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Rassegna Stampa del 29/07/2018

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Indice Articoli

Casaleggio intervista Mentana: chi controlla le fake news?

Sprechi, ritardi e pubblicità in picchiata: la Rai in coma

«Bufale? Sono sui giornali di carta»

«Le fake news? Le leggo sui giornali»

«Metodo sbagliato non faremo sconti»

Le pizzerie del futuro

Bonus pubblicità 2018, si inizia

Berlusconi pronto allo «strappo» Salvini: se vota no si allea al Pd

«Parlare? Meglio di no» L’ Usigrai perde la voce

Giornali e Parlamento, gli obiettivi di Casaleggio

Il Parlamento: tassare i social che diffondono le fake news

Chi è Marcello il nuovo padrone della tv di Stato

Casaleggio intervista Mentana: chi controlla le fake news?

Corriere della Sera
Alessandro Trocino
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La formula è insolita, con Enrico Mentana nei panni dell’ intervistato e un giornalista decisamente particolare, Davide Casaleggio. Sotto il gonfiabile a forma di mouse dell’ associazione Rousseau, a Cesenatico, si parla di democrazia e informazione, modelli di business e fake news. Casaleggio, prima del confronto, spiega ai cronisti da che parte sta: «Io le fake news le leggo sempre più spesso sui giornali e sui quotidiani di carta». La sua posizione è chiara, il mondo della carta stampata è in via di estinzione, anche se «a ogni ingresso di un nuovo media, il vecchio trova una sua dimensione» e va incoraggiata la «democrazia digitale». Mentana concorda sul fatto che «il modello di business che ha tenuto in piedi i giornali e le tv sta venendo meno», vendite e pubblicità stanno calando. Ma attenzione: «La gratuità del web è un’ illusione, nessun pasto è gratis». Per questo il direttore del Tg La7 sta lanciando un nuovo giornale online, «per riprendere i giovani per i capelli». Un’ impresa che potrebbe costare un milione all’ anno: «Speriamo ci sia abbastanza pubblicità, altrimenti ci sono crowdfunding e donazioni. Dio ci guardi dalle sovvenzioni». Casaleggio intreccia giornalismo e democrazia, spiega che «il Parlamento è una forma di gestione della democrazia che sicuramente evolverà: oggi abbiamo a disposizione molti strumenti per far partecipare le persone, non solo con un voto ogni cinque anni». La democrazia digitale va di pari passo all’ innovazione dell’ informazione. Che non deve essere finanziata da soldi pubblici, come spiega Vito Crimi. E pazienza se i fondi sono ormai molto ridotti, l’ obbiettivo è quello di tagliare tutto il tagliabile, lanciando il messaggio agli elettori, e, come dice Crimi, «di incentivare l’ acquisto di abbonamenti digitali». Casaleggio pone a Mentana una domanda precisa sulle fake news: «Chi deve controllare se una notizia è falsa?». Risposta difficile, ma Mentana spiega che non è ipotizzabile un controllo sull’ informazione libera. E aggiunge: «Tutto credo meno che al fatto che le fake news siano frutto del pagamento dei giornalisti: credo che il giornalismo muoia dello stesso morbo di cui muore la politica, che sia novecentesco nei suoi modi».

Sprechi, ritardi e pubblicità in picchiata: la Rai in coma

Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri e Carlo Tecce
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Coi Mondiali di Russia 2018, Mediaset ha incassato 100 milioni di pubblicità in 15 giorni, la Rai ha chiuso lo scorso anno in calo di 50 milioni e quest’ anno ci sarà una flessione almeno di altri 10. L’ ultimo bilancio, relativo al 2017, elenca tutte le attenuanti di un settore in difficoltà, ma poi deve riconoscere che la raccolta della Rai lo scorso anno è scesa dell’ 8,1 per cento, quella di La7 soltanto del 2,3, Mediaset ha chiuso in pareggio (-0,8), mentre Discovery segnava addirittura un +9,6 per cento. È da numeri come questi che si capisce che per il governo gialloverde la parte difficile deve ancora arrivare. Una volta fatte le nomine, con attente logiche di bilanciamento di equilibri sempre identiche, ora bisogna pensare all’ azienda. E la Rai è sempre la solita vecchia Rai. Letteralmente. A marzo 2018 la Rai e il ministero dello Sviluppo economico hanno definito il nuovo contratto di servizio 2018-2022, quello che definisce gli impegni dell’ azienda in quanto concessionaria del servizio pubblico (e dunque beneficiaria del canone). L’ articolo 25 di quel contratto impegna la Rai a presentare entro sei mesi dalla firma (cioè entro settembre) “un piano di riorganizzazione che può prevedere anche la ridefinizione del numero delle testate giornalistiche nonché la riprogettazione e il rafforzamento dell’ offerta informativa sul web”. L’ ultimo tentativo, con il piano di Carlo Verdelli, si è scontrato con resistenze interne tali che sono saltate le poltrone sia di Verdelli sia dell’ allora direttore generale renziano Antonio Campo Dall’ Orto, nel 2017. Il nuovo cda Rai e i nuovi vertici, il direttore Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa, dovrebbero combattere di nuovo quella guerra di trincea e vincerla. Ma in poche settimane invece che in lunghi mesi. Altrimenti la Rai si troverà già a essere inadempiente rispetto al suo contratto di servizio. Visto l’ immobilismo Rai, comunque, è impossibile che tutti gli impegni indicati dal contratto vengano assolti, dato che finora, durante la gestione del direttore generale Mario Orfeo, poco o nulla si è mosso. Non si ha notizia alcuna, per esempio, del progetto di canale tematico di educazione civica che deve “promuovere il valore dell’ appartenenza dell’ Italia all’ Unione europea”. E sarà interessante vedere che fine farà ora, con un presidente euroscettico e un consigliere, Giampaolo Rossi, sulle stesse posizioni. Ma la partita vera resta quella dell’ informazione. Il negoziato in corso sul rinnovo dei vertici dei telegiornali e delle reti rischia di bloccare di nuovo ogni riforma: se i partiti ottengono un direttore poi non vorranno certo ridurre i suoi poteri. L’ attuale organizzazione, infatti, risponde soltanto a logiche di spartizione politica. Come ha riassunto di recente Milena Gabanelli. fuori dalla Rai da quasi un anno, la tv di Stato conta su 8 diverse testate giornalistiche e 1760 giornalisti che, nel 2015, secondo la Corte dei Conti, avevano un costo medio aziendale di 145.000 euro a persona (molto elevato per un settore che, nel privato, è sempre più povero). Questo sistema, scrive la Gabanelli sul Corriere della Sera, “ha generato costi enormi perché ogni testata ha un direttore, i vicedirettori, i tecnici, i giornalisti, e tutte le testate a coprire lo stesso evento”. Finora per ogni regione c’ erano un responsabile della sede e un caporedattore, senza che nessuno abbia mai capito a cosa servisse la duplicazione di poltrone che ora dovrebbe essere abbandonata. Un sistema inefficiente ma solidissimo, capace di resistere a ogni tentativo di razionalizzazione: non si riescono neanche a organizzare in modo sensato gli uffici. A Genova, per esempio, ogni dipendente continua ad avere 120 metri quadri a disposizione. Gli immobili sono un altro enorme problema. Da anni la Rai cerca di vendere la prestigiosa sede di viale Mazzini, in centro a Roma, ma non ci riesce. E da molto più tempo cerca un’ alternativa al grande centro di produzione di Saxa Rubra (le prime indiscrezioni sul desiderio di fuga risalgono addirittura al 1994), ma niente da fare. Tenere tutto il comparto informazione a Saxa Rubra costa intorno ai 550 milioni all’ anno. Ma mettere sul mercato gli immobili Rai sembra un’ impresa quasi disperata. Da anni si trascinano cause giudiziarie dovute alla presenza di amianto in molti immobili della tv pubblica, ma nel bilancio 2017 si legge ancora che “una importante attività in corso è quella della valutazione della rispondenza strutturale degli edifici aziendali ai requisiti di sicurezza prescritti dalla vigente normativa tecnica”. Poi la relazione finanziaria si dilunga a spiegare quanto meticolosa sia la valutazione, ma la sostanza sembra essere che la Rai ancora non sa neppure quali sono i suoi edifici a rischio e dunque cosa vada messo in sicurezza. Questi problemi strutturali, così come quelli strategici (privatizzare due reti, come vuole Beppe Grillo? e il sito web di news che fine ha fatto?) non sono la priorità, anche se dovrebbero esserlo. Come sempre le esigenze della politica prevalgono su quelle industriali: i 5Stelle scalpitano da mesi e finalmente ora potranno intervenire sui contratti che hanno sempre contestato, a cominciare da quello di Fabio Fazio per Che tempo che fa su Rai1 (la Corte dei conti sta valutando se era congruo o esagerato) e forse quello di Bruno Vespa, altro bersaglio frequente delle polemiche pentastellate. Al vertice della Rai ci sarà un manager con notevole esperienza di prodotto, Salini, e un giornalista con competenze manageriali, Marcello Foa, fino a ieri ad del gruppo del Corriere del Ticino. Se vogliono cominciare a mettere ordine nell’ informazione almeno uno strumento ereditato dal caos dell’ ultima gestione c’ è: una direzione editoriale che per ora si limita a compiti burocratici ma che, almeno sulla carta, dovrebbe essere la cabina di regia da cui ripensare tutta l’ offerta informativa. Vasto programma, ripetuto all’ insediamento di ogni cda. Ma prima o poi qualcuno ci riuscirà.

«Bufale? Sono sui giornali di carta»

Il Giornale

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«Le fake news? Le leggo sempre più spesso sui giornali e sui quotidiani di carta». Così il presidente dell’ associazione Rousseau Davide Casaleggio, a margine della quarta tappa del tour City lab sulla nuova informazione, ha risposto ai cronisti che gli chiedevano un parere sulle bufale in Rete. E sul Parlamento ha aggiunto: «È una forma di gestione della democrazia che sicuramente evolverà».

«Le fake news? Le leggo sui giornali»

Il Mattino

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«Il Parlamento è una forma di gestione della democrazia che sicuramente evolverà: oggi abbiamo a disposizione molti nuovi strumenti per far partecipare le persone all’ esercizio democratico dei loro diritti: bisogna capire come evolvere e come espandere l’ utilizzo di questi strumenti e permettere alle persone di interagire molto di più che non solo con un voto ogni 5 anni», ha detto, a margine di Rousseau City Lab a Cesenatico, il presidente e fondatore dell’ Associazione Rousseau, Davide Casaleggio, in un confronto con Enrico Mentana. Un affondo lo dedica alle cosiddette fake news, a rischio proliferazione con la crescita esponenziale della comunicazione online. «Io le fake news le leggo sempre più spesso sui giornali e sui quotidiani di carta – taglia corto – Quotidiani che resteranno comunque in pista, malgrado l’ avanzata impetuosa della rete».

«Metodo sbagliato non faremo sconti»

Il Mattino
Paolo Mainiero
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Fine settimana in Campania per Antonio Tajani. Il presidente del Parlamento europeo e vicepresidente di Forza Itala è stato venerdì a Pratola Serra, in provincia di Avellino, e ieri a Vietri sul Mare, dove gli è stata conferita la cittadinanza onoraria. Presidente Tajani, come giudica le nomine dei nuovi vertici della Rai? «Non è un problema di persone ma di metodo». Voterete contro, come il Pd chiede a Forza Italia? «Siamo stati informati delle scelte soltanto a cose fatte. Le nomine dovranno essere votate dalla Commissione di Vigilanza, se ci sarà una maggioranza, la proposta del governo passerà. Se non ci sarà, si troveranno altre soluzioni. Abbiamo le mani libere. Valuteremo, mercoledì prenderemo le nostre decisioni». Si aspettava dalla Lega almeno una telefonata? «La Lega è al governo, Forza Italia è all’ opposizione. La politica ha delle regole e in questo caso le regole non sono state rispettate. Ne prendiamo atto e ci comporteremo di conseguenza. La Lega è libera di fare quello che vuole, anche di rompere l’ alleanza di centrodestra». Salvini ha preferito privilegiare l’ intesa con Di Maio? «Il canone lo pagano tutti gli italiani, non solo quelli che hanno votato i cinque stelle. Ma non si può pensare di trasformare la Rai in una colonia grillina. Ricordo che nel 2005 il governo Berlusconi indicò alla presidenza della Rai Claudio Petruccioli, esponente della sinistra». Il M5s vuole mettere le mani sull’ azienda? «Trovo inaccettabili e minacciose le parole utilizzate dal ministro Di Maio. Dire che la Rai è un’ accozzaglia di parassiti e raccomandati è una dimostrazione di arroganza e protervia. Ci vuole rispetto e non disprezzo per i lavoratori, e in Rai ci sono dipendenti di grande qualità. Il linguaggio violento del vicepremier mi spaventa e fa il paio con le parole di Grillo che dice che la democrazia è ormai superata. Ma oltre la democrazia c’ è solo la dittatura». Il governo ha anche azzerato i vertici delle Ferrovie. È spoil system o ebbrezza del potere? «Uno spettacolo indecente. Siamo tornati alla peggiore prima repubblica. Riunioni più o meno segrete, liti, spartizioni: stiamo assistendo a riti che ritenevamo superati. Lega e M5s sono più interessati a spartirsi le poltrone che a risolvere i problemi. Altro che governo del cambiamento, siamo davanti all’ esatto contrario. Non c’ è una politica industriale, non esiste una visione di società, non si trova una sola idea per il Sud, se non la delirante proposta di chiudere l’ Ilva». M5s e Lega litigano anche sulla Tav… «È la conferma del matrimonio contro natura del governo. Emergono solo contraddizioni e divisioni ed è impensabile che due forze così distanti e litigiose possano continuare a stare insieme. Il governo è destinato a durare poco, mangerà un panettone scaduto e non se l’ uovo di Pasqua sarà tanto buono. Non mi sembra che il governo stia dando risposte agli italiani, e mi viene da ridere se penso alla rottamazione dell’ aereo di Renzi». Ridere? E perché? Il premier Conte ha detto che si trattava di spreco di denaro pubblico. «È questa la strategia che il governo ha in testa per lo sviluppo? Rottamare un aereo? Sto ancora aspettando che Lega e M5s rispettino il contratto di governo. Che fine ha fatto la flat tax? Dove sta l’ abolizione della legge Fornero? Dovevano essere i primi provvedimenti del primo consiglio dei ministri e invece non se ne parla più». Forza Italia voterà il decreto dignità? «Il decreto cancella posti di lavoro certi, come certificato dal presidente dell’ Inps, e non ne crea di nuovi. Siamo molto preoccupati soprattutto per le ripercussioni che si avranno al Sud, dove non esiste una politica industriale e dove si concentra la disoccupazione giovanile più alta del Paese. In tutta Italia comincia a diffondersi il malcontento, pensiamo solo alla rivolta degli imprenditori del Nord-Est ai quali domani, a Venezia, porterò il sostegno di Forza Italia». La Lega avrebbe dovuto sostenere al governo il programma del centrodestra. Salvini è ancora un alleato? «La Lega è succube di Grillo, non è in grado di imporre nulla del programma del centrodestra. È il M5s a dettare la linea e ci auguriamo che Salvini si renda conto che inseguendo i cinque stelle perde consensi. Al di là del respingimento di tre navi, non mi sembra che la Lega stia imprimendo una svolta. L’ ordine pubblico non è solo una questione che riguarda l’ immigrazione. Non ho sentito, per esempio, una parola di solidarietà nei confronti delle forze dell’ ordine aggredite al cantiere della Tav. Perché Salvini, così attento a respingere i migranti, non usa la stessa fermezza anche nei confronti dei centri sociali? Forse perché deve pagare un prezzo a Grillo?». Ma c’ è il rischio di un esodo da Forza Italia verso la Lega? «Io tutto questo esodo non lo vedo. Non c’ è un parlamentare o un consigliere regionale che sia passato da Forza Italia alla Lega. Anzi, ho avuto parlamentari leghisti che sono venuti a dirmi che se Forza Italia si trasforma sono pronti a venire con noi. Siamo una grande forza nazionale e abbiamo un forte radicamento al Sud. La Lega è soprattutto un partito del Nord». E Forza Italia come si trasformerà? «Noi vogliamo un’ Italia diversa e agli italiani intendiamo dare la possibilità di avere dei punti di riferimento con una forza politica rinnovata, moderna e ancora più democratica. Intendiamo allargare il nostro movimento alle liste civiche, facendole partecipare ai congressi che inizieranno alla fine dell’ anno in tutti i comuni e in tutte le province». Berlusconi ha parlato di «Altra Italia». Cosa sarà, un nuovo partito? «C’ è un grande spazio tra la Lega e il Pd e vogliamo offrire un approdo a quella grande fetta di elettori che rappresentano la maggioranza silenziosa del nostro Paese, a quegli italiani che respingono la violenza, che rifiutano le finte promesse, che non credono che la democrazia sia superata come dice Grillo, che non vogliono la chiusura dell’ Ilva, che non si oppongono alla Tav».

Le pizzerie del futuro

Il Mattino
Luciano Pignataro
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Il riscontro della seconda edizione di 50TopPizza, la guida on line delle pizzerie italiane, è stato enorme, dall’ Australia al Sud America, da New York a Tokyo, da Napoli alla sardegna, non c’ è media che non ne abbia parlato. La classifica più odiata dagli uffici stampa farlocchi, quelli che assicurano ingressi in guide specializzate e comprano like sui social ha dalla sua un segreto elementare che funziona: le visite in anonimato e paganti. E sappiamo come in un pizzeria fa molta differenza essere o meno riconosciuto, soprattutto quando per mangiare una pizza devi fare una fila di un’ ora. Circa cento ispettori sparsi in giro per l’ Italia votano, mangiano e pagano come clienti normali. Questo vuol dire che anche gli sponsor nulla possono e il loro interesse nel sostenere il progetto è soprattutto nella visibilità mondiale che ne ricavano più che fare il piccolo favore a un loro cliente. Dovrebbero essere queste le regole, ma purtroppo in Italia, complice la crisi dell’ editoria e la mancanza di creatività, si è andato progressivamente in una deriva nella quale chi scrive è sempre più vicino a chi viene valutato. Un pappa e ciccia che tiene in secondo piano il cliente finale e il lettore. Che proprio per questo si affida, per muoversi, ad altri strumenti come le recensioni du TripAdvisor e su Facebook. 50TopPizza è il tentativo, sinora riuscito, di ripristinare le regole base della critica enogastronomica perché ha proprio il lettore come interlocutore privilegiato. Questa impostazione da fastidio non solo agli uffici stampa farlocchi che curano i rapporti con associazioni ed editori invece di migliorare la comunicazione come scorciatoia verso il cliente, ma anche a chi, non essendo sicuro di se, pensa che premi e riconoscimenti vadano comprati direttamente o indirettamente attraverso i fornitori. E’ questa zona grigia che ha guardato con fastidio alle prime due edizioni di questa guida, su Facebook abbiamo letto cose veramente assurde, come la tifoseria scatenata di un pizzaiolo a cui l’ autorità sanitaria aveva chiuso la pizzeria perché non in regola (ma è bravissimo) o al pianto greco di chi, avendo perso qualche posizione si è disperato (allora la mia pizza non è buona). La verità è che chi ha perso qualche posizione farebbe bene ad andare a vedere le nuove aperture che ci sono state negli ultimi dodici mesi, a cominciare da quella di Martucci a Caserta. Ormai anche in questo mondo non si può stare fermi, non basta dire sono nato nell’ 800 per vantare diritti di primogenitura, il mondo va avanti. Lo stesso vincitore dello scorso anno, Franco Pepe, non è stato fermo: ha aperto una sala per pochi intimi come un tristellato, ha creato un menu funzionale alla dieta mediterranea, ha fatto formazione. Ecco perché, 50TopPizza, in soli due anni, è diventata allora la guida più credibile: fotografa la realtà in continua trasformazione senza paraocchi e pregiudizi.

Bonus pubblicità 2018, si inizia

Il Roma
CARMINE DAMIANO
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In Gazzetta Ufficiale n. 170 del 24 luglio 2018 è stato pubblicato il Decreto attuativo del Bonus pubblicità 2018, stabilendo le regole e beneficiari del credito d’ imposta, sugli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani, periodici e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali. Il Dpcm del 16.05.2018 n. 90, individua i beneficiari del credito d’ imposta: i soggetti titolari di reddito d’ impresa; i titolari di lavoro autonomo; gli enti non commerciali. Tale soggetti dovranno effettuare investimenti in campagne pubblicitarie, il cui valore complessivo superi di almeno l’ 1% gli investimenti nell’ anno precedente sugli stessi mezzi di informazione. il credito d’ imposta ottenuto è, utilizzabile esclusivamente in compensazione in F24,ed è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati, tale aliquota raggiunge il 90% per le microimprese, Pmi e start-up innovative. Il credito d’ imposta potrebbe essere inferiore a quello richiesto, se l’ ammontare complessivo dei crediti richiesti con le domande superi l’ ammontare delle risorse stanziate. Particolare attenzione va sugli investimenti agevolabili, ammissibili, e precisamente gli investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, effettuati dal 1° gennaio 2018, il cui valore superi di almeno l’ 1% gli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi di informazione nell’ anno precedente . Sono agevolabili anche gli investimenti pubblicitari incrementali sulla stampa quotidiana e periodica, anche on line, effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017, purché il loro valore superi almeno dell’ 1% l’ ammontare degli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi di informazione nel 2016. Sono escluse le spese sostenute per l’ acquisto di spazi nell’ ambito della programmazione o dei palinsesti editoriali per pubblicizzare o promuovere televendite di beni e servizi di qualunque tipologia nonchè quelle per la trasmissione o per l’ acquisto di spot radio e televisivi di inserzioni o spazi promozionali relativi a servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro, di messaggeria vocale o chat -line con servizi a sovraprezzo. Le spese di acquisto pubblicità sono ammissibili al netto – delle spese accessorie, dei costi di intermediazione, di ogni altra spesa diversa dall’ acquisto dello spazio pubblicitario, anche se ad esso funzionale o connesso. L’ accesso al credito d’ imposta, prevede per il periodo compreso dal 1° al 31 marzo di ciascun anno, istanza su apposita comunicazione telemati ca , solo per l’ anno in corso, la comunicazione telematica deve essere presentata a partire dal sessantesimo giorno ed entro il novantesimo giorno successivo al 24 luglio 2018 (data di pubblicazione del presente decreto, e quindi dal 22 settembre al 22 ottobre 2018). Il modello di comunicazione dovrà contenere: i dati identificativi dell’ azienda (o del lavoratore autonomo); il costo complessivo degli investimenti pubblicitari effettuati, o da effettuare, nel corso dell’ anno; ove gli investimenti riguardino sia la stampa che le emittenti radio -televisive, i costi andranno esposti distintamente per le due tipologia di media; il costo complessivo degli investimenti effettuati sugli analoghi media nell’ anno precedente; l’ indicazione dell’ incremento degli investimenti su ognuno dei due media, in percentuale ed in valore assoluto; l’ ammontare del credito d’ imposta richiesto per ognuno dei due media; dichiarazione sostitutiva di atto notorio concernente il possesso del requisito consistente nell’ assenza delle condizioni ostative ed interdittive previste dalle disposizioni antimafia ai fini della fruizione di contributi e finanziamenti pubblici. Tale contributo viene ben visto dagli operatori economici , in quanto risoleverebbe il mercato della pubblicità, in calo negli ultimi anni. cdamiano@damianoeassociati.it.

Berlusconi pronto allo «strappo» Salvini: se vota no si allea al Pd

Il Sole 24 Ore
Barbara Fiammeri
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Silvio Berlusconi si prepara a schierare Forza Italia contro la designazione alla presidenza della Rai di Marcello Foa, il candidato del suo “alleato” Matteo Salvini. Un no che – se confermato – rende impossibile il raggiungimento in commissione di Vigilanza del quorum di due terzi indispensabile per ratificare la scelta del presidente. La sfilza di dichiarazioni azzurre dettate alle agenzie ieri vanno tutte nella stessa direzione perché espressione della posizione decisa dal Cavaliere, che stavolta sembrerebbe intenzionato a mantenere il punto. Da Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera, a Giorgio Mulé, membro della commissione di vigilanza guidata dal forzista Alberto Barachini, nel mirino c’ è anzitutto il metodo, ovvero la decisione della maggioranza di imporre un nome senza confrontarsi con le opposizioni per un ruolo che è di garanzia, tant’ è che è necessario un voto a maggioranza qualificata. «Non servono prove muscolari», avverte Gelmini anticipando che Fi «nelle prossime ore» cercherà il confronto con tutte le forze politiche «per individuare una figura terza, di garanzia». Ancora più duro Mulè, che dei gruppi azzurri è il portavoce e che punta dritto sulla inadeguatezza della scelta fatta da Lega e 5 Stelle ricordando le «posizioni e i giudizi» di Foa anche «su importanti figure istituzionali», ovvero sul Capo dello Stato Sergio Mattarella. È quello che le altre opposizioni e in particolare il Pd attendevano di sentire, dopo aver sollecitato apertamente Forza Italia a prendere posizione. Nessuno in realtà è disposto a mettere la mano sul fuoco sullo strappo del Cavaliere. Anche perché non è da escludere (anzi è assai probabile)che di qui a mercoledì, prima cioè del verdetto della Vigilanza, Berlusconi e Salvini si sentano. La partita sulla Rai è appena cominciata e il piatto forte arriverà in autunno con la nomina dei direttori di Rete e dei Tg. Ma se così non fosse, se Berlusconi dovesse confermare il pollice verso, questo segnerebbe un chiaro cambio di passo nei rapporti tra Lega e Fi. Salvini lo ha già detto ai suoi: «Se Fi vota contro, quindi con il Pd, d’ ora in poi si alleerà con loro». L’ ex premier per ora non arretra. E va letta in questa chiave anche la decisione di Antonio Tajani, che oltre a essere presidente del Parlamento europeo è stato appena nominato da Berlusconi vicepresidente di Fi, di convocare per lunedì una conferenza stampa contro il dl dignità che, in quelle stesse ore, approderà nell’ aula di Montecitorio. Per parlare con i giornalisti però Tajani ha scelto una sede particolare: il Russott Hotel di Mestre, in Veneto, lontano dalla Capitale ma assai vicino ai malumori e preoccupazioni espressi apertamente dagli imprenditori del Nord Est sul Decreto e dallo stesso governatore leghista Luca Zaia.

«Parlare? Meglio di no» L’ Usigrai perde la voce

Il Tempo
GAETANO MINEO
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Non si placa la polemica sulle nomine della tv di Stato. D’ altronde, quello della Rai, è il «Cavallo» da sempre più ambito. Ad ogni cambio di inquilini di Palazzo Chigi, inizia la battaglia per scegliere i «cavalieri» più meritevoli. La chiamano lottizzazione. Di certo, dalla posa della prima pietra di Viale Mazzini è sempre stata la politica ad indicarne i vertici. Luigi Di Maio, che vuole chiudere il «poltronificio», per la nota legge del contrappasso, ora si trova nella stanza dei bottoni. Il vicepremier continua a sostenere, il «suo» candidato presidente Rai: «Marcello Foa è un giornalista con la schiena dritta». E proprio Foa è sommerso da un fuoco di fila che vede un inedito asse tra Forza Italia e Pd. Quiete, anche se apparente, regna invece attorno alla figura del designato ad, Fabrizio Salini. Il sindacato dei giornalisti Rai è sul piede di guerra sin dalle prime indiscrezioni sui nomi. Una guerra che ha portato lo stesso Usigrai a parlare di «una palese violazione della legge». Per il sindacato, «il governo non ha alcun titolo per indicare il Presidente della Rai». Insomma, all’ Usigrai non vanno giù le indicazioni dell’ esecutivo gialloverde. Abbiamo interpellato il sindacato dei giornalisti della tv di Stato. «Se il tema è quello delle nomine, lei capirà… non possi parlare» ci dice il presidente, Vittorio Di Trapani, trincerandosi dietro «una questione contingente». E proprio perché vogliamo capire chiediamo se può segnalarci un collega disponibile a dirci qualcosa. « Ano me dell’ Usigrai no. Noi abbiamo un unico segretario che è titolato ha esprimere la politica sindacale dell’ Usigrai e che sono io», taglia corto Di Trapani, ricordandoci che «ci sono mille e settecento giornalisti Rai con cui possiamo parlare». Ma come la politica, anche l’ Usigrai è spaccato sulle nomine. Giuseppe Malara ed Americo Mancini della componente «Pluralismo e Liberta»: «L’ esecutivo (Usigrai, ndr) dimentica di citare il comunicato ufficiale del Ministero dell’ Economia che parla, invece, di indicazione dell’ ad e di un consigliere, così come stabilisce la legge Renzi». La contesa per il «Cavallo» continua.

Giornali e Parlamento, gli obiettivi di Casaleggio

La Repubblica
ELEONORA CAPPELLI
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«Io le fake news le leggo sempre più spesso sui giornali e sui quotidiani di carta. Anche il Parlamento è una forma di gestione della democrazia che evolverà, come l’ informazione » . Con questa dichiarazione di guerra ai giornali, che va a braccetto con la messa in discussione delle Camere, Davide Casaleggio è sbarcato ieri sera a Cesenatico per la quarta tappa del City Lab Tour della sua associazione Rousseau, che gestisce la piattaforma del Movimento 5 Stelle. A chi gli chiedeva se l’ informazione su Internet aumenti il proliferare delle fake news, Casaleggio ha risposto che « si tratta solo di un punto di vista » , puntando invece il dito contro i giornali. Aggiungendo poi, intervistando il direttore del Tg de La 7, Enrico Mentana, che «fonti di informazioni importanti generano un impatto più problematico nel momento in cui si tratta di notizie false » . Ma Mentana ha respinto la tesi che le fake sia frutto del pagamento dei giornalisti. E quando il fondatore di Rousseau gli ha chiesto se fosse possibile arrivare a dare il premio Pulitzer a una macchina, il direttore del Tg La7 ha risposto: « Saremmo in una società post- umana». Informazione e democrazia diretta erano al centro della serata che ha ospitato anche Vito Crimi, sottosegretario con delega all’ editoria, che se l’ è presa di nuovo con gli editori, promettendo ancora la fine di finanziamenti che in realtà da tempo ormai quasi tutte le testate, a partire dalla più grandi, non prendono (eccetto i giornali di cooperative e fondazioni). E annunciando invece incentivi per l’ acquisto di abbonamenti digitali » . Prima di affrontare anche lui il tema delle fake news. « Quando parliamo di fake news, sottintendiamo che la rete fornisce informazioni false mentre i giornali quelle vere. Non è cosi – ha detto Crimi – Se noi reprimiamo la libertà di informazione, reprimendo le fake news, un giorno si potrebbero sanzionare le bugie che ci diciamo tra noi. Perché la rete è questo, una comunicazione tra le persone » . In altre parole – è la sorprendete tesi del sottosegretario – le fake news non possono essere represse. Nel grande mouse gonfiabile che ha ospitato la manifestazione culminata ieri sera nell’ intervista di Casaleggio a Mentana a proposito della sua nuova iniziativa di giornale on-line per i giovani, si respirava aria di rivoluzione. Anzi, di “evoluzione” come preferisce dire Casaleggio che profetizza anche la fine dei giornali di carta e torna a mettere in discussione le Camere. «Il Parlamento è una forma della democrazia che evolverà, oggi abbiamo molti nuovi strumenti per far partecipare le persone all’ esercizio democratico dei loro diritti – ha detto il figlio di Gianroberto, guru 5 Stelle – Bisogna capire come evolvere e come espandere l’ utilizzo di questi strumenti e permettere alle persone di interagire non solo con un voto ogni 5 anni».

Il Parlamento: tassare i social che diffondono le fake news

La Stampa
ALFONSO BIANCHI
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Le fake news non sono altro che disinformazione deliberata diffusa soprattutto attraverso i social media, che sta portando a una crisi democratica nel Regno Unito ma non solo. Mentre la premier Theresa May inizia le sue vacanze sul Garda, a Sirmione, una commissione parlamentare britannica pubblica oggi le conclusioni di un’ indagine dopo lo scandalo Cambridge Analytica. Il report è stato fatto trapelare dal leader della campagna Vote Leave, Dominic Cummings, accusato di aver ripetutamente rifiutato di fornire prove su potenziali abusi di dati durante il referendum sul divorzio dall’ Ue. Nelle conclusioni i deputati affermano che «la nostra democrazia è a rischio ed è il momento di agire» per combattere soprattutto «l’ incessante diffusione di visioni iperpartigiane, che giocano sulle paure e i pregiudizi delle persone, al fine di influenzare il loro voto e i loro comportamenti». Per il presidente della commissione, il conservatore Damian Collins, si tratta di «una crisi nella nostra democrazia – basata sulla manipolazione sistematica dei dati per sostenere una presa di mira incessante dei cittadini, senza il loro consenso, con campagne di disinformazione e messaggi di odio. Azioni nelle quali secondo quanto trapela , potrebbe avere avuto un ruolo la Russia per influenzare gli elettori sul referendum per la Brexit. I deputati puntano il dito soprattutto contro Facebook accusato di avere «gravi carenze» nel suo sistema di funzionamento che hanno facilitato la diffusione di disinformazione, in particolare in momenti delicati come le elezioni o il referendum sulla Brexit. Il report è chiaro nel denunciare il fatto che Facebook, Twitter, YouTube e tutti gli altri social network non possono continuare a nascondersi dietro il fatto di essere semplici piattaforme e non editori e devono assumersi la responsabilità del ruolo sempre più delicato che stanno svolgendo nel dibattito democratico. Il report arriva anche a mettere in discussione lo stesso concetto di fake news, una parola che viene usata «senza un’ idea chiara di cosa significhi, o definizione concordata», e così il termine «ha assunto una varietà di significati, compresa quella di una affermazione che non è gradita o condivisa dal lettore», hanno detto i parlamentari. I deputati propongono anche di rendere i social media legalmente responsabili di contenuti dannosi e illegali sulle loro piattaforme e di tassare queste società e usare i proventi di questa imposta per combattere le fake news.

Chi è Marcello il nuovo padrone della tv di Stato

Libero

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C’ è un diavolo che non avevamo mai scoperto, e che all’ improvviso è spuntato dagli inferi dove non si notava in mezzo agli altri. Ma ora è lì, tremendo con le sue corna, la coda a sputare fuoco e fiamme. Si chiama Marcello Foa e non appena Matteo Salvini & c hanno pensato a lui come possibile presidente della Rai il suo aspetto bestiale è stato sbattuto in faccia a tutti dagli unici che lo hanno intuito al volo: i vertici e i parlamentari del Pd. Da un 36 ore circa twittano ogni malefatta che avrebbe commesso quel diavolo del Foa: giornalista (quindi un po’ iena dattilografa per la sensibilità della sinistra), sovranista (che è dire mezzo fascista), spia di Vladimir Putin perché di tanto in tanto veniva intervistato dalla tv russa Russia Today (RT), mezzo grillino, no euro, no vax, insultatore di Sergio Mattarella, stupratore della lingua italiana per avere usato un’«h» a sproposito, sia pure per un paio di minuti (poi si è corretto da solo) e mille altre nefandezze. Posso confessare a Matteo Orfini, Matteo Renzi e alla schiera di manganellatori virtuali partita a un solo grido a dare giù botte al candidato presidente della Rai (capitanati dal nuovo Farinacci, Andrea Romano) di avere conosciuto e visto in faccia il diavolo. Leggevo Foa sul blog «Il cuore del mondo» che aveva e che tuttora ha su il Giornale, e mi è capitato di incontrarlo due estati fa a Polignano a mare dove entrambi eravamo stati chiamati a dibattere a una fiera culturale locale. BEN MIMETIZZATO Abbiamo passato qualche ora insieme a fare i turisti con mogli e i suoi figli cresciuti alla scuola francese: tutti deliziosi, curiosi di quel che andavamo a vedere, capaci di stare con gente conosciuta in quella mattinata, di ridere, di scherzare, di discutere anche di cose importanti del mondo con garbo e ascoltando tesi e persone diverse. Quella mattina sulla barca che faceva il giro turistico intorno alla costa salì anche Alessandro Di Battista, che aveva fatto una intervista in pubblico con me. I due si conobbero in quella occasione, e il diavolo naturalmente fece buona impressione sul leader grillino (fra vice Luciferi ci si intende al volo). Piccolo frammento di una lunga storia, perché se nessuno fin qui aveva notato corna e coda di Foa è perché in decenni si era mimetizzato benissimo. Primi passi in Svizzera, dove è cresciuto, alla Gazzetta Ticinese e al Giornale del Popolo. Poi nel 1989 per mimetizzarsi meglio si era fatto assumere dal Giornale di Indro Montanelli: lo aveva raccomandato un editorialista mezzo giornalista mezzo diplomatico israeliano, Vittorio Dan Segre, cofondatore di quel quotidiano scomparso qualche anno fa. Montanelli gli diede la qualifica di caposervizio e lo mandò a fare il vice agli Esteri. Quattro anni dopo lo avrebbe promosso caporedattore, lasciandolo agli Esteri. Ogni tanto Montanelli lo faceva scrivere di altro sulla prima pagina. Quando nel dicembre 1992 Foa mandò al suo direttore una lettera aperta sulla deriva del dipietrismo, il fondatore e direttore del Giornale la pubblicò in prima come editoriale e aggiunse in calce di suo pugno: «Questa lettera, caro Foa, potrei averla scritta io», che suonò come un rarissimo pubblico encomio di Montanelli. Al Giornale di proprietà di Silvio Berlusconi Foa restò fino al 2011, apprezzato da Vittorio Feltri come dai direttori che via via ne presero le redini: fu fatto perfino direttore del sito Internet. E anche quando quell’ anno tornò nella sua Svizzera italiana per assumere il comando editoriale e manageriale del gruppo che pubblica il Corriere del Ticino e controlla altri media fra cui una tv (TeleTicino) e una radio (Radio 3i), non riuscì a tagliare il cordone ombelicale con il Giornale, restando sempre a bordo con il suo apprezzato blog. DISCESA AGLI INFERI Poi certo negli ultimi anni ha partecipato a convegni e tavole rotonde trovandosi spesso in sintonia con altri diavolacci come Paolo Savona, il suo allievo Antonio Rinaldi, l’ imprenditore Arturo Artom, economisti come Claudio Borghi e Alberto Bagnai. Lì era chiaro che stava bazzicando l’ inferno ed è pure vera l’ accusa che gli fa indignato tutto il Pd: non ha mai condiviso l’ attuale architettura europea, né ha mai visto i grandi benefici arrivati all’ Italia con l’ adozione dell’ euro. Magari ha criticato Angela Merkel, in qualche occasione perfino il capo dello Stato, Sergio Mattarella, cosa che dovrebbe essere normale in un Paese libero, e non tabù come sostiene il Pd. E una decina di volte è stato intervistato come opinionista indipendente su questioni italiane ed internazionali da Russia Today, tv con cui si collegava ma da cui mai è contrattualmente dipeso. Mentre confondeva le acque a tutti ricevendo lo stipendio da Berlusconi, lodando sempre il suo mentore Montanelli, collaborando con la Bbc è riuscito pure a scrivere qualche saggio e romanzo assai apprezzato come Il ragazzo del Lago e Gli stregoni della notizia. Ma era solo un travestimento, ora finalmente smascherato dal Pd, che chiede a gran voce a Berlusconi di aprire gli occhi su quel Foa che è stato nella sua scuderia giornalistica per un ventennio…

L'articolo Rassegna Stampa del 29/07/2018 proviene da Editoria.tv.


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