Indice Articoli
“L’ informazione della Rai deve ritrovare credibilità”
Morelli: «Fiction, tecnologie e un direttore autonomo Rilancio della Rai a Milano»
Da Rai Sport al Giornale Radio quattro direzioni vacanti
Vigilanza in pressing su Tria “Superiamo lo stallo di Foa”
La battaglia di Stromboli per riavere l’ edicola
“L’ informazione della Rai deve ritrovare credibilità”
Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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“Il vero problema è il dilettantismo, non il populismo”. Flavio Cattaneo, 55 anni, ha guidato negli ultimi cinque anni i treni di Italo, poi Telecom Italia, poi di nuovo Italo che da poco ha venduto a un fondo americano con un incasso personale di 115 milioni di euro. Soldi che in parte ha reinvestito, insieme agli altri soci storici, proprio su Italo, mentre a settembre partirà con una nuova iniziativa da investitore, un “club deal”: con l’ aiuto di una rete di privati, vuole rilevare quote di controllo di “aziende che hanno bisogno di trasformazione e crescita o start up come Italo”. A Italo, dice, “abbiamo costruito, insieme a un gruppo di azionisti visionari e una squadra di manager competenti, una società che da zero è diventata di rilevanza nazionale”. Un investimento seguito da una robusta cura manageriale. La stessa che tra 2003 e 2005 ha applicato anche alla Rai, di cui era stato nominato direttore generale dall’ allora governo di centrodestra. Flavio Cattaneo, 15 anni dopo la sua gestione, come sta la Rai? Ha sempre avuto una struttura interna legata all’ informazione molto forte, più di 1.000 giornalisti, con una presenza in tutte le Regioni. Ma questa forza si è indebolita a causa della tecnologia, il web ha una capillarità maggiore di qualunque rete di redazioni regionali. Ma la Rai ha un brand riconosciuto come istituzionale e su questo deve scommettere. Errori recenti? Parlo da una prospettiva manageriale, non politica: per esempio a Rai3, il pur molto competente direttore ha ereditato una rete che negli anni ha abbandonato quella centralità dell’ informazione che la caratterizzava, colpa anche del fatto che si confrontava con governi con lo stesso orientamento culturale. Il vuoto nel pluralismo informativo è stato occupato intelligentemente da La7, che si è messa su posizioni critiche. E il resto delle reti Rai? Quella che ha più difficoltà di posizionamento, secondo me, è sempre Rai2, che non si può davvero considerare una rete per giovani, complementare a Rai1 che parla al pubblico più maturo. Ai tempi della nostra gestione affrontammo il problema con innesti di programmi nuovi: nel 2005 mandammo in onda la prima edizione de l’ Isola dei famosi, che nella serata finale toccò punte del 52 per cento di share, più della nazionale di calcio. In ogni mestiere si parte dal prodotto e la televisione non fa eccezione. I manager, incluso il nuovo dg Fabrizio Salini, per innovare dovrebbero avere un mandato chiaro dall’ azionista, cioè il governo. Abbiamo visto già troppe volte politici che nominano manager indipendenti e poi li scaricano perché hanno fatto scelte nell’ interesse dell’ azienda e non dei loro mandanti. I politici devono capire che quando sono in maggioranza dovrebbero fare norme che tutelino anche l’ opposizione perché prima o poi tutti diventano opposizione. La Rai deve competere con Netflix o essere solo la tv dei discorsi di Mattarella e di Sanremo? Netflix ha un modello di business che si basa sull’ abbonamento mensile a pagamento. La Rai ha già il canone, non può neanche pensare di mettersi in concorrenza. Sul mercato italiano c’ è anche Tim Vision che ha raggiunto numeri importanti. Vodafone ha comprato da Liberty Global il secondo operatore via cavo in Germania. In Spagna Telefònica ha la prima pay tv: la convergenza tra telefonia e contenuti sta già nei fatti. Che spazio resta alla Rai? La Rai dovrebbe essere una via di mezzo. Deve investire sul suo brand istituzionale, aumentare l’ informazione, svecchiare alcuni programmi e valutare la cessione di parti dell’ azienda per innescare la competizione tra gli editori, sempre col senso di responsabilità che si richiede a un servizio pubblico. Mediaset sfida Rai e La7 con il rilancio di Rete4 piena di nuovi talk show. Ce la farà? La Rai è sempre stata regina nella credibilità dell’ informazione, mi ricordo Ballarò che faceva il 16-18 per cento. Poi ha perso un po’ di smalto. Mediaset ha meno storia dal punto di vista dell’ informazione, anche se ha buone competenze per fare un tentativo. Quando è stato indicato Marcello Foa alla presidenza, molti si sono allarmati per le sue posizioni filo-russe e anti euro. Quanto conta l’ orientamento culturale dei dirigenti sulle scelte della Rai? C’ è un differenziale di tempo tra quando si prende una decisione e quando questa diventa efficace. Cambiare un conduttore è facile, cambiare l’ identità culturale dell’ azienda può essere velleitario. Immaginiamo che si vogliano usare le fiction per dare il messaggio che gli immigrati sono una minaccia e non una opportunità: i risultati si vedranno – forse – fra 3-4 anni, ammesso che ci sia una presa forte sulla struttura da parte dei vertici. Da manager con poco tempo che dieta mediatica segue? Mi alzo presto e alle 7 ho già letto 3-4 giornali, per lavoro in Telecom guardavo le principali serie televisive, Breaking Bad, Narcos, La Casa di Carta, studio il prodotto e guardo le trasmissioni di informazione con mia moglie. Molto spesso mi sono trovato a passare dalla Rai a La7 perché era lì che si sviluppava il dibattito politico. Il tetto di 240.000 euro di stipendio annuo che vale anche per il nuovo dg Rai è un problema o è giusto chiedere a chi lavora per lo Stato di accettare compensi diversi che nel privato? Le aziende che stanno sul mercato si devono adeguare alle logiche di mercato. Diverso se ci sono enti o istituzioni che non si rivolgono al mercato e possono chiedere un impegno da civil servant, con un compenso limitato o addirittura a titolo gratuito. Ma non si può chiedere a chi guida Eni e Enel o Leonardo di essere un civil servant. Se si vuole che la Rai stia sul mercato, si potrebbe prevedere per il capo azienda una base di stipendio bassa e una parte variabile più alta legata a risultati chiari e misurabili da parte dei cittadini. Dove vede del potenziale nel settore dei media, così in affanno? Sul web ci sono spazi enormi perché i giornali tradizionali ripropongono il giornale di carta in versione digitale, cambia il supporto tecnologico ma non la sostanza. Mentre il web vive di filmati, di immediatezza, poco testo e tanto vissuto diretto. Sono i video l’ informazione del futuro.
Morelli: «Fiction, tecnologie e un direttore autonomo Rilancio della Rai a Milano»
Corriere della Sera
GIAMPIERO ROSSI
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«Non abbiamo cambiato idea: la sede Rai di Milano avrà un ruolo importante. Cerchiamo un manager all’ altezza e valutiamo attentamente il trasferimento al Portello». Alessandro Morelli è parlamentare, responsabile della comunicazione per la Lega e consigliere comunale milanese da due legislature. Tocca a lui, quindi, rispondere a preoccupazioni e interrogativi che da mesi hanno ripreso a circolare in corso Sempione. Dopo le speranze innescate dall’ ex direttore del Centro di produzione, Piero Gaffuri, il pessimismo è tornato a prevalere. La Rai milanese è senza una vera guida e resta incerto anche l’ allargamento della sede negli spazi della Fiera al Portello. Morelli, questo è un cavallo di battaglia storico per la Lega. Il vostro fondatore Umberto Bossi ha sempre sostenuto l’ importanza di una Rai forte e autonoma per Milano e la Lombardia. Adesso che siete al governo che programmi avete? «Tutte le sedi regionali, e quella di Milano in primis, devono essere valorizzate. Questo è un punto di partenza che fa parte del Dna della Lega tanto quanto il federalismo ed è chiaro a tutti i ministri». Ma qual è il vostro progetto, l’ idea di partenza per questa valorizzazione? «Innanzitutto c’ è la volontà chiara, e non da oggi, di togliere le briglie di Roma a tutte le sedi e le testate regionali per lasciarle libere di esprimere e valorizzare le proprie potenzialità e culture locali. Perché, comunque quello che viene spesso liquidato come folklore è un patrimonio culturale che attira migliaia di visitatori nei nostri territori». Il direttore che ha appena lasciato corso Sempione, Piero Gaffuri, sognava la produzione di una fiction milanese sullo stile di «Un posto al Sole». Quando era leader della Lega, Umberto Bossi chiedeva programmi in dialetto: a cosa si avvicina di più il modello che avete in mente? «Di sicuro di portare più produzioni a Milano. Ce ne sono già diverse, e alcune molto importanti, ma finora questo è avvenuto perché gli stessi conduttori – per esempio Fabio Fazio – hanno scelto autonomamente di realizzarle qui. La nostra idea, invece, è di pianificare una diversa distribuzione di queste produzioni. Poi, soprattutto per una sede come questa, c’ è da valorizzare un patrimonio enorme di redattori, autori, tecnici: quindi sì all’ idea di una fiction tutta milanese. E poi c’ è da lavorare nell’ ambito delle nuove tecnologie». Cioè? «La Rai è piuttosto in ritardo sui prodotti on demand, ma questo non è più soltanto un tema per il futuro, già adesso non è più roba per soli giovani: è un mercato potenziale. E una città come Milano, dove hanno sede e operano molte aziende ad alta tecnologia, è l’ ambiente ideale per svilupparlo». Ma tutti questi progetti hanno bisogno di una sede adeguata. Il trasferimento al Portello è ancora una decisione in sospeso. Qual è il vostro orientamento? «Devo dire che mi meraviglia positivamente che non siamo stati messi davanti a un fatto compiuto. Il nuovo Cda avrà ora modo di valutare la soluzione migliore». Ma lei cosa pensa dell’ opzione Fiera? «È indubbiamente una buona soluzione. Però a Milano ci sono anche altri spazi: dall’ area Expo alle tante realtà industriali dismesse». E per la dirigenza avete già qualche idea? «Di sicuro un dirigente di alto livello. Ma possibilmente una figura che c’ entri il meno possibile con l’ azienda, perché la Rai è un ambiente influenzato da troppi interessi e pressioni. Sono convinto che gli stessi lavoratori non vedano l’ ora di avere una guida davvero autonoma». Un esterno, quindi? «Un manager giovane, aperto alle nuove tecnologie e in grado di compiere scelte libere. Per individuarlo ci stiamo muovendo come cacciatori di teste».
Da Rai Sport al Giornale Radio quattro direzioni vacanti
La Repubblica
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Rai Sport Dopo l’ addio polemico di Gabriele Romagnoli (foto) è Jacopo Volpi, ex cronista del Tg1, il nome più gettonato per la direzione, vacante. Volpi è una figura interna alla Rai condivisa da Lega e da M5S Tgr È la direzione, lasciata libera da Vincenzo Morgante (foto), a cui ambisce la Lega per avere il “controllo” dei tg regionali. Nel tam tam gialloverde i nomi più ricorrenti sono quelli di Paolo Corsini ed Enrico Castelli Giornale radio Rai È la poltrona liberata da Gerardo Greco (foto) passato al Tg4. Lega e M5S potrebbero convergere sulla nomina di Giuseppe Carboni a direttore del Giornale Radio e di Rai Radio 1 Rai Pubblicità Il posto, decisivo sul piano economico, lasciato vuoto da Fabrizio Piscopo (foto) potrebbe essere preso da Mario Tarolli, vicino alla Lega. La scelta è determinante anche per i rapporti tra Salvini e Berlusconi.
Vigilanza in pressing su Tria “Superiamo lo stallo di Foa”
La Repubblica
GIOVANNA VITALE
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ROMA Muoversi prima che lo strappo su Marcello Foa diventi frattura irreversibile. Istituzionalizzare la crisi politica sul vertice Rai che rischia di paralizzare l’ azienda, innescando una battaglia legale dagli esiti imprevedibili. È l’ intenzione del presidente della commissione di Vigilanza Alberto Barachini, che già oggi potrebbe avviare un’ interlocuzione con il ministro dell’ Economia Giovanni Tria nella sua veste di azionista di maggioranza del servizio pubblico radiotelevisivo. Forte del parere di un illustre giurista come Beniamino Caravita di Toritto, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all’ università La Sapienza, l’ esponente di Forza Italia che guida la Bicamerale chiederà all’ inquilino di Via XX Settembre delucidazioni sul percorso da seguire, dopo la bocciatura inflitta al giornalista sovranista in Parlamento. Un modo, anche, per lanciare un segnale distensivo all’ indirizzo di Matteo Salvini, che sembra ormai essersi incaponito sul nome di Foa, tanto da rispedire al mittente qualsiasi exit strategy ( dimissioni del presidente in pectore, da destinare ad altro incarico nella Tv di Stato) pur sollecitata dagli alleati grillini. Ma soprattutto per cercare di ricomporre uno scontro tutto interno al centrodestra, riportando la partita sul binario istituzionale del dialogo fra governo e Vigilanza. E pazienza se il ministro Tria, all’ indomani dello stop traumatico in commissione, si era già chiamato fuori. Facendo trapelare di non aver « mai dato indicazioni sulla nomina del presidente della Rai, funzione che la legge affida al cda» e di essersi limitato – norme alla mano – a suggerire « al consiglio dei ministri (che ha deliberato) due consiglieri, uno dei quali (Salini) è stato designato per la carica di amministratore delegato » , mentre « sul presidente mai si è pronunciato e nemmeno intende farlo». L’ opinione più gettonata dentro e fuori i palazzi è che, a questo punto, un chiarimento del Tesoro sia assolutamente necessario. Specie alla vigilia del consiglio di amministrazione che tra mercoledì e giovedì potrebbe essere chiamato a varare atti passibili di impugnazione, peraltro già minacciata da Fnsi e Usigrai. D’ altra parte non è più solo Riccardo Laganà, consigliere eletto dai dipendenti Rai, a esprimere in una lettera inviata al capo dello Stato « forte preoccupazione » sulla permanenza di Foa al vertice di Viale Mazzini dopo il naufragio in Bicamerale: «Carica integralmente priva di efficacia» e foriera di « gravissime conseguenze giuridiche » per l’ azienda. Anche una serie di esperti, consultati sia da Fi sia dalle altre forze di opposizione, sostengono la medesima cosa. Da ultimo l’ ex presidente Rai e professore di diritto costituzionale a Firenze Roberto Zaccaria: « La legge parla chiaro: se non si determina un voto positivo con la maggioranza di due terzi in Vigilanza, che è la condizione risolutiva di efficacia, il presidente non c’ è. E la legge non prevede che possano essere fatti ulteriori tentativi, manca il requisito normativo per andare avanti » . Una regola «chiara, assoluta e indiscutibile» secondo Zaccaria: «E se viene infranta, esistono gli organi di controllo che hanno il compito di verificarne la legalità e farla rispettare. Ovvero, i presidenti di Camera e Senato, ma anche la stessa Vigilanza, che in caso di riproposizione dello stesso nome, atto contrario alle procedure parlamentari, deve rifiutarsi di votare ». Il commissario dem Michele Anzaldi ha già studiato la strategia: « Se l’ asserragliamento di Foa in cda va avanti, chiederò in ufficio di presidenza che la commissione presenti ricorso alla Corte Costituzionale». © RIPRODUZIONE RISERVATA ANSA Il presidente bocciato della Rai Il giornalista sovranista Marcello Foa.
La battaglia di Stromboli per riavere l’ edicola
La Repubblica
ALESSANDRA ZINITI
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Li vedi scendere dall’ aliscafo con un fascio di giornali sotto il braccio e quasi quasi ti rincuori. Dai, che bello! Si vede che le vacanze sotto il vulcano riconciliano con i tempi lenti e la lettura su carta: quotidiani, settimanali, riviste, la settimana enigmistica. E invece no. Quelli sono solo i più avveduti, quelli che vanno a raggiungere amici e parenti o che sono stati raggiunti in tempo utile dall’ incredulo tam tam. E a Stromboli arrivano con la scorta, come si fa con le cose che difficilmente si trovano. Perché nell’ isola più chic delle Eolie, quella prediletta da scrittori e intellettuali che hanno comprato casa facendone il loro buen retiro per molti mesi all’ anno, i giornali non arrivano più. L’ unica edicola di Stromboli, che incontravi sul lungomare poche centinaia di metri dopo il porto prima di intraprendere la salita verso la piazza del paese, ha chiuso. Vendeva di tutto, non solo giornali, dai souvernirs alle creme solari, dai secchielli alle cartoline, come ormai tutte le rivendite di giornali, ma era l’ unica edicola dell’ isola e non ha ceduto a nessun altro la licenza. E così, quando all’ inizio della stagione, non ha riaperto i battenti, Stromboli è rimasta senza alcun tipo di giornale. Per la verità, quest’ anno, sotto il fascinosissimo vulcano sempre più preso d’ assalto ogni giorno da centinaia di escursionisti, ha chiuso anche l’ unico forno ma il pane, almeno quello, c’ è. Lo fanno altrove, in casa, e lo distribuiscono nei piccoli supermercati. I giornali, invece, no. Ci ha provato Barbara, la giovane libraia che gestisce con ingegno e creatività l’ unica libreria-giardino dell’ isola. Ci ha provato Massimiliano, il gestore del bar Ingrid, il più panoramico dell’ isola. Ma non c’ è stato verso: «Ci hanno chiesto una fidejussione di 10.000 euro e ci hanno detto che i resi li pagano tre mesi dopo. E noi non possiamo permettercelo». Ma davvero dobbiamo rimanere senza giornali? E mentre isolani illustri, villeggianti e turisti cercavano di sensibilizzare l’ amministrazione comunale (ma Stromboli è un’ isola amministrata dal sindaco di Lipari e solo con un delegato) a muovere un passo, qualcuno in spiaggia ha scovato gli ospiti di un hotel con il giornale sotto l’ ombrellone. Di necessità, virtù: per assicurare un servizio ai loro clienti, la direzione dell’ albergo ogni mattina ha deciso di mandare a prendere i giornali con il primo aliscafo all’ edicola di Lipari. Il passaparola ha fatto il resto. E ora chi vuole, il giorno prima, va a ordinare il giornale che desidera alla boutique dell’ hotel e l’ indomani (forse) lo troverà. Ancora per un po’. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L'articolo Rassegna Stampa del 06/08/2018 proviene da Editoria.tv.