Indice Articoli
Siae, l’ Ue indaga sulla riforma di Franceschini
I Pulitzer del «non giornalismo» all’ Edicola 2.0
«Il Mattino 4.0» guarda al futuro del giornalismo
Tre giorni di sciopero per «Famiglia Cristiana»
Il gigante editoriale olandese Elsevier ha vinto la causa contro i portali Sci -Hub e Library of Genesis
Il Manifesto
LUCA TANCREDI BARONE
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II Se qualcuno pensava che la battaglia per il libero accesso alla conoscenza nel secolo XXI fosse facile da vincere, pochi giorni fa ha ricevuto una bella doccia fredda. Il gigante editoriale scientifico Elsevier, con sede in Olanda, il 21 giugno scorso ha vinto a New York un’ emblematica causa contro i portali Sci -Hub e Library of Genesis, perché consentono l’ accesso gratuitamente a decine di milioni di articoli scientifici. IL GIUDICE HA IMPOSTO una mul ta di 15 milioni di dollari a entrambi i siti per aver infranto le leggi sul diritto d’ autore. Per accedere a quegli stessi articoli, le università di tutto il mondo devono pagare fatture ogni anno più salate. Non è un caso che il business degli editori scientifici viaggi col vento in poppa. Si stima che il mercato delle pubblicazioni scientifiche per il 2015 valga circa 25 miliardi di dollari, con una crescita del 4% all’ anno e con uno straordinario margine di profitto di circa il 40% – più di quello ottenuto da giganti come Apple, Google o Amazon. Il fatto è che il mondo dell’ editoria scientifica funziona in un modo che la Deutsche Bank nel 2005 definiva «bizzarro» perché lo stato paga tre volte: per finanziare la maggior parte della ricerca, per gli scienziati che fanno il controllo di qualità di quanto pubblicato, la cosiddetta peer review (vedi box), e infine per comprare gli articoli usciti. Un vero affarone, tant’ è che il Financial Times nel 2015 scrisse che questo è «il business che internet non è riuscita a uccidere». Nel 1942 il sociologo della scienza Robert Merton teorizzò che la scienza moderna è ispirata a quattro principi: l’ universalismo (i risultati scientifici sono indipendenti dallo status sociopolitico di chi li abbia ottenuti), il disinteresse (la scienza si fa per il bene di tutti), lo scetticismo organizzato (esiste un metodo critico per dare credibilità a un risultato scientifico) e infine il comunalismo, e cioè gli scienziati dovrebbero avere la proprietà collettiva dei loro risultati. In altre parole, come dice l’ articolo 27 della Dichiarazione dei diritti dell’ uomo, «tutti hanno il diritto di partecipare liberamente alla vita culturale della comunità, godere dell’ arte e condividere il progresso scientifico e i suoi benefici». LA SCIENZA DI OGGI in realtà, an che se s’ illude di farlo, non rispetta nessuno dei quattro principi. Ma l’ ultimo è quello che forse fa più male: non è un caso che ci siano ben pochi scienziati che difendano il gigante editoriale olandese. Come dice il professore di educazione a Stanford John Willinsky, «in molti troveranno più semplice immaginare il danno causato da 28 milioni di articoli inacces sibili che quello dovuto alla perdita di 15 milioni di dollari perché Elsevier non li ha potuti vendere». SECONDO LA GIOVANE neuro scienziata e programmatrice russa Alexandra Elbakyan che ha fondato nel 2011 Sci -Hub, frustrata daipaywall che separavano lei e la sua università dagli articoli di cui aveva bisogno durante il suo dottorato, è proprio questo il punto. «La scienza appartiene agli scienziati, non agli editori», dice. Per avere un’ idea di quello di cui stiamo parlando, secondo un rapporto del 2015 della Stm sulle pubblicazioni scientifiche, nel 2014 ce n’ erano più di 28mila attive (in inglese), che collettivamente quell’ anno hanno pubblicato più di 2 milioni e mezzo di articoli. Neiva ri database internazionali (per ottenere l’ accesso ai quali le università devono pagare), ci sono fra i 70 e i 100 milioni di testi scientifici. Una mole enorme di conoscenza la cui disponibilità è fondamentale per garantire il progresso scientifico. A Sci -Hub, infatti, i pdf degli articoli «illegali» li passano proprio gli scienziati che hanno potuto accedervi attraverso le loro stesse istituzioni. Da qualche anno a questa parte, l’ open access, ossia la possibilità di accesso libero alle pubblicazioni, sta guadagnando terreno. Ne esistono diversi tipi. Le riviste che sono totalmente open access (per pubblicarci, gli scienziati devono pagare una tassa che copre le spese di produzione) secondo le ultime stime sono solo circa il 10% del totale. Ma data la pres.
Siae, l’ Ue indaga sulla riforma di Franceschini
Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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C’ è una indagine in corso da parte della Commissione europea sulla riforma della gestione del diritto d’ autore in vari Paesi, “in particolare () in Italia, sulla quale abbiamo ricevuto lamentele”. A seconda di cosa la Commissione contesterà e di quali risposte riceverà dal governo italiano, il procedimento potrà chiudersi con una approvazione oppure svilupparsi fino a una procedura di infrazione per uno dei provvedimenti più importanti curati dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini. Lo rivela la stessa Commissione, nel documento firmato dall’ italiano Roberto Viola per la direzione generale Comunicazioni in risposta alle richieste di Isabella Adinolfi, deputata europea del Movimento 5 Stelle. Soltanto pochi giorni fa, però, il ministero dei Beni culturali aveva risposto alle domande del sito Eunews che con Bruxelles non c’ erano problemi, “il decreto legislativo è stato approvato in via definitiva e notificato a Bruxelles, quindi la Commissione, se vuole, può impugnarlo dicendo che non è conforme alla direttiva, ma al momento a noi non risulta assolutamente nulla”. Nel 2014 gli Stati membri dell’ Unione vengono sollecitati a recepire nella legislazione nazionale la direttiva 26, nota come “direttiva Barnier” dall’ allora commissario per il Mercato interno e i servizi. La direttiva riguarda la gestione collettiva dei diritti d’ autore e le leggi che la recepiscono dovrebbero “consentire a un titolare dei diritti di poter scegliere liberamente l’ organismo di gestione collettiva cui affidare la gestione dei suoi diritti”. In Italia ne viene data un’ interpretazione un po’ minimalista, al momento del recepimento nel marzo del 2017: rimane il monopolio nazionale della Siae, l’ ente pubblico economico che raccoglie i compensi relativi al diritto d’ autore per conto degli artisti, nel 2016 ha fatturato 796 milioni di euro. Il decreto legislativo stabilisce infatti che “i titolari dei diritti possono affidare a un organismo di gestione collettiva o a un’ entità di gestione indipendente di loro scelta la gestione dei loro diritti, delle relative categorie o dei tipi di opere e degli altri materiali protetti per i territori da essi indicati, indipendentemente dallo Stato dell’ Unione europea di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell’ organismo di gestione collettiva”. Ma resta il vincolo previsto da una legge del 1941 in base alla quale “l’ attività di intermediario” deve essere svolta “in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori”, cioè la Siae. Molti artisti, come Fedez e Gigi D’ Alessio, hanno però già lasciato la Siae per un concorrente nato da poco, Soundreef, società di diritto inglese. Questi nuovi protagonisti del settore vengono riconosciuti dal decreto che però lascia il territorio italiano in mano alla sola Siae. L’ 8 febbraio 2017 la Commissione aveva già scritto una lettera al governo italiano per esprimere le sue perplessità sul decreto. Perplessità che il ministero di Franceschini aveva giudicato superate con la versione finale del decreto. L’ eurodeputata M5S Isabella Adinolfi ha subito chiesto in via ufficiale di poter conoscere il contenuto di quella lettera. Il 9 giugno la Commissione europea ha risposto che non poteva divulgarlo perché il documento è relativo a una “ongoing investigation”, una indagine in corso in vari Stati membri e “in particolare” in Italia per le “lamentele” ricevute. “Per sgombrare il campo da ogni dubbio, il ministro Franceschini farebbe bene a pubblicare la lettera, rendere pubblici i rilievi della Commissione europea e fornire delucidazioni in merito a questa indagine”, ha commentato Adinolfi. Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di Siae per un duro scontro tra Franceschini e Fedez. Il rapper ha accusato il ministro di conflitti di interessi perché la moglie, Michela Di Biase, oltre a essere consigliera comunale di Roma per il Pd è anche dipendente della Fondazione Sorgente, ente culturale emanazione della Sorgente Group che gestisce il patrimonio immobiliare della Siae. Il ministro ha minacciato querele (la moglie si occupa di pubbliche relazioni, non delle attività della Siae). Ma per Franceschini i problemi possono arrivare più dall’ Europa che da Fedez.
I Pulitzer del «non giornalismo» all’ Edicola 2.0
Il Giornale
STEFANO GIANI
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Stefano Giani C’ era una volta «Chi se ne frega». Non il motto fascista, ma una scanzonata e burlesca rubrica del settimanale satirico Cuore che colpiva a manca più che a destra e chiunque diventava un obiettivo sensibile. Gli anni Ottanta erano al crepuscolo e il «fuoco amico» sarebbe venuto dopo. Almeno nel gergo. Non tanto e non solo perché il periodico – di ispirazione comunista – non facesse sconti ai trinariciuti, quanto per il fatto che non faceva sconti a giornali e giornalisti. «Chi se ne frega» era infatti il titolo di una rubrica in cui l’ ironico censore elencava una serie di notizie apparse sui quotidiani, con la caratteristica di non essere di alcun interesse pubblico. In sintesi, una «non notizia» degna appunto di essere condita via dalla frase più disfattista dell’ italico lessico. Ebbene, stiano tranquilli, lettori e giornalisti, non si sta annunciando la resurrezione dell’ augusta galleria di Cuore. Semplicemente la seconda edizione di una singolarissima iniziativa, il «Festival del non giornalismo» che fa della «non notizia» il suo piatto più prelibato. Nato dalla mente di due giornalisti veri – Andrea Montanari e Marcello Bussi, di Milano Finanza – si è affacciato su facebook, piazza virtuale ma frequentatissima, per poi conquistare una piazza in carne e ossa. «Premi a passanti, partecipanti e perfino al pubblico non pagante» annunciano i due burloni promotori che stasera dalle 18.30 davanti all’ edicola 2.0 di corso Garibaldi 83 apriranno lo «show». Il tema, nemmeno a dirlo, sono le fake news. Il falso doc. Inutile. Di chi se ne frega. «Il boom delle non notizie impera su giornali, tv, siti e blog. Un’ esplosione di verità artefatta che il festival denuncia da anni cercando di far capire l’ importanza del lavoro giornalistico» l’ ennesima provocazione degli ideatori. In linea con i contenuti anche i riconoscimenti riservati al «giovane non giornalista», alla «non carriera», al «non giornalista dell’ anno» e a «Un certain markette» di chiara ispirazione del festival cinematografico più prestigioso del mondo e altrettanto più snob dell’ intero pianeta. Insomma la categoria più inflazionata alla Mi manda Picone si mette in burla da sola. Ma già… Chi se ne frega.
«Il Mattino 4.0» guarda al futuro del giornalismo
Il Mattino
Massimo Zivelli
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Una grande festa del giornalismo, quella che ha riunito a Ischia, e in una delle sue più belle baie, dalla vincitrice di un premio Nobel al giornalista senza volto, fino alle grandi firme della stampa e della televisione italiana ed internazionale. Una festa che si è conclusa ieri sera in una cornice a dir poco spettacolare, alla darsena del Regina Isabella. Sul mare di Lacco Ameno, dove affaccia lo storico albergo che da sempre ospita grandi eventi per grandi personaggi, sono stati consegnati i riconoscimenti ai partecipanti di questa 38esima edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo. A fare gli onori di casa, il patron del Regina Isabella, Giancarlo Carriero e i fratelli Benedetto ed Aurelio Valentino, che organizzano il premio sotto l’ alto patronato del Presidente della Repubblica. A Nando Santonastaso del «Mattino» è andato il premio speciale per l’ innovazione nel campo della comunicazione per «Il Mattino 4.0» che da alcune settimane ormai, sia sul cartaceo che sul digital, ha saputo creare un importante ponte con il mondo della innovazione tecnologica e delle imprese di start up. «Campania e Sicilia sono fra le prime sei regioni d’ Italia in fatto di innovazione tecnologica applicata allo sviluppo delle imprese e la nostra iniziativa ha detto Santonastaso si proietta in una dimensione di crescita del tessuto economico ed imprenditoriale in una regione come la Campania che è l’ unica ad aver creato un assessorato interamente dedicato all’ innovazione». «L’ edizione 2017 è stata caratterizzata oltre che dalla sempre crescente qualità dei convegni e delle partecipazioni, anche dallo sdoppiamento in due serate del premio» ha detto Benedetto Valentino. Nel corso della prima serata presentata da Anna Billò di Sky Sport, sono stati premiati Francesca Landi di Action Aid, astro nascente nel panorama della comunicazione sociale, mentre a Flavio Natalia, direttore della struttura magazine Sky Italia, è andato un riconoscimento per il nuovo format digitale che propone le «10 notizie del giorno». Curiosità ha poi destato Valerio Visentin del «Corriere della Sera», che ha ricevuto il premio per la narrazione enogastronomica. Abituato a svolgere il suo lavoro in incognito, Visentin è salito sul palco con il volto coperto, per ritirare in maniera «anonima» il riconoscimento, ancora una volta per tener fede al proposito di giudicare ogni locale dal punto di vista dell’ avventore comune. Il premio Ischia Social Blog è andato a Diego Bianchi di «Gazebo», altro interessante innovatore del modo di fare informazione con la sua televisione al servizio dei social. Il Premio Ischia per l’ informazione sportiva è stato attribuito a Paolo Condò opinionista di Sky, mentre quello per il comunicatore dell’ anno è andato a Marco Bardazzi, responsabile delle relazioni esterne di Eni. Intensa e significativa anche la premiazione che si è svolta ieri sera a conclusione della edizione 2017. Per la stampa internazionale i riconoscimenti sono andati al corrispondente di guerra inglese Anthony Loyd, che ha seguito in presa diretta tutti i maggiori conflitti internazionali degli ultimi 20 anni, e alla giornalista, scrittrice e premio Nobel per la letteratura nel 2015, la bielorussa Svetlana Alexandrovna Alexievich, cronista che ha saputo raccontare gli anni dell’ ascesa dell’ Unione Sovietica e poi il suo crollo, con la rinascita degli stati nazionali. I premi per il giornalismo d’ inchiesta sono stati vinti da Emiliano Fittipaldi de «L’ Espresso» e Giulia Bosetti di «Presa Diretta». A chiudere questa 38esima edizione, il sindaco di Lacco Ameno, Giacomo Pascale, che ha consegnato il premio Coppa di Nestore al direttore generale della Rai, Mario Orfeo, per il suo noto legame con l’ Isola verde. A dopo l’ estate invece la consegna, con cerimonia al Quirinale, del premio «Penna d’ oro» della presidenza del Consiglio dei ministri, che è andato a Piero Angela. Dal prossimo anno, intanto, ha annunciato Carlo Gambalonga il premio aprirà le porte anche a 30 futuri giornalisti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tre giorni di sciopero per «Famiglia Cristiana»
La Verità
SARINA BIRAGHI
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sarina biraghiNon c’ è più religione, neanche per l’ editoria cattolica, in particolare per i giornalisti della Periodici San Paolo. Per loro un 29 giugno 2017 (festa del loro santo apostolo) tutto da ricordare: online un nuovo sito corporate del gruppo editoriale San Paolo e un pacchetto di tre giorni di sciopero. Da una parte, infatti, c’ è stata la presentazione di un unico portale, ideato per rappresentare e raccontare l’ impegno e la vicinanza verso gli stakeholder che sono l’ espressione dell’ identità e della leadership che il gruppo si è conquistato nel settore dell’ editoria cattolica e culturale italiana con oltre 100 anni di storia. Il sito, si dice, sarà al centro di una nuova strategia di comunicazione integrata di gruppo per consolidare il marchio. Dall’ altra, la proclamazione di uno sciopero di tre giorni da parte dell’ assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, indetta appena è stata resa nota la disdetta e il recesso da tutti i contratti collettivi aziendali conquistati negli ultimi nove anni tra riorganizzazioni e piani editoriali.Un colpo arrivato mentre don Antonio Rizzolo, direttore di Famiglia Cristiana, la rivista leader del gruppo, presentava il piano editoriale comprensivo di «spirito di squadra, entusiasmo, armonia e fiducia», «necessari collanti per garantire un clima che consenta la realizzazione di prodotti editoriali di qualità». Nessuna condivisione o negoziato, invece, per disdire e recedere da tutti i contratti aziendali, con effetti dirompenti sia dal punto di vista formale che sostanziale. I giornalisti infatti contestano il metodo e il merito della comunicazione aziendale che ritengono «irricevibile».Nel metodo, spiega il comunicato ufficiale, perché i giornalisti ben conoscono la situazione difficile in cui versa l’ azienda e tutto il comparto editoriale in Italia e hanno dimostrato, in questi anni, «massima disponibilità a collaborare, fare pesanti sacrifici e dialogare con i vertici aziendali al fine di poter proseguire il lavoro al servizio dei lettori e superare questa difficile fase». Nel merito, perché l’ azienda chiede ancora ulteriori pesanti sacrifici ai giornalisti e a tutti i dipendenti della Periodici San Paolo, «mortificandone la professionalità, a fronte di un’ assenza di progettualità e di prospettive per il futuro».L’ assemblea dei giornalisti, supportata dalla Federazione della stampa, ha chiesto alla Periodici San Paolo di ritirare la disdetta dei contratti collettivi aziendali, «accettando in questo caso la disponibilità offerta dall’ azienda a discutere, e garantendo, fin da subito, la volontà di avviare una trattativa per negoziare qualunque parte degli accordi di secondo livello». Domani ci sarà il terzo giorno di agitazione.
Che la forza sia con noi
Prima Comunicazione
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Carlo De Benedetti lascia al figlio Marco la presidenza di Gedi, la nuova media company leader nell’ informazione quotidiana nata dall’ alleanza tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX. Alla guida con Marco De Benedetti la super manager Monica Mondardini, affiancata da Rodolfo De Benedetti e da John Elkann per affrontare scelte strategiche e organizzative come le sinergie tra Stampa, Secolo XIX e i quotidiani della Finegil, e un robusto progetto editoriale per Repubblica Uscita di scena magistrale quella che Carlo De Benedetti ha organizzato per le proprie dimissioni dalla presidenza e dal Cda di Gedi Gruppo Editoriale, la nuova ragione sociale del Gruppo L’ Espresso. Di fronte alle voci che avevano preso a turbinare e alle ipotesi più strambe sul nome del suo successore (tra cui quella di Ezio Mauro, che ha fatto subito sapere che non se ne parlava nemmeno), l’ Ingegnere ha optato per una veloce convocazione del consiglio di amministrazione e il 23 giugno ha annunciato game over. Carlo De Benedetti rimarrà presidente onorario del gruppo e continuerà a far sentire la propria voce, convinto com’ è che “una società democratica non possa fare a meno dell’ informazione professionale”. Concetto su cui aveva incardinato il suo intervento di chiusura del meeting sul futuro dei giornali, ‘The future of newspapers’, organizzato due giorni prima dalla Stampa a Torino e dove erano presenti i grandi player dell’ editoria mondiale. A vedere De Benedetti sul palco, a sentire il tono appassionato del suo intervento tenuto in inglese e in cui sottolineava “i rischi e le potenzialità dei rapporti” con Google, Facebook, Apple e gli altri over the top, fino a proporre gli Stati Generali dell’ editoria, nessuno si aspettava che da lì a 48 ore avrebbe passato lo scettro nelle mani del figlio Marco. L’ uomo è fatto così: un caratteraccio, molti difetti ma non quello di temporeggiare. Ai consiglieri di amministrazione ha spiegato che “a conclusione dell’ operazione di integrazione tra Espresso e Itedi, che ho fortemente voluto e che dà vita al primo gruppo di informazione quotidiana in Italia, ho deciso di favorire ancora una volta il ricambio generazionale così come ho già fatto alcuni anni fa in Cir”. Parole in cui era possibile rintracciare un moto dell’ animo che non ha mai mostrato volentieri: la commozione. Succede. Soprattutto quando si decide, o si capisce, di essere arrivati a un punto decisivo della propria esistenza. De Benedetti ha tra l’ altro ricordato di essersi “per più di quarant’ anni totalmente identificato con il Gruppo e in particolare con Repubblica, con Eugenio e con Ezio, con i quali non ho mai avuto un solo screzio, condividendo pienamente le tante battaglie e anche i periodi di isolamento”. Verità zuccherate, d’ accordo, ma con una sostanza di verità. Screzi con Scalfari e Mauro ce ne sono stati e nemmeno pochi, a volte persino durissimi, ma alla fine hanno trovato una loro quadra. L’ articolo è sul mensile Prima Comunicazione n. 484 – Giugno/Luglio 2017 Abbonati al mensile ‘Prima’ edizione cartacea (+ Uomini Comunicazione), alla versione digitale per tablet e smartphone o a quella combinata carta-digitale: Prima + Uomini + edizione per tablet e smartphone.