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Rassegna Stampa del 24/07/2017

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Telecom, la poltrona che scotta

Donne in rivolta alla Bbc “Subito salari pari agli uomini”

Rivolta delle donne alla Bbc: pagateci quanto gli uomini

Tra libertà di stampa e interessi collettivi il limite è troppo vago

Giampiero Spirito eletto alla presidenza della Casagit Servizi

Facebook si ispira alle pagine social del Washington Post e lancia i fan club, spazi all’ interno dei gruppi in cui promuovere discussioni su temi specifici

Nessun accordo sulla chiusura della redazione romana di ‘Libero’. Quattordici trasferimenti a Milano dal 1° ottobre. Stampa Romana: che i cambiamenti continui nascondano obiettivi “made in Angelucci”?

Lo scenario dei media in Italia fotografato dall’ Osservatorio Agcom: sempre più collegati in banda larga e mobile veloce; Rai perde quote, Mediaset sale; radio stabile; prosegue il calo della stampa – INFOGRAFICHE

Telecom, la poltrona che scotta

Affari & Finanza
Massimo Giannini
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È stata “la madre di tutte le privatizzazioni”. È diventata la fonte di tutte le maledizioni. Per chiunque l’ abbia comprata o venduta, scalata o spolpata, lottizzata o gestita. Politici e azionisti, presidenti e amministratori delegati: tutti quelli che negli ultimi venticinque anni hanno avuto le mani in pasta su Telecom si sono bruciati. Ora tocca a Flavio Cattaneo. È stato seduto per appena sedici mesi sulla sedia più elettrica dell’ industria italiana. Al ruvido manager non è bastato un Vietnam di tre anni alla Rai, per capire che certe battaglie di potere, come insegna Sun Tzu nel suo trattato sull’ Arte della guerra, le devi fare solo se sei sicuro di poterle vincere. E lui, nonostante l’ ottima semestrale che verrà illustrata nel cda, la guerra non poteva vincerla. L e battaglie di Cattaneo sono state tre. Quella sulla banda ultra- larga, che per l’ Italia vale 6,5 miliardi e sulla quale Telecom ha annunciato 5 miliardi di investimenti. Quella sulla copertura delle zone a fallimento di mercato, in competizione con Open Fiber. Quella strategica sulle reti, a partire da quella internazionale e ad altissima capacità di Telecom Sparkle. I nemici di Cattaneo invece sono stati due. Quello “interno”, il suo azionista di riferimento Vincent Bolloré e la corazzata francese Vivendi. Quello “esterno”, il governo Gentiloni-Calenda e la consorteria toscana Renzi- Carrai. Due nemici per una volta con interessi convergenti. Ai quali, tanto per cambiare e in piena coerenza con lo spirito nazareno dei tempi che ci aspettano, non è stato estraneo neanche Berlusconi. Dai “capitani coraggiosi”a Telco La storia di Telecom è una continua sarabanda di politicanti che strepitano e di capitalisti che latitano. Di ricavi che evaporano e di teste che rotolano. In un intreccio di mutue inettitudini, non c’ è manager che non abbia avuto un conflitto esiziale con il governo di turno. Tutto comincia nel ’97, quando il più tosto dei boiardi Ernesto Pascale si gioca la poltrona con il governo ulivista di Prodi che gli privatizza la Stet. Prosegue con Guido Rossi, innamorato del modello public company, tradito dal “nocciolino duro” del misero capitalismo privato, che con una risibile “fiche” del 6,62% (la famiglia Agnelli si limita addirittura a uno 0,6, poche centinaia di milioni di vecchie lirette) controlla un gigante da 23 mila miliardi. Prodi litiga ferocemente con Gianmario Rossignolo, piazzato in Telecom dall’ Ifil. Poi D’ Alema trasforma Palazzo Chigi “nell’ unica merchant bank dove non si parla inglese” (copyright, lo stesso Rossi) e nel ’99 benedice la scalata dei “capitani coraggiosi” Colaninno e Gnutti, che comprano a debito per 61 mila miliardi il 51% del gruppo e fanno piazza pulita dell’ intero management. Nel 2001 tocca a Tronchetti Provera comprare a leva la telefonia nazionale e scaricarci sopra un’ altra montagna di debiti. Ed è tutto un fondere e “sfondere” Telecom e Tim, giusto per fare un po’ di cassa. Nel 2006 torna Prodi, e da premier rompe subito con Tronchetti. Aldone Rovati, il compianto “colosso di Prodi” (copyright Giulio Tremonti) gli recapita in via riservata un piano per lo scorporo della rete. Il patron di Pirelli non ci sta e nell’ ottobre 2007 si dimette e molla tutto. Inizia l’ era Telco, la holding partecipata dagli spagnoli e dagli ex Poteri Forti (Mediobanca, Generali e Intesa). Ai comandi c’ è Franco Bernabè, che invece litiga con Berlusconi, nel frattempo tornato a Palazzo Chigi nel 2008 e impegnato nelle “cene eleganti” e nei ritagli di tempo anche nella grottesca crociata a difesa dell’ italianita’, “minacciata” a suo dire da Telefonica e da Rupert Murdoch. Nell’ ottobre del 2013 è la volta di Marco Patuano, che due anni dopo finisce invece nel mirino di Renzi: Telecom vuole difendere la rete mista fibra- rame, il nuovo governo del rottamatore lancia il piano alternativo Metroweb-Cdp sulla banda larga. Passa un anno, e passa anche Patuano. Perché nel frattempo sono scesi in campo i francesi di Vivendi, che nel marzo 2016 puntano tutto su Flavio Cattaneo. Bolloré: raider o industriale? Cosa è successo in poco più di un anno, che può giustificare l’ ennesimo ribaltone? Il mistero è racchiuso in un enigma. E quell’ enigma si chiama Vincent Bolloré. Chi è e cosa vuole il finanziere bretone non lo capisce nessuno. Lo racconta Alain de Pouzilhac, ex presidente di Havas a sua volta scalato e fatto fuori da Vivendi nel 2005. I due, ricchi sfondati, sono in vacanza al mare, ognuno sul suo yacht, quando Bolloré lo chiama: “mi piace la tua azienda, hai qualcosa in contrario se da amico sottoscrivo un 5%”? Pochi mesi dopo si prende tutto, azzera azionisti e manager, salvo poi ricedere la sua quota qualche anno dopo, non prima di aver “svuotato” Havas. Allora de Pouzilhac formula il suo teorema: «La verità per Bolloré non esiste: cambia a seconda della necessità». Seguono due corollari, in forma di interrogativo: «Bolloré è un raider o un industriale?» Se Bolloré è un raider, il destino di Cattaneo è stato segnato da ragioni borsistiche. L’ amministratore delegato ha rimesso i conti in ordine. In attesa dei numeri della semestrale di giovedì prossimo, valgono i conti del 2016: è tornato l’ utile (1,8 miliardi), è risalito l’ Ebitda (più 14,2%), è sceso l’ indebitamento (25,1 miliardi). Ma tutto questo, e non è poco, a un “predatore” di razza non poteva bastare. Lo segnalano gli analisti: «Il paradosso di Cattaneo è che ha lavorato bene, ma non ha schiodando il titolo, fermo intorno a 0,80, mentre Bolloré ha in carico le azioni a 1,2». Come dire: Vivendi ci sta rimettendo. In un road-show a New York, nel febbraio scorso, Cattaneo ha dato una buona notizia («in 9 mesi abbiamo raggiunto gli obiettivi che il piano precedente fissava in un triennio») ma anche un ferale annuncio: «I dividendi saranno congelati per tre anni e devoluti a investimenti e riduzione del debito». Il Bretone, che già sentiva il profumo di 350 milioni di cedole, c’ è rimasto male. Le voci sulla “sfiducia” dell’ azionista hanno cominciato a circolare subito dopo. E allora ecco una delle ragioni che può spiegare il siluramento del ceo, in base al secondo corollario del teorema de Pouzilhac: se il raider Bolloré non guadagna, può fare solo due cose: o scappa via lui o caccia via i vertici. Lo scontro con il governo Se Bolloré invece è un industriale, il destino di Cattaneo è stato segnato da ragioni politiche. Nel futuro delle tlc i governi Renzi e Gentiloni hanno scommesso su Open Fiber, la joint-venture tra Enel e Cdp che dovrebbe portare la fibra nelle case degli italiani (“fiber to the home”). Un affare da 6,5 miliardi. Dopo un impegno in equity per 750 milioni, Starace e Gallia hanno disposto un finanziamento ulteriore di 500 milioni, altri 500 milioni sono in arrivo dalla Bei, e la prima tranche per altri 500 milioni del project financing da 3,5 miliardi arriverà entro agosto. Spiazzata da tanto attivismo, Telecom- Tim si è mossa a sua volta sulla sua rete (“fiber to the cabinet”). Cattaneo è passato al contrattacco con il governo parlando di “bandi costruiti ad hoc per le gare Infratel”, cioè quelle che servono a portare la banda ultra-larga nelle aree “a fallimento di mercato”. Detto altrimenti: se la politica vuole agevolare Open Fiber con gare addomesticate, Telecom lancia un piano autonomo per la copertura in fibra delle zone disagiate. Il ministro delle Attività produttive si è infuriato. Oggi sdrammatizza: “Non ho nulla contro Cattaneo, che è un ottimo manager e fa gli interessi della sua azienda. Ma io devo fare quelli del Paese. Telecom prima ha detto che non investiva per tre anni, poi ha cambiato idea. Noi abbiamo investito denaro pubblico sulla banda larga, ma un conto è se investi con un monopolista, un altro conto è se investi su un mercato aperto. Ho chiesto un parere alla Commissione Ue. Aspettiamo, ma intanto andiamo avanti con Open Fiber”. Dunque, l’ incidente è chiuso solo sul piano formale. Sotto il profilo industriale, invece, la contesa va avanti. Come va avanti quella sul destino di tutte le reti. “In un paese ideale – è ancora la tesi di Calenda – sarebbe opportuno avere una grande rete nazionale nella quale confluiscono pubblico e privato”. Ma è la vecchia idea dello scorporo, che pronunciata in casa Telecom suona come una bestemmia. La stessa cosa vale per un’ infrastruttura strategica come la rete di Telekom Sparkle, oltre 500 mila chilometri in fibra ottica posati tra Mediterraneo e Atlantico, con una capacità di trasmissione di 24 terabyte al secondo (2 milioni di volte in più delle fibre urbane). Su quei cavi transitano tutte le informazioni sensibili dei servizi segreti europei. Medio Oriente, Israele, Corno d’ Africa. Un traffico dati che vale un patrimonio. Su questi dossier Cattaneo non cha ceduto di un millimetro. «Il problema – spiega Massimo Mucchetti, senatore Pd che ha ascoltato tutti i protagonisti in audizione a Palazzo Madama – è che se Bolloré vuole perseguire disegni industriali, e di lungo periodo, non deve litigare troppo con il governo». È la stessa tesi sostenuta una settimana fa da una fonte vicina al finanziere bretone, riportata dalla Reuters: «L’ obiettivo di Vivendi è di riavvicinarsi con il governo». Il segnale più tangibile è il ritorno sulla scena di Bernabè, inserito dai francesi nella lista degli indipendenti per il rinnovo del cda. L’ ex ad è amico di Renzi, in rapporti molto stretti con Marco Carrai, vicino ai servizi, alle authority e alla magistratura. È anche l’ ultimo manager di Telecom ad aver lavorato concretamente a un progetto di scorporo della rete che oggi, come testimonia Calenda, sarebbe molto gradito al governo. Il fattore Mediaset Ma cosa potrebbe “scambiare” Bolloré, dopo aver offerto a Palazzo Chigi lo scalpo di Cattaneo? Vivendi è ancora impigliata nella vicenda Mediaset. L’ Agcom, legge Gasparri alla mano, gli ha intimato di fare un passo indietro, o su Telecom o sul Biscione. Il pacchetto di norme “anti-scorrerie” messo a punto da Calenda doveva passare entro l’ estate, ma è rimasto chiuso nei cassetti del ministero. Berlusconi, due anni fa, aveva negoziato con Renzi una possibile fusione Mediaset- Telecom. A luglio dell’ anno scorso Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi e ora anche presidente di Telecom, aveva commentato questa proposta con un sibillino “non abbiamo preconcetti”. Se dalla roulette delle prossime elezioni uscisse davvero un Renzusconi, magari quello scenario si potrebbe riproporre. Ecco allora che si torna al teorema de Pouzilhac, ma in questo caso al secondo corollario: se l’ industriale Bolloré non ha un manager che asseconda i suoi progetti, può fare solo una cosa: lo licenzia. Avanti un altro. E su quella sedia elettrica la sarabanda continua. Resta solo un’ ultima risposta che la Consob dell’ ormai uscente Giuseppe Vegas, tra un’ ispezione e l’ altra, dovrebbe esigere dal bizzoso sovrano di Bretagna. Sua Altezza si è stancata di Cattaneo, e ha il dovere di dire forte e chiaro perchè al mercato. Date le circostanze e la natura del business, basta anche una telefonata.

Donne in rivolta alla Bbc “Subito salari pari agli uomini”

La Repubblica

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LONDRA. È rivolta delle donne all’ interno della Bbc, l’ azienda televisiva pubblica britannica. Dove i volti del piccolo schermo, le presentatrici, ma anche le giornaliste, chiedono di colmare quello che definiscono “pay gap”, la differenza di stipendio fra maschi e femmine con le medesime funzioni. La protesta nasce da un documento pubblicato la settimana scorsa che mostra come presentatori e giornalisti maschi siano pagati notevolmente di più: l’ azienda ha proposto di adeguare gli stipendi gradualmente da ora al 2020, ma le professioniste non ci stanno: «La lista dei salari mostra quello che molte di noi sospettavano da anni, alla Bbc essere donna vuol dire guadagnare molto meno dei maschi per fare lo stesso lavoro», hanno scritto in una lettera di protesta pubblicata ieri dal Telegraph, e indirizzata al direttore generale della Bbc, Tony Hall. Tra le 40 firmatarie della lettera, l’ anchor woman Fiona Bruce, la telecronista di Wimbledon Sue Barker e la presentatrice del programma One Show, Alex Jones. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rivolta delle donne alla Bbc: pagateci quanto gli uomini

Corriere della Sera
L. Ip.
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Londra Rivolta delle donne alla Bbc . Quarantadue giornaliste e presentatrici dell’ emittente pubblica britannica hanno scritto una lettera aperta al direttore generale per chiedergli conto delle vistose disparità di stipendi fra uomini e donne. E per esigere un’ azione immediata. Si tratta del punto di arrivo di una polemica che divampa a Londra da mercoledì scorso, quando la Bbc ha reso pubblici i salari di 96 dipendenti che guadagnano più di 150 mila sterline l’ anno, ossia più dello stipendio del primo ministro. Ma in quell’ elenco i due terzi sono maschi e la donna più pagata, Claudia Winkelman, presentatrice della versione britannica di «Ballando con le stelle», non arriva a 500 mila sterline: mentre l’ uomo più «ricco», Chris Evans, sfora i due milioni di retribuzione. La lettera è stata firmata da diverse celebrità del video, fra cui Victoria Derbyshire, che conduce il programma del mattino, la presentatrice sportiva Clare Balding, le conduttrici di Today Mishal Husain e Sarah Montague (quest’ ultima non ce l’ ha fatta neppure a entrare nella famigerata lista) e la presentatrice di Newsnight Emily Maitlis, anche lei assente dall’ elenco dei 96. Le 42 donne si rivolgono a Tony Hall, il direttore generale: «Lei ha detto che avrebbe risolto il gap salariale di genere entro il 2020, ma alla Bbc era noto da anni. Vogliamo che sia messo agli atti che le chiediamo di agire adesso». Hall ha provato a difendersi facendo notare che alla Bbc le differenze retributive fra uomini e donne sono del 10 per cento, mentre a livello nazionale si viaggia oltre il 18 pe cento. Ma è una magra consolazione. Le firmatarie della lettera sottolineano che non stanno chiedendo enormi aumenti, ma che vogliono correttezza: il che potrebbe anche prendere la forma di un taglio dei compensi dei colleghi maschi. La questione sta ormai diventando un caso politico. Ieri è intervenuto il leader laburista Jeremy Corbyn, che ha definito le differenze salariali «spaventose» e ha detto che «la Bbc dovrebbe guardarsi severamente allo specchio». Corbyn ha aggiunto che firmerà anche lui la lettera e che un governo laburista chiederà a tutte le aziende di rendere pubbliche le disparità retributive di genere. Il governo di Theresa May non sembra comunque aver molta voglia di solidarizzare con la Bbc : anzi chiede che l’ anno prossimo il resoconto sugli stipendi sia ancora più dettagliato. Le donne non sono tuttavia le sole ad essere penalizzate dall’ emittente pubblica: il più pagato dei presentatori non bianchi non raggiunge le 300 mila sterline all’ anno. E 400 dipendenti guadagnano meno dell’ 1 per cento del già citato Chris Evans.

Tra libertà di stampa e interessi collettivi il limite è troppo vago

Il Fatto Quotidiano
Bruno Tinti
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Nel 2010 e nel 2013 sono comparsi nelle sale cinematografiche italiane due film americani: Fair Game e Nothing But The Truth, malamente tradotti in Caccia alla spia e Una sola verità. Erano ispirati a una storia vera. Washington Post e New York Times avevano rivelato la campagna di disinformazione del governo Bush alla vigilia dell’ invasione dell’ Iraq: il possesso di armi atomiche che – come ormai sappiamo – non esistevano. Il secondo film, Nothing But The Truth, è quello che mi interessa. Affronta un tema complesso, il contrasto tra il diritto/dovere del giornalista di non rivelare le sue fonti e il dovere dello Stato di identificarle quando si tratti di tutelare la sicurezza pubblica. Il film è molto equilibrato, rappresenta le tesi contrapposte con intelligenza e competenza. La giornalista, Judith Miller, rivela l’ identità di un’ agente segreto, Valerie Plame, e racconta che proprio costei aveva avvertito il governo che l’ Iraq non possedeva armi atomiche. Si rifiuta di fare il nome della sua fonte, viene incriminata e imprigionata. Il tema del processo è politico/costituzionale. La giornalista rivendica la tutela delle sue fonti altrimenti l’ esistenza stessa di una stampa libera, cane da guardia della democrazia, sarebbe pregiudicata. Vero, risponde il procuratore americano, ma con il limite della tutela della sicurezza dello Stato: chi ha rivelato l’ identità dell’ agente segreto costituisce una minaccia per lo Stato, è un traditore infiltrato nella Cia; questa volta ha fornito notizie a un giornale, la prossima potrebbe fornirne a un Paese ostile; deve essere identificato. La questione arriva alla Corte Suprema che, 5 a 4, dichiara preminenti le ragioni di sicurezza dello Stato. Judith Miller resta in prigione. In Italia la situazione è regolamentata dall’ art. 200 del codice di Procedura penale: il giornalista non può essere interrogato su quanto ha conosciuto in ragione della propria professione; ma il giudice, “se le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede e la loro veridicità può essere accertata solo attraverso l’ identificazione della fonte della notizia”, può ordinargli di rivelarla; se il giornalista si rifiuta, la sanzione è quella prevista per la testimonianza falsa o reticente, da 2 a 6 anni di reclusione. Il problema di questa norma sta nel fatto che non vi sono limiti alla sua applicazione: è il giudice che stabilisce se avvalersene o meno, in ogni processo e per qualsiasi reato. Cassazione, Corte costituzionale e Corte europea dei diritti dell’ uomo (Cedu) sono più volte intervenute, cercando un bilanciamento tra gli interessi contrapposti. Di particolare interesse è quanto ha stabilito la Cedu nella sentenza Cedu Belek-Velioglu contro Turchia (5/10/2015) che ha ribadito quanto previsto dall’ articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani: l’ esercizio della libertà di stampa può essere sottoposto a restrizioni previste dalla legge quando siano necessarie “per la sicurezza nazionale, l’ integrità territoriale, la pubblica sicurezza, la difesa dell’ ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’ autorità e l’ imparzialità del potere giudiziario”. Detto questo, la Cedu ha ritenuto che – nel caso di specie – nessuna di queste esigenze era stata pregiudicata dagli articoli scritti dal giornalista. Il problema dunque è evidente: la libertà di stampa non è incondizionata e, quando sono coinvolti gli interessi più sopra indicati, occorre valutarne, caso per caso, l’ eventuale pregiudizio e la sua concreta rilevanza. Il che, nei Paesi diversi dal nostro, dove la magistratura è controllata dalla politica, può essere preoccupante poiché, in buona sostanza, è l’ esecutivo che – prima – eccepisce la violazione delle esigenze di sicurezza e – poi – ne afferma la sussistenza nel caso concreto. In Italia, dove non solo i giudici ma anche il pubblico ministero sono autonomi e indipendenti, questo problema non dovrebbe porsi. Sta di fatto – però – che la necessità di un bilanciamento tra libertà di stampa e interessi collettivi non dovrebbe mai essere dimenticata, nemmeno nei Paesi autenticamente democratici. E un traditore all’ interno di un ente pubblico non è un pericolo trascurabile.

Giampiero Spirito eletto alla presidenza della Casagit Servizi

Prima Comunicazione

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Giampiero Spirito è il nuovo presidente della Casagit Servizi, società creata e controllata dalla Cassa di Assistenza dei Giornalisti Italiani. Cinquantasette anni, romano, laureato, giornalista professionista, è capo servizio di Tv 2000 e dal 2009 al 2017 è stato vicepresidente vicario della Casagit. Oltre a Spirito, fanno parte del Cda della Casagit Servizi, Gianfranco Giuliani, caposervizio del quotidiano La Prealpina di Varese e il direttore della Casagit Francesco Matteoli in qualità di amministratore delegato.

Facebook si ispira alle pagine social del Washington Post e lancia i fan club, spazi all’ interno dei gruppi in cui promuovere discussioni su temi specifici

Prima Comunicazione

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Facebook porta i fan club sul social network. La compagnia ha lanciato una nuova funzione, chiamata ‘Group for pages’, che consente a chi gestisce una pagina di creare sottogruppi per promuovere discussioni su argomenti specifici. Artisti, imprese, brand e giornali su Facebook possono dar vita a spazi in cui i super fan chattano tra loro e con il gestore della pagina, confrontandosi su temi specializzati e di nicchia. Chris Cox L’ idea, ha spiegato in un post Chris Cox, responsabile prodotto di Facebook, è nata osservando un gruppo creato dal Washington Post , in cui i giornalisti dialogano con i lettori più assidui raccontando come nascono gli articoli. “La versione digitale della lettera all’ editore”, l’ ha definita Cox, “ma con risposte in tempo reale”. La sezione Gruppi è a disposizione dei 70 milioni di pagine presenti Facebook a livello globale.

Nessun accordo sulla chiusura della redazione romana di ‘Libero’. Quattordici trasferimenti a Milano dal 1° ottobre. Stampa Romana: che i cambiamenti continui nascondano obiettivi “made in Angelucci”?

Prima Comunicazione

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Il tavolo sindacale nazionale per gestire la chiusura della redazione romana di ‘Libero’ e il conseguente trasferimento di 14 colleghi a Milano si è chiuso senza accordo. L’ azienda, pur spostando al primo ottobre la data del trasferimento, ne ha ribadito l’ ineludibile necessità editoriale. A questo ha aggiunto un rifiuto nell’ indicare condizioni del trasferimento che determinassero il consenso dei giornalisti. A dare la notizia è la segreteria dell’ Associazione Stampa Romana , che riverisce di aver contestato le ragioni della chiusura della redazione romana e spiega: “un quotidiano, che ha fatto del racconto senza veli del Palazzo il suo asset principale, a pochi mesi dalle elezioni politiche decide di silenziare il Palazzo, sottraendolo al racconto e alla presenza professionale dei colleghi. L’ azienda così non tiene conto delle storie professionali di colleghi coltivate e maturate nella Capitale e dalla rilevanza del racconto del Paese da Roma”. Inoltre, “di fronte al tentativo del sindacato – prosegue la nota – di indicare per tutta la platea rappresentata una modalità di esercizio della prestazione lavorativa che potesse essere svolta anche in remoto da Roma, pur con sede di lavoro a Milano, azienda e direttore hanno saputo dire sempre e solo no. L’ ineludibile necessità organizzativa si scontra con la storia del giornale e con la sua recente cronaca quando, nell’ azzerare la solidarietà quattro mesi fa, l’ azienda ribadiva di non voler chiudere il presidio della Capitale”. Il sindacato regionale conclude dunque: “Questi continui cambiamenti di prospettive e scenario potrebbero nascondere altri obiettivi, made in Angelucci, proprietari del ‘Tempo’. Certamente non rassicurano i colleghi sulla solidità del nuovo progetto editoriale. Quando l’ obiettivo è recuperare 5mila copie vendute sarebbe stato normale e corretto lavorare con il consenso di tutta la redazione per fare squadra e non con una riorganizzazione calata dall’ alto e per nulla condivisa”.

Lo scenario dei media in Italia fotografato dall’ Osservatorio Agcom: sempre più collegati in banda larga e mobile veloce; Rai perde quote, Mediaset sale; radio stabile; prosegue il calo della stampa – INFOGRAFICHE

Prima Comunicazione

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Cresce la banda larga in Italia: le linee di rete fissa con velocità pari o superiore ai 10 Mbit/s hanno sfiorato nel primo trimestre 2017 le 16 milioni di unità, con una crescita su base annua pari a 770mila unità. E’ il dato che emerge dall’ Osservatorio sulle Comunicazioni diffusi oggi da Agcom che mostrano, in particolare, una riduzione degli accessi in tecnologia xDSL (-600 mila), diminuzione però più che bilanciata dalla crescita (+1,37 milioni) degli accessi in altre tecnologie (qualitativamente superiori), le quali raggiungono i 3,9 milioni di accessi grazie soprattutto alla crescita delle linee FTTC – FTTH. Nel settore delle linee mobili , alla fine del primo trimestre dell’ anno, le linee broadband con una velocità superiore ai 10 Mbit/s sono il 55% del totale, mentre quelle ultrabroadband (velocità superiore ai 30 Mbit/s) rappresentano il 17,4%, rispetto al 9,9% registrato nello stesso periodo dell’ anno precedente. Il quadro competitivo vede Tim, pur perdendo 0,9 punti percentuali su base annua e 0,5 punti percentuali rispetto all’ ultimo trimestre, rimanere ampiamente il primo operatore con il 45,4%, seguita da Fastweb e WindTre, con il 15%. Nel settore delle linee mobili, si registra un aumento complessivo di 0,9 milioni, dovuta principalmente all’ andamento delle sim M2M, cresciute di 2,3 milioni di unità, mentre le sim tradizionali (voce + dati) si riducono di 2,3 milioni. Con il 32,7%, WindTre è leader di mercato: tale posizione si rafforza (36,4%) se si considerano unicamente le sim “human” (escludendo cioè le M2M). Prosegue in misura consistente la crescita della banda larga mobile: nel corso del primo trimestre dell’ anno le sim che hanno effettuato traffico dati ammontano a 52,7 milioni (+5,2% su base annua), con un consumo medio unitario di dati stimabile in 2,2 GB/mese (+40,8%) nel primo trimestre 2017. Nel quinquennio 2013 – 2017, le sim che hanno svolto traffico dati sono passate dal 31,9% al 53,9%. Prosegue inesorabile l’ arretramento degli sms inviati (5,4 miliardi nel primo trimestre dell’ anno) che si riducono del 17% su base annua e di oltre il 76% rispetto al 2013. Per quanto riguarda l’ utilizzo di Internet, nel mese di marzo 2017, oltre 30 milioni di individui si sono collegati giornalmente alla Rete: mediamente la navigazione su Whatsapp e Facebook ha supera le 27 ore mensili per utente, mentre su Google ha raggiunto quasi le 7 ore mensili. Nel mercato televisivo , nel periodo marzo 2013 – marzo 2017 la Rai riduce gli ascolti di 3,5 punti percentuali (dal 40,6 al 37,1%), mentre l’ audience di Mediaset cresce nello stesso periodo considerato dello 0,1% (dal 32,7 al 32,8%). Analizzando il primo trimestre 2017, i due operatori registrano una crescita nelle quote di ascolto rispettivamente dell’ 1,8% e dell’ 1,1%, mentre nell’ ultimo trimestre risulta in calo l’ audience di Sky, Discovery, La7 e degli altri operatori minori. Riguardo all’ audience radiofonica , i dati mostrano una sostanziale stabilità degli ascolti con l’ emittente RTL 102.5 che mantiene la leadership. Continua la flessione dell’ editoria quotidiana : nello scorso marzo la vendita di quotidiani e’ risultata di poco inferiore ai 2,5 milioni di copie, in flessione dell’ 8,7% rispetto allo stesso mese del 2016. Nonostante una riduzione su base annua di 0,6 punti percentuali, Rcs Mediagroup resta leader nella distribuzione delle copie vendute con il 22,1%. Infine, nel settore postale i ricavi complessivi nel primo semestre dell’ anno sono aumentati del 5,6%, con i servizi di corriere espresso in crescita del dell’ 11,8% e quelli postali in flessione dell’ 1,8%%. I volumi dei servizi compresi nel servizio universale risultano in flessione del 12%, mentre gli invii di pacchi risultano in crescita del 12,4%. – Leggi o scarica l’ Osservatorio, disponibile sul sito Agcom (.pdf) – Leggi o scarica il comunicato stampa (.pdf)


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