Indice Articoli
Presidenza Rai è battaglia legale
«Non può guidare il consiglio né riproporsi come candidato»
Rai, il presidente della Vigilanza avvia la battaglia legale
Capotondi e i film anti plastica «Il cinema può salvare il mare»
Le nomine pubbliche e il passo indietro sulle quote di genere
Una serie su Dylan Dog La Sergio Bonelli Editore produrrà per cinema e tv
Il clima politico non manda in vacanza l’ approfondimento
I gol e “Un posto al sole”: il caso Foa fa rischiare la Rai
La Bonelli come la Marvel, dai fumetti di carta alle serie tv
Rai, appello al Colle Gli atti di Foa rischiano di non avere valore
Rai, Di Maio sfida Salvini: niente nomine se c’è Foa
«Ora la Vigilanza potrebbe ricorrere alla Consulta»
Per vedere Roma e Lazio in tv serve una laurea in tecnologia
Per convincere il Cav su Foa spunta la tassa sugli spot tv
Profitti record in Italia ma dal club dei trilionari solo 14 milioni di tasse
Rai, il piano B: un altro incarico a Foa
GOL E SPOILER SU DAZN LA VITA IN RITARDO DI 40 SECONDI
Presidenza Rai è battaglia legale
Corriere della Sera
PAOLO CONTI
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Il presidente della Vigilanza Rai Alberto Barachini (FI) ha convocato i vertici del suo ufficio e, contro la nomina di Foa ha deciso di chiedere pareri ad alcuni giuristi. Mercoledì il cda.a pagina 9.
«Non può guidare il consiglio né riproporsi come candidato»
Corriere della Sera
PAOLO CONTI
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Roma Si discute molto sulla posizione di Marcello Foa dopo la prima bocciatura. Due i temi: come consigliere anziano può avviare e coordinare i lavori del consiglio di amministrazione Rai? E soprattutto, potrebbe essere proposto ancora come presidente? Professor Beniamino Caravita di Toritto, lei è ordinario di Istituzioni di diritto pubblico alla Sapienza. Che cosa ne pensa? «Io parto dalla posizione costituzionale della commissione di Vigilanza come luogo istituzionale che esprime la volontà delle due Camere in relazione alla gestione del servizio pubblico radiotelevisivo. Serve a garantire la necessità del pluralismo alla luce dell’ articolo 21 della Costituzione e delle sentenze della Corte Costituzionale del 1974 e del 1975. Il mio giudizio è che, dopo il mancato parere positivo dei due terzi della Vigilanza previsto dalla legge, la permanenza di Foa sarebbe una elusione del giudizio della commissione». Vuol dire che Foa non può agire come se fosse un presidente, magari convocando il Cda per le nomine? «Foa può convocare il consiglio eventualmente solo per nominare un altro presidente ma non può farne partire l’ attività». C’ è chi cita il caso di Francesco Alberoni, consigliere anziano dal maggio 2004 al maggio 2005 dopo le dimissioni di Lucia Annunziata. «Era un caso ben diverso: lì un presidente era stato nominato, si era dimesso ed era stato sostituito pro tempore dal consigliere anziano. Qui no: il Cda Rai non ha mai cominciato a funzionare veramente proprio per il voto negativo in Vigilanza». In area Lega si ipotizza la riproposizione di Foa alla Vigilanza, magari dopo un nuovo voto. Una nuova candidatura di fronte alla commissione. Si può fare? «Anche qui ci sarebbe una palese elusione della volontà delle due Camere resa attraverso la commissione di Vigilanza che esprime il suo parere alla luce della natura di Servizio pubblico della Rai. In più si aggiungerebbe il rischio di un inquinamento dei rapporti tra il Parlamento e il governo, con la Vigilanza che si ritroverebbe a rinegoziare l’ eventuale ricandidatura di un consigliere a presidente, su pressione del governo dopo un parere negativo già ricevuto. C’ è un’ antica espressione usata, un tempo, nei tribunali ecclesiastici romani: Roma locuta, causa finita. Quando si esprime il tribunale centrale, è inutile aprire altre discussioni… E poi c’ è il famoso precedente del 2009 e del parere della Corte costituzionale». Ovvero la revoca del consigliere Rai Angelo Maria Petroni da parte del ministro dell’ Economia, Tommaso Padoa Schioppa. «Esatto. Petroni venne revocato nel marzo 2007 senza sentire il parere della Vigilanza. Il presidente della commissione, Mario Landolfi, impugnò la decisione con un conflitto di attribuzione: in quell’ occasione fui il legale della commissione. La Corte costituzionale, nel febbraio 2009, annullò l’ atto di revoca. Insomma, il caso è utile per ricordare che la Vigilanza è pienamente legittimata a tutelare le competenze parlamentari così come attribuite dalla Costituzione e dalla legge».
Rai, il presidente della Vigilanza avvia la battaglia legale
Corriere della Sera
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La procedura della Vigilanza è avviata. Mentre Riccardo Laganà, consigliere di amministrazione votato dai dipendenti Rai, si rivolge al capo dello Stato, Sergio Mattarella, per chiedere un intervento sulla paralisi di viale Mazzini, il presidente della commissione Bicamerale Alberto Barachini (Forza Italia) ha deciso di chiedere dei pareri ad alcuni giuristi, tra cui il professor Beniamino Caravita di Toritto sulla posizione di Marcello Foa, presidente designato dal Cda ma bocciato proprio in Parlamento. «La autoassunzione della carica di presidente da parte di Marcello Foa, integralmente priva di efficacia, non rimane però priva di gravissime conseguenze giuridiche per la società Rai e per la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo», scrive nel messaggio inviato anche alle altre cariche istituzionali e alla Procura generale della Corte dei conti Laganà. E aggiunge: «Tutti gli atti sottoposti alla firma di Marcello Foa sono in realtà privi di qualsiasi effetto, con gravissimo danno per la Rai sia come Società sia come concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo», dal punto di vista «societario, erariale, politico, considerato l’ innegabile status istituzionale della Rai». Poi chiede di «attivare gli strumenti politici, istituzionali, giuridici affinché l’ organo di amministrazione della Rai dia seguito, in senso sostanziale e non formale, al parere della Commissione bicamerale». Ovvero la nomina di un presidente di garanzia, non certo Marcello Foa. Nei primi giorni di questa settimana si riunirà l’ ufficio di presidenza della Vigilanza. Le posizioni dei partiti sono chiare. La Lega, lo ha spiegato Matteo Salvini, difende a spada tratta la candidatura di Foa, continuando il suo pressing sull’ alleato nel centrodestra, Silvio Berlusconi: «Foa è la persona giusta e con tutto il rispetto per Laganà, valuto con più attenzione il parere di altri legali». Il Pd si oppone duramente, così come Leu. Invece in Forza Italia, nonostante l’ insistenza di Salvini, non si registrano cedimenti: è sempre il no annunciato da Berlusconi. Ci sarebbe, sostiene chi frequenta la Vigilanza, un imbarazzo crescente tra i commissari del Movimento 5 Stelle, vista la paralisi Rai e l’ arroccamento delle parti. Barachini analizzerà la situazione e i pareri giuridici, confrontandosi con gli interlocutori istituzionali coinvolti in questo intricato «caso Rai». Anche perché in viale Mazzini, fino a oggi, non è stato varato alcun provvedimento proprio in attesa di un chiarimento politico. Ma mercoledì potrebbe riunirsi il Consiglio di amministrazione e si fanno insistenti le voci di nomine nelle quattro importanti postazioni rimaste senza guida: la Tgr, ovvero la Testata dei tg regionali, il Giornale Radio con Radio1, la poltrona da amministratore delegato di Rai Pubblicità e Rai Sport. Se dovesse proseguire la situazione attuale di stallo, e viste le perplessità del M5S, non è escluso che il piatto forte delle nomine (Tg1, Tg2, Tg3, le reti) slitti a settembre in attesa di una stabilizzazione dei vertici.
Capotondi e i film anti plastica «Il cinema può salvare il mare»
Corriere della Sera
CANDIDA MORVILLODI
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Nel 2050, in mare, i pescatori tireranno su più plastica che pesce e, come ha detto qualche giorno fa il ministro dell’ Ambiente Sergio Costa, presto, il continente più grande del mondo sarà un’ isola di plastica. Dirlo così non è come dire che il mare è inquinato, la forza delle immagini è che parlano più delle parole. Per questo l’ attrice Cristiana Capotondi è diventata managing editor di una serie di cortometraggi, che definisce «piccoli film firmati da grandi registi, per mettere la forza immaginifica e simbolica dello strumento cinematografico al servizio di un’ emergenza, quella della salvaguardia del mare». Lo fa con One Ocean Foundation, una fondazione nata a marzo con lo Yacht Club Costa Smeralda e presieduta dalla principessa Zahra Aga Khan. Il vicepresidente, il commodoro Riccardo Bonadeo, navigando da una vita, ha visto moltiplicarsi gli avvistamenti di rifiuti in modo esponenziale. La sua prima, drammatica, volta era già un monito al peggio: «Fu nel mezzo della tempesta che l’ 11 agosto 1979 uccise nel Mar Celtico quindici compagni della regata Fastnet. Mentre cercavo di salvare pelle e barca, vidi all’ orizzonte un lenzuolo bianco di 15 metri per 30. Era un’ isola di plastica che, in quelle condizioni di mare estremo, era difficile aggirare o fendere». Oggi, secondo l’ Onu, ogni anno finiscono in mare otto milioni di tonnellate di rifiuti plastici. Il progetto One Ocean Film Unit sarà presentato alla prossima Mostra del Cinema di Venezia il 4 settembre, con una conferenza stampa, un blue carpet e il primo ciak di Paolo Genovese, il regista di «Perfetti sconosciuti». Cristiana, cosa vedremo? «Paolo, grande appassionato di mare, girerà nel bacino di San Marco, alla Compagnia della vela, su un set aperto a stampa e curiosi. Scopriremo lì i dettagli, da lui. Intanto, è una gioia, che nonostante l’ impegno di giurato al festival, trovi il tempo per avviare il film». Gli altri registi? «Italiani e stranieri, svelati piano piano: è un progetto che vogliamo portare avanti a lungo, mostrando poi i corti ai festival e nelle scuole. L’ obiettivo è sensibilizzare le coscienze, invertire i comportamenti. Ci piacerebbe costruire una comunità aperta al contributo di tutti. Vorrei invitare le persone, quest’ estate, a postare sui social foto e video di mare violato, usando gli hashtag #OneOceanFoundation e #ChartaSmeralda, che è il nostro codice etico con dieci principi a tutela del mare. Se vogliono, possono taggare me, @cristianacapotondi, e Paolo, @paologenoves». Lei su Instagram è spesso al mare anche fuori stagione. «Il mare è il mio elemento. Sentire l’ acqua salata nelle narici è il mio ritorno all’ infanzia. Ho letto che il 73 per cento dei nostri geni è uguale a quello del plancton marino: insomma, siamo cibo per balene. E io ho sempre creduto in una visione panica: piante, terra, mare e uomo sono una stessa realtà multiforme e questo dà il senso di quanto l’ uomo si faccia male facendo male alla natura. Il mare, per esempio, nutre i pesci di cui noi ci nutriamo, ma che sono sempre più inquinati, da microplastiche, da idrocarburi, da scarichi di ogni tipo». Lo stesso studio che ha citato, pubblicato su «Science» del 2015, ha svelato che la metà dell’ ossigeno che respiriamo viene dal mare. «Io penso al mare come a un organismo vivente. La saggezza popolare l’ ha sempre considerato salutare, ci si portano i bambini perché fa bene e per molti tipi di riabilitazione muscolo-scheletrica sono raccomandati i bagni di mare». Quale era il suo mare da bambina? «La Sardegna. Ci passavo le estati e, ancora oggi, ho la necessità di sentire quella stessa stanchezza a fine giornata. I miei bagni preferiti sono quelli “di rapina” in porti puliti che non ti aspetti. In Sardegna, vado sempre a Porto Pino. I bimbi fanno la fila per i tuffi sul pontile, si danno i voti, torno bambina anche io». Quest’ estate, il suo mare qual è? «Ora è quello di Salerno, dove sto girando “Attenti al gorilla” di Luca Miniero, ed è un mare molto italiano che diventa subito profondo, popolato di materassini, famiglie, o fatto di calette raggiungibili solo coi gozzi». A maggio, la Commissione europea ha proposto norme come lo stop a piatti e bicchieri in plastica. Lei è pronta a cambiare abitudini? «Io, a Milano, riempio le bottiglie di vetro nelle “Case dell’ acqua” pubbliche. Tutelare gli oceani significa tante cose, rinunciare a oggetti in plastica usati per cinque minuti ma che si decompongono in cento anni, non gettare in acqua gomma americana, che impiega cinque anni a decomporsi. Dobbiamo tutti “pensare blu”».
Le nomine pubbliche e il passo indietro sulle quote di genere
Corriere della Sera
Lella Golfo
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Caro Direttore, mi consenta una breve riflessione sulla débâcle femminile senza precedenti cui stiamo assistendo negli ultimi mesi. Mi limito a mettere in fila quanto è avvenuto. Nelle scorse settimane le Assemblee parlamentari sono state chiamate a eleggere un Giudice della Corte costituzionale e i componenti laici degli organi di amministra-zione autonoma delle magistrature ordinaria e speciali. Oltre al Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), anche il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, quello della Giustizia tributaria e della Corte dei conti: per 21 posizione disponibili, sono stati eletti 21 uomini, in spregio all’ art. 51 della Costituzione che proclama l’ uguaglianza di donne e uomini nell’ accesso agli uffici pubbli-ci. Stesso spregio, stavolta di una legge dello Stato, in due Regioni, in Calabria, dove si combatte da anni un’ aspra battaglia per intro-durre la preferenza di genere (battaglia non superflua visto che nel consiglio regionale calabrese c’ è una sola donna su 31 componenti) e in Sicilia dove invece un emendamento vuole sopprimere quella preferenza. Stesso clamoroso passo indietro nei rinnovi delle controllate pubbliche. Nel CdA Rai, solo due donne su sette componenti e per i ruoli apicali e una ridda di candidati uomini, nonostante i trascorsi femminili e positivi di Letizia Moratti, Lucia Annunziata, Anna Maria Tarantola e Monica Maggioni alla presidenza. Anche la guida di Ferrovie torna indietro, levando la presidenza alla brava Gioia Ghezzi e nominando amministratore delegato e presidente uomini. Nel nuovo CdA di Cassa Depositi e Prestiti, appena tre donne, il minimo sindacale per rispettare la mia legge sulle quote di genere e, ovviamente, ruoli apicali saldamente in mano a uomini. E mentre le scrivo sono in ballo le nomine in Gse e Sogei, per le quali si ventilano ovviamente candidature maschili. Senza contare la modifi-ca della legge elettorale per le europee con il listino bloccato ma di donne non si parla Lascio a lei le conclusioni. Personalmente, mi sembra evidente che stiamo assistendo a un gigantesco e preoccupante passo indietro. La mia legge sulle quote di genere ha non solo introdotto una grande rivoluzione nei board delle società quotate e partecipate (siamo arrivati a quota 34% di donne!) ma aveva portato un vento di vero cambiamento nella cultura e nella prassi del Paese. Oggi, il “Governo del cambiamento” sta facendo piazza pulita di tutti gli innegabili progressi raggiunti e ha ingranato una decisa retromarcia. A pagare il conto, però, non saranno solo le donne ma l’ economia, la politica, il Paese. La parità non è tanto e non solo una questione di equità ma di crescita e democrazia. E un’ Italia con un bisogno disperato di crescere, un Paese che oggi più che mai deve dare al mondo e all’ Europa segnali di progresso politico ed economico, si sta privando del contributo della metà della sua classe dirigente solo perché donna e sta offrendo un gran brutto spettacolo in termini di diritti. Concludo con un consiglio ai nostri governanti: non sottovalutate la nuova consapevolezza femminile. Le donne non staranno a guardare, non si faranno scippare diritti conquistati a fatica e con merito. Non aspettiamo che si alzino le barricate, non provochiamo un muro contro muro ma usiamo il buonsenso per tornare ad avanzare verso la parità e la meritocrazia.
Una serie su Dylan Dog La Sergio Bonelli Editore produrrà per cinema e tv
Corriere della Sera
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Dylan Dog, Martin Mystère, Nathan Never e gli altri approdano al cinema e in tv, prodotti dalla loro casa madre. La Sergio Bonelli Editore Spa, storica casa editrice di fumetti, si allarga e fa nascere Bonelli Entertainment, «braccio produttivo» nato per sviluppare progetti cinematografici e televisivi basati sui propri personaggi e storie originali. Si parte con Dylan Dog, l’ indagatore dell’ incubo, intorno al quale la nuova casa di produzione sta sviluppando una serie tv horror live-action di 10 episodi. L’ investigatore creato da Tiziano Sclavi è uno dei punti di forza della Sergio Bonelli: dal lancio, nel 1986, la sua diffusione ha superato le 50 milioni di copie. Ma l’ investigatore abituato a muoversi tra mostri e vampiri non sarà il solo a prendere vita: «Una delle principali priorità di Bonelli Entertainment è quella di sviluppare nuovi modi per far conoscere i nostri personaggi più famosi e iconici, ma anche le proposte più recenti e quelle inedite ancora in lavorazione, su qualsiasi piattaforma» ha detto Davide Bonelli, presidente dell’ editrice e figlio di Sergio, scomparso nel 2011, ex presidente e sceneggiatore di fumetti. E lui stesso figlio d’ arte: suo padre Gianluigi, fondatore nel 1941 dell’ editrice, fu il creatore, con Aurelio Galleppini, di Tex Willer.
Il clima politico non manda in vacanza l’ approfondimento
Corriere della Sera
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Fra il pasticcio della presidenza Rai, gli episodi di razzismo e i provvedimenti economici che si stanno preparando nei palazzi del potere gialloverde, la politica non cessa di interessare il pubblico televisivo, che usa il piccolo schermo per mettere alla prova il governo «sovranista»: è per questo, giustamente, che alcune reti hanno fatto la scelta di mantenere in onda l’ approfondimento, con risultati decisamente positivi. Dopo la «de-populistizzazione» dei palinsesti Mediaset, Rete4, guardando al modello La7, ha trasformato Dalla vostra parte in Stasera Italia, guidato dal più equilibrato Giuseppe Brindisi (aspettando Barbara Palombelli). A luglio, il programma ha toccato quasi un milione di spettatori a sera (con migliori performance nella seconda parte, dopo le 21), per una share del 5%. Anche La7, la rete che più tiene viva informazione e dibattito lungo tutta la giornata, ha sostituito, come di consueto per l’ estate, 8 e ½ con In onda, condotto da Telese e Parenzo. Anche le performance di In onda mostrano la presenza di un pubblico che non manda in vacanza l’ interesse per l’ attualità: dall’ inizio di luglio sono 900.000 gli spettatori medi del programma, con una share del 4,8%. Sono però abbastanza diversi i profili dei pubblici dei due programmi. La7 attrae come di consueto le fasce più «alte» di spettatori, in termini di livelli di istruzione (quasi 9% di share fra i laureati) e di età (ottimi ascolti sopra i 55 anni). Stasera Italia, sempre tradizionalmente, presidia le fasce più adulto-anziane (8,7% di share fra gli ultra 65enni), ma decisamente più popolari (10% di share sul target con istruzione elementare). Sono due modelli diversi di raccontare la politica a pubblici con gusti e competenze molto differenziate: dopo la sbornia populista degli ultimi anni, speriamo che prevalgano toni più moderati e razionali. (a.g.) In collaborazione con Massimo Scaglioni elaborazione Geca Italia su dati Auditel.
I gol e “Un posto al sole”: il caso Foa fa rischiare la Rai
Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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La Rai rischia di restare senza i gol di Novantesimo minuto e senza Un posto al sole. Il caos sulla presidenza della Rai finora si era limitato alla polemica politica. Molto dura, dopo la bocciatura di Marcello Foa alla presidenza da parte della Vigilanza, ma confinata entro le mura del Palazzo. Ora però lo stallo rischia di provocare seri danni economici a Viale Mazzini. I due Cda che si sono tenuti in settimana, infatti, non hanno preso alcuna decisione né deliberato atti, tranne l’ assegnazione a Bruno Gentili dell’ interim di Raisport in attesa della nomina di un nuovo direttore. Ma il Cda in programma mercoledì prossimo ha all’ ordine del giorno due questioni importanti: la delibera sui diritti degli highlights del calcio di serie A e B, senza i quali non potrà andare in onda, per esempio, Novantesimo minuto, e quella sul rinnovo del contratto di Un posto al sole, uno dei gioielli di mamma Rai, in onda ininterrottamente dal 1996. Il problema è che, senza presidente, non si comprende se queste decisioni potranno essere prese e se poi, una volta fatto, possano essere oggetto di impugnazione o ricorso. Se finora si è scherzato, d’ ora in avanti lo scontro sul presidente rischia di far perdere alla tv di Stato soldi, pubblicità, telespettatori. Se da una parte, infatti, l’ ufficio legale della Rai ha fatto sapere in maniera informale che il Cda, anche senza presidente, è nel pieno delle sue funzioni e può procedere in tutte le sue mansioni, altri pareri contestano questa versione. Tanto che il consigliere eletto dai dipendenti, Riccardo Laganà, ha scritto a Sergio Mattarella e ai presidenti di Camera e Senato per sottolineare come “tutti gli atti sottoposti alla firma di Foa, in qualità di consigliere anziano con funzioni di presidente, sono in realtà privi di qualsiasi effetto, con gravissimo danno per la Rai, dal punto di vista giuridico ed erariale”. Col rischio di un remake del caso Bianchi Clerici e del Cda condannato per danno erariale per la nomina a direttore generale di Alfredo Meocci (in quel caso, il problema era l’ incompatibilità del dg). Alla stessa conclusione erano giunti in precedenza Fnsi e Usigrai. “La situazione di stallo rischia di esporre l’ azienda a pesanti danni anche dal punto di vista erariale”, osserva il sindacato Rai. “Con tutto il rispetto per Laganà, valuto con più attenzione il parere di altri legali”, la risposta di Matteo Salvini che, da Milano Marittima, ribadisce che “Foa per la Rai è la persona giusta al momento giusto”. La nuova legge dà all’ ad Fabrizio Salini autonomia di spesa fino a 10 milioni. Al di sopra occorre l’ approvazione del Cda. I diritti sui gol su cui si dovrà deliberare mercoledì valgono quattro milioni a stagione per tre anni e quindi, in teoria, sono fuori dal tetto concesso all’ ad.
La Bonelli come la Marvel, dai fumetti di carta alle serie tv
Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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Pochi giorni dopo l’ uscita di un numero di Dylan Dog scritto dal regista horror Dario Argento (con Stefano Piani), la Bonelli annuncia una svolta epocale per la casa editrice che una volta era la più cauta del mondo: nasce un ramo Entertainment, dedicato alla produzione dei contenuti video con protagonisti i personaggi bonelliani. C’ è già in cantiere una serie horror da 10 episodi di 50 minuti dedicati a Dylan Dog. La Bonelli ha anticipato la notizia a Variety, la rivista americana specializzata in cinema, così da dare una rilevanza internazionale alla svolta. Vedere Dylan Dog alle prese con frustini e safeword nel numero sadomaso scritto da Dario Argento (e disegnato da un grande Corrado Roi) è stato per molti lettori meno straniante che scoprire questa svolta video. Sergio Bonelli nella sua lunga vita da editore era sempre stato molto cauto nel far uscire i suoi personaggi dalle pagine del fumetto: era rimasto così traumatizzato dai pochi esperimenti da non volerne più sapere. C’ è un dimenticabile film su Tex e il signore degli abissi del 1985 con Giuliano Gemma, nel 1994 Michele Soavi girò Dellamorte Dellamore, soggetto di Tiziano Sclavi in persona, creatore di Dylan Dog, con Anna Falchi e – unica cosa che i lettori hanno apprezzato – Rupert Everett, l’ attore che la Bonelli aveva scelto nel 1986 come riferimento per i disegnatori che dovevano lavorare sulle storie dell’ Indagatore dell’ incubo. Era un film su Dylan Dog ma senza Dylan Dog, tratto da un romanzo di Sclavi. Nel 2011 esce un altro film americano “ispirato a” Dylan Dog (interpretato da un palestrato Brandon Routh): ha incassato soltanto 4,6 milioni di dollari nel mondo e ha fatto urlare i lettori di raccapriccio più che di terrore. Sergio Bonelli concedeva volentieri i suoi eroi soltanto per cause benefiche, tipo le campagne contro l’ abbandono dei cani in autostrada, ma quasi mai per finalità commerciali. Oggi è un altro mondo: nel 2009 la Disney ha comprato la Marvel, la casa editrice americana di Spider Man e gli Avengers, reduce da anni tormentati, soltanto per la sua schiera di personaggi da utilizzare al cinema. Ha messo ordine nel caos creato dalle licenze a produttori diversi (da Sony alla Fox) e dentro i suoi Marvel Studios ha iniziato a costruire il Marvel Cinematic Universe, un mondo narrativo coerente con continui rimandi che si è trasformato in una fonte di trionfi miliardari. Avengers: Infinity War, uscito pochi mesi fa, è stato il culmine di questa strategia ormai decennale di cui gli incassi certificano il successo: 2 miliardi di dollari di ricavi nel mondo, con una crescente penetrazione nel decisivo mercato asiatico. Anche tutto il settore della nuova tv su abbonamento si regge sui personaggi dei fumetti: Netflix può contare su Alias, Luke Cage, Daredevil, Punisher (tutti della Marvel), o su Black Lightning (il supereroe delle grandi questioni razziali, targato DC ). Netflix si è poi comprata l’ intero universo a fumetti creato dallo sceneggiatore Mark Millar. Amazon Prime ha dimostrato di fare sul serio quando ha messo sotto contratto di esclusiva Robert Kirkman, il creatore della serie a fumetti The Walking Dead e poi del serial televisivo omonimo per il network AMC . Il mercato italiano non ha le potenzialità di quello americano anche se questo è proprio il momento per essere ambiziosi, dopo i successi internazionali di Gomorra, Suburra e, a breve, de L’ amica geniale, tratta dai romanzi di Elena Ferrante. E la Bonelli ha sempre avuto una certa proiezione internazionale – negli Stati Uniti Dylan Dog per esempio è pubblicato dall’ editore Dark Horse – pur senza mai raggiungere i volumi di vendite degli anni d’ oro italiani (i primi ’90). Di certo la Bonelli si è molto evoluta in questi anni per farsi trovare pronta. I suoi fumetti sono stati rinfrescati, perfino Tex è uscito dal suo immobilismo (ce n’ è una versione per il mercato francese, speciali sulla sua adolescenza, storie più complesse) e su Dylan Dog è arrivato un curatore col senso del marketing come Roberto Recchioni, che è un autore di successo ma era già un influencer del web quando al posto dei social c’ erano i blog. Poi l’ azienda, che ora è guidata da Davide Bonelli, figlio di Sergio, e da un recente acquisto, l’ esperto manager Simone Airoldi, ha fatto vari esperimenti: sia di nuove testate che di loro declinazioni in altri media, dai radiodrammi o dai “fumetti animati” di gusto un po’ vintage (roba da Supergulp anni ’70) fino ai cartoni animati. Dragonero, la serie fantasy per pubblico adolescente inventata da Stefano Vietti, diventa ora un cartone animato per la Rai e si è addirittura sdoppiata in una versione da edicola per bambini. La Bonelli ha anche recuperato il primo marchio della casa editrice, “Audace”, per lanciare una nuova linea di serie prive dei vincoli politicamente corretti tipici della casa: il primo episodio in edicola, Deadwood Dick, pare un po’ un numero di Tex con più parolacce, ma ci sono anche prodotti molto più maturi come il graphic novel Sessantotto di Gianfranco Manfredi e Luca Casalanguida. Se il mercato delle serie tv decolla, insomma, la Bonelli ha un serbatoio di idee cui attingere che è al livello di quello della Marvel.
Rai, appello al Colle Gli atti di Foa rischiano di non avere valore
Il Giornale
PASQUALE NAPOLITANO
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La partita sulla presidenza Rai resta politica, tutta all’ interno della metà campo del centrodestra con il M5s spettatore interessato, ma ora rischia di trasferirsi su un terreno legale. Il nodo sul ruolo di Marcello Foa, indicato dal governo gialloverde alla guida del Cda Rai, ma bloccato dalla commissione parlamentare di Vigilanza, non si scioglie. Le posizioni di Lega e Forza Italia restano distanti: il ministro dell’ Interno Matteo Salvini ripropone Foa mentre Mariastella Gelmini, capogruppo di Fi, chiede di ripartire da una figura di garanzia. Senza un accordo tra Forza Italia e Lega non c’ è maggioranza nella commissione parlamentare cui spetta il compito di ratificare l’ elezione del presidente della Rai. Le quotazioni dell’ ex ad del Corriere del Ticino sono in picchiata dopo le polemiche sul figlio Leonardo, assunto nello staff del ministro Salvini. Nello scontro politico si fa largo l’ ipotesi di una battaglia legale. Il segretario del Pd Maurizio Martina – in un’ intervista al Gazzettino – minaccia un’ azione legale se Foa non molla la poltrona nel Cda Rai. «Spero che non facciano ancora forzature. L’ idea della lottizzazione che hanno avuto della funzione del presidente senza un profilo alto, riconoscibile e rassicurante è stata bocciata. Spero che adesso ragionino e non si facciano prendere dall’ ansia di potere e di occupazione anche di cariche di garanzia come la presidenza Rai», dice Martina. Per l’ ex ministro, «non ci sono le condizioni per forzare dal punto di vista giuridico». E se lo facessero, «siamo pronti a percorrere qualsiasi via, anche quella legale, per tutelare le funzioni di garanzia della Rai». Minaccia che trova subito l’ appoggio di Riccardo Laganà, consigliere Rai eletto dai dipendenti del servizio pubblico, che in una lettera indirizzata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e alla Corte dei Conti solleva dubbi sull’ efficacia giuridica della carica e degli atti eventualmente sottoscritti da Foa nella qualità di consigliere anziano. Laganà sottolinea che «l’ esercizio della funzione di presidente in qualità di consigliere più anziano sia dettata da fonte statutaria, di rango subordinato e non di poco, e la mancata ratifica in Vigilanza della nomina a presidente fa venir meno la valenza giuridica, ovvero la nomina». Rilievi che Fnsi e Usigrai fanno propri in una nota congiunta. Perché ora il punto sembra un altro: in mancanza di un’ intesa politica, gli uomini del Carroccio vorrebbero rinviare a settembre il dossier Rai, consentendo a Foa di esercitare la funzione di consigliere anziano e di coordinatore del Cda Rai. Una soluzione ponte che consentirebbe a Foa di incidere sulle scelte per la nomina dei vertici all’ interno di Viale Mazzini. Operando di comune accordo con l’ ad, Fabrizio Salini. Le azioni legali di Martina e di Laganà punterebbero a chiarire il perimetro entro cui può Foa può muoversi dopo la mancata ratifica della nomina in Vigilanza. Avrebbe solo un potere di rappresentanza e convocazione del Cda? Oppure potrebbe esercitare un potere nell’ individuazione dei direttori di Tg e delle strutture apicali della Rai? L’ idea di Lega e M5s è di forzare, assegnando, prima della pausa estiva, alcuni incarichi strategici in Rai: il nuovo direttore del Tgr (Fabrizio Morgante si è dimesso); la guida di Rai Sport, Rai pubblicità, Giornale Radio e Radio Uno. Rinviando a settembre la partita sulla direzione dei Tg. Lo schema è definito: Tg1 alla Lega (Gennaro Sangiuliano), Tg al M5s (Alberto Matano) e Luca Mazza al Tg3. Un piano su cui incombe lo spettro dello stop della magistratura.
Rai, Di Maio sfida Salvini: niente nomine se c’è Foa
Il Mattino
Mario Ajello
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IL CASO ROMA Il Salvimaio, così viene soprannominato il governo dei due vice-premier, Salvini e Di Maio, sta scoppiando sulla Rai. Le strade dei due hanno cominciato a dividersi da giorni – il leader leghista fermo, imperterrito, su Foa come guida del Cda, il capo M5S alla ricerca invece di un «nome alternativo» – e adesso arriva la mossa ostile di Giggino. Vedono tutti, dentro e intorno a Viale Mazzini, la mano di Di Maio dietro la lettera che ieri Riccardo Laganà, consigliere Rai eletto dai dipendenti, ha inviato al presidente Mattarella. Una mossa politica, in linea con la strategia grillina ma gradita anche al Pd che su Foa continua a sparare ad alzo zero e non sgradita a Forza Italia a sua volta vogliosa di superare lo stallo del presidente che non c’ è, che è riassumibile così: il Capo dello Stato faccia presente al premier Conte e al ministro Tria, che è in corso un vulnus istituzionale nella Rai e una situazione inaudita e venga o rimosso Foa e sostituito con un altro consigliere indicato dal dicastero del Tesoro o si trovi una soluzione interna al Cda. Laganà presidente, questo tecnico audiovisivo vagamente considerato di area grillina sulla poltrona che fu per esempio di Sergio Zavoli? L’ OPERAZIONE Per ora, siamo alla missiva di Laganà diretta al Colle, ma anche alle presidenze di Camera e Senato, allo stesso Tria, alla Corte dei Conti. Vi si legge: «Tutti gli atti sottoposti alla firma di Marcello Foa, in qualità di Consigliere più anziano con funzioni di Presidente sono in realtà privi di qualsiasi effetto, con gravissimo danno per la Rai. Danno produttivo di correlativa responsabilità per il profilo strettamente societario, per il profilo erariale, per il profilo politico e istituzionale». E ancora, Laganà sollecita le diverse istituzioni ad «attivare tutti gli strumenti l’ organo di amministrazione della Rai dia seguito, in senso sostanziale e non formale, al parere della Commissione bicamerale Rai». Insomma, Foa va rimosso. Ma Foa, finché il Tesoro non gli dice come comportarsi, continua a fare quel che fa: il consigliere anziano che guida il Cda – il prossimo si terrà martedì – senza fare nomine e appoggiandosi al parre degli uffici legali di Viale Mazzini. Che dicono: nulla di illegale, tutto pienamente nelle regole, Foa può andare avanti. Ed è questa la posizione di Salvini, e questo il punto di frattura – ormai profonda – tra lui e Di Maio. Il leader leghista, anche davanti all’ assalto grillino tramite Laganà, non si sposta di un millimetro, anche se la situazione sta sempre più ingrandendosi in una fase in cui è interesse di tutto il governo pensare alle questioni economiche e del lavoro e non alle vicende delle poltrone televisive. E comunque: «C’ è un Cda pienamente il carica con tanto di amministratore delegato del tutto operativo – è il mantra di Salvini – e Foa è la è la persona giusta. Più della lettera di Laganà, mi interessa il parere dei legali Rai che dicono che va tutto bene». Non solo. Salvini propone anche il suo modello di Rai. Che è questo: più spazio alle testate regionali – e con M5S la Lega si scannerà su quelle nomine – e «ridurre la pubblicità e il canone. Poi privatizzare una rete». L’ aspetto pubblicitario non riguarda soltanto la Rai. Ma anche Mediaset e in Forza Italia, dopo che è stato letto il retroscena, si temono quelle che vengono definite ritorsioni di Salvini contro Berlusconi, a cui il capo leghista vorrebbe fare pagare il no a Foa. C’ è la paura della «rappresaglia», insomma. Cioè di un intervento legislativo-punitivo nei confronti di Mediaset con l’ introduzione di una tassa sugli spot. «Se l’ indiscrezione giornalistica fosse vera – denuncia Forza Italia – si tratterebbe di un volgarissimo tentativo di estorsione nei confronti dei parlamentari forzisti. Tentativo che respingiamo fin d’ ora carichi di sdegno». Però anche per Forza Italia la mossa di Laganà apre spiragli anti-Foa. Andrea Ruggeri, forzista in Vigilanza Rai, osserva: «La lettera di Laganà smuove le acque. E se Salvini, come mi auguro, vuole risolvere il problema della presidenza Rai ci mette 30 secondi. Se invece vuole usare il pretesto Rai per scopi politici, è un’ altra cosa e non è una bella cosa». Maurizio Gasparri è netto: «Per noi Foa è archiviato. Il governo deve fare un’ altra proposta e su quella, come si è sempre fatta, si cerchi una convergenza larga». Quanto al Pd, ecco Michele Anzaldi: «Laganà ha fatto una cosa in favore dell’ azienda, perché il Cda è in piena illegalità e i consiglieri rischiano di pagare multe e risarcimenti. Per non dire della vicenda del figlio di Foa, che dev’ essere causa di annullamento per il ruolo di consigliere di amministrazione del padre». IL PULP Il primo a proporre, giorni fa, Laganà come presidente di garanzia Rai è stato il dem Francesco Verducci. Il quale ora spiega: «L’ iniziativa di Laganà spariglia e tiene insieme due cose. Fa uscire dallo stallo politico e parla ai 5 stelle. Può riaprire un discorso per un presidente davvero di garanzia, su cui noi del Pd, M5S e anche Forza Italia possiamo trovare una condivisione». Se non fosse che Salvini continua a ripetere: dovete passare sul mio cadavere. E la partita si sta davvero facendo sempre più pulp.
«Ora la Vigilanza potrebbe ricorrere alla Consulta»
Il Messaggero
Barbara Acquaviti
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La bocciatura di Marcello Foa è un atto che, in punta di diritto, non può essere bypassato. Per Beniamino Caravita, ordinario di diritto pubblico alla Sapienza, già in passato difensore della medesima commissione, «tenendo conto di tutta la giurisprudenza sulla tv pubblica non c’ è il minimo dubbio che prevalga la volontà delle Camere così come espressa dalla Vigilanza». Per ora, tuttavia, dal governo emerge l’ intenzione di mantenere Foa come presidente in quanto consigliere anziano. È possibile? «Il consigliere anziano è previsto nello statuto della Rai ma in caso di sostituzione di un presidente dimissionario o impedito ad esercitare le sue funzioni. Qui siamo di fronte a un Cda che non ha mai iniziato a funzionare, quindi non c’ è un presidente che possa essere sostituito ma solamente un consigliere anziano che può riconvocare il Cda per l’ indicazione di un nuovo presidente». È invece praticabile l’ ipotesi di chiamare la Vigilanza a esprimersi nuovamente sul suo nome? «È una tesi improponibile, una volta che non c’ è stata la maggioranza necessaria quella è una partita chiusa. Roma locuta, causa finita». Eventuali atti di questo Cda, a cominciare dalle nomine, sarebbero così a rischio ricorso? «Il rischio è molto grande». C’ è forse anche un errore nella formulazione di questa riforma? «La legge sul punto è molto chiara, la nomina del presidente non diviene efficace se non ha i due terzi dei voti della Vigilanza. Forse manca l’ indicazione della via d’ uscita, ma probabilmente si è ritenuto che o c’ era un accordo politico o il presidente bocciato ne avrebbe tratto le conseguenze». Ma se la posizione dovesse continuare a essere questa, quali strade potrebbero essere percorse? «La commissione parlamentare è legittimata a sollevare conflitto di attribuzione. Naturalmente penso che sia un’ ipotesi residuale, possibilmente da evitare. C’ è un precedente di cui mi sono direttamente occupato in cui il governo revocò il consigliere Petroni senza il parere della commissione, questa sollevò il conflitto di attribuzione ed ebbe ragione».
Per vedere Roma e Lazio in tv serve una laurea in tecnologia
Il Messaggero
Mimmo Ferretti
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Tutto è pronto, o quasi. Mancano pochi giorni e si ripartirà. Con il campionato di calcio in tv, ovviamente. La croce e la delizia delle famiglie italiane. No, non perché le signore odiano il pallone e gli uomini lo adorano: il problema, oggi, è capire come vedere le partite. Facile: serve una laurea in tecnologia e un dizionario d’ inglese a portata di mano. E poi due abbonamenti, ma non due televisori. Se mai, servono una tv e un computer. Oppure un tablet, uno smartphone. A patto che ci sia la connessione internet, meglio se Wi-fi. Con la fibra ottica ultraveloce o l’ Adsl con vectoring, e un modem 1200 Mbps per favorire lo streaming grazie ad adeguati web browser e plugin. Ma per seguire una partita della Roma o della Lazio potrebbe bastare anche un solo apparecchio tv a patto che sia Smart, preferibilmente con schermo LCD, LEO o OLED e risoluzione HD Ready o Full HD, per sfruttare in altissima definizione tutti i servizi online. Oppure un decoder 4K HDR di ultima generazione con il bluetooth integrato e il telecomando induttivo. Con tanti saluti al secondo tempo in bianco e nero di una partita a casaccio che la Rai ci propinava tutte le domeniche sera di qualche anno fa. Quando bastava spingere un tasto del televisore e aspettare che le valvole si scaldassero.
L’ esecutivo dai due volti
Il Tempo
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Caro direttore, per la prima volta non abbiamo un solo governo ma due. E questa l’ unica possibile ragione del vasto consenso raccolto dall’ esecutivo, nonostante l’ improvvisazione evidenziata dal Dl dignità e l’ orgia di nomine, culminata nel pasticcio Rai. Accontentando entrambe le anime dell’ elettorato, quella di lotta e quella di governo, è nata la Terza Repubblica. Abbiamo, quindi, un “mini -governo” rigorista, filo -Atlantico ed europeista che dipende direttamente da Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, e comprende il premier Giuseppe Conte, messo a studiare i dossier dalla mattina alla sera, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, quello (…) segue e a pagina 4.
Per convincere il Cav su Foa spunta la tassa sugli spot tv
Il Tempo
Luigi Frasca
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Se ne parla da alcuni giorni: il MoVimento 5 Stelle vorrebbe inserire una tassazione straordinaria sugli spot pubblicitari. Una misura che potrebbe trovare posto in un emendamento nella legge di bilancio o in un prossimo provvedimento fiscale e fungere da «clava» affinché il partito azzurro torni sui suoi passi. «M5S punta a punire le aziende di Berlusconi», l’ allarme anche tra alcuni fedelissimi del Cavaliere. La convinzione, pert) è che Salvini possa fare da garante sul fatto che non ci sarà alcuna arma contro il Cavaliere ma chiedere a Berlusconi di sostenere Foa alla presidenza della Rai. «Le ricostruzioni giornalistiche sono sicuro essere completamente destituite di fondamento ma meritano di essere smentite immediatamente da parte della maggioranza di Governo. Mediaset non è solo una azienda di Berlusconi ma un patrimonio del paese che dà lavoro a migliaia di persone» tuona Raffaele Nevi, deputato di Forza Italia. «Se non ci dovesse essere una smentita, sarei costretto a presentare un’ interrogazione parlamentare e un esposto alla Procura della Repubblica per chiedere di approfondire la vicenda anche dal punto di vista giudiziario. Sarebbero infatti atteggiamenti al limite della intimidazione e un Paese come l’ Italia non se li put) certo permettere», conclude. Attacca anche Gianfranco Rotondi: «Il pluralismo televisivo è un merito storico dei governi della Democrazia Cristiana, ed è un patrimonio del Paese ri spettato da tutti i governi di centrodestra e centrosinistra. L’ annuncio di rappresaglie del governo su Mediaset accentua il carattere barbarico del nuovo corso governativo: giù le mani dei barbari da Mediaset». Il gelo tra FI e Lega resta. Nel frattempo FI punta al rilancio per riportare il partito su percentuali più alte. Galliani, nominato di recente capo dei dipartimenti azzurri, in uno degli ultimi incontri al gruppo dei senatori ha fatto un parallelo calcistico: quando io ero ad, il Milan ha vinto più di tutte le altre squadre. Fart) di tutto affinchè FI torni al 20%.
Profitti record in Italia ma dal club dei trilionari solo 14 milioni di tasse
La Repubblica
ETTORE LIVINI
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Il club dei trilionari (o aspiranti tali) si regala un altro anno da sogno in Italia e dribbla per l’ ennesima volta l’ Agenzia delle entrate. Il giro d’ affari dei big dell’ hi-tech e della sharing-economy nel nostro paese continua a correre, gli utili volano. Al palo restano solo le tasse. Apple, Google, Facebook, Amazon, Airbnb, Uber e Tripadvisor, hanno versato in tutto al fisco tricolore nel 2017 poco più di 14 milioni. Due in più dell’ anno scorso, a voler vedere – contro ogni ragionevolezza – il bicchiere mezzo pieno. A essere realisti, uno in meno delle imposte pagate da Datalogic, efficiente azienda hi-tech tricolore che fattura però “solo” 600 milioni di euro, briciole rispetto ai giganti Usa. Le inchieste per evasione della Procura, i 700 milioni di tasse arretrate sborsati dopo i patteggiamenti con i pm e l’ ombra della web-tax non hanno cambiato di una virgola la situazione. Google, Facebook & Co. registrano nel nostro paese solo una frazione delle entrate reali, quella relativa ai “servizi” offerti alle case madri domiciliate in paradisi fiscali come Lussemburgo, Irlanda o Delaware (Usa). Il grosso degli affari – dai soldi incassati per la vendita di spazi pubblicitari ai profitti realizzati su smartphone e corse in taxi – è contabilizzato offshore nei conti delle controllanti per pagare meno tasse. Il social di Mark Zuckerberg, unico tra i big, ha promesso che dal 2018 cambierà registro e inizierà a inserire nel bilancio della filiale italiana tutti i soldi che guadagna nella penisola vendendo spot. Per il momento, però, paga meno tasse dello studio di un professionista italiano: 120.080 euro – per la precisione – nel 2017, la metà tra l’ altro del 2016. Più o meno quanto paga Airbnb, altra professionista dell’ acrobazia contabile. Le case offerte in affitto dalla piattaforma a stelle e strisce stanno cambiando la mappa di tutte le principali città turistiche del mondo, facendo schizzare in alto gli affitti e desertificando i centri urbani. Una rivoluzione di cui però non c’ è traccia nei bilanci delle filiali. Quella italiana (solo a Roma Airbnb ha in catalogo 2 mila appartamenti) ha pagato lo scorso anno 131 mila euro al fisco. Poco? Può darsi. Comunque dieci volte in più dei 12.343 euro di Tripadvisor che ha una bolletta fiscale inferiore a molti impiegati di casa nostra. I pm, ovviamente, hanno messo da tempo nel mirino queste fantasiose interpretazioni tributarie. Google ha versato 306 milioni per sanare la posizione di Youtube tra il 2009 e il 2013, Apple 318 milioni per chiudere le inchieste sui redditi tra il 2008 e il 2013, Amazon 106. E nei mesi scorsi la Guardia di Finanza ha notificato a Facebook un verbale per 300 milioni di entrate non dichiarate. Il bottino raccolto ex-post dai tribunali sono però probabilmente spiccioli rispetto ai soldi che avrebbero dovuto pagare davvero. Il mercato pubblicitario su internet, ad esempio, valeva secondo il Politecnico di Milano nel 2017 circa 2,65 miliardi. E il 70% di questa cifra – 1,85 miliardi – sono somme che entrano direttamente nelle casse di Google e Facebook grazie alla vendita di spot “calibrati” attraverso i dati con cui profilano gli utenti. Peccato però che nei conti delle controllate italiane dei due colossi di questi quattrini non ci sia traccia: Google – che stando alle voci di settore fattura nel Belpaese spot per oltre 1,2 miliardi – dichiara 95 milioni di fatturato e sborsa 5,6 milioni di tasse. Il social di Zuckerberg denuncia 10 milioni, una miseria. Mediaset, per dire, ha pagato nel 2017 a livello consolidato 82 milioni di imposte, 15 volte in più del motore di ricerca di Mountain View e 700 volte più di Facebook Italy. Una sproporzione difficile da giustificare guardando i dati di mercato: gli spot su internet – dove i due colossi americani fanno la parte del leone – valgono secondo Nielsen il 34 per cento della torta pubblicitaria tricolore contro il 48 per cento della televisione e il 13 per cento della stampa. Dieci anni fa il web valeva soltanto il 10 per cento, la carta il 31 e la televisione il 54. In due lustri nel mondo dell’ editoria e dell’ advertising è cambiato tutto. Le tasse che versano i big Usa, invece, sono sempre le stesse.
Rai, il piano B: un altro incarico a Foa
La Repubblica
GIOVANNA VITALE
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E ora che pure i Cinquestelle cominciano a nutrire seri dubbi sulla strategia salviniana per la presidenza Rai, infastiditi per un’ impasse che rischia di far slittare la rivoluzione promessa – quel cambio alla guida di Reti e Tg utile a raccontare il nuovo corso della politica italiana – ebbene ora anche il leader del Carroccio potrebbe convincersi a fare qualcosa di diverso che continuare a insistere sul nome di Marcello Foa. Il quale, è il piano che sta prendendo forma, potrebbe essere dirottato al vertice di qualche altra struttura del servizio pubblico, lasciando libero il posto in cda per una “figura di garanzia” concordata con le opposizioni. Lo lascia capire chiaramente un autorevole esponente del Movimento in Vigilanza: «Premesso che questo è un problema che deve risolvere la Lega – prima con Forza Italia e poi con lo stesso Foa – noi gliel’ abbiamo detto a Salvini che così non si può andare avanti. E siccome Foa si è dimesso dal Corriere del Ticino ma non può fare il consigliere anziano a vita, è bene iniziare a pensare a un’ exit strategy » . Che contempli, appunto, uno spostamento del giornalista sovranista ad altro incarico. Posto che gli azzurri non intendono fare retromarcia. « Noi non abbiamo tentennamenti » , conferma Maurizio Gasparri, « ho appena sentito sia Berlusconi sia Tajani, per noi la vicenda Foa è archiviata. In questo momento ci stiamo concentrando su altro, sul decreto dignità che farà perdere posti di lavoro e deve ancora passare al Senato, ma pure sulla questione dei vaccini, che mette a rischio la salute dei bambini». Perché i mal di pancia non sono più solo degli alleati di governo, decisi a frenare sull’ ipotesi di forzare la mano con un blitz ferragostano per cambiare i direttori dei telegiornali. Tutto il mondo Rai è in fibrillazione. A dar voce a « una preoccupazione » che ha ormai travalicato il perimetro della maggioranza giallo-verde, è il rappresentante dei dipendenti in cda Riccardo Laganà. Che ieri ha preso carta e penna e inviato una lettera al capo dello Stato Sergio Mattarella e alle massime cariche istituzionali – dai presidenti di Camera e Senato fino al procuratore generale della Corte dei Conti – per denunciare « l’ inefficacia giuridica della carica di Marcello Foa in quanto consigliere più anziano facente funzione di presidente e degli atti eventualmente sottoscritti». Una configurazione che, secondo Laganà, non è conforme a legge e può avere « gravissime conseguenze per la Rai» poiché il parere della Vigilanza «integra un requisito di efficacia, in mancanza del quale » l’ iter resta incompleto e dunque privo «di qualsivoglia effetto » . Con « il pericolo » , rilevato da Laganà con il supporto di un parere legale, « che tutti gli atti sottoposti alla firma di Marcello Foa in qualità di consigliere anziano » possano essere invalidati e provocare un «gravissimo danno per la Rai». Inequivocabile il messaggio: qualsiasi delibera del cda rischia di essere impugnata e giudicata illegittima, a partire da quelle in programma già alla prossima riunione, prevista tra martedì e mercoledì. Quando, fra gli atti di gestione ordinaria, il board di Viale Mazzini potrebbe essere chiamato a dare il via libera alle nomine nelle testate rimaste prive di direzione ( RaiSport, Tgr e Radio Rai), oltre che di Rai Pubblicità. Una sorta di diffida a proseguire sulla strada indicata da Salvini. E nuovamente ribadita ieri: «Con tutto il rispetto per Laganà, valuto con più attenzione il parere di altri legali. Foa è la persona giusta al momento giusto » , ha insistito il leader leghista. Dopo aver illustrato la sua personale visione della Tv di Stato: « Smetta di essere romano- centrica » , ha esortato in un’ intervista al Foglio, spiegando che «i canali sono troppi » e auspicando « almeno una rete senza pubblicità » con «un’ ulteriore riduzione del canone sul modello di alcune tv straniere » . Parole che hanno fatto sobbalzare l’ Usigrai: « Ridurre la pubblicità, ridurre il canone. E poi privatizzare. La ricetta perfetta per ridimensionare la Rai Servizio Pubblico».
GOL E SPOILER SU DAZN LA VITA IN RITARDO DI 40 SECONDI
La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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La Storia con la maiuscola passa altrove, con la minuscola invece si concede parecchio. Ieri per la prima volta una gara ufficiale di calcia è stata trasmessa da noi in streaming, ovvero solo via internet, sulla piattaforma Dazn, la app del gruppo Perform che si affaccia in Italia e da sabato 18 (debutto con Lazio-Napoli) avrà tre partite di serie A per ogni turno. L’ onore e l’ onere sono toccati a Psg-Monaco, Supercoppa di Francia in scena dalla Cina. Essendo una prima c’ era curiosità. Impressioni varie: la gara si è vista e con buona qualità. Si è vista sui computer – con la app Dazn – sulle tv Android e Apple, sui tv Lg e Sony predisposti. Ancora niente invece per le chiavette internet di Amazon e Google (Chromecast) e anche per il nuovo decoder SkyQ. Soprattutto per quest’ ultimo bisognerà pazientare. Per le console, Xbox sì e PlayStation no: ma è questione di tempo. La prima è andata, tra possibilità e rischi futuri: sui social alcuni appassionati hanno lamentato strappi e blocchi, ovvero buffering (dovuto a cosa non si sa, quindi una sorta di mistero buffering) qui e là, soprattutto negli ultimi secondi di partita. In questi casi si tratta di potenziare il segnale al momento giusto e soprattutto farsi trovare pronti quando gli utenti collegati saranno infinitamente di più rispetto a ieri – e questi sono problemi, si presume risolvibili, della medesima Dazn. Dove invece rischia di innescarsi qualcosa a metà tra la gag e il tormentone sarà al capitolo ritardo del segnale. Essendo su internet, ieri la partita di Neymar e Verratti arrivava con almeno 40 secondi di ritardo. Vero, si tratta di esclusive – per Dazn – non ci sarà mai un’ altra tv via satellite che trasmette la gara in anticipo. Insomma si vivrà tutti con quaranta secondi di ritardo. Con alcune eccezioni: gli spettatori allo stadio, per esempio. Oppure chi segue la partita alla radio, in diretta vera. E in epoca di notifiche immediate e di smartphone che crepitano da un tifoso all’ altro, magari la questione diventerà il tema del giorno, un giorno. Per il resto tocca aspettare la vera prova del fuoco, sabato 18. Annessi e connessi vari. Si può fare bella figura con chi vi chiede cosa diavolo vuol dire Dazn spiegando che è la contrazione giovanilista di “The Zone” (da cui la pronuncia esatta). Tra i tifosi è già gara per trovare soluzioni (legali) convenienti. Esempio: due amici abbonati a Sky possono comprare un solo pacchetto annuale Dazn da 60 euro. Siccome è consentita la visione su due dispositivi, dividono la spesa e con 30 euro per tutta la stagione si esce dal problema.
L'articolo Rassegna Stampa del 05/08/2018 proviene da Editoria.tv.