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Rassegna Stampa del 24/12/2017

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Lo sprint finale sulle misure Sì alla maxi fusione Fs-Anas e al contratto di servizio Rai

Persi i mondiali Anche la Rai ha la sua Corea

NIENTE MONDIALI IN RAI I GIORNALISTI SCIOPERANO

«Sky sa rischiare per anticipare le tendenze»

Lo sprint finale sulle misure Sì alla maxi fusione Fs-Anas e al contratto di servizio Rai

Corriere della Sera
di Dino Martirano
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ROMA Oggi il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sarà a bordo del rifornitore «Etna» della Marina Militare e nel suo discorso dovrebbe fare un riferimento al decreto legge sulle missioni internazionali. Si tratta dell’ ultimo atto politico di questo esecutivo in calendario a Palazzo Chigi per la prossima settimana quando verrà convocato un consiglio dei ministri lampo. E se per quella data (venerdì 29 o sabato 30) il capo dello Stato avrà già sciolto le Camere, il Consiglio dei ministri dovrà varare anche il decreto che indice le elezioni (data presunta 4 marzo 2018). Il «procedere con ordine» a fine legislatura, raccomandato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, avrebbe consigliato di varare per tempo il decreto missioni. Ma non è stato possibile presentare prima il provvedimento – che rifinanzia i contingenti militari in Iraq, Afghanistan e Libano e autorizza (forse) l’ invio di truppe in Niger a fianco di francesi e tedeschi – perché venerdì 22 l’ iter della legge di Stabilità era ancora incompleto. Eppure, al Consiglio dei ministri di tre giorni fa si è visto un vero «sprint finale» del governo Gentiloni che ha chiuso molte partite aperte. Quella più delicata è la maxi fusione tra Ferrovie e Anas (varata con la manovra 2016) che ora completa il suo lungo iter con i decreti dei ministri Padoan (Economia) e Delrio (Infrastrutture). La parte del leone l’ ha fatta il ministro della Giustizia Andrea Orlando che vede concluso il lungo iter del decreto legislativo del nuovo ordinamento penitenziario. Nella stessa seduta il governo ha varato i decreti legislativi sulla semplificazione e la competitività nel settore agricolo (Martina); l’ aggiornamento dei fabbisogni standard delle province e delle città metropolitane (Padoan); il contratto di servizio della Rai (2018-2022) che aggiorna parametri e obiettivi del servizio pubblico; molti decreti sblocca cantieri nel settore energetico; lo stato di calamità per le alluvioni in Veneto e in Romagna (proroga di 180 giorni). Così il presidente del Consiglio Gentiloni, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno di giovedì 28, potrà aggiungere alcuni capitoli nel consuntivo di un anno trascorso a Palazzo Chigi. All’ ultimo chilometro, poi, il governo incassa il disegno di legge di Beatrice Lorenzin sulle professioni mediche approvato venerdì dal Senato che, in «zona Cesarini», ha anche approvato la legge sui testimoni di giustizia, quella sugli orfani dei femminicidi e quella contro le molestie telefoniche del telemarketing selvaggio. Certo, il grande assente dalla lista di Gentiloni è lo «ius soli» (la legge sulla cittadinanza bloccata al Senato da 50 mila emendamenti della Lega sulla quale il governo non ha avuto la forza di imporre la fiducia). E forse non è una coincidenza la scelta della nave «Etna» per la visita della Vigilia del premier: a bordo di quel rifornitore, una donna africana tratta in salvo in mezzo al Mediterraneo diede alla luce il piccolo Testimony Salvatore. Era il giorno di Natale del 2015.

Persi i mondiali Anche la Rai ha la sua Corea

Il Giornale
Giancarlo Mazzuca
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di Giancarlo Mazzuca A poco più di 50 anni dall’ eliminazione dell’ Italia di Fabbri, è arrivata anche per la Rai una nuova Corea del Nord perché, a Russia 2018, ha perso per la prima volta l’ esclusiva dei mondiali di calcio. A segnare il gol vincente, il nuovo Pak Doo-Ik della situazione, è stata Mediaset con un’ offerta di 78 milioni, anche se il costo reale sarà tra 40 e 45 milioni. Giustamente orgoglioso Pier Silvio Berlusconi: «Abbiamo fatto un servizio per il pubblico che ha superato il servizio pubblico». In effetti, il cavallo di viale Mazzini è stato messo davvero in ginocchio e il cda Rai, di cui faccio parte, ha dovuto prendere atto che un rilancio su Mediaset si sarebbe tradotto in un «rosso», a fine anno, di 60 milioni: troppi con i tempi che corrono. E, quindi, tanto di cappello al Biscione che ha rifilato un clamoroso uno-due al colosso dai piedi d’ argilla. Adesso, noi della Rai, possiamo costruirci tutti gli alibi che vogliamo: dire, ad esempio, che la prossima edizione che andrà in onda a Mosca e dintorni sarà, in parte, snobbata dai tifosi per colpa di quel Ventura che ha clamorosamente fallito l’ obiettivo delle finali per gli azzurri. Potremo anche sostenere che, per rifarsi, l’ azienda di Stato otterrà i diritti per trasmettere la Champions League. Sono tutte argomentazioni che hanno una logica, ma come non dare ragione ai giornalisti di Saxa Rubra che parlano di «fatto gravissimo»? E, questa volta, non ha tutti i torti neppure il grande fustigatore, Michele Anzaldi (Pd), quando osserva che la Rai non può abdicare in questo modo: quale servizio pubblico è se non riesce neppure a garantire, una volta ogni quattro anni, la diretta ai mondiali di calcio? Se a tutto ciò aggiungiamo che la Rai non trasmetterà neppure alcuna diretta della Formula Uno, c’ è davvero da interrogarsi sul suo futuro. Forse ingenuamente, pensavo che, inserendo il canone tv nella bolletta elettrica, la Rai avrebbe risolto molti dei suoi problemi. Così non è stato e la Rai rischia ora di chiudere i bilanci con passivi sempre più preoccupanti. Urge, quindi, cambiare rotta, a cominciare da certi contratti faraonici: non è un caso che Anzaldi abbia tirato di nuovo in ballo l’ ingaggio astronomico di Fabio Fazio con ritorni (leggi: «share» in calo) piuttosto deludenti. Dopo la Corea di Fabbri del 1966, ci fu il Messico di Valcareggi del 1970 dove arrivammo secondi dopo il Brasile: speriamo che, presto, sarà la volta buona per gli azzurri ma anche per la Rai. Il primo banco di prova, per viale Mazzini, saranno le prossime elezioni politiche: il servizio pubblico riuscirà a garantire il pluralismo dell’ informazione?

NIENTE MONDIALI IN RAI I GIORNALISTI SCIOPERANO

Il Giornale

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Il cdr di Rai Sport ha indetto uno sciopero per protestare contro la mancata assegnazione dei Mondiali: «Inaccettabile». Lo sciopero è stato indetto per mercoledì 3 gennaio. E, se non si giungerà a un accordo, il derby della Mole di Coppa Italia andrà di scena senza nessun telecronista a raccontarne le azioni.

«Sky sa rischiare per anticipare le tendenze»

Il Messaggero
MARCO MOLENDINI
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L’ INTERVISTA Sky ha un X Factor. Andrea Scrosati ne è convinto. Quarantacinque anni, executive vice president della piattaforma, nella quale lavora dal 2007, ha la delega sull’ intrattenimento e sull’ informazione, che sono stati settori trainanti dell’ affermazione del gruppo Murdoch: oggi gli abbonati sono 4 milioni e 780 mila abbonati e, dall’ anno del suoi lancio, il 2003, la pay tv ha prodotto sull’ economia italiana un impatto che viene stimato attorno ai 37 miliardi. L’ X Factor di cui parla Scrosati, però, è legato direttamente al talent musicale che, da sette anni, è l’ appuntamento più generalista della tv satellitare. Tanto per avere un’ idea su quanto sostiene, basta guardare i numeri: la terza serie di Gomorra, che pure è un grande successo, un altro biglietto da visita di Sky Italia, si è chiusa l’ altra sera con una puntata che ha avuto 900 mila spettatori, X Factor con la sua finale, dieci giorni fa, è arrivato a 2,7 milioni, cifra stellare per una piattaforma i cui risultati non dipendono dall’ Auditel ma dal gradimento dei suoi abbonati. Non, comunque, fino al punto di non tener conto di un simile responso. Scrosati, il dato italiano è davvero clamoroso, ma soprattutto è in una curiosa controtendenza rispetto all’ esito delle altre edizioni del programma: negli Stati Uniti è stato cancellato, in Francia e Spagna lo riprendono quest’ anno dopo una sosta di dieci anni dovuta ai bassi ascolti, in Gran Bretagna l’ ultima edizione, terminata a inizio dicembre, ha toccato il suo punto più basso nei rating. «E’ vero, siamo in netta controtendenza e dire che, quando l’ abbiamo preso, sei anni fa, c’ era grande scetticismo proprio perché eravamo la prima pay tv a scegliere un prodotto di quel genere». Forse non era solo scetticismo, dopo l’ operazione Fiorello era il vostro tentativo più robusto di pestare i piedi alle generaliste. «Il successo italiano, secondo me, è legato proprio all’ avere trasferito il programma su una pay, dove il pubblico lo devi riconquistare ogni volta, rimotivandolo. Insomma, a Sky siamo strutturalmente portati a migliorarci sempre. Ma non è solo questo». Che altro c’ è? «C’ è la scelta di rischiare costantemente con l’ obiettivo di anticipare le tendenze culturali della società. Una scelta che è nel Dna di Sky, anche grazie e soprattutto alla spinta che viene dal nostro ad Andrea Zappia. Poi c’ è l’ interazione coi nostri clienti, che studiamo attentamente. I 36 milioni di voti, che abbiamo avuto in questa edizione, di cui 8,7 nella finale, arrivano grazie al fatto che con noi si può votare col telecomando e perché si può farlo da piattaforme diverse, dal nostro decoder, dalle app e dai social. Il tutto è frutto del lavoro di un team incredibile che è la vera forza di Sky. Quella valanga di voti solo grazie a chi gestisce la tecnologia è potuta arrivare senza alcun problema». Cosa cambierà a X Factor 12? «Ci saranno molte novità, come sempre ogni anno cerchiamo di rinnovare gli equilibri e la dinamica sul palco. Ma ci sarà ancora Alessandro Cattelan, che è un punto di riferimento, e tra i giudici abbiamo già confermato Fedez». E Manuel Agnelli, Mara Maionchi e Levante? «Stiamo riflettendo». Le considerazioni che fa sul talent valgono anche per gli altri prodotti? Per esempio Gomorra? «La quarta serie è già in scrittura. Ogni stagione ci indirizziamo su nuovi piani di racconto, stavolta stiamo lavorando sui colletti bianchi, sulla cosiddetta faccia rispettabile della criminalità». A proposito di serie, vi siete posti la domanda su cosa fare di House of cards 6, dopo il licenziamento di Kevin Spacey? «Siamo comunque molto interessati. Noi abbiamo comprato l’ intera serie da Netflix attraverso la Sony. Bisogna vedere se il nuovo prodotto sarà considerato come capitolo della serie principale, e in questo caso il contratto nostro sarebbe ancora valido. Il discorso sarebbe diverso se, invece, la storia si trasforma in uno spin off». Il nuovo decoder Q è nato anche come risposta alle nuove piattaforme come Netflix e Amazon? «Sky Q non è un decoder, è un’ esperienza avvolgente, costruita per far vedere al nostro pubblico quello che vuole come e quando vuole. Ormai il pubblico si muove sempre più verso una visione su misura, indipendente dai palinsesti. Ma bisogna continuare a proporre contenuti che si consumano assieme. X Factor in questo senso è un esempio perfetto: per la prima volta, dopo tanto tempo, grazie a questo show le famiglie sono tornate a vedere un programma insieme, godendo del senso concreto di avere un ruolo attivo attraverso il voto, che diventa capace di determinare la storia. Per questo, spesso, i vincitori annunciati a X Factor non hanno vinto. In questo senso i social media sono una opportunità unica, permettono una visione collettiva anche quando sei da solo». Significa che questa è la strada che prenderà la vostra futura programmazione, che quindi proverà a essere sempre più social? «Stiamo studiando nuovi contenuti per la generazione Z, i post millennials, investendo su produzioni originali. Lo facciamo già con Social face e lo faremo con Social dream, il film sugli youtuber che uscirà al cinema e poi andrà su Sky 1. Poi continuiamo a puntare su prodotti che partono da storie locali ma si sviluppano attorno ad archetipi universali, come la serie Il miracolo, otto episodi di Niccolò Ammanniti, la cui vicenda parte dal ritrovamento nel covo di un boss della ndrangheta di una statuetta della Madonna che piange sangue. E stiamo lavorando anche su molti progetti seriali europei». Sul futuro scommetterebbe su un’ ulteriore espansione della pay tv? «Non ne ho dubbi. Basta guardare a cosa succede nei mercati più avanzati, quelli che si sono mossi prima. Negli Stati Uniti la pay copre ormai il 90 per cento degli spettatori, ma i quattro network generalisti continuano ad avere il 50 per cento della platea. Succederà anche da noi. Continuerà a esserci uno spazio considerevole per la tv generalista, ma in prospettiva la distinzione fra i due pubblici diminuirà sempre più con l’ esaurimento della generazione che sulla pay non è mai andata. Il risultato finale sarà un unico pubblico che si muoverà disinvoltamente su tutte le piattaforme disponibili, pay e generaliste». Marco Molendini © RIPRODUZIONE RISERVATA.


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