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Rassegna Stampa del 03/07/2017

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Indice Articoli

Il genio dei videogiochi ha una ricetta per i giornali: chi sale di livello paga

Industria creativa motore dell’ Italia

La cultura genera (solo) 285 mila occupati Il Meridione non cresce

Non siamo una specie in via di estinzione

In crescita l’ editoria per bambini

I lavoratori dell’ Unità chiusa: “Il partito ci ha abbandonato”

Nuovo attacco di Trump ai media In un video mette al tappeto la Cnn

Lavori e contributi discontinui, sei vie per ottenere la pensione

Il genio dei videogiochi ha una ricetta per i giornali: chi sale di livello paga

L’Economia del Corriere della Sera
dal nostro inviato a Palo Alto Massimo Gaggi
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Questo piccolo parallelepipedo ha cambiato tutto, passa tutto da qui: musica, video, vari modi di comunicare e di informarci e mille altre cose, dai dati dell’ attività fisica a mappe e percorsi stradali. Lo sappiamo bene tutti e lo sapete benissimo voi giornalisti che state vivendo una rivoluzione senza precedenti. Per i media tradizionali è dura, ma io credo che ci sarà sempre un mercato per chi produce contenuti informativi di qualità. Dovete, però, cambiare il sistema dei prezzi. Oggi siete come i ristoranti all you can eat: entri, paghi una tariffa fissa e mangi finché ce la fai» . Il luogo dove siamo è affascinante e sconcertante: un capannone industriale di Palo Alto, a un passo dall’ università di Stanford, trasformato nella sede di Playground, la società-laboratorio dove le idee di Andy Rubin (il padre di Android il sistema operativo di Google che fa girare i telefonini di quasi tutto il mondo non Apple) si trasformano in software e nuovi oggetti tecnologici. Il classico stile Silicon Valley – gente che gira tra le scrivanie in bici, in monopattino o col cane – qui conosce qualche variante: c’ è chi a fianco al tavolo da lavoro ha parcheggiato la Ducati e, mentre giri nell’ open space, devi schivare degli strani robottini che vanno in giro dando istruzioni: praticamente degli iPad poggiati su due gambe lunghe e sottili con lo schermo riempito da un faccione, presumibilmente un manager che sta altrove, intento a discutere coi computer scientist del lavoro da fare. Curioso anche l’ oggetto che mi viene mostrato: un telefonino fatto di ceramica e titanio, roba mai vista prima. Arriverà sul mercato Usa in autunno, in Europa più tardi. Ed è fuori dagli schemi pure la persona che me lo mostra. Niccolò De Masi che, nonostante il nome, di italiano ha solo il padre: «Papà lavorava nelle sedi estere del Banco di Roma. Conobbe mia madre quando era titolare dell’ ufficio di Los Angeles. Si sposarono. Io sono nato lì e sono cresciuto in giro per il mondo, soprattutto in Gran Bretagna dove, a Cambridge, mi sono laureato in fisica. In Italia sono stato solo tre anni, facevo le elementari, a Roma». Il background di questo manager di appena 36 anni non è quello che ti aspetteresti da uno che ti sta spiegando come la stampa potrebbe trovare nuova linfa vitale: Niccolò è un mago dei videogiochi. Ha creato varie start up di successo, ma è diventato ricco soprattutto intuendo che le celebrity potevano diventare il soggetto di seguitissimi giochi interattivi: «Ho cominciato con Kim Kardashian ed è stato un successo da centinaia di milioni di dollari. Ora ne abbiamo tanti e in vari campi: dalle star della musica come Taylor Swift e Britney Spears a grandi chef come Gordon Ramsey». Ma Niccolò è un inqueto, uno di quelli convinti che con la loro tecnologia possono cambiare il mondo. Da sempre legato ad Andy Rubin, alla fine dello scorso anno ha lasciato il ruolo di amministratore delegato di Glu, l’ ammiraglia del suo impero di videogiochi, per andare a fare il presidente e direttore generale della società di cui il creatore di Android è amministratore delegato. E ora ha gli stessi ruoli in Essential, una nuova impresa che ha appena lanciato uno smartphone di ceramica e titanio con dentro la tecnologia di Rubin che ambisce a diventare il terzo incomodo in un mondo dei telefonini di alta gamma oggi dominato dai Samsung, dalla tecnologia di Google e dagli iPhone di Apple. Essential oggi ha cento dipendenti e negli Usa partirà da un accordo con Sprint che nelle telecomunicazioni è più piccola di AT&T o Verizon. Come potete pensare di inserirvi tra i giganti mondiali? «Il mercato è sterminato e lo sarà sempre di più. La gente è pigra, vuole fare tutto con un solo device. Noi gliene offriamo uno con molte caratteristiche innovative, a cominciare dai materiali e dalla telecamere capace di girare video a 360 gradi. E’ anche più sottile e con uno schermo più grande. Io credo che ci sia spazio anche per una differenziazione generazionale. Oggi padri, nonni e figli hanno tutti in tasca lo stesso telefonino». Se, però, fosse vero che tutto passerà dallo smartphone, noi dei media avremmo sempre più problemi: non solo i giornali di carta, ma anche l’ informazione dei siti digitali. Sul cellulare si legge poco, difficilmente testi lunghi. E la pubblicità non funziona. «Nella mia carriera sono passato dal fare l’ investment banker alle cellule solari, alle app e, ora, agli smartphone. Ho imparato che, almeno per quello che riguarda il vostro mondo, il problema non è tanto il passaggio dalla carta al digitale in sé, quanto due fattori specifici. Intanto la velocità del cambiamento tecnologico: qualche anno fa, nel 2000, avevi solo dei messaggi in bianco e nero per niente sexy, mentre poi sono arrivati in rapida successione il colore, i video, lo streaming, la polifonia, la proiezione a 360 gradi e ora vai verso la realtà aumentata e virtuale. Inoltre hai l’ effetto rivoluzionario dell’ unbundling (la possibilità di far pagare un servizio per sezioni separate anziché come un unico pacchetto, ndr) che da un lato apre la strada a fonti di informazione alternative e più rapide, dall’ altro sconvolge il mercato pubblicitario attraverso la moltiplicazione delle piattaforme. Alla fine tutti – voi giornalisti, io con i videogiochi interattivi e tanti altri – combattiamo per conquistare il tempo degli utenti sull’ unico device che usano. Da questo punto di vista, per voi è di certo durissima: la gente, pigra, non vuole combattere con cento applicazioni. Già Facebook da sola, con la sua costellazione di siti, si prende il 20% del tempo di tutti noi. E col cellulare, sempre di più, farai di tutto. Guarda la Cina dove già oggi col telefonino, non solo fai l’ home banking, ma paghi le tasse e puoi ottenere un prestito. Questa, però, è solo una parte della storia». Meno male… «In Rete dove spendi il tuo tempo è una cosa, dove spendi i soldi è un’ altra. La pubblicità, certo, va dove spendi il tempo. Ma c’ è anche un mercato, più limitato ma ricco, di persone che cercano i contenuti, che sono disposte a pagare per avere informazione di qualità. Non sono, però, convinto che quello dell’ abbonamento standard sia il modo migliore per catturarlo. Non puoi trattare i lettori tutti allo stesso modo: ci sono i pesci piccoli ai quali puoi dare una base gratis, i delfini che chiedono di più e sono pronti a pagare qualcosa e le balene che vogliono molto e verseranno di più». Non credo che il lettore apprezzi il fatto di essere chiamato pesciolino o balena. Ed è curioso che un personaggio come la Kardashian possa essere considerata la cavia di un esperimento di comunicazione che tocca anche il giornalismo. Certo, con la Casa Bianca che ormai comunica coi tweet notturni di Trump… «Ognuno pensa della Kardashian ciò che vuole. Con noi si è comportata con grande professionalità: ha capito come diventare un brand e la dinamica del gioco. Invia post in continuazione. Crea contenuti e li diffonde. Passa con naturalezza dalla vita reale a quella virtuale del videogame. Non sottovalutare i videogiochi: sono una realtà importante non solo in termini economici ma anche come sviluppo di differenti capacità di analisi. E sono anche il campo delle tecnologie digitali nel quale il talento italiano o italo-americano ha avuto più successo, forse per la capacità di combinare fantasia visiva e ingegneria, software e design: da Riccardo Zacconi, fondatore di King Digital Entertainment a John Riccitiello di Electronic Arts. E non ti sorprendere troppo dei tweet del presidente. Ho letto una biografia di Napoleone basata sulle sue lettere: ne scriveva un’ infinità, tutte le notti, anche 12 alla volta. Ne hanno collezionate 35 mila, sugli argomenti più vari» . E le balene? «Quello della fauna marina è il linguaggio del mondo dei videogiochi. Sì, forse è irrispettoso, ma se ci pensi i meccanismi non sono poi molto diversi. Col modello freemium noi diamo un gioco di base gratis a tutti. Chi, poi, si appassiona e sale di grado, può scegliere se investire tempo in tutte le fasi del gioco e nell’ assorbimento della pubblicità che gli viene indirizzata o se pagare per passare direttamente alla fase successiva. Nel caso dei giornali, secondo me, le balene sono quei lettori esigenti che vogliono un’ informazione più approfondita: chiedono autorevolezza e anche i retroscena. Magari vogliono entrare pure nel backstage e sono disposti a pagare di più. E’ per questo che secondo me la tariffa d’ abbonamento unica non è l’ approccio giusto. La gente paga per la qualità. Un tempo in tv c’ erano Walter Cronkite e Tom Brokaw che erano la credibilità fatta persona. Oggi la gente pagherebbe eccome per vedere conduttori come loro» .

Industria creativa motore dell’ Italia

Il Sole 24 Ore
Katy Mandurino
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L’ economia italiana è sempre più “debitrice” nei confronti della cultura e della creatività. Niente di aleatorio, anzi: parliamo di dati concreti e di un sistema produttivo culturale e creativo che, anno dopo anno, aumenta il suo peso nell’ ambito della composizione del Pil nazionale. Lo dicono i numeri elaborati dal settimo rapporto “Io Sono Cultura” stilato da Fondazione Symbola e Unioncamere. Realizzato grazie al contributo di 40 personalità di punta nei diversi settori e alla partnership con Fondazione Fitzcarraldo e Si.Camera, e con il patrocinio del ministero per i Beni Culturali, quest’ anno il rapporto ha per sottotitolo “l’ Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi”. Sì, perché il sistema produttivo culturale e creativo italiano rappresenta il 6% della ricchezza prodotta in Italia, nel 2016, pari a quasi 89,9 miliardi di euro, con un effetto moltiplicatore sul resto dell’ economia pari a 1,8. Significa che per ogni euro prodotto dal sistema, se ne attivano 1,8 in altri settori. Gli 89,9 miliardi, quindi, ne stimolano altri 160, per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’ intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come principale beneficiario di questo effetto. Più di un terzo della spesa turistica nazionale, esattamente il 37,9%, è attivata proprio dalla cultura e dalla creatività. Una ricchezza che si riflette in positivo anche sull’ occupazione: il sistema delle imprese culturali dà lavoro a 1,5 milioni di persone (quasi 22mila unità in più del 2015), che rappresentano il 6% del totale degli occupati in Italia. «È una continua evoluzione in positivo – specifica il direttore di Fondazione Symbola Domenico Sturabotti -. Quest’ anno, a differenza degli anni scorsi, tutti i settori presi in esame hanno il segno più. Il fattore trainante più significativo è il fatto che le imprese manifatturiere hanno investito, per aumentare la propria competitività, in design, comunicazione e servizi, cioé nei settori creativi e culturali. È evidente come chi investa in creatività e cultura abbia performance economiche migliori di altri». Ma cosa si intende per “sistema produttivo culturale e creativo”? Si tratta delle attività economiche che producono beni e servizi culturali e delle attività che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la competitività, ovvero le creative-driven. I macro settori possono essere considerati cinque: industrie creative (architettura, comunicazione, design), industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, videogiochi, software, musica e stampa), patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), performing arts e arti visive a cui si aggiungono le imprese creative-driven (dal mobile alla nautica, in generale gran parte del made in Italy…). Le industrie culturali producono, da sole, oltre 33 miliardi di euro di valore aggiunto, ovvero il 37,1% della ricchezza generata dal sistema, dando lavoro a 492mila persone (32,9% del settore). Contributo importante anche dalle industrie creative, capaci di produrre 12,9 miliardi di valore aggiunto (il 14,4% del totale del comparto), grazie all’ impiego di 253mila addetti (16,9%). Performing arts e arti visive generano invece 7,2 miliardi di euro di ricchezza e 129mila posti di lavoro; a conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico si devono quasi 3 miliardi di euro di valore aggiunto e oltre 53mila addetti. A questi quattro ambiti, che rappresentano il cuore delle attività culturali e creative, si aggiungono i rilevanti risultati delle attività creative-driven: 33,5 miliardi di euro di valore aggiunto (il 37,2% dell’ intero sistema culturale e creativo) e 568mila addetti (38% del totale del sistema culturale e creativo). Le performance più rilevanti rimangono connesse ai segmenti come il design (+2,5% per valore aggiunto e +1,9% per occupazione), i videogame (+2,5% per il valore aggiunto e +1,7% per occupazione) e la produzione creative-driven (+1,7% per valore aggiunto e +1,5% per occupazione). Pur restando il talento il cuore di tutti questi settori, al dinamismo descritto ha contribuito anche il significativo incremento dei livelli di istruzione richiesti alle professioni culturali e creative. Tra il 2011 e il 2016 coloro che operano nel sistema produttivo culturale e creativo e sono in possesso di una laurea sono aumentati dal 33 al 40,9%: valore nettamente superiore al resto dell’ economia, in cui si è registrato un incremento inferiore a 3 punti percentuali (dal 17 al 20%). «Fattore importantissimo», aggiunge Sturabotti. La geografia del sistema produttivo culturale e creativo vede la provincia di Roma, con il 10%, al primo posto in Italia per incidenza del valore aggiunto del sistema sul totale dell’ economia. Seconda Milano (con il 9,9%), terza Torino, attestata sulla soglia dell’ 8,6%. Seguono Siena (8,2%), Arezzo (7,6%) e Firenze (7,1%). E ancora: Aosta, attestata al 6,9%, Ancona (6,8%), Bologna e Modena, entrambe al 6,6%. In termini di occupazione, la leadership per incidenza dei posti di lavoro sul totale dell’ economia è da attribuire a Milano, attestata al 10,1%. Al ridosso si collocano Roma (8,7%), Arezzo (8,6%%), Torino (8,2%), Firenze (7,6%), Modena Bologna e Trieste (tutte e tre al 7,5%), Monza-Brianza ( 7,3%) e Aosta (7,2%). Quanto alle regioni il peso delle grandi aree metropolitane a specializzazione culturale e creativa si fa sentire. Nella graduatoria delle regioni per ruolo del sistema produttivo culturale nell’ economia, considerando l’ incidenza di cultura e creatività nella produzione di valore aggiunto il Lazio si colloca primo (8,9%) seguito dalla Lombardia (7,2%). Dopo la Valle d’ Aosta, troviamo il Piemonte (6,7%) e le Marche (6,0%). Sul fronte dell’ occupazione, i primi quattro posti sono ripetuti nell’ ordine: primo è il Lazio (7,8%), seguito da Lombardia, Valle d’ Aosta e Piemonte. La quinta piazza, in questo caso, è occupata dall’ Emilia Romagna (6,5%). La cultura è sempre più trainante nell’ economia del Paese, ma permangono delle criticità: «La dimensione media delle imprese è ancora piccola – conclude il direttore di Symbola – , una strutturazione resta necessaria. Inoltre, il Sud continua ad essere meno attrattivo del Nord in termini di territorio; manca un sistema che supporti la crescita economica e questo acuisce il divario Nord-Sud». Il Mezzogiorno, ricco di giacimenti culturali e un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; solo il 4,1% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura, il che rappresenta un problema ma allo stesso tempo un’ opportunità di rilancio. Dinamiche simili si riscontrano per l’ occupazione, con il Nord-Est che, in questo caso, mostra una performance leggermente migliore di quella del Nord-ovest. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La cultura genera (solo) 285 mila occupati Il Meridione non cresce

L’Economia del Corriere della Sera (ed. Mezzogiorno)

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La cultura come principale driver dello sviluppo. In Italia è ormai una realtà, ma nel Mezzogiorno quest’ obiettivo è ancora molto lontano, come una meta agognata ma mai raggiunta. Eppure il Sud è ricco di giacimenti culturali e vanta un patrimonio storico e artistico di primo ordine a livello mondiale, tuttavia non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza; solo il 4,1% del valore aggiunto prodotto dal territorio è da ascrivere alla cultura, e dinamiche simili si riscontrano per l’ occupazione, il che rappresenta un problema ma allo stesso tempo può diventare un’ opportunità di rilancio. Ma cosa s’ intende per Sistema Produttivo Culturale e Creativo? Si tratta di tutte quelle attività economiche che producono beni e servizi culturali, ma anche che non producono beni o servizi strettamente culturali, ma che utilizzano la cultura come input per accrescere il valore simbolico dei prodotti, quindi la loro competitività. Il sistema produttivo culturale si articola in 5 macro settori: industrie creative (architettura, comunicazione, design), industrie culturali propriamente dette (cinema, editoria, videogiochi, software, musica e stampa), patrimonio storico-artistico (musei, biblioteche, archivi, siti archeologici e monumenti storici), performing arts e arti visive a cui si aggiungono le imprese creative-driven (imprese non direttamente riconducibili al settore ma che impiegano in maniera strutturale professioni culturali e creative, come la manifattura evoluta e l’ artigianato artistico). Il Rapporto 2017 «Io sono cultura – l’ Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi», elaborato da Unioncamere e Fondazione Symbola, restituisce un’ immagine molto diversa per il Centro Nord del paese e il meridione. Complessivamente al sistema produttivo culturale e creativo si deve il 6% della ricchezza in Italia, pari a circa 90 miliardi. Dato in crescita dell’ 1,8% rispetto all’ anno precedente. E non finisce qui, perché la cultura ha sul resto dell’ economia un effetto moltiplicatore pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura, se ne attivano 1,8 in altri settori. Quindi, i 90 miliardi ne stimolano altri 160 per arrivare a quei 250 miliardi prodotti dall’ intera filiera culturale, il 16,7% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. E, come se non bastasse, dà lavoro a un milione e mezzo di persone, il 6% del totale degli occupati. Ma al Sud purtroppo prospettive economiche e numeri sono molto diversi. Il valore aggiunto si aggira sui 14 miliardi, gli occupati non raggiungono i 285 mila. La parte del leone la fa la Campania con un pil settoriale attorno ai 4 miliardi e con 77.500 occupati. Segue la Sicilia con 3 miliardi e 300 milioni e 67 mila posti di lavoro. La Puglia è ferma a 2 miliardi e 675 milioni e gli addetti nella regione sono 57.700. Percentuali infinitesimali per Calabria e Basilicata, nonostante quest’ ultima dovrà ospitare Matera capitale della Cultura 2019. In sostanza, come peraltro avviene per l’ intera economia, anche nell’ industria culturale emerge una profonda dicotomia tra Nord e Sud. Proprio la Calabria, ultima per valore aggiunto pro capite, sembra essere la regione con minor affinità culturale: nonostante l’ indubbio patrimonio che caratterizza questo territorio, infatti, sia in termini di valore, sia in termini di occupazione, la quota sul totale economia appare la più bassa. Peraltro le regioni del Sud si confermano come più orientate nel settore dell’ editoria e della stampa. E, proprio a proposito di stampa, è interessante che il Rapporto metta in evidenza come a gennaio 2016 anche il «Corriere della Sera» abbia deciso di lanciare un paywall per aumentare i guadagni dal digitale: «Si tratta del primo esperimento di questo tipo in Italia per un quotidiano a tiratura nazionale, che sta avendo risultati molto positivi se si guarda alla crescita rispetto al lancio. Registrando +20% secondo i dati pubblicati da Engage a maggio 2017, per un totale di 35 mila abbonati». Secondo i dati del ministero dei Beni Culturali richiamati dal Rapporto, il 2016 ha visto un vero e proprio boom dei grandi siti archeologici campani, e non solo: Museo Archeologico di Napoli, Parco archeologico di Paestum e Scavi di Pompei, ma anche la Reggia di Caserta, i Musei di Capodimonte e di Castel Sant’ Elmo a Napoli, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, il Parco archeologico di Paestum.

Non siamo una specie in via di estinzione

La Stampa
MARIO BAUDINO
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Uno dei primi libri che curò per Bompiani, giovane redattrice, fu il Frasario essenziale per passare inosservati in società di Ennio Flaiano. Le torna in mente ora che le chiediamo che cos’ è per lei il mestiere di editore. «È mediare tra due mondi: uno è il mercato, fatto di regole e risultati, leggi e soldi; l’ altro, impalpabile, è la creazione artistica, incerta. L’ editoria è il paradosso di una costruzione molto complessa poggiata sull’ immateriale. Ovvero, per citare Flaiano, “con i piedi ben poggiati sulle nuvole”». Le nuvole di Elisabetta Sgarbi oggi sono La nave di Teseo, ma per molti anni si sono chiamate Bompiani, dove entrò nel 1990 e bruciò le tappe fino al ruolo di direttore editoriale. Fa molte cose, come si sa: per esempio è regista in proprio, per esempio organizza la Milanesiana. Nel 2015, quando l’ intera Rizzoli libri venne acquisita da Mondadori, se ne andò, assieme ai suoi più stretti collaboratori e a parecchi autori, per dare vita alla nuova sigla: in quello che sembrava il momento peggiore. I fatti le stanno dando ragione proprio quando molti cominciano ad accarezzare l’ idea che il ruolo dell’ editore si stia esaurendo, nell’ era dei social, messo all’ angolo dall’ utopia di un contatto non mediato tra autore e lettore. Come si sente davanti a uno scenario del genere? «Bisogna capire cosa si intende per editore», risponde: «la grande azienda (che pure ha ovviamente una motivazione) oppure la persona cui l’ autore si riferisce costantemente, nei suoi alti e bassi? Secondo me l’ editore che serve è quello che, con continuità, crede nell’ autore, nelle sue imprevedibili vicende. Questa figura sta diventando una rarità». Absolute beginners Mentre dilaga «l’ aziendalismo impersonale, anche nella stessa personalità di giovani editor. Ma se parliamo di realtà così impersonali, ce ne sono altre – come Amazon – che in questo campo sono molto più attrezzate». Bene, abbiamo capito. Lei non si sente in via di sparizione, gli altri chissà. Intanto la nuova casa editrice si è impetuosamente espansa, per esempio acquisendo Baldini & Castoldi e aprendo Oblomov. «Impetuosa espansione mi sembra eccessivo, quando c’ è un editore che ha il 35% del mercato. La nave di Teseo – e, sottolineo, i suoi illuminati – ha fatto questa scommessa: perché disperdere un patrimonio di autori e una storia? Baldini ha le potenzialità per scoprire autori e valorizzare quelli che ha. Così come Oblomov è una nuova casa per il graphic novel , con Igort. Si tratta di dare energie nuove alla editoria». È noto come il nome sia stato scelto da Umberto Eco, che stava per morire ma incoraggiò l’ impresa in modo decisivo. Era già il nume tutelare della Bompiani. Quanto è stato importante per lei? «Vede, Eco ha cambiato la Bompiani. L’ ha resa una casa editrice planetaria. Nel mondo veniva esaltato il suo genio di saggista e narratore». Ma era anche un vero editore. «Aveva dato corpo al catalogo della casa editrice. Ed era un redattore implacabile: alle cene con noi, non mancava di portare i libri che pubblicavamo, segnalando e irridendo gli errori. Era capace di una tenerezza e fedeltà assoluti». Non è stato il solo maestro. Ogni editore ha la sua storia plurale. Nel pantheon di Elisabetta Sgarbi c’ è anche Gianantonio Cibotto, lo scrittore veneto (che di fatto inventò il Campiello): fu lui a indirizzarla, giovanissima, a una casa editrice di Pordenone, Studio Tesi, dove tutto cominciò. «È stato il primo. E poi Mario Andreose [suo predecessore alla Bompiani, ndr]: ma aggiungerei Enrico Ghezzi, che continua a scoprire mondi fantastici. Credo di essere ricettiva e di imparare dalle persone che lavorano con me». Che cosa ha imparato in particolare? «Che siamo sempre absolute beginners , per citare Bowie». Anche perché, pubblico a parte, ogni autore è diverso. Il mestiere dell’ editore è anche capirlo al volo, aiutarlo, magari affascinarlo. Ci sono storie tormentate. Per esempio con Andrea De Carlo, che ha appena dato alla Nave 15 titoli del suo catalogo (usciranno da novembre) dopo complessi andirivieni tra Bompiani e altri, e infine un lungo silenzio. «In tutti i mesi in cui non ci siamo sentiti, dalla fine di novembre del 2015 fino a qualche settimana fa, ho letto tutte le sue dichiarazioni, per capire se c’ era risentimento o restava l’ amicizia. E ho sempre coltivato la speranza di ritornare a lavorare con lui». «Mio fratello, sua sorella» Ci sono storie di ammirazione a distanza che poi si sciolgono all’ improvviso: «Con Alberto Moravia ero una giovane redattrice, silenziosa e diligente», persino intimidita. «Lo frequentai di più in occasione del libro a quattro mani scritto con Alain Elkann: mi vezzeggiava dicendo a mio fratello Vittorio – già ampiamente noto e enfant prodige – che era lui “mio fratello”, ribaltando il cliché che mi voleva “sua sorella”». Ci sono storie di divertente follia. Carmelo Bene la trasformò in una Penelope. «Notti intere all’ Hotel et de Milan a disfare i libri che componevo di giorno. Ne abbiamo fatto uno di componimenti poetici, ‘l mal de’ fiori (nel 2000), del tutto fuori formato perché, diceva Carmelo, nella collana cui era destinato “si volta troppo pagina”». Chissà come reagirebbero, oggi, gli «impersonali». Ma hanno altri pensieri: per esempio, pescare freneticamente nella rete personaggi con molti followers e farne bravamente degli autori, a volte con un certo successo commerciale. Vale la pena? «Ci sono linee editoriali che possono e debbono contemplare questi autori. L’ editoria non è un blocco monolitico, i libri cambiano il mondo ma si nutrono del mondo. Il tema è la pluralità della offerta: bisogna mantenere viva la letteratura, ristampare i classici, rischiare su scrittori più complessi; e sì, anche cogliere fenomeni così larghi e profondi come questi». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

In crescita l’ editoria per bambini

Il Sole 24 Ore
Natascia Ronchetti
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milano «Nell’ età prescolare si sta valorizzando molto il ruolo del libro, fin dalla più tenera età. Per quanto riguarda i bambini in età scolare vediamo invece che, accanto a realtà dove la lettura è ancora poco promossa, ci sono molte scuole che investono sempre di più su progetti di promozione dei libri». Lorenzo Garavaldi è il direttore della divisione editoria per bambini e ragazzi del gruppo Mondadori, a cui fa capo la casa editrice Piemme (oltre 31 milioni di ricavi nel 2016, leadership nel segmento con una market share superiore al 12%) che diciassette anni fa ha lanciato in Italia Geronimo Stilton. Un vero e proprio caso editoriale – con 33 milioni di copie vendute nel nostro Paese, 130 milioni nel mondo e più di 400 titoli – che ha contribuito a risollevare le sorti dell’ editoria infantile, un comparto che beneficia di una rendita storica – una grande tradizione di massima qualità – e che negli ultimi tempi non ha assistito all’ erosione che ha caratterizzato il settore. Per due anni consecutivi, nel 2015 e nel 2016, ha infatti visto una crescita del 3% dei ricavi, a fronte della stagnazione del resto dell’ editoria, arrivando a generare un volume d’ affari di quasi 200 milioni di euro. Questo grazie anche alla contaminazione tra libri contemporanei e classici della letteratura infantile e alla forte popolarità tra i bambini del “topo” Geronimo Stilton, diventato a sua volta un classico, con una costellazione di una decina di collane. Creato da Elisabetta Dami è il personaggio più venduto dell’ editoria italiana per ragazzi. «Fin dall’ inizio – ricorda Garavaldi – per la casa editrice fu un progetto importante sul quale investire con un’ ottica strategica e la risposta del mercato fu positiva fin dal primo momento. La dimensione globale è arrivata con il tempo, con una forte presa, in Europa, in Paesi come Spagna, Olanda e Francia e, oltreoceano, in Canada e negli Stati Uniti. Recentemente la popolarità del personaggio tra i bambini sta crescendo anche in Cina, un Paese dove si assiste a un forte sviluppo dell’ editoria per i ragazzi». Una questione di riconoscimento universale in una categoria di valori – la lealtà e l’ amicizia prima di tutto – nei quali i bambini si identificano. Ma il motivo del grande successo di Geronimo Stilton è dato anche da una struttura narrativa che combina efficacemente testo e immagini: un modo per avvicinare i più piccoli alla lettura. Caratteristiche che, nonostante la contaminazione della digitalizzazione, anche nei Paesi più avanzati sul piano tecnologico, consentono anche di mantenere intatto il valore del libro nella dimensione cartacea, che continua a mantenere una centralità sia in Italia che all’ estero. Qualità e cura, impostazione narrativa, combinazione tra testo e immagini saranno in primo piano anche nel libro speciale di Geronimo Stilton che come ogni anno uscirà dopo l’ estate. E questa volta, per l’ edizione 2017, con una novità: conterrà parole e messaggi nascosti da un inchiostro che scompare con il calore delle mani. Una nuova caratteristica per invogliare sempre più ragazzi alla lettura. «Un tema verso il quale – dice Garavaldi – riscontriamo che c’ è sempre più attenzione. Non solo per la consapevolezza dell’ importanza della lettura ma anche per la maggiore capacità degli adulti di sapere indirizzare i bambini». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I lavoratori dell’ Unità chiusa: “Il partito ci ha abbandonato”

Il Fatto Quotidiano

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Ci sono anche i giornalisti de L’ Unità in piazza Santi apostoli a Roma, tra i partecipanti alla manifestazione della sinistra di Giuliano Pisapia. “L’ Unità è stata completamente abbandonata. Siamo senza lavoro e senza stipendio da maggio e non abbiamo la cassa integrazione”, dice uno di loro. I cronisti lamentano anche il fatto di non essere stati coinvolti nel lancio di “Democratica”, la nuova testata online del Pd. “Di “Democratica” lo abbiamo saputo da un post, non siamo stati assolutamente coinvolti, insomma oltre al danno la beffa, evidentemente Renzi voleva liberarsi di noi”, accusano i giornalisti esibendo una pagina dell’ Unità che titola “Rottamati dal Pd: Renzi lancia un nuovo giornale e dimentica i lavoratori de l’ Unità”. In prima pagina la foto del fondatore, Antonio Gramsci e la didascalia recita: “E’ l’iniziò e Matteo Renzi la fine”. Il segretario del Pd dice che la proprietà è privata. “Il Pd ha il 20% delle quote, anche Renzi ha delle responsabilità, non può dire che è in mano ai privati: ha abbandonato 35 famiglie”, rispondono i lavoratori.

Nuovo attacco di Trump ai media In un video mette al tappeto la Cnn

Corriere della Sera
Giuseppe Sarcina
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON Donald Trump stabilisce un altro record di aggressività con un video postato ieri su Twitter. La scenetta è ripresa a bordo ring di un incontro di wrestling. A un certo punto irrompe Trump che si scaglia contro l’ organizzatore del match, atterrandolo e colpendolo con una scarica di pugni. Urla e ovazioni: sul volto dell’ uomo messo al tappeto il logo della Cnn, che poi si trasforma in Fnn «FraudNewsCnn». Oltre 200 mila persone hanno cliccato il «cuoricino» del gradimento, mentre la Cnn ha reagito con un comunicato: «È un giorno triste quando il presidente degli Stati Uniti fomenta la violenza contro i reporter. Trump ha dato prova di un comportamento adolescenziale molto al di sotto della dignità del suo incarico. Noi continueremo a fare il nostro lavoro. Lui dovrebbe cominciare a fare il suo». Ma quella di Trump è una strategia dove si mescolano istinto e pianificazione. La sequenza sulla Cnn-Fnn si basa su immagini del 2007, quando effettivamente l’ allora tycoon newyorkese finse di aggredire Vince McMahon, il patron del wrestling. La «clip» chiude l’ ultimo ciclo dello scontro sempre più aspro con i produttori di notizie false, le «fake news». Sabato sera, al teatro Kennedy di Washington, il leader degli Usa ha tenuto un discorso ai veterani. Il passaggio più applaudito è stato quello su tv e giornali: «I fake media stanno cercando di ridurci al silenzio, ma non glielo consentiremo. I fake media hanno cercato di non farci arrivare alla Casa Bianca. Ma io sono il presidente, non loro». Completa il quadro una spiegazione via Twitter: «I media, falsi e fraudolenti, stanno lavorando duro per convincere i repubblicani e altri che non dovrei usare i social media. Ma ricordate: ho vinto le elezioni del 2016 grazie alle interviste, ai discorsi e ai social media. Ho battuto le Fakenews». Un presidente non dovrebbe twittare? «Il mio uso dei social media è quello di un presidente moderno, attuale». La «modernità» di Trump, però, non solo sta suscitando la reazione indignata di larga parte dell’ opinione pubblica, ma sta mettendo in difficoltà lo stesso partito repubblicano. Ieri il senatore Ben Sasse, del Nebraska, ha dichiarato alla «Cnn» che il presidente sta «trasformando in un’ arma» la sfiducia nella stampa. E altri parlamentari conservatori avevano appena preso le distanze dagli attacchi di Trump alla giornalista del canale Msnbc, Mika Brzezinski. I repubblicani vorrebbero che il presidente si concentrasse solo sui risultati politici. Un esempio è quello dell’ Onu che si prepara a tagliare 600 milioni di dollari dal budget per le missioni di pace. Una riduzione del 7,2% che ora dovrà essere approvata dall’ Assemblea generale. Un passo nella direzione chiesta dagli Stati Uniti. Ma Trump sembra non averlo neanche notato.

Lavori e contributi discontinui, sei vie per ottenere la pensione

Italia Oggi Sette
PAGINE A CURA DI DANIELE CIRIOLI
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La pensione? Un puzzle di contributi tra Inps e casse di previdenza. In tempi di lavori brevi e discontinui, anche la pensione non è più una e sola (e lo sarà sempre meno), ma la somma di tante quote corrispondenti a tanti spezzoni contributivi pagati in fondi previdenziali diversi. Per comporre il puzzle, i lavoratori hanno a disposizione sei vie, talvolta anche sovrapponibili: dalla tradizionale ricongiunzione (gratuita per i fortunati vecchi lavoratori, oggi a pagamento) fino al recente «cumulo» disciplinato dalla legge Bilancio 2017. Vediamo, dunque, chi, come e quando può ricorrere a una piuttosto che un’ altra via. Dalla ricongiunzione al cumulo 2.0. Quella di poter «sommare» i diversi periodi contributivi, al fine di maturare un’ unica pensione, è un’ esigenza da sempre avvertita dai lavoratori. Infatti, nella vita di ogni lavoratore, pubblico o privato, dipendente, autonomo, professionista, capita di dover cambiare mestiere e funzione e, quindi, di ritrovarsi con diversi periodi assicurativi e contributi versati a diverse gestioni di previdenza (Inps, ex Inpdap, casse professionali). All’ avvicinarsi del momento della pensione si presenta il problema: come verranno calcolati i diversi spezzoni contributivi? Danno diritto tutti e alla stessa misura a una pensione? E, soprattutto: con quali requisiti posso mettermi in pensione? Fino al 1979 (ben 40 anni fa!), salvo qualche eccezione riservata ai dipendenti pubblici (legge n. 322/1958 abrogata da luglio 2010 e vive solo per chi ha cessato il versamento di contributi Inpdap prima del 30 luglio 2010 senza aver maturato la pensione), per tutti gli altri lavoratori era praticamente impossibile «sommare» due periodi di lavoro per i quali si erano versati contributi in diverse gestioni (si contavano circa 40 enti e fondi di previdenza). Perciò, se un lavoratore si trovava ad aver fatto per metà vita lavorativa il commerciante e per l’ altra metà l’ agricoltore correva il rischio di ritrovarsi senza pensione, nonostante avesse pagato contributi per tanti anni. Ciò, evidentemente, comportava irreparabili danni ai lavoratori. Per evitare questo, il legislatore ha iniziato a inventare soluzioni che consentissero di sommare i diversi periodi contributivi tra i diversi enti pensionistici. In origine, e per un certo periodo, c’ è stata solo la «ricongiunzione», talvolta gratuita e in altri casi a pagamento. Esempio: un lavoratore che per un certo periodo pagava i contributi all’ Inps come impiegato, divenuto giornalista era iscritto automaticamente all’ Inpgi. Ebbene, volendo far confluire i contributi Inps all’ Inpgi per avere un’ unica pensione come giornalista, avrebbe dovuto pagare parecchi soldi, perché il trattamento dei giornalisti era più generoso. Lo stesso succedeva nell’ ambito dello stesso Inps, se ad esempio un lavoratore con contributi da autonomo e dipendente aveva intenzione di far confluire i primi contributi tra quelli di lavoro dipendente. Per queste ragioni, addirittura, molto spesso capitava che periodi brevi andavano persi. Adesso le cose stanno molto diversamente: ogni governo, infatti, ci ha voluto mettere del suo e si contano almeno sei diverse vie per maturare il diritto a una pensione quando si sono pagati contributi in varie gestioni (riassunte nelle tabelle in queste pagine). Le tre «ricongiunzioni». La ricongiunzione è disciplinata da due leggi: n. 29/1979 (contributi tra Inps, ex Inpdap, ex Enpals, Inpgi, gestioni speciali Inps per i lavoratori autonomi e i fondi sostitutivi); n. 45/1990 (contributi tra casse professionisti e gestioni, in altro articolo in altra pagina). Attenzione; le discipline operano solo nel sistema retributivo o misto delle pensioni; pertanto, si rivolgono e sono utili solo a chi può far valere almeno un contributo entro il 31 dicembre del 1995. La prima ricongiunzione è quella con cui i contributi si «accentrano» (cioè si spostano) nel fondo pensioni lavoratori dipendenti. Interessa tutti i fondi eccetto la gestione separata. Fino al 30 giugno 2010 era gratuita per i contributi versati nei fondi alternativi (dal 1° luglio 2010 è onerosa). La ricongiunzione dei contributi dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti), invece, è stata da sempre a pagamento.


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