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Rassegna Stampa del 07/08/2017

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«Un progetto per i non lettori»

Giornalista fa causa al Time: «Discriminata dai colleghi»

«Un progetto per i non lettori»

Il Roma
BRUNELLA BIANCHI
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Editori qualche volta si nasce, per lo più di diventa. In Campania, sul portale regionale dedicato, se ne contano 260. Bastano i numeri a far parlare di una industria editoriale? Scettico al riguardo l’ editore Alessandro Polidoro (nella foto): «Molti editori, titoli, scrittori, molte presentazioni di libri. Poche vendite, pochi lettori, assenza di una cabina di regia e di un vero spirito imprenditoriale nel settore. Una vivacità apparente, ma incapace di garantire una continuità e una professionalità riconosciuta alle numerose persone che ci lavorano». Cosa manca? «Una politica che valorizzi le risorse, le capacità, e le metta a sistema. Ci vorrebbe anche un editore forte, capace di dialogare con il mercato nazionale. Ma qui tutto è polverizzato, le singole voci da sole sono deboli, incapaci di arrivare anche nelle librerie. Siamo in un regime di monopolio, soprattutto del Nord. Un editore campano affronta molti problemi e svantaggi». Ma da qualche parte pure ci deve essere il difetto, o si tratta solo di cause esterne? «Il mea culpa, certo, va fatto. Nuoce sicuramente l’ editoria a pagamento, come la mancanza di un vero e proprio scouting e di una selezione di qualità. Non tutti gli editori curano poi altri aspetti fondamentali della filiera del libro: correzione di bozze, editing, grafica, rilegatura. E poi, la comunicazione e la distribuzione. I grandi distributori spesso rifiutano libri da Napoli». E il suo mea culpa? «Ogni editore ha qualche scheletro nell’ armadio: capita, al principio, di fare scelte discutibili, ma con il tempo si migliora, si lavora per darsi uno scopo preciso. Avere un occhio di riguardo per gli esordienti, per esempio. A questi abbiamo appena dedicato la collana editoriale estiva #Libridamare, tascabile ed economica, ben curata. La considero una straordinaria novità e occasione per scoprire nuovi autori dalla scrittura molto personale. Siamo orgogliosi anche di ricordare Roberto Bracco, grande autore e drammaturgo del Novecento, organizzando delle iniziative perché gli venga attribuito il Nobel postumo». Torniamo all’ unione che fa la forza. A Napoli è possibile? Non c’ è già stata qualche iniziativa poi fallita? «Galassia Gutenberg è finita perché mancava un progetto lungimirante. Oggi, con il comitato Libr@arte, insieme ad altri editori come Guida e Rogiosi, stia mo proponendo una visione più ampia per una Napoli città del libro, progetto che si realizzerà nel 2018». E quale visione propone? «In questa visione, che abbraccia la cultura in ogni sua forma insieme allo spettacolo, è fondamentale l’ unione di editori, di pubblico e privato, di fondazioni, di università, di biblioteche e librerie. Vogliamo arrivare ai non lettori, portare la cultura oltre i soliti salotti di habitué, imparando anche da altre esperienze. Quanti napoletani e turisti mangiano la pizza sul lungomare con il Pizza Village? Perché non provare a dare a tutti la possibilità di avvicinarsi alla cultura, stuzzicando la curiosità con diverse forme di intrattenimento accanto al dibattito sul libro con grandi nomi?» E se fallirete anche voi? «Se falliremo in questo, se i non lettori resteranno sordi ad una idea del genere, allora dovremo arrenderci e ammettere di vivere in una città disinteressata e indifferente alla cultura. Se la formula che abbiamo in mente, colta e popolare allo stesso tempo, non riuscirà a coinvolgere anche solo 50mila o 100mila persone, allora dovremo capire che questo è ciò che ci meritiamo, questa è Napoli. Per adesso, fiducioso, mi piace pensare il contrario: forza Napoli città del libro 2018!».

Giornalista fa causa al Time: «Discriminata dai colleghi»

Corriere della Sera
Martina Pennisi
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«Non è la colonna sonora della mia giornata». La giornalista Catherine Mayer ironizza così su Twitter, condividendo «Time is on my side» dei Rolling Stones, sulla delicata situazione: sabato ha annunciato sul Guardian di aver citato in tribunale il settimanale Time , in cui ha lavorato dal 2004 al 2015 raggiungendo ruoli apicali e da cui è stata licenziata, per discriminazioni per il sesso e per l’ età. Nell’ anno in cui ha lasciato la rivista americana, Mayer ha cofondato il partito femminista Women’ s Equality. E pochi mesi fa ha pubblicato il libro «Attack of the 50 Ft. Women: come l’ uguaglianza di genere può salvare il mondo». Questa, però, è la prima volta che si espone personalmente: «Gli ultimi tre anni sono stati spaventosi», racconta sottolineando di aver sofferto di depressione, emicrania e insonnia. I problemi sono iniziati quando è stata nominata direttore dell’ edizione europea. Il giornale le ha imposto come vice il giovane collega Matt McAllester che – dice lei – avrebbe fatto di tutto per screditarla e soppiantarla. Un anno dopo Mayer è stata obbligata ad abbandonare il ruolo, poi assegnato a McAllester. Nell’ aprile del 2015, mentre era in libreria con la controversa biografia del Principe Carlo, è stata licenziata. Nella causa presentata il 24 luglio, la giornalista spiega: «Il Time ha violato le leggi favorendo gli uomini, specialmente gli ex corrispondenti di guerra, quando si è trattato di assumere, licenziare o decidere chi promuovere». La tesi sposa quella sostenuta sul Nyt da Susan Chira: «Quando le donne chiedono una promozione vengono percepite come aggressive o intimidatorie in percentuale maggiore agli uomini (il 30% in più secondo McKinsey). Aggiunge Mayer: «Le giovani donne stanno passando quello che abbiamo passato noi negli Anni 80. Non conosco una giornalista che non sia stata molestata o discriminata sul lavoro». La causa contro il Time irrompe mentre Fox News sta affrontando accuse di molestie sessuali e Bbc e Financial Times devono vedersela con la disuguaglianza salariale. Uber, uscendo dal recinto degli editori, è stata costretta a tentare – e sta ancora tentando – una profonda trasformazione per il trattamento che ha riservato alle donne.


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