Indice Articoli
Crimi: «Soldi solo per il digitale»
LA MAZZATA DEI DAZI SULLE NEWS LOCALI
Google-Amazon il derby si sposta su televisori “smart” e assistenti virtuali
Il centrodestra spaccato sulla Rai
La Serie A stavolta è meglio in radio
Rai, Foa non ha i numeri Forza Italia vota contro la Lega: avete scelto il Pd
Romagnoli se ne va: sembra Beirut
Berlusconi: la coalizione non c’ è più E ora rischiano anche le Regioni
Il cambio di regime Iva in corso d’ anno chiede la compilazione del quadro VO
Il comportamento concludente salva dalle omissioni
Crimi: «Soldi solo per il digitale»
Il Giornale
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Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del consiglio, con delega all’ informazione, non ama la carta, gli editori e forse neppure i giornalisti. A Cesaneatico, per il Rousseau day, spiega il suo piano per la stampa. «Cosa faremo? Sicuramente cambieremo l’ approccio, quindi non più finanziamenti diretti agli editori ma i finanziamenti, se devono esserci, e graduali fino a sparire, devono essere dati al sistema, dobbiamo fare cultura dell’ informazione». In che modo? I soldi andranno a finanziare i lettori dei giornali digitali. Tutto il resto è vecchio. «Serve un sistema di comunicazione diverso. Dobbiamo finanziare delle start up innovative».
LA MAZZATA DEI DAZI SULLE NEWS LOCALI
Affari & Finanza
ARTURO ZAMPAGLIONE
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«È una tassa malvagia sul giornalismo» tuona Steve Forbes, ex-candidato repubblicano alla Casa Bianca e capo del celebre gruppo editoriale fondato dal padre Malcolm. «Sta uccidendo i giornali locali – continua Forbes – e mette in pericolo la libertà di stampa». A che cosa si riferisce? A un altro effetto perverso – e poco conosciuto – dell’ offensiva protezionistica di Donald Trump: una tariffa del 30 per cento imposta a marzo dalla Casa Bianca sulle importazioni dal Canada della carta non patinata usata per la stampa tradizionale, in particolare per quella dei giornali. In teoria la misura è stata introdotta per punire presunti aiuti nazionali da parte di Ottawa, in realtà premia la cartiera americana Norpac. Se per Wall Street la spirale di dazi e ritorsioni commerciali rappresenta il pericolo maggiore alla crescita economica, per l’ industria editoriale le tariffe sulla carta canadese sono una «sfida esistenziale», come avverte Paul Boyle, vicepresidente della News media alliance, l’ associazione che raggruppa duemila aziende del settore. I costi di stampa, infatti, rappresentano la seconda voce di spesa per i giornali, dopo i dipendenti, e incidono per il 10-20 per cento sui costi operativi. E l’ improvviso rialzo mette in dubbio la sopravvivenza di molte testate locali. Per i grandi quotidiani d’ oltreoceano il contraccolpo è meno drammatico. Il New York Times, ad esempio, nonostante alcune delusioni dell’ ultima trimestrale, continua a dare molte soddisfazioni agli azionisti. Negli ultimi 12 mesi il titolo è passato da un minimo di 17 dollari a un massimo di 27. La settimana scorsa era sui 24 dollari con una capitalizzazione di Borsa di 4 miliardi. Il merito? In gran parte della espansione degli abbonamenti alla versione digitale, che alla fine del primo trimestre di quest’ anno superavano quota 2 milioni e 700 mila. Ma per i piccoli giornali locali, che hanno sempre avuto un ruolo essenziale nella società (e nella democrazia) americana, le tariffe del 30 per cento sulla carta aggravano una crisi che dura da tempo e che potrebbe ora rivelarsi ingestibile. Dal 2004 sono stati già chiusi negli Usa 60 quotidiani e 1.800 settimanali. L’ occupazione nel settore è crollata: dai 400 mila dipendenti del 2001 si è passati a 173 mila nel 2016. In un decennio gli introiti pubblicitari si sono ridotti del 67 per cento. E ora, mentre continua l’ offensiva di Trump contro i media (la Cnn è stata esclusa da un incontro stampa per aver fatto una domanda scomoda), le tariffe anti-Canada rischiano di portare un’ altra ondata di licenziamenti, fallimenti e chiusure non solo nei quotidiani ma anche nelle aziende a monte e a valle. a.zampaglione@repubblica.it © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Google-Amazon il derby si sposta su televisori “smart” e assistenti virtuali
Affari & Finanza
ERNESTO ASSANTE
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DOPO CHE IL GRUPPO DI BEZOS HA ABBANDONATO LA BATTAGLIA DEI SISTEMI OPERATIVI PER CELLULARI VISTA LA SUPERIORITÀ DI MOUNTAIN VIEW, I DUE BIG TORNANO A MISURARSI SU UN NUOVO TERRENO: STAVOLTA LA GARA SI GIOCA TUTTA ALL’ INTERNO DEI “DEVICE” PER LA CASA DIGITALE N el 2009 c’ erano cinque sistemi operativi per smartphone che si confrontavano sul mercato, Symbian, all’ epoca usato da Nokia, Rim, usato da Blackberry, e poi quelli di Apple, Microsoft e, nato da poco, Android di Google. La battaglia per il dominio nei sistemi operativi mobili è, per ora, ampiamente vinta da Google, che con il suo Android regna incontrastata, prima davanti ad Apple, e molti di quelli che hanno provato a scalfirne il ruolo ha dovuto abbandonare il campo. Tra questi c’ è Amazon, il colosso dell’ e-commerce di Jeff Bezos, che ha da tempo lasciato il terreno degli smartphone, sia perché il suo device, il Fire Phone, aveva fallito per difetti propri, ma anche, secondo le autorità europee che hanno appena multato Google per abuso di posizione dominante, per la politica di Mountain View tesa a impedire che altri produttori di smartphone scegliessero il sistema operativo di Amazon. La resistenza di Bezos L’ azienda di Seattle ha sempre resistito, anche se sempre con numeri notevolmente inferiori a quelli di Google, in un campo come quello dei tablet, sull’ onda del successo ottenuto dai suoi lettori di e-book, i Kindle, e forte dell’ integrazione con il suo store per acquistare facilmente contenuti. Ora, però, la battaglia si sta spostando su altri fronti, dove Google non ha ancora il dominio e Amazon ha buone possibilità di crescere, ovvero le smart tv e gli home assistant. Nel primo caso la battaglia è già in corso e, come ha sottolineato al Financial Times l’ avvocato Tomas Vinje, che rappresenta l’ associazione delle aziende concorrenti di Google (e che ha dato l’ avvio al procedimento dell’ Unione Europea), la politica dell’ azienda di Mountain View è la stessa applicata nel campo degli smartphone, ovvero impedire ad altri sistemi operativi di crescere, facendo accordi con i produttori di hardware. Sistemi diversi Ma i sistemi operativi che sono in campo oggi nel mercato delle smart tv sono completamente diversi dal WebOs, originariamente sviluppato da Palm e ora diffuso sui televisori LG, il Tizen, sviluppato da Samsung, il Firefox OS di Mozilla utilizzato da Panasonic, e l’ Android Tv di Google. Amazon in questo caso ha un vantaggio: mentre i punti di forza di Google sono il motore di ricerca e l’ app store, poco utilizzati sui televisori, quelli della piattaforma di Bezos sono Amazon Prime Video, il servizio concorrente di Netflix, e l’ integrazione con il suo store on line. Quindi la battaglia è molto aperta ed è difficile, oggi, immaginare una vittoria certa di Google. Vantaggio tecnologico Sul campo della tv con Amazon lo scontro è anche sui device che consentono ai televisori normali di poter accedere a Internet e alle funzioni collegate: Google ha in commercio il suo Chromecast, Amazon il suo Fire Tv. Secondo molti commentatori e analisti anche in questo caso Amazon ha un vantaggio tecnologico, dovuto alla semplicità d’ uso del Fire Tv e alla offerta di contenuti, mentre Chromecast ha dalla sua il marchio di Google e una penetrazione di mercato storicamente più ampia. Ma nel campo dei device da collegare al televisore lo scontro è arricchito anche dalla presenza di Apple Tv e di dispositivi indipendenti come Roku, o di ricevitori satellitari che si collegano anche alla rete come il nuovissimo Sky Q di Sky. Nel secondo caso, quello degli “home assistant”, dei device che, comandati con la voce, possono svolgere semplici funzioni casalinghe Amazon è piazzata ancora meglio e il suo assistente vocale, Alexa, non “anima” soltanto o suoi device (la serie degli Echo), ma molte altre macchine realizzate da aziende diverse come LG, Sonos e iHome. Spazi di crescita Quello degli assistenti vocali è uno spazio di mercato in crescita che Google non ha ancora conquistato con il suo “Google Assistant” (per il quale sta facendo una grandissima campagna di marketing), software che da voce al suo Google Home e ad altri device di Panasonic, Sony, Jbl. In posizione lievemente arretrata sono gli altri sistemi “voice activated”: il più popolare è Siri, il primo assistente vocale che è arrivato nelle mani dei consumatori che però vive unicamente sui device di Apple (o nelle automobili con il Car Play), seguito dall’ ottimo Cortana di Microsoft e da Bixby di Samsung. L’ integrazione di questi servizi con le interfacce AI potrebbe portare ad una sempre più ampia diffusione dei device di assistenza casalinga, anche perché essendo sprovvisti di interfaccia (tastiere, telecomando o simili) hanno una straordinaria semplicità d’ uso e, man mano che migliorano e le loro capacità si arricchiscono, possono diventare comodi soprattutto per un pubblico non avvezzo all’ uso delle nuove tecnologie, riducendo il “digital gap” tra le generazioni. I comandi vocali Le macchine che usano comandi vocali e intelligenza artificiale attualmente sono principalmente gli smartphone, il che garantisce a Google ancora un notevole vantaggio, ma la crescita più ampia dovrebbe avvenire nei prodotti “smart home” che, secondo i ricercatori di Markets and Markets, marcerà a un ritmo del 13% l’ anno nei prossimi cinque anni. Amazon probabilmente avrà non solo Google ma anche Samsung tra i principali competitor, anche perché il vantaggio dei coreani è quello di essere produttori di elettrodomestici che possono facilmente essere arricchiti da comandi vocali. Gli “ecosistemi” Per essere chiari, alla fin fine, la battaglia vera e propria che vede Amazon e Google, ma anche Apple e Samsung, combattersi senza esclusione di colpi è ancora una volta quella degli ecosistemi, che hanno negli assistenti vocali un perfetto “cavallo di troia” per entrare non più soltanto nelle nostre tasche o sulle nostre scrivanie (con smartphone, tablet e compu-ter), ma anche nel soggiorno, nella cucina, nelle nostre case, offrendoci tutto quello che hanno o che potranno avere. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il centrodestra spaccato sulla Rai
Corriere della Sera
G.A. Falci e Dino Martirano
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Per tutto il giorno si è atteso un contatto chiarificatore fra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Dalle parti di Arcore si aspettavano una telefonata «riparatoria» da parte del ministro dell’ Interno per ricucire il filo con le truppe azzurre dopo il blitz sulle nomine Rai. In particolare lo stato maggiore forzista contesta la decisione di indicare come presidente della Rai Marcello Foa, ex caporedattore del Giornale, ma, è l’ accusa, «con un profilo non di garanzia e scelto senza consultarci». Per essere eletto, Foa ha bisogno dei voti della Lega, del M5S e di quelli di altri 6-7 commissari dell’ opposizione. Per i l Pd e Leu è «no» su tutta la linea e anche Forza Italia, ad oggi, non intende sostenere il presidente sovranista sostenuto dalla Lega e dai grillini. Le truppe berlusconiane sono infuriate. Annamaria Bernini, capogruppo dei senatori, la mette così: «Quanto agli assetti dei vertici Rai, in commissione parlamentare di Vigilanza diremo no ad ogni logica spartitoria ed antidemocratica». La posizione degli azzurri non cambierebbe nemmeno se Salvini mettesse sul tavolo una contropartita, assicura il capogruppo in Vigilanza Giorgio Mulè: «Non c’ è alcun do ut des». Contro la nomina di Foa, Leu e Pd rinnovano l’ appello a Forza Italia a esprimere voto contrario. I dem sono pronti ad alzare le barricate «con azioni clamorose» se Foa dovesse ricevere il lasciapassare della Vigilanza. Davide Faraone, renziano, si rivolge agli azzurri «affinché si impedisca che il portavoce dei nazionalpopulisti che prova fastidio per la democrazia, che attacca il presidente Mattarella, che propende per i no vax, possa essere eletto presidente della più importante industria culturale del Paese». Riccardo Laganà, membro del cda eletto dai dipendenti Rai, polemizza con l’ esecutivo gialloverde: «Noi non siamo né lottizzati né parassiti. La quasi totalità dei dipendenti Rai, sono invece gli anticorpi di un sistema immunitario ben collaudato». Gli fa eco il segretario dell’ Fnsi Raffaele Lorusso: «Nella Rai legastellata è già tempo di liste di proscrizione. L’ invettiva del vicepremier Luigi Di Maio contro “raccomandati e parassiti” lascia presagire tempi difficili». Quando mancano ormai due giorni alla seduta della commissione di Vigilanza Rai, che dovrà ratificare con una maggioranza vincolante di due terzi il nome del presidente, intanto, riemerge da Youtube una lunga dichiarazione rilasciata a maggio al network sovranista Byoblu: in quell’ occasione Marcello Foa, interpellato come «massimo esperto» di manipolazione, pur con una premessa cautelativa assecondò l’ accusa rivolta da Byoblu al Quirinale di aver veicolato «correzioni» in senso europeista del discorso pronunciato dal presidente incaricato Giuseppe Conte. Il Colle reagì definendo il video nel suo complesso «falso, diffamatorio e gravemente lesivo dell’ immagine della presidenza della Repubblica».
La Serie A stavolta è meglio in radio
Il Fatto Quotidiano
Paolo Ziliani
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La gente si renderà conto di tutto al ritorno dal mare o dalla montagna, ma una cosa è certa: l’ operazione “Rapina del secolo” (ai danni dell’ abbonato al calcio tv) è ufficialmente iniziata. Anche se chi la compie rischia di avere fatto i conti senza l’ oste: invece di nuovi abbonati, potrebbe ritrovarsi alla fine con tanti vecchi abbonati in meno. Perché va bene tutto, ma spendere soldi in più per poi sentirsi turlupinati potrebbe non essere cosa gradita. E comunque. Dopo aver stracciato l’ accordo da 1 miliardo e 51 milioni con gli spagnoli di MediaPro, la Lega di Serie A ha ceduto i diritti dei prossimi tre campionati a Sky e Perform per 973 milioni (780 la quota Sky, 193 la quota Perform), un centinaio in meno dei minimi sbandierati. A Sky spettano 7 partite su 10 di ogni turno, a Perform 3. E qui casca l’ asino; perchè è proprio qui che comincia la rapina. Fino a ieri, per vedere tutte le partite della A l’ abbonato-Sky spendeva 36,80 euro al mese: 21,60 per il pacchetto obbligatorio SkySport più 15,20 per il pacchetto SkyCalcio. Oggi la stessa cifra serve per vedere non più 10, ma solo 7 partite settimanali: per vedere le altre 3, (quelle assegnate a Perform, che le irradierà sulla piattaforma Dazn), tra cui l’ ambitissimo anticipo del sabato sera alle 20.30, l’ utente dovrà sottoscrivere un abbonamento aggiuntivo di 9,99 euro portando così il suo esborso a 46,79 euro. Finita qui? Macché. Per vedere le 3 partite di Perform-Dazn sarà necessario sottoscrivere un abbonamento internet a connessione veloce, con costi che variano dai 16 ai 25 euro al mese (e qui l’ esborso complessivo schizza a un totale che varia dai 62,79 ai 71,79 euro) e soprattutto occorrerà dotarsi di un supporto diverso dalla tv tradizionale come la smart-tv, il computer, la consolle PlayStation o Xbox, il tablet o lo smartphone. Insomma, un bagno di sangue per molti e una trafila inquietante per tutte le persone “non tecnologiche”, quelli cioè che si sentono in confidenza solo alle prese con la cara, vecchia tv. Ma niente paura, fa sapere Sky! Noi pensiamo a tutto e infatti abbiamo firmato un accordo con Dazn per dare ai nostri abbonati le 3 partite di Perform non a 9,99 euro al mese bensì (udite udite!) a 7,99. Vabbè, dice l’ utente, lo sconto è risibile ma almeno mi vedo tutto in tv come facevo prima senza pensare a nuovi supporti e a connessioni ultra veloci. Macchè. Sky ti sconta 2 euro al mese ma la verità è che le tre partite in questione le vede solo chi possiede il decoder Q di ultima generazione: pochissimi, ad oggi. Ne esistono di due tipi: il decoder Q Platinum che ti permette di vedere tutto su tutte le tv di casa, che di sola attivazione costa 199 euro e richiede poi un abbonamento di 12,40 euro al mese (spesa primo anno 347,80 euro; anni successivi 148,80); e il decoder Q Black che vale per una sola tv di casa, costa 79 euro e richiede un abbonamento di 5,4 euro al mese (spesa primo anno 143,80 euro, anni successivi 64,80). Insomma: c’ era una volta l’ appassionato di calcio che per vedersi la Serie A spendeva, già facendo uno sforzo, 36,80 euro. Succedeva fino a ieri, ma ieri è già Preistoria. Perché la Nuova Era è qui. La “Rapina del secolo” sta per partire. Quanti pesci finiranno nella rete gettata in mare da Sky, che per la cronaca fino al 1° ottobre 2016 ha avuto John Elkann – quindi la Exor, quindi la Fiat, quindi la Juventus – nelle vesti di consigliere di amministrazione della “News Corp” di Murdoch, il gruppo che controlla Sky in Italia? Di sicuro, la prima parte del diabolico piano che ha permesso a Sky di acquistare a prezzo di saldo i diritti tv di A appena prima dell’ annuncio di CR7 alla Juve (evento che avrebbe di fatto raddoppiato il valore dei diritti tv del nostro campionato), è andata in porto con esiti trionfali. Per tre stagioni, SkyItalia – da molti ribattezzata SkyJuve – mostrerà gratis le performances italiane di CR7 dopo aver messo nel sacco tutti, da MediaPro ai 19 presidenti dei club di A, Agnelli escluso. A Sky puntano decisi a fare un milione di abbonamenti in più, ma con tutte queste difficoltà tifosi e appassionati potrebbero anche decidere di tornare ad ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto, gratis su Radio1.
Rai, Foa non ha i numeri Forza Italia vota contro la Lega: avete scelto il Pd
Il Mattino
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IL CASO ROMA La maggioranza tiene fermo il nome di Marcello Foa per la presidenza della Rai e Forza Italia fa altrettanto negando all’ ex alleato leghista i voti che mancano al giornalista per essere eletto e guidare il cda di viale Mazzini. La rottura sembra ormai certa e il dado verrà tratto dopodomani quando Alberto Barachini, presidente della Vigilanza, aprirà i lavori della Commissione che ha all’ ordine del giorno la nomina del presidente proposto dal governo. Il nome del giornalista sovranista – attuale ad del giornale del Canton Ticino, difeso da due giorni pubblicamente dai grillini – è stato indicato presidente di viale Mazzini in quota Lega insieme all’ ad Fabrizio Salini voluto dal M5S. Ma se quest’ ultimo non deve passare al vaglio della Vigilanza, la legge prevede che il presidente venga eletto con i due terzi degli aventi diritto. A Foa servono quindi ventisette dei quaranta voti della Commissione per essere eletto, ma Forza Italia continua a chiedere alla Lega che il nome di Foa venga ritirato per avviare la trattativa su un altro nome che rappresenti una garazia almeno per il centrodestra. IL CENCELLI Un problema non da poco per Salvini che con Di Maio ha trattato per giorni un complicato equilibrio destinato a reggere anche nel consiglio d’ amministrazione della Rai che al momento debito dovrà votare le nomine dei direttori di tg e reti e approvare palinsesti e strategie. Senza Foa, o un nome perfettamente schierato con la maggioranza giallo-verde, i due vicepremier – e con essi l’ ad – rischiano infatti di non avere nel cda i numeri al sicuro. Soprattutto quando e se il cda sarà chiamato a valutare eventuali ingaggi di esterni per le direzioni o i programmi. Ieri sia il presidente che il vicepresidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi e Antonio Tajani, hanno parlato di «logica spartitoria», di «pessimo segnale», ma soprattutto hanno puntato il dito contro un nome calato dall’ alto senza che ci sia stato quel confronto che di fatto la legge prevede quando chiede l’ elezione con i due terzi della Commissione. Ieri non sembrano esserci stati contatti tra Berlusconi e Salvini. Con la Lega che continua a mantenere con decisione il punto sul nome di Foa sfidando di fatto i forzisti a votare con il Pd. FI non sembra però avere dubbi e mette in conto anche la rottura politica con l’ alleato anche se c’ è una parte del partito, l’ ala vicina al presidente della Liguria Giovanni Toti, che spinge per trattare con Salvini qualche strapuntino a viale Mazzini visto che il resto delle nomine più importanti, per direzioni e reti, sono state già spartite tra leghisti e grillini. Anzi, FI è convinta che proprio facendo saltare Foa – e mettendo in crisi gli equilibri nel cda -può saltare l’ accordo che Salvini e Di Maio hanno stretto. «Non c’ è alcun do ut des- sostiene l’ azzurro Giorgio Mulè – non ci sono partite o contraccambi. La questione è tutta politica, serve una figura di garanzia e condivisa dai 2/3 della Vigilanza Rai. Una maggioranza che Lega e 5 Stelle non hanno. Non c’ è alcuna merce di scambio». Ma.Con. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Romagnoli se ne va: sembra Beirut
Il Mattino
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«Il primo agosto sono fuori dalla Rai». Lo annuncia all’ Ansa il direttore di Rai Sport, Gabriele Romagnoli (in foto), spiegando che la scelta di lasciare l’ azienda in anticipo è legata «al gentlemen’ s agreement con chi mi ha affidato il mandato. La politica, ci tiene a sottolineare Romagnoli, «non c’ entra nulla». E racconta: « Sono stato due anni e mezzo a Beirut dove ci sono 17 confessioni religiose, faide e bombe. Posso dire che, pur senza arrivare a quei livelli, in Rai il tasso di conflittualità è altissimo».
Berlusconi: la coalizione non c’ è più E ora rischiano anche le Regioni
Il Mattino
Marco Conti
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IL RETROSCENA Salta Foa e salta ciò che rimaneva del centrodestra. Game over. O, parafrasando uno dei due contraenti, finita la pacchia per l’ elettore di centrodestra che per anni ha votato senza distinguere tra doppiopetto, canottiera e felpa. Per oltre vent’ anni Fi e Lega sono stati una cosa sola al Nord come a palazzo Chigi. Ma una goccia per far traboccare il vaso prima o poi doveva arrivare ed è arrivata. La rottura si concretizza su una nomina che la legge vuole venga condivisa dalla maggioranza con l’ opposizione o parte di essa. «Sa perchè Salvini non ha chiamato nemmeno il Pd? Perchè pensava di avere comunque i nostri voti. Ci tratta da ruota di scorta», sostiene un parlamentare azzurro. Foa non avrà i voti di FI come non li avrà la maggioranza su nessun provvedimento anche se presente nel programma con il quale solo pochi mesi fa Salvini, Berlusconi e Meloni si sono presentati insieme alle urne. I MIGLIORI Da ieri il Cavaliere ha rotto gli indugi stufo, raccontano, «di non valere agli occhi di Salvini nemmeno come consigliere». Archiviati gli incontri con Bossi del lunedì, ad Arcore Salvini non si vede da tempo e le telefonate sono rarefatte. Azzerati i contatti leghisti con Gianni Letta, a tenere i rapporti con il Carroccio sono stati per lungo tempo Licia Ronzulli e Niccolò Ghedini. Raccontano i ben informati che tra i due senatori i rapporti non sono ora dei migliori e ha meravigliato tutti che il Cavaliere nell’ ultima riunione dei gruppi di Forza Italia abbia sciorinato un lungo elenco di elogi dimenticandosi proprio dell’ avvocato Ghedini. Proprio nella terra dell’ avvocato che è stato a lungo coordinatore regionale di FI, arriverà oggi il vicepresidente del Parlamento europeo e vicepresidente di FI Antonio Tajani. Ma il Veneto non è solo la regione di Ghedini, è anche la roccaforte storica della Lega che la governa con Zaia. E proprio il governatore deve ora vedersela con gli oltre seicento imprenditori che hanno scritto al governo per dire che il decreto Di Maio non va. Giovedì scorso Berlusconi e Salvini si sono incontrati per caso a Montecitorio. «Ma i tuoi consiglieri veneti non ti hanno detto nulla? Sono tranquilli?». «Tranquillissimi». Un botta e risposta che ha fatto comprendere al Cavaliere che ormai l’ alleato è su altre frequenze e che le proteste che arrivano dalle storiche regioni del Carroccio sono rumore di sottofondo ad una marcia che i sondaggi danno per trionfale. Sono bastati due mesi di ogoverno della Lega con il M5S per ricompattare il corpaccione parlamentare di Forza Italia a suo tempo diviso tra coloro che speravano di non morire leghisti e quelli che confidavano nel salvatore con la felpa che invece non discute nè con le capigruppo, Maria Stella Gelmini e Anna Maria Bernini, nè con Giorgio Mulè che guida gli azzurri in Vigilanza, chi proporre come presidente della Rai. A tentare l’ ennesima mediazione è il presidente della Liguria Giovanni Toti che continua a tenere il filo con la Lega, anche se ad Imperia Claudio Scajola è tornato a fare il sindaco proprio proponendo e sconfiggendo la linea alternativa sovranista ed antieuropeista della Lega di fatto rappresentata dal candidato proposto da Salvini e Toti. E ora il rischio che la Lega e FI corrono sta proprio nelle regioni che amministrano insieme.
Il cambio di regime Iva in corso d’ anno chiede la compilazione del quadro VO
Il Sole 24 Ore
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Paola Bonsignore Gianluca Natalucci Il contribuente che, a seguito di comportamento concludente nel corso del periodo d’ imposta, dovesse avere la necessità di comunicare all’ amministrazione finanziaria il cambio di regime applicato al fine della determinazione delle imposte Iva o dirette avrà l’ obbligo di presentare il quadro VO «Comunicazione delle opzioni e revoche», allegandolo alla dichiarazione dei redditi nel caso di esonero dalla presentazione della dichiarazione Iva annuale. La norma Il Dpr 442/1997, che regolamenta le modalità di esercizio delle opzioni in materia di Iva e di imposte dirette, se da un lato dispone che l’ esercizio dell’ opzione per un determinato regime è strettamente connesso al comportamento concludente tenuto dal contribuente nel corso del periodo d’ imposta o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili, dall’ altro prevede un obbligo dichiarativo, seppur di natura formale, volto a portare l’ opzione a conoscenza dell’ amministrazione finanziaria. Per adempiere a tale obbligo, l’ articolo 2 del decreto dispone che il contribuente evidenzi l’ opzione o la revoca nella prima dichiarazione annuale Iva da presentare successivamente alla scelta operata, ma, come specificato dalla circolare 209/E/1998, nel solo caso in cui fosse esonerato dalla sua presentazione potrà allegare il quadro relativo alle opzioni alla dichiarazione dei redditi e inviarla con le stesse modalità e termini previsti per tale adempimento, barrando una specifica casella del frontespizio del modello Redditi 2018 per segnalarne la presenza. Le sezioni del quadro Il quadro si compone di cinque sezioni: Sezione 1 «Opzioni, rinunce e revoche agli effetti dell’ imposta sul valore aggiunto» da utilizzare per comunicare l’ adesione o meno alle disposizioni in tema di: detrazione per beni ammortizzabili; liquidazioni trimestrali; regimi particolari riservati al settore agricolo; opzione per l’ applicazione separata dell’ imposta in caso di esercizio di più attività; non fatturazione/registrazione delle operazioni esenti; modalità di applicazione dell’ imposta per i contribuenti operanti nel settore dell’ editoria o delle attività di intrattenimento o che eseguono acquisti/cessioni intracomunitari o operazioni rientranti nel regime speciale del margine, o cessione di oro da investimento o spettacoli viaggianti; affidamento a terzi della tenuta della contabilità; applicazione del regime di cassa. Sezione 2 «Opzioni e revoche agli effetti delle imposte sui redditi» da utilizzare per comunicare l’ adesione o meno alle disposizioni in tema di: regime di contabilità ordinaria per le imprese minori o esercenti arti e professioni; tenuta dei registri iva senza separata indicazione degli incassi e dei pagamenti per le imprese minori; determinazione del reddito per gli esercenti attività agricole e connesse. Sezione 3 «Opzioni e revoche agli effetti sia dell’ Iva che delle imposte sui redditi» da utilizzare per comunicare l’ adesione o meno alle disposizioni in tema di: determinazione forfettaria dell’ Iva; determinazione dell’ imposta con le modalità ordinarie da parte delle associazioni sindacali e di categoria operanti nel settore agricolo; determinazione dell’ Iva e del reddito nei modi ordinari per coloro in possesso dei requisiti per accedere al regime fiscale forfettario o di vantaggio per l’ imprenditoria giovanile e lavoratori in mobilità. Inoltre, nell’ ipotesi in cui volessero accedere alla contabilità ordinaria dovranno barrare le caselle VO20 (imprenditori) o VO21 (professionisti). Sezione 4 «Opzione e revoca agli effetti dell’ imposta sugli intrattenimenti» interamente dedicata a tale settore al fine di evidenziare l’ applicazione dell’ imposta nei modi ordinari ex articolo 4 Dpr 544/1999. Sezione 5 «Opzione e revoca agli effetti dell’ Irap» nella quale i soggetti pubblici esercenti attività commerciale comunicheranno l’ opzione, o revoca, della determinazione della base imponibile Irap ex articolo 10-bis, comma 2, Dlgs 446/1997. Il contribuente, individuata la tipologia di opzione che disciplina la propria posizione, dovrà espletare il comportamento tenuto barrando la casella di «opzione» o «revoca». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il comportamento concludente salva dalle omissioni
Il Sole 24 Ore
Pierpaolo CeroliAgnese Menghi
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La funzione svolta dal quadro VO è di notevole rilevanza considerato che è lo strumento tramite cui il contribuente comunica all’ amministrazione finanziaria la scelta o la revoca di un particolare regime di determinazione dell’ imposta. Tuttavia, la sua omissione non inficia la validità dell’ opzione, tenendo presente che ciò che rileva ai fini dell’ esercizio dell’ opzione è il comportamento concludente del contribuente, come sancito dal combinato disposto degli articoli 1 e 2 del Dpr 442/1997 secondo cui: «l’ opzione e la revoca di regimi (…) si desumono da comportamenti concludenti del contribuente o dalle modalità di tenuta delle scritture contabili», ma «resta ferma la validità dell’ opzione anche nelle ipotesi di omessa, tardiva o irregolare comunicazione, sanzionabili secondo le vigenti disposizioni». Ciò che rileva, quindi, è il comportamento concludente che si configura quando il contribuente, a prescindere dalla comunicazione, effettua gli adempimenti che identificano in maniera inequivocabile il regime prescelto. Si pensi, ad esempio, alle imprese minori che adottano il criterio delle registrazioni ex comma 5, articolo 18 del Dpr 600/73, secondo cui vi è la presunzione che l’ incasso/pagamento corrisponda al momento di contabilizzazione della relativa fattura. In questa ipotesi, il comportamento del contribuente si desume dall’ assenza delle registrazioni relative agli incassi e pagamenti delle operazioni rilevanti ai fini Iva. La circolare ministeriale 209/1998, individua anche le seguenti casistiche a supporto degli altri regimi inclusi nel quadro VO: l’ istituzione dei registri Iva per i produttori agricoli; l’ applicazione dell’ Iva nei modi ordinari da parte delle imprese spettacolistiche; l’ utilizzo del regime di contabilità ordinaria da parte dei soggetti per i quali è previsto un diverso regime naturale (per esempio i professionisti); la liquidazione periodica dell’ imposta secondo il metodo delle copie vendute per gli editori. Di conseguenza, la mancata rappresentazione dell’ opzione in dichiarazione non comporta l’ inefficacia del regime prescelto, ma si considera comunque una violazione di carattere formale che deve essere regolarizzata. A tal fine, si ritiene che sia necessario presentare una dichiarazione integrativa nella quale il contribuente manifesti la volontà di aderire ad un particolare regime di determinazione dell’ imposta. Inoltre, secondo la circolare 209 la sanzione applicabile non è quella individuata per l’ infedele dichiarazione, ma quella sancita per gli errori relativi al contenuto della dichiarazione di cui all’ articolo 8 del Dlgs 471/1997, prevista in misura da 250 a 2.000 euro. Infine, potendo ricondurre l’ omissione tra le violazioni tributarie, è possibile beneficiare delle riduzioni sanzionatorie del ravvedimento operoso da applicare sul minimo edittale pari a 250 euro. La sanzione effettivamente da versare, quindi, dipende dalla data di presentazione della dichiarazione e differirà a seconda del fatto che il contribuente avrebbe dovuto allegare il quadro VO al modello Iva o a Redditi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L'articolo Rassegna Stampa del 30/07/2018 proviene da Editoria.tv.