistato gli abbonati e viaggia costantemente oltre quota 50mila, nonostante i risultati sul campo poi deludenti. Curiosamente in questa classifica la Juventus è solo quarta, nonostante sia di gran lunga la squadra italiana con più tifosi e simpatizzanti e la prima per audience tv. Il dato incoraggiante per il movimento è che il riempimento degli stadi è passato dal 54% al 70%, una cifra che però va tarata sull’ effettiva disponibilità degli impianti di quest’ anno – in media, più piccoli – e che resta lontana dalle medie di Germania e Inghilterra. Dopo Juventus, Sassuolo e Udinese, l’ unico stadio effettivamente nuovo inaugurato quest’ anno è la Sardegna Arena, che registra numeri incoraggianti di media presenze ma è una casa provvisoria. L’ Atalanta avvierà dalla prossima estate i lavori per riammodernare l’ Atleti azzurri d’ Italia, dopo aver vinto il relativo bando. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le riprese televisive dei match della Serie A valgono oltre un miliardo di euro a triennio e entro fine mese verrà bandita la gara per i diritti per i tre prossimi campionati.

Gentiloni: “Giù il canone Rai Non giocate al voto Rischiatutto”

La Repubblica
tommaso ciriaco
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roma Un passo indietro, un passo avanti. «Ho preso un impegno che termina con le elezioni – premette Paolo Gentiloni a ” Che tempo che fa” – Il voto determinerà chi governerà, non l’ inerzia o un’ alchimia decisa prima » . È il gong del premier alla campagna elettorale. E per un attimo sembra quasi volersi sfilare da uno scenario di ” proroga di fatto”, in caso di ingovernabilità post elettorale. Ma è soltanto un attimo, appunto. « Continuare? Per rispetto degli elettori dobbiamo dire che ci sono tre blocchi e la scelta è nelle mani dei cittadini. Altrimenti non facciamo il bene della democrazia » . Non sono ragionamenti da affrontare adesso, insomma. Poi si vedrà, com’ è normale che sia con una legge elettorale che affida le decisioni definitive al Colle e al Parlamento. « Il Pd può essere il primo partito e ha una squadra di governo molto forte. Sarò spocchioso, ma nessuno ne ha una minimamente comparabile alla nostra». Quando Fabio Fazio snocciola la scaletta, il boato più forte in studio non è per Gentiloni, ma per la band Maneskin, reduce dal trionfo di pubblico a XFactor 2017. Poi però il capo del governo se la gioca al meglio con la platea. E lo fa con calma, senza fretta. « Lo so, a Roma mi chiamano ” Er Moviola”. E devo dire che il mio orgoglio principale da premier è proprio quello di aver rasserenato il clima». La proposta di abolire il canone non può che finire in cima alla scaletta. Gentiloni, che ha un passato da ministro delle Comunicazioni, asseconda la voglia renziana di rimettere mano alla tassa sul piccolo schermo. « Se riusciamo a far pagare di meno i cittadini per il servizio pubblico, il più importante del mondo dopo la Bbc, può essere positivo » . Come? « Concentrerei il pagare di meno su alcune famiglie e fasce più disagiate. Ci sono 150- 200mila i nuclei esentati, si potrebbe allargare». Prima comunque c’ è da giocare una campagna elettorale tutta in salita per il Pd. E Gentiloni, dismettendo per qualche minuto l’ abituale fair play, riserva una prima stoccata alle opposizioni. Ci pensi bene chi ha deciso di voltare le spalle al centrosinistra, sostiene: «Spero che l’ Italia non giochi il ” Rischiatutto” con forze che non sanno governare il paese. Non dobbiamo disperdere i risultati ottenuti, non è la stagione delle cicale». Per dare una mano alla “squadra” dem, poi, il premier elenca alcuni risultati del centrosinistra. A partire dalle unioni civili e dal biotestamento, «una medaglia dei nostri governi». Non può rivendicare invece una legge sullo Ius soli, abbandonata a un passo dal traguardo. « È il tempo di un provvedimento così, certo. Ma non ce l’ abbiamo fatta per una questione di una banalità terribile: non avevamo la maggioranza. Purtroppo in politica funziona così » . Un capitolo, l’ ultimo, è dedicato però al ricordo di Giulio Regeni. Con una promessa: « Continueremo a cercare la verità. Nei confronti del governo egiziano e di qualche governo europeo che non ha avuto, in qualche occasione, un comportamento trasparente». È il primo passo della marcia elettorale, si diceva. L’ esordio in tv. Seguiranno altri eventi pubblici. Due – almeno due – saranno al fianco di Renzi. E parecchi altri coinvolgeranno altri ministri dell’ attuale esecutivo, da Marco Minniti a Graziano Delrio. Insieme con Gentiloni, tenteranno di risollevare il Pd dalle secche nel quale – almeno secondo gli ultimi sondaggi – si è arenato. Sperando anche di poter sfruttare il caso Maroni, che ha sorpreso il Nazareno e il suo leader. La partita lombarda, infatti, era già considerata archiviata, persa in partenza. L’ addio del governatore al Pirellone, invece, fa ben sperare il segretario dem. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Eresie digitali

L’Economia del Corriere della Sera

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Che cos’ è una buona televisione: quella che fa divertire, quella che fa riflettere o quella che informa in modo corretto? Le novità del nostro tempo mediatico non sono soltanto l’ ampiezza delle scelte sul telecomando e la diffusione globale di prodotti di nicchia. Ma anche il fatto che le analisi più penetranti di quanto accade nel mondo stanno passando attraverso la fiction. Ad esempio nel caso dell’ innovazione tecnologica e del suo impatto sociale. Prendiamo la serie The Good Wife, visibile su Netflix. Protagonista è Alicia Florrick, la «buona moglie» del titolo, che, dopo l’ arresto del marito procuratore per corruzione, si ritrova a badare ai figli e a rivestire i panni dell’ avvocato, indossati in gioventù. Lo sviluppo del racconto passa attraverso una sequenza di casi che rappresentano una vera e propria antologia della giurisprudenza contemporanea, segnata da ampie zone di chiaroscuro e dall’ incombere dei potenti che dominano Internet. I personaggi sono ritratti in modo credibile, mai caricaturale, anche nell’ arroganza: Neil Gross, capo di ChumHum (Google), dice all’ avvocato Will Gardner: «Io guadagno in un’ ora quello che tu guadagni in un anno»: ogni riferimento ai big della Silicon Valley è puramente non casuale. Ma soprattutto colpisce il fatto che i dilemmi della serie siano gli stessi dibattuti nella Federal Communications Commission in America e nelle authority europee: il commercio dei dati personali, la violazione della privacy, il non rispetto delle norme antitrust. «Volete occupare lo spazio degli editori e incassare i soldi della pubblicità ma rifiutate di condividerne le responsabilità», dice un avvocato al personaggio Gross. Alcuni dialoghi sono talmente raffinati e colti (ad esempio sulla distanza tra giustizia e legalità) che ci si può chiedere quanti siano in grado di apprezzarli. Ma i loro autori hanno una capacità di scrittura così elevata da rendere avvincenti e carichi di emozioni anche argomenti che sarebbero mortalmente noiosi se propinati al pubblico in forma di servizio televisivo o di talk show.


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