Indice Articoli
Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica
A lezione con i maestri del giornalismo televisivo
Arbore premiato dalla rivista «Investire»
Lo stipendio di Fazio alla Corte dei conti
Guardian: formato più piccolo tabloid, così si risparmia per fare giornalismo
Wsj in digitale fuori dagli Usa
chessidice in viale dell’ editoria
Indagini e giornalisti, un accesso rispettoso agli atti
Consip, Sciarelli nega Accertamenti anche su Whatsapp
Il “caso Fazio” e lo scandalo della tv pubblica
Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“In questi mesi abbiamo assistito a un’ intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti” (da un’ intervista di Fabio Fazio a Repubblica – 31 marzo 2017) Il “caso Fazio” non è tanto uno scandalo per gli 11,2 milioni di euro in quattro anni accordati al conduttore, circa 2,8 all’ anno: un insulto a tutti i telespettatori obbligati a pagare il canone Rai nella bolletta elettrica. Quanto per il fatto che nega l’ essenza stessa del servizio pubblico, la sua ragion d’ essere e la sua legittimazione. Non c’ è più rapporto fra un compenso così abnorme e la funzione propria della tv di Stato. E ha ragione allora il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, il grillino Roberto Fico, a dire che questo è un atto “vergognoso” compiuto sotto la nuova direzione generale di Mario Orfeo. Non ha sbagliato perciò il deputato del Pd Michele Anzaldi a presentare un esposto alla Corte dei conti e all’ Anac né il consigliere d’ amministrazione Carlo Freccero, in quota al M5S , che ha abbandonato la riunione del Cda in segno di protesta. Qual è, in realtà, la “causale” di un’ elargizione talmente sproporzionata? L’ audience, la caccia all’ audience, in funzione della raccolta pubblicitaria. In genere, le trasmissioni di Fazio hanno successo, fanno ascolti e perciò sono infarcite di spot. Da qui, la motivazione commerciale del maxi-compenso. Tant’ è che il consigliere d’ amministrazione Arturo Diaconale ammette: “Siamo stati costretti a dire sì, se no Fazio andava a La7”. Sarebbe la logica della concorrenza, insomma, la ragione fondamentale di questa decisione, proprio quella concorrenza da cui la tv pubblica dovrebbe essere affrancata per rispettare la sua funzione istituzionale e il “contratto di servizio” con lo Stato. Ma quando la presidente della Rai, Monica Maggioni, arriva addirittura a dichiarare davanti alla Vigilanza di non sapere se “l’ azienda avrebbe retto all’ uscita di Fazio”, non fa che certificarne la messa in liquidazione. Questa è una testimonianza decisiva per dimostrare la degenerazione della tv di Stato. E così Fazio diventa, malgré soi, il testimonial del dis-servizio pubblico radiotelevisivo; l’ incarnazione del suo snaturamento; un monumento alla crisi istituzionale dell’ azienda di viale Mazzini. La Rai – l’ abbiamo già detto e ripetuto tante volte – non può essere, come Arlecchino, serva di due padroni: il canone d’ abbonamento e la raccolta pubblicitaria. Altrimenti, non fa bene né la televisione pubblica né quella commerciale. Sotto la schiavitù dell’ audience e dietro l’ alibi degli spot, si consuma quotidianamente uno scempio che la sottomette al controllo della politica: oggi più che mai, come dichiarava lo stesso Fazio qualche mese fa nella citazione riportata all’ inizio di questa rubrica. Se oggi la situazione è cambiata, è cambiata in peggio e per un minimo di coerenza un conduttore rispettabile, per di più ex giornalista, non può mettere la testa sotto la sabbia né tantomeno farsi sponsorizzare dalla pubblicità. Sommo interprete di quel genere ibrido e nefando che viene chiamato infotainment, un mix ambiguo di informazione e intrattenimento, Fazio è senz’ altro un professionista della televisione. Ma i suoi programmi, da Che tempo che fa al Festival di Sanremo, dalle denunce di Roberto Saviano contro la camorra alle ironiche impertinenze di Luciana Littizzetto, tra il serio e il faceto sono in grado di influire più o meno subdolamente sulla popolarità di un leader politico come sul successo di un libro o di un film. Nella tv del servizio pubblico, non può essere la pubblicità il paravento di un tale potere mediatico.
A lezione con i maestri del giornalismo televisivo
Il Fatto Quotidiano
Fq
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La scuola di formazione del Fatto Quotidiano si apre al meglio del giornalismo video: dopo aver raccontato il giornalismo di inchiesta e quello web, da luglio nella redazione di Roma del Fatto arrivano i grandi protagonisti dell’ informazione televisiva. Si comincia sabato 8 luglio con due delle migliori giornaliste televisive in Italia: Lisa Iotti e Claudia Di Pasquale che spiegheranno i due stili dell’ eccellenza televisiva modello Rai3, cioè Presadiretta (Lisa) e Report (Claudia). Da un lato il reportage, la sfida di rendere in linguaggio per immagini i temi più complessi come la robotica o la nuova infertilità maschile, dall’ altra il giornalismo di denuncia, i segreti della Coca Cola, i pericoli della plastica, gli scandali della burocrazia Nel pomeriggio di sabato 8 luglio un incontro d’ eccezione: Franca Leosini , sollecitata dalle domande di David Perluigi e Gisella Ruccia , spiegherà tutto di come nascono le sue “storie maledette”: come si intervista un assassino? Quale distacco deve avere il giornalista? E come può riuscire a far emergere, con un semplice dialogo, verità rimaste coperte per un intero processo? Franca Leosini è nota anche per la sua riservatezza, questa sarà una delle rare occasioni in cui aprirà ai corsisti del Fatto il suo mondo di grandi scoop e di interviste esclusive. Si prosegue sabato 15 luglio con un altro pilastro dell’ informazione tv: Alessandra Sardoni , inviata del Tg La7 e conduttrice di Omnibus, racconterà come si stanno evolvendo i talk, cosa succede dietro le quinte, come si costruisce un dibattito efficace, quali sono davvero i rapporti con la politica. Da protagonista delle maratone di Enrico Mentana, Alessandra spiegherà anche come si coprono in diretta i grandi eventi della politica. Sempre sabato 15 luglio, il viaggio nel mestiere del “pensare” la tv prosegue con due docenti che racconteranno il lavoro meno visibile ma più importante: quello dell’ autore televisivo. Luca Sommi , che ha lavorato per Rai e La7, spiegherà come si scrive un programma di informazione, come dosare ospiti e filmati, quanto conta il copione come catturare l’ attenzione. Paolo Mariconda , che dagli Sgommati a Ballarò ha sempre lavorato sulla satira, spiegherà i meccanismi della scrittura comica in tv. Cos’ è un format, come si costruisce un programma comico, come adattarlo a seconda della fascia oraria, della rete, dell’ editore. Sabato 22 luglio , infine, si parlerà di reportage e giornalismo di guerra. Francesca Mannocchi , a lungo inviata di Piazzapulita, oggi è una giornalista freelance che si muove sui fronti di guerra più caldi, dalla Libia alla Siria. I suoi reportage vengono trasmessi da Sky, La7, Rai3 e pubblicati da L’ Espresso. Come si raccontano il terrorismo e le sue conseguenze? E come si riesce a seguire i grandi eventi internazionali muovendosi da freelance, senza la copertura (e lo stipendio fisso) di una grande testata? Francesca è riuscita a costruire un modo nuovo di fare informazione di qualità in contesti difficilissimi e spiegherà il suo metodo di lavoro. Uno dei migliori inviati della tv italiana è Domenico Iannacone : dopo molti anni a fianco di Riccardo Iacona a Presadiretta, oggi Domenico è autore e protagonista de I dieci comandamenti, il nuovo format di reportage di Rai3 che ha già avuto successo di share e premi di critica. Nel suo corso Iannacone spiegherà come si costruisce un racconto corale partendo da storie individuali, quali sono i tempi narrativi di un reportage, quanto e come l’ autore deve partecipare al mondo che racconta. Ne discuterà con lui Patrizia De Rubertis . Tutte le informazioni le trovate sul sito all’ indirizzo: https://shop.ilfattoquotidiano.it/categoria-prodotto/corsi/. Se avete domande scriveteci a corsi@ilfattoquotidiano.it.
Arbore premiato dalla rivista «Investire»
Il Mattino
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Si terrà lunedì alle 11.30 presso l’ Unione Industriali «Lo Spettacolo si fa impresa», presentato dalla sezione «Editoria cultura e spettacolo» presieduta da Antonio Parlati, insieme alla rivista «Investire». Interverrà il neo-ottantenne Renzo Arbore, che sarà premiato dalla rivista come imprenditore del mese: il riconoscimento sarà, inevitabilmente, un’ occasione in più per festeggiare lo showman foggiano, ma napoletano ad honorem. Nel corso dell’ incontro saranno approfonditi gli strumenti finanziari disponibili per le imprese interessate a operare nell’ industria culturale, dal tax credit al product placement. I lavori dell’ incontro, moderati da Lionello Cadorin, saranno aperti da Parlati e seguiranno gli interventi di Lorenza Stella, Antonio Bottillo e Paolo Bucci.
Lo stipendio di Fazio alla Corte dei conti
Il Tempo
ALBERTO DI MAJO
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Lo stipendio d’ oro di Fabio Fazio finisce alla Corte dei conti. È stata Forza Italia a investire i magistrati contabili di una questione che nelle ultime settimane ha catalizzato le accuse tra i partiti. Dopo l’ annuncio di aver stabilito un tetto ai compensi dei dipendenti della Rai (pari allo stipendio del presidente della Repubblica, cioè 240 mila euro lordi all’ anno), è arrivato il passo indietro e gli ingaggi delle star della tv pubblica sono lievitati. Quello del conduttore di «Che tempo che fa» fino a 12 milioni per quattro anni. Ora è il capogruppo di FI alla Came ra, Renato Brunetta, a tuonare: «La legge 198 del 2016- ha detto in aula, replicando alla risposta del sottosegretario Gabriele Toccafondi- stabilisce in modo inderogabile il tetto massimo dei compensi dei dipendenti pubblici, alla quale la Rai si è sottratta, aggrappandosi a un parere dell’ Avvocatura dello Stato che recupera un comma di una legge di 10 anni fa, abrogata dalla legge 198, con cui si autorizza una deroga riguardante le prestazioni artistiche». Secondo il partito del Cavaliere la Rai «ha preso per buono il parere dell’ Avvocatura, gentilmente passato sottomano dal governo e ha approvato una delibera che il Parlamento non conosce, non essendo stata messa a disposizione nemmeno della commissione di Vigilanza». Non fa sconti nemmeno Michele Anzaldi, deputato del Pd: «Sull’ applicazione del tetto agli stipendi la Rai prende in giro il Governo, il Parlamento, la commissione di Vigilanza e tutti i cittadini italiani che pagano due miliardi di euro all’ anno di canone. La nota che il servizio pubblico ha inviato al Ministero dello Sviluppo economico ed è diventata oggetto dell’ intervento in aula del sottosegretario Toccafondi in sede di risposta alle interpellanze urgenti è oggettivamente imbarazzante e svela che il Cda ha sostanzialmente approvato un documento che porta il servizio pubblico a disattendere l’ applicazione di una legge dello Stato, con tutti i rischi che ne deriveranno». Insomma, per Anzaldi «di fatto, secondo quanto riferito dalla Rai la definizione di artista è talmente ampia e onnicomprensiva da poterci fare rientrare chiunque, anche un animale ammaestrato che vada in onda su una trasmissione Rai. Non c’ è alcuna determinazione esatta di parametri e criteri che consentano una indicazione trasparente delle prestazioni di natura artistica e una individuazione altrettanto trasparente delle figure professionali di natura artistica. Di fatto tutti i programmi della Rai, compreso il segnale orario se ancora ci fosse, potrebbero passare per trasmissioni di natura artistica». Attacca anche Renzo Tondo, presidente del gruppo regionale di Autonomia responsabile in Friuli Venezia Giulia: «Troppi soldi per Fabio Fazio e pochi spiccioli per le sedi periferiche con un muro di gomma per le richieste del Friuli Venezia Giulia. Questa è la Rai. E questa, soprattutto, è una condotta pesantemente immorale in un momento di crisi economica diffusa e profonda». Il consigliere annuncia una mozione per impegnare la giunta Serracchiani «a farsi carico, presso la conferenza delle Regioni, del malessere generato dalla disparità di trattamento riservato dall’ azienda pubblica Rai al conduttore Fabio Fazio rispetto aquello che ricevono le sedi regionali». L’ obiettivo, spiega Tondo, è quello di «fare pressioni sul Cda della Rai al fine di ridurre il compenso destinato a Fazio spostando le risorse per trasmissioni e programmi scelti dalle sedi regionali».
I big data cambiano il mondo
Italia Oggi
NICOLA CAROSIELLI
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La necessità di fare esperienza, di entrare in contatto con un mondo, con una dimensione che non si conosce resterà sempre il vero cuore pulsante della vita. Esperire è tendere alla reale comprensione di qualcosa, lasciarsi toccare e permettere che questa nuova conoscenza ci modifichi e alteri la nostra percezione del mondo, rendendoci persone nuove, sensibili al cambiamento, quindi di migliorarci. Experience è la parola chiave tra quelle che compongono la Class Digital Experience Week 2 organizzata da Class Editori, una ricca produzione di workshop partita lunedì 26 giugno e che terminerà domani. E non a caso lo scopo della settimana è stato quello di sviluppare la conoscenza dell’ innovazione digitale e, soprattutto, delle opportunità che questa crea per tutti i cittadini, al di là del posto occupato nella filiera dell’ offerta digitale, siano essi i clienti-fruitori o amministratori di aziende che offrono servizi digitali. Le tecnologie hanno sempre fatto parte della società, anzi sono state i motori trainanti della crescita sociale, dello sviluppo di nuovi modi di vivere e di pensare. Le tecnologie sono le scoperte, quindi il progresso, ed è grazie alle stesse scoperte, sin dai tempi del fuoco, che si è sedimentato il concetto di società. Ed è dal binomio digitale-nuove tecnologie che si ha la possibilità di aprire svariate finestre da cui poter poi progettare il futuro. Stefano Paleari, presidente del comitato di coordinamento di Human Technopole, la città della scienza che nascerà nell’ area Expo, nel suo intervento durante giornata di apertura della settimana di esperienza digitale a Palazzo Mezzanotte, ha infatti ricordato che «il digitale non è altro che uno dei primi orologi meccanici messi sui campanili intorno al 1300, offrendo a tutti la stessa unità di misura per affrontare la giornata, favorendo gli incontri e gettando le basi dello sviluppo». Uno sviluppo che però non deve mai dimenticare l’ importanza dell’«armonia tra i soggetti coinvolti, pubblici e privati, così come i tempi di sviluppo». Quel che è certo, quindi, è che la digital trasformation si porta dietro una serie di profondi cambiamenti che stanno rivoluzionando la società. Il digitale è disruptive, dirompente, crea una frattura, perché estirpa l’ uomo dal proprio luogo sicuro di conoscenza e lo proietta entro un nuovo piano di conoscenza e quindi di vita. Ma il digitale offre nuove opportunità che possono migliorare la vita. Nella vasta gamma di volti che la rivoluzione digitale può assumere, i big data e la conseguente analisi di essi ricoprono un ruolo fondamentale. Riuscire a ottenere informazioni, una grande mole di informazioni, ed elaborare l’ ingente quantità di dati che tutti noi produciamo può per esempio aiutare a prevenire malattie e magari permettere di individuare come si muoveranno le epidemie. Questo perché in fondo il nostro utilizzo della tecnologia che ci pervade lascia già un segno: «parlando di dati ci riferisce alle tracce digitali dell’ attività umana legata alla tecnologia, al web, al cellulare» ha affermato Daniela Paolotti, research & digital epidemology di Isi Foundation, durante uno degli workshop che si sono svolti in settimana. Ma oltre a una funzione più, per così dire, sociale, analizzare i dati serve alle aziende per proporre nuovi servizi, grazie alla profilazione degli utenti che si riesce a fare ma che, come ha specificato anche Antonio Bosio, product & solution director di Samsung Electronics Italia, durante il workshop «Libero mercato e concorrenza per clienti evoluti e soddisfatti», «introduce anche alla problematica sulla privacy, aprendo quindi le porte anche al tema della cyber security», che a sua volta «impone il tema importante del comportamento degli utenti» e quindi la responsabilità delle aziende di attuare delle politiche di sensibilizzazione alla diffusione di dei propri dati». Ovviamente l’ innovazione, ha proseguito Bosio, «è tale se diventa utile per il consumatore». C’ è poi chi, come Sorgenia, punta alla sensibilizzazione degli utenti anche attuando un meccanismo psicologico di peer comparison. «A nessuno piace passare per scemo», ha spiegato Simone Lo Nostro, market & Ict director di Sorgenia. Allora per indurre a una sensibilizzazione sui consumi, monitorati grazie a sistemi di analisi dei big data, l’ azienda ha deciso di inviare messaggi ai propri clienti facendo loro notare, per esempio, «che il proprio vicino consuma un terzo rispetto a quella persona» inducendo quasi a una competizione, sana, che potrebbe indurre la persona che consuma maggiormente, a tenere sotto controllo, riducendo, i propri consumi. La rivoluzione digitale a sua volta avrà anche delle implicazioni nel mondo del lavoro. Uno dei temi più caldi di Industria 4.0 è proprio il delta tra posti di lavoro creati e licenziamenti che occorreranno. Bene saranno proprio i big data a lanciare un salvagente a molti lavoratori che dovranno riqualificarsi ma anche a diventare il trampolino che consentirà ai nuovi giovani di tuffarsi nel mare delle nuove professioni digitali. © Riproduzione riservata.
Guardian: formato più piccolo tabloid, così si risparmia per fare giornalismo
Italia Oggi
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«Cambiare dal berliner al tabloid ci permetterà di risparmiare milioni di sterline all’ anno, in modo tale che possiamo continuare a investigare su ciò che è importante». Così il Guardian ha spiegato qualche giorno fa ai suoi lettori il motivo del cambiamento dal formato berliner, simile a quello adottato in Italia dalla maggior parte dei giornali, da Repubblica in poi, al più piccolo tabloid. Si tratta della seconda riduzione del formato per il quotidiano inglese, perché già nel 2005 era passato dal tradizionale lenzuolo a quello berliner. La novità sarà effettiva a partire dal prossimo anno. «Negli ultimi sei mesi, abbiamo pensato molto a come possiamo continuare a offrire un grande giornalismo ai lettori attraverso le nostre edizioni cartacee», hanno scritto il direttore, Katharine Viner, e il ceo del Guardian Media Group, David Pemsel. «Allo stesso tempo, abbiamo anche esaminato ogni costo in tutta la nostra organizzazione, come parte di un piano triennale per rendere il Guardian finanziariamente sostenibile». Uno dei problemi, è stato l’ esito dell’ indagine interna, è il declino delle vendite dell’ edizione tradizionale: stampare nel formato berliner sta diventando sempre più costoso, mentre spostarsi verso il formato tabloid permetterà al Guardian (ma anche all’ Observer dello stesso gruppo) di essere più flessibile nei confronti della domanda. Le ricerche e i test che l’ editore ha fatto sui lettori del formato cartaceo sono stati incoraggianti, hanno aggiunto Viner e Pemsel: «abbiamo parlato ai lettori della versione cartacea che ci hanno chiaramente detto che è il grande giornalismo, la fotografia, la grafica e il design che valgono, non la forma e le dimensioni del giornale». Per il cambio di formato il Guardian ha siglato una partnership con il gruppo Trinity Mirror, l’ editore del Daily Mirror. Affiderà la stampa all’ esterno, insomma, mentre potrà vendere le sue rotative per il berliner, acquistate nel 2005 per 50 milioni di sterline, 56 milioni di euro. Se si pensa che la diffusione del quotidiano è passata dalle 341 mila copie dell’ aprile 2005 alle 154 mila attuali si comprende come fosse ormai un investimento poco profittevole. Il formato più piccolo, secondo le intenzioni del gruppo, potrebbe anche aiutare a rilanciare le vendite. Ma il cambiamento di formato soprattutto nel Regno Unito ha anche un valore simbolico. Tradizionalmente, infatti, il formato più grande, lenzuolo, era quello adottato dai giornali più importanti, mentre il tabloid era tipico dei quotidiani scandalistici. Per questo il Guardian ha coinvolto i suoi lettori, facendogli dire la loro e mettendo in risalto quanti sostenevano che il formato è poco rilevante ma ciò che importa maggiormente è la qualità del giornalismo che si assicura ai lettori.
Wsj in digitale fuori dagli Usa
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Il Wall Street Journal si prepara a diffondere il giornale in Europa soltanto in versione digitale. Secondo il Financial Times la decisione di tagliare la distribuzione di carta riguarderà anche l’ Asia, con l’ eccezione di un grande mercato di questo continente dove la News Corp. di Rupert Murdoch che possiede il quotidiano sta trattando con uno stampatore locale per proseguire con il formato tradizionale. Una scelta di razionalizzazione che dipende anche dai numeri: a fronte di un calo delle diffusioni del formato tradizionale stanno crescendo gli abbonamenti digitali. Nel primo trimestre di quest’ anno il quotidiano diretto da Gerard Baker ha registrato 118 mila nuovi abbonamenti con il nuovo formato, una tendenza che riguarda molti giornali. Anche il digitale del New York Times è cresciuto nei primi tre mesi dell’ anno, con 308 mila nuovi abbonati in più. Ovviamente il provvedimento permetterà anche un forte risparmio sui costi, eliminando quelli di stampa e i tagli del formato tradizionale interesseranno anche le copie omaggio fuori dagli Stati Uniti, così come le vendite in blocco, per esempio quelle agli alberghi. Una pulizia sulle diffusioni che in Italia ha avuto luogo per la maggior parte delle testate negli scorsi anni. Gli abbonati europei che però vogliono continuare a leggere il Wall Street Journal su carta potrebbero essere accontentati. La società, infatti, sta valutando di mantenere aperta questa opzione. In Australia, invece, alcune pagine del Wsj sono inserite nell’ Australian, altra testata di Murdoch, perciò qui la strategia potrebbe essere differente rispetto agli altri continenti. Il gruppo non ha voluto commentare le indiscrezioni del Financial Times confermate da due fonti, ma si è limitato a un comunicato: «Stiamo esaminando costantemente l’ equilibrio tra stampa e digitale in un momento in cui vediamo una forte crescita della domanda dei clienti per il digitale. Nell’ ultimo anno gli abbonamenti digitali del Wsj sono più che raddoppiati in Asia e sono cresciuti del 48% in Europa». Una conferma che almeno sul tavolo il tema c’ è e che d’ altronde non potrebbe essere diversamente visto l’ andamento del mercato. Sul finire dello scorso anno il quotidiano economico americano aveva invece deciso una razionalizzazione delle proprie pagine di cultura e arte, rendendo più snella l’ edizione cartacea, combinando alcune sezioni e riducendo la copertura delle notizie locali di New York. «Tutti i quotidiani stanno affrontando cambiamenti strutturali», aveva scritto Baker alla redazione, «e noi ci dobbiamo muovere per creare un’ edizione cartacea che possa stare in piedi su una solida base finanziaria per il futuro, mentre il nostro orizzonte digitale continua a espandersi». A essere combinate le sezioni su arte, cultura, tempo libero, nessun cambiamento per il cuore del giornale, economia e finanza. Baker aveva anche spiegato che questi cambiamenti non sono necessari soltanto perché «ci dobbiamo adattare alle condizioni mutate nel business della pubblicità su carta, ma perché sappiamo dalle ricerche sull’ audience che i lettori vogliono un quotidiano più digeribile». © Riproduzione riservata.
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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Agcom: necessario un approccio multidisciplinare ai big data. «È necessario un approccio multidisciplinare ai big data, sia a livello nazionale che internazionale, capace di racchiudere in un unico intervento complessivo e coordinato le tutele di fondamentali diritti individuali e collettivi in materia di privacy, concorrenza, e di tutela degli utenti». Lo ha affermato ieri il presidente dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Marcello Cardani intervenendo alla Fsr Communications & Media Annual Conference, presso la Florence School of Regulation. Cardani ha ricordato l’ indagine conoscitiva sui big data avviata congiuntamente da Agcom, Antitrust e dall’ Autorità garante per la protezione dei dati personali lo scorso 30 maggio. Soffermandosi poi sull’ interazione tra big data, app e tutela degli utenti, il presidente dell’ Agcom ha evidenziato quanto il consumatore non abbia una chiara percezione di quali dati vengano ceduti e di come essi siano utilizzati, in quanto «il meccanismo dell’ App si configura come una transazione una tantum riguardante altri servizi a fronte invece di un uso dinamico e prolungato delle informazioni degli utenti». Rai, Anzaldi: sul tetto stipendi risposta imbarazzante al Governo. «Sull’ applicazione del tetto agli stipendi la Rai prende in giro il governo, il parlamento, la commissione di Vigilanza e tutti i cittadini italiani che pagano due miliardi di euro all’ anno di canone». Lo ha scritto ieri su Facebook il deputato del Partito democratico e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, parlando della nota che il servizio pubblico ha inviato al ministero dello sviluppo economico. «Di fatto, secondo quanto riferito dalla Rai la definizione di artista è talmente ampia e onnicomprensiva da poterci fare rientrare chiunque, anche un animale ammaestrato che vada in onda su una trasmissione Rai», ha scritto Anzaldi. Sempre di ieri una lettera aperta dell’ associazione Indignerai al neo d.g. Mario Orfeo in cui si denuncia che per la presentazione dei palinsesti avvenuta in settimana a Milano è stato utilizzato un regista esterno che ha curato la trasmissione dell’ evento sull’ intranet aziendale, ennesimo esempio di utilizzo di risorse esterne nonostante le professionalità presenti in azienda. Otto e Mezzo chiude al 6,12% di share. Un’ altra stagione positiva, quella partita da settembre dello scorso anno, per Lilli Gruber alla conduzione di Otto e Mezzo su la7. L’ appuntamento dell’ access prime time conquista il 6,12% di share medio, chiudendo così la migliore stagione degli ultimi 4 anni. Il programma segna una crescita del 4% rispetto al 2013/14, del 25% rispetto a quella del 2014/15, e del 15% rispetto al 2015/16. Con oltre 1,5 milioni di spettatori medi (1.534.363) si conferma inoltre il talk di approfondimento più visto della tv italiana in termini di ascolto medio. In crescita anche la versione del sabato che, con il 4,23% di share e oltre 900 mila spettatori (931.541), fa registrare un incremento del 26% in termini di share rispetto al periodo omologo dello scorso anno, un risultato che conquista il gradino più alto del podio da quando la trasmissione ha esordito anche nel penultimo giorno della settimana. Otto e Mezzo ha contattato ogni sera più di 3,1 milioni di italiani (3.124.709) e oltre 34 milioni (34.291.102) nell’ arco dell’ intera stagione. A Falessi le relazioni esterne di Open Fiber. Andrea Falessi è diventato responsabile delle relazioni esterne e istituzionali di Open Fiber, l’ azienda guidata da Tommaso Pompei che ha il compito di realizzare la rete in fibra ottica di ultima generazione. Falessi lascia Enel, di cui è stato capo delle attività media relation, sponsorship e eventi, advertising, comunicazione interna, digital e new media. Tv2000 cambia frequenza ma non canale. Dal 3 luglio l’ emittente della Cei cambia frequenza ma non canale: sarà infatti sempre visibile al canale 28 del digitale terrestre. Tv2000, in seguito a un accordo siglato con il Centro Televisivo Vaticano, passa sul Mux TIMB2 dell’ operatore di rete Persidera, in precedenza era sul multiplex Rai. Basterà risintonizzare il televisore. DipiùTv fa giocare con Bergader. Socialità e divertimento per l’ azienda casearia bavarese Bergader, in collaborazione con Cairo Editore: dal 4 luglio, in allegato a DipiùTv, il settimanale diretto da Sandro Mayer, uno speciale mazzo di carte Modiano brandizzato e un ricettario con l’ erborinato Edelpilz. Miracoli Settimanale, nuovo corso da mercoledì. Uscirà mercoledì prossimo con una copertina dedicata a Papa Roncalli Miracoli Settimanale, edito da Periodici Italiani e firmato per la prima volta dal neodirettore Antonino D’ Anna. Prezzo: 1,5 euro. La copertina (nella foto) è stata pensata in occasione della notizia che le spoglie del Pontefice torneranno nel 2018 nella sua casa natale, a Sotto il Monte Giovanni XXIII, vicino Bergamo. Tra i servizi in sommario anche l’ aumento dei casi di esorcismi in Svizzera e un focus sui cardinali di Bergoglio.
Indagini e giornalisti, un accesso rispettoso agli atti
La Repubblica
L’ INCHIESTA LE FUGHE DI NOTIZIE LE ACCUSE
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Caro direttore, la trasparenza, osservava Norberto Bobbio già negli anni 80 con la lungimiranza che lo contraddistingueva, è uno dei principi che differenzia le democrazie dai regimi autoritari, perché in questi ultimi la segretezza e l’impossibilità di conoscere cosa fa l’amministrazione sono la regola. Pur scontando un forte ritardo, anche culturale, negli ultimi anni l’Italia ha compiuti enormi passi avanti: dal 2012 la legge Severino impone di pubblicare sui siti internet istituzionali una apposita sezione denominata amministrazione trasparente e l’anno scorso il decreto Madia ha introdotto l’accesso civico generalizzato (il cosiddetto Foia), una norma di civiltà che consente a chiunque di richiedere dati e documenti alla pubblica amministrazione anche senza dover dimostrare un interesse diretto. In linea coi compiti che la legge le affida, l’Anac sta profondendo il massimo dell’impegno affinché sia data piena attuazione alla trasparenza, nella convinzione – riconosciuta da tempo a livello internazionale – che essa sia uno dei principali argini alla corruzione, poiché, rendendo conoscibile l’operato della pubblica amministrazione, essa consente un controllo civico e diffuso da parte di cittadini e associazioni. Sotto questo aspetto, con la loro capacità di raggiungere anche coloro che non necessariamente sono in grado di muoversi con agilità fra gli strumenti informatici e il Foia, i media (cane da guardia della democrazia secondo la celebre definizione) possono svolgere un ruolo fondamentale. Il pieno e libero accesso alle informazioni serve del resto anche ad essi per avere notizie di prima mano senza intermediazione. È naturale dunque che tale funzione divenga cruciale quando in ballo c’è uno snodo fondamentale in qualunque democrazia: la pubblicità e la trasparenza dei fatti giudiziari. Con la riforma del processo penale il legislatore, fra i vari temi, ha concesso anche al governo la delega ad intervenire sulla delicata materia delle intercettazioni e di conseguenza su come e quando esse potranno divenire pubbliche e pubblicabili. Occorrerà trovare il non semplice ma giusto equilibrio fra diritto di cronaca, diritto alla riservatezza dei cittadini e segreto d’indagine. In attesa di tale intervento mi pare ci sia un aspetto cruciale che si continua a trascurare, ovvero come i media possono ottenere le informazioni necessarie a fare cronaca giudiziaria. Mi spiego: il codice di procedura penale prevede il divieto di pubblicare gli atti coperti da segreto istruttorio finché l’imputato non ne viene a conoscenza, cioè fino alla chiusura delle indagini preliminari, oppure in occasione di atti a sorpresa quali perquisizioni e sequestri. Se però si presentasse in cancelleria il giorno in cui sono stati emessi provvedimenti di arresto, un giornalista non avrebbe accesso nemmeno all’ordinanza di custodia cautelare perché, sebbene pubblica, le modalità con cui procurarsi tali documenti non sono regolate. Un cronista, a seconda delle circostanze, deve così confidare nella benevolenza degli inquirenti, di un avvocato, degli investigatori o del funzionario di turno. Può sembrare secondario ma non è affatto una questione neutra. Al contrario, finisce per essere una distorsione evidente, perché questa situazione non consente un rapporto paritario tra la fonte e il giornalista. Proprio per effetto di tale subalternità, infatti, quest’ultimo rischia di essere indotto a nutrire riconoscenza verso chi gli passa le carte, col rischio di minare l’imparzialità di cui dovrebbe essere portatore. Ci sono tantissimi stimati professionisti che danno quotidianamente prova di non correre simili rischi, tuttavia ciò non toglie che questa assenza di regole rappresenti un oggettivo vulnus. Come si può pensare che la stampa eserciti il suo ruolo, costituzionalmente riconosciuto, se poi non la si mette in condizione di svolgere al meglio tale impegnativo compito? Ed ancora: può quest’ambito restare non regolato in un sistema che ha già introdotto il Foia? Perché dunque non sanare questa lacuna riconoscendo ai giornalisti un accesso, sia pure rispettoso dei diritti delle parti coinvolte nel processo, agli atti depositati? I vantaggi sarebbero molteplici: avremmo la garanzia di un’informazione meno sbilanciata e sarebbero ridotti i rischi di rapporti poco chiari con le fonti o di manipolazione che possono derivare da un accesso privilegiato ai documenti d’indagine. Ritengo che un argomento così rilevante, determinante per la nostra democrazia, richieda che si apra davvero un dibattito pubblico e si superi quella che è oggi una tollerata ipocrisia.
Consip, Sciarelli nega Accertamenti anche su Whatsapp
La Repubblica
MARIA ELENA VINCENZI
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Tra qualche giorno toccherà al pm napoletano Henry John Woodcock, ieri davanti ai magistrati si è seduta la giornalista Federica Sciarelli, conduttrice della trasmissione di Rai3, Chi l’ ha visto? I due sono accusati dalla procura di Roma, di rivelazione del segreto per una fuga di notizie che ha riguardato l’ inchiesta su Consip. Per i pm, Sciarelli sarebbe avrebbe fatto da tramite per far arrivare una serie di notizie coperte dal segreto al Fatto Quotidiano. E, secondo l’ accusa, il mittente era il pubblico ministero campano. Che avrebbe informato il giornale di Marco Travaglio delle iscrizioni del comandante generale dell’ Arma, Tullio Del Sette, e di quella del ministro Luca Lotti (entrambi indagati per favoreggiamento e rivelazione del segreto d’ ufficio). Notizie pubblicate dal Fatto il 22 e il 23 di dicembre scorso. In quelle stesse ore il fascicolo veniva trasmesso a Roma per competenza. Sempre in quelle ore, i tabulati del telefono del cronista del Fatto Marco Lillo, autore degli articoli, mostravano alcuni contatti con la compagna di Woodcock. Di qui il convincimento dei pm romani che quella potesse essere la strada di una soffiata che ha avuto gravi conseguenze sull’ inchiesta. Che Sciarelli abbia passato, forse per conto del magistrato, una serie di informazioni alla testata di Travaglio. Quelle telefonate sono state al centro dell’ interrogatorio della giornalista. Due ore di faccia a faccia con il procuratore Giuseppe Pignatone, l’ aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi in cui il volto di Chi l’ ha visto? ha spiegato che lei non c’ entra nulla. Che né lei né il suo compagno hanno nulla a che vedere con quella fuga di notizie. Anzi. Ha spiegato che Woodcock non le parla mai delle sue indagini. E che spesso accade, come quel giorno, che addirittura lei non sappia nemmeno dove si trova. Sciarelli, che all’ uscita è stata assalita da cronisti e fotografi, si è limitata a dire di essere «sempre stata tranquilla». Il suo avvocato, Giorgia Papiri, si è detta soddisfatta e convinta che tutto sia stato chiarito. Sciarelli, ai magistrati che, tabulati alla mano, chiedevano conto del perché di quelle telefonate con il collega del Fatto, avrebbe ribadito quanto detto nei giorni scorsi, quando uscì la notizia della sua iscrizione, cioè che quel giorno Lillo la chiamò più volte per cercare Woodcock ma che lei non seppe dargli alcuna indicazione perché non sapeva nemmeno dove si trovasse. Ai pm ha anche spiegato che il 20 dicembre, era convinta che “Henry fosse a Napoli perché aveva detto di non sentirsi bene”. E di avere appreso da Lillo che, invece, il compagno era nella capitale. L’ avvocato Papiri ha spiegato che il cellulare di Sciarelli, sequestrato nei giorni scorsi, ancora non le è stato restituito perché sono ancora in corso gli accertamenti sui messaggi e sulle conversazioni Whatsapp. «Non a caso – ha chiarito il legale – hanno chiesto conto solo delle telefonate. E non dei messaggi. Noi, in ogni caso, ci siamo dette disponibili ad essere risentite se fossero necessari ulteriori chiarimenti» ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il sette luglio il magistrato napoletano sarà sentito dai colleghi che lo indagano a Roma