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Mediaset, la tv generalista ora guarda al mondo del digitale
Tre giorni di summit sulla cine-industria, aspettando Sarandos
FATTA FUORI PERCHÉ AMICA DI GILETTI
L’ ultimo regalo di Ilaria Alpi: farci tornare giornalisti
Mediaset, la tv generalista ora guarda al mondo del digitale
Corriere della Sera
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Se la presentazione dell’ offerta Rai per la prossima stagione è stata dominata dalla polemica sui «volti» (il contratto di Fabio Fazio, il futuro di Massimo Giletti), quella di Mediaset ha puntato più sui contenuti. La filosofia su cui si orienta Cologno sembra essere questa: la tv generalista è, in Italia, più viva che mai, bisogna solo «traghettarne» l’ esperienza nel mondo del digitale. Dicono che la pay tv classica (fatta di abbonamenti vincolanti, canali lineari e costi elevati) abbia il fiato corto, a fronte delle molte offerte più «leggere» che viaggiano in Rete (Netflix e gli OTT). Così, il contenuto, localmente prodotto, «caldo» e spesso in diretta, è ancora una volta la chiave per il successo. E dunque sul contenuto italiano o da «Strapaese» (De Filippi, Bonolis, «Striscia», «Iene», Celentano) si punta: venendo ai numeri, le tre principali reti commerciali hanno incrementato, in questi anni, le serate di produzione «made in Mediaset», che sono passate da 241 dello scorso anno a 281 (di cui 96 su Italia 1, 93 su Canale 5 e 92 su Rete4). Per la stagione 2017-18 l’ incremento di produzione di fiction, intrattenimento e approfondimento è previsto dal 25% (Canale 5) al 33% (Italia 1). Una mole di contenuto realizzato in Italia (anche se spesso basato su format internazionali) pronto per approdare nel mondo digitale: il nuovo servizio «Mediaset Play» (attivo, però, solo dal 2018!) consentirà, seppure in ritardo, una fruizione «anywhere» (tv, tablet, telefonini) e «anytime» (tutto on-demand), consentendo di passare facilmente dal «tutto gratuito» (pubblicità inclusa) a progressivi livelli di pagamento (per i contenuti pregiati), sul modello «freemium» (in parte free e in parte pay). A Cologno si pensa insomma sempre più a una «Spotify della tv» che alla «vecchia» (e mai decollata) Mediaset Premium. (a.g.) In collaborazione con Massimo Scaglioni,elaborazione Geca Italia su dati Auditel.
Tre giorni di summit sulla cine-industria, aspettando Sarandos
Il Mattino
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Tra i punti di forza dell’ Ischia Global Film & Music Fest, al di là del glamour e delle anteprime internazionali, c’ è il convegno dedicato alla produzione cinematografica e audiovisiva che, da qualche anno a questa parte, ha trasformato l’ appuntamento di luglio sull’ isola in un importante e atteso momento di confronto tra i principali players italiani e internazionali di un’ industria che, con l’ avvento del digitale e delle nuove tecnologie, è in continuo mutamento. Non è un caso che, un paio di anni fa, Netflix scelse proprio l’ Ischia Global per la sua prima uscita pubblica in Italia, inviando il suo potente responsabile dei contenuti, Ted Sarandos, a incontrare i principali produttori nazionali. E, anche se non ufficialmente annunciato, Sarandos potrebbe fare una sortita ischitana a sorpresa pure quest’ anno, anche perché tra le anteprime internazionali in programma al Regina Isabella di Lacco Ameno c’ è quel «Fino all’ osso» di Marti Noxon (To the Bone) che proprio il colosso statunitense della distribuzione in streaming diffonderà world wide a partire da venerdì. Così, Sarandos o non Sarandos, anche quest’ anno la kermesse ideata e prodotta da Pascal Vicedomini ospiterà un affollato Global Production Summit (in tre sessioni: domani, martedì e sabato), che quest’ anno proporrà al suo interno anche un interessante focus sulla Campania, in un momento peraltro caratterizzato dal recente varo della nuova legge regionale sul cinema e sugli audiovisivi e dalla partenza dei primi finanziamenti riservati proprio a quelle produzioni che gireranno in Campania. Come di consueto, il parterre sarà particolarmente qualificato, grazie alle presenze e agli interventi di Cheryl Boone Isaacs (la presidente uscente dell’ Academy), del produttore Art Linson (omaggiato ieri sera con una proiezione di «Gli intoccabili» di Brian De Palma nella baia naturale del Regina Isabella) e del chairman di Lionsgate Pictures, Patrick Wachsberger. Attesi anche Allen Shapiro, ceo della Dick Clark Production, produttore dei Golden Globes e degli American Music Awards; Avi Lerner della Millennium, Bobby Paunescu della Mandragora, Trudie Styler, Mark Canton, Andrea Iervolino e Monika Bacardi della Ambi, Andrea e Raffaella Leone del Leone Film Group, Iginio Straffi (presidente di Rainbow Group e «papà» della Winx), Edward Walson di Gravier Production, Stanley Isaacs di 100% Entertainment, Al Newman di Newman & Co., Lola Karimova Tillyaeva e Timor Tillyaev, Dorothy Canton della Mad Riot, Heidi Jo Markel della Eclectic Pictures, Christa Campbell di Campbell Grobam Films, Alessandro Salem di Medusa, Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Aurelio e Luigi De Laurentiis della Filmauro, Giuseppe Pedersoli di Smile Production, Nando Mormone di Tunnel Produzioni, Gianluca Curti di Minerva Pictures, Gaetano Di Vaio di Figli del Bronx, Pierpaolo Verga di O’ Groove e Attilio De Razza di Trump Limited.
FATTA FUORI PERCHÉ AMICA DI GILETTI
Libero
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«Vi racconto una storia amara ma “molto bella” che racconta anche l’ Italia dei giorni nostri e il malcostume che la governa. Riguarda me, e la mia famiglia». Chi scrive – su Facebook – è Catena Fiorello. La sorella di Rosario e Beppe. Catena è una scrittrice di successo. Gira l’ Italia con i suoi libri – da Nati senza camicia al più recente L’ amore a due passi – e la vediamo spesso nei salotti tv. Non in tutti però. «Oggi pomeriggio (lo scorso 29 giugno, ndr) dovevo essere ospite di un programma, era tutto confermato. All’ improvviso qualcuno, chissà chi, ha posto un veto. È accaduto sempre negli anni passati, ma sono andata avanti con la schiena dritta», ha fatto sapere via social. In un video ha poi aggiunto: «Ho ricevuto un messaggio che diceva: “Sei stata invitata, devi venire questo giorno e sarai insieme a… Poi, un altro: “Guarda che non mi fanno passare il tuo contratto. Per altro vado sempre gratis, l’ importante è che si parli un po’ dei miei libri». Il riferimento è probabilmente a uno dei contenitori Rai – solo la tv di Stato resta accesa nella stagione estiva – che quindi avrebbe cancellato la sua ospitata. Un curioso sincronismo, come lei stessa ha fatto notare: «Strana coincidenza: il veto sulla mia ospitata di oggi (l’ ennesimo) è arrivato dopo che mio fratello Rosario si è espresso circa il caso #Giletti. Strano davvero! Pensateci. #vorremmounitalialibera». Fiorello infatti si è schierato contro la chiusura de L’ Arena. La scrittrice insomma avrebbe «pagato» – non solo questa volta – per il suo cognome. Inspiegabilmente. «() Una presentatrice in particolare, me la ricordo benissimo, una biondina apparentemente dolce e amante della natura, disse ai suoi autori che ero troppo protagonista in video, e che preferiva che non andassi più nel suo programma. E poi i tanti altri che, avendo sullo stomaco (per invidia, è chiaro!) i miei fratelli, hanno sempre fatto pagare a me le loro masturbazioni mentali () In certi studi televisivi (e questo non è mai accaduto in #Mediaset, sottolineo per onestà intellettuale) funziona così: la tal responsabile del programma facendo la padrona, o il tale capo progetto in carica per oscuri motivi decidono per simpatie personali, e usano il loro piccolo potere per vendicarsi e divertirsi umiliando le persone«. Catena ha poi precisato «in Rai ho lavorato benissimo». Ha fatto infatti una serie di programmi molto apprezzati dal pubblico. «Nati senza camicia andava su Rai Tre dalle 11 a mezzanotte e faceva uno share veramente alto () Blog – Reazione a catena andava in onda in tarda serata su Rai Due e chiunque veniva in quel programma mi faceva i complimenti per quanto era bello. () Sono andata a La vita in diretta o dallo stesso Giletti, che mi ha voluto perché mi stima e non perché sono la sorella di, anche se mi disse all’ epoca che aveva avuto qualche problemino a farmi ospitare (). Fino a oggi mi hanno sempre chiamata, non è che io volevo andare a tutti i costi». Per poi concludere perentoria: «L’ omertà uccide il 90% degli ambienti televisivi». Diciamolo. »
Perché lo Strega è lo Strega
La Repubblica
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Da Benevento al Ninfeo di Villa Giulia, storia e cronaca della competizione letteraria più famosa. La scrive un protagonista particolare: un editor che per la prima volta è diventato candidato Testo di Alberto Rollo, fotografie di Lavinia Parlamenti Ecosì arriva il momento in cui un romanzo si impone, un editore si impone, un gusto si impone. Quest’ anno tocca a Le otto montagne di Paolo Cognetti. Il Premio Strega è sempre (o quasi sempre) riuscito a far leggere l’ opera che ha premiato, e a creare una dinamica imitativa che, fascetta o meno, ha fatto entrare lettori e consumatori in libreria. È di fatto un moltiplicatore che agisce sul mercato attraverso la comunità allargata dei lettori. Una vittoria implica un flusso di ristampe per l’ editore ma soprattutto innesca un passaparola che, quando la narrazione è veramente efficace, ” lavora” fino all’ anno successivo. ” Mi leggo lo Strega, quest’ estate” è un tormentone tuttora vivo, e spesso taglia titolo e autore per lasciar emergere il Premio. Al netto delle puntuali polemiche che hanno nutrito tutte le sue stagioni. I pacchetti di voti, le telefonate degli editori ai giurati, le promesse fatte, quelle palesemente tradite, il coinvolgimento degli uffici stampa (veri grandi protagonisti della triangolazione autore/editore/premio) e da qualche anno a questa parte di professionisti ingaggiati con il compito di interrogare i giurati, rammentare ai giurati, consigliare i giurati. Sembra un paradosso ma non lo è: la massima opacità dello Strega finisce con il coincidere con la sua massima trasparenza. Tutti sanno quello che sta succedendo, e lo sanno come impettiti, diplomatici nelle gallerie di specchi della Versailles di Luigi XIV, come aristocratici sospettosi della Pietroburgo post decabrista, come asburgici funzionari messi di fronte ai Fatti di Mayerling. Silenzio, sussurro, e quando va bene, riccioli di ironia. Ma in fondo a questa strada c’ è un romanzo che imbocca la strada della risonanza. L’ autore leva la bottiglia gialla sul palco, ingolla un sorso, il miracolo è fatto. La grande macchina delle trame si ferma e sembra una betoniera abbandonata fuori dal Ninfeo (e, a proposito, bentornati al Ninfeo). E allora? E allora fatemi ricordare: quest’ anno ci sono stato anch’ io. Dall’ altra parte. Per la prima volta. Non è stata una decisione semplice acconsentire. Ho fatto della mia ricognizione su Milano e sulla mia generazione un’ opera che il mio piccolo, nobile editore salentino ha voluto chiamare romanzo. E così, si va allo Strega. E lo Strega, per chi non lo sapesse, comincia a Benevento dove il celebre liquore si produce. Lì sotto l’ arco di Traiano ho rammentato come mi trovassi a far parte di una dozzina in cui comparivano miei ex autori, autori che avrei voluto pubblicare, autori che avrebbero voluto essere pubblicati e autori che sono autori della casa editrice in cui lavoro da sei mesi. Ci sono stati tempi in cui entravano anche cinque autori della stessa casa editrice (Feltrinelli nell’ edizione 1959 che vide trionfare Il Gattopardo). Ci sono stati tempi in cui nelle case editrici lavoravano scrittori, intellettuali, studiosi: un gran fermento che la selezione del Premio rifletteva. Quest’ anno eravamo in due – dato che concorreva anche Ferruccio Parazzoli, figura chiave della casa editrice Mondadori ma scrittore da sempre: ciò non toglie che mi sentissi un po’ solo con i miei trent’ anni di lavoro editoriale alle spalle, a reggere lo scarto che comunque agisce fra editor e autore. Ma il mondo è largo. C’ è spazio per fare anche questo genere di esperienza. E a quel punto è cominciato il teatro delle anime. Ti trovi a fianco persone, spesso meravigliose, che ci tengono, che hanno sudato sulla pagina, che hanno messo il cuore nella scrittura e improvvisamente si scoprono con una faccia diversa, con una faccia ” stregata”. Bewitched, come in una canzone di Rodgers e Hart. E non sono cominciate oggi quelle facce. Non è un caso che il Premio abbia dedicato un libro fotografico ai vincitori. Personalmente rammento, fra le facce, quella smagliante di blues della vittoria di Mimmo Starnone, quella torva di beatitudine di Maurizio Maggiani, quella lucida e ansimante di Ugo Riccarelli, quella tutta raccolta nelle pieghe ai lati della bocca di Nicola Lagioia, e fuori dai vincenti, quella severa e scavata di Vittorio Sermonti, quella indagante e sorniona di Paolo Sorrentino, già presago della ” mostruosa” bellezza sociale che dal Ninfeo avrebbe reinventato su una terrazza romana, e soprattutto quella di fanciullo un po’ sgomento e un po’ ferito del grandissimo Ermanno Rea che nel 2008 il vincitore Paolo Giordano voleva accanto a sé sul palco. Quando me ne parlava negli anni seguenti, Rea alzava le spalle: non recriminava e non snobbava – era ormai contento di star fuori dalle competizioni o comunque pensava che avrebbe dovuto battersi (e lo ha fatto) su altri piani della promozione editoriale. Già, gli sconfitti. Fanno parte della storia del premio. La faccia stregata la portano anche i giurati e funzionari editoriali: per quanto abbiano brigato, per quanto si siano spesi, la notte del Ninfeo hanno la grimace della sfida lanciata, il furore dei voti che non sono arrivati, il sentore desolante di aver “portato” il romanzo “sbagliato”, l’ incerta postura di chi non ha potuto portare a compimento la promessa di voto. Ci si volge indietro e la galleria di ritratti si allunga in una prospettiva infinita: c’ è tutta la narrativa italiana del dopoguerra nel “catalogo” degli scrittori che sono stati selezionati, anno dopo anno, dopo il fatidico 1947 che vide la vittoria di Ennio Flaiano con Tempo di uccidere, edito da Longanesi. Forse allora una faccia “stregata” era ancora prematura, ma è già evidente, quasi dieci anni dopo, nella pensosa gratitudine di Giorgio Bassani, nella gioia vaporosa di Elsa Morante che indica sulla lavagna la sua Isola di Arturo, in quella di Paolo Volponi seduto accanto a Pier Paolo Pasolini in attesa dello spoglio (nel 1955 era stata fondata la rivista Officina e Pasolini aveva voluto la collaborazione dello scrittore urbinate). Sono foto di una festa quelle che arrivano dal passato, e raramente si contempla l’ altra metà della ideale “sala da ballo”. Che pure esiste. È come se ci fosse qualcosa di favoloso nella partecipazione al Premio, come se l’ Istituzione Culturale che esso è diventato accendesse un incanto, gettasse una malia ( siamo in fondo dentro i parametri della fiaba di Cenerentola e tutto finisce – o tutto comincia – dopo la mezzanotte). Vincitori e sconfitti sono messi al riparo dall’ incertezza, perché, se è pur vero che il Premio non canonizza, certamente disegna la dinamica di una affermazione che si ripete, puntuale, ogni anno. Lo scrittore è condotto ogni volta a palazzo. Perciò “vien su” una faccia particolare, quella che pregusta, che smania, che si colma di attesa. Ha il premio un nesso con la qualità? Ma certo che ce l’ ha. Ce l’ ha, perché osa, e seleziona. Comunque lo fa. Quando quell’ osare e selezionare fossero pure motivo di protesta e di ingiustizia, l’ innesco del tema della qualità è fatto. Da lì si può cominciare a discutere, proprio alla maniera antica, magari fuori dal legittimo articolare della critica, dove ” lavora” il basico duello fra “mi piace”, “non mi piace” – che è l’ utensile molto concreto, per nulla magico, della comunità dei lettori. Comunità di cui facciamo parte, editori o autori senza distinzione di ruolo. Ho guardato con curiosità i miei nuovi “colleghi”, quest’ anno: lo facevo da infiltrato, e la cosa era, a suo modo, interessante. Come stare in un acquario, e malgrado l’ ovidiana metamorfosi si sentiva in controluce la persona: e della persona il tormento, il sospetto, la fragilità. E la letteratura? Lo si dovrebbe usare con parsimonia questo termine. La letteratura è ciò che resta del lavoro sulla parola, non ne è mai la premessa. E “ciò che resta” va al di là di un premio, anche di un premio importante come lo Strega. Nell’ estate del 2005 ho avuto la fortuna di portare a pranzo nella sua Elba, trattoria sospesa sul mare, Anna Maria Rimoaldi. Ne hanno dette molte su Rimoaldi. Incuteva rispetto. Sapeva cosa fare, e come. Ma quel rispetto – l’ ho compreso bene allora, all’ ombra dell’ uva fragola – succhiava linfa da una sensibilità per le forme della narrazione a cui non è stata quasi mai tributata abbastanza attenzione. E lei per l’ appunto riusciva a parlare di che pasta erano fatti i romanzi, non di ” letteratura”. Come dire che il verdetto passa dal premio ai lettori e soprattutto ai lettori che verranno. La betoniera della macchina Strega ora si è fermata. Mi torna in mente lo struggimento creativo del protagonista de Il soccombente di Thomas Bernhard. ” Perché noi crediamo sempre di essere autentici e in realtà non lo siamo, e di essere concentrati e in realtà non lo siamo”. Spenti i clamori, ciascuno è lì che deve tornare, augurandosi di non incrociare mai (o di non rendersi conto che ha incrociato) un Glenn Gould, che, come accade nell’ opera di Bernhard ridimensiona ogni talentuosità, attraverso la necessità dell’ espressione e la semplice verità della bellezza . © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Asterix, viaggio in Italia
La Repubblica
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di Luca Valtorta Quattrocento milioni di copie vendute nel mondo, quattro di tiratura iniziale: il 26 ottobre uscirà la nuova storia tradotta in venti lingue. Qui, in anteprima, l’ intervista allo sceneggiatore, Jean-Yves Ferri TITOLO: ASTERIX E LA CORSA D’ ITALIA CREATORI: GOSCINNY & UDERZO SCENEGGIATORE: JEAN- YVES FERRI DISEGNI: DIDIER CONRAD EDITORE: PANINI PAGINE: 46 PREZZO: 12,90 EURO TRADUTTORI: V. VITALI & A. TOSCANI C’ è un motivo per cui il prossimo episodio delle avventure di Asterix sarà molto importante per noi: si intitolerà Asterix e la corsa d’ Italia. E non si svolgerà solo a Roma, il cuore dell’ Impero, la città di Giulio Cesare che è già stata mostrata in altre occasioni, ma dalla Transpadania al Bruttium. Siamo nel 50 a.C. e l’ Italia è sotto il dominio di Roma. Ma, con un certo dispiacere di Obelix che da sempre adora prendere i romani a sberle, i due galli si renderanno conto che non è proprio possibile assimilare tutti gli Italici a Roma, anzi! «Arrivati al trentasettesimo albo abbiamo deciso che era venuto il momento di raccontare che cosa era veramente l’ Italia», spiega lo sceneggiatore Jean-Yves Ferri che, con il disegnatore Didier Conrad ha ricostituito la coppia che fu dei grandi Goscinny e Uderzo, con la benedizione delle stesso Uderzo che lo scorso aprile ha compiuto novant’ anni. «Finalmente si gode il meritato riposo, anche perché giunti al terzo episodio, ormai si fida di noi». Come siete stati scelti da Uderzo agli inizi? «Tutto è cominciato quando Hachette ha segretamente contattato una decina di autori chiedendo di presentare un abbozzo di storia: il nostro è stato quello che lo ha convinto di più. Nel mio caso forse perché io ero già un autore di fumetti umoristici». Uderzo controlla tutti i disegni che vengono realizzati? «Quando abbiamo fatto il primo albo, Asterix e i Pitti, naturalmente ci ha dato molti consigli ma questa volta invece non è intervenuto per niente salvo che per l’ incoraggiamento: ha letto la storia all’ inizio e poi man mano guardava le tavole ma non ha mai chiesto un rifacimento. Era sempre molto soddisfatto dei disegni ed era felice che la storia fosse ambientata in Italia perché è il suo paese d’ origine». Quindi la scelta dell’ Italia non è stata sua? «No, è stata una scelta mia. Tutti i lettori di Asterix conoscono Roma ma non il resto dell’ Italia. Stranamente questo tema non era mai stato trattato nelle storie precedenti mentre succedeva per molti altri Paesi come la Spagna, il Belgio e ovviamente la Francia». Lei conosce bene l’ Italia? « Abbastanza, ma il problema è che bisognava raccontare l’ Italia dell’ anno 50 a.C., un lavoro più difficile di quello che può sembrare perché Asterix non è un trattato di storia ma non si può nemmeno prescindere dai riferimenti precisi a cui i lettori sono abituati». Goscinny e Uderzo si documentavano molto. Questa storia sarà un po’ come “Asterix e il giro di Gallia”? « Non proprio: quello era una sfida, una scommessa tra Galli e Romani che avrebbero sorpassato lo sbarramento romano. In questo caso invece sarà completamente diverso, non ci sarà una sfida». Sarà un viaggio da Nord a Sud? « Sì perché, venendo dalla Francia, è la strada più naturale. Mi sono documentato sulle vie dell’ epoca ed erano già molto servite». Una cosa molto complicata in Asterix sono i famosi calembour. Avremo delle cose simili anche in questa avventura? « Sono imprescindibili: in Francia sono considerati un vero e proprio patrimonio linguistico. Il lavoro difficile sarà per i traduttori…». Infatti per l’ Italia il grande Marcello Marchesi creò il famoso “Sono Pazzi Questi Romani”: nell’ originale come era? «In realtà in francese c’ era la frase “Ils sont fous, ces Romains!”: la genialità del vostro Marchesi è stata creare ed evidenziare l’ acronimo S. P. Q. R. Nel nuovo albo ci sono alcuni nomi di luoghi con cui vengono fatti dei giochi di parole che non sarà facile tradurre». Ci saranno anche i diversi dialetti italiani? «Il lettore francese non potrebbe capire, però forse nella traduzione italiana potrebbero esserci. Per esempio, in Asterix e i Pitti il traduttore scozzese ha fatto una ricerca sui modi di dire in gaelico e li ha inseriti, infatti è molto più interessante e ricca di quella inglese». In Italia c’ è sempre stata grande rivalità tra le città «L’ ho tenuta presente e spero di averla rispettata. In Francia sono sconvolti dalle rivalità anche culinarie tra le città italiane: per il visitatore però è molto piacevole perché è un segno di vivacità». In Francia non è così? «È un po’ diverso, da noi magari ci può essere rivalità tra la cucina della Borgogna e quella dei Pirenei: è più una cosa su scala regionale, mentre da voi ogni città o paese ha le sue caratteristiche». Quindi ci saranno anche questi aspetti per così dire ” gastronomici” nel nuovo Asterix? «All’ epoca i piatti forti della cucina italiana non esistevano e quindi non sarebbe stato verosimile. C’ era un equivalente della pasta ma non di altro, ma delle allusioni ci sono. Vi darò un piccolo scoop: nelle mie ricerche ho effettivamente trovato un condimento che veniva utilizzato molto ai tempi dei romani. Era fatto con viscere di pesce marinate con un gusto molto forte: se ne faceva un mercato molto ampio e ne esistevano diversi tipi e qualità. Per esempio ce n’ era uno per ricchi che costava moltissimo. Vicino a Napoli c’ era un allevamento di pesci apposta. Ho immaginato che i pirati di Asterix avrebbero potuto inserirsi nel “traffico” di questo condimento». Un albo di Asterix con protagonista l’ Italia potrebbe essere anche un ottimo richiamo per il turismo nel nostro paese. « Credo di sì: del resto una delle caratteristiche di Asterix è proprio quella di raccontare con ironia le caratteristiche umane, sociali, i modi di vivere nei vari paesi, giocando tra antico e moderno». Quanto tempo ci vuole per scrivere una storia di Asterix? « Due mesi per pensarci senza scrivere niente, sei mesi di lavoro sullo storyboard che poi mando a Didier, il disegnatore». E quanto tempo ci mette Didier a disegnarlo? «Circa sei mesi. Anche se sono solo quarantasei pagine Asterix richiede la massima attenzione anche ai minimi dettagli». Il suo rapporto con il disegnatore è di continuo scambio? «Sì, non di persona però perché lui vive in Texas». Un francese in Texas? Che cosa ci fa lì? «Non lo so (ride)». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ ultimo regalo di Ilaria Alpi: farci tornare giornalisti
L’Espresso
TOMMASO CERNO
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SE c’ è un problema tra giornalismo, politica e magistratura – e c’ è – è arrivato il momento di affrontarlo nei fatti. C’ è qualcuno che ha il dovere di farlo, continuando a cercare. C’ è qualcuno che, per come stanno messe le cose in Italia e a livello globale, deve scegliere adesso che strada seguire. Facendo ciò per cui, un giorno, scelse di fare questo mestiere: il giornalista. Una scelta che implica di dedicare la propria vita alla ricerca, anche ossessiva, di qualcosa che – con molta approssimazione – è chiamata “verità”. Questo qualcuno siamo noi giornalisti, prima di tutti. Proprio adesso quando accade un fatto, prevedibile e grave. Un fatto che tocca nel profondo il rapporto fra informazione e realtà e ancora di più la “separazione delle carriere” fra cronista e magistrato. Dogma che negli anni ha dato la sensazione di vacillare, sostituendo a volte – diciamo pure spesso – l’ inchiesta giornalistica con un inseguimento western fra redazioni e procure. Che succede in questo universo fatto di milioni di bugie, sfoghi emotivi, sentimenti di rabbia o di tifo che si sostituiscono all’ analisi dei fatti, con il meccanismo che fu della magia contro la scienza? Che succede mentre nemmeno la prova fa più sorgere un dubbio nel lettore? Succede un semplice fatto di cronaca: ascoltiamo le dure e semplici parole di Luciana Alpi, madre di Ilaria, l’ inviata del Tg3 brutalmente assassinata a due passi dall’ amasciata italiana di Mogadiscio il 20 marzo 1994 assieme al suo operatore Miran Hrovatin. Dice all’ Italia e agli italiani “basta”, dice che se ne starà a debita distanza dai palazzi della giustizia dove ha passato quasi un quarto di secolo dalla morte della figlia. Questo dopo la seconda richiesta di archiviazione della Procura di Roma su quel barbaro omicidio, perché non siamo stati capaci di trovare un colpevole, una prova, qualcosa di solido. Quando tutti noi sappiamo che quell’ omicidio è una melma vischiosa dentro cui sguazza, lordo ma libero, un pezzo del nostro Stato. Vedremo come andrà a finire, ma c’ è qualcosa che dobbiamo fare: se la giustizia si ferma, il giornalismo deve andare avanti. Anzi deve ricominciare a cercare. Perché questa sordida storia lega Italia e Somalia, criminalità e potere. È una storia dove questo Paese proietta ombre lunghe, che non è possibile per il giornalismo far scomparire levando la luce della ricerca della verità. Quelle ombre devono vedersi nitidamente, devono essere descritte, non possono ritrarsi nel buio con il tramonto delle indagini ufficiali. Abbiamo oggi più che mai il dovere di descriverle nei dettagli e fare quello che è sempre stato, o avrebbe sempre dovuto essere, il nostro mestiere, il mestiere di Ilaria Alpi, morta per cercare pezzetti di una verità scomoda. Proprio quando il legame fra magistratura e giornalismo è al centro di dibattiti a volte surreali, proprio nel Paese dove una richiesta di archiviazione per qualche politico indagato fa gridare invece che allo scandalo al garantismo, dobbiamo riuscire ad andare là dove i giudici non vogliono o non possono andare. Perché credere alla fake news che nulla può più essere scoperto significa non soltanto offendere la memoria di Ilaria Alpi, ma demolire ancora di più la nostra professione. Significa infliggere a Ilaria una seconda morte e al nostro mestiere un colpo fatale. L’ impegno che L’ Espresso si prende è di cercare ancora. Di andare là dove un giornalista dovrebbe sempre stare, in mezzo ai fatti, su quel crinale dove la giustizia, ci auguriamo suo malgrado, diviene per l’ opinione pubblica ingiustizia. E come noi credo faranno molti altri colleghi. Non possiamo sapere se e cosa troveremo fra le ombre lasciate scivolare via, dolosamente in questi quasi venticinque anni. Ma siamo certi che non ci fermeremo. Perché la Verità per Ilaria è anch’ essa un grande cartello giallo che deve essere issato in ogni luogo. Siamo noi a doverlo riempire di parole diverse da quella, brutta, che abbiamo sentito pronunciare ancora dallo Stato: fermiamoci! n La Procura chiede di archiviare: impossibile trovare gli assassini. Ma il nostro dovere è cercare sempre. Oltre gli atti giudiziari Editoriale.
Radio 24 vara il palinsesto estivo e rinforza il weekend con lezioni semiserie di educazione finanziaria e radiofumetti
Prima Comunicazione
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Radio 24 apre le porte all’ estate nel palinsesto del week end. A luglio l’ emittente news&talk del Gruppo 24 ORE accanto all’ informazione dei GR e dei programmi di attualità, economia, cronaca e sport amati dagli ascoltatori, che continuano ad andare in onda per tutto il mese, propone tante novità da offrire al pubblico nel fine settimana estivo. Le novità – racconta il comunicato del gruppo – prendono il via sabato 9 luglio. Protagonisti i giovani con Maria Piera Ceci che interrogherà “I ragazzi del ’99”, quei ragazzi che quest’ anno diventano maggiorenni e affrontano la vita da adulti. Cosa pensano, cosa vorrebbero cambiare e come immaginano il loro futuro, Radio 24 racconta le storie e il pensiero di ragazzi straordinariamente normali. Un altro ritorno su Radio 24 è “Dylan Dog, l’ indagatore dell’ Incubo”, il seguitissimo radiofumetto in cui l’ investigatore dell’ horror prende voce e racconta in prima persona le più significative tra le avventure scritte da Tiziano Sclavi. Il racconto si alterna alle scene drammatizzate e il fumetto diventa un’ opera radiofonica, con una narrazione ricca di voci, suoni, musiche e di emozioni diverse. Torna anche “Terra in vista”, il mondo a misura di bambino, il programma condotto da Federico Taddia insieme a Telmo Pievani. Ogni sabato i conduttori risponderanno alle domande dei più piccoli, che questa volta saranno sul nostro paese. “L’ Italia spiegata a mio figlio” è un viaggio per raccontare a bambini e ragazzi il Bel Paese, svelando curiosità e facce inedite dell’ Italia con gli occhi della scienza, della cultura e della meraviglia. La domenica di Radio 24 vede il ritorno di uno degli appuntamenti classici dell’ estate di Radio 24: quello con “Nessun Luogo è Lontano” di Giampaolo Musumeci, che, dopo un anno di reportage in giro per il mondo, torna in radio e accompagna gli ascoltatori in un viaggio per comprendere cosa accade lontano dall’ Italia. Quali sono i beni per cui si combatterà in futuro? Cosa accomuna il business del petrolio con quello del cacao? Cos’ è l’ islam e cos’ è l’ ISIS? A luglio protagonisti i grandi temi: acqua, risorse e religione. Prenderà il via da sabato 22 luglio, e proseguirà per tutta estate, “Il Serpente Corallo”. Ogni sabato alle 9.00 arrivano i Ciappter Eleven – Mauro Meazza, Stefano Elli e Marco Lo Conte – tre giornalisti del Sole 24 Ore che terranno compagnia agli ascoltatori di Radio 24 con lezioni semiserie di educazione finanziaria, normativa e tributaria. Un programma per conoscere e possibilmente evitare le piccole e grandi fregature, ovvero i ‘serpenti corallo’ che sono sempre in agguato e che vogliono mordere i nostri risparmi, colpirci con le tasse, confonderci con le leggi. Su Radio 24 proseguono gli appuntamenti quotidiani classici del mattino con Alessandro Milan e Oscar Giannino a 24Mattino e Attenti a noi due, Debora Rosciani e Nicoletta Carbone con Cuore e Denari, Gianluca Nicoletti con Melog, e al pomeriggio Tutti Convocati con l’ aggiornamento sullo sport a cura di Carlo Genta e poi Sebastiano Barisoni con Focus Economia e come sempre l’ irriverenza della Zanzara con gli immancabili Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Nel week end sempre in onda anche Alessio Maurizi con Si Può fare e Oscar Giannino con I Conti della Belva, continuano anche gli appuntamenti con Federico Taddia e L’ altra Europa e con Laura Bettini e L’ altro Pianeta.