Indice Articoli
Cigs per l’ editoria solo con un piano di interventi mirati
Fondi pubblici, la rivolta delle piccole tv locali
L’ Unità pignorata dai suoi lavoratori
Diritti tv, si sblocca la partita da 1 miliardo
Sondaggi alla Rai: conflitto di interessi per il mega-appalto
Fumata bianca per i diritti tv del calcio
Calcio in tv, via al nuovo bando
Chessidice in viale dell’ Editoria
PlayBoy potrebbe lasciare le edicole ed essere solo un marchio per abiti e locali
Il 61,3% del film è pubblicità
Su Sky crescono gli ascolti differiti: Gomorra a quota 49,5%, MasterChef è oltre il 50%
“Abolire il canone Rai” la prima mossa del Pd
Cigs per l’ editoria solo con un piano di interventi mirati
Il Sole 24 Ore
Antonino CanniotoGiuseppe Maccarone
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Il nuovo anno saluta il debutto – per il settore dell’ editoria – di una specifica regolamentazione in materia di cassa integrazione guadagni straordinaria (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). Con il decreto interministeriale, diffuso in questi giorni, sono stati – tra l’ altro – definiti i criteri di accesso alla Cigs per le causali di riorganizzazione aziendale in presenza di crisi e di crisi aziendale. Come ribadito anche dalla circolare ministeriale 21/17, le istanze per Cigs inviate per riorganizzazione aziendale in presenza di crisi, saranno valutate sulla base di specifici parametri. Il programma di riorganizzazione che l’ impresa ha l’ obbligo di predisporre deve prevedere la realizzazione di interventi mirati, comportanti investimenti che, pur tenendo conto dello stato di crisi dell’ azienda, servano per fronteggiare la mancata funzionalità della struttura gestionale, commerciale o produttiva e siano idonei a gestire inefficienze e squilibri economici e finanziari. Tra i compiti dell’ impresa che vuole ottenere la cassa, figura anche quello di individuare il rapporto tra le sospensioni e gli interventi programmati, evidenziandone le modalità di attuazione, nonché i tempi di realizzazione. Le sospensioni del personale devono entrare a far parte di un piano particolareggiato che comprenda anche l’ eventuale gestione delle eccedenze. Nel piano non deve mancare un’ evidenza di come l’ azienda intenda attuare il recupero occupazionale dei lavoratori interessati dalle sospensioni o dalle riduzioni di orario pari o superiori al 70 per cento. Il ripristino occupazionale può realizzarsi sia tramite la riammissione al lavoro dei dipendenti sospesi, sia nel loro assorbimento presso altre unità produttive della medesima azienda o di altre imprese. È, inoltre, previsto che l’ impresa indichi come viene data copertura finanziaria alle misure individuate per fronteggiare la situazione. Per quanto attiene, invece, alla causale di crisi aziendale, i parametri indagatori devono spingersi sino alla rilevazione dell’ andamento a carattere negativo o, comunque, involutivo aziendale. Per la relativa evidenziazione l’ impresa può avvalersi di indicatori economico-finanziari di bilancio quali il fatturato, il risultato operativo e di impresa nonché lo stato di indebitamento. Gli indici devono riguardare il biennio precedente la data di presentazione dell’ istanza di Cigs e vanno riferiti all’ intero complesso aziendale. Il Dm richiede, altresì, una relazione che illustri la tecnica di utilizzo degli indicatori e contenga le ragioni giustificanti la critica situazione economico-finanziaria. Un fattore valutabile, ai fini dell’ accesso all’ ammortizzatore, è costituito dall’ eventuale decremento delle vendite, dalla contrazione degli investimenti pubblicitari o dalla diminuzione o trasformazione dell’ attività produttiva. Anche l’ assenza di nuove assunzioni (in particolare quelle agevolate), nel biennio precedente, può essere considerata indicativa del trend aziendale negativo. Il datore di lavoro deve specificare, in un apposito piano di risanamento, quali correttivi intende apportare per far fronte alla situazione che ha determinato la crisi fornendo la garanzia riguardo alla continuazione dell’ attività e alla salvaguardia dei livelli occupazionali. Infine, resta, da chiarire se per le imprese dell’ editoria la decadenza semestrale entro cui recuperare le somme anticipate ai lavoratori operi – alla stregua del resto delle disposizioni – dal 1° gennaio 2018, come già precedentemente sostenuto (si veda «Il Sole 24 Ore» del 13 dicembre 2017). © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fondi pubblici, la rivolta delle piccole tv locali
Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Una legge che dovrebbe aumentare la qualità e il pluralismo dell’ informazione. E invece rischia di produrre l’ effetto contrario, andando a colpire le emittenti delle regioni più povere e meno abitate. Questo l’ allarme che arriva dalle tv locali italiane, che hanno visto cambiare i criteri di assegnazione delle risorse annuali da parte dello Stato. Parliamo di un universo di almeno 600 canali televisivi che, dopo l’ ampliamento dell’ offerta dovuta al digitale terrestre e alle pay tv, fanno sempre più fatica a stare sul mercato, specialmente nelle zone depresse del Paese, dove la raccolta pubblicitaria è più bassa. A fine ottobre 2017, infatti, è entrato in vigore il Dpr (decreto del presidente della Repubblica) che ha riformato la disciplina dei contributi pubblici alle tv locali: una torta che, per l’ anno 2016, è di circa 100 milioni di euro, di cui il 95% andrà alle prime cento emittenti e il restante 5% a tutte le altre. La vecchia legge assegnava le risorse secondo due criteri: il numero dei dipendenti e il fatturato. Un meccanismo scricchiolante, il cui difetto principale era quello di premiare sempre i canali maggiori. Ogni anno i vari Corecom (braccio locale dell’ Agcom) avevano il compito di portare a termine l’ istruttoria su base regionale da cui veniva stilata la graduatoria delle emittenti che finiva sul tavolo del ministero dello Sviluppo economico, da cui poi partivano i fondi. Dopo una lunga attesa, la nuova legge ha visto la luce con l’ obiettivo di aumentare il pluralismo, quindi attribuire maggiori risorse a più emittenti. E premiare le aziende editoriali rispetto a quelle che puntano solo al profitto. Il primo criterio di assegnazione dei fondi (il numero dei dipendenti) è rimasto lo stesso. Ma è cambiato il secondo: non si guarderà più al fatturato ma all’ indice di ascolto – la cosiddetta audience – secondo i dati Auditel. Che però non viene rapportato in alcun modo al numero degli abitanti. Ed è questo il punto contestato dalle piccole tv: un’ emittente della Basilicata o della Valle d’ Aosta non potrà mai avere un numero di telespettatori paragonabile a una tv lombarda. “In questo modo le regioni meno abitate saranno sempre svantaggiate, quindi il criterio redistributivo, che doveva essere uno dei principi ispiratori, viene meno”, fa notare Massimo Romano, il legale che, assieme ai colleghi Giuseppe Ruta e Margherita Zezza, sta seguendo il ricorso presentato al Tar del Lazio da alcune emittenti di Abruzzo e Molise. “Non entro nel merito del contenzioso, sarà il tribunale a decidere. Faccio però notare che le nuove norme derivano da un parere delle commissioni parlamentari su indicazione anche di rappresentanti delle emittenti locali, che il governo ha recepito”, spiega il sottosegretario alle Comunicazione, Antonello Giacomelli (Pd). Dall’ esecutivo si fa notare che il Dpr premia chi fa davvero l’ editore: per accedere ai fondi una tv deve trasmettere almeno due notiziari al giorno e avere tra i dipendenti un numero di giornalisti che varia da regione a regione. Il secondo aspetto contestato dalle piccole tv è il potere dato all’ Auditel, che non è un ente terzo, ma una società privata partecipata, tra gli altri, da Rai, Mediaset, La7. “Sì, ma l’ Auditel è l’ unica società in Italia in grado di realizzare questo tipo di monitoraggio”, rispondono dal governo.
L’ Unità pignorata dai suoi lavoratori
Il Messaggero
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Ieri è stata depositata, a cura degli avvocati Iolanda Giordanelli e Valerie Stella De Caro del Foro di Cosenza, presso la sezione per la Stampa e l’ informazione del Tribunale di Roma, formale istanza per la trascrizione del pignoramento della storica testata giornalistica «L’ Unità». Dal maggio 2017 la società Unità srl, proprietaria della testata giornalistica, non ha più provveduto al pagamento del salario dei giornalisti alle proprie dipendenze. In seguito alla violazione dei propri diritti i lavoratori si sono rivolti all’ Autorità giudiziaria.
Diritti tv, si sblocca la partita da 1 miliardo
Corriere della Sera
Daniele Sparisci
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MILANO Allo scadere, dopo troppi tiri in tribuna e tanta melina, il calcio italiano davanti all’ oro delle tv accelera e si ritrova quasi unito. Al punto da provare a esprimere un candidato per le elezioni federali del 29 gennaio. La mossa a sorpresa porta la firma dell’ ex presidente della Figc Carlo Tavecchio, rimasto commissario della Lega Serie A: «Il 10 presenteremo un documento programmatico con le nostre necessità e i desiderata». Traduzione: i club vogliono più peso all’ interno del consiglio federale. «Non escludo che si arrivi a nominare un candidato». Il toto-nomi è caldo, circola pure quello di Billy Costacurta, anche se lui nega di essere stato contattato. Ma c’ è un’ altra partita che si è sbloccata e vale poco più di un miliardo di euro l’ anno (1,050): tanto si aspettano di incassare le società dalla vendita dei diritti nazionali del ex campionato più bello del mondo dal 2018 al 2021. Cifre lontane dal «paradiso» Premier: l’ Inghilterra viaggia sui 3,3 miliardi considerando anche l’ estero (che da noi vale 371 milioni), ma comunque più vicine a quelle della Liga. La Lega ha confezionato insieme all’ advisor Infront i pacchetti per provare a vendere il pallone senza svenderlo dopo il flop dell’ asta di giugno: i dettagli saranno svelati domani mentre l’ apertura delle buste, cioè delle offerte, avverrà il 22. Tutti d’ accordo tranne il Napoli e la Roma, astenute. Aurelio De Laurentiis vorrebbe guadagnare di più, mentre i giallorossi hanno ritenuto troppo bassa la valutazione delle licenze Internet (140-160 milioni). Ma tant’ è. Spiega Tavecchio: «Dovevamo assolutamente raggiungere questo traguardo entro oggi per non perdere opzioni nei confronti dei mercati internazionali». Perché le tv hanno fretta di costruire i palinsesti. Sky, che in estate aveva messo sul piatto 440 milioni, sarà costretta ad aumentare la puntata. Mediaset, che prima aveva disertato, stavolta entrerà in campo. Per la parte web corre il gruppo Perform che vuole diventare «la Netflix del pallone». Il menu prevede cinque pacchetti: A e B, uno per il satellite l’ altro per il digitale terrestre, con le gare di 8 big esclusa la Roma, valgono fra i 260 e 275 milioni. Alla voce D l’ esclusiva dei restanti 12 club fra i quali la formazione di Di Francesco a un «prezzo» minimo di 310 milioni. Altri 50 arriverebbero dagli «accessori»: interviste a bordo campo, immagini negli spogliatoi. Ma c’ è anche un piano B: un bando parallelo aperto a banche e fondi in grado di sborsare il miliardo se le tv non raggiungeranno i minimi garantiti. Un’ opzione che in Lega si augurano di non attuare. Il fronte finanziario è caldo: la proposta della International Bank of Qatar – 13 miliardi in 10 anni -, che non c’ entra con il bando, sarà esaminata da una commissione ad hoc. Piace alle squadre medio-piccole perché garantisce linee di credito, meno alle grandi già impegnate in accordi di rifinanziamento e preoccupate dai rischi di un accordo così lungo.
Sondaggi alla Rai: conflitto di interessi per il mega-appalto
Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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Si attende la pronuncia definitiva dell’ ufficio appalti di Viale Mazzini, ma con ogni probabilità sarà il faccione bonario e rassicurante di Nicola Piepoli ad accompagnare dagli schermi della Rai le trepidazioni degli italiani, quelli che votano e quelli che non lo fanno più, ansiosi di sapere in anteprima i risultati della prossima, attesissima tornata elettorale. La notizia non è ancora stata ufficializzata da Viale Mazzini. Ma a 60 giorni dalle prossime elezioni politiche è stata comunicata alla cordata vincitrice, che già scalda i motori. A risultare per ora prima in graduatoria nel bando di gara della Rai per assegnare a un unico committente, con le regole europee, l’ appalto dei sondaggi politico-elettorali per il prossimo triennio 2018-2020 sarebbe la cordata composta dalla Emg-Acqua di Fabrizio Masia, il sondaggista divenuto famoso per aver sostenuto con freddezza e professionalità le maratone elettorali di Enrico Mentana, dall’ Istituto Piepoli e da Antonio Noto della Ipr Marketing, che si è presentato però alla gara con una società di recente costituzione, la Noto sondaggi. La cifra assegnata è notevole, la Rai potrà spendere per i sondaggi fino a 5 milioni 394 mila euro (più Iva), tanto che qualcuno aveva obiettato per le dimensioni delle società messe insieme dai tre noti sondaggisti per aggiudicarsi un appalto, a quanto si afferma, più grande di loro. Un’ accusa indirettamente rintuzzata da Nicola Piepoli, che contattato dal Fatto spiega: “Viviamo di caffè, Nutella, Trenitalia e banche, l’ appalto della Rai è del tutto marginale”. L’ aggiudicazione comporterebbe per voi anche l’ esclusiva dei vostri sondaggi? “Per quanto riguarda le televisioni certo, ma possiamo lavorare anche per giornali come il vostro fino a 16 giorni prima delle elezioni, per la Rai fino al giorno dopo, con proiezioni ed exit poll”. Tuttavia anche la cordata concorrente, quella composta da altri due storici istituti di sondaggio noti al pubblico televisivo, la Ipsos France e Ipsos Italia di Nando Pagnoncelli e la Swg di Trieste, in caso di vittoria potrebbe sollevare una pesante critica verso la presidente Monica Maggioni. Si profilerebbero infatti i termini di un clamoroso conflitto d’ interessi tra il sondaggista prescelto e uno dei più importanti partiti oggetto dell’ indagine, che per la verità avrebbe dovuto essere tenuto in conto fin dall’ accoglimento delle domande. Dopo trent’ anni dalla fondazione, nel 2011 gli azionisti storici di Swg hanno deciso infatti di rafforzare la società. Da allora la società di sondaggi triestina è controllata dalla Mowgli Spa, che esprime la direzione operativa della società attraverso gli imprenditori e amministratori delegati Adrio Maria De Carolis e Maria Cristina Salami. De Carolis è anche il presidente del consiglio direttivo della Eyu, la fondazione del Pd che si occupa di “ascolto e partecipazione attiva dei cittadini e dei principali attori della vita del Paese” ma che è anche uno strumento di fund raising per il renzismo. Eyu sta per Europa, Youdem, Unità, le tre ex testate giornalistiche del Pd, tutte sparite dall’ orizzonte: non a caso il presidente è il tesoriere dem Francesco Bonifazi. Ma del board fanno parte anche molti altri amministratori, parlamentari ed economisti di spicco vicini al Giglio magico. Adrio Maria è figlio di Massimo De Carolis, ex deputato ed esponente della destra Dc che fu tra i fondatori e leader della cosiddetta “Maggioranza silenziosa”. Capogruppo Dc al Comune di Milano, fu sequestrato dalle Brigate Rosse nel suo studio legale milanese, sottoposto a processo popolare e quindi “gambizzato”. Nel 1981, allo scoppio dello scandalo P2 , il suo nome sarà ritrovato negli elenchi degli affiliati alla loggia massonica coperta di Licio Gelli. A metà anni 90, De Carolis senior aderì a Forza Italia e divenne presidente del Consiglio comunale di Milano. A seguito di alcune condanne penali, nel 2015 gli era stato sospeso il vitalizio della Camera che gli è stato però reintegrato nel luglio 2017.
Fumata bianca per i diritti tv del calcio
Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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L’ assemblea di Serie A ha approvato ieri il bando per la vendita dei diritti tv domestici per il triennio 2018/21, con 18 voti a favore e l’ astensione di Roma e Napoli. Entro il prossimo 22 gennaio dovranno pervenire le offerte delle aziende interessate ad acquistare uno dei cinque pacchetti messi all’ asta, come anticipato dal Sole 24 Ore. Quelli principali saranno uguali per le tre piattaforme A, B e C (satellite, digitale, e Internet con 248 partite e con 8 squadre con Juve, Milan , Inter e Napoli), mentre i contenuti in esclusiva (pacchetti D1 e D2 con 136 match, 12 squadre tra cui Roma, Torino e Cagliari e i loro sconti diretti) sono stati spalmati in due pacchetti. Ci sono poi le altre esclusive come interviste e telecamere speciali, 8k, eccetera nel pacchetto Platinum. Domani l’ advisor Infront ufficializzerà i prezzi minimi. Nell’ insieme le basi d’ asta valgono un miliardo di euro. Se dovessero arrivare offerte congrue la Serie A potrebbe spingere l’ asticello dei ricavi verso quota 1,4 milioni. Sono stati giù acquistati, infatti, dall’ intermediario Usa Img i diritti tv esteri. Per il triennio 2018/21 le 20 società di A otterranno 371 milioni. Oltre ai 340 milioni del pacchetto globale, infatti, sono stati attribuiti sempre a Img i diritti connessi al betting per 12 milioni e i diritti per le comunità italiane all’ estero a Rai International per 4,5 milioni. A queste somme si aggiungono 7 milioni per la fornitura del segnale e 8 milioni vincolati a investimenti per la promozione del campionato. Dopo il 22 gennaio i club si prenderanno qualche giorno per valutare le offerte, potendo procedere se ritenuto opportuno anche a trattative private. Il 22 gennaio potranno pervenire anche le offerte di intermediari, cioè di soggetti interessati a rilevare tutti i diritti a un determinato valore per poi rivenderli agli operatori. Queste buste saranno aperte però solo nel caso in cui le società di calcio non saranno soddisfatte da quanto messo sul piatto da tv e broadcaster. I tempi in ogni caso sono quanto mai stretti. Mai in nessuna asta triennali si è giunti così a ridosso dell’ inizio del campionato. Questo ritardo ridotto chiaramente anche le prospettive di realizzare il piano B del canale della Lega. Lega e Infront approvano il bando relativo al precedente triennio 2015/18 nel maggio del 2014. Si pensi, inoltre, che la Premier League ha presentato lo scorso 8 dicembre i bandi per la cessione dei diritti in chiaro sugli highlights e per i diritti audiovisivi di 200 partite a stagione relativi al triennio 2019/22. Questi diritti sono suddivisi in sette pacchetti: cinque di 32 partite a stagione e due di 20 partite a stagione, con il divieto per ogni singolo acquirente di ottenere i diritti per più di 148 partite a stagione. Il ritardo italiano dipende sia dalle incertezze legate al quadro degli investitori in particolare sul fronte Mediaset-Vivendi, che già hanno mandato all’ aria l’ asta lo scorso giugno sia al vuoto di governance nelle istituzioni calcistiche italiane. L’ assemblea elettiva lasciata in sospeso lo scorso 7 dicembre, in mancanza di un accordo sulle nomine, è stata rinviata. Per eleggere presidente, ad e le altre cariche vacanti la Lega ha tempo fino il 29 gennaio, quando scadrà la proroga del commissario Carlo Tavecchio e si terranno le elezioni della Figc. Intanto, i dirigenti della Lega, proveranno ad approfondire i termini della proposta avanzata dall’ International Bank of Qatar che sarebbe pronta a anticipare alla Lega, in quanto intermediario finanziario 13 miliardi di euro per le prossime 10 stagioni della Serie A. Praticamente 1 milardo e 300 milioni a stagione garantito con un bonus per i qatarioti sulle somme in più che la Lega dovesse guadagnare in questo e nei successivi trienni rispetto a questa soglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Calcio in tv, via al nuovo bando
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Un nuovo bando per i diritti televisivi del calcio di Serie A 2018-2021, più vicino alla versione del precedente triennio e con un introito minimo per la Lega che stando alle basi d’ asta dovrebbe aggirarsi intorno al miliardo di euro a stagione. Ieri la Lega ha approvato il nuovo documento sulla gara, dopo quello annullato lo scorso giugno, con il voto favorevole di 18 club e l’ astensione di Napoli e Roma. Fra le novità non c’ è però soltanto una rimodulazione dei pacchetti che ridà appeal a quelli base per satellite e digitale terrestre, ma anche il fatto che in realtà i bandi saranno due: oltre a quello principale per gli operatori televisivi e internet, è stato previsto anche un bando parallelo riservato agli intermediari finanziari indipendenti che vedrà l’ apertura delle buste alla scadenza (il 22 gennaio per entrambi) soltanto se fallirà il primo. L’ intera procedura, così, potrà avere fino a quattro step: prima si apriranno le buste degli operatori e se avranno offerto oltre il minimo d’ asta ci potrà essere l’ assegnazione. Se però questo non accadrà, si passerà al secondo step, ovvero la trattativa privata sempre con gli operatori per arrivare a un accordo (è la prima volta che si prevede questo sistema). Se anche questo passaggio non porterà risultati, si passerà ad aprire le buste con le offerte degli intermediari finanziari, ammesso che siano state presentate. Infine, se anche questa via non risulterà percorribile è previsto che si passi alla realizzazione del canale della Lega, per il quale in passato si è parlato di Discovery come possibile partner. L’ intermediario finanziario, eventualmente, sarebbe il soggetto che dovrebbe rivendere i diritti agli operatori e di qui si aprirebbero nuovi scenari finora mai visti in Italia, anche se a ottobre la Lega ha venduto i diritti all’ estero a uno di questi soggetti, IMG. Come detto, sui pacchetti c’ è stato un po’ un ritorno al passato. In attesa di vedere il testo del bando, ItaliaOggi ha ricostruito che i pacchetti saranno cinque (un obbligo anche nei confronti dell’ Antitrust) ma differenti rispetto al bando di giugno. L’ A per il satellite e il B per il digitale terrestre saranno simili ai pacchetti del triennio che sta finendo in cui ci sono le 8 squadre maggiori; a giugno, per contro, erano composti dai quattro club più importanti più altre quattro squadre minori. Il pacchetto D, quello più consistente, che nella vecchia formulazione conteneva 324 partite di cui 132 esclusive, è stato ora diviso in D1 e D2 ciascuno ovviamente con la metà degli incontri. Entrambi saranno trasmissibili su tutte le piattaforme: satellite, Dtt e online. Infine quelli che erano in precedenza i pacchetti C1 e C2 per l’ online e che contenevano ciascuno due squadre maggiori e due minori, sono stati unificati in un unico pacchetto C che dovrebbe essere uguale nella composizione delle squadre ad A e B. Per i pacchetti precedenti c’ è la possibilità di avere i diritti accessori (per esempio la trasmissione sui cellulari o in 4k) con le opzioni platinum. Da una parte quindi si darà l’ opportunità a un operatore come Mediaset Premium di mantenere l’ offerta attuale (ma anche, cosa poco probabile in realtà, di allargarsi con uno dei pacchetti D), dall’ altra si dà al pacchetto Internet una consistenza che prima non aveva. La divisione del D in due sembrerebbe dettata più dalla necessità di mantenere i cinque pacchetti una volta deciso di non smembrare quello web che da altre motivazioni, ma vedremo concretamente come si comporteranno gli operatori con le offerte. Per quanto riguarda i minimi d’ asta, se a giugno quelli per l’ A e il B avevano 250 milioni, ora c’ è da attendersi un incremento, mentre per il D i 400 milioni iniziali potrebbero essere divisi e accorpati i 100 milioni ciascuno di C1 e C2. Di fatto, se Sky vorrà continuare ad avere l’ offerta attuale dovrà acquistare A con D1 e D2 e l’ importo non dovrebbe troppo discostarsi da quello attuale. Se questi conti saranno confermati la Lega non avrà quell’ incremento di introiti tanto voluto o lo avrà solo in parte. Il motivo è che a parte le difficoltà più o meno presenti per gli operatori tradizionali, in Italia manca la partecipazione di una telco forte come accade in altri paesi europei, dal Regno Unito alla Spagna alla Germania. Senza tirare in ballo la qualità delle squadre o del campionato, è questa la chiave degli incrementi che si sono avuti altrove. Ora, l’ attesa è di vedere cosa accadrà con Tim e Canal+ in futuro, ma soprattutto di vedere cosa decideranno di fare con il calcio italiano gli Ott come Netflix nei prossimi anni. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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L’ Unità, i giornalisti presentano istanza di pignoramento della testata. I giornalisti dell’ Unità hanno presentato istanza di pignoramento della testata per il mancato pagamento degli stipendi. Ieri l’ istanza è stata depositata dagli avvocati Iolanda Giordanelli e Valerie Stella De Caro, del Foro di Cosenza, presso la Sezione per la Stampa e l’ informazione del Tribunale di Roma. La testata potrebbe essere dunque venduta coattivamente. Dalian Wanda valuta la quotazione della divisione sportiva e la cessione di asset. Il conglomerato cinese Dalian Wanda sta pensando di quotare in borsa le proprie operazioni del settore sportivo, che includerebbero Infront Sports & Media e Word Triathlon. A riportare la notizia è stata l’ agenzia Reuters, secondo cui l’ ipo potrebbe essere lanciata sulla borsa di Hong Kong ed escluderebbe il 20% detenuto dalla società nell’ Atletico Madrid. Dalian sta anche cercando di cedere Sunseeker International, produttore di yacht in difficoltà, nel tentativo di snellire il proprio portafoglio, dato il regime di tolleranza zero del governo cinese nei confronti dei deal contratti all’ estero. Facebook, Zuckerberg: nel 2018 lo aggiusteremo, persa fiducia. Il fondatore e amministratore delegato di Facebook in un post sulla sua pagina personale ha spiegato che il suo obiettivo per il 2018 è risolvere alcuni «gravi» problemi che hanno caratterizzato il suo social network in questi anni. Tra tutti, l’ uso violento della comunicazione tra gli utenti e le interferenze degli Stati nelle dinamiche della community online. «Il mondo sembra vivere in uno stato di ansia e disunione, e Facebook ha un sacco di lavoro da fare», ha scritto Zuckerberg. «Deve proteggere la nostra comunità online dall’ odio e dagli abusi, ma anche dalle interferenze degli Stati nazionali e fare in modo che il tempo speso su Facebook sia utile». Rai, oltre 6 mln spettatori per il derby di Torino senza telecronaca. Mercoledì scorso l’ ultimo quarto di finale di Tim Cup tra Juventus e Torino, trasmesso in prima serata da Rai 1 senza telecronaca a causa dello sciopero dei giornalisti di RaiSport, ha raggiunto oltre 6 milioni di spettatori con uno share del 23%. Si tratta del programma più visto della giornata. Su Rai2 buon risultato anche per il secondo capitolo di Una notte al museo che ha ottenuto 2 milioni 106 mila spettatori e uno share dell’ 8,22%.
PlayBoy potrebbe lasciare le edicole ed essere solo un marchio per abiti e locali
Italia Oggi
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Quattro mesi dopo la morte del suo fondatore, Hugh Hefner, per lo storico magazine Playboy si prepara un futuro lontano dalla carta stampata. Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, infatti, l’ attuale azionista di controllo della Playboy Enterprises Inc., il fondo Rizvi Traverse, da una parte sta trattando con la famiglia per acquisire il 35% del capitale lasciato in eredità e dall’ altra sta pensando di fare di Playboy, a quasi 70 anni dalla sua nascita, un marchio da utilizzare per partnership e accordi di licenza con attività che sono lontane dal mondo dell’ editoria. «Vogliamo concentrarci su quello che chiamiamo il “Mondo di Playboy”, molto più grande di una piccola pubblicazione», ha detto Ben Kohn, managing partner di Rizvi e ceo di Playboy Enterprises da maggio 2016. «Abbiamo in programma di impegnarci nel 2018 con una transizione da un’ azienda di media a una società di gestione del marchio». Il progetto di Kohn è oggi realizzabile perché con la morte di Hefner sono venuti meno i vincoli imposti dal fondatore di PlayBoy. Il fondo, infatti, era entrato nel capitale nel 2011, avendo aiutato Hefner a ricomprare le azioni e a togliere l’ azienda dalla borsa. L’ impegno era però di continuare le pubblicazioni almeno fino alla scomparsa del fondatore. Ora, dopo la morte di quest’ ultimo a 91 anni nel settembre scorso, il vincolo è decaduto e Rizvi può andare avanti per la sua strada. Per prima cosa il fondo avrà tempo fino a settembre per acquisire il 35% delle azioni in mano a un trust, per fare questo, e per finanziare partnership future, cercherà di raccogliere dai 25 ai 100 milioni di dollari (21-83 mln di euro), secondo il Wsj. L’ utilizzo del marchio PlayBoy e dei suoi simboli, le orecchie da coniglio, è ormai diffuso nell’ abbigliamento così come nei locali e nei night in diverse parti del mondo grazie agli accordi di licensing fatti dal 2011 in poi, tanto che questo business garantisce circa la metà dei ricavi che nel 2017 sono stati di 90 milioni di dollari (75 mln di euro). Il fatto che si conceda semplicemente la licenza ha però portato a risultati altalenanti, per questo Kohn vorrebbe ora puntare su joint venture e accordi in cui c’ è una partecipazione diretta dell’ azienda, in modo da avere un maggiore controllo sul prodotto finale. Il tentativo è di tappare la falla che fa perdere a PlayBoy Enterprises 7 milioni di dollari all’ anno (6 mln di euro). Già la rivista è stata ridimensionata, passando da dieci numeri all’ anno a sei, ed è stata snaturata per un breve periodo, eliminando il nudo per farla diventare a tutti gli effetti un magazine lifestyle, un esperimento che ha portato a un calo considerevole di copie, fino alle 500 mila dai 5,6 milioni dei tempi d’ oro. Ora la nuova decisione alle porte, ancora non definitiva ma che sembra abbia tutti i presupposti per essere presa. © Riproduzione riservata.
Il 61,3% del film è pubblicità
Italia Oggi
PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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Non c’ è nulla da fare. Se un fruitore di film o serie tv si abitua alla modalità on demand e senza interruzioni, il salto indietro alla tv generalista è pressoché impossibile. Per questo, nonostante gli ascolti delle ammiraglie generaliste (Rai Uno e Canale 5) siano andati bene nel 2017, un certo senso di ineluttabilità circa un prossimo calo degli investimenti pubblicitari (per un peggioramento della qualità dei target) è diffuso sul mercato e pare dietro l’ angolo. Piccolo esempio: mercoledì sera 3 gennaio su Rete 4 alle ore 21,15 era in programma il film natalizio Love actually. Ma la bella commedia corale inglese è iniziata solo alle 21,27, con quei 12 minuti di ritardo che sono diventati una eternità per un consumatore abituato al prodotto subito disponibile. La pellicola ha una durata di 135 minuti, che nella messa in onda su Rete 4, tra break pubblicitari, Tgcom24, Meteo, promo eccetera, sono diventati quasi 200. A un certo punto il telespettatore si è ritrovato nella assurda situazione di sorbirsi un break pubblicitario di nove minuti, poi 12 minuti di film, e quindi altri 10 minuti di break pubblicitario: in sostanza, in quei 31 minuti, chi è stato sintonizzato su Rete 4 si è sciroppato spot per il 61,3% del tempo e film solo per il 38,7%. Qualcosa di inaccettabile per chi è uso ad altre forme di consumo e che oggi rappresenta la parte pregiata dell’ universo dei telespettatori. Qualcuno cercava il tasto di skip della pubblicità, altri, i più giovani, chiedevano di andare avanti con l’ apposita funzione del telecomando. Ma quando si guarda un film alla vecchia maniera, in lineare, tutto questo è ovviamente impossibile. L’ invasività degli spot pubblicitari, nelle modalità on demand (sia a pagamento, sia free), sta invece andando da tutt’ altra parte. Netflix, per dire, da sempre ha rinunciato agli spot. Una delle prime mosse di Gian Paolo Tagliavia, chief digital officer di Rai, quando si è trovato a maneggiare RaiPlay (il servizio Rai per vedere i contenuti on demand), è stata quella di «ridurre la pubblicità su RaiPlay, con limiti all’ affollamento, un solo inserzionista per ciascun break, e spot skippabili dopo 15 secondi. Questo ha migliorato molto l’ esperienza del consumatore di contenuti su RaiPlay». Nel mondo on demand, infatti, la user experience è tutto. Pure Sky, con il nuovo decoder SkyQ (ma è più di un decoder), ha migliorato tantissimo l’ esperienza dell’ utente rispetto alla pubblicità. In precedenza, con il vecchio MySky, la scelta di contenuti on demand era comunque sottoposta a un break pubblicitario con un paio di spot non skippabili prima dell’ inizio del contenuto stesso. Ora, invece, tutti gli spot si possono saltare, semplicemente andando avanti col tasto del telecomando. La pubblicità, quindi, si guarda solo se non crea un clima di disagio o fastidio. Altrimenti la puoi evitare. E questo, per un investitore pubblicitario, è molto importante: direi determinante sapere che il telespettatore non sta maledicendo lo spot che è obbligato a guardare nella tv free, ma lo sta vedendo rilassato e con un atteggiamento favorevole nella offerta pay per la quale già paga qualcosa. La tv generalista in chiaro (priva di abbonamenti o di canoni pubblici), quando non ha contenuti esclusivi o live, è perciò destinata a scivolare verso un segmento di pubblico dai profili socio-economici meno interessanti per gli investitori pubblicitari. E, in realtà, sarà proprio compito della Rai e della sua missione di servizio pubblico (lautamente retribuita con un canone da 1,7 miliardi di euro annui) quella di salvaguardare queste fasce più deboli, più anziane e meno ricche della popolazione italiana. Per Mediaset, invece, che si regge solo sulla raccolta pubblicitaria, lo scenario che si apre è più complicato: a chi vuole parlare? Gli ascolti di Canale 5 vanno bene, ma ci si rivolge a un target composto da troppe donne e troppo concentrato nel Centro e nel Sud dell’ Italia. Lo spiega bene, ad esempio, Valentino Cagnetta, a.d. di Media Italia, in una recente intervista a Primaonline: «Le ammiraglie sono tornate a focalizzarsi sui grandi ascolti, ma spesso rinunciando a cambiare in senso progressivo il proprio profilo di pubblico. Non mi turba che questa frenata arrivi dal servizio pubblico, che di recente ha vissuto una fase complessa di cambiamento ai vertici; mi sorprende un po’ di più che sembri tendere nella stessa direzione anche Mediaset, meno concentrata sui target pregiati. Sulle ammiraglie, comunque, sta diventando sempre più complicato trovare trasmissioni con un profilo uomini-donne equilibrato o, addirittura, a prevalente ascolto maschile. E lo stesso discorso, lo stesso deficit di armonia e larghezza della composizione vale per classi d’ età, socio-economiche e, in qualche caso, preferenza geografica. Il Grande Fratello Vip, grande successo, è la prova provata di quello che dico», continua Cagnetta, «e ha mostrato una prevalente composizione femminile, con una buona componente in termini di classi d’ età, ma con una forza molto concentrata nel Centrosud e un andamento molto sotto media nelle regioni ricche del Centronord. Le fiction Mediaset sono andate molto meglio che in passato, in particolare L’ Isola di Pietro e Rosy Abate. Ma anche in questo caso si sono registrati troppe donne e troppo Sud». © Riproduzione riservata.
Su Sky crescono gli ascolti differiti: Gomorra a quota 49,5%, MasterChef è oltre il 50%
Italia Oggi
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Non si ferma la cavalcata degli ascolti differiti all’ interno del mondo Sky. La terza stagione di Gomorra terminata in dicembre, per esempio, ha avuto ascolti complessivi pari a 935 mila telespettatori medi nelle puntate lineari su Sky Atlantic, che sono raddoppiati e saliti a 1.853.000 nei sette giorni. Questo significa che gli ascolti differiti pesano per il 49,5% sul totale, un bell’ incremento rispetto al 41% riscontrato per la seconda serie di Gomorra. Anche l’ ultima edizione di X-Factor, che in effetti sarebbe un prodotto televisivo teoricamente da consumare live, ha invece avuto il 40% degli ascolti differiti nei sette giorni, in crescita rispetto al 37% della precedente edizione. MasterChef, attualmente in onda su Sky Uno, è oltre il 50%, e la serie The Young Pope ha toccato i vertici con un 57% di ascolti differiti medi. L’ abitudine al consumo differito, on demand, sgancia sempre di più i telespettatori dal concetto di palinsesto e dall’ atteggiamento passivo nei confronti della televisione. E li porta in un mondo molto lontano da quello della vecchia tv generalista free, dove invece bisogna accettare break pubblicitari anche di dieci minuti per poter usufruire gratuitamente dei contenuti. Ed è ovvio che una educazione al consumo televisivo on demand gioca a favore delle offerte pay in generale, e della user experience Sky in particolare. © Riproduzione riservata.
Nell’ editoria si apre la strada a esodi e prepensionamenti. In vigore da quest’ anno le nuove regole Cigs sui trattamenti di integrazione salariale straordinaria
Prima Comunicazione
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Da quest’ anno sono in vigore le nuove regole in materia di trattamenti di integrazione salariale straordinaria (Cigs) per le imprese editrici. Il ministero del Lavoro ha pubblicato il decreto interministeriale che definisce i criteri per il riconoscimento del trattamento Cigs, ai lavoratori dipendenti da imprese appartenenti al settore dell’ editoria. Il Sole 24 Ore in edicola oggi spiega bene chi ha diritto a godere delle nuove regole: Il ricorso alla Cigs è possibile per le seguenti causali: riorganizzazione aziendale per crisi; crisi aziendale, compresi i casi di cessazione dell’ attività produttiva dell’ azienda o di un ramo di essa anche in costanza di fallimento; contratto di solidarietà difensivo (Cds). Al trattamento possono fare ricorso, a prescindere dal requisito occupazionale in genere previsto dalla norma (oltre 15 dipendenti), le imprese editrici o stampatrici di giornali quotidiani, di periodici e le agenzie di stampa a diffusione nazionale. La cassa può riguardare i giornalisti professionisti, i pubblicisti, i praticanti e i dipendenti, compresi i lavoratori assunti con contratto di apprendistato professionalizzante.È necessaria un’ anzianità aziendale di almeno 90 giorni presso l’ unità produttiva per cui si richiede la Cigs. L’ intervento di integrazione salariale per riorganizzazione e crisi può essere richiesto per un massimo di 24 mesi anche continuativi. In caso di ricorso alla cassa per Cds, i limiti temporali sono quelli stabiliti dalla disciplina generica (in genere 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile; a determinate condizioni, il limite può raggiungere i 36 mesi). In tutto, per ciascuna unità produttiva, il trattamento di integrazione salariale straordinaria non può, comunque, superare la durata complessiva di 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile. A tale riguardo, valgonoi periodi dal 1° gennaio 2018, anche se riferiti a trattamenti già in corso o richiesti antecedentemente. Il decreto, come anticipato, si preoccupa di definire (articoli 6 e 7) i criteri di ammissione relativi alla causali di accesso alla Cassa. I giornalisti professionisti iscritti all’ Inpgi, che siano stati sospesi o abbiano fruito della Cassa per la causale di riorganizzazione in presenza di crisi per almeno tre mesi, anche non continuativi, nell’ arco dell’ intero periodo autorizzato, hanno la facoltà di optare per la liquidazione anticipata della pensione di vecchiaia, se in possesso dei requisiti previsti dalla legge 416/81. L’ opzione è esercitabile limitatamente al numero di unità ammesse dai competenti dicasteri (Lavoro Economia), a seguito del recepimento in sede governativa degli accordi ministeriali e in relazione alle risorse finanziarie disponibili. L’ accesso al trattamento pensionistico anticipato preclude ai giornalisti la possibilità di instaurare o mantenere rapporti di lavoro. Infine, riguardo al procedimento da seguire per richiedere la Cigs (per esempio termini e modalità di trasmissione delle istanze), il decreto rinvia alla disciplina ordinaria (articolo 25 Dlgs 148/15). I poligrafici, durante la fruizione di ognuna delle causali di accesso all’ ammortizzatore sociale, possono accedere sia all’ esodo che al prepensionamento, fermi restando i criteri di cui alla legge 416/81.
“Abolire il canone Rai” la prima mossa del Pd
La Repubblica
TOMMASO CIRIACO,
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ROMA La mossa ha l’ effetto di una scossa elettrica sulla campagna elettorale. «Nella prossima direzione del Pd proporrò l’ abolizione del canone Rai – annuncia Matteo Renzi, sceso ieri a Roma in gran segreto per un vertice al Nazareno con pochi fedelissimi -. La tv pubblica deve essere un diritto dei cittadini». Un rilancio clamoroso contro una «brutta tassa». Ma in realtà anche una sfida a quello che considera il principale avversario della prossima campagna elettorale: Silvio Berlusconi. Oltre a cancellare la “tassa sulla tv” , infatti, il segretario dem intende modificare i tetti pubblicitari che penalizzano Viale Mazzini rispetto alle emittenti private. E che favoriscono, ovviamente, anche Mediaset. La proposta è già pronta. Sarà formalizzata di fronte al partito. E avrà una postilla che serve a tenere in piedi l’ intero impianto. «Nella fase transitoria – spiega il leader ai big renziani convocati al partito – lo Stato dovrà supplire al canone trasferendo tra un miliardo e mezzo e due miliardi all’ anno alla Rai. È la stessa cifra che chiedevamo ai cittadini con questa brutta tassa. Abbiamo già individuato i tagli di spesa necessari per questa operazione». Un paracadute utile a salvaguardare Viale Mazzini nella fase di transizione, altrimenti insostenibile. Una cifra che dovrà progressivamente ridursi fino a scomparire, appena la tv pubblica si sarà consolidata nel nuovo mercato pubblicitario, libero dai tetti del passato. E sarà in grado di fare piena concorrenza ai colossi privati come Mediaset. Sempre a Silvio Berlusconi, allora, si torna. Stavolta, però, Renzi prevede una reazione durissima dell’ ex alleato del Nazareno. Sa che l’ impero di Arcore vivrà come un pugno nello stomaco la proposta di far saltare i tetti pubblicitari, che finora inchiodano la Rai a trasmettere spot al massimo per il 4% del tempo di programmazione complessivo. Due bersagli con una sola freccia, insomma: rilanciare la rincorsa elettorale del Pd con una mossa popolare contro l’ odiato canone, “infastidire” il suo vero target: il Cavaliere. Da anni, d’ altra parte, il segretario del Pd paga un prezzo altissimo a causa del vecchio patto del Nazareno. E teme che il clima da larghe intese permanenti gliel’ hanno spiegato in queste ore anche i sondaggisti – possa frenare in modo drammatico le percentuali elettorali dem. «Mai con Berlusconi – ripete per questo ai suoi – questa è la nostra linea». Per rosicchiare consensi nell’ area moderata, per ammortizzare gli effetti della guerriglia a sinistra. Via il canone, allora. Benzina sul falò elettorale, ma poco importa se servirà a rilanciare l’ agenda renziana. Non si tratterà del solito programma elettorale, stavolta. Piuttosto – è stato deciso nel vertice del Nazareno terrà assieme cento punti di cose fatte o da fare. Qualche esempio? «Abbiamo varato il Jobs act, adesso puntiamo ad alzare a nove euro all’ ora il reddito minimo. Abbiamo riconosciuto molti diritti civili, vogliamo completare la battaglia approvando lo Ius soli». Coprirsi al centro, coprirsi a sinistra. Anche simbolicamente, con due appuntamenti: il 18 gennaio il segretario sarà a Caltagirone insieme a Pierluigi Castagnetti, per commemorare Don Sturzo, mentre il 20 con i socialisti europei in nome di “più Europa, più solidarietà”. Più che pensare alla coalizione, insomma, l’ ex premier cerca innanzitutto di consolidare la tenuta del suo partito. Perché è vero, come insiste in queste ore, che «la coalizione deve puntare a raggiungere quota 30%». Ma senza un Pd forte, la guerra con Grillo e il centrodestra è persa in partenza. Solo con queste premesse si spiega l’ atteggiamento glaciale con cui Renzi accoglie le novità che arrivano dal fronte della lista Bonino. Dem ed europeisti sembrano destinati a siglare un patto. Eppure il braccio di ferro continua, nonostante la “sorpresa Tabacci”. Com’ è ovvio, la guerriglia si è già spostata sul terreno dei collegi sicuri da garantire all’ alleato. Senza il 3%, infatti, +Europa resterebbe fuori dal Parlamento nonostante il contributo alla coalizione. Seggi, allora, ma quanti? I dem considerano sicuri per il centrosinistra soltanto 40 collegi. E di fronte a previsioni così magre non intendono certo mostrarsi generosi con gli alleati. Radicali ed europeisti lo sanno, anche se chiederanno dieci posti nell’ uninominale. Magari non blindati, ma contendibili per davvero. La verità è che Bonino lavora soprattutto per consolidare il suo listone. Carlo Calenda la sosterrà, a patto che si mantenga alleata del Pd. Lei si lascia aperta ogni soluzione, ma deve fare i conti con la tenaglia del voto utile. «Non scommetterei sull’ accordo», si lascia sfuggire Tabacci con gli amici. Proprio lui, lo storico diccì mantovano, ha spiazzato i dem con la sua mossa. Un “strano patto” con un antefatto curioso. Tutto nasce da una telefonata del 27 dicembre. Tabacci pedala da ore lungo uno degli infiniti rettilinei pugliesi. «Ciao Bruno, sono Emma. Noi abbiamo parecchi problemi con le firme, voi alla fine cosa avete deciso di fare?». Il deputato frena, sa già come andrà a finire. «Noi siamo fuori da tutto. Ma se dovesse servire, per te ci saremmo sempre, Emma…». © RIPRODUZIONE RISERVATA Nei piani del Nazareno 1,5 miliardi alla tv di Stato per la transizione. Caso Radicali, dieci collegi per la coalizione.