Indice Articoli
La super critica letteraria Michiko Kakutani lascia il «New York Times»
Gli utili di Sky salgono del 139% a giugno. Ma l’ azienda aumenta i prezzi e licenzia
La Corte dei Conti avvisa viale Mazzini: “Stop agli sprechi “
Riforma della Rai la via di mezzo dei Cinquestelle
Cosa vedremo. La sfida continua tra Sky, Netflix e Amazon Prime Video
Richiamo della Corte dei conti: Rai elimini inefficienze e sprechi
Cir, semestre positivo Aumenta il giro d’ affari
I diritti del format di Fazio alla nuova società di Fazio
Class Editori e Pegaso Università insieme per le Business School di ItaliaOggi e Milano Finanza
Condé Nast, la terapia dei tagli
Vogue, chiudono le 4 testate satellite Novità anche a Vanity, Glamour e Gq
Zappia, Sky cresce ma meno del previsto
Cattleya, Itv punta ad acquisire una quota di maggioranza
Gruppo Cir, in crescita ricavi e utile netto
La super critica letteraria Michiko Kakutani lascia il «New York Times»
Corriere della Sera
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Capita di rado che le dimissioni di un giornalista facciano notizia in tutto il mondo. Se però la giornalista in questione è Michiko Kakutani, la critica letteraria del «New York Times» che ha contribuito all’ ascesa e al declino di decine di giganti della letteratura (tra gli altri, di J. K. Rowling e Zadie Smith), non sorprende che ci sia chi parla addirittura di «un terremoto nel mondo dell’ editoria». Kakutani, 62 anni, ha accettato lo «scivolo» offerto dall’ azienda guidata da Mark Thompson per andare via con una lauta buonauscita. Apparentemente, il motivo – esplicitato in un tweet – è che la critica famosa per le sue stroncature (da Norman Mailer a Jonathan Franzen e Philip Roth) vuole concentrarsi sulla scrittura di saggi politico-culturali sull’ America di oggi. D’ altronde il suo lungo percorso al «Times», dove era arrivata nel 1983, ha spesso sconfinato dal mondo della letteratura per affrontare personaggi e temi di attualità politica. Sua l’ ultima intervista all’ ex presidente americano Barack Obama e la recensione, uscita a settembre, del saggio di Volker Ullrich Hitler: Volume I: Ascent 1889-1939, in cui – senza mai menzionare Trump – lascia intendere che esistono delle similarità tra i due personaggi.
Gli utili di Sky salgono del 139% a giugno. Ma l’ azienda aumenta i prezzi e licenzia
Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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L’ Italia dà grosse soddisfazioni al gruppo Sky, ma l’ Italia rischia di averne meno dalla tv satellitare di proprietà britannica. Basta incrociare alcune notizie uscite negli ultimi giorni: “Sky Italia – recita una nota dell’ azienda – ha chiuso l’ esercizio 2016-2017 con ricavi in crescita del 4% a tassi costanti, a quota 2.458 milioni di sterline (2,86 miliardi di euro) e con profitti operativi balzati del 139% a quota 136 milioni di sterline (circa 162 milioni di euro)”. Performance per le quali non si può che complimentarsi con l’ azienda, ma che contrastano con altre due notizie che riguardano Sky Italia: sta per salassare i suoi clienti con rincari che valgono oltre l’ 8% l’ anno e continua le pratiche per ridurre di circa 200 unità il personale nel nostro Paese, chiudendo contestualmente la sede di Roma e trasferendo oltre 300 dipendenti a Milano (incassando, peraltro, le sovvenzioni del piano Industria 4.0 per gli investimenti nella sede milanese). Partiamo dalla fatturazione a 28 giorni che partirà dal 1° ottobre. Può sembrare solo un fatto tecnico, ma non lo è: come spiega la stessa azienda ai suoi abbonati, infatti, l’ emissione di 13 fatture l’ anno anziché 12 comporta un aumento del costo dell’ abbonamento dell’ 8,6% l’ anno (dai 50 euro al mese, 600 l’ anno di oggi, si passerà in buona sostanza a 650 circa). Ai clienti resta la possibilità di recedere dall’ abbonamento entro il 30 settembre senza alcuna penale. Questo aumento unilaterale potrebbe avere un argine: l’ Autorità per le comunicazioni a cui s’ è rivolta l’ Unione nazionale consumatori. Agcom, infatti, a marzo ha strigliato le compagnie telefoniche che avevano unilateralmente modificato la fatturazione da mensile a 28 giorni: l’ Autorità ha abolito questa possibilità per rete fissa, telefono, Adsl o fibra individuando “nel mese il periodo temporale minimo per consentire all’ utente di avere una corretta e trasparente informazione sui consumi fatturati”. Le 4 settimane restano solo per il mobile, ma con alcuni paletti: ora Agcom dovrà dire se un abbonamento tv è diverso rispetto a quello per la linea internet di Fastweb (partner di Sky). Se cambiasse linea sarebbe davvero una grossa sorpresa. Sta per concludersi, intanto, la procedura per i licenziamenti collettivi: mercoledì prossimo, salvo intese coi sindacati, se ne andranno a casa in 124 (i giornalisti si sono già accordati con l’ azienda, altri lavoratori lo hanno fatto individualmente). Aumentare i margini, secondo Sky, è d’ altronde l’ unico modo per fare gli investimenti (che sarebbe come dire che il rischio d’ impresa se lo assume chi lavora): quelli in infrastrutture, certo, ma pure gli oltre 800 milioni offerti per aggiudicarsi la Champions League di calcio nel triennio 2018-2021. Forse con questa strategia di massimizzazione estrema dei profitti nel nostro Paese ha a che fare anche il calo di quelli in Gran Bretagna e Irlanda: lì il gruppo realizza la maggior parte degli utili operativi (1,29 miliardi di sterline al 30 giugno 2017), che sono però il calo del 14% rispetto a un anno prima. Colpa degli esborsi stellari per il calcio e degli investimenti nel mobile e in quelli per fare concorrenza a Netflix o altre piattaforme simili.
La Corte dei Conti avvisa viale Mazzini: “Stop agli sprechi “
Il Fatto Quotidiano
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La Rai deve attivare “ogni misura organizzativa, di processo e gestionale, idonea ad eliminare residue inefficienze e sprechi, proseguendo, laddove possibile e conveniente, nel percorso di internalizzazione delle attività e concentrando gli impegni finanziari sulle priorità effettivamente strategiche”, con decisioni di spesa “strettamente coerenti con il quadro di riferimento”. È il monito della Corte dei Conti nella Relazione sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria per l’ esercizio 2015. La gestione della Rai e del gruppo – rileva la Corte dei Conti – ha registrato nel 2015 un miglioramento rispetto al precedente esercizio. La capogruppo chiude il bilancio con una perdita di 45,9 milioni di euro, in miglioramento rispetto al 2014 (-203,4 milioni). La struttura patrimoniale della società ha posto in evidenza un capitale proprio pari a 811,7 milioni, in diminuzione rispetto al 2014 (828,4 milioni). Il volume dei debiti finanziari verso banche ha registrato la consistenza di 51 milioni, mentre nel 2014 ammontava a 356 milioni. Il miglioramento è però solo apparente, essendo stato determinato dall’ emissione obbligazionaria di 350 milioni del maggio 2015.
Riforma della Rai la via di mezzo dei Cinquestelle
Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“Ma la tv contava: la tv era il futuro”. (da “Un giorno” di David Nicholls – Neri Pozza, 2010 – pag. 77) È vero che “in medio stat virtus”, come recita il motto latino: la virtù sta nel mezzo. E cioè, nella ricerca dell’ equilibrio fra due estremi. Ma, se c’ è una materia per la quale la regola può e deve subire un’ eccezione, questa è proprio la Rai. O meglio, la riforma della Rai. Il responso della recente votazione online sul programma del Movimento 5 Stelle per le Telecomunicazioni, invece, indica una via di mezzo che non garantisce un effettivo rinnovamento del servizio pubblico radiotelevisivo. Mettendo da parte qui le risposte che sono risultate prevalenti sulla banda ultra larga (16.275 sì su 17.463 votanti) e sull’ accesso a Internet garantito (“infrastrutturale” per 9.992 votanti su 17.199), vediamo in sintesi quelle sulla riforma della Rai. Quanto alla “governance” dell’ azienda, su un totale di 16.229 votanti, la maggioranza dei Cinquestelle si pronuncia per un complicato “modello con avviso pubblico, sorteggio e parere parlamentare” (9.608), mentre restano in minoranza il “modello della Fondazione” (3.407) e quello “parlamentare con forti correttivi” (3.214). Ma, oltre ai dubbi sul metodo del sorteggio per scegliere i candidati alla guida del servizio pubblico, lascia perplessi quel “parere parlamentare” ex post che rischia di restituire alla politica i poteri occulti della lottizzazione. Se i partiti devono “uscire dalla Rai”, come promette da sempre il M5S e come aveva annunciato a suo tempo lo stesso Matteo Renzi (salvo poi fare il contrario), non è opportuno riconsegnare ai medesimi una sorta di “diritto di veto” sulle nomine. Anche sul nuovo modello di finanziamento del servizio pubblico, la proposta maggioritaria dei grillini appare ambigua e macchinosa. Su 16.606 votanti, sono 7.052 quelli che approvano il “contributo pubblico”, più un solo canale con pubblicità e (testualmente) “con vincolo di destinazione degli introiti pubblicitari esclusivamente ai contenuti del canale e/o a iniziative e attività previamente individuate”. A parte il linguaggio in puro stile burocratese, la frase sembra degna di una “legge Gasparri” e suscettibile di qualsiasi interpretazione. Sono in minoranza, invece, i votanti favorevoli al “contributo pubblico senza pubblicità” (5.052) e quelli che addirittura accettano il modello attuale, “ma con limitazioni più severe rispetto ai limiti di affollamento e al divieto di pubblicizzare determinate categorie merceologiche” (4.502). Qui riecheggia perfino il vecchio “anchismo” di veltroniana memoria (“Viva la cultura, ma anchel’ ignoranza!”). C’ è da auspicare, piuttosto, una maggiore radicalità nell’ impostazione della riforma Rai, proprio per affrancare definitivamente il servizio pubblico dalla doppia sudditanza alla politica e alla raccolta pubblicitaria. Il primo strumento da adottare sarebbe proprio quello di una Fondazione, rappresentativa della società italiana, a cui trasferire il pacchetto azionario dell’ azienda, sottraendone il controllo al ministero dell’ Economia e quindi al governo. A questo organismo “super partes” dovrebbe spettare poi la nomina di un consiglio d’ amministrazione composto da non più di cinque membri. Stop alla pubblicità, infine, con il bombardamento degli spot e delle telepromozioni: da quando il canone d’ abbonamento è stato inserito nella bolletta elettrica, la Rai dispone di risorse certe e deve farsele bastare. Si può sperare così che finisca anche lo scandalo dei maxi-compensi a certi conduttori e degli agenti esterni che continuano a dettare legge sui palinsesti.
Cosa vedremo. La sfida continua tra Sky, Netflix e Amazon Prime Video
Il Fatto Quotidiano
Francesco Musolino
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Ci siamo, l’ estate è arrivata e noi siamo alle prese con prove costume, incendi, siccità e diete più o meno fantasiose. Tuttavia, se non ci possiamo permettere di prenotare nulla, possiamo sempre spalmarci sul sofà, accendere ventilatori e lanciarci in una sessione di serie-tv in cui annegare tutti i nostri pensieri, godendoci gli intrecci fra una notifica di WhatsApp e l’ attesa che arrivi la pizza a domicilio. Di fatto, lo sbarco di Netflix in Italia ha già mutato il nostro rapporto con le serie imponendo il binge-watching, una lunga sessione di visione ininterrotta dal primo all’ ultimo episodio con buona pace della vostra vita sociale. E l’ estate è certamente il regno perfetto per queste nottate. Così, se avete deciso di programmare una serata in casa, parafrasando i consigli per la lettura di Italo Calvino, scegliete la luce e la temperatura domestica adatta, tenete a portata di mano i telecomandi e siate pronti alla scelta fra centinaia di serie-tv disponibili. È stato un anno ricco di prodotti tv validissimi (Tredici, Billions, ovviamente il ritorno di Twin Peaks e The Crown), ma cosa ci riservano i palinsesti Sky, Netflix e Amazon Prime Video per l’ estate? La scelta è davvero ampia: dai favolosi anni Trenta, ai delitti in Costa Azzurra, dalle parodie di super-eroi alla caccia ai vampiri sino alla fuga dai narcos. Partiamo da Amazon Prime Video che proprio ieri ha messo in onda la prima stagione di The Last Tycoon, l’ adattamento del romanzo drammatico e incompiuto di Francis Scott Fitzgerald; i protagonisti sono Matt Bomer (White Collar) e Kelsey Grammer (Frasier) nei panni di due produttori rivali nella Hollywood degli anni Trenta, fra l’ incubo della Grande Depressione e dolce glamour del jet set mentre soffiano i venti che aizzeranno il secondo conflitto mondiale. Netflix lancerà l’ 11 agosto, Atypical, una promettente dark comedy in cui Jennifer Jason Leigh (The Hateful Eight di Quentin Tarantino) sarà la madre di un diciottenne autistico (Keir Gilchrist) e così per la prima volta una serie racconterà questa realtà senza fronzoli, mediante il punto di vista di un diciottenne a caccia di indipendenza e della sua famiglia, fra sorrisi e lacrime. E ancora il 25 agosto su Netflix, sbarcherà Disjointed, una brillante sitcom in cui Kathy Bates interpreta la proprietaria di una clinica specializzata in trattamenti terapeutici a base di marijuana, a Los Angeles. Lo stesso giorno debutterà su Amazon Prime Video , The Tick, ispirata dal supereroe creato dal fumettista Ben Edlund. Fra parodia e lotta agli stereotipi, si punta ad una serie che sconfessi i triti luoghi comuni, con l’ eroe in tuta blu e antenne interpretato da Peter Serafinowicz (Guardiani della Galassia), in lotta contro i cattivi e soprattutto l’ ansia da prestazione da super poteri. Se invece preferite superpoteri e pochi fronzoli, rifugiatevi in The Defenders, in programmazione dal 17 agosto su Netflix: otto puntate con Daredevil, Jessica Jones, Iron Fist e Luke Cage che si riuniscono in un superteam per sgominare il crimine nella grande Mela, segnando la nascita di un sodalizio con Netflix-Marvel e lanciando la sfida agli Avengers. E novità a parte, l’ inverno è già arrivato su Sky Atlantic – almeno sul piccolo schermo – portandosi dietro la settima stagione de Il Trono di Spade, penultima del kolossal fantasy di George R. R. Martin. E ancora, se avete amato il lato glamour della vita e lo sfarzo mostrato di recente nella serie Big little lies con Nicole Kidman e Reese Whiterspoon, certamente non dovete lasciarvi sfuggire Riviera. Un budget milionario e un cast stellare – Julia Stiles, Lena Olin e Iwan Rheon – per una ambiziosa miniserie in dieci episodi ambientata in Costa Azzurra fra scenari da favola, collezionisti d’ arte e segreti ingombranti, diretta da Neil Jordan, il regista di Intervista col vampiro. Tornando sul versante Netflix, c’ è sempre Gipsy con Naomi Watts nei panni della conturbante Jean Halloway, una terapista che stringe una serie di relazioni intime e con persone che fanno parte della vita dei suoi pazienti e Castlevania, l’ attesa serie horror-fantasy di animazione ispirata all’ omonimo videogioco, creata da Konami e centrata su un clan di cacciatori deciso ad uccidere Dracula. E ancora Ozark con Jason Bateman e Laura Linney, in cui una famiglia si rifugerà in una amena comunità per provare a sfuggire ad un grosso debito contratto con i signori della droga messicani. Infine, se amate Woody Allen, godetevi su Amazon il suo humour in Crisis in sex scenes che mette in scena, con ritmo, una tranquilla vita borghese sconvolta dall’ arrivo di una giovane contestatrice (Miley Cirus) contro il Vietnam e “quei fascisti dei poliziotti”. E restate comodi perché dal primo settembre si continua con Narcos 3, American Horror Story 7, Stranger Things 2.
Richiamo della Corte dei conti: Rai elimini inefficienze e sprechi
Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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La Rai deve attivare «ogni misura organizzativa, di processo e gestionale, idonea a eliminare residue inefficienze e sprechi, proseguendo, laddove possibile e conveniente, nel percorso di internalizzazione delle attività». Si legge nelle conclusioni della Corte dei conti nella Relazione sul controllo della gestione finanziaria dell’ esercizio 2015, chiuso con una perdita per la capogruppo di 45,9 milioni rispetto ai -203,4 del 2014. La magistratura contabile invita anche a tenere sotto controllo i debiti finanziari, migliorati nel 2015 ma grazie al bond da 350 milioni del 2015. Ed è ancora polemica sul contratto di Fabio Fazio. «La Rai mette nero su bianco, nella risposta all’ interrogazione che ho presentato», spiega il deputato Pd Michele Anzaldi, autore di una interrogazione, come Michele Rampelli ,«che la scelta di affidare la produzione della trasmissione a una società di cui lo stesso Fazio è titolare al 50% deriva da una condizione inderogabile posta proprio da Fazio». La risposta «l’ ho inoltrata alla Corte del Conti del Lazio, che sta indagando sulla vicenda, e all’ Anac». Ieri intanto a Gerusalemme, durante alcuni scontri, è stato ferito il corrispondente Carlo Paris, ricoverato in ospedale per un’ ustione e poi dimesso. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Cir, semestre positivo Aumenta il giro d’ affari
Il Sole 24 Ore
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Il gruppo Cir ha chiuso il primo semestre 2017 con un utile netto di 27,1 milioni di euro, in crescita rispetto ai 25,9 milioni del primo semestre del 2016. I ricavi del gruppo sono stati di 1,392 miliardi, con un incremento del 5,6% rispetto ai 1,319 miliardi dello stesso periodo dell’ anno scorso. Il margine operativo lordo è stato pari a 148,2 milioni, in aumento del 18,6% rispetto ai 125 milioni del primo semestre del 2016. Per quanto riguarda l’ andamento del gruppo nell’ intero 2017, si prevede la «conferma di un risultato positivo, fatti salvi eventi straordinari al momento non prevedibili». «La crescita dei risultati ottenuta nel primo semestre conferma la solidità del gruppo Cir nel suo complesso e delle sue principali controllate: Sogefi prosegue il percorso di recupero di redditività avviato due anni fa nonostante i segnali di rallentamento in alcuni mercati importanti, Kos continua a crescere e a fare acquisizioni mentre Gedi mostra una sostanziale tenuta dei risultati in un contesto molto difficile per l’ editoria», ha affermato l’ amministratore delegato Monica Mondardini. Soddisfatto anche il presidente Rodolfo De Benedetti: «I risultati conseguiti da Cir nella prima metà dell’ anno testimoniano l’ efficace lavoro del management e di tutto il gruppo per sviluppare le nostre aziende e creare valore per tutti gli stakeholders nel lungo termine». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I diritti del format di Fazio alla nuova società di Fazio
Il Tempo
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Una società ancora da costituire che si accaparra un appalto da oltre 80 milioni di euro, e per giunta come risultato di un aut aut da parte di un esterno alla Rai? Michele Anzaldi (Pd) costituita e denominata L’ officina)». L’ espressione «condizione inderogabile» non è piaciuta molto ad Anzaldi che ha infatti provveduto a inoltrare questa risposta alla Corte dei conti del Lazio, che ha già aperto un fascicolo sul contratto quadriennale del conduttore di Che tempo che fa da 11,2 milioni di euro, più altri 72 circa per tutto l’ entourage e la realizzazione materiale della trasmissione. Ma la Rai fa quadrato: nella stessa risposta si sostiene infatti che «il costo unitario del compenso si riduce del 16%» e che «il compenso annuo complessivo dell’ artista, infatti, risulta in linea con quello percepito nell’ ultima stagione televisiva su Rai 3 pur in presenza di un volume di attività più elevato e destinato alla rete ammiraglia». Insomma «Fazio sembra quasi che si sacrifichi per il servizio pubblico», come ironizza Anzaldi al telefono con Il Tempo, sottolineando anche che la deroga per gli artisti in Rai rispetto alla cifra dei 240mila euro risulta «ampiamente aggirata» e che «prima o poi la corte dei conti su questo gli leverà la pelle». La Rai invece sostiene che «nello specifico si passa dalle 110 ore di programmi realizza ti su Rai 3 nella stagione 2016/2017 alle 128 ore per la stagione 2017/2018 di programmazione su Rai 1 del program ma Che tempo che fa. Non ba sta: «Il costo complessivo di una puntata del programma ammonta a circa 450 mila curo (di gran lunga inferiore a quello sostenuto nel palinsesto della domenica sera di Rai 1 nella stagione precedente) a fronte di ricavi pubblicitari netti stimati attorno ai 615 mila euro». In tutto si ottiene «un risparmio annuale di 8 milioni». «Resta il dettaglio», ironizza sancora Anzaldi, «di una specie di aut aut di un esterno alla Rai, di una società che deve essere ancora costituita e che si accaparra un appalto da più di 80 milioni, della mancata trasparenza dell’ azienda pubblica su tutto, oggi per esempio abbiamo appreso solo dai giornali che si trattava il contratto della Gabanaelli, che pure in Italia è sinonimo di trasparenza, e dell’ ennesima incursione di un’ azienda francese, la Vivendi, socia anche di Media set, in un interesse nazionale italiano primario come è da considerare la Rai, senza che nessuno dica nulla». Un altro episodio della guerra (o della batracomiomachia) tra Parigi e Roma? «Può anche darsi», dice Anzaldi, «ma a parti invertite Macron o chi per lui lo avrebbe permesso?».
Class Editori e Pegaso Università insieme per le Business School di ItaliaOggi e Milano Finanza
Italia Oggi
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Class Editori e Università Telematica Pegaso, leader assoluto dei corsi universitari online, hanno costituito una Associazione in partecipazione per realizzare un progetto di amplissimo respiro, dai Master alla formazione online, alla diffusione della conoscenza e dell’ informazione a elevato valore aggiunto, per studenti, manager, top manager e professionisti. Dal prossimo autunno prenderà il via l’ attività della Business School Milano Finanza e della Business School ItaliaOggi, le due accademie di formazione online e in aula che nascono dall’ unione fra la competenza acquisita negli anni da Pegaso, numero 1 in Italia per lauree, lauree magistrali, master universitari di 1° e 2° livello, dottorati di ricerca in via telematica nonché ulteriori attività formative di livello post secondario e post universitario; e le competenze di MF-Milano Finanza e ItaliaOggi, i due quotidiani leader nell’ informazione finanziaria, economica, giuridica, fiscale, fashion, design e marketing. L’ accordo prevede anche un master in Business Administration che sarà veicolato online, mediante i portali Internet di Business School Milano Finanza e di Business School ItaliaOggi, ma eventualmente anche in forma mista con una presenza in aula. In un tempo in cui l’ evoluzione è veloce come la luce, è parte importante dell’ associazione in partecipazione One Day Class University, format unico di formazione e informazione dedicate a temi di grandissima utilità e profilo elevatissimo, dedicato a top manager e professionisti che capiscono l’ importanza di investire su una formazione continua. Questo tipo di attività ha già riscosso molto successo negli Stati Uniti, uno dei paesi più all’ avanguardia nel settore. L’ offerta formativa di Class Editori e Pegaso è destinata anche agli studenti neo diplomati che non intendono proseguire gli studi e che puntano sulla specializzazione per trovare lavoro e pure ai giovani neo laureati o con iniziale esperienza di lavoro. Gli studenti faranno stage nelle più significative aziende di ciascun settore. «Dall’ unione fra le nostre due realtà nasce un’ offerta che ha caratteristiche uniche», ha dichiarato Paolo Panerai, editor-in-chief e ceo di Class Editori. «Mettiamo, infatti, a fattor comune la grande tecnologia, il corpo docente di altissimo livello, serietà e la capacità di sviluppo di Pegaso, il cui know-how superiore nell’ istruzione universitaria l’ ha fatta diventare primario operatore del settore e la capacità di MF-Milano Finanza e di ItaliaOggi di creare informazione e conoscenza di alto livello nei campi della finanza e dell’ economia, della moda e del lusso, della comunicazione e del marketing, oltre che nel diritto e fisco, per un pubblico con cui le due testate vantano delle relazioni solide e consolidate nel tempo». «La collaborazione tra Class Editori e l’ Università Telematica Pegaso conosce una nuova evoluzione con l’ avvio delle Accademie Milano Finanza e ItaliaOggi», ha detto Danilo Iervolino, presidente di Università Telematica Pegaso. «Per Pegaso essere al passo con i tempi e anticipare i trend della formazione e della conoscenza costituisce la missione principale: per questo nasce la prima business school online in Italia, connessa alle prime 100 aziende italiane e con una capacità straordinaria di collegamento al lavoro. I migliori docenti, la migliore tecnologia e 65 prestigiose sedi renderanno unica l’ esperienza di studio. Oggi intorno alla finanza si determinano i nuovi percorsi di sviluppo della società 2.0, il connubio Pegaso-Class è la migliore dimostrazione di due eccellenze che fanno sistema nel solco della modernità». © Riproduzione riservata.
Condé Nast, la terapia dei tagli
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il mercato dell’ editoria è in crisi. E spesso, in questi anni, si è guardato a Condé Nast Italia per capire quali potessero essere le strade da percorrere. Messi in fila gli ultimi bilanci di esercizio della casa editrice di Vogue e Vanity Fair, bisogna però prendere atto che anche da quelle parti una ricetta originale non è stata trovata. E che, anzi, per salvare la redditività (ovvero, per chiudere i bilanci con un utile), pure la Condé Nast sta scegliendo la strada sicura e semplice della riduzione dei costi del lavoro. Quanto ai conti del 2016, i ricavi di Condé Nast Italia da pubblicità stampa sono pari a 84,3 milioni di euro (-10,8% sul 2015) e quelli da pubblicità sul web raggiungono i 16,9 milioni (+2,4%). Dalla vendita delle copie, in edicola o attraverso abbonamenti, la casa editrice incassa 11,8 milioni di euro (-10,7%), e pure i servizi integrati di comunicazione, la creatività pubblicitaria, l’ organizzazione di eventi, tutti comparti che sembravano poter rappresentare alternative di business, sono scesi a quota 11,8 milioni di euro, -19,2% sul 2015. Insomma, cala tutto, non ci si sgancia dalla dipendenza dalla pubblicità (80% dei ricavi totali), e pure il web, da ormai 15 anni un’ eterna promessa dell’ editoria, cresce sì ma troppo lentamente. Perciò, con ricavi complessivi che scendono del 10%, alla Condé Nast Italia non resta che una soluzione: un piano di contenimento dei costi del lavoro, avviato già dal 2012, e che nel solo 2016 ha visto tagli del 18,5%. Senza quei risparmi di 8,4 milioni di euro su salari, stipendi e compensi vari nel corso dell’ esercizio, la Condé Nast non avrebbe chiuso il 2016 con un utile di tre milioni di euro (2,3 mln nel 2015), ma con una perdita di cinque. Nel 2016 il numero medio di giornalisti è sceso a 140 unità (155 nel 2015), quello dei dirigenti a 31 (36) e degli impiegati a 229 (245). E, come spiegano gli amministratori nella relazione sulla gestione al bilancio 2016, l’ intenzione è sempre quella di «difendere la redditività attraverso interventi strutturali e il continuo e incisivo proseguimento delle azioni di contenimento dei costi». In un contesto già così difficile, la Condé Nast deve poi districarsi in un 2017-2018 denso di sfide: Fedele Usai è diventato il nuovo amministratore delegato, e il presidente Giampaolo Grandi comincia a preparare il distacco dal gruppo che ha governato per oltre 20 anni; non c’ è più la insostituibile Franca Sozzani, e alla direzione di Vogue è stato chiamato il giovane Emanuele Farneti, mentre la direzione editoriale delle testate Condé Nast è andata a Luca Dini; alla direzione di Vanity Fair è arrivata, Daniela Hamaui; a quella di Gq è stato chiamato Giuseppe De Bellis; a quella del mensile La Cucina Italiana (società che ha chiuso in perdita pure il 2016, e che è iscritta a bilancio Condé Nast a un valore di 9,4 milioni di euro, nonostante abbia un patrimonio netto negativo per 85 mila euro) Maddalena Fossati. © Riproduzione riservata.
Vogue, chiudono le 4 testate satellite Novità anche a Vanity, Glamour e Gq
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Che il 2017-2018 di Condé Nast Italia sarà denso di sfide è stato confermato già ieri con la chiusura delle testate satellite di Vogue. Chiudono infatti i mensili L’ Uomo Vogue, Vogue Bambini, Vogue Accessory e Vogue Sposa, da cui dipendono più di una dozzina di giornalisti. Al momento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, non è sicuro se le 4 pubblicazioni proseguiranno allegate a Vogue, alternandosi mensilmente l’ un con l’ altro. Ai redattori, intanto, è stata offerta una buonuscita per incentivarne l’ uscita volontaria. Comunque sia, al magazine principale sono già approdati dalle testate satellite, tra gli altri, Enrica Ponzellini e Alan Prada, rispettivamente nuovo fashion market director e neo-vicedirettore. Non solo, la nomina di ieri di Justine Bellavita a editor in chief di Vogue International, una sorta di nuovo hub che comprende reporter, esperti di digitale e social media e publisher, riporta in primo piano il progetto del gruppo di concentrare e ottimizzare a Londra la copertura di sfilate ed eventi moda in tutto il mondo (escluso solamente il mercato Usa della casamadre). Sotto l’ ombrello di Vogue International ricadrà infine la gestione degli incarichi più importanti affidati dagli inserzionisti a Condé Nast. Di conseguenza le singole divisioni digitali nazionali non saranno più strategiche. Ma in piazza Castello a Milano l’ intenzione generale sembra puntare a individuare, a breve, 100 esuberi tra giornalisti e non. Oltre al sistema Vogue, c’ è anche Glamour tra le testate Condé Nast Italia meno salde (il direttore Cristina Lucchini è diventata condirettore moda di Vanity Fair, pur mantenendo la direzione del mensile). Per Glamour non si esclude, infatti, un futuro solo online. C’ è un po’ di maretta anche a Gq dove traballa la poltrona del vicedirettore Carlo Annese. Per quanto riguarda infine Vanity Fair è in arrivo un nuovo vicedirettore (il secondo dopo Malcom Pagani, ex Messaggero ex Fatto Quotidiano). In lizza c’ è Serena D’ Anna dal Corriere della Sera, anche se è circolato in aggiunta il nome del vicedirettore del Corsera Barbara Stefanelli.
Zappia, Sky cresce ma meno del previsto
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Sky Italia ha chiuso l’ anno fiscale 2017 con ricavi in crescita del 4%, un profitto operativo di 157,7 milioni di euro (il migliore degli ultimi cinque anni) e una base abbonati a quota 4,8 milioni. Tutte performance positive, che però vanno parzialmente ripensate dopo le parole di Andrea Zappia, amministratore delegato del gruppo, nel discorso condiviso coi suoi dipendenti: «Sky Italia ha chiuso l’ anno in modo complessivamente positivo, compiendo un passo nella giusta direzione, anche se non abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi di budget e l’ andamento è stato segnato da alti e bassi su cui dobbiamo lavorare». Zappia, quindi, plaude al +4%, ma è conscio di aver mancato gli obiettivi di crescita previsti. E proprio per questo motivo si introduce «la nuova modalità di fatturazione» agli abbonati Sky, ovvero una fattura ogni quattro settimane e non più una al mese, con un aumento dell’ 8,6% del prezzo annuo, «uno sforzo che siamo stati costretti a chiedere per sostenere gli investimenti necessari». Zappia è molto schietto anche sul fronte della marginalità di gruppo: «La crescita del profitto operativo va letta con la consapevolezza che gli effetti positivi di alcuni benefici contabili hanno inciso più di un reale miglioramento del business». Ovvero, questi profitti operativi sono più il frutto di un nuovo modo di contabilizzare in bilancio alcune poste, piuttosto che di un effettiva ritrovata marginalità del business. Quanto alla base abbonati, c’ è una crescita netta di 41 mila unità anno su anno, per un totale di 4,794 milioni di unità. E, in base a indiscrezioni raccolte da ItaliaOggi, gli abbonati residenziali a Sky sono 4,294 milioni, quelli Iptv 78 mila, quelli di Bar-Hotel 158 mila e quelli di Now Tv, l’ offerta in streaming a pagamento, 264 mila. «Non c’ è dubbio», aggiunge Zappia, «che ancora una volta, in un contesto che è forse il più difficile in Europa, abbiamo dimostrato grande resilienza. Sky è infatti il vero punto di riferimento nel settore della pay tv. E’ l’ unica media company solida in Italia, in un contesto complicato. E nel corso del 2018 lanceremo Sky Q, che segnerà un nuovo punto di svolta nel nostro percorso di innovazione. L’ esperienza di visione coinvolgerà i nostri abbonati in modo sorprendente, con un’ interfaccia intuitiva che li accompagnerà su tutti gli schermi e i dispositivi mobili connessi, suggerendo loro anche i contenuti più affini ai loro gusti e aprendo le porte all’ ultra Hd». Importante per Zappia è infine il tema della flessibilità del servizio: «Nel corso di questo fiscal year 2017-2018 cominceremo a introdurre tante progressive novità in questa direzione, per rispondere a una sfida che ci arriva da competitor ancora piccoli per numero di abbonati (leggi Netflix, ndr), ma già forti in termini di reputazione e apprezzati proprio per la flessibilità con cui si relazionano al cliente». © Riproduzione riservata.
Cattleya, Itv punta ad acquisire una quota di maggioranza
Italia Oggi
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L’ emittente britannica Itv sta portando avanti i negoziati per acquistare una quota di maggioranza di Cattleya, società di produzione cinematografica italiana che si cela dietro le serie tv di successo internazionale come Gomorra in onda su Sky Italia e Suburra di Netflix. L’ operazione è in linea con l’ espansione di Itv nel panorama della produzione internazionale e con le strategie di fusione e acquisizione annunciate. Ma, soprattutto, l’ Italia è un mercato in cui il gigante della televisione britannica non ha ancora fatto acquisizioni. Cattleya aveva attirato l’ interesse anche del consorzio francese Mediawan ma i colloqui tra i fondatori (Riccardo Tozzi e i produttori Marco Chimenz e Giovanni Stabilini) si sono interrotti mesi fa. Itv e Cattleya, che è partecipata anche da DeA Communications, non hanno rilasciato dichiarazioni. L’ accordo dovrebbe chiudersi entro settembre.
Gruppo Cir, in crescita ricavi e utile netto
La Repubblica
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ROMA. Il gruppo Cir, attivo nei settori dei media (Gedi, editore di Repubblica), della componentistica per autoveicoli (Sogefi) e della sanità (Kos), ha chiuso il primo semestre del 2017 con un utile netto di 27,1 milioni di euro, in crescita rispetto ai 25,9 milioni del primo semestre del 2016. I ricavi sono stati di 1,392 miliardi, con un incremento del 5,6% rispetto ai 1,319 miliardi dello stesso periodo dell’ anno scorso. Il Consiglio di amministrazione, riunitosi ieri sotto la presidenza di Rodolfo De Benedetti, ha approvato la relazione finanziaria semestrale presentata dall’ amministratore delegato Monica Mondardini. «I risultati conseguiti da Cir nella prima metà dell’ anno testimoniano l’ efficace lavoro del management e di tutto il gruppo per sviluppare le nostre aziende e creare valore per tutti gli stakeholders nel lungo termine», ha detto Rodolfo De Benedetti. Nel semestre, il margine operativo lordo (Ebitda) è stato pari a 148,2 milioni di euro (pari al 10,6% dei ricavi), in aumento del 18,6% rispetto ai 125 milioni del primo semestre 2016 (9,5% dei ricavi). La crescita è dovuta soprattutto al maggiore Ebitda di Sogefi. In generale, il contributo delle controllate industriali al risultato netto del gruppo è aumentato del 20,9%, dai 17,7 milioni del 2016 ai 21,4 milioni del 2017. «La crescita dei risultati ottenuta nel primo semestre conferma la solidità del Gruppo Cir nel suo complesso e delle sue principali controllate», ha detto l’ amministratore delegato Monica Mondardini. «Sogefi prosegue il percorso di recupero di redditività avviato due anni fa nonostante i segnali di rallentamento in alcuni mercati importanti, Kos continua a crescere e a fare acquisizioni mentre Gedi mostra una sostanziale tenuta dei risultati in un contesto molto difficile per l’ editoria». Mercoledì scorso Kos, tramite la propria controllata Medipass, ha acquisito la società toscana Ecomedica, specializzata in diagnostica e radioterapia con ricavi annui di circa 9 milioni. Al 30 giugno 2017 l’ indebitamento finanziario netto consolidato del gruppo Cir ammontava a 163 milioni di euro, rispetto ai 143,6 milioni al 31 dicembre 2016 e ai 218,2 milioni al 30 giugno 2016. La posizione finanziaria netta della capogruppo (incluse le controllate non industriali) era positiva per 320,4 milioni, rispetto ai 334,3 al 31 dicembre 2016 e ai 313,3 milioni al 30 giugno 2016. Per quanto riguarda l’ andamento del gruppo nell’ intero 2017, si legge nella nota della società, «si prevede la conferma di un risultato positivo, fatti salvi eventi straordinari al momento non prevedibili». ©RIPRODUZIONE RISERVATA.