Quantcast
Channel: Editoria.tv
Viewing all articles
Browse latest Browse all 8228

Rassegna Stampa del 23/07/2017

$
0
0

Indice Articoli

Diego Guida nominato esperto all’ Osservatorio nazionale del libro

Così il racconto ritrovato prende il volo sul web

«Mai stato ferito a morte da nessuno»

Rai, Fico (Vigilanza): “L’ Authority intervenga sulla marchetta a Renzi”

Devo gli Oscar a papà

La «fase due» del canone Rai: il pressing sulle parrocchie

TI Insulto ergo sum

Diego Guida nominato esperto all’ Osservatorio nazionale del libro

Il Roma

link

NAPOLI. L’ editore Diego Guida è stato designato dalla “Conferenza dei rapporti tra lo Stato e le Regioni” rappresentante esperto in seno all’ Osservatorio nazionale del libro e della lettura con decreto del Mibact, Ministro dei Beni e delle Attività Culturali. L’ Osservatorio del libro e della lettura elabora studi sulla diffusione della lettura in Italia, sull’ andamento della produzione e delle vendite di prodotti editoriali, sui comportamenti di acquisto e sul consolidamento e l’ incentivazione all’ apertura di nuove librerie e biblioteche. Rappresenta un prezioso strumento per la definizione delle politiche editoriali in Italia. La partecipazione dei componenti all’ Osservatorio non dà titolo a compensi, gettoni di partecipazione, indennità o rimborsi. Gli esperti dell’ Osservatorio del libro e della lettura sono nove. L’ Osservatorio accoglie solo due rappresentanti delle Regioni d’ Italia; insieme a Diego Guida, il MiBact ha nominato anche l’ esperto della Regione Veneto nella persona di Angela Munari.

Così il racconto ritrovato prende il volo sul web

Avvenire
FILIPPO NANNI
link

Ci sono oggetti, ricordi, progetti che non si eliminano col tasto Canc. Io li trovo sempre dentro lo stesso cassetto e lì devono rimanere perché non si sa mai. Finché un giorno decido che è arrivato il momento. Per esempio di rileggere, dall’ inizio alla fine, un racconto scritto tanto tempo fa. L’ ho fatto, l’ ho letto, mi è piaciuto. Così decido di dargli un’ identità, di legittimarlo. Non penso a un prodotto tradizionale, ma a qualcosa di diverso. Scarto subito l’ idea di fare il giro degli editori. Sono un giornalista e non uno scrittore, ma ho pubblicato cinque libri e so che vuol dire: tempi lunghi, tanti passaggi necessari che non mi va più di affrontare. Ho parecchi contatti con le case editrici, potrei fare qualche telefonata, ma mi piace l’ idea di sperimentare l’ e-book, l’ idea di ‘sparare’ nella galassia del web quel racconto scritto mentre facevo l’ inviato per il Giornale Radio Rai e seguivo i processi ai serial killer italiani. Con l’ occhio curioso del giovane cronista raccontavo al microfono le udienze, le sentenze, le arringhe e le requisitorie. Ma su un altro taccuino prendevo appunti sui protagonisti dei dibattimenti. Li frequentavo per lavoro e alla fine li conoscevo bene. Mi interessavano anche come persone, fuori dai loro ruoli professionali. Ho mischiato queste storie, tra realtà, fantasia e qualche gossip. Se tutto questo fosse un film, alla fine apparirebbe la solita precisazione «ogni riferimento a fatti e personaggi esistenti è puramente casuale» e poi ognuno si fa la sua opinione. Vado avanti spinto da una certezza improvvisa: quel lavoro fatto in gran parte nelle stanze degli alberghi, seduto sul letto con la televisore accesa, il pc in mezzo alle gambe e rubando un paio d’ ore al sonno, esigeva un riconoscimento. Poco tempo fa un amico mi ha aiutato a capire come imboccare la pista di Amazon: si comincia con l’ e-book, ma chi vuole può avere anche la copia cartacea. Poi si può tradurre in inglese e allora si spalancano le porte del mondo. Vedremo. Non so se c’ entra il segno zodiacale (Acquario), ma sono sempre attratto dalle nuove sfide. Lavoro da anni alla Rai, lavoro con i suoni, gli effetti e le immagini, ma conservo la passione e il rispetto per la parola scritta. Voglio proprio vedere se quel manoscritto in versione digitale si saprà guadagnare uno spazio nella platea sterminata dei tecnolettori. Camminerà da solo, io lo seguirò con lo sguardo. Dimenticavo il titolo: Il mostro in frantumi. In bocca al lupo. «L’ ho scritto tanto tempo fa quando seguivo i processi ai serial killer italiani prendevo appunti sui protagonisti e alla fine li conoscevo bene Ho mischiato queste storie con un po’ di fantasia e qualche gossip rubando un paio d’ ore al sonno, questo scritto esigeva un riconoscimento Ho deciso di iniziare con l’ e-book: ma volendo si può avere anche la copia cartacea. Poi si può tradurre in inglese e allora si spalancano le porte del mondo. Vedremo…» RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Mai stato ferito a morte da nessuno»

Il Messaggero
MALCOM PAGANI
link

L’ INTERVISTA Prospettive di Raffaele La Capria: «Tra due mesi avrò 95 anni e se avrò fortuna diventerò anche centenario. Ho quasi un secolo, ho visto tutto e mi tiene in piedi la curiosità. La morte non mi spaventa, a farmi davvero paura è la vita eterna. Non la vorrei e anzi aspetto con la fine con serenità. I limiti e i confini sono salutari, giusti, persino consolanti. Se non esistessero, non ci sarebbe neanche l’ arte: il prelevare dalla vita che corre qualcosa che resti, un angolo di bello da mettere in cornice». Nella casa alle spalle di Piazza Venezia, il tempo di uno degli scrittori più originali dell’ ultimo mezzo secolo, scorre lento. La libertà di un pigiama di cotone a mezzogiorno. Una poltrona. Molti libri: «Un po’ di solitudine che allevio rileggendo i classici. Ieri ho ripreso in mano I fratelli Karamazov, lo leggevo a Palazzo Donn’ Anna, quando ero ragazzino e d’ estate, più in là degli archi, il tufo abbracciava l’ azzurro del mare». È estate anche adesso. «Ma è un’ estate diversa. Non nuoto più. Esco pochissimo. E gli amici di un tempo se ne sono andati quasi tutti». Che ricordi ha della sua adolescenza? «Ricordi bellissimi. A Palazzo Donn’ Anna vivevano persone di tutti gli strati sociali. I figli dei pescatori, i borghesi, i nobili. Io ero amico soprattutto degli scugnizzi. Cercavo un terreno comune. Un linguaggio per superare la diversa estrazione, ma interrogativi sociologici, per igiene mentale, non me li sono mai posti». La sua famiglia? «Mio padre, un uomo dolce a cui poi rimproverai l’ eccessiva tolleranza, era diverso dal genitore severo e tutto d’ un pezzo descritto nei suoi libri da Kafka. Commerciava in grano e divenne direttore del locale consorzio agrario». E sua madre? «Era snob e un po’ aristocratica. Mio fratello Pelos, un profanatore, si divertiva a scandalizzare lei e le sue amiche altolocate con un linguaggio volutamente volgare. Aveva inventato alcune locuzioni disgustose e non appena poteva, si esercitava nello spettacolo della dissacrazione». Esempi? «Tornava a casa, buttava una giacca sul divano, si stiracchiava platealmente e poi diceva: Ho una fame da porco, mi mangerei un cesso di fagioli. Le dame chic inorridivano e lui, che lo faceva apposta, ne godeva». Quando arrivò a Roma? «Nel 1952. A trent’ anni. Non sapevo fare niente di manuale e di concreto e quindi, come era ovvio, iniziai a lavorare per la televisione. La Rai di allora era un luogo ideale per gli aspiranti scrittori». Quando capì che possedeva un talento per la scrittura? «Il mio momento fondativo si perde nella notte dei tempi e nella smemoratezza. Da bambino, ero in un parco di Napoli, mi si posò addosso un uccellino. Tornai a casa eccitato e nel raccontarlo a mia madre, mi resi conto che con una sola frase non avevo trasmesso nessuna delle emozioni che avevo provato in quell’ istante. Capii che mi sarebbero servite più parole e che quelle parole andavano organizzate. Mi domandai come fare, mi diedi da fare». Il suo primo grande successo, nel 1961, Ferito a morte coincide con una combattuta edizione del Premio Strega. «Superai Arpino per un solo voto, ma da ragazzo ero più presuntuoso di oggi e quella vittoria in qualche modo me l’ aspettavo. Conquistai un Premio che a differenza di oggi poteva cambiarti la vita». E quel Premio le cambiò davvero la vita? «Per ragioni diverse da quelle che si potrebbero immaginare. Gli editori premevano per mungere lo scrittore di grido e io mi sentii a disagio. La mia indifferenza al plauso non era impostata, era reale. Mi ritirai all’ improvviso e per un lungo decennio non scrissi più niente». Come sfruttò quel tempo? «Cercai di capire meglio chi ero. Volevo sapere chi fossi diventato veramente e mi impegnai per scoprirlo ogni giorno senza pretendere risposte certe. Fu come entrare in un territorio sconosciuto». Chi è e chi è stato Raffaele La Capria. «Per dirla con Menandro e con Terenzio, un Heautontimorumenos. Un punitore di se stesso. Sicuramente non ho mai avuto nessuna velleità di apparire diverso da quel che ero». Lei rappresentava un tipo umano distante dagli intellettuali impegnati della sua epoca. «Non a caso, Pasolini non mi amava. Le sue giacchette – diceva – i suoi pantaloni d’ alta sartoria e intendeva qualcosa di lontanissimo da lui. Mi considerava un borghese altolocato, come d’ altra parte erano – e lì brillava un paradosso – la maggior parte dei suoi amici. Ma i borghesi per gli intellettuali come Pier Paolo erano riprovevoli. Io intuivo l’ anatema e per provocarlo, giocavo a interpretare la macchietta». E a lei Pasolini piaceva? «Non come romanziere perché non mi pareva che nei suoi libri ci fosse alcuna innovazione. Però era intelligente. Lo rispettavo. Sapeva leggere in anticipo i movimenti della società e lottava per renderla migliore in un’ epoca in cui il conformismo sulle conquiste civili e lo struzzismo erano convenienti. Ero molto amico del suo amico Moravia invece». Che memorie ha di Moravia? «Era pessimista, di un pessimismo innato e indomabile. Per certi versi, camminava con un’ ombra nera a fianco, non dissimile da quella che si proiettava su Ennio Flaiano. Grande talento pieno di intelligenza e ironia, con un fondo di tristezza inestinguibile che si avvertiva, si percepiva, si sentiva distintamente». Il ricordo di Flaiano è legato all’ epoca della Dolce Vita. «Che era meno dolce di quanto non si potesse immaginare. Me lo ricordo ancora Ennio, al limitare di Via Veneto, mentre osserva dei gagà vestiti a festa dall’ altro lato della strada e girandosi verso gli amici dice: Guarda quelli, credono di essere noi». Lei ha conosciuto bene anche Gadda e Parise. «Molto amici tra loro e al tempo stesso diversissimi. Il giorno e la notte. Gadda è stato uno scrittore enorme, un po’ barocco, meno grande di Parise perché forse Parise è stato il più straordinario in assoluto dal secondo dopoguerra a oggi. Tanto Gadda era introverso e sospettoso, tanto Parise era balzano, spiritoso e instancabile animatore di scherzi feroci». A chi erano diretti gli scherzi? «Proprio a Gadda. Goffredo conosceva il percorso quotidiano che Gadda compiva da Via Blumenstihl all’ edicola e si divertiva nottetempo a ridisegnare le strisce stradali. Gadda, preoccupato, ci costruiva sopra percorsi dietrologici: Ma credi mi debba preoccupare – gli diceva – pensi che qualcuno mi stia seguendo?. Non erano gli unici scherzi armati da Parise». Ci racconti gli altri. «Una volta ritagliò giornali scandalistici fino a formare dei finti falli di carta, poi, proprio dall’ ufficio postale da cui Gadda spediva le sue lettere, inviò plichi pieni degli stessi falli in forma anonima alle amiche di Gadda. Carlo Emilio era sconvolto. Era certo che le signore avrebbero attribuito il colpo di testa proprio a lui». In cosa ha creduto nella vita? «Sicuramente non nella politica. Ho creduto nell’ amore. Ho amato molto e sono stato anche amato o rifiutato. Conosco tutti gli aspetti di quella fenomenologia. Il territorio dell’ amore per me è stato molto importante. Per me l’ amore è conoscenza perché non si conosce veramente qualcosa se non la si ama». Da tempo immemore si accompagna con Ilaria Occhini. «Quando fuggivamo al mare guardavo sempre in alto per capire da dove fosse piovuta la fortuna di poter dividere il tempo con una donna così bella. Io ero bruttarello, lei una dea. Una dea che all’ epoca incarnava un’ eroina della tv e che veniva riconosciuta ovunque. Non potevamo fare un passo da soli, gli ammiratori la assediavano. E sempre a proposito di divinità, temevo che gli dei potessero avercela con me». Come mai? «Per invidia. Con Ilaria ho attraversati momenti così felici che a tratti mi sembrava di essere proprio un dio. Sono stato un uomo felice e fortunato. Al mio novantesimo compleanno, circondato dall’ affetto di tanti amici, ho fatto anche un piccolo esorcismo. Se esiste la nèmesi- ho detto- siamo proprio inguaiati». Il suo soprannome è Dudù. «Oggi è il nome del cane di Berlusconi, ma ben prima del quadrupede, ho sempre sospettato che con un nomignolo del genere non sarei mai stato considerato un vero scrittore. Gli amici mi tormentavano. Flaiano diceva: Dudù, non sei più dù e Gadda raccontava di due amanti d’ albergo inglesi che – complici le pareti sottili e le esortazioni della ragazza: Do-do-do gli avevano fatto trascorrere una notte d’ inferno con la musica del mio soprannome nelle orecchie: Dù, dù, dù. Così, per ore e ore». A quasi 95 anni le ore hanno un ritmo diverso? «Vedere la vita trasformarsi a ogni minuto e osservare questa continua metamorfosi che non si può fermare né catturare continua a piacermi». Avrebbe mai immaginato di giungere fino a qui? «Sono nato in un’ epoca in cui si andava a piedi e adesso vivo nell’ era dell’ intelligenza artificiale. È avvenuto tutto in maniera così rapida, così subdola, di certo ho visto tutto. Alla vecchiaia da ragazzo, ma anche da cinquantenne, non ho mai pensato. Ci penso adesso perché sono veramente vecchio». E a cosa pensa? «Che la vecchiaia, come in quel bel film di Sorrentino, ha tanti momenti che riportano alla giovinezza. Ho tanti amici più giovani di me. Amo ascoltarli. È un privilegio. Loro rappresentano il futuro. Anche il mio futuro». Cosa le manca? «Gli amici. Se non li avessi incontrati, non sarei quel che sono. Ne ho avuti tanti, da Peppino Patroni Griffi fino a Francesco Rosi, il più caro, il più lieve d’ animo: il fatto che non sia più qui mi fa soffrire. Non sono i padri a insegnarci qualcosa, ma i nostri coetanei». Le rimangono I Fratelli Karamazov. «La scoperta dell’ anima, Dio, gli uomini, la morte, la vita. I romanzi di allora non parlavano dei piccoli avvenimenti casalinghi, dei tinelli, delle cose inutili». Ha mai litigato con qualcuno? «Credo di sì, l’ importante è non ricordarselo. Mio fratello Pelos – per dirla con Thomas Mann – un beniamino della vita, me lo ripeteva sempre». Pelos passò la seconda parte della sua vita con Isa Barzizza, l’ attrice preferita da Totò: con De Curtis girò ben undici film. «Pelos era unico, eccezionale, uno spiritosissimo mercurio shakespeariano. Pazzo e scatenato. A Rosaria, la governante, rubava i denti d’ oro». Come? «Prima la blandiva: Con quei denti d’ oro non avrai mai il sorriso che meriti. Sei bellissima, se me li dai ti farò avere in cambio una dentiera bianchissima. Lei che aveva un aspetto tremendo e bella non sarebbe mai stata si lasciava convincere e Pelos con i proventi dei denti d’ oro andava in giro a gozzovigliare. Quando Rosaria capì l’ inganno, incazzatissima, andò a lamentarsene con mio padre: Signoria – gli disse – suo figlio mi ha truffato, adesso posso mangiare soltanto le minestrine e lui, comprensivo: Ma Rosaria cara, non lo sai che è un mascalzone nato?. Al figlio di Eduardo De Filippo, notoriamente parsimonioso, Pelos diceva sempre: Fatti accattà o Giaguàr. Intendeva Dal tuo padre che ha i soldi, fatti comprare una Jaguar». Lei infilò l’ episodio dei denti d’ oro nella sceneggiatura di Leoni al sole di Vittorio Caprioli. «Ho scritto a lungo per il cinema e mi sono molto divertito. In Africa, con Nelo Risi, vidi uno spettacolo che mi portai dietro per molti anni. Il film che avevo sceneggiato per lui si intitolava Una stagione all’ inferno e raccontava l’ amore tra Rimbaud e Verlaine. Gli attori inscenarono una battaglia e sopra iniziarono a volteggiare gli avvoltoi. A ostilità concluse, rimasero a bocca asciutta e per sfogare frustrazione e aggressività iniziarono ad attaccarsi tra loro fino a uccidersi. Mi è sempre parsa una potentissima metafora dei nostri tempi». Che tempi sono? «Avere un’ idea della contemporaneità oggi è più difficile di ieri: È tutto più indecifrabile, liquido, indistinto». La politica l’ ha sempre lasciata indifferente? «Francamente sì. So che è un’ arte e come tale pretende creatività, ma ne sono sempre stato alla larga». Lei ha avuto l’ onore di due distinti Meridiani Mondadori a lei dedicati. La aspettano le celebrazioni per i suoi 95 anni a inizio ottobre. È pronto? «Ma ormai credo che le celebrazioni per me non le voglia fare nessuno». Perché dice così? «Per realismo. Mi sembra di essere già stato consumato, masticato e digerito». Malcom Pagani © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, Fico (Vigilanza): “L’ Authority intervenga sulla marchetta a Renzi”

Il Fatto Quotidiano

link

La commissione di Vigilanza della Rai dovrà valutare la “maximarchetta” al libro di Matteo Renzi denunciata dal Fatto quotidiano di ieri. Lo farà dopo l’ intervento di Roberto Fico, deputato M5s e presidente della commissione stessa che ieri su Facebook ha scritto che “la diretta di Rainews della presentazione del libro di Renzi, andata in onda nei giorni scorsi per 25 minuti, è l’ ennesima dimostrazione del rapporto simbiotico fra la Rai e l’ ex premier”. Secondo il deputato pentastellato “non si trattava di un evento istituzionale (Renzi infatti non ricopre alcuna carica) né di un grande evento politico meritevole di cronaca. No, semplicemente una delle tante presentazioni del libro, inframmezzata dall’ intervista del direttore della testata”. Per questa ragione ha deciso di porre la questione in Commissione di Vigilanza: “Contestualmente chiederò all’ Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni di verificare, per le eventuali sanzioni, la legittimità di quanto avvenuto in questi giorni e più in generale dello stato del pluralismo alla luce dei dati dei primi sei mesi. In Rai – ha concluso Fico – hanno solo mescolato le carte, la situazione continua a essere preoccupante”.

Devo gli Oscar a papà

Corriere della Sera
Giuseppina Manin
link

«In principio fu la Lux» avverte Vittorio Storaro. La Lux Film s’ intende, quella di Fellini, Visconti, Germi, Comencini… «Mio padre ci lavorava come proiezionista. A sette anni ero in cabina con lui, vedevo tutti i film. Cercavo di capire la storia dalle immagini, visto che il sonoro era solo in sala. L’ amore per il cinema è nato lì» assicura il mago delle luci e delle ombre del grande schermo, tre Oscar per la miglior fotografia ( Apocalypse Now , Reds , L’ ultimo imperatore ), che il 26 luglio riceverà a Fiesole il premio «Maestro del Cinema» 2017. Un titolo impegnativo… «Mi mette a disagio, a scuola ero pessimo… Mi ha salvato questo mestiere. E mio padre. Avrebbe amato realizzare i film che proiettava e ha spinto me verso la fotografia. A 13 anni lavoravo in un laboratorio fotografico, pulivo le bacinelle, ho imparato la pratica. La teoria è venuta al Centro Sperimentale. E il sogno di mio padre è diventato anche il mio». L’ inizio di una grande avventura. «Ero bravino, ma conoscere la tecnica non basta. Fu Camillo Bazzoni, direttore della fotografia che mi aveva preso come assistente, a farmi capire che il cinema è un’ arte che si nutre di altre arti. Mi spinse a leggere Pavese e Faulkner, ad ascoltare Mozart e Beethoven. Andai in crisi, mi chiusi in casa per un anno a studiare di tutto. Finché Bazzoni mi scosse: “Devi ripartire, a costo di tornare indietro. C’ è un giovane di Parma che sta per iniziare un film. Vai a incontrarlo”». Un giovane di nome Bertolucci. «E il film era Prima della rivoluzione . Bernardo aveva 22 anni, io 23. Tra noi si stabilì un’ intesa durata tutta la vita. Ho fatto la fotografia di quasi tutti i suoi film, ho imparato il senso della composizione. Ma la grande scoperta è stata la folgorazione della luce». Ne parla come fosse Paolo sulla via di Damasco… «In un certo senso è stato così. Un giorno, ero in piazza Navona, entrai in una chiesetta che non conoscevo, San Luigi dei Francesi. Mi avvicinai a una nicchia e quel che vidi, La vocazione di San Matteo di Caravaggio, mi cambiò la vita. Il taglio di luce che percorreva quel dipinto stravolgente separava l’ umano dal divino. Tutti i miei film successivi sono stati segnati da quella rivelazione. La scena di Apocalypse Now , quando Brando-Kurtz emerge dalle tenebre, l’ ho girata pensando a Caravaggio, rimandando il più possibile lo svelamento del volto». Un percorso nella luce, nei colori, che ha fatto di lei l’«occhio» di Bertolucci e Coppola, Saura e Warren Beatty. «Sono stato fortunato a incontrarli, a girare simili film oggi impensabili, visto che l’ industria del cinema agisce solo in piccolo. Si rifanno sempre le stesse storie, non si rischia nulla. Nemmeno quei quattro grandi riescono più a realizzare il film che ciascuno ha nel cassetto. I produttori di oggi sono cresciuti con i videogiochi e li vogliono vedere anche al cinema. Di recente ho proposto alla Rai di partecipare a tre film molto interessanti a cui ho collaborato, uno sulla vita di Edith Stein, l’ altro sulla condizione della donna nell’ Islam, il terzo sulla giovinezza di Maometto. Non mi hanno neanche risposto». Invece l’ ha chiamata Woody Allen per «Café Society»… «Prima di accettare ho chiesto di leggere lo script. Non si fa con Allen, mi ha ammonito l’ agente. Ho insistito e Woody ha accettato. Però mi ha mandato il copione assieme a un suo uomo di fiducia, con il patto di leggerlo lui presente e quindi riconsegnarlo. Mi spiace, ho risposto, io me lo porto a Sabaudia, me lo leggo con calma. Quindi ho detto sì. Sapevo che lui ama girare in pellicola, gli ho proposto di passare al digitale. Non si può fermare il progresso». Dev’ essergli piaciuto, visto che avete da poco terminato le riprese di un secondo film, «Wonder Wheel». «La grande ruota del parco di Coney Island. È stata una ricerca sui colori estremi, un’ immersione nel mondo del fantastico. In quel luogo di meraviglie, una famiglia (Kate Winslet, Jim Belushi, Justin Timberlake, Juno Temple) vive lo scontro tra illusione e realtà. Prima di salutarci mi ha allungato un plico. Un nuovo copione. L’ appuntamento è per settembre a New York».

La «fase due» del canone Rai: il pressing sulle parrocchie

Il Giornale
PAOLO BRACALINI
link

Con il trucco del canone in bolletta la Rai ha fatto bingo: 1,8 miliardi di euro di incasso dall’ odiata tassa sulla tv pubblica, ben 256 milioni di euro in più rispetto all’ anno prima. Ma ci sono margini di miglioramento per le casse di Viale Mazzini, sempre famelica di denaro pubblico perché con il canone ridotto da 100 a 90 euro teme di non far quadrare più i conti (malgrado i miliardi in ingresso dal Tesoro). I vertici Rai sanno che c’ è ancora una platea di contribuenti da spolpare per bene – così da permettersi supercontratti alla Fabio Fazio -, quelli del cosiddetto «canone speciale», l’ obolo riservato ad aziende, partite Iva, esercizi pubblici, alberghi, studi professionali, botteghe, negozi, mense aziendali, scuole etc. Il canone speciale (molto più alto, si arriva anche a diverse migliaia di euro), a differenza di quello domestico, non è stato inserito nelle bollette elettriche ma si paga ancora alla vecchia maniera, col bollettino postale. E ciò comporta che, non potendolo prelevare automaticamente con la bolletta della luce, il gettito non sia all’ altezza delle aspettative della Rai, che stima un’ evasione ancora alta, e nel 2016 ha recuperato solo 2 milioni di euro in più rispetto al 2015. Ecco dunque partita la fase due dell’ operazione canone: spedizione massiccia di bollettini con invito al pagamento per non incorrere in sanzioni. Le lettere della Rai stanno arrivando a pioggia a negozianti, partite Iva che lavorano da casa, aziende che neppure hanno un televisore, persino alle parrocchie. Nei giorni scorsi la Diocesi di Milano ha pubblicato una circolare proprio per orientare i parroci interdetti di fronte al bollettino appena ricevuto dalla Rai: «Nei giorni scorsi alcuni enti ecclesiastici hanno ricevuto una richiesta di pagamento del Canone Speciale Rai di euro 121,25 – scrive nella lettera don Lorenzo Simonelli, avvocato generale della Curia milanese – Le parrocchie che al di fuori delle abitazioni private non detengono alcun apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissione radio televisive non devono pagare alcunché. Qualora, invece, le parrocchie detengano un apparecchio Tv sono tenute a pagare il canone speciale». Insomma se il sacerdote ha la tv nella sua abitazione deve pagare il canone domestico ma non quello speciale per la parrocchia, mentre se nell’ oratorio c’ è la tv allora sì, scatta pure quello speciale. Ma la domanda (devo pagarlo o no?) sta ossessionando svariate categorie, non solo i preti. Perchè la Rai non fa un invio selettivo, ma spedisce a tutti. E alcuni, nel dubbio e nel timore di sanzioni, pagano anche se non devono, come denuncia l’ Aduc, l’ associazione di consumatori che sta ricevendo molte segnalazioni e richieste di aiuto sul canone speciale. Gianluca, titolare di una srl che vende catene da neve on line, ha ricevuto il bollettino anche se non ha uffici aperti al pubblico e neppure il televisore, «non posso credere che dobbiamo pagare il canone, cosa devo fare?» domanda. Maurizio, da Roma, agente immobiliare con partita Iva e come sede legale casa sua, ma la Rai gli ha mandato la richiesta del canone speciale come se fosse titolare di un bar con gli schermi tv, «devo effettivamente questa assurda gabella?» domanda. Stesso quesito di Silvana da Pitigliano, pure lei partita Iva che lavora da casa, dove ha un televisore su cui paga già il canone, ha ricevuto il bollettino di 242,47 euro del canone speciale. Risposta dell’ esperto: «Se la sede legale della sua attività è dove abita ed ha un televisore, il canone speciale è dovuto, anche se per lo stesso apparecchio paga già il canone domestico». Demenziale, ma la legge lo è altrettanto. Nell’ incertezza c’ è chi paga, e la Rai incassa pure questi oltre ai quasi due miliardi del canone domestico in bolletta.

TI Insulto ergo sum

L’Espresso
R.Saviano
link

Quando leggo le interviste a chi è stato popolare in epoca pre-social, mi rendo conto che la visibilità rende bersagli, sempre. Gli strali, fino a un decennio fa, arrivavano spesso dalla stampa e avevano più che altro lo scopo di veicolare messaggi che i non addetti ai lavori comprendevano in parte. Allora la frase dei big del passato che più spesso leggerete o ascolterete è questa: «La stampa mi attaccava, ma le persone erano con me». Ed è vero perché le persone continuavano a vivere con chi era famoso un rapporto scevro da condizionamenti. Il cantante, il presentatore televisivo, il comico lo si vedeva in tv e non esistevano altri spazi di condivisione. Oggi è tutto diverso. I social hanno azzerato ogni distanza tra il “personaggio” e le persone che hanno compreso e interiorizzato una regola aurea: l’ unica interazione possibile è l’ insulto. Insulto più o meno becero, più o meno volgare, ma il rapporto con chi ha visibilità passa quasi esclusivamente per una messa in discussione che prescinde dai contenuti. Faccio un esempio concreto. Posto un video in cui racconto il mio stato d’ animo e un ragazzo risponde: «Sei un fenomeno, scrivi il luogo di destinazione consapevole di essere scortato. Allora non hai bisogno della scorta… Maurizio Costanzo è ugualmente sotto scorta ma NON scrive su fb cazzate e luoghi di DESTINAZIONE…». Questo commento ottiene novantacinque risposte e una sessantina di like. Vado sul profilo dell’ autore e noto che gli ultimi dieci post non hanno avuto nemmeno un like, nessun commento. Quindi per contare sui social (quando non si tratta di profili fake creati ad hoc) basta insultare chi ha séguito. E sulla mia scorta tutti esperti, tutti poliziotti e investigatori che ignorano la funzione che la protezione ha: farmi vivere non farmi stare recluso. Ma gli insulti arrivano a tutti, mica solo a me e a dire il vero sarebbe un fenomeno normale, al quale dedicare ben poca attenzione, se dietro alcuni apparentemente innocui non si nascondesse altro. Pubblico la notizia della morte di Maryam Mirzakhani, matematica iraniana, prima donna medaglia Fields, scomparsa a 40 anni per un cancro al seno. Ho osato ricordare come in Iran lo studio universitario sia stato precluso alle donne e come Maryam Mirzakhani, laureandosi in matematica nel 1999 e riuscendo a vincere quello che viene considerato il Nobel dei matematici, abbia compiuto un vero e proprio miracolo. Riporto le denunce del premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi sulle difficoltà delle donne ad accedere all’ istruzione, ma nulla, ho toccato per l’ ennesima volta un nervo scoperto che non ha sguinzagliato semplici hater, ma chi tutto sommato considera i diritti delle donne diritti accessori. Segnalo poi il fact-checking di quanto ho scritto fatto da Daniele Scalea sull’ Huffington Post che va proprio in questa direzione ovvero affermare che è un’ esagerazione dire che Matematica sia stato (quando Maryam Mirzakhani, l’ ha frequentato) uno dei pochi corsi consentiti alle donne, salvo poi ammettere che alle università le donne con alcune limitazioni possono iscriversi («Le restrizioni all’ accesso contro le donne riguardano una minoranza dei corsi e solo in una minoranza di università»), ma poi la carriera possono anche dimenticarsela. È di donne che si parla e per alcuni, dopo tutto, è già tanto quello che hanno raggiunto No? Su Facebook, invece, mi ha colpito questo commento: «Lascia stare l’ Iran e occupati della mafia e cose di casa ti consiglio». Un consiglio, certo, come quelli che ricevo da chiunque. Se parlo di camorra diffamo il Paese. Se racconto le infiltrazioni delle mafie nel nord Italia dovrei parlare del Sud. Se parlo di Londra capitale mondiale del riciclaggio, dovrei occuparmi di Italia. Se mi rammarico per la morte prematura di una donna, esempio di determinazione in un Paese come l’ Iran che nel 1999 (anno in cui Maryam Mirzakhani si è laureata) ha visto proprio gli studenti universitari marciare tenendosi per mano sfidando l’ esercito, vengo invitato al silenzio. Memoria a breve termine o revisionismo? Intanto chi viene sulla mia pagina per insultare è ben lieto di appoggiare questo genere di commenti. Intendiamoci, se non volessi scatenare alcuna reazione smetterei di scrivere; quello che mi preoccupa è altro. L’ hater che arriva con l’ intenzione di racimolare like riesce a distinguere tra una critica becera ma innocua e la difesa di un potere nefasto? Spero di sì perché sono molto meglio i «Saviano sei un coglione» che gli inviti al silenzio o i fact-checking furbi sulla pelle delle donne.n Prendersela con i personaggi noti. Spesso sui social network è un modo per cercare qualche séguito. Altrimenti inesistente ROBERTO SAVIANO L’ antitaliano.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 8228

Trending Articles