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Rassegna Stampa del 01/07/2018

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Rai, Di Maio risponde a Grillo: “Privatizzare non è nel programma”

Mediaset vs. Europa 7: ultimo atto (con aiutino)

Rai, Di Maio sconfessa Grillo Ma ha le mani legate sulla nomina dei direttori

La Bbc chiede scusa a giornalista pagata meno degli uomini

Il Sole 24 ore Fossa si dimette in polemica con Confindustria

Rai, Di Maio risponde a Grillo: “Privatizzare non è nel programma”

Il Fatto Quotidiano

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Il vicepremier Luigi Di Maio prende le distanze dal cosiddetto “editto” sulla Rai del fondatore del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo, che due giorni fa aveva teorizzato la privatizzazione di due reti Rai e l’ idea di togliere la pubblicità dall’ unica rete superstite, parlando tramite un megafono da un balcone di un hotel a Roma senza mai mostrare il volto. “Era una vecchia proposta del Movimento Cinque Stelle inserita nel programma del 2009; ma nel contratto di governo, per ora, abbiamo inserito esclusivamente che non vada più lottizzata”, ha infatti sostenuto Di Maio a margine del Festival del Lavoro in corso a Milano. Il ministro ha poi aggiunto che con la nuova proposta anti-lottizzazione termineranno i tempi in cui si trovava lavoro in Rai solo sulla base di raccomandazioni politiche: “In Rai deve tornare un po’ di merito”. Insomma, l’ ennesimo proclama sul modello “fuori i partiti dalla Rai” : “So che è una grande sfida, ma è questa la vera sfida culturale. Se l’ industria culturale del nostro Paese ricomincia a fare cultura e non si mette a lavorare per i partiti allora quell’ azienda cambierà la cultura di tutto il Paese”.

Mediaset vs. Europa 7: ultimo atto (con aiutino)

Il Fatto Quotidiano
Ca. Te.
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Tra pareri, ricorsi e lungaggini varie, una dozzina d’ anni dopo, in settembre Francesco Di Stefano (Europa 7) assisterà all’ ultimo atto della sua battaglia legale per sottrarre frequenze televisive a Mediaset, occupate – dice l’ imprenditore di Europa Way col supporto di alcune sentenze – in maniera indebita. Il Consiglio di Stato deve recepire un dispositivo della Corte di Giustizia europea che può rimettere in discussione l’ assegnazione dei multiplex (pacchetti di frequenze) durante il passaggio di tecnologia dall’ analogico al digitale. Aspettando la decisione di palazzo Spada, interviene l’ Autorità di garanzia per le telecomunicazioni con una memoria di trenta pagine – inviata al Consiglio di Stato – in cui difende la situazione esistente e anche se stessa, poiché Agcom è coinvolta nella vicenda sin dal 2009. È proprio allora l’ Autorità che sceglie il criterio del beauty contest – una valutazione qualitativa e non una competizione per offerte economiche – per distribuire le frequenze ai nuovi entranti del mercato. Un paio di anni di confusione, poi il governo di Mario Monti organizza l’ asta al rialzo, ma partecipa soltanto Urbano Cairo. Per la Corte di Giustizia, il beauty contest era legittimo, ma il servizio pubblico Rai e la privata Mediaset col digitale terrestre hanno ottenuto molta più banda. Di Stefano chiede al Consiglio di Stato di annullare la vendita delle frequenze di troppo a Viale Mazzini e Cologno Monzese e di bloccare pure quella a Cairo, l’ editore di La7. Scrive l’ Autorità, che ricorda l’ imminente gara per la banda 700 con le televisioni lasciano “spazio” all’ internet mobile: “Una ipotetica pronuncia delle appellate sentenze, rischierebbe di travolgere l’ intero sistema attuale di attribuzione delle frequenze, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero anche in ordine alla successiva attività di ulteriore ri-pianificazione in corso di svolgimento; nonché di incidere sulle procedure per l’ assegnazione delle frequenze nella cosiddetta banda 700 mhz agli operatori di comunicazioni elettroniche, le cui regole sono state definite all’ Autortià con la delibera n.231 in attuazione della legge di bilancio 2018”. Agcom si rivolge al Consiglio di Stato che si ritrova a esaminare le richieste di Europa Way e anche di Persideria. Ormai settembre è vicino.

Rai, Di Maio sconfessa Grillo Ma ha le mani legate sulla nomina dei direttori

La Stampa
FABIO MARTINI
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L’ annuncio lo ha dato in modo paradossale e profetico, affacciandosi con un megafono da una finestra dell’ hotel Forum di Roma: due reti della Rai vanno vendute e una terza deve vivere senza pubblicità. Lo spettacolare annuncio di Beppe Grillo è stato seguito da una scia di commenti, tra il serio e il faceto, col sindacato nazionale dei giornalisti e quello dei giornalisti Rai, che ha accusato il “guru” di aver alzato una cortina fumogena, per nascondere le future lottizzazioni. Ma davvero Grillo vuole “coprire” gli appetiti dei suoi? Da qualche tempo, quando l’ attore genovese parla, non si capisce subito dove intenda andare a parare. L’ aspetto più rilevante delle sue ultime sparate – il sorteggio per i senatori e la trasformazione dell’ Ilva in un parco turistico – è l’ indifferenza con la quale sono state lasciate cadere dai suoi antichi “discepoli”. E anche stavolta è andata così. Per 24 ore il silenzio, poi ha detto la sua Luigi Di Maio: «Quella di Beppe Grillo era una vecchia proposta del Movimento. Per ora nel contratto di governo noi abbiamo inserito esclusivamente che la Rai non vada più lottizzata e quindi la smetteremo con persone di partito» in tutti i ruoli. Fine delle trasmissioni? Non proprio, perché il vero assillo che angustia i Cinque Stelle sulla Rai non è certo la privatizzazione, ma semmai un autentico paradosso: proprio ora che si avvicina il momento della “rivincita”, in vista del ricambio alla guida delle direzioni di Rete e dei Tg Luigi Di Maio ha scoperto di trovarsi quasi disarmato. Per effetto di una novità maturata negli ultimi mesi: dopo le “istruttorie” della Corte dei Conti e dell’ Autorità anti-corruzione è maturata, di fatto, l’ impossibilità di poter attingere, per il ruoli di direzione nelle Reti e nei Tg a professionisti che non siano negli organici Rai. Se i 5 Stelle avessero nel passato accarezzato l’ idea di portare alla guida del Tg1 giornalisti carismatici come Enrico Mentana o come Marco Travaglio, oramai ci hanno rinunciato. Con un’ aggravante, che è il vero problema: Di Maio (a differenza di Matteo Salvini) sa di non avere dentro l’ azienda manager o giornalisti in grado di assumere la direzione di Reti e Tg. Certo, per ruoli di rappresentanza non c’ è il “vincolo interno” e dunque per incarichi come la presidenza della Rai i nomi graditi ai Cinque Stelle non mancano, da Milena Gabbanelli a Carlo Freccero, sino all’ ex direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli. A parole Di Maio non fa che ripetere il suo mantra, dal «censimento dei raccomandati Rai» allo stop alle «lottizzazioni». Un approccio che il presidente della Camera Roberto Fico ha rilanciato: «Faccio un appello vigoroso a tutto l’ arco parlamentare: la politica resti fuori» dalle nomine. Le controprove sono vicine. Martedì 3 il primo assaggio: i partiti dovranno indicare i propri nomi per la Commissione parlamentare di Vigilanza, anche se la prima indicazione sulle intenzioni dei partiti di governo si avrà l’ 11 luglio, quando Camera e Senato dovranno “nominare” quattro membri del Cda, dopodiché toccherà al governo indicare altri due nomi. Per 5 Stelle e Lega occasioni per dimostrare coerenza nei propositi di discontinuità, anche se la prima, vera cartina di tornasole sarà rappresentata dalla nomina dell’ amministratore delegato, vero dominus aziendale dopo la riforma Renzi del 2015. In pole position Gianmarco Mazzi, socio di Lucio Presta, più volte direttore artistico del Festival di Sanremo e Fabio Vaccarono, country director di Google. In autunno la prova del nove quando il nuovo Ad procederà alla nomina dei direttori dei Tg e dei direttori di Rete. Al riguardo Matteo Salvini è stato lapidario: «I Tg Rai sono vecchi. In queste settimane sto vedendo un’ opera di disinformazione a reti quasi unificate». Il preludio all'”occupazione”, oltreché del Tg1 e del Tg2, anche del Tg3, da 30 anni “orientato” a sinistra? Per ora nulla è stato deciso. C’ è una sola certezza: a fine 2018 si esaurirà il “primo tempo” dei palinsesti decisi dalla “vecchia” Rai e dai primi mesi del 2019 inizierà la campagna elettorale per le Europee 2019. La “nuova” Rai dovrà essere pronta. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

La Bbc chiede scusa a giornalista pagata meno degli uomini

La Repubblica

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LONDRA, REGNO UNITO La Bbc si è scusata con Carrie Gracie, sua ex-corrispondente dalla Cina, per averla sottopagata rispetto a giornalisti uomini dello stesso ruolo e afferma di avere «rimesso le cose a posto» restituendole la differenza in arretrato. Gracie aveva dato le dimissioni in gennaio dai China Editor, capo dell’ ufficio di Pechino e dei programmi in cinese, per protesta contro la diseguaglianza di trattamento. «Sono contenta che la disputa sia stata risolta, è la dimostrazione che si possono fare progressi», commenta la giornalista. Gracie ha donato l’ intera somma ricevuta alla Fawcett Society, una associazione di beneficenza che porta il nome della fondatrice del movimento delle suffragette. – E. F.

Il Sole 24 ore Fossa si dimette in polemica con Confindustria

La Repubblica

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roma Non c’ è pace per Il Sole 24 Ore. Neanche tre settimane dopo le dimissioni dell’ ad Franco Moscetti, lascia anche il presidente dell’ editoriale, Giorgio Fossa. E lo fa in modo brusco con un comunicato secco in evidente polemica con l’ azionista Confindustria di cui peraltro è stato presidente: « In considerazione della situazione creatasi mi trovo costretto mio malgrado a rassegnare le dimissioni » . A questo punto entrambe le cariche di vertice devono essere rinnovate in fretta. Per l’ amministratore delegato il nome più accreditato è l’ attuale direttore generale dell’ Ansa Giuseppe Cerbone. Ad oggi in due anni si sono avvicendati al Sole ( sono calcoli del comitato di redazione) due ad, tre presidenti, 2 cfo, 2 capi del personale, due capi della pubblicità e altrettanti direttori. Il bilancio è tornato in nero: 7,5 milioni nel 2017 contro 92 milioni di perdite 2016, e 1,3 milioni di utili nel primo trimestre 2018 contro 25,6 di perdita dello stesso periodo del 2017. I ricavi sono diminuiti ulteriormente a non più di 229 milioni (erano 316 nel 2015): a motivo di questo, oltre al cattivo andamento pubblicitario, c’ è lo smobilizzo di importanti parti dell’ editoriale come la Business School, di cui è stato ceduto prima il 49 e recentemente un ulteriore 2% al fondo di diritto britannico Palamon Capital Partners. L’ editoriale dopo l’ aumento di capitale di fine 2017 ha avviato le procedure di uscita dalla lista delle società sottoposte al regime di sorveglianza rafforzata dalla Consob, per cui oltre alle normali comunicazioni sociali deve presentare un rendiconto mensile sullo stato del risanamento. Il quotidiano conserva il suo posizionamento nel panorama della stampa ma soffre anche per le conseguenze della bufera giudiziaria che vede indagati per false comunicazioni sociali (sopravvalutazioni delle copie digitali) l’ ex direttore Roberto Napoletano, l’ ex ad Donatella Treu e l’ ex presidente Benito Benedini. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

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