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Apple: il 12 settembre attesi 3 iPhone

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Dopo le indiscrezioni è arrivata la conferma ufficiale: Apple ha invitato la stampa a un evento in programma il 12 settembre nel quartier generale di Cupertino, in California. Come ogni fine estate, la compagnia presenterà i nuovi iPhone, che quest’anno dovrebbero essere tre e non due, insieme a un Apple Watch e agli auricolari senza fili AirPods.

L’attesa si concentra sui tre melafonini, che forse si chiameranno XS: due più costosi e uno che strizza l’occhio a chi vuole risparmiare un po’. Il Ceo Tim Cook dovrebbe mostrare due aggiornamenti dell’iPhone X, uno da 5,8 pollici e uno Plus da 6,5 pollici, che potrebbe avere un listino di 1.100 dollari.

Entrambi monteranno uno schermo Oled su cui, stando ai rumors, si potrà scrivere usando un pennino come già si fa sull’iPad con l’Apple Pencil. Il più grande potrebbe anche montare una tripla fotocamera, una caratteristica introdotta sul mercato dal rivale Huawei. La proposta più economica sarà invece uno smartphone con schermo Lcd da 6,1 pollici.

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Rassegna Stampa del 04/09/2018

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Indice Articoli

In arrivo 300 milioni per le imprese artistico-culturali

Hearst, Elle diventa settimanale

Mondadori France, Reworld presenta un’ offerta formale

Chessidice in viale dell’ Editoria

In arrivo 300 milioni per le imprese artistico-culturali

Il Sole 24 Ore
Laura Cavestri
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MILANO Un accordo di garanzia ad hoc di 300 milioni di euro per – si calcola – circa 3.500 Pmi italiane attive nel settore creativo e culturale. È il primo strumento per il settore creativo e culturale quello concordato e reso noto ieri da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e dal Fondo europeo per gli investimenti (Fei), istituto finanziario che fa parte del gruppo Banca Europea per gli Investimenti, (Bei). In pratica, attraverso lo EU’ s Cultural and Creative Sectors Guarantee Facility – che è parte del programma europeo “Europa Creativa” ed è gestito dalla Bei, le Pmi del settore potranno rivolgersi alla propria banca o al proprio Confidi (consorzio di garanzia collettiva dei fidi), per finanziare nuovi investimenti o per esigenze di capitale circolante. A loro volta, banche e Confidi chiederanno l’ intervento del Fondo italiano per le Pmi. L’ esito della domanda verrà reso noto entro una settimana lavorativa, con l’ obiettivo di sostenere aziende attive, ad esempio, nei campi di arte, cinema, TV, editoria e architettura. Per il Commissario Ue a Digital Economy & Society, Mariya Gabriel, «i settori creativo-culturali rappresentano un ponte tra l’ arte, il business e la tecnologia. Questo accordo di garanzia aiuta a colmare il financing gap che penalizza questi settori ed avrà importanti benefici sociali ed economici». «La nuova operazione – ha detto l’ amministratore delegato di CdP, Fabrizio Palermo – frutto della continua collaborazione fra Cdp e istituzioni nazionali ed europee, rappresenta un’ importante opportunità di crescita per un macro-settore imprenditoriale che a livello comunitario impiega oltre 7 milioni di persone e rappresenta oltre il 4% del Pil». Siamo lieti ha aggiunto Palermo, «di consentire all’ Italia di attrarre per la prima volta i fondi della Commissione europea che, attraverso il Fondo Pmi, consentono di facilitare l’ accesso al credito alle imprese dei settori culturali-creativi del nostro Paese». Mentre Bernardo Mattarella, amministratore delegato del Mediocredito Centrale – Banca del Mezzogiorno, gestore del Fondo di Garanzia per le Pmi, ha sottolineato come «l’ operazione rafforza, con l’ ampliamento delle risorse a disposizione, l’ operatività del Fondo Pmi, uno degli strumenti più efficaci per facilitare l’ accesso al credito delle piccole e medie imprese del nostro Paese». Nei prossimi sei mesi si stima che circa 900 imprese potranno accedere ai finanziamenti garantiti. Secondo i dati forniti dallo stesso Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, complessivamente e per tutti i settori economici, dall’ inizio dell’ anno, il fondo ha accolto 67.335 domande per un totale di oltre 9,8 miliardi di euro di finanziamenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Hearst, Elle diventa settimanale

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI MARCO A. CAPISANI
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Hearst Magazines Italia riposiziona Elle e lo trasforma in magazine settimanale da mensile che è stato finora. Il suo primo numero con la nuova periodicità uscirà a inizio novembre, mentre dal 16 ottobre sarà in edicola per l’ ultima volta nelle vesti di mensile. Alla direzione del nuovo Elle arriva da Gioia Maria Elena Viola (come anticipato da ItaliaOggi del 31/8/2018). A proposito di Gioia, la redazione sia dell’ edizione cartacea sia di quella online di base in Svizzera confluisce nell’ organico di Elle mentre la testata Gioia cesserà le pubblicazioni con l’ uscita di fine ottobre. In tutto, Elle avrà a disposizione in Italia 63 risorse tra giornalisti e personale amministrativo. Non si creano esuberi dall’ operazione, secondo la casa editrice Hearst Magazines Italia guidata dall’ a.d. Giacomo Moletto (che pubblica anche periodici come Marie Claire e Gente). Invece il riposizionamento in chiave settimanale per Elle (anche l’ edizione francese originale ha cadenza settimanale, a differenza delle altre uscite internazionali con periodicità mensile) nasce «perché siamo fortemente convinti che con qualità dei contenuti, coerenza di posizionamento fra print, digital e social e un brand internazionale così forte, si possano appassionare le lettrici, fornire un media efficace ai clienti pubblicitari e far crescere i fatturati. Cadenza e contenuti di un settimanale moda, e del suo sito, consentono più potenziale di crescita rispetto a un mensile», ha dichiarato ieri con una nota Moletto, che riveste la carica formale di ceo di Hearst Italia e per la Western Europe. Non a caso, la testata Elle di proprietà di Lagardère è rimasta nel portafoglio dei francesi, anche dopo l’ uscita sostanziale del gruppo dal comparto editoriale preferendo mantenere in portafoglio solo pochi magazine (Elle nasce in Francia nel 1945, in Italia arriva nel 1987 e oggi genera ricavi da 45 edizioni totali sparse in 43 paesi). Adesso resta da capire se e come reagiranno nella Penisola i settimanali concorrenti a partire da Vanity Fair di Condé Nast Italia oppure la mondadoriana Grazia. Secondo gli ultimi dati Ads, relativi al mese di maggio per i settimanali, Gioia diffonde complessivamente 165,3 mila copie carta+digitale mentre, a giugno per i mensili, Elle è arrivata a sfiorare quota 173 mila copie carta+digitale totali. A completare la squadra a sostegno del neo direttore Viola c’ è Antonella Antonelli, creative director di Elle, con il compito di guidare l’ immagine e il posizionamento moda. Antonelli mantiene anche la carica di fashion vice president at large di Hearst Italia (in precedenza è stata anche direttore di Marie Claire, oggi affidato ad Antonella Bussi). Invece Elena Mantaut è vice direttore vicario attualità mentre Benedetta Dell’ Orto è vice direttore vicario moda (era capo redattore centrale moda di Elle) e Alberto Zanoletti è vice direttore moda. Da Gioia arrivano Claudia Valeriani e Michela Gattermayer, entrambe vicedirettori centrali. La grafica del nuovo Elle è firmata Pilar Ibanez, art consultant che aveva già seguito il progetto di restyling di Gioia. Infine la redazione di www.elle.it è sotto la guida di Paola di Marcantonio, digital managing editor, assieme a Barbara Digiglio, deputy digital managing editor. © Riproduzione riservata.

Mondadori France, Reworld presenta un’ offerta formale

Italia Oggi

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Chi la dura la vince e i francesi di Reworld Media, adesso, hanno presentato un’ offerta formale per Mondadori France e sono finalmente in pole position per acquisire la filiale transalpina del gruppo editoriale di Segrate. Inizialmente l’ idea della Mondadori guidata dall’ a.d. Ernesto Mauri era creare un’ unica società assieme a Lagardère (poi uscito dall’ editoria) e il gruppo Marie Claire. Quindi, sfumata a inizio marzo l’ ipotesi, è rimasta in gara solo Reworld che edita testate come Marie France, Auto Moto e Télé France (vedere ItaliaOggi del 25/4/2018). Adesso, secondo indiscrezioni di stampa transalpine, il gruppo guidato da Pascal Chevalier è tornato all’ attacco e ha presentato un’ offerta da 70-80 milioni di euro, cui vanno però detratti debiti e alcuni costi del personale per un totale effettivamente da versare sui 50 milioni di euro. Le richieste di Mondadori France sono partite in un primo tempo da 80 milioni. Una risposta è attesa a breve, nelle prossime settimane. In parallelo, sempre secondo indiscrezioni di stampa estere, c’ è l’ ipotesi che gli italiani diventino azionisti di minoranza di Reworld, dietro al fondatore col 30% (un altro 30% totale è in mano al fondo di private equity Idinvest e al fondo Hera di Singapore). Nella partita è entrata infine anche Czech Media Invest, gruppo che ha già acquisito i periodici ex Lagardère. Ma al momento non risultato passi formali in avanti da parte del suo patron Daniel Kretinsky. Oggi Mondadori France è il terzo editore Oltralpe, muove un business complessivo da 312,6 milioni di euro e manda in edicola periodici come Grazia Francia, Closer e Télé Star.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Milena Gabanelli debutta al Tg La7. Milena Gabanelli entra a far parte della squadra del tg di La7. Per la giornalista, che ha debuttato ieri al Tg La7 diretto da Enrico Mentana, è previsto uno spazio fisso ogni lunedì dedicato alla sua rubrica Dataroom, online anche sul sito del Corriere della Sera. La Civiltà Cattolica, torna padre Lombardi. Padre Federico Lombardi, ex portavoce della Santa Sede, torna a scrivere per La Civiltà Cattolica. «Ho la gioia di comunicare che è stato destinato a La Civiltà Cattolica padre Federico Lombardi, che tutti ben conoscete», ha scritto in un tweet il direttore Antonio Spadaro. «Sarà superiore della comunità dei gesuiti e collaborerà alla missione della rivista per la quale ha lavorato dal 73 all’ 84». A Frigato la finanza di Giglio Group. Il cda di Giglio Group, azienda quotata sul mercato Star di Borsa Italiana e attiva nell’ ambito dei media e della televisione., ha nominato Carlo Frigato, già consigliere della società, quale nuovo chief financial officer e investor relator del gruppo e nello svolgimento del nuovo ruolo risponderà direttamente all’ amministratore delegato. Massimo Mancini, attuale direttore generale del gruppo, è stato invece nominato nuovo dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili. Tutti Pazzi per Rds riparte con il conduttore Marco «Baz» Bazzoni. Da ieri Marco «Baz» Bazzoni si è unito a Rossella Brescia e al pioniere degli scherzi radiofonici Giacomo «Ciccio» Valenti nella conduzione dello show radiofonico mattutino Tutti Pazzi per Rds. Monologhista, imitatore, caratterista e cantante, Bazzoni è arrivato alla ribalta tv grazie ai personaggi superBAZ – il lettore multimediale – il cantante Gianni Cyano e a monologhi di satira di costume e vanta oltre 2.500 spettacoli e live. «Tutti Pazzi per Rds è un format consolidato che ha sviluppato un’ alchimia esclusiva con i suoi ascoltatori, basata su una conduzione leggera, positiva, simpatica e con personalità», ha dichiarato Alessandro Montefusco, station manager di Rds. «L’ ingresso di Baz, talento comico e poliedrico, permette di esplorare nuove forme di coinvolgimento degli ascoltatori sia on air sia sui canali social per continuare a far evolvere il format ed innovare». Romolo + Giuly, al via la campagna. Con affissioni, tv, web, stampa e radio prende il via la campagna per il lancio di Romolo + Giuly. La guerra mondiale italiana, la nuova serie comedy prodotta da Wildside e Zero Six Productions per Fox Networks Group Italy in onda in prima visione assoluta dal 17 settembre ogni lunedì alle 21.15 su Fox (canale 112 di Sky). La serie tv racconta la travagliata storia d’ amore tra Romolo (Alessandro D’ Ambrosi, Un medico in famiglia) e Giuly (Beatrice Arnera, Addio fottuti musi verdi, Un passo dal cielo 4), i giovani eredi dei Montacchi e dei Copulati, le due più potenti famiglie della Capitale che, come nella matrice shakespeariana di Romeo e Giulietta, fa riesplodere il conflitto tra l’ opulenta Roma Nord e la verace Roma Sud. Ma se Roma è in lotta, il resto d’ Italia non rimane a guardare e una terribile e sotterranea minaccia incombe sulla Capitale. Napoli e Milano – capitanate rispettivamente Don Alfonso (Fortunato Cerlino, Gomorra) e da Giorgio Mastrota (nei panni di se stesso) – unite dall’ odio per Roma si coalizzano nella più insospettabile delle alleanze. Nel cast anche Michela Andreozzi, Massimo Ciavarro, Francesco Pannofino e Umberto Smaila.

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Rassegna Stampa del 05/09/2018

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Indice Articoli

«Il Giornale» in sciopero

Perché la Silicon Valley dovrebbe avere un quotidiano

Mediaset torna sulla pay tv Sky Canale 5 da oggi è al tasto 105

Asse con Berlusconi: Sky si riprende i canali Mediaset

Sciopero, la prima volta del Giornale

Best Brands, fari puntati sui consumatori over 60

IN BREVE

Le reti Mediaset tornano visibili sulla piattaforma di Sky

chessidice in viale dell’ editoria

Rai, la Lega torna in pressing per Foa e Berlusconi tratta

E in Francia Iliad diventa vittima proprio del low cost

Tv Da oggi Canale 5 torna sul canale 105 di Sky

Guerre dimenticate tragedie rimosse la grande missione del fotogiornalismo

Nella sezione dedicata alla “Daily Press” “Repubblica” partecipa con gli scatti di Majorana

Rai, la Lega preme su Forza Italia “Il presidente deve essere Foa”

Tim, il titolo crolla ai minimi da 5 anni Vendono i fondi Usa

Canale 5 torna su Sky Presto in arrivo anche Italia 1 e Rete 4

Accordo Mediaset-Sky: da oggi Canale 5 torna a vedersi anche sul satellite

«Il Giornale» in sciopero

Corriere della Sera

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«L’ assemblea di redazione del Giornale ha deciso all’ unanimità di scendere in sciopero contro i tagli annunciati dalla società editrice». Il quotidiano fondato da Indro Montanelli oggi quindi non è in edicola. L’ assemblea ha dato mandato per altri 2 giorni di sciopero, se necessari.

Perché la Silicon Valley dovrebbe avere un quotidiano

Corriere della Sera
MASSIMO SIDERI
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La Silicon Valley non ha un grande quotidiano. Ma forse ne avrebbe bisogno. Atterrare a San Francisco è un po’ come arrivare a Tokyo: c’ è sempre qualcosa di nuovo e non sai mai cosa ti aspetta. In questi giorni, per esempio, la nuova moda è muoversi con i monopattini della start up Skip il cui fondatore ha accusato Uber di voler uccidere l’ innovazione nella mobilità. Ne è nato un dibattito di cui si sta occupando il Financial Times. Il San Francisco Chronicle è rimasto un tipico giornale di cronaca: ieri i titoli erano sullo shock subito dal giocatore di Football americano Mack venduto dai Raiders ai Bears, sul perché la Apple permetta i furti negli store visto che potrebbe bloccare a distanza iPhone e iMac rubati e sui rischi per i ciclisti a Mount Diablo. È perlomeno curioso che una grande e ricca città piena di magnati non abbia un grande giornale come accade a Los Angeles, New York e Washington. Peraltro la stessa anomalia si riscontra anche a Seattle, città dove hanno sede società come Amazon, Boeing e Microsoft. Le condizioni ci sarebbero state: il primo milionario di San Francisco che fece i soldi vendendo pale e attrezzi per il setaccio durante la corsa all’ oro del 1849 era un editore e per alimentare i suoi affari faceva pubblicare articoli e storie su chi trovava delle petite. Si potrebbe obiettare che l’ approccio del quotidiano è superato e che una grande città con interessi miliardari come quelli di Google, Apple e Facebook, e una capacità di influenzare il mondo trova il suo naturale luogo di confronto in Rete. In effetti qui è nato ReCode, giornale online specializzato nella Silicon Valley. Ma anche la sua fondatrice Kara Swisher quando in questi giorni ha voluto aprire il dibattito sul fatto che stiamo pagando a caro prezzo il ritardo nell’ educazione sentimentale di Mark Zuckerberg nei confronti delle responsabilità sociale lo ha fatto pubblicando un articolo sul New York Times. Anche lei dunque sente in qualche maniera la mancanza di un grande quotidiano nella sua città, un giornale che con tutti i difetti del mondo tenti di svolgere il ruolo di cane da guardia. Venire criticati non fa piacere ma aiuta a crescere. Ed è forse per questo che a Zuckerberg & Co manca una cosa: un grande giornale con le spalle per farsi sentire nei dibattiti. Sarebbero loro i primi a beneficiarne.

Mediaset torna sulla pay tv Sky Canale 5 da oggi è al tasto 105

Corriere della Sera
Renato Franco
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Il disgelo tra Mediaset e Sky era già in atto. Lo scorso marzo era stato firmato l’ accordo grazie al quale i canali di Premium (5 di cinema e 4 di serie tv) sono diventati visibili via satellite anche a tutti gli abbonati Sky. Ora un’ altra stretta di mano. Da oggi Canale 5 torna al tasto 105 del telecomando Sky, mentre entro fine settembre Rete4 e Italia 1 si rimpossesseranno del 104 e del 106. Sono passati tre anni da quando Mediaset decise di criptare i suoi canali generalisti, una decisione che aveva un banale risvolto economico: la tv di Pier Silvio Berlusconi voleva farsi pagare da Sky il diritto di ritrasmissione per rendere disponibili i suoi canali sulla piattaforma della pay tv. Ora, anche se non sono stati resi noti i termini economici dell’ accordo, si torna al passato e a beneficiarne è lo spettatore. A inaugurare la prima serata «in chiaro» sul satellite di Canale 5 è l’ ultima puntata della miniserie Guerra e pace, mentre nei prossimi giorni ci saranno le partite della Nations League di calcio (domani Germania-Francia).

Asse con Berlusconi: Sky si riprende i canali Mediaset

Il Fatto Quotidiano

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Prosegueil rapporto di amori sensi tra gli ex nemici di Sky Italia e di Mediaset. Dopo l’ accordo sulla televisione a pagamento, che di fatto ha rottamato Premium (che non ha neanche più le partite del campionato se non attraverso Dazn), ecco che i canali generalisti del Biscione ritornano sulla piattaforma del gruppo della famiglia Murdoch: “Da domani (oggi, ndr), mercoledì 5 settembre, Canale 5 ritorna al numero 105 del telecomando Sky, anche in HD . Questo ritorno dà inizio a una fase di test che consentirà da subito di trovare anche al 105 del telecomando Sky la nuova stagione della principale rete di Mediaset a cominciare dai grandi match internazionali della Nations League in esclusiva su Canale 5 (Germania-Francia giovedì 6 settembre, Inghilterra-Spagna sabato 8 settembre, Francia-Olanda domenica 9 settembre, Spagna-Croazia martedì 11 settembre)”. In questo modo, chi guarda Mediaset con la parabola o il decoder Sky potrà guardare le partite delle nazionali (non dell’ Italia che va su Rai1). Un’ altra brutta notizia per il servizio pubblico.

Sciopero, la prima volta del Giornale

Il Fatto Quotidiano
Salvatore Cannavò
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Sciopero a Il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi. Non era mai accaduto prima, si tratta di una prima assoluta che porta la crisi in casa Berlusconi, là dove ci si è sempre vantati di avere il sole in tasca e risolvere il problemi con un sorriso. Oppure cacciando il direttore renitente. Stavolta sembra che la crisi sia lasciata a sé stessa, spia di una difficoltà strutturale della stessa Forza Italia che sulla forza del quotidiano si era finora appoggiata . Il comunicato del Cdr è sintetico quanto determinato: “L’ assemblea di redazione del Giornale ha deciso all’ unanimità di scendere in sciopero contro il piano di tagli annunciato oggi dalla società editrice. Domani (oggi, ndr) il quotidiano fondato da Indro Montanelli non sarà in edicola”. Le ragioni dello sciopero dipendono direttamente dalla durezza delle decisioni aziendali. Come sottolinea il Cdr, “l’ utilizzo dello strumento dei contratti di solidarietà, nella misura annunciata, è di una entità senza precedenti e incompatibile con la qualità del quotidiano. Lo sciopero immediato è una decisione sofferta ma inevitabile davanti a un’ azienda che non propone alcun piano di rilancio editoriale ma scarica sulle spalle dei redattori, cui vengono prospettati sacrifici intollerabili, il peso di una crisi che riguarda l’ intero settore dell’ editoria”. L’ ipotesi del ricorso ai contratti di solidarietà si porta dietro un taglio degli stipendi che in redazione è stato quantificato nel 30% circa. Da qui la decisione di scioperare presa all’ unanimità, anche questa una situazione eccezionale. “A mesi di richieste di chiarimenti sullo stato dei conti e sulle prospettive di rilancio si è risposto con dichiarazioni tranquillizzanti, clamorosamente smentite dall’ annuncio odierno”, spiega il Cdr, e dunque “i giornalisti del Giornale sono pronti a fare la loro parte, ma certamente non nella misura abnorme ipotizzata dall’ azienda. In redazione si respira un clima molto preoccupato. Della comunicazione aziendale si è capito infatti che il numero magico, 30%, comporta una riduzione netta della retribuzione e si è capito anche, spiegano alcuni giornalisti, che stavolta non c’ è nessun piano editoriale che affianchi i tagli di bilancio. “Se una volta, quando c’ era un problema, l’ azienda faceva di tutto per ricucire e trovare una soluzione – spiegano -, stavolta non c’ è nessun intervento”. La situazione è ancora più preoccupante data la fragilità in cui versa Forza Italia: “Se a fronte di un partito che si trova in una situazione particolare non si fa nulla per il quotidiano, vuol dire che si è perso l’ interesse”.. L’ assemblea ha dato mandato al Cdr per la prosecuzione della trattativa decidendo fin d’ ora, se necessarie, altre due giornate di sciopero. A fianco del Giornale ni sciopero si sono schierate la Federazione nazionale della Stampa , l’ Associazione Lombarda dei Giornalisti e l’ Associazione Stampa Romana.

Best Brands, fari puntati sui consumatori over 60

Il Sole 24 Ore

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Fari puntati sui consumatori over 60 nell’ edizione 2018 di Best Brands Italia, il ranking delle marche più amate dagli italiani. Giunta alla quarta edizione, l’ indagine anche quest’ anno rivelerà le classifiche dei brand in tre categorie principali: best corporate brand, best product brand e best growth brand, a cui si aggiungerà, appunto, quella delle marche preferite dai cosiddetti “golden agers”. Un focus che fa da contraltare a quello dello scorso anno dedicato ai millennials e che assume rilievo particolare in un paese dove la popolazione sopra i sessant’ anni supera il 28 per cento e rappresenta la fascia di maggior reddito, con una vita sociale molto attiva e una capacità consistente di connessione anche con i mezzi digitali. Tra le caratteristiche di queste speciali classifiche sui brand quella di non basarsi sul giudizio di una giuria, ma sull’ analisi di dati economici incrociati con una ricerca di mercato effettuata da Gfk su un panel di 4.500 individui, consentendo così una lettura molto ampia sullo stato di salute delle marche anche in chiave dinamica. L’ indagine, i cui risultati verranno resi noti il 14 novembre, è promossa da Gfk e Serviceplan con il supporto di Rai Pubblicità, Il Sole 24 Ore, Igp Decaux, Adc Group e con il patrocinio dell’ Upa.

IN BREVE

Il Sole 24 Ore

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in edicola Visioni artistiche raccontate da IL Le arti visive protagoniste del numero in edicola oggi di IL. Il fotografo catalano Joan Fontcuberta, l’ archistar giapponese Tadao Ando e il regista tedesco Wim Wenders hanno raccontato al maschile de Il Sole 24 Ore la loro percezione della realtà. La riflessività irriverente del fotografo che dagli anni 80 continua a stupire con giochi di prestigio visuali, accanto alle riflessioni del maestro Wim Wenders sul ruolo del cinema nell’ era del populismo, fino al pensiero creativo sul bianco in architettura di Tadao Ando. TV Accordo per i canali Mediaset su Sky Tutta la nuova stagione di canale 5 disponibile anche su Sky, a cominciare dai match internazionali della Nations League in onda nei prossimi giorni in esclusiva sulla rete ammiraglia di Mediaset. L’ accordo rappresenta un primo passo per portare a breve tutti gli altri canali gratuiti del Gruppo sulla piattaforma Sky. MOBILITÀ Gli scooter elettrici di Mimoto a Torino Arrivano anche a Torino, dopo Milano, gli scooter elettrici di Mimoto, la start up che offre le moto, realizzate dalla vicentina Askoll, in sharing. Il capoluogo piemontese avrà una flotta di 150 mezzi con una autonomia fino a 55 chilometri e tre modalità di guida.

Le reti Mediaset tornano visibili sulla piattaforma di Sky

Italia Oggi

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Mediaset torna sulla piattaforma di Sky. Da oggi infatti Canale 5 sarà visibile anche alla posizione 105 del telecomando Sky in modalità HD. La nuova stagione della rete ammiraglia Mediaset sarà così disponibile anche sulla pay tv satellitare, a cominciare dai match internazionali della Nations League di calcio in onda nei prossimi giorni in esclusiva su Canale 5 (Germania-Francia domani, Inghilterra-Spagna sabato 8 settembre, Francia-Olanda domenica 9 settembre, Spagna-Croazia, martedì 11 settembre). «Si tratta di un primo passo che si estenderà a breve a tutti gli altri canali gratuiti Mediaset, generalisti e tematici», ha sottolineato in una nota l’ azienda guidata dal vicepresidente e a.d. Pier Silvio Berlusconi. «Prosegue dunque la strategia Mediaset di portare i propri canali su tutte le piattaforme free e pay: digitale terrestre, satellite e streaming online. Un’ estensione continua che comporta due importanti risultati: da un lato garantire al pubblico la visione delle reti Mediaset su qualsiasi device, dall’ altro accrescere in modo adeguato la forza, la qualità e il valore dei palinsesti e dei contenuti Mediaset».

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Il Giornale oggi in sciopero. È la prima volta che il quotidiano diretto oggi da Alessandro Sallusti ed edito dalla famiglia di Paolo Berlusconi non arriva in edicola a causa di uno sciopero dei giornalisti (oltre 70 in organico). E non è detto che oggi sia l’ unica giornata di astensione dal lavoro visto che la redazione ha votato un pacchetto complessivo di 3 giorni di sciopero. Motivo della protesta: la richiesta aziendale di aprire un regime di solidarietà con decurtazione degli stipendi intorno al 30%, per un controvalore di circa 5 milioni di euro (il costo redazionale si aggira sui 15 milioni). Wpp, nel semestre l’ utile sale a 746,7 mln. Wpp ha chiuso il primo semestre con un utile di 672,4 milioni di sterline (746,7 milioni di euro), in crescita del 12,8%. A trainare il risultato del colosso mondiale della pubblicità e del marketing guidato dal nuovo ceo Mark Read è stata la vendita della società informatica Globant. L’ effetto cambi ha penalizzato invece i ricavi, in diminuzione del 2,1% a 7,5 miliardi di sterline (8,3 miliardi di euro). A cambi costanti i ricavi sono aumentati del 2,9% e a perimetro costante sono saliti dell’ 1,6%. Borrometi nella squadra di Tv2000. Paolo Borrometi, giornalista siciliano sotto scorta per le sue inchieste antimafia, è stato assunto con contratto giornalistico da Tv2000 a partire dal 1° settembre 2018. Per l’ emittente della Cei realizzerà servizi e inchieste su infiltrazioni mafiose nel territorio e storie positive, di riscatto dai lacci della criminalità e di solidarietà. Fca, Cristiano Fiorio brand marketing communication manager per l’ area Emea. È una delle prime ma non sporadiche nomine eseguite dal nuovo ceo Mike Manley, quella di Cristiano Fiorio a brand marketing communication manager per l’ area Emea del gruppo Fca. Figlio di Cesare, ex team manager del team Ferrari di F1, Cristiano Florio ricopriva ad interim il ruolo di responsabile marketing dei vari marchi del gruppo in Europa, ora invece coordinerà tutte le attività. Domus, due partnership in tributo al fondatore Gio Ponti. Proseguono le iniziative speciali realizzate da Domus per i suoi 90 anni: Domus ha scelto di sostenere, in qualità di partner culturale, il progetto «The Automobile by Ponti» presentato ieri in anteprima mondiale a Grand Basel, che vede realizzata, 65 anni dopo i primi disegni e per la prima volta a grandezza naturale, l’ auto che Ponti concepì nel 1953. Inoltre, Domus sarà media partner della retrospettiva «Tutto Ponti, Gio Ponti archi-designer» in programma al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Le nozze dei Ferragnaz sbancano Instagram. Il matrimonio tra l’ influencer Chiara Ferragni e il rapper Federico Lucia, alias Fedez, celebrato sabato scorso a Noto, in Sicilia ha sbancato su Instagram. Il #TheFerragnez Wedding, ha visto coinvolti più di 30 mila autori unici su tutto il web, i quali hanno prodotto complessivamente oltre 117 mila post targati #TheFerragnez nei tre giorni di celebrazione (dal 31 agosto al 2 settembre). In termini di engagement, 34 milioni le interazioni registrate nel periodo di riferimento, di cui il 96%, pari a oltre 32 mln, proveniente dal solo Instagram. Per quanto riguarda i brand coinvolti, Dior che ha vestito la sposa ha totalizzato su Instagram 2 milioni di interazioni nel solo weekend delle nozze, mentre Alberta Ferretti, che ha firmato i vestiti delle damigelle d’ onore, ne ha raccolte 500 mila. Altri marchi super citati sono stati Versace e Diesel, che hanno vestito lo sposo, Prada, Lancôme, Trudi e la compagnia di bandiera Alitalia, che ha riservato un volo di linea, con tanto di gate targato The Ferragnez, ai soli invitati all’ evento.

Rai, la Lega torna in pressing per Foa e Berlusconi tratta

La Repubblica
GIOVANNA VITALE
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, ROMA Ha sbagliato i calcoli chi pensava che la pausa estiva avrebbe fatto deflettere Matteo Salvini sulla Rai. Neppure la bocciatura in Vigilanza del suo candidato alla presidenza per mano degli (ex?) alleati di Forza Italia lo ha ridotto a più miti consigli. «Su Foa non ho assolutamente cambiato idea», ribadisce il vicepremier leghista nel tardo pomeriggio a Montecitorio, dove fa capolino a sorpresa dopo la riunione sulla Libia a Palazzo Chigi. Una baldanza che somiglia molto a una blindatura senza condizioni. «Berlusconi? Non l’ ho sentito e non lo sentirò su questo», taglia corto il ministro dell’ Interno, convinto oggi come ieri che sul nome del giornalista sovranista alla fine gli azzurri saranno costretti a cedere. E non solo per via dell’ ormai conclamata superiorità del Carroccio nei sondaggi, che le urne potrebbero consacrare alle prossime elezioni, regionali prima ed europee poi. Non è allora un caso se ieri, dopo il veloce scambio di battute che Antonio Tajani e Maurizio Gasparri hanno avuto lunedì sera con Salvini a Viterbo, a margine delle celebrazioni per la Festa di Santa Rosa, il vicepresidente azzurro e Gianni Letta si siano precipitati ad Arcore per il primo summit con il Cavaliere dopo le vacanze. Una lunga riunione per fare il punto della situazione, affrontare i nodi del difficile rapporto coi leghisti e disegnare la strategia più efficace per far uscire il partito dall’ angolo. Durante il quale Berlusconi ha dato mandato esplicito a Tajani di trattare con il ministro dell’ Interno, a iniziare proprio dalla Rai. Sulla quale però sia il presidente del Parlamento Ue, sia Letta – forti degli umori raccolti nella truppa parlamentare – sarebbero per tenere la linea dura. Non cedere al diktat su Foa. Persuasi che sia l’ unica arma per invogliare il segretario del Carroccio a sedersi al tavolo con Forza Italia e costringerlo a fare un ragionamento più ampio sul futuro della coalizione. «È arrivato il momento che Matteo ci dica qual è per lui la prospettiva», rivela uno dei partecipanti al vertice di Villa San Martino: «Se intende persistere nel disegno egemonico del partito unico, con chi vuole allearsi alle prossime Europee, quali istanze sosterrà nella manovra economica. Poi è chiaro che, all’ interno di queste riflessioni, rientrerà pure la presidenza Rai». Lo dice ancora più chiaro Gasparri: «Noi restiamo fermi sul no. Se poi però si apre una discussione nel merito dei rapporti tra Fi e Lega, allora si può parlare anche di Foa». Tutti temi – compresa la partita sulla scelta dei candidati governatori in Basilicata, Abruzzo, Trentino, Calabria e Sardegna – che Berlusconi e Salvini affronteranno comunque faccia a faccia: nel corso di un incontro («Non ancora in programma», tenta il depistaggio il leghista) da tenersi tra questo weekend e l’ inizio della prossima settimana. E non è neanche l’ unica grana della ripresa per il Cavaliere. Un’ altra, bella grossa, riguarda il “Giornale” di famiglia, atteso oggi al primo sciopero della sua storia, proclamato all’ unanimità contro i tagli imposti alla redazione. Una manovra lacrime e sangue che prevede di abbattere gli stipendi del 30% per tre anni: preludio – secondo i cronisti del quotidiano – alla resa di Berlusconi a Salvini e alla ritirata del Cavaliere e di Forza Italia dalla scena politica. Altro che controffensiva d’ autunno. © RIPRODUZIONE RISERVATA

E in Francia Iliad diventa vittima proprio del low cost

La Repubblica
ANAIS GINORI
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Dalla nostra corrispondente parigi Xavier Niel è “felice” ogni volta che è in Italia, come ha confidato ieri ai giornalisti, forse anche perché in patria ha parecchi guai da risolvere. A soli tre mesi dal lancio di Iliad nel nostro mercato, l’ imprenditore francese ha già conquistato 1,5 milioni di abbonati, con ricavi pari a 9 milioni di euro. Un risultato che lo consola in parte dal ” semestre deludente” che il gruppo ha registrato in Francia, secondo la stessa ammissione del ceo Thomas Reynaud. Niel è stato ancora più sincero, durante la presentazione della semestrale ieri a Parigi ha parlato di andamento «esecrabile». Il gruppo fondato da quello che alcuni hanno definito lo ” Steve Jobs francese” registra infatti un utile netto ricorrente in calo dello 0,4% a 232 milioni di euro, un fatturato stabile a 2,4 miliardi, ma soprattutto una riduzione del numero degli abbonati in Francia: nel secondo trimestre l’ esodo nel mobile ha interessato 200mila abbonati, dopo che i primi tre mesi avevano visto un aumento di 130mila. Di conseguenza, il gruppo è stato costretto a rivedere al ribasso gli obiettivi fissati per il 2020. Niel è vittima della guerra dei prezzi che ha lanciato. È un paradosso per colui che ha rivoluzionato il mercato delle tlc proprio attraverso tariffe stracciate e innovazione tecnologica. Con il tempo gli altri operatori – Orange, Bouygues, Sfr – si sono adattati e ora la concorrenza è sempre più agguerrita: le tariffe sono low cost non sono più una specialità di Free, così come i servizi e i prodotti innovativi. È la prima volta che Iliad- Free vede un calo degli abbonati nella sua storia, iniziata nel 2012 con una folgorante ascesa. Nell’ ultimo anno il valore in Borsa di Iliad – di cui Niel il 52,2% – si è quasi dimezzato. Nel maggio scorso l’ imprenditore francese cinquantenne – editore del giornale Le Monde – ha cambiato i vertici, sostituendo lo storico ceo Maxime Lombardini con Reynaud. Niel aveva parlato allora della necessità di ” reinventare” Free. « Siamo solidi e fiduciosi. Continuiamo ad assumere in Francia e in Italia», ha commentato ieri Reynaud. Niel, che non ha mai voluto avere incarichi operativi nel gruppo, è tornato a essere più presente negli ultimi mesi per rassicurare gli investitori. I manager hanno cambiato alcune delle offerte commerciali e stanno preparando il lancio della nuova versione della ” Freebox”, la box triple play, segreto del successo del marchio nel 2012. Il lancio nel nostro Paese, che è stato all’ inizio ritardato, è il migliore nella storia del gruppo dopo quello avvenuto in Francia sei anni fa. «Abbiamo raggiunto una grande notorietà grazie al lavoro fatto dall’ ad Benedetto Levi e dalle sue equipe » , ha commentato il direttore generale mentre Niel non ha escluso che Iliad possa lanciarsi anche nella telefonia fissa. «Il successo è incoraggiante e il quadro regolamentare in Italia interessante, ma non abbiamo ancora preso una decisione », ha precisato Reynaud che per altro conferma che Iliad intende partecipare all’ asta 5G in Italia e aggiunge che tra 5G e fibra ci sono «sinergie molto forti». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tv Da oggi Canale 5 torna sul canale 105 di Sky

La Repubblica

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Canale 5 torna sulla piattaforma Sky: da oggi l’ ammiraglia Mediaset sarà visibile anche alla posizione 105 del telecomando della tv satellitare in modalità HD. A breve saranno disponibili anche gli altri canali gratuiti di Mediaset, generalisti e tematici.

Guerre dimenticate tragedie rimosse la grande missione del fotogiornalismo

La Repubblica
MICHELE SMARGIASSI
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Si svolge a Perpignan, in Francia, la trentesima edizione del “Visa pour l’ image”, l’ appuntamento più atteso e prestigioso per un mestiere, quello di raccontare per immagini, che molti danno per scomparso e che invece mostra la propria vitalità. Dai drammi dei Rohingya e della Siria alle storie che conosciamo meno, come la Colombia del dopo Farc o le milizie anti squatter in Sudafrica TESTO DI Per la trentesima volta, duecentomila persone stanno andando a vedere “quello che nessuno vorrebbe vedere”. Che paradosso a Perpignan, in Francia, dove da sabato è in corso l’ edizione a cifra tonda di «Visa pour l’ image», l’ appuntamento annuale più prestigioso per il fotogiornalismo internazionale. Uno dei più longevi festival culturali d’ Europa, e non solo in campo fotografico. Una sfida allo spirito dei tempi, sotto molti punti di vista: rito dell’ orgoglio di un mestiere dato per morente e mai ammazzato, né dalla tivù né dal digitale. Anche luogo del malumore, della protesta di quel mestiere, che il fondatore-direttore eterno, nonché autocrate per sua stessa ammissione, Jean-François Leroy, interpreta con il suo spirito polemico: «Non ho avuto problemi a riempire anche quest’ anno il programma: quindi il fotogiornalismo non è morto. Sono i media ad essere malati». Che sia la trentesima edizione lo hanno ricordato un brindisi e una mostra neanche troppo auto celebrativa (ma ci saranno due soirée alla Villette di Parigi, il 15 e il 16 settembre). Per il resto, «se fosse l’ edizione numero 29 o 31, per noi sarebbe uguale». E dunque: venticinque esposizioni (come sempre, gratuite) sparse nel centro storico, tra conventi e palazzi nobiliari, più le serate di proiezione al Campo Santo, le conferenze, i premi, e la trama di relazioni professionali tra fotografi, photo-editor, giornalisti, che si intrecciano davanti a un pastis al bar dell’ Hotel Pams. Nel mazzo, l’ assortimento di fiori del male che il fotogiornalismo coglie per dovere, anche un po’ per brivido ed adrenalina, nel vivaio fin troppo generoso delle crisi mondiali. Quelli che ci aspettiamo: il dramma dei Rohingya birmani (Paula Bronstein) e la consunzione infinita della Siria (Alice Martins) – crescente la parte delle fotoreporter – ma anche quelli che conosciamo meno: le drammatiche elezioni in Kenya (Luis Tato), la Colombia del dopo-Farc (Catalina Martin-Chico), la guerra dimenticata dello Yemen (Véronique de Viguerie); e quelli di cui proprio non sappiamo nulla: le violenze delle “formiche rosse”, milizie private sudafricane anti-squatter (James Oatway), una strana idea di carcere nel paradiso tropicale della Papuasia (Marc Dozier) Una fortuna così lunga non era nei piani degli amministratori di Perpignan, che volevano semplicemente un festival, di qualsiasi cosa, per vivacizzare l’ appeal un po’ spento della cittadina del Midi francese in sapor catalano, e diedero carta bianca a Leroy, cardiochirurgo mancato, fotografo d’ agenzia senza doti speciali, ma sapiente promotore del lavoro dei colleghi. C’ erano già, neanche troppo lontano, i Rencontres d’ Arles, castello aristocratico per la fotografia d’ autore. Leroy asserragliò il suo festival come un ruvido accampamento di guerrieri della visione. «Ad Arles vanno i fotografi che fanno le foto. Da noi, quelli che le prendono». L’ album dei ricordi è pieno di grandi momenti, l’ incontro fra Joe Rosenthal e Yevgenij Khaldei che si scambiarono le loro iconiche foto di bandiere della seconda guerra mondiale (quella su Iwo Jima e quella sul Reichstag), l’ arrivo di un mostro sacro come Alfred Eisenstaedt a cui Leroy aveva promesso di baciare i piedi se avesse accettato, e lo fece. Oltre ottocento reportage esposti in questi tre decenni, quasi tutti inediti, forse trentamila fotografie. Nessuno comunque immaginava, allora, che Visa avrebbe dovuto attraversare i carboni ardenti della crisi di un mestiere “ormai proletarizzato”, marginalizzato nella catena di comando mediatica, culturalmente sempre meno prestigioso. Il futuro stesso del festival suscita apprensioni, anche se Leroy ha rassicurato: «Ho firmato per altri tre anni, quindi continuiamo». Per il momento qualche sponsor se ne va, ma altri arrivano (ed è una metafora che a ritirarsi sia Getty Images, ex impero dell’ immagine analogica, e a subentrare sia Adobe, produttore di Photoshop). Eppure, il fotogiornalismo è ancora tra noi. E «non è cambiato, ha lo stesso potere di trent’ anni fa: continua a sconvolgere, a emozionare, a interrogare, a scolpire la nostra memoria». © RIPRODUZIONE RISERVATA Paula Bronstein, Il campo profughi Rohingya di Kutupalong John Wessels, Sfollati congolesi rifugiati sul lago Alberto Khalil Hamra Un giovane palestinese lancia pietre a Gaza Il festival È in corso dal primo settembre a Perpignan, nel sud della Francia, la trentesima edizione di «Visa pour l’ image» La prestigiosa rassegna di fotogiornalismo internazionale andrà avanti fino al 16 settembre Il programma completo è visibile sul sito www.visapourlimage.com James Oatway Milizie private sgomberano un campo squatter a Capital Park, Pretoria nel luglio del 2017 Luis Tato Una manifestazione di protesta a Nairobi, in Kenya, durante le consultazioni elettorali dell’ agosto 2017.

Nella sezione dedicata alla “Daily Press” “Repubblica” partecipa con gli scatti di Majorana

La Repubblica

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C’ è anche Repubblica al Festival della Fotografia di Perpignan. Nella mostra Daily Press 2018, che raccoglie il meglio del fotogiornalismo pubblicato sulla stampa quotidiana internazionale, sono esposte le fotografie realizzate da Claudio Majorana per il reportage firmato da Brunella Giovara “La generazione smarrita” sui Neet, la generazione dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni (sono oltre due milioni) che non studiano e non lavorano. Il servizio è stato pubblicato sul nostro inserto Super 8 lo scorso 22 giugno. I partecipanti alla mostra concorrono al Visa d’ or Daily Press Award, il premio dedicato ai servizi originali commissionati dai quotidiani. Il vincitore sarà annunciato oggi.

Rai, la Lega preme su Forza Italia “Il presidente deve essere Foa”

La Stampa
MICHELA TAMBURRINO
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Nessun passo indietro su Marcello Foa presidente della Rai. Matteo Salvini, che si trascina un Luigi Di Maio lievemente riottoso, non ne vuole sapere di cedere. Alcuna deregulation è prevista dopo la bocciatura in vigilanza Rai e l’ ipotesi ventilata dai pentastellati di far accettare a Foa una presidenza di rete, forse meno di facciata ma sicuramente più di sostanza, è stata presto scartata. Gli sherpa dei partiti alleati già sondano la possibile intesa da sigillarsi in un vertice ristretto che vedrà Berlusconi e Salvini a confronto. Il primo è disponibile a cedere sul nome del presidente Rai dopo il pressing serrato del leader leghista ma in cambio chiede che si vada uniti alle prossime elezioni regionali autunnali. Il Cavaliere mette sul piatto della bilancia anche il lavoro faticoso che andrebbe a fare sui componenti azzurri che sono tanti e che non vogliono cedere proprio sulla Rai (che significa perdere la faccia in modo eclatante). Sono in molti a non volere la ricomposizione e le divisioni pesano. Tra questi due teste di serie come Gianni Letta e Antonio Tajani contrari a lasciare campo libero a Matteo Salvini che appare sempre più vincente su tutto. Per dare forza alla posizione oltranzista si adducono ragioni anche di legittimità di una scelta, sul nome di Foa, prima bocciata e poi approvata in Vigilanza. Anche se l’ ipotesi dell’ approvazione impugnata è destituita di fondamento. Il presidente designato e consigliere anziano Rai in questi giorni è al lavoro e annuncia che un prossimo Cda potrebbe essere convocato per metà settembre. Dice di leggere quanto lo riguarda con curiosità divertita. La sua posizione non cambia perché non cambia la posizione di chi lì lo vuole lì. Salvini si professa ottimista circa l’ ipotesi di portare dalla sua parte il Cavaliere per più di un motivo. Più volte il leader leghista ha ripetuto che quando in piena estate lui stesso portò all’ attenzione di Berlusconi il nome di Foa, questi si disse assolutamente non contrario. Salvo poi mettersi di traverso adducendo motivi di «metodo». Un colpo di teatro che irritò moltissimo l’ alleato il quale parlò di coltellata alle spalle e di tradimento. Ma non è neanche questo a tranquillizzare Salvini: Berlusconi si gioca una partita molto più pesante di una poltrona a viale Mazzini saltata per minuetti di potere. In ballo c’ è la sicurezza di Mediaset che la Lega potrebbe garantirgli a differenza degli M5S che non vedono l’ ora di attaccare quanto ha di più caro: le tv. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Tim, il titolo crolla ai minimi da 5 anni Vendono i fondi Usa

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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L’ autunno caldo di Telecom Italia è cominciato.Un tonfo in Borsa del 5,4% a 0,52 euro riporta il titolo indietro di 5 anni, dà ulteriori colpi a una poltrona – quella dell’ amministratore delegato Amos Genish – che pure traballa da tempo e scopre sempre più il fianco del gruppo a possibili scalate a prezzi di saldo. A scatenare le vendite, che segnano il ridimensionamento e in qualche caso l’ uscita di alcuni importanti fondi internazionali, fin qui grandi sponsor del manager israeliano, è una sorta di fuoco incrociato tra uno studio al cianuro di una banca d’ affari francese, il boom di clienti di Iliad in Italia (sono già 1,5 milioni e corrono veloci verso i 2 milioni) e i timori di un rinnovo anticipato delle frequenze fino al 2029 per la tecnologia umts con cui il governo conta di raccogliere danaro per mantenere le sue costose promesse. Lo studio in questione porta la firma di Exane Bnp Paribas – banca francese come francese è Vivendi, primo azionista di Tim rimasto senza potere dopo il ribaltone favorito dal tandem Elliott-Cdp – e spara cannonate sulle prospettive del titolo, destinato a rimanere , si legge, «una trappola di valore». In 50 pagine condensa scenari nefasti per Telecom, al punto da abbassarne l’ obiettivo di prezzo da 0,60 a 0,38 euro, considerando plausibile uno scivolone di oltre il 25% rispetto ai prezzi attuali. Ieri, il primo assaggio. L’ ad Genish prova a instillare fiducia nel mercato e in azienda, facendo per la prima volta acquisti plateali: un milione di azioni Tim per una spesa di circa 523 mila euro. Il punto è che da Exane provano a demolire le fondamenta stesse del suo piano. Sostengono, per esempio che Telecom «affronta lo scenario di maggior rischio in Europa relativamente alla linea fissa», si spiega che «il mercato sottostima l’ impatto negativo» di Open Fiber e della sua rete. Non solo. Cosa succederà quando Iliad e Sky (sì, proprio il gruppo della pay tv) lanceranno un servizio di banda ultra larga? La guerra dei prezzi (caduti in termini di euro per giga dell’ 80% in due anni) imposta da Iliad nella telefonia mobile, inoltre, «aumenterà l’ attrattività della banda larga mobile» per i clienti meno motivati a sottoscrivere abbonamenti per la fibra. Secondo gli stessi analisti anche il momento magico del Brasile è finito. Di conseguenza anche i numeri del piano di Genish vengono demoliti. Dietro le quinte, gli addetti ai lavori prevedono conseguenze. Il 10 settembre si riunirà una prima volta il cda per decidere la strategia in vista dell’ asta per le frequenze per il 5G, la telefonia mobile di ultimissima generazione. Il 24 settembre ci sarà un’ altra riunione del consiglio. È qui che il ruolo dell’ ad (che nel frattempo starebbe meditando cambiamenti nella struttura dell’ Investor relations) potrebbe essere posto in discussione. Da quando è salito al comando il manager ha disfatto la rodata prima linea dei manager che risaliva per lo più all’ epoca di Marco Patuano e di Flavio Cattaneo, per inserire novità il cui curriculum sovente non ha convinto il consiglio. L’ ultimo innesto è di ieri, con l’ arrivo – dalla Philips – di Anna Spinelli come responsabile degli acquisti e dell’ immobiliare. Ma tutti gli azionisti, inclusi i molti piccoli, sono preoccupati. Dal 4 maggio, data del ribaltone con cui Elliott e Cdp hanno tolto il cda dal controllo di Vivendi, il titolo è crollato del 40%. Vivendi, che ha perso la metà dei 4 miliardi investiti, studia un contro ribaltone all’ assemblea che sarà convocata a breve per nominare i revisori. Ma il rischio per una Tim che in Borsa vale poco più di 10 miliardi è un’ Opa che permetterebbe ai francesi di superare il 50% con un pugno di miliardi. O ad altri di tentare il colpaccio facendo dell’ ex monopolista carne da macello. Tutto nel silenzio del governo. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Canale 5 torna su Sky Presto in arrivo anche Italia 1 e Rete 4

La Stampa

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Canale 5 torna su Sky: da oggi, la rete ammiraglia Mediaset sarà visibile in alta definizione anche sul canale 105 della tv satellitare. «Si tratta di un primo passo che si estenderà a breve a tutti gli altri canali gratuiti Mediaset, generalisti e tematici», ha spiegato una nota di Cologno Monzese. Torneranno presto disponibili su Sky, dunque, anche Italia 1 e Rete 4. I canali generalisti del Biscione erano stati criptati nel 2015, dopo uno scontro sui diritti di ritrasmissione. L’ annuncio di ieri testimonia il disgelo fra le due piattaforme, già dimostrato dallo sbarco di Premium su Sky in primavera.

Accordo Mediaset-Sky: da oggi Canale 5 torna a vedersi anche sul satellite

Libero

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Da oggi Canale 5 sarà visibile anche alla posizione 105 del telecomando Sky in modalità Hd. Lo annuncia Mediaset, dopo l’ accordo raggiunto con Sky. «La nuova stagione della rete ammiraglia Mediaset sarà così disponibile anche sulla pay tv satellitare, a cominciare dai grandi match internazionali della Nations League di calcio in onda nei prossimi giorni in esclusiva su Canale 5 (Germania-Francia giovedì 6 settembre, Inghilterra-Spagna sabato 8 settembre, Francia-Olanda domenica 9 settembre, Spagna-Croazia, martedì 11 settembre)», si spiega dal gruppo di Cologno Monzese. Sarà «un primo passo che si estenderà a breve a tutti gli altri canali gratuiti Mediaset, generalisti e tematici», si sottolinea da Mediaset. «Prosegue dunque la strategia Mediaset di portare i propri canali su tutte le piattaforme free e pay: digitale terrestre, satellite e streaming online. Un’ estensione continua che comporta due importanti risultati: da un lato garantire al pubblico la visione delle reti Mediaset su qualsiasi device, dall’ altro accrescere in modo adeguato la forza, la qualità e il valore dei palinsesti e dei contenuti Mediaset. Intanto il gruppo di Cologno Monzese continua ad incassare numeri d’ ascolto di tutto rispetto «Ieri, lunedì 3 settembre, le Reti Mediaset hanno registrato, in prima serata, 5.764.000 spettatori totali (27.43% di share commerciale). Il Tg5 delle ore 13.00 si conferma al vertice dell’ informazione con 2.285.000 spettatori totali e il 15.78% di share commerciale». Lo riporta una nota del gruppo.

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Rassegna Stampa del 06/09/2018

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Indice Articoli

E nella battaglia del copyright i colossi Usa fanno razzia di legali

“Sky, trasferte coatte a Milano”. Sciopero delle giornaliste Usb

Il centrodestra converge Torna in ballo Foa come presidente Rai

Comunicato del Cdr

RadioMediaset cresce ancora con Montecarlo

Viale Mazzini

Dazn sui disservizi tecnici: il peggio è passato

Diritto d’ autore sui contenuti digitali, di nuovo battaglia al Parlamento Ue

LA RETRIBUZIONE DEI CONTENUTI

Chessidice in Viale dell’ editoria

Politico.eu in cerca del pareggio

NONOSTANTE LA CRISI VOLA L’ EXPORT (DI SCRITTRICI)

Gli editori chiedono aiuto agli europarlamentari

E nella battaglia del copyright i colossi Usa fanno razzia di legali

Corriere della Sera
dal nostro inviato Ivo Caizzi
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BRUXELLES L’ intensità dell’ attività di lobbying e dello scontro politico sulla nuova direttiva Ue per il diritto d’ autore in Rete, che deve essere votata il 12 settembre prossimo nell’ Europarlamento di Strasburgo per poi passare alla mediazione con il Consiglio dei governi e la Commissione europea, ha prodotto un ennesimo effetto sorprendente. Importanti studi legali specializzati in diritto comunitario sarebbero diventati difficili da consultare perché già preventivamente ingaggiati da multinazionali Usa del digitale, che sono diventate le più ricche e appetibili clienti degli avvocati di Bruxelles da quando cercano di frenare proprio le norme Ue sul copyright o quelle contro le loro strategie di maxi elusioni delle tasse tramite i paradisi fiscali. È trapelato dall’ incontro dei rappresentanti degli editori europei di giornali con il presidente dell’ Europarlamento Antonio Tajani, che ieri ha ascoltato nel suo ufficio le ragioni della richiesta di un equo compenso per l’ utilizzazione degli articoli sul web. La giustificazione di alcuni avvocati rinvia al ritardo e all’ impegno limitato dei favorevoli alla direttiva sul copyright, rispetto al dispiegamento di ingenti mezzi economici investiti da multinazionali statunitensi del web per contrastarla. L’ associazione degli editori europei Enpa, presieduta da Carlo Perrone del gruppo Gedi, sta ora tentando di recuperare consensi tra gli eurodeputati in un Europarlamento diviso anche all’ interno di gruppi politici e di delegazioni nazionali. L’ Enpa, insieme alla componente italiana Fieg guidata da Andrea Riffeser della Poligrafici Editoriale, sta diffondendo sui giornali un appello a favore delle nuove regole Ue. Le ritengono essenziali per la «sopravvivenza della stampa, minacciata dalla distribuzione massiva di contenuti ad opera dei grandi aggregatori digitali (come i giganti Usa Google o Facebook, ndr)». Denunciano il rischio di «un generale impoverimento della qualità della produzione editoriale» e «la proliferazione di notizie false». Associazioni di giornalisti, scrittori e registi hanno appoggiato questa linea. Le multinazionali Usa del digitale, invece, respingono i costi aggiuntivi. Vorrebbero almeno far slittare tutto al prossimo Europarlamento, dopo le elezioni europee del maggio 2019. Nello scontro si sono inseriti i sostenitori della «libertà del web», che sospettano ingiuste restrizioni e censure dietro il testo un po’ ambiguo di alcune parti della direttiva sul copyright. Nel voto del luglio scorso a Strasburgo perfino i «pirati informatici» del Nord Europa si sono incredibilmente schierati con le multinazionali Usa di Internet per far passare il rinvio al 12 settembre e consentire agli eurodeputati di presentare emendamenti (entro ieri). Un ulteriore allarme l’ hanno lanciato alle masse di tifosi sulle restrizioni per gli eventi sportivi coperti da «diritti», che impedirebbero di scambiarsi liberamente in Rete quanto fotografato o registrato (senza fini di lucro) assistendo alle partite di calcio o di rugby negli stadi.

“Sky, trasferte coatte a Milano”. Sciopero delle giornaliste Usb

Il Fatto Quotidiano

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Sciopereranno da oggi per due settimane, rinunciando a buona parte dello stipendio, le giornaliste di Sky Tg24 che hanno lasciato la Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e aderito all’ Unione sindacale di base (Usb) dopo l’ accordo, sottoscritto dal Comitato di redazione interno e dal sindacato nazionale e romano dei giornalisti, sul trasferimento di quasi tutta la redazione da Roma a Milano. L’ accordo prevedeva incentivi al trasloco “volontario” ma l’ azienda colpisce chi non ha aderito. Tre giornaliste, una addirittura tutelata dalla legge 104 per l’ assistenza a congiunti non autosufficienti, sono state licenziate a luglio. Per altri quattro, non potendo ordinare il trasferimento coatto, è stata decisa una “trasferta comandata” a Milano da un giorno all’ altro, intanto per due mesi. Il Comitato lavoratori Sky in lotta, sostenuto dall’ Usb ma non dai sindacati dei giornalisti, ha deciso lo sciopero. Con il trasloco a Milano già 120 tecnici e operatori sono in mobilità e di fatto licenziati; 170 a casa con buonuscite variabili. Sky a luglio ha reso nota una crescita dei ricavi del 6% in vari Paesi tra cui l’ Italia, dove il margine operativo lordo è cresciuto del 29%. Nel 2017 Sky ha avuto 41 milioni di utili.

Il centrodestra converge Torna in ballo Foa come presidente Rai

Il Giornale

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ANNA MARIA GRECO – Non è ancora stato fissato l’ incontro tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, ma assicurano che ci sarà a giorni. E il leader di Forza Italia pretenderà dal vicepremier leghista una parola chiara sul futuro del centrodestra. Solo se ci saranno assicurazioni sulla tenuta della coalizione, a cominciare dalle candidature condivise per le prossime regionali e da una campagna elettorale unitaria per le europee di maggio, si potrà parlare d’ altro. E il primo nodo da sciogliere, allora, sarà quello del vertice della Rai. Ad Arcore, martedì, il Cavaliere si è consultato con i suoi consiglieri, dal vicepresidente Antonio Tajani a Gianni Letta e Niccolò Ghedini, che spingono perché non si faccia marcia indietro sulla candidatura a presidente di Marcello Foa, già bocciata dalla commissione di Vigilanza Rai. «È ormai diventata una questione di principio, un simbolo – hanno detto -, non si può mollare. Dobbiamo insistere su altri nomi, anche perché pareri giuridici confermano che non si può riproporre Foa». Berlusconi è titubante, tiene più all’ accordo con il leader leghista che a mantenere il punto, ma molto dipenderà da quel che Salvini gli dirà nel faccia a faccia, al quale dovrà partecipare anche Tajani. Bisognerà vedere se il vicepremier darà garanzie sulla tenuta del centrodestra, sulla possibilità di far scegliere a Fi i candidati governatori in Abruzzo e Basilicata, ad esempio, se offrirà posizioni alla Rai che possano assicurare agli azzurri il pluralismo, se farà sentire le ragioni della coalizione sulle misure economiche, a incominciare da una vera flat tax. Il Capitano dovrà essere molto convincente con il Cavaliere. Che ieri, in un nuovo sondaggio di Tecnè ha visto il suo partito valutato all’ 11% ed è stato informato che al meeting di Fi a Giovinazzo si sono già registrati in 700, pagando la quota d’ iscrizione, a testimonianza che c’ è sempre appeal sugli elettori. Dentro Fi non ci stanno a passare per un partito in liquidazione e, quasi ad allontanare ogni tentazione, ripetono un no assoluto alla fusione con il Carroccio. «Partito unico del centrodestra? – chiede la vicepresidente azzurra della Camera, Mara Carfagna – I partiti nascono o si fondono sulla base di una forte condivisioni di valori, visioni e prospettive. Quelli di Fi sono profondamente diversi da ciò che troviamo nei provvedimenti del governo». E Giorgio Mulè, portavoce dei gruppi parlamentari: «Fi rimane fedele alla sua storia: siamo e rimaniamo orgogliosamente presidio del fronte dei moderati italiani. Non potremo mai confluire in un partito unico». Nelle regioni che andranno al voto l’ incertezza dello scenario politico pesa. In Abruzzo, dove ad agosto la Lega minacciava di correre da sola, i rapporti tra alleati sono più distesi e il coordinatore azzurro Nazario Pagano ha firmato insieme a quello leghista Giuseppe Bellachioma e a quelli di Fdi e Udc un appello perché si vada alle urne entro il 2018. «Si stanno creando le condizioni – assicura Pagano – per scegliere candidati unitari, ma dovrà essere Salvini a decidere la linea a livello nazionale». Anche la leader di Fdi Giorgia Meloni, che ieri a Venezia ha avuto un colloquio con l’ ex consigliere di Trump, Steve Bannon, incalza il governo: «Le priorità per l’ Italia sono crescita e lavoro. La flat tax, non il reddito di cittadinanza targato M5s».

Comunicato del Cdr

Il Giornale
Il Cdr (per la Redazione)
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Ieri Il Giornale non era in edicola, a causa dello sciopero deciso all’ unanimità dall’ assemblea di redazione. Riteniamo doveroso comunicare ai lettori – che di questo quotidiano sono il primo e fondamentale patrimonio – i motivi che ci hanno portato a prendere una iniziativa così lontana dalle consuetudini dei rapporti sindacali all’ interno dell’ azienda che edita Il Giornale. Lo strappo non è nostro: è dell’ azienda. La risposta è inedita perché queste consuetudini vengono stravolte in queste ore da una iniziativa dell’ editore che per la prima volta nella sua storia scarica sui giornalisti i costi di difficoltà di cui essi non sono minimamente responsabili. Cosa accade? Che l’ editore vorrebbe dal prossimo anno ridurre del trenta per cento le ore di lavoro dei giornalisti che realizzano questo quotidiano. Significa ridurre in misura quasi uguale le retribuzioni, ed è un sacrificio il cui impatto sulla vita dei giornalisti e delle loro famiglie è evidente. E significa rendere impossibile la realizzazione di un prodotto della medesima qualità che da più di quarant’ anni i lettori del Giornale trovano quando in edicola scelgono, in un mare di testate, quella fondata da Indro Montanelli. Questo è il punto cruciale. Al Giornale oggi lavorano 76 giornalisti, un direttore e due vicedirettori. I concorrenti con cui ogni giorno ci confrontiamo hanno un organico doppio, triplo o ancora maggiore. Questo significa che al Giornale, per reggere la sfida, lavoriamo tanto. Non ci lamentiamo di questo, ci piace il nostro lavoro e chiediamo solo di poter continuare a farlo. Le difficoltà senza precedenti che il mercato della carta stampata sta incontrando, in questi anni, sono sotto gli occhi di tutti. Mutamenti epocali stanno cambiando il mondo dell’ informazione. Noi siamo disposti a fare la nostra parte, sacrificandoci e reinventandoci. Il problema è che mentre in tutto il mondo giornali grandi e piccoli affrontano questa sfida esplorando nuove strade, la soluzione che imbocca il nostro editore è solo il ridimensionamento. A titolo di esempio, il rapporto tra informazione cartacea e web, al Giornale è stato risolto con un sito Internet che è formalmente una società a sé, sui cui contenuti editoriali risulta così, secondo la redazione, più complicato sviluppare le necessarie sinergie. È chiaro come qualunque ragionamento sulla complementarità tra i due veicoli dell’ informazione sia, in questo contesto, terribilmente complesso. È di questo, e delle strade per rilanciare un prodotto all’ altezza dei tempi, che da tempo chiedevamo di poter parlare con l’ azienda. Invece, dopo anni di inviti a non disturbare, ci viene comunicato che l’ unica strada per uscire da una crisi che avevamo cercato di prevenire sarebbe buttare a mare, come se fosse zavorra, il vero bene della nostra testata giornalistica, ovvero la qualità del prodotto. A venire mortificata è l’ intera opinione pubblica moderata, che nel dibattito politico e culturale vedrebbe marginalizzata la voce che più efficacemente in questi lunghi anni l’ ha rappresentata. Noi riteniamo inaccettabile che gli azionisti del Giornale abbiano imboccato questa strategia che a noi pare insensata e contro di essa intendiamo batterci, nell’ interesse nostro, dei nostri lettori e della testata stessa. Il Cdr (per la Redazione)

RadioMediaset cresce ancora con Montecarlo

Il Giornale

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RadioMediaset, la società della radio del Biscione, ha acquisito il 100% delle azioni di Rmc Italia, editore di Radio MonteCarlo. L’ emittente, la cui acquisizione non modifica il perimetro già autorizzato dall’ Antitrust, è complementare con l’ offerta di RadioMediaset e permetterà il rafforzamento della leadership editoriale e commerciale del gruppo a livello nazionale. Soddisfatto l’ ad del gruppo, Pier Silvio Berlusconi: «In poco più di tre anni partendo da zero – ha detto ieri – abbiamo costituito il primo gruppo nazionale grazie a un accurato lavoro editoriale. Ora abbiamo un polo efficiente che crea margine e assicura redditività».

Viale Mazzini

Il Messaggero

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L’ ad Rai, Fabrizio Salini, ha chiesto al Mise una proroga dei termini per l’ attuazione degli obblighi previsti del contratto di servizio. Una scelta obbligata – spiegano ambienti di Viale Mazzini – dal momento che Salini ha ereditato una situazione di stallo, legata sia alla formazione del governo sia alla nomina dei nuovi vertici della tv pubblica.

Dazn sui disservizi tecnici: il peggio è passato

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Diritto d’ autore sui contenuti digitali, di nuovo battaglia al Parlamento Ue

Il Sole 24 Ore
Alberto Magnani
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Bruxelles torna a scaldarsi sulla riforma del copyright. Mercoledì prossimo, il 12 settembre l’ Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, voterà il via libera ai nuovi emendamenti e al mandato negoziale per proposta di direttiva sul cosiddetto Digital single market (2016/0280/COD), diventata nota soprattutto per le sue misure a tutela del diritto d’ autore. L’ Eurocamera aveva respinto a luglio il testo emendato dalla Commissione giuridica con 318 no, 278 sì e 31 astenuti, riaprendo la partita e congelando il verdetto fino alla riunione della settimana prossima. A scatenare turbolenze sono le modifiche agli articoli 11 e 13, dove si fissano gli obblighi di retribuire gli autori per i contenuti diffusi (articolo 11) e di bloccare il “caricamento” di contenuti protetti da copyright (articolo 13). Oggi scadono i termini per presentare le nuove modifiche e far arrivare in aula l’ ultima versione del testo, in un clima che si annuncia incadescente. Ma cosa cambierebbe con i due articoli incriminati? L’ articolo 11 è diventato noto come «link tax», anche se non è prevista alcuna forma di tassazione sui collegamenti ipertestuali. La proposta imporrebbe ai paesi Ue di garantire agli editori di «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’ uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni», cioè le piattaforme come i social newtork o i motori di ricerca. Resta libero l’ utilizzo di contenuti per ragioni non commerciali, mentre si raccomanda agli editori di riconoscere agli autori una «quota adeguata dei proventi supplementari percepiti». L’ articolo 13, sempre dopo l’ emendamento della Commissione giuridica, impone alle piattaforme online di «siglare contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». In assenza di un accordo, gli stessi fornitori di servizi online devono predisporre «misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori o altri argomenti che infrangano il diritto d’ autore o diritti correlati». Il voto di luglio era stato appesantito dalle pressioni istituzionali dei colossi tech, come Google e Facebook, accusati dal leader dei socialdemocratici, Udo Bullmann di essersi spinti a «gravi minacce» verso gli eurodeputati. La plenaria del 12 rischia di degenerare in un’ atmosfera simile, anche perché l’ attività di lobbying è entrata in azione da settimane. Da un lato c’ è la cosiddetta industria culturale, dagli editori alle case discografiche, interessata a una misura che consentirebbe di monetizzare la diffusione di propri contenuti online. L’ appello congiunto della Federazione italiana editori giornali e dell’ Enpa (l’ associazione degli editori europei), lanciato ieri, si accoda a una lunga serie di iniziative simili da parte di gruppi editoriali, musicali e cinematografici. Di recente Europe for creators, un movimento di sostegno alla categoria dei «creativi», ha stimato che l’ assenza di regole fa perdere al settore una media di 260 milioni l’ anno solo in Italia. Dall’ altro resiste il pressing delle piattaforme digitali, contrarie a una direttiva che colpirebbe nel vivo un modello di business incardinato sull’ intermediazione di contenuti generati da terzi. I nomi ricorrenti sono quelli di Google, Facebook e Amazon, anche grazie a un imponente dispiegamento di lobbisti nelle istituzioni. Ma arrivano voci discordi anche da associazioni di categoria come Confindustria digitale, scettica sugli esiti di una riforma che «presenta gravi criticità, frutto di una discussione impostata come se ci fosse una sfida in atto tra detentori del copyright e grandi piattaforme digitali». Del resto il quadro è tutt’ altro che omogeneo anche fra gli stessi gruppi politici dell’ Europarlamento. Se si esclude la famiglia dei Popolari europei, orientata al sì fin dal voto di luglio, il resto dell’ emiciclo si prepara a frizioni interne. Fra le forze meno coese ci sono i Socialisti&Democratici, come testimonia lo scontro dell’ ultima plenaria fra gli eurodeputati italiani del Pd (favorevoli) e i membri di sigle più a sinistra come Liberi&Uguali e Possibile.

LA RETRIBUZIONE DEI CONTENUTI

Il Sole 24 Ore

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L’ articolo 11 della direttiva, dopo l’ emendamento della Commissione giuridica, impone agli Stati membri di garantire agli editori di «ottenere una remunerazione equa e proporzionata per l’ utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico, da parte dei prestatori di servizi della società dell’ informazione». Il vincolo non si estende però «all’ uso legittimo privato e non commerciale delle pubblicazioni» da parte dei singoli utenti, non riguarda i collegamenti ipertestuali e non può essere esercitato retroattivamente. Inoltre, si impone alle aziende di riconoscere agli autori una «quota adeguata» del valore aggiunto generato dai propri contenuti.

Chessidice in Viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Asia Argento non sarà giudice di X Factor… Il nuovo giudice di X Factor Italia non è ancora stato scelto ma intanto è stata confermata l’ esclusione di Asia Argento, che non farà parte della giuria dei Live della nuova edizione del programma televisivo: l’ annuncio è stato fatto ieri durante la presentazione alla stampa della nuova stagione del talent a Milano, negli studi di Sky Italia. Asia Argento è stata esclusa dalla trasmissione dopo le accuse di molestie su Jimmy Bennett, l’ attore che da bambino era apparso in un film con lei nella parte del figlio. Sky Italia e FremantleMedia Italia hanno comunicato di aver deciso di estromettere l’ attrice e regista dalla sezione live dello show per tutelare gli artisti e non togliere spazio alla loro musica. Asia Argento apparirà nelle prime puntate che includono i provini registrati a marzo, che andranno in onda a partire da oggi. e Rtl 102.5 si conferma radio del talent show. Dopo l’ esperienza della scorsa edizione in cui per la prima volta nel mondo il programma è stato trasmesso in diretta radiofonica in radio, Rtl 102.5 si conferma la radio di X Factor. L’ emittente seguirà tutte le fasi della undicesima edizione del talent show, prodotto da FremantleMedia Italia, in partenza oggi su Sky Uno HD e farà vivere le storie, le speranze, i sogni e le emozioni di tutti i concorrenti. Aggiornamenti, attività social mirate, videointerviste, curiosità e backstage su www.rtl.it e, per gli ascoltatori, la possibilità di assistere ai live per seguire il percorso dei protagonisti di X Factor 2018 fino alla serata che proclamerà il vincitore dello show. La Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera, in edicola tutto Lucio Battisti in vinile. La Gazzetta dello Sport e il Corriere della Sera portano in edicola, in vinili da collezione, la discografia completa di Lucio Battisti a vent’ anni dalla sua scomparsa. La collana è composta da 19 uscite, a cadenza quindicinale. Il primo vinile, Lucio Battisti, sarà in edicola dal 7 settembre a soli 9,99 euro, mentre le uscite successive, tutti lp singoli, a 17,99 euro. La prima uscita propone l’ album pubblicato nel 1969, già in collaborazione con l’ autore Mogol. Contiene 12 successi tra cui Un’ avventura, 29 settembre, Non è Francesca, Balla Linda e Io vivrò (senza te). Il secondo album ufficiale di Lucio Battisti, Emozioni, sarà invece in edicola dal 22 settembre e raccoglie successi come Acqua azzurra, acqua chiara, Mi ritorni in mente e Il tempo di morire. Tex compie 70 anni: la mostra alla Permanente di Milano. Tex (nella foto) compie 70 anni e Sergio Bonelli editore lo celebra con una mostra al Museo della Permanente di Milano, dal 2 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019, da titolo Tex. 70 anni di un mito. Il 30 settembre 1948 nelle edicole italiane debuttò infatti il primo albo a striscia di Tex, il personaggio creato da Gianluigi Bonelli e realizzato graficamente da Aurelio Galleppini, destinato a diventare il più amato eroe del fumetto italiano e uno dei più longevi del fumetto mondiale. Curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con la redazione di Sergio Bonelli Editore, la mostra racconterà come Tex sia riuscito, anno dopo anno, non solo a entrare a far parte delle abitudini di lettura degli italiani e attraverso le prime pagine dei quotidiani ripercorrerà inoltre 70 anni di storia italiana, che racconteranno il parallelo tra le avventure a fumetti del ranger e quelle del nostro paese. A Lecce la prima ludoteca firmata Focus Junior. Apre sabato 8 settembre a Lecce la prima ludoteca Focus Junior Play Lab, nata da un progetto che offre la possibilità di aprire in tutta Italia nuovi spazi educativi e di gioco firmati Focus Junior. Con questa iniziativa il brand del Gruppo Mondadori rivolto ai ragazzi arricchisce il sistema multimediale di contenuti e servizi in linea con le esigenze del proprio target. «Siamo molto orgogliosi dell’ apertura della prima ludoteca di Focus Junior», ha dichiarato il direttore Sarah Pozzoli. «In un’ epoca come questa, di grandi cambiamenti tecnologici, riteniamo infatti che la nostra missione educativa diventerà ancora più efficace con una presenza capillare sul territorio». Stefano Ardito per la crescita di Connexia. Nuovo ingresso in Connexia, la data driven creativity agency del Gruppo Doxa. Si tratta di Stefano Ardito che, con il ruolo di chief growth officer, avrà la responsabilità della crescita dell’ agenzia e della direzione clienti. Entrando a far parte del management team guidato dal ceo Paolo d’ Ammassa, Ardito affiancherà il chief strategy officer Massimiliano Trisolino e il chief operating officer Letizia Giottoli. Le direzioni strategia, clienti e operation lavoreranno, quindi, in maniera integrata, a fianco delle due direzioni creative dell’ agenzia e della direzione analytics. Ardito negli ultimi due anni è stato managing director dell’ agenzia TwentyTwenty, e prima ancora, di Ambito5, poi acquisita da Saatchi & Saatchi Italia.

Politico.eu in cerca del pareggio

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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L’ Unione europea, le sue regole e le direttive sono una sfida non solo per i governi nazionali (quello italiano compreso) ma anche e soprattutto per gli editori di tutto il mondo. A partire dai tedeschi di Axel Springer (che pubblicano la Bild) e gli americani di Politico.com che, a Bruxelles nel 2015, hanno lanciato insieme Politico.eu, la versione europea dell’ omonimo sito Usa. Tre anni fa l’ investimento iniziale è stato di circa 10 milioni di euro. Oggi tra sito web, magazine cartaceo, newsletter e soprattutto una serie di contenuti verticali a pagamento si genera un business complessivo da circa 12 milioni di euro, secondo indiscrezioni di stampa. Il 2017 è stato archiviato, però, con una perdita netta di 5,5 milioni di euro. Finora a ripianare ci hanno pensato i due azionisti ma l’ intenzione della testata guidata del direttore responsabile Matthew Kaminski (ex Wall Street Journal) è chiudere l’ esercizio in corso vicino al pareggio e raggiungere, nel 2019, per la prima volta, la redditività. A far ben sperare è tra l’ altro l’ incremento, nel giro degli ultimi due anni, degli abbonamenti a pagamento del servizio Pro (costo medio sui 6 mila euro, considerando che di contro la newsletter principale di Politico.eu è gratuita). Oggi gli abbonamenti a pagamento coprono la metà dei ricavi, mentre nel 2016 generavano un più contenuto 30%. La pubblicità, poi, pensa al restante 50% del business attuale (anche per coprire i costi dell’ edizione cartacea del magazine). In redazione ci sono una sessantina di giornalisti. Un organico importante se si considera che altre testate internazionali (come il Financial Times, che pure ha un posizionamento differente) mantiene una sede di corrispondenza con meno di dieci redattori. Comunque, anche a Politico.eu ci sono state alcune uscite e altre sono in calendario, giusto per tenere sotto controllo i costi. Il sito www.politico.eu ha un’ audience di circa 1,8 milioni di visitatori unici al mese mentre gli abbonamenti a Playbook, la newsletter gratuita, sono oltre 80 mila. I temi che maggiormente piacciono sono quelli istituzionali della Ue, senza eccezioni, dalla concorrenza all’ energia, dalla tecnologia all’ agricoltura, dalla concorrenza alla sanità, senza dimenticare big data e molti dietro-le-quinta alla House of cards dalle stanze del potere comunitario. Il tema dei big data, in particolare, è così sentito che ha portato a luglio all’ acquisizione da parte di Politico di Statehill Inc., società svedese specializzata nel monitoraggio e analisi dei dati. È nato così Pro Intelligence, servizio d’ informazione con numeri e statistiche elaborate sulla base dei flussi forniti dall’ Unione europea e anche da alcuni governi nazionali come finora Gran Bretagna, Germania e Francia (Italia non pervenuta). Tra le nuove fonti di business non mancano infine gli eventi e, anche se il traguardo del pareggio non è scontato, ormai Politico.eu è una lettura fondamentale per capire la Ue, almeno a giudizio di alcuni commentatori di Bruxelles.

NONOSTANTE LA CRISI VOLA L’ EXPORT (DI SCRITTRICI)

La Repubblica
STEFANIA PARMEGGIANI
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Maddalena ha nove anni e i suoi occhi si stanno spegnendo. Mentre le cose attorno a lei si fanno a poco a poco più sfumate, mentre i contorni si dissolvono in una specie di nebbiolina, aggiorna un quaderno con le cose che non potrà più fare: contare le stelle, giocare a calcio con i maschi, inventare i percorsi sui marciapiedi, che se cadi finisci nella lava e muori, arrampicarsi sul ciliegio della scuola Mentre sta diventando cieca, Mafalda scopre che un altro modo di vedere è possibile. Impara a calcolare la distanza dal ciliegio accompagnata dal profumo dei fiori e scrive un altro elenco, quello delle cose che riesce ancora a fare. Paola Peretti, ventottenne della provincia di Verona, ha deciso di scrivere quando ha saputo di avere una grave malattia agli occhi: «Sto diventando cieca, questa è la fredda e dura verità. La letteratura è la mia più grande passione. Voglio scrivere. Non posso più aspettare. Ho gli occhi nelle mani, e quando scrivo vedo meglio anche con la testa». Nasce così La distanza tra me e il ciliegio, toccante romanzo di esordio diventato ben prima della sua uscita un caso editoriale internazionale. Nelle librerie italiane arriva grazie a Rizzoli, ma all’ ultima fiera di Francoforte l’ editore Hot Keys Books aveva acquistato i diritti per venti paesi. Un lancio pazzesco per una esordiente, anche se negli ultimi tempi l’ attenzione internazionale per le scrittrici italiane è alta. Rosa Ventrella ha venduto i diritti al cinema ben prima che Storia di una famiglia perbene uscisse in Italia per la Newton Compton. E in questi mesi gli editori che hanno deciso di pubblicarla sono aumentati di settimana in settimana: attualmente è in corso di traduzione in diciassette paesi. Il suo romanzo, ambientato nella Bari Vecchia degli anni Ottanta, racconta l’ amicizia e poi l’ amore di due bambini – Maria e Michele – che li preserva dalla violenza del rione e dai colpi della vita. Il successo internazionale era toccato, ancora prima, a Silvia Zucca. La scrittrice, che adesso torna in libreria per Nord con il romanzo Il cielo dopo di noi, aveva venduto i diritti di traduzione del suo esordio, Guida astrologica per cuori infranti, in diciotto paesi. Non ai soli sentimenti è legato l’ interesse commerciale delle nostre scrittrici. Ilaria Tuti ha ottenuto l’ attenzione internazionale con il thriller Fiori sopra l’ inferno. Un’ indagine che ha per protagonista una detective non più giovane e provata dalla malattia. Lei, come le altre protagoniste, è espressione di un universo femminile fragile e forte, che usa la diversità per riscattarsi o che si rifiuta di soccombere.

Gli editori chiedono aiuto agli europarlamentari

La Stampa
E. B.
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A una settimana dal voto del Parlamento europeo sulla tutela del diritto d’ autore online, sbarcano a Bruxelles le delegazioni dell’ industria dell’ informazione per convincere gli europarlamentari a far pagare ai giganti del web l’ utilizzo delle notizie prodotte dal media tradizionali. Così Ricardo Franco Levi, direttore dell’ Associazione italiana editori: «Si contrappongono tra due realtà. Da un lato l’ industria creativa europea, dall’ altro le piattaforme di internet che hanno interesse a veicolare i contenuti pagandoli poco, e meglio ancora niente». e. b. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

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Rassegna Stampa del 07/09/2018

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Indice Articoli

Nove italiani su dieci perla tutela del copyright Le richieste di Fieg e Enpa

Giallo sul tweet della «talpa» del Biscione

Sciopero a Sky contro i trasferimenti punitivi

Pausa pranzo del lunedì, l’ ora magica per chi vende sul web

Scommessa Discovery su food, motori e «Nove»

Il governo del cambiamento è alle prese con i soliti noti

Copyright Ue, italiani a favore

Tv, si riunisce a Milano il mondo della sceneggiatura

Chessidice in viale dell’ Editoria

Discovery diversifica in streaming

Governance Tim e fronte Mediaset l’ assedio di Bolloré per la rivincita

Facciamo Minoli presidente della Rai

Nove italiani su dieci perla tutela del copyright Le richieste di Fieg e Enpa

Corriere della Sera
Maria Elena Zanini
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Nove italiani su dieci sono favorevoli alla norma europea che impone ai colossi Internet come Google o Facebook di tutelare il copyright, e quindi remunerare, i produttori dei contenuti, come i giornali e gli artisti. Il 12 settembre, infatti, a Strasburgo il Parlamento Ue si riunirà per votare la direttiva di riforma del copyright. Fieg e Enpa si sono mosse per chiedere ai parlamentari di schierarsi a favore del diritto d’ autore. E, secondo una ricerca di Harris Interactive dal titolo «Copyright & Us Tech Giant», al loro fianco c’ è l’ 87% della popolazione europea (89% in Italia), favorevole a un giusto compenso per gli artisti e i creatori di contenuti che distribuiscono (o che vedono pubblicati senza compenso) i propri contenuti sulle piattaforme dei giganti hi-tech. La ricerca, commissionata da «Europe for Creators», movimento che riunisce 250 organizzazioni nella Ue, ha coinvolto 6.600 persone in Repubblica Ceca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Romania e Spagna. E il segnale è arrivato, inequivocabile: i cittadini si aspettano risposte concrete. Anche perché il 67% degli europei ritiene che l’ ago della bilancia penda ancora a favore di Google, Apple, Facebook, Amazon & co. E la maggioranza degli intervistati (il 61%) teme che la democrazia sia minacciata dal «potere 4.0». A rischio anche l’ economia: solo in Italia, secondo uno studio di Italia Creativa, il differenziale di valore che le piattaforme online dovrebbero riconoscere agli autori è di circa 260 milioni di euro. Se la direttiva non sarà approvata, i mancati introiti aumenterebbero di oltre 20 milioni l’ anno, per una perdita di oltre 700 mila euro al giorno a danno di giornali ed editori italiani. «Il segnale è evidente: l’ equilibrio dei poteri va riformato a favore dei creatori di contenuti», ha commentato Véronique Desbrosses, direttore generale del Gruppo europeo delle società di autori e Compositori (Gesac), di cui fa parte la Siae. «I cittadini hanno parlato, ora la parola passa ai politici».

Giallo sul tweet della «talpa» del Biscione

Il Giornale

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«Abito in tutti i corridoi tv. Pro e critica con tutti, mai contro. Non tifo per le ingiustizie ma per il futuro sì. Amo l’ azienda come la mia vita». È questa la biografia del BiscioneTv, misterioso profilo Twitter che sul social network ogni giorno cinguetta gossip e indiscrezioni sul mondo della tv e dintorni. Chi si nasconda dietro allo pseudonimo non si sa, di certo è solitamente bene informato soprattutto su ciò che si dice nelle stanze di Cologno. Ecco perchè ieri l’ ultimo suo tweet ha un po’ spiazzato la platea dei cosiddetti follower: «È stato strano, spiazzante parlare con un collega di New York e sapere che, entro due mesi, la Disney definirà in Europa l’ acquisto di Sky, Endemol e Discovery. Una situazione che cambierà in parte anche il prospetto mondiale televisivo e contenutistico», ha scritto IlBiscione. Quale rivoluzione starà per partire? In realtà, è già noto che entro fine settembre verrà deciso a chi andrà la pay tv britannica Sky che, con i suoi 23 milioni di abbonati in Europa, fa gola a due giganti Usa come Disney e Comcast, speranzosi di porre un argine alla diffusione di contenuti a pagamento dei più agili rivali come Netflix e Amazon. Non c’ è dubbio che la mossa rivoluzionerà il mercato dei contenuti anche in Europa. Disney ha già acquisito le attività di entertainment della 21st Century Fox da Rupert Murdoch per 71,3 miliardi di dollari mettendo le mani sui celebri personaggi come X-Men, Deadpool e i Simpsons, completando così il poker di supereroi (The Avengers e Star Wars). Anche in quel caso come sta accadendo in Europa Comcast era il rivale da battere. Nella partita per Sky i rilanci sono affidati alla stessa 21st Century Fox. Il gruppo è infatti già in possesso del 39% di Sky e punta ora a rilevare il restante 61%. Anche in questo caso le offerte delle due società si tallonano. Con Comcast che ha offerto 34 miliardi di dollari ma Fox ha tempo per il rilancio. Con l’ accordo per la Fox Usa, Disney ha messo le mani anche su Endemol Shine che produce format come il Grande Fratello e Masterchef. RE.

Sciopero a Sky contro i trasferimenti punitivi

Il Manifesto

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È scattato ieri lo sciopero delle giornaliste Sky in trasferta «punitiva» a Milano da 5 settimane. La loro colpa? Non aver aderito l’ anno scorso al «mutamento volontario di sede» proposto dall’ azienda, caldeggiato dal Cdr e avallato dal Fnsi con l’ accordo del 6 aprile 2017. La prima punizione per loro era stata l’ allontanamento dal lavoro per 9 mesi. In tre, donne e madri, sono state licenziate a luglio; per altre 4 la sorpresa è arrivata in agosto, con una raccomandata che intimava di presentarsi subito a Milano per una «trasferta comandata» di 2 mesi. È il primo sciopero dei giornalisti non indetto dalla Fnsi, ma da Usb mass media. «La categoria dei giornalisti è la sola a mantenere il sindacato unico, rimasto ancorato all’ idea della salvaguardia dei privilegi, attraverso l’ alleanza col padrone: l’ editore», commenta il giuslavorista Carlo Guglielmi. «Lo sciopero delle giornaliste Sky rompe ufficialmente il monopolio sindacale: è un passo storico, i giornalisti dovrebbero riflettere su ciò che accade nelle redazioni».

Pausa pranzo del lunedì, l’ ora magica per chi vende sul web

Il Sole 24 Ore
Fabio Grattagliano
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Vive a Sondrio, compra online dal personal computer nella pausa pranzo del lunedì, paga preferibilmente con carta di credito e asseconda meno le sirene dello shopping nell’ ultima settimana del mese. È il profilo estremizzato dello shopper addictet online che emerge dalle abitudini degli italiani quando scelgono il canale e-commerce per acquistare prodotti. La fascia magica per chi vende prodotti online è quindi quella compresa tra le 12 e le 15 mentre più in generale viene ulteriormente consolidata la sovrapposizione dei pattern tra consumi fisici ed e-commerce, portando quast’ ultimo in un contesto di piena “maturità”. L’ identikit emerge dall’ indagine annuale realizzata dalla società Alkemy, digital enabler italiano – basata su un campione di circa 80mila ordini portati a compimento da utenti del mercato italiano e relativi agli shop online gestiti dalla società in tutte le principali categorie di prodotti (abbigliamento, prodotti per la cucina, prodotti per l’ infanzia, arredamento, articoli di bellezza, alcolici, bevande, caffé) con l’ esclusione dei servizi (banking, turismo e gaming). Il focus, quindi, è proprio sul comportamento degli acquirenti online rispetto ai fornitori di prodotti e consente anche una comparazione omogenea con i comportamenti d’ acquisto registrati lo scorso anno. L’ analisi per territorio Dal punto di vista geografico la Lombardia consolida il primo posto con la popolazione che effettua nel 2018 un quarto del totale delle transazioni, con un incremento della quota di oltre il 3% rispetto al 2017. Seguono il Lazio, l’ Emilia Romagna, il Piemonte e il Veneto. La graduatoria si scombina parecchio se invece il focus si sposta sulla più significativa graduatoria elaborata in base al numero di acquisti in rapporto alla popolazione. Il numero di ordini effettuati ogni cento abitanti vede sempre la Lombardia al vertice, ma subito dietro troviamo il Trentino Alto Adige, la Liguria e l’ Emilia Romagna, che avnazano in maniera significativa rispetto allo scorso anno. Entrando più in dettaglio e scomponendo i dati per provincia assistiamo a un’ altra conferma, con Sondrio che consolida i primato di territorio con la più alta propensione all’ acquisto online, sempre seguita da Milano. «Da sottolineare la performance di Roma – sottolinea Duccio Vitali, amministratore delegato di Alkemy – che pur recuperando posizioni rispetto allo scorso anno resta sempre fuori dalle prime venti provincie. Con l’ ingresso nelle prime dieci anche di Lecco, Monza e Varese, la Lombardia piazza ben sei provincie nella top ten». In quale giorno si compra L’ acquisto di prodotti online mostra la sua caratteristica “funzionale” osservando la distribuzione all’ interno dei giorni della settimana. Nei primi tre giorni si concentra, infatti, più del 50% dello shopping sul web e non nel weekend, come invece avveniva nell’ era d’ esordio dell’ e-Commerce, quando ad evere il sopravvento era piuttosto il carattere esperienziale e di intrattenimento dell’ acquisto. In assoluto, il giorno preferito dagli utenti italiani resta quindi il lunedì mentre quelli meno frequentati risultano essere la domenica e soprattutto il sabato. «Si consolida ulteriormente il trend che vede gli acquisti online seguire il pattern di quelli fisici – spiega ancora Vitali – con un crollo rilevante durante la quarta settimana del mese, a dimostrazione di come l’ e-commerce sia oramai entrato nei comportamenti quotidiani delle persone e ne ricalchi le dinamiche dei consumi tradizionali, compresi gli effetti della crisi e della difficoltà economica delle famiglie». Dal punto di vista della fascia oraria preferita dagli utenti per compiere transazioni online , invece, è quella compresa tra le 12 e le 15. Come si compra online Nel 2018 il desktop rimane il device per eccellenza utilizzato per comprare online e contestualmente si assite alla stabilizzione del trend di crescita del “mobile” la cui penetrazione resta pressocché stabile dopo un lungo periodo di espansione. Come metodo di pagamento, da annotare infine una flessione del “contrassegno”, scelto dal 13% degli italiani nel 2018 contro il 17% dello scorso anno. Il dato resta elevato ma è il segnale che l’ Italia inizia ad allinearsi al resto d’ Europa spostandosi su carte di credito e Paypal. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Scommessa Discovery su food, motori e «Nove»

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Siamo ai blocchi di partenza della stagione, forti del nostro essere terzo editore nazionale e di una proposta sempre più completa e ricca di novità». Il numero uno di Discovery Italia, Alessandro Araimo, presenta così i palinsesti per il 2018-2019. Una stagione in cui si testerà l’ unione a livello mondiale fra Discovery e Scripps da cui è nata una realtà da 20 miliardi di dollari di capitalizzazione. Scripps ha portato in dote Food Network (sul 33 Dtt) che sarà punto di riferimento per l’ offerta sul food e sarà potenziato con Antonino Cannavacciuolo. Oltre ai canali tematici, per Discovery attenzione sul Nove, 9° canale nazionale e generalista del gruppo che punta su attualità (Saviano, Peter Gomez), approfondimento e intrattenimento. Qui la grande novità: accanto a Maurizio Crozza e Max Giusti, l’ arrivo di Virginia Raffaele. Il tutto con soddisfazione della concessionaria Discovery Media che fra food, motori (canale Motor Trend), kids, generalista e sport (Eurosport) punta a chiudere il 2018 in crescita del 3% (sui 230 milioni) in linea con il primo semestre dell’ anno. Infine per la piattaforma Ott Dplay è in arrivo una versione premium, a pagamento. L’ altro Ott del gruppo, Eurosport Player, forte dell’ esclusiva sul basket, viaggia sui 200mila utenti attivi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il governo del cambiamento è alle prese con i soliti noti

Italia Oggi
ROMANO SILVESTRI
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Si è accesa in queste ore la battaglia per la presidenza della Siae. E nell’ era del «governo del cambiamento» sembra spuntarla il renziano con ottimi rapporti anche con Gianni Letta, Salvatore Nastasi. La prossima settimana i vertici dell’ azienda, che cura i diritti degli autori e degli editori in Italia, si riuniranno e dovranno delineare il futuro della poltrona più importante presieduta fino a poche settimane fa da Filippo Sugar. Ma per arrivare a un accordo tra le anime che compongono il nuovo consiglio di sorveglianza Siae, eletto a fine luglio e che dovrà nominare a breve anche il consiglio di gestione, la strada potrebbe essere non poco tortuosa. Sì, perché Nastasi ha un curriculum, di tutto rispetto, legato a scelte effettuate dalla politica che Movimento 5 Stelle e Lega hanno appena spazzato via. Fino a pochi giorni fa era incaricato commissario straordinario dell’ area di interesse nazionale Bagnoli-Coroglio, poi sono arrivate le sue dimissioni probabilmente spinte da chi nel Movimento gli aveva fatto intendere che i progetti su quell’ area erano diversi dai suoi. Laggiù, a controllare il futuro di Bagnoli, lo aveva inviato proprio il presidente del Consiglio Matteo Renzi con il quale ha trascorso un discreto periodo a Palazzo Chigi nel ruolo di vice segretario generale. Nastasi può vantare, però, incarichi di rilievo anche con la politica di centrodestra. A 29 anni era vice capo dell’ ufficio legislativo del ministero dei Beni culturali di Giuliano Urbani, uno dei fondatori di Forza Italia. A 31, direttore generale dello stesso ministero di Rocco Buttiglione. Stessa carica con Francesco Rutelli al posto di Buttiglione (altra parentesi di centrosinistra). Quindi capo di gabinetto di Sandro Bondi e poi di Giancarlo Galan, di nuovo nel governo Berlusconi, ma anche del ministro del governo Monti, Lorenzo Ornaghi. Proprio dalla sua grande esperienza nel Mibac arriva l’ ispirazione: farlo presidente della Siae. Lì troverebbe, tra l’ altro, un vecchio amico del ministero, il direttore generale Gaetano Blandini. Blandini e Nastasi hanno lavorato a lungo insieme e condiviso le origini «lettiane» oltre a un salotto politico romano dal sapore da Prima Repubblica. Ecco il motivo per cui in queste ore il dg della Siae sta tifando per una presidenza Nastasi, cercando di farlo «digerire» a cantanti e autori che hanno voce in capitolo in questa partita. E su «Salvo» (come lo chiamano gli amici) in molti stanno convergendo, convinti proprio che la sua trasversalità possa essere un vantaggio e che, alla fine, sia gli ottimi rapporti con il mondo dei media (sua moglie è la figlia del potente Giovanni Minoli) sia alcuni ammiccamenti con il 5 Stelle Vincenzo Spadafora, possano giovare. Eppure, proprio dal ministero da dove proviene si sta alzando un malcontento. Gli uffici del ministro Bonisoli non vedrebbero di buon occhio la scelta di un uomo che è espressione di uno o più governi passati. Il Mibac non può esprimersi formalmente sulla partita, ma è chiaro che senza il suo gradimento la partita della presidenza Nastasi si complica. ©Riproduzione riservata.

Copyright Ue, italiani a favore

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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I consumatori europei, e quelli italiani in particolare, credono che sia giusto prevedere un equo compenso per gli autori di contenuti e artisti in generale nel momento in cui le loro opere vengono distribuite online. Lo pensa l’ 87% dei cittadini dell’ Unione europea, sostenuti da una percentuale ancora più alta di italiani (89%), stando alla ricerca Copyright & US Tech Giants condotta dall’ istituto di ricerca Harris Interactive su un campione europeo di 6.600 persone, con più di 18 anni, tra Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna (il campione italiano è composto da 800 persone). I risultati assumono un particolare significato in attesa, il 12 settembre, della votazione della direttiva europea sul copyright (280/2016) da parte del Parlamento Ue, in particolare dell’ articolo 11 che si concentra sull’ utilizzo frequente di articoli di giornali o anche delle loro anteprime da parte di piattaforme digitali come Google, YouTube e Facebook. Un tema sul quale sono scesi in campo gli editori e giornalisti italiani ed europei per chiedere maggiori tutele e la giusta remunerazione per lo sfruttamento online dei contenuti oggi scippati dai big della rete (vedere ItaliaOggi del 5 e del 6 settembre). L’ indagine è stata commissionata da Europe for Creators, movimento di cittadini, creativi e quasi 250 organizzazioni. Non solo i consumatori italiani (ed europei pure) propendono per un giusto compenso per lo sfruttamento di opere altrui sulle piattaforme digitali, ma soprattutto precisano (86%) che devono essere i giganti della rete a dover pagare se utilizzano testi scritti, fotografie o video che siano. «Questi risultati sono inequivocabili. Si tratta di un segnale evidente per i deputati europei in vista del voto della direttiva sul copyright della Ue», ha dichiarato Véronique Desbrosses, direttore generale del Gruppo europeo delle società di autori e compositori (Gesac). «L’ equilibrio dei poteri deve essere riformato a favore dei creatori di contenuti e dei cittadini. I deputati europei hanno nelle loro mani il futuro dell’ Unione europea. I cittadini hanno parlato, ora la parola passa ai politici». La ricerca esplora anche i timori dei cittadini del Vecchio continente verso i big di internet. Per esempio, 4 italiani su 5 (78%), ancora una volta una percentuale più alta rispetto agli altri paesi comunitari, ritengono che le potenze di internet abbiano un potere maggiore rispetto all’ Unione europea. Di conseguenza, il 62% degli italiani, questa volta in linea con la media europea, teme che le multinazionali hi-tech (soprattutto di origine americane) con la propria influenza compromettano il corretto funzionamento della democrazia in Europa. Insomma, oltre al credere necessario un compenso giusto per lo sfruttamento virtuale dei contenuti, il tema sul tavolo si allarga alla «influenza dei giganti del tech globali sul funzionamento della democrazia in Europa. I risultati evidenziano chiaramente che i cittadini si aspettano delle azioni», ha aggiunto Jean-Daniel Lévy, capo dell’ Opinion department di Harris Interactive. Da ultimo, quasi 7 italiani su 10 (66%), in linea con la media europea, giudica che i giganti del web non condividano in modo equo i ricavi generati dalle proprie piattaforme con i creatori di contenuti. Questo dato sottolinea ulteriormente la percezione di ingiustizia subita dagli artisti e dai creativi, che non ottengono una giusta compensazione per i propri prodotti usati dalle grandi compagnie online per produrre profitto.

Tv, si riunisce a Milano il mondo della sceneggiatura

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Storie, narrazioni, sceneggiature che cambiano stile a seconda dei tempi ma anche opportunità di carriera e piattaforme in streaming che raggiungono con le produzioni livelli qualitativi pari a quelli dei grandi studios cinematografici: da Csi a Suburra, da Shameless a Fargo. Tutti questi temi saranno al centro dell’ 11° Convegno internazionale di Srn (Screenwriting research network), in calendario dal 13 al 15 settembre 2018, tre giorni all’ Università Cattolica di Milano per approfondire il rapporto tra il cinema e la narrativa televisiva. A riunirsi così saranno 180 esperti di sceneggiatura da tutto il mondo. Tra i relatori Eleonora Andreatta, direttore di Rai Fiction e direttore esecutivo di Rai Com; Daniele Cesarano, head of drama per Rti (gruppo Mediaset), Neil Landau, direttore del programma di scrittura per la televisione alla Ucla di Los Angeles e autore di libri sull’ evoluzione della scrittura per la televisione, Warren Buckland, reader di Film studies alla Oxford Brookes University, Paolo Braga, ricercatore presso l’ Università Cattolica di Milano, dove insegna Sceneggiatura per cinema e televisione e ancora Luisa Cotta Ramosino, sceneggiatrice e creative producer di progetti internazionali, tra cui serie per Lux Vide (I Medici) e Taodue. Speciale appuntamento aperto al pubblico poi, e inserito nella Movie Week di Milano, è il panel sull’ animazione, previsto sabato 15 settembre, dalle 11 alle 13. Titolo: The American Dream of European Animatio, che avrà come protagonisti tra gli altri Paul Wells, direttore dell’ Accademia di animazione alla Loughborough university nel Regno Unito e presidente di Association of british animation collections, Jordi Gasull, produttore e sceneggiatore, autore di tre fra i film di animazione europei di maggior successo internazionale, Chris Pallant, vicepresidente della Society for animation studies, Gaia Bracco, docente della Civica scuola di cinema Luchino Visconti, Giorgio Scorza, ceo, co-fondatore e direttore artistico dello Studio movimenti production, presidente dell’ associazione Animation Italia e tra i fondatori di ForFun Media, una rete tv italiana per la produzione di serie animate.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Apple, ok dell’ Antitrust Ue all’ acquisizione di Shazam. Via libera della Commissione europea a Apple sull’ acquisizione di Shazam, la società britannica specializzata nello sviluppo di applicazioni di riconoscimento musicale per smartphone e tablet. L’ Antitrust comunitario ha spiegato di aver concluso che l’ aggregazione non comprometterà la concorrenza nello spazio economico comune, soprattutto nei servizi di download a pagamento e streaming audio, perché le due entità svolgono attività complementari e non sovrapposte. Il riferimento è a Apple Music, con cui il gigante Usa commercializza brani ascoltabili sui suoi vari dispositivi, mentre appunto Shazam offre sistemi in grado di riconoscere canzoni e relativi autori sulla base di quanto canticchiato o fischiettato dall’ utente al microfono di un dispositivo (tramite una immediata ricerca via internet). Queste conclusioni sono state raggiunte a seguito di una indagine approfondita, dopo richieste in tal senso anche da Austria, Francia, Islanda, Italia, Norvegia, Spagna e Svezia. «I dati sono fondamentali nell’ economia digitale», ha spiegato la commissaria responsabile Margrethe Vestager. «Quindi dobbiamo valutare attentamente le transazioni che portano all’ acquisizione di importanti database». Radio Italia emittente ufficiale de «Il Tempo delle Donne». Radio Italia è la radio ufficiale della quinta edizione de «Il Tempo delle Donne», l’ evento organizzato dal Corriere della Sera che si svolgerà presso la Triennale di Milano da oggi fino a domenica. L’ emittente garantirà la promozione e la copertura della kermesse sui propri mezzi. Lo staff di Radio Italia sarà presente presso La Triennale di Milano per documentare i vari appuntamenti previsti dal programma. Sul sito www.radioitalia.it sarà visibile una sezione dedicata ricca di foto e video delle diverse giornate e saranno realizzate interviste esclusive con i protagonisti dell’ evento. «Il Tempo delle Donne» vivrà in tempo reale anche sulle pagine social ufficiali di Radio Italia: Facebook, Twitter e Instagram. Arriva De Agostini Vinyl. Nasce De Agostini Vinyl, il nuovo mensile dedicato a tutti gli appassionati di musica a 33 giri con grandi album, artisti, tendenze, interviste e curiosità. Copertina e cover story del primo numero del magazine firmato De Agostini, disponibile in edicola a partire dal 15 settembre, saranno dedicate a Pino Daniele e contemporaneamente prenderà il via la collezione dei suoi album, per la prima volta in vinile 180 grammi. Si parte da Nero a Metà e, poi, ogni 15 giorni sarà disponibile in edicola un nuovo album acquistabile con il magazine. «De Agostini Vinyl nasce dopo il grande successo delle nostre collezioni in tutto il mondo», ha spiegato Nicola Drago, amministratore delegato di De Agostini Publishing. «Tenere in mano un disco di vinile, guardare la copertina o i titoli sul retro, scartarlo e metterlo sul giradischi, ascoltare la puntina che gracchia e poi la musica che finalmente comincia, è un’ esperienza diversa da comandare un piccolo device con il pollice. Per tutti coloro che si divertono a farlo, o per coloro che ne sono anche solo incuriositi, oppure per chi vuole leggere il mondo della musica da un’ altra prospettiva, abbiamo creato la rivista. Dopo le nostre serie iconiche sul jazz, il blues, la classica, il progressive rock italiano, le collezioni monografiche di Beatles, Queen, De André – che insieme hanno venduto oltre 2 milioni di dischi nel mondo – il magazine riserverà, a vecchi e nuovi appassionati del disco nero, altre esperienze uniche». Radio Capital ricorda Lucio Battisti. Domani Radio Capital ricorda Lucio Battisti a 20 anni dalla scomparsa dell’ artista. Per tutto il giorno ci sarà una programmazione dedicata con le più belle canzoni di Battisti tra cui Si viaggiare, Ancora Tu, Non è Francesca, La collina dei Ciliegi. Alle ore 15, invece, sarà on air uno speciale Italian Graffiati dedicato al cantautore e condotto da Silvia Mobili e Riccardo Quadrano. Poste Italiane, tre francobolli dedicati al cinema italiano. Poste Italiane ha presentato ieri al Lido di Venezia tre francobolli dedicati al cinema italiano, emessi dal ministero dello sviluppo economico in occasione della 75. Mostra internazionale d’ Arte cinematografica. I film scelti sono stati Il giorno della civetta, I soliti ignoti e C’ era una volta il West. I tre francobolli (nella foto, quello dedicato a I soliti ignoti) hanno l’ indicazione tariffaria B, corrispondente alla posta ordinaria (1,10 euro) e le vignette sono liberamente ispirate a scene dei tre film con un’ impaginazione che richiama il formato della pellicola cinematografica. Joint venture tra Reworld Media e il Gruppo Chalhoub. Il gruppo francese Reworld Media e il Gruppo Chalhoub, uno dei principali player della distribuzione di beni di lusso in Medio Oriente, hanno siglato una joint venture per la creazione e la distribuzione di contenuti nella regione mediorientale. L’ accordo si concretizzerà nel lancio di piattaforme e soluzioni media innovative.

Discovery diversifica in streaming

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Il gruppo Discovery investe in tutto il mondo in nuove piattaforme streaming a pagamento. Sono soprattutto bambini e motori i temi da cui nasceranno nuovi format, che verranno poi declinati a livello locale, Italia compresa. Tempistica di arrivo: non prima di fine 2018. Le nuove piattaforme over-the-top (ott) si aggiungeranno a Dplay, analogo servizio del gruppo ma gratuito, e a Eurosport player, questo sì servizio pay ma incentrato esclusivamente sulle discipline agonistiche. A proposito dei canali Eurosport, «il rinnovo della partnership con Sky ci sarà», ha confermato ieri a ItaliaOggi Alessandro Araimo, a.d. della filiale tricolore del gruppo Usa con una capitalizzazione da 20 miliardi di dollari (17,2 mld di euro). Però Araimo ha precisato che «l’ accordo procederà come in passato», anche se un’ intesa formale ancora non c’ è e non è detto che restino le stesse condizioni. Piattaforme ott e quindi tv cosiddetta non-lineare, su cui Araimo vede il futuro del piccolo schermo, ma anche nuove trasmissioni per i flussi dei canali tv più tradizionali. Ieri a Milano, infatti, in occasione della presentazione dei palinsesti della stagione 2018-2019, la responsabile dei contenuti Laura Carafoli ha annunciato per mercoledì prossimo, alle 21.25, lo sbarco su Nove di Virginia Raffaele con la trasmissione Come quando fuori piove. Novità che, ha precisato Araimo, «segna il tratto distintivo di Nove tra un posizionamento più sofisticato, un approfondimento più strutturato e la richiesta al pubblico di un coinvolgimento maggiore rispetto ad altri canali». Come Tv8 di Sky? «Il confronto ci sta ma, poste queste differenze, i risultati in termini di audience possono essere diversi», ha risposto l’ a.d.. Fratelli di Crozza con Maurizio Crozza (dal 28 settembre), La Confessione di Peter Gomez direttore del Fattoquotidiano.it (dal 5 ottobre) e Belve di Francesca Fagnani (in seconda serata dal 17 ottobre) sono tra le altre novità del palinsesto del canale. Debutti sono previsti anche per Eurosport con la partnership fino al 2030 con i tornei della Pga (Professional golfers association), per il canale Food Network sotto la direzione artistica di Antonino Cannavacciuolo (impegnato in Con Antonino c’ è più gusto) grazie per esempio a Fatto in casa per voi con la blogger Benedetta Rossi e ancora per lo stesso Dplay (2,5 mln di utenti unici) con Walter presents e una selezione delle serie tv internazionali che non trovano sbocco sui circuiti principali. In particolare, su Real Time andrà in onda l’ ulteriore filiazione di Bake Off Italia (sesta edizione da oggi alle 21.10): Bake Off extra dolce. Dopo Bake Off junior e Bake Off Stelle di Natale, Araimo conferma la strategia di «spalmare su più appuntamenti le trasmissioni di maggior richiamo. Noi non siamo né la Rai né Mediaset che fanno audience con le rispettive ammiraglie: lavoriamo sulla verticalità. Quando un brand piace, fidelizziamo il pubblico in più occasioni di ascolto». Ma se le trasmissioni si concentrano sulle passioni (cucina, motori…) perché non scommettere sulla passione di molti per le serie tv? Perché «è un mondo già coperto. Noi non produciamo serie ma ci occupiamo del real life entertainment, l’ altra grande passione degli spettatori». Se poi una puntata di una serie tv arriva a costare una media di 10 milioni di dollari (8,6 mln di euro), a giudizio del manager, «allora con quel budget mi faccio un canale». Tra televisione non lineare e il flusso dei canali più classici (17 milioni gli spettatori coinvolti in tutto dal network ogni giorno), il business tradotto in cifre è pari a una raccolta pubblicitaria di 224 milioni circa (compresi i 30 mln gestiti da Prs sui canali kids on air su Sky) che, è intervenuto Giuliano Cipriani, a capo della concessionaria interna di Discovery Italia, «chiuderà i primi 9 mesi vicino al +3%» del primo semestre. «Anche i 12 mesi saranno in linea», ha concluso il manager. «Il 2018 è stato un anno viziato da elezioni politiche e Mondiali di calcio in chiaro, che hanno drenato risorse. Il 2018 è stato l’ anno più faticoso». © Riproduzione riservata.

Governance Tim e fronte Mediaset l’ assedio di Bolloré per la rivincita

La Repubblica
ETTORE LIVINI
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MILANO La guerra tra i soci di Tim prosegue ( per ora) a colpi di fioretto mentre Vincent Bolloré – che sull’ ex- monopolio delle tlc rischia di perdere quasi due miliardi – si prepara a riaprire anche il fronte Mediaset su cui, negli ultimi mesi, è rimasto alla finestra. L’ affondo del raider bretone sulla governance di Telecom ha avuto – come previsto – l’ effetto di surriscaldare il clima attorno al cda del gruppo senza riuscire a rivitalizzare i corsi di Borsa dove il titolo ha guadagnato ieri l’ 1%. Dopo le bordate parigine della vigilia («la nuova governance voluta da Elliott sta fallendo») e la replica del presidente Fulvio Conti («stiamo elaborando il piano strategico voluto da Vivendi ») a rispondere ai francesi è stato ieri il consigliere di Tim Massimo Ferrari: «La società non ha bisogno di chiacchiere ma di fatti – ha detto – e i commenti sulla gestione vanno fatti nelle sedi opportune ». Per poi sottolineare «il singolare report di un broker francese ( Exane, ndr) che attacca Telecom con tesi fantasiose». La partita però non è chiusa qui e il mercato attende che Vivendi – primo azionista di Tim con il 23,94% – scopra le carte. Tim ha in programma un cda il 10 settembre per l’ asta sul 5G e un altro più avanti nel mese. Parigi teme che in queste occasioni Elliott possa cogliere la palla al balzo ed estromettere l’ ad Amos Genish. Mossa però a rischio perché Vivendi potrebbe convocare un’ assemblea (o aspettare quella per la nomina della società di revisione) per riprendere le redini del cda. La partita delle tlc non è l’ unico dossier spinoso per Bollorè in Italia. L’ altro è quello di Mediaset. Il finanziere transalpino ha stracciato l’ intesa con Cologno che prevedeva l’ acquisto di Premium per un miliardo e poi ha provato a scalare il Biscione arrivando al 29,9%. La reazione di casa Berlusconi e l’ intervento dell’ Agcom – che l’ ha obbligato a congelare il 20% di questo pacchetto – hanno fermato le ambizioni di Vivendi, che sulle tv di Arcore ha una perdita potenziale di 400 milioni. Mediaset, finora, ha tirato dritto per la sua strada. All’ assemblea di luglio ha proibito la partecipazione del trust che ha preso in consegna per conto di Bolloré il 20% del capitale e l’ unico canale di comunicazione tra i due gruppi sono i legali al capezzale di richieste di danni reciproche. Prossimo appuntamento il 23 ottobre in tribunale. Il manager bretone ha detto a giugno che non intende mollare nessuna delle due partite tricolori. Sul Biscione però i margini di manovra sono molto inferiori di quelli su Tim. Cologno tra l’ altro naviga oggi in acque decisamente migliori rispetto a un paio di anni fa. Il problema di Premium è stato risolto grazie all’ intesa con Sky e la pay- tv, molto ridimensionata, potrebbe andare in utile già da quest’ anno. L’ Opa su Ei Towers assieme a F2I garantirà 500 milioni di plusvalenza buoni per rafforzare le munizioni a disposizione e ridurre i debiti. L’ audience sul target commerciale delle reti cresce e malgrado le difficoltà della pubblicità, Mediaset potrebbe chiudere l’ anno con un utile sufficiente per tornare a distribuire un dividendo. Non solo. Il management della società è convinto che la minaccia di interventi sulle concessioni da parte del governo gialloverde sia un’ arma spuntata visto che non sono possibili interventi ad aziendam. Mentre per rompere definitivamente l’ assedio di Bolloré, è allo studio un’ alleanza paneuropea, necessaria ormai a tutti gli operatori del settore tv per non essere travolti da Netflix & C. I candidati a un matrimonio con Mediaset sono sempre gli stessi: i francesi di Tf1 (il numero uno del gruppo Martin Bouygues è stato paparazzato quest’ estate a Villa Certosa con Silvio Berlusconi) e i tedeschi di ProSiebenSat. I tre gruppi hanno stretto tra di loro partnership commerciali e non è detto che i legami possano essere stretti ancora di più in futuro. Il tempo per eventuali affondi di Bolloré sul fronte Mediaset, insomma, non è molto e le opzioni sul tavolo allo stato sembrano poche. Almeno fino a quando non si troverà una soluzione anche sul caso Tim. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il gruppo di Berlusconi potrebbe stringere alleanze per respingere l’ assalto di Vivendi I protagonisti Nella foto a destra Vincent Bolloré, 66 anni, presidente di Vivendi. Nella foto in basso l’ amministratore delegato di Tim Amos Genish, 58 anni.

Facciamo Minoli presidente della Rai

Libero

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FRANCESCO SPECCHIA Rieccoci con lo psicodramma del cavallo morente. Sulla presidenza Rai torna a soffiare il libeccio della candidatura di Marcello Foa già bocciata dalla Commissione Vigilanza; e Lega e Forza Italia – l’ una ferocemente pro Foa, l’ altra istituzionalmente contro – tornano a mazzuolarsi. Non è un belvedere. Salvini non vuole mollare sul suo protetto il quale, abbandonata la tv svizzera, si ritrova semplice consigliere d’ amministrazione anziano; Berlusconi vede l’ operazione del leghista come un atto di tracotanza. Eppure, una soluzione tecnica che possa accontentare tutti ci sarebbe. Giovani Minoli. Mettere Minoli alla presidenza e allocare – perché il problema è anche questo – Marcello Foa in un ruolo molto più operativo, come la direzione di un tg, il Tg2 o il Tg Regionale che, nell’ ottica leghista, concede a chi lo maneggia un controllo assoluto dell’ informazione territoriale. Sarebbe l’ uovo di Colombo. Minoli nel ruolo del vecchio saggio indirizzerebbe il nuovo amministratore delegato nelle politiche industriali e tra le paludi di un’ azienda conosciuta a memoria. E questo accontenterebbe, diciamola tutta, anche Minoli. Conosco l’ uomo da secoli. Nel bene e nel male è una specie di Conte di Cavour dei palinsesti; è un leader di visione che sa di televisione. Nutre per la tv di Stato che l’ ha lanciato e fatto crescere sin dal lontano ’72 , una pertinace, geometrica, quasi commuovente affezione (non sempre corrisposta). Le sue frasi molto assennate sulla struttura stessa del servizio pubblico, la sua antica ossessione, sono oramai oggetto di plauso e critica a seconda dei punti di vista politici. LE FRASI «La Rai deve essere servizio pubblico, bisogna recuperare la funzione pedagogica, sennò a cosa serve?»; «oggi la Rai purtroppo invece di essere in mano a uomini di prodotto, è in pugno a una stratificazione di burocrati invincibili che commissionano i programmi ai soliti esterni. Così i 15 mila dipendenti restano l’ ultima stazione del welfare cattocomunista dove nessuno è in grado di fare una scaletta di programmi»; o «i produttori esterni sono il vero problema»; o «i tg così fatti in Rai sono obsoleti, devono essere approfondimenti di 10 minuti inseriti in un flusso di notizie. Il resto è intrattenimento, cinema, fiction»: più che affermazioni tecniche, le suddette, diventano un mantra per chiunque volesse mettere a frutto l’ immenso patrimonio della prima industria culturale del Paese. E l’ operazione avverrebbe saltando le lottizzazioni stratificate in ere geologiche dai partiti ed evidenziando le professionalità. Qualche anno fa, preso da un furore biblico, Minoli si azzardò perfino a proporre un Piano di ristrutturazione interno di viale Mazzini che era peggio del Piano Solo; un’ apocalisse delle incompetenze che prevedeva 5000 esuberi su 15mila dipendenti: «serviva operare chirurgicamente, togliere le metastasi». Un progetto che, ovviamente, affogò nei cassetti dei vari direttori generali. SPIRITO GRILLINO Sicché, nello spirito grillino del «presentate i curricula, valutiamo solo la professionalità», uno schema che ha funzionato col fresco ad Rai Salini, Minoli che ha presentato un curriculum spaventoso solo per fare il membro del cda, sarebbe in fondo il più adatto per fare il presidente. Ci fu un tempo non lontanissimo in cui, Berlusca reggente, Minoli doveva diventare proprio il direttore generale, il suo sogno. Questo prima dell’ avvento di Gubitosi a capo della Rai (uno che a Giovanni fece saltare tutta la struttura pluripremiata de La Storia siamo noi, salvo, poi, inspiegabilmente, concedergli i diritti d’ uso dei video esclusivi, pur di toglierselo dalle palle…). Leggenda vuole che quel sogno da numero uno del settimo piano venisse infranto per problemi, diciamo, tecnici riferibili ai contratti della Lux, la casa di produzione del suocero Ettore Bernabei tra i primi fornitori Rai. Eppure un Minoli dg non avrebbe dato scandalo. Non esistono un know how e un’ esperienza, come le sue: capostruttura, direttore di rete, produttore di industria televisiva (Un posto al sole, 1700 posti di lavori creati a Napoli), giornalista inventore dei Faccia-a-faccia, talent scout (ha lanciato tutti i migliori da Giletti alla Gabanelli). Sempre con grandi successi. Certo Minoli è più narciso della media dei giornalisti narcisissimi giornalisti italiani. Sa di essere bravo e spesso te lo fa pesare. Ricordo una spietata intervista pubblica a Dogliani con l’ allora ad Rai Campo Dall’ Orto preso a sberle sui fondamentali, roba da invocare la Corte Europa dei diritti dell’ uomo. In più, Giovanni sa navigare tra i marosi della politica. Quando chiusero il suo programma, quasi l’ intero Parlamento vibrò di sdegno come un sol uomo. Direi a Salvini e Di Maio, e al ministro Tria, che forse bisognerebbe cominciare a farci un pensierino… riproduzione riservata Giovanni Minoli è il papà dei Faccia-a-faccia e uno scopritore di talenti (Giletti e Gabanelli)

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Rassegna Stampa del 08/09/2018

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Indice Articoli

Ecco le partite trasmesse in chiaro dalla Rai

Elio: “Odio i processi online”. Zilli: “Sky decide, ma il rock può violare le regole”

Il fattore Asia: a rimetterci sarà soltanto lo spettacolo

La serie A li fa ricchi

PATTO SKY-RAI UN’ ITALIANA AL MERCOLEDÌ

Diritto & Rovescio

La tutela del copyright nelle mani della Ue

Troppo potere ai big della rete

Chessidice in viale dell’ Editoria

Copie, luglio non inverte la rotta

Rai, Conte insiste su Foa e rilancia: “Rivedremo le concessioni tv”

” Mobilitazione europea per il diritto d’ autore in Rete”

Minoli è bravo per questo non diventerà presidente Rai

Di Maio e Bonafede gli voltano le spalle

Accordo Sky-Rai: mercoledì Champions in chiaro

Tavole e fumetti inediti La mostra per i 70 anni del ranger Tex Willer

Ecco le partite trasmesse in chiaro dalla Rai

Corriere della Sera

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Real Madrid-Roma il 19 settembre segna il ritorno della Champions League sulla Rai. La tv di Stato ha acquistato i diritti in chiaro della miglior partita di una squadra italiana al mercoledì, oltre a semifinali, finale e Supercoppa europea. Si gioca con il nuovo orario, alle 21: della fase a gironi andranno in onda Napoli-Liverpool (3/10), Barcellona-Inter (24/10), Juventus-Manchester United (7/11), Tottenham-Inter (28/11) e Young Boys-Juve (12/12). Tutti gli altri match della competizione saranno trasmessi solo da Sky.

Elio: “Odio i processi online”. Zilli: “Sky decide, ma il rock può violare le regole”

Il Fatto Quotidiano
SIlvia D’ Onghia
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“Internet e i social si sono trasformati in un mostro che inghiotte tutto”. Giovedì sera la prima puntata del programma andata in onda su Sky è stata l’ argomento più discusso proprio sui social network e in tantissimi hanno preso le difese della regista. Magari gli stessi che in passato l’ avevano insultata: “Internet è un’ arma potentissima, a doppio e triplo taglio – spiega Elio al Fatto -: così come non mi piace usarla in bene, la odio quando genera effetti devastanti”. Il leader delle Storie Tese – che proprio quest’ anno hanno lasciato le scene con il loro Tour d’ addio – parla di “processi sommari, senza prove, basati sui like, che si aprono e si chiudono in un attimo. Io sono un po’ vecchio stampo, vorrei vedere dei fatti, delle prove”. Elio preferisce non entrare nel merito dell’ affaire Asia Argento allontanata “di comune accordo” dalla giuria di X Factor, ma quando gli si chiede se trova giusta la scelta della produzione di mandare in onda le puntate registrate, che vedono la presenza della regista, ammette: “In questa storia di giusto non c’ è niente. Ma mi sembra una scelta obbligata: sarebbe stato impossibile rimontare tutto. E lo dico perché come giudice ho partecipato a varie edizioni di X Factor, so come sono organizzati. A meno di non comportarsi come negli Stati Uniti, dove hanno cancellato Kevin Spacey sostituendolo all’ improvviso con un altro attore. Ma lì siamo alla crudeltà”. Certo, è anche vero che – considerando che contro Asia non ci sono procedimenti penali aperti, almeno finora – si poteva anche scegliere di proseguire con lei: “Le scelte che ha fatto negli anni Sky sono state contestate, ma poi in gran parte si sono rivelate azzeccate. Compresa la stessa Argento: quando è stata presa sono piovute critiche. E invece adesso sono in tanti a prendere le sue difese”. E tra i tanti c’ è anche Nina Zilli , anche lei tra gli “ex” giudici e data nei giorni scorsi in pole position per sostituire proprio Asia: “Lo sapevo benissimo – racconta al Fatto -, non avevo dubbi che sarebbe stata bravissima perché conosce a fondo la musica e chi conosce la sua storia lo sa. Sapevo che l’ avevano scelta per questo”. La cantautrice non ha potuto vedere la puntata di giovedì perché in tournée, ma non risparmia una stoccatina al programma: “Non ho gli strumenti di conoscenza per giudicare il caso che l’ ha coinvolta. Capisco l’ esigenza di un network che avrà le sue regole, però noi siamo rock’ n’roll, per cui, se serve, le regole le dobbiamo pure violare”. Tra le migliaia di tweet e post arrivati a sostegno della regista durante la messa in onda, ce ne sono alcuni di colleghi dello spettacolo. “Gran peccato che Asia non sia il quarto giudice – ha scritto Alba Parietti su Instagram -. A me, soprattutto in questo contesto, mi piace moltissimo. Asia avrà i suoi difetti, non ho condiviso molti atteggiamenti, non ho condiviso il voler personalizzare la battaglia sulla violenza, facendo secondo me più parlare di sé che del vero problema diffuso e generalizzato sulle fasce più deboli. Che lei certo non può rappresentare. Ma cazzo, questa volta per la legge del contrappasso ha pagato un prezzo troppo alto. [] Asia ha talento è un gran bel personaggio, dark, un angelo nero sofferente, antipatica ma perché non vuole piacere per forza. È forte, perfettamente integrata nella giuria”. Sempre su Instagram le ha fatto eco il coreografo Luca Tommassini , che negli anni scorsi ha curato tutte le esibizioni dei live: “Dopo la prima ora della nuova edizione di #xf12, la prima certezza: cacciando #AsiaArgento, #sky si è fatta un danno enorme. Complimenti a chi ha preso questa decisione illuminata”. Dalla regista e scrittrice Francesca d’ Aloja su Twitter addirittura un avvertimento: “Dite quello che vi pare ma @AsiaArgento è BRAVISSIMA # XF12 ve ne pentirete”.

Il fattore Asia: a rimetterci sarà soltanto lo spettacolo

Il Fatto Quotidiano
Daniela Ranieri
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“No, X Factor no, dai”. Fino a un paio di anni fa, era questa la reazione obbligata di noi gucciniani adorniani con la puzza sotto al naso, anti-snob in tutto tranne che nella musica (pure quella pretesa popolare), indifferenti alla febbre dei talent show visti come diseducativi contenitori per la competizione tra rapaci non talentuosi, capaci di assecondare il carattere masochistico dello spettatore oltre che dei concorrenti e di sfornare prodotti commerciali privi di aura. Era ovviamente un antidoto alla spaventosa ipotesi di essere come tutti, una professione di fede nella canzone d’ autore (preferibilmente italiana), nell’ ascolto privato (o concertistico, ma senza telecamere), nel talento quale forza che emerge da sé come nei poeti romantici, senza bisogno del doping della effimera gloria della società dello spettacolo, che è “il capitale divenuto immagine” e dove “il vero non è che un momento del falso” (Guy Debord). Sicché, davanti a quello che ci pareva un karaoke dei padroni, ci siamo sempre detti “manco morti”. Poi si sono viste per caso alcune puntate, e siamo guariti. X Factor, format britannico esportato da noi e altrove con pochissime variazioni, è un programma strepitoso. Si è capito che l’ X Factor è sempre esistito, solo che prima si chiamava fuoco sacro, o quid, ed è quel qualcosa di indefinibile e inqualificabile capace di detonare l’ esperienza dell’ unicità; l’ esibizione dal vivo, davanti a una giuria di esperti famosi, di una pletora di aspiranti cantanti, duetti o band, ci è apparsa non come il delirio narcisistico di una generazione in perenne attesa in ufficio di collocamento, ma come una performance teatrale, artistica e antropologica carica di straordinaria potenza. Giovedì sera abbiamo confermato questa convinzione. Come in ogni ambito dell’ ingegno umano, ci sono i furbastri, e chi si fa sanguinare i polpastrelli per allenarsi tutti i giorni per provare quel riff; chi pensa di stare alla Corrida, e chi senza sforzo fa risuonare un suono umano, disperato o felice; chi fa il cretino come fosse su Facebook, e chi porta sul palco un’ aura speciale. Ma questa edizione ci conferma anche ciò che avevamo anticipato su queste pagine in un pezzo sulla censura sessuofobica da Codice Hays che si è abbattuta sul mondo dello spettacolo dopo le denunce del #MeToo. Per doppio paradosso, stavolta, a farne le spese è una delle persone che hanno contribuito a fondare e diffondere il movimento, cioè Asia Argento, che è contestualmente giudice in questa edizione. Cioè, lo è ancora, ma non lo è più, come il gatto di Schrödinger. Perché, con la motivazione che “nessuna polemica deve interferire con la gara”, il canale ha deciso di mandare in onda le puntate registrate in estate, prima che un tale Bennet denunciasse pubblicamente Asia Argento di aver fatto sesso con lui quando aveva 17 anni (un reato in certi Stati d’ America), e di sostituire Argento con un altro giudice per i live, cioè per le puntate future in diretta, nella presunzione che la supposta copula tra la irregolare artista e uno sconosciuto attorino potesse turbare il regolare svolgersi della gara (il manifestarsi del fattore X) o sottrarre manciate di share di benpensanti al popolarissimo programma. E qui Sky e FremantleMedia, che lo produce, ci hanno assai deluso (si fa per dire: sopravviveremo). Chiunque abbia visto la prima puntata sa che quella di licenziare la Argento è una scelta sbagliata sul piano autoriale, oltre che ipocrita. Insieme a Manuel Agnelli (rigoroso), Fedez (una macchina da guerra) e Mara Maionchi (la più brava di tutti i talent di sempre), Asia Argento è perfetta nel ruolo: pensante, ironica, autentica, il contrario di quello in cui la sua battaglia, dialetticamente rovesciata, la stava trasformando. Sky non ha rinunciato a sfruttare la sua popolarità, mai così alta come in questo suo momento biograficamente difficile, salvo disfarsi di lei per adeguarsi a un Super-Io collettivo repressivo che mal sopporta, da sempre, gli artisti incontrollabili, liberi, sessuati, figuriamoci se donne.

La serie A li fa ricchi

Il Foglio
ANDREA DI BIASE
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Sembra di essere tornati indietro negli anni, quando il boom del mercato dei diritti tv determinò un’ impennata del monte ingaggi della Serie A fino alla cifra record di 1,1 miliardi raggiunta nel 2011-2012. Stagione, quella, archiviata con un rosso di bilancio ag gregato di 282 milioni e con la fine dei cicli vincenti dell’ Inter di Moratti e del Milan di Berlusconi. Dopo alcuni anni di austerità il record sul fronte degli stipendi è stato battuto proprio quest’ anno, in concomitanza con l’ avvio del nuovo ciclo triennale dei diritti tv. Sebbene le aspettative di molti presidenti fossero più alte, l’ asta dei diritti audiovisivi della Serie A relativa al triennio 2018-2021 si è comunque chiusa con un aumento dei proventi complessivi, cresciuti fino a 1,4 miliardi a stagione dagli 1,16 miliardi annui del triennio 2015-2018. Merito di Sky e Dazn, che per aggiudicarsi i diritti del campionato hanno investito rispettivamente per 780 e 193 milio ni (per un totale di 973 milioni), della Rai, che pagherà 33,5 milioni per Coppa Italia e Supercoppa (22 milioni nello scorso triennio), ma soprattutto dell’ ame ricana IMG, che ha messo sul piatto 371 milioni a stagione (191 milioni nel precedente ciclo) per i diritti della Serie A all’ estero. Al netto della mutualità, delle commissioni ad Infront e del paracadute per i club retrocessi in B, in questa stagione le 20 società di Serie A dovrebbero dunque spartirsi circa 1,14 miliardi. Risorse che, come accaduto nel 2011-2012, finiranno pressoché totalmente nelle tasche dei calciatori. Secondo le rilevazioni della Gazzetta dello Sport il monte ingaggi della Serie A 2018-2019 ha infatti raggiunto quota 1,13 miliardi, con un incremento del 18% rispetto ai 955 milioni del 2017-2018. Un pericolosa inversione di tendenza rispetto al progressivo riequilibrio dei conti degli ultimi anni? Non è detto. L’ aumento del monte stipendi è infatti prevalentemente legato agli investimenti dei top club. Dei 174 milioni di maggiori spese per stipendi rispetto al 2017-2018, circa 138 milioni riguardano le prime 6 classificate dello scorso campionato, 4 delle quali (Juventus, Napoli, Roma e Inter) potranno contare sugli introiti della nuova e più ricca Champions League per compensare i maggiori costi a bilancio.

PATTO SKY-RAI UN’ ITALIANA AL MERCOLEDÌ

Il Giornale

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Grazie all’ accordo che la Rai ha siglato con Sky, che detiene i diritti tv sulla Champions League per i prossimi tre anni, si potrà vedere ogni mercoledì la partita di un’ italiana in chiaro. I match andranno in onda su Rai 1. Si partirà il 19 settembre con Real Madrid-Roma e, tra le altre, anche andata e ritorno di Juventus-United e la trasferta dell’ Inter a Barcellona. Oltre alle italiane sarà possibile vedere le due semifinali, la finale e la Supercoppa europea del prossimo agosto.

Diritto & Rovescio

Italia Oggi

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Anna Finocchiaro, dopo 31 anni in Parlamento, è basita. Non riesce a capire come mai il pentastellato Alfonso Bonafede, dopo che lei è stata bocciata dagli elettori nel corso delle ultime elezioni politiche, non gli riservi un posto di riguardo al ministero della Giustizia. Gli ex comunisti (poi variamente denominati, ma sono sempre gli stessi) sono stati abituati, grazie a Silvio Berlusconi, che, quando vincevano, si prendevano i posti e, quando perdevano, li aumentavano. Questa regola antidemocratica (e comunque suicida per chi vinceva le elezioni) obbediva al principio del Cav, noto commerciante, del «tenerseli buoni». Un principio che ha ossificato il sistema. Si spiega solo così, ad esempio, come mai la Rai sia piena solo di giornalisti di sinistra. La dimostrazione? Senza ricorrere alle biografie (che pure sono eloquenti) basta tenere presente che un giornale clandestino come il Manifesto è il prezzemolo di tutte le rassegne stampa. Tutte. Persino quelle di Mediaset e di Sky. Con M5s e Lega la pacchia sta finendo. Avanti gli altri. Peggio, non possono essere. E almeno si cambia fianco.

La tutela del copyright nelle mani della Ue

Italia Oggi
Mauro Masi
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Il calendario ci segnala due eventi che seppur diversi (uno è un anniversario; l’ altro un termine di legge) sono entrambi connessi al filo rosso che oggi lega il variegato mondo delle ict e cioè il ruolo predominante dei motori dei ricerca, il vero Grande Fratello della contemporaneità. Ebbene lo scorso martedì 4 settembre sono passati 20 anni dalla nascita ufficiale di Google o meglio di Googol (parola che in matematica indica un numero con 1 seguito di 100 zeri) come lo avevano chiamato originariamente i suoi fondatori Larry Page e Sergey Brin, il motore di ricerca basato su un algoritmo innovativo rispetto a quelli allora esistenti (Explorer; Alta Vista) che ha cambiato il web e attraverso il web il mondo. Oggi è usato dal 90% delle persone che navigano in rete, ha oltre un miliardo di utenti diretti con i suoi servizi: YouTube, la piattaforma Android (usata da due miliardi di smartphone), Chrome e Gooogle maps. Big G vale in Borsa più di 850 miliardi di dollari e gestisce oltre la metà della pubblicità online che a sua volta è una parte sempre più preponderante della spesa pubblicitaria complessiva cosa che ha ridimensionato in via (forse) definitiva la stampa tradizionale. E qui si viene al secondo appuntamento: il prossimo mercoledì 12 settembre il Parlamento Ue si riunirà per votare il testo della nuova e contrastatissima direttiva per la tutela del diritto d’ autore su Internet. Come noto, lo scorso luglio il Parlamento di Strasburgo si era spaccato in due (278 a favore, 318 contrari e 31 astenuti) rinviando tutto di due mesi per definire nuovi emendamenti; l’ avvicinarsi delle votazioni ha scatenato di nuovo la lotta tra lobby contrapposte (ben note a chi segue questa rubrica): da un lato quella legata alle over the top (guidate proprio da Google) per convincere gli eurodeputati a lasciare le cose come stanno, dall’ altro soprattutto gli editori di giornali tradizionali che puntano a far introdurre una adeguata remunerazione per l’ utilizzo che dei loro contenuti viene fatto sulla rete attraverso i motori di ricerca (indovinate da chi? Google naturalmente). Ai legislatori europei resta in capo una decisione molto difficile che dovrà contemperare le giuste esigenze della tutela del diritto d’ autore/copyright con quelle della democrazia digitale: per esempio aprendo spazi sempre più ampi alla ricerca di intese tra le parti. Il dibattito al Parlamento Ue dovrà poi sgombrare il campo ad un dubbio che in molti, non solo al di fuori della Ue, si sono posti e cioè che la nuova direttiva nasconda in realtà anche la voglia di difendere il «prodotto» europeo a scapito dei giganti high-tech americani e (in prospettiva) cinesi. Se questo fosse, temo che la strada legale serva a poco: Google si è guadagnata la sua attuale posizione oggettivamente «dominante» non con l’ utilizzo di pratiche discutibili (tipo quelle di Microsoft contro Netscape della fine degli anni 90) ma con una conclamata superiorità del proprio prodotto rispetto ai concorrenti. Le imprese europee semmai dovrebbero essere aiutate ad elaborare un algoritmo più efficace di quello di Big G. Se ci riescono.

Troppo potere ai big della rete

Italia Oggi
MARCO LIVI
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I consumatori italiani ed europei utilizzano tutti i giorni social network e piattaforme di e-commerce alla Google, Facebook, Apple e Amazon ma sono consapevoli che, a fronte di quei servizi, i giganti hi-tech consolidano una sempre più ampia influenza su tutta l’ Unione Europea. Tanto che, dovendo scegliere tra Bruxelles e colossi del web, vedono il centro di maggior potere in questi ultimi. Lo pensa il 78% degli italiani, lo conferma il 67% degli europei. Più precisamente le società tecnologiche, spesso americane, distorcono le informazioni nei singoli paesi comunitari (52%), ne minano la sovranità (54%) e mettono a rischio la privacy dei loro cittadini (63%). Ecco perché, stando alla ricerca Copyright & US Tech Giants (vedere ItaliaOggi del 7/9/2018) condotta dall’ istituto di ricerca Harris Interactive, l’ 86% degli italiani pensa che siano le piattaforme digitali a dover pagare con un’ equa remunerazione i contenuti pubblicati online di altri autori o artisti. Opinione condivisa dall’ 81% degli europei, in vista dell’ approvazione mercoledì prossimo della direttiva europea sul copyright (280/2016) da parte del Parlamento Ue, in particolare dell’ articolo 11 che si concentra sull’ utilizzo frequente di articoli di giornali o anche delle loro anteprime da parte di piattaforme digitali come per l’ appunto Google, YouTube e Facebook. Tema, quello del diritto d’ autore, che sconfina nella vita democratica del Vecchio continente e perciò viene in evidenza dai giudizi espressi dal campione dell’ indagine svolta su 6.600 cittadini comunitari, con più di 18 anni, tra Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna (il campione italiano è composto da 800 persone). Peraltro, oltre alla ricerca commissionata da commissionata da Europe for Creators, movimento di cittadini, creativi e quasi 250 organizzazioni, anche gli editori di giornali (italiani e non) e i giornalisti dei singoli paesi membri hanno lanciato una lettera aperta e un appello a sostegno di un nuovo copyright. Il 62% degli italiani ritiene espressamente che Google, Facebook, Apple e Amazon influenzino il corretto svolgimento della vita democratica Ue. La media corrispondente in Europa è del 61% e, nel dettaglio, sono i tedeschi (66%) che più la pensano come gli italiani. Di conseguenza, nel caso di una maggiore tutela del copyright allo studio del Parlamento dell’ Unione europea, il 58% degli italiani è «completamente» d’ accordo con un livello più alto di protezione e remunerazione così come il 37% degli europei. Operativamente, infine, il 66% degli italiani pensa che una più equa ripartizione dei ricavi tra piattaforme digitali e autori dei contenuti distribuiti online sia una strada da percorrere. D’ accordo, sempre al 66%, la media degli europei. Ma in quest’ ultimo frangente a italiani e tedeschi, come percentuale più alta, si aggiungono anche i francesi.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Rai Radio2, al via il nuovo palinsesto. Partirà da lunedì prossimo il nuovo palinsesto di Rai Radio2 che vede tra le novità principali i microfoni aperti e il numero 06.3131 sempre attivo per condividere con gli ascoltatori ogni momento del giorno e della notte. Alla mattina, dalle 6.00 alle 7.30 il buongiorno arriverà da Caterpillar AM per proseguire con Il Ruggito del Coniglio, Radio2 Social Club’ e Non è un paese per giovani. Dalle 13.45 alle 14.00 spazio alla nuova striscia quotidiana 610 Risponde con Lillo & Greg e Alex Braga pronti a rispondere alle domande e alle sollecitazioni degli ascoltatori. Dalle 14 alle 16 un’ altra novità: La versione delle due, magazine tutto al femminile in cui Andrea Delogu e Silvia Boschero affronteranno gli argomenti e i temi del giorno e di maggiore interesse con esperti e radioascoltatori. Tra le 16 e le 17.30 Mauro Casciari, Corrado Nuzzo e Maria Di Biase saranno in onda con Numeri Uni, mentre dalle 17.35 alle 18 torna il drive time di 610 con Lillo & Greg e a seguire Caterpillar. Dalle 20 alle 21 sarà la volta del programma di enogastronomia Decanter, seguito da Back2Back con Ema Stokholma e Gino Castaldo e Pascal. Dalle 23.30 fino a mezzanotte e mezza ci sarà ME anziano YOUtuberS, mentre fino all’ 1.30 sarà la volta di Rock and Roll Circus. Lunatici, invece, sarà in onda dal lunedì al venerdì dall’ 1.30 alle 6 del mattino e il sabato dalle 24 alle 5. Rai, insediata al Mise la commissione su contratto di servizio. Si è insediata nella sede del ministero dello sviluppo economico la Commissione Paritetica prevista all`articolo 22 del Contratto di servizio Rai. La Commissione, composta da otto membri, quattro designati dal ministero e quattro designati dalla Rai, ha l`obiettivo di definire le più modalità operative di applicazione e di sviluppo delle attività e degli obblighi previsti nel Contratto. La Gazzetta a tutto volley. La Gazzetta dello Sport con tutta la piattaforma informativa, quotidiano, sito, social, il settimanale Sportweek e l’ inserto del venerdì V come Volley, è pronta all’ appuntamento con i campionati mondiali di pallavolo che si giocano in Italia e Bulgaria da domani al 30 settembre, con speciali, pagine e contributi digitali, soprattutto nelle date che vedono protagonista la nostra nazionale. Oggi è in edicola Sportweek con un servizio sulla stella della nazionale italiana, lo schiacciatore della Lube Osmany Juantorena, e le principali informazioni sulla competizione. Domani Fuorigioco pubblicherà un servizio sulle battute di Ivan Zaytsev. Per i tifosi italiani, intanto, su Gazzetta.it è partito il concorso #PassioneAzzurra: in palio una giornata a fianco della nazionale azzurra per dieci vincitori e oltre 200 altri premi. Mattel lancia la sua divisione cinematografica. Il colosso dei giocattoli che ha tra i suoi marchi Barbie, American Girl, Fisher-Price e Hot Wheels, ha deciso di investire sul cinema arruolando il produttore Robbie Brenner. A lui il compito di realizzare in casa pellicole mentre la distribuzione sarà affidata ad altri. «La creazione di Mattel Films ci permetterà di sprigionare un valore significativo», ha dichiarato il nuovo ceo di Mattel, l’ ex top manager di Endemol Ynon Kreiz. A Elena Ianni il marketing di Schibsted Italy. Schibsted Italy, la digital company che opera in Italia con i brand Subito, InfoJobs e Pagomeno, ha nominato Elena Ianni marketing director. Nel suo nuovo incarico la manager assume la responsabilità di tutte le attività di marketing per Subito e InfoJobs a riporto diretto del ceo Melany Libraro. Laureata in economia aziendale presso l’ Università degli Studi di Firenze, Elena Ianni ha iniziato la sua carriera nell’ ambito del marketing finanziario a Londra con ruoli di crescente responsabilità tra cui marketing manager alla Royal Bank of Scotland. Nel 2011, dopo aver conseguito un master in Strategic Marketing Management presso la Kingston University, ha ricoperto la carica di Product Marketing Manager di Google e successivamente di Twitter. In quest’ ultima, come Head of Marketing Small&Medium Business Emea, ha sviluppato e lanciato il prodotto ADV in oltre 20 paesi. Rientrata in Italia come Head of Marketing Italy di Twitter, è passata poi in Salesforce come Regional Marketing Manager.

Copie, luglio non inverte la rotta

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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A luglio sono quattro i quotidiani italiani a crescere: Libero su del 6,3% nelle diffusioni complessive carta+digitale, Quotidiano Nazionale Qn-Giorno su del 5,9%, Avvenire dell’ 1,1%, Fatto Quotidiano dello 0,7% secondo le rilevazioni sul mese targate Ads e confrontate con giugno 2018. Quindi una testata in più rispetto alla media dei segni positivi nei precedenti monitoraggi. Ma guardando a tutti i quotidiani esaminati (pubblicazioni locali comprese per esempio) si sono perse 213,1 mila copie pari al -6,6% nel giro di 31 giorni. È un trend non molto distante dal dato pre-ferie di giugno (-6,1%) e maggio (-7%), che può sfatare lo stereotipo che estate e maggior tempo libero spingano alla lettura. Lontani i tempi delle elezioni a marzo e aprile, quando la contrazione riduceva rispettivamente a +0,9% e -1,2%. A luglio scorso, quindi, la maggior parte dei quotidiani arretra: Giornale del 12,2%, Stampa dell’ 11,5%, Messaggero dell’ 11%, Quotidiano Nazionale Qn-Telegrafo dell’ 8,6%, Quotidiano Nazionale Qn-Nazione del 6,6%, Quotidiano Nazionale Qn-Resto del Carlino del 6,5%, Sole 24 Ore del 3,9%, Verità del 2,4% e Corriere della Sera del 2,3%. Repubblica è l’ unico giornale che, nelle diffusioni complessive carta+digitale, si ferma intorno al punto percentuale (-1,2%). Tra gli sportivi Corriere Sport-Stadio va giù del 17,4% e del 16,1% di lunedì, TuttoSport del 9,1% e del 10,1% al lunedì, Gazzetta dello Sport del 7,3% e del 7,7% al lunedì. Riordinando le testate, Corriere della Sera, Repubblica e Quotidiano Nazionale-Qn (dorso sinergico di Giorno, Nazione, Resto del Carlino e Telegrafo, terzo con 214.978 copie complessive carta+digitale a 8.036 di distanza dal quotidiano edito da Gedi). Al quarto posto, però, balza di una posizione la Gazzetta dello Sport anche grazie alla spinta dei Mondiali di calcio che si sono disputati proprio a luglio. Allo stesso modo il lunedì della Gazzetta dello Sport arriva al quinto gradino mentre il Sole 24 Ore retrocede di due (è sesto). Torna il consueto ordine dal settimo gradino in poi con Stampa, Avvenire e Messaggero. Il Corriere Sport-Stadio mantiene il 10° posto. In edicola, rimangono solo tre quotidiani a crescere: sono Libero +6,7%, Avvenire +6,1% e Qn-Giorno +5,9%. Il Fatto Quotidiano svolta in negativo (-4%). Terreno su cui Repubblica scivola a -11,8%, il Sole 24 Ore a -10,8% e, di contro, il Messaggero argina in parte le perdite a -7,4%. In negativo, poi, Corriere Sport-Stadio (-15,5% e -14,7% con l’ edizione del lunedì), Stampa (-13,6%), Giornale (-12,8%), Qn-Telegrafo (-9,1%), Gazzetta dello Sport (-7,6% e -8,1% al lunedì), TuttoSport (-7,4% e -9,6% al lunedì), Qn-Resto del Carlino (-7,1%), Qn-Nazione (-6,9%), Verità (-2,6%) e infine Corriere della Sera (-2,2%). Nella classifica a 10 Qn scalza il Corriere della Sera dal primo posto ma l’ alternanza tra i due è ormai un movimento perpetuo. A luglio la differenza è di 708 copie. Invece terzo e quarto posto vengono, nell’ ordine, occupati da Gazzetta dello Sport in settimana e al lunedì, facendo slittare di due posizioni Repubblica (ora quinta). Stabile al sesto la Stampa, seguita da Messaggero, Corriere Sport-Stadio e la sua edizione del lunedì. TuttoSport torna nella top ten, seppur in ultima posizione, mentre il Giornale (a giugno decimo) passa al 12° posto. Il digitale provvede ancora a dare il suo contributo a sostegno del risultato diffusionale complessivo, almeno nel caso di Repubblica che va a +70,3%, Verità a +46,8%, Libero a +36,6%, Qn-Giorno a +25,2%, Avvenire a +24%, Qn-Resto del Carlino a +19,3%, Fatto Quotidiano a +16,1%, Qn-Nazione a +15,3%, Giornale a +11,9%, Messaggero a +5,9% e Sole 24 Ore a +2,2%. Invece TuttoSport fa -18% e -18,4% al lunedì, Corriere Sport-Stadio fa -14,7% e -15,6% al lunedì, Gazzetta dello Sport -10,5% e -10,6% al lunedì, Stampa -3,4%, Corriere della Sera -2,5%. Riordinando le testate, Sole 24 Ore, Corriere della Sera, Repubblica e Stampa son sempre salde in testa. Ma in quinta posizione arriva diretto il Fatto Quotidiano (era 9° a giugno ma abitualmente è 7°). Seguono Avvenire (6°), Messaggero, il lunedì della Gazzetta dello Sport, la Gazzetta dello Sport in settimana. Stabilmente decimo il Gazzetino.

Rai, Conte insiste su Foa e rilancia: “Rivedremo le concessioni tv”

La Repubblica

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«Foa è una persona che, come ho dichiarato, non ho conosciuto se non dal punto di vista curriculare. Ed è persona di gran valore, ma purtroppo c’ è un passaggio parlamentare e lì non ha ricevuto l’ appoggio. Spero si possa recuperare una presidenza Foa». Il premier Giuseppe Conte scende in campo accanto a Matteo Salvini che insiste per affidare la presidenza del Cda della Rai al giornalista bocciato alla prima votazione. Il premier – quasi inviando un messaggio a Silvio Berlusconi che insiste nel dire no alla presidenza Foa – aggiunge: «Quanto accaduto a Genova ci dà la chance di rivedere tutto il sistema delle concessioni » . E alla domanda se toccherà anche a quelle tv, Conte risponde: «Tutte». Il Cavaliere però invita Salvini a cercare un candidato alternativo a Foa. Provocando uno stallo che si riflette su tutto il centrodestra dove, dopo l’ altro no di Berlusconi all’ ipotesi di partito unico, l’ idea che circola fra i forzisti è quella di una grande trattativa che comprenda la poltrona di Viale Mazzini, le direzioni di reti e tg e le candidature alle prossime regionali. Un percorso scandito dalle continue rivendicazioni di autonomia che arrivano dai colonnelli forzisti. Mara Carfagna, per esempio dice: « Vogliamo vivere berlusconiani e non morire salviniani. Salvini rispetti Berlusconi e lavori alla rifondazione del centrodestra ».

” Mobilitazione europea per il diritto d’ autore in Rete”

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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roma Motori di ricerca e social network sistemano le loro pubblicità anche intorno agli articoli, alle fotogallery e alle video inchieste delle testate giornalistiche. Eppure i motori e i social – pur facendo leva su queste opere per guadagnare contatti, iscritti e inserzioni – non riconoscono alle testate un compenso reale. Contro questa pratica forse troppo furba si mobilitano gli editori di tutta Europa e i cronisti. Anche in Italia. E la mobilitazione si rafforza di ora in ora perché il Parlamento Europeo, la prossima settimana, può dare un aiuto all’ editoria giornalistica. Da mercoledì 12 settembre, il Parlamento Europeo voterà la direttiva europea sul ” diritto d’ autore nel mercato unico digitale”, la 280 del 2016. All’ articolo 11, la direttiva punta ad affermare il diritto dell’ editore a una « equa ripartizione » del valore generato dall’ uso in Rete delle sue pubblicazioni. Carlo Perrone, presidente degli editori europei di giornali dell’ Enpa, dice alla vigilia del voto parlamentare: « La notizia più bella è nella difesa congiunta che gli editori, i cronisti, ma anche decine tra intellettuali e associazioni stanno facendo dell’ informazione professionale e certificata, per qualità » . Voglia di fare, ma anche ansia, si respirano nelle stanze della Fnsi, il sindacato dei giornalisti italiani. Il segretario Raffaele Lorusso e il presidente Beppe Giulietti fiutano l’ intensa « attività di lobbying dei giganti della Rete » , che le tentano tutte per impedire agli eurodeputati di votare le nuove regole. E questa resistenza viene confermata da Silvia Costa, dei Socialisti e Democratici, in prima linea nel sostegno ai giornalisti. Costa rivela che gli eurodeputati favorevoli alla direttiva sono stati ” bombardati” da oltre 60 mila e-mail di protesta. Quasi tutte in arrivo dagli Stati Uniti. E mentre la Costa sgombra il campo dalle troppe fake news ( « realtà come Wikipedia non saranno toccate dalla direttiva » ), un sondaggio Harris Interactive tra oltre 6000 persone di 8 Paesi europei – dice che l’ 81% dei navigatori in Rete è dalla parte degli editori. È a favore cioè di una remunerazione dei contenuti giornalistici utilizzati da Internet.

Minoli è bravo per questo non diventerà presidente Rai

Libero
VITTORIO FELTRI
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VITTORIO FELTRI Noi di Libero non ci nascondiamo dietro a un dito. Abbiamo ieri suggerito a Salvini e compagnia cantante, con un articolo di Francesco Specchia, di spingere Giovanni Minoli alla presidenza della Rai. Non perché sia nostro amico, lo conosciamo appena, bensì perché è il Mike Bongiorno del giornalismo televisivo, il più bravo e collaudato di tutti. Egli è un mattatore che ha ideato e realizzato programmi di successo, interessanti e di grande presa. Si muove alla perfezione in ogni meccanismo e in ogni segreta di viale Mazzini, quindi è in grado di mettere le mani con competenza non solo sulla qualità delle trasmissioni, ma anche sui conti fuori controllo dell’ ente. Non comprendiamo perché il suo nome sia fin qui stato ignorato o almeno snobbato. Il candidato numero uno a ricoprire la carica più alta era e rimane Marcello Foa, giornalista della carta stampata, esperto e valido, ma privo della dovuta esperienza specifica nel ramo della Tv. Costui inoltre, risulta essere stato bocciato da Berlusconi, benché per anni e anni sia stato un apprezzato redattore del Giornale di famiglia. In seguito alla stroncatura del suddetto, si è paralizzato il sistema delle nomine e oggi la Rai è senza testa, a dimostrazione che quando la politica mette becco in una questione delicata il risultato è la paralisi. Ora si dice che Silvio sia pronto a fare marcia indietro e a promuovere il suo ex dipendente. Fosse vero, ciò farebbe ridere. Confermerebbe che il re di Arcore è un po’ confuso e, quindi, incerto sul da farsi. Ecco perché insistiamo nel dire che l’ uomo giusto sia Minoli, che ha le carte in regola per menare il torrone e sistemare una volta per sempre il baraccone dell’ ex monopolio. Sennonché rimane un problema. Stando a radiofante, la più informata, il divo Giovanni per motivi imperscrutabili non sarebbe gradito al Cavaliere, il quale pertanto pur di segarlo sarebbe disposto a ripescare Marcello. Siamo in una situazione caotica e surreale. Pare ormai che il patron delle reti private consideri proprie anche quelle pubbliche e faccia il diavolo a quattro per influire sulla gestione delle medesime. Assurdo. Nella commissione di Vigilanza Berlusconi detiene ancora molto potere e lo usa a capocchia: fa la guerra a Foa e, in seguito, lo abbraccia quando questi in Rai sarebbe utilmente impiegabile in altri ruoli assai importanti, per esempio i telegiornali, inclusi quelli regionali. Cambiare opinione è lecito, ma saltabeccare di qua e di là senza costrutto è da stolti. Se poi si trascura il migliore per la Presidenza, Minoli, significa sprofondare nell’ insensatezza.

Di Maio e Bonafede gli voltano le spalle

Libero
SALVATORE DAMA
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I Cinquestelle attaccano Matteo Salvini. Lo fanno con Luigi Di Maio e col il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che invita il suo collega dell’ Interno a evitare i toni del passato. Berlusconiani. Salvini, dice il Guardasigilli, «può ritenere che un magistrato sbagli, ma rievocare toghe di destra e di sinistra è fuori dal tempo. Non credo che abbia nostalgia di quando la Lega governava con Berlusconi. Chi sta scrivendo il cambiamento non può pensare di tornare alla Seconda Repubblica». Anche il vicepremier pentastellato Di Maio non c’ è andato leggero: «Credo che dovremo abituarci al fatto che ogni volta che arriverà un atto al ministro Salvini, il ministro farà un video ed è giusto così, ma credo non sia giusto non rispettare la magistratura». Le parole di Bonafede e di Di Maio arrivano dopo la diretta Facebook in cui il leader della Lega ha aperto il plico ricevuto dalla Procura di Palermo contenente l’ avviso di garanzia per sequestro di persona aggravato. Il vice premier ha commentato il fatto nuovo e anche il dispositivo del giorno prima con cui la Cassazione ha confermato la confisca dei conti della Lega, accusando le toghe di fare politica. Parole che scatenano l’ ira dell’ Associazione nazionale dei magistrati. Anche Matteo Renzi attacca Salvini: «Prova a diventare un martire e cerca lo scontro coi magistrati». Intanto sembra tramontare la possibilità di un incontro tra il leader leghista e Silvio Berlusconi. L’ agenda odierna del ministro dell’ Interno è piena di impegni. Sarà a Cernobbio. Dunque è da escludere qualsiasi deviazione su Arcore. I due potrebbero sentirsi al telefono. Il tema caldo è la Rai. Il Cavaliere sarebbe anche disponibile ad aprire su una conferma di Marcello Foa alla presidenza, ma il partito è contrario. I dirigenti azzurri chiudono anche a ogni ipotesi di partito unico del centrodestra. Intenzione attribuita a Berlusconi, che poi il diretto interessato ha smentito. Il gotha forzista è riunito questo fine settimana a Giovinazzo, in Puglia, per il Campus Everest. Ieri sera ha preso la parola Mara Carfagna, «Sono contraria al partito unico», ha spiegato la vice presidente della Camera, «perché credo che il centrodestra sia un’ esperienza plurale. Salvini rispetti Berlusconi che ha fondato il centrodestra e ha pagato in termini politici e giudiziari un prezzo altissimo». All’ esponente azzurra non sono piaciuti i toni riservati da Matteo agli alleati. «Il segretario della Lega metta da parte le minacce e dica che cosa vuole fare, se vuole governare con il centrodestra oppure preferisce il reddito di cittadinanza». È vero, Forza Italia è in difficoltà nei sondaggi. Ma il partito unico non può essere una scialuppa per salvare il salvabile. Ancora Carfagna: «Non andiamo a fare i maggiordomi in casa d’ altri. Noi vogliamo vivere da berlusconiani, non morire salviniani. Non ci servono dirigenti perplessi e dubbiosi, che praticano la doppia fedeltà sui territori. Vadano pure». Giovanni Toti resta uno dei sostenitori del progetto di sintesi. Il governatore della Liguria propone una prima fusione tra Fi, Fratelli d’ Italia e cattolici moderati al fine di formare una «seconda gamba» del centrodestra in vista delle Europee. Giorgia Meloni, però, chiude: «Non c’ è alcuna possibilità di una fusione con Fi», spiega la leader di Fdi, «su troppi temi, dalla sovranità nazionale al rapporto con l’ Europa, le nostre posizioni non sono convergenti, e l’ esperienza di una fusione a freddo tra partiti è fallita anni fa, meglio non riproporla». Toti sarà ospite ad Atreju, la manifestazione nazionale della destra, e quella sarà l’ occasione per chiarirsi.

Accordo Sky-Rai: mercoledì Champions in chiaro

Libero
MICHELE MAZZEO
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Dopo sei anni la Champions League torna sulla tv di stato. Grazie all’ accordo siglato lo scorso gennaio con Sky, che si è aggiudicata i diritti di trasmissione della manifestazione per il triennio 2018-2021, la Rai per ogni turno trasmetterà in chiaro la gara di una squadra italiana. Già dal 19 settembre su Rai 1 sarà quindi possibile seguire la partita più interessante del mercoledì che vede protagonista una nostra squadra. Si comincerà dunque con l’ affascinante sfida della prima giornata della fase a gironi del Santiago Bernabeu tra i campioni in carica del Real Madrid e la Roma di Eusebio Di Francesco, semifinalista della passata edizione (solo su Sky invece le gare del martedì Inter-Tottenham e Stella Rossa-Napoli e quella del mercoledì Valencia-Juventus). Per quel che riguarda la seconda giornata in scena tra 2 e 3 ottobre sarà invece Napoli-Liverpool il match proposto in chiaro dalla tv di Stato (in esclusiva Sky invece Juventus-Young Boys e Roma-Viktoria Plzen al martedì e Psv-Inter al mercoledì). Barcellona-Inter (3ª giornata), Juventus-Manchester United (4ª giornata), Tottenham-Inter (5ª giornata) e Young Boys-Juventus (6ª giornata) le altre gare della fase a gironi che saranno trasmesse in chiaro su Rai 1 il mercoledì alle 21 (il servizio pubblico si riserva però la possibilità di eventuali modifiche alla programmazione in base all’ evoluzione del torneo). A questi sei match si aggiungeranno poi altri nove incontri della fase ad eliminazione diretta comprese le due semifinali e la finale di Madrid. Dopo sette anni dunque la Rai tornerà a trasmettere l’ ultimo atto della massima competizione per club del Vecchio Continente dato che proprio la finale dell’ edizione 2011/2012 tra Chelsea e Bayer Monaco è ad oggi l’ ultima partita di Champions trasmessa in chiaro sui canali della tv di stato.

Tavole e fumetti inediti La mostra per i 70 anni del ranger Tex Willer

Libero
ELEONORA RAVAGLI
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Una grande mostra alla Permanente per celebrare i 70 anni di Tex Willer, l’ eroe dei fumetti che incanta migliaia di fan con le sue straordinarie avventure lungo le strade deserte e spettrali del Far West americano, passando per i sentieri aridi del Messico, fino ai paesaggi freddi del Grande Nord. Era considerato un amico degli indiani Navajos, che proteggeva a tutti i costi dal potente nemico Mefisto, l’ incarnazione del male. Un eroe che, indossando una camicia gialla e dei jeans, il fazzoletto nero legato intorno al collo e l’ immancabile stella, segno distintivo del corpo, cercava di liberare il territorio dai banditi e dai malfattori, riportando la pace e la serenità tra le tribù che abitavano le sconfinate e insicure terre americane. Oggi la mostra, patrocinata dal Comune di Milano, esposta nelle sale del Museo della Permanente, mette in evidenza le sue più avvincenti imprese che si sono protratte per ben 70 anni. Dal 30 settembre 1948 infatti, il ranger più famoso del mondo, in sella al suo cavallo, è entrato nelle case di numerosi italiani, diventando in poco tempo un vero e proprio fenomeno di costume e un eroe per molti bambini. Dal 2 ottobre al 27 gennaio 2019, sarà possibile ammirare disegni, fotografie, documenti inediti mai visti prima, oltre ad un’ installazione a tema, relativi all’ Aquila della Notte e alle altre comparse che emergeranno all’ interno del fumetto, come i compagni fidati Kit Willer, il figlio avuto con Lilith, un’ indiana navajo, Kit Carson e il fiero navajo Tiger Jack. «Tex. 70 anni di un mito» rappresenta il più importante omaggio dedicato al simpatico ranger. L’ esposizione, curata da Gianni Bono, storico e studioso del fumetto italiano, in collaborazione con Sergio Bonelli Editore, cercherà ancora una volta di avvicinare gli appassionati al mondo di Tex e del lontano West, durante il quale non si faranno attendere le battaglie a colpi di pistola all’ interno degli antichi saloon texani. Così, da quel primo albo a striscia di Tex, uscito nelle edicole italiane quel 30 settembre 1948, alle prime pagine dei quotidiani, il pubblico potrà galoppare lungo i 70 anni di storia di uno dei personaggi più longevi della storia del fumetto, attraversando praterie, fiumi, foreste, battendosi con ladri e fuorilegge a protezione degli onesti cittadini, e fronteggiandosi anche con maghi vudù e sette segrete. Il personaggio, creato dalla fantasia di Gianluigi Bonelli e dall’ estro grafico di Aurelio Galleppini, con la mostra, continuerà a far sognare gli amanti dei fumetti e ad avvicinare tutti coloro che non hanno ancora avuto l’ occasione di conoscere e di scoprire curiosità e aneddotti – alcuni dei quali mai pubblicati prima – relativi al grande ranger amico dei pellerossa, che si è sempre distinto per il profondo senso di giustizia e per la sua innata generosità.

L'articolo Rassegna Stampa del 08/09/2018 proviene da Editoria.tv.

Rassegna Stampa del 09/09/2018

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Indice Articoli

«In tv andremo dalle parole ai fatti Vedremo di che pasta è il nuovo potere»

Il lungo stallo nel Cda senza guida dopo la bocciatura parlamentare

Si cerca la quadra sulla Rai Berlusconi e la Lega trattano

Da Facebook a Twitter la task force del ” capitano” detta l’ agenda sul web

Da domani Rai Radiodue “live” h 24

Hopper abita qui

“Perché l’ Europa deve approvare la direttiva sul diritto d’ autore”

“Con i Bitcoin basta il telefono per fare affari”

casa italia

«In tv andremo dalle parole ai fatti Vedremo di che pasta è il nuovo potere»

Corriere della Sera
ALDO CAZZULLO
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Lilli Gruber, domani ricomincia «Otto e Mezzo». Cosa prevede per questa stagione politica? «Come tutti gli italiani, attendo chiarimenti. Vorremmo capire di che pasta è fatto il nuovo potere e quale sarà la direzione di marcia quando dalle parole si passerà ai fatti. Per quanto riguarda Otto e Mezzo non prometto novità ma piuttosto continuità, con una tradizione di ascolto attento e discussione composta. È il dna di Otto e Mezzo che credo spieghi il suo successo. Nelle 245 puntate della scorsa stagione abbiamo avuto 300 ospiti diversi. Sarà cosi anche quest’ anno, anche questa ricchezza di testimonianze e questa varietà di posizioni è parte della nostra specificità». Il governo salta o regge? «Nessuno sa dare una risposta certa. Le tensioni sono evidenti, come anche l’ interesse a stare insieme per continuare a dividersi il potere. Salvini è avvantaggiato perché può giocare su due tavoli». Ma secondo lei Salvini preferisce tornare con Berlusconi o governare con i 5 Stelle? «Penso che per ora preferisca non scegliere. I 5 Stelle gli danno visibilità e potere, il centrodestra gli è amico, chi sta meglio di lui? Con questa legge elettorale non ha bisogno di allearsi con nessuno prima del voto». L’ innamoramento collettivo per Salvini è destinato a svanire o a durare? «Qual era il segreto di Renzi quando arrivò al 40%? Freschezza, novità, energia, promesse di rottamazione e cambiamento. Alcuni di questi ingredienti si ritrovano in Salvini. A Renzi non è andata bene, con Salvini vedremo. L’ importante è che non si sfasci l’ Europa». Di Maio sembra un po’ oscurato. È in difficoltà? «La Lega è un partito pragmatico con una lunga storia alle spalle. I suoi sanno fare politica. I 5 Stelle dopo tante parole sono giunti alla prova dei fatti: le difficoltà sono evidenti. I prossimi tre mesi richiederanno scelte chiare e forse anche scomode sulla politica di bilancio e su questioni cruciali come la previdenza. Vedremo allora se e quanto brillerà la stella di Di Maio». Davide Casaleggio è stato suo ospite. È lui il vero capo dei 5 Stelle? «È il capo di quello che in altre epoche si sarebbe chiamato il comitato centrale. Ma i 5 Stelle hanno una forte gerarchia di vertice e un’ autonomia periferica altrettanto forte. Casaleggio decide sulle questioni di potere e forse anche di linea, ma non è lui che scalda i cuori e raccoglie i voti. A questo pensano leader come Di Battista, con il quale tra l’ altro apriamo domani la nuova stagione di Otto e Mezzo. Sarà collegato con noi dal Guatemala». Quanto conta la fronda di Di Battista? I 5 Stelle sono destinati a dividersi? «Credo che nel gruppo dirigente del M5S ci sia una sorta di divisione dei compiti. Di Maio, Di Battista e Fico sono diversi ma in qualche modo complementari. Non penso che si divideranno. Anche perché il potere è un ottimo collante». Conte è un premier dimezzato? O ha buone capacità di galleggiamento? «Conte non va in tv. Gli faccio la corte da mesi. In una fase in cui la politica è stata trasformata in comunicazione, il premier è cauto e parco di parole. Forse nel rumore generale è quello che ci vuole». La7 è accusata di avere tirato la volata ai populisti. Cosa risponde? «Mi sembra un’ accusa infondata, soprattutto se rivolta a una sola rete e non invece – come sarebbe più equo – all’ intero sistema dei media dove la cosiddetta antipolitica, madre di tutti i populismi, ha trovato ampia rappresentanza. Ma la resa al populismo è un fenomeno che chiama in causa la politica, la cultura, le cosiddette élite, i corpi intermedi. Di fronte alla crisi si sono cercati dei capri espiatori. Si è pensato davvero che bastasse un “vaffa”. Adesso comincia a essere chiaro che non bastava». Quanto rischia l’ Italia? Si prepara un agguato dei mercati finanziari? «Se la politica di bilancio rassicurerà chi investe sui nostri titoli, non ci sarà alcun agguato. Se ci facciamo beffe dei parametri e soprattutto ci costruiamo sopra della propaganda a fini interni, la reazione potrebbe essere molto severa. Non siamo così forti da poter decidere da soli quali interessi dobbiamo pagare per il nostro debito». Tra otto mesi si vota per le Europee. I populisti sfonderanno anche in Francia e Germania? «È possibile che in Europa vinca il nazionalismo, che a me pare l’ aspetto più inquietante del populismo. Torneremmo a uno schema e all’ ideologia che hanno funestato il Novecento. Spero che nei prossimi mesi possano nascere alternative credibili. E spero soprattutto che i giovani non si facciano abbindolare». Il suo nuovo libro, «Inganno», racconta il difficile dopoguerra nella sua terra, il Sud Tirolo. Tornerà a essere difficile la convivenza tra i popoli europei? «Inganno racconta due cose tra le molte: un equilibrio basato sulla polarizzazione, quello della guerra fredda, e in questo contesto la radicalizzazione di quei giovani che si illusero di trovare nella violenza una via di cambiamento politico. Oggi che la realtà della guerra ce la siamo dimenticata, è una memoria che dobbiamo invece trasmettere alle giovani generazioni. Rischiano di tornare le tensioni nazionalistiche che hanno causato le catastrofi del Novecento. Rischia di disgregarsi l’ idea stessa di Europa, che ha troppi avversari fuori dai suoi confini per permettersi di averne anche all’ interno. Il cambiamento nelle regole della convivenza tra i popoli è necessario, ma si costruisce con la mediazione e il compromesso. Le scorciatoie sono inganni». I migranti sono un problema o un pretesto? «Sono un problema molto serio, ma non dovrebbero essere il primo problema dell’ agenda politica. Noto anche che dal vocabolario pubblico è spartita la parola integrazione». Lei intervista spesso Cacciari, che ha proposto un’ alleanza tra europeisti, Macron compreso. Calenda è dello stesso avviso. È una buona idea? «Sì, è una buona idea, con l’ avvertenza che l’ europeismo da solo non basta se non è arricchito da proposte per la difesa dei diritti sociali e civili. Aggiungo che dalla Libia all’ immigrazione abbiamo alcuni motivi di serio dissenso con Macron, che andrebbero chiariti e risolti prima di eventuali imprese politiche comuni». La Merkel è finita? «Angela Merkel è l’ ultima grande erede di quell’ Europa post-bellica che ha creduto nella cooperazione e nella pace. Mi auguro che il suo impegno politico possa continuare in altri ruoli». E Berlusconi? «Per molto tempo si è detto che uno dei limiti di Berlusconi fosse l’ incapacità di allevare un erede per la leadership del centro-destra. Ora il successore ha finalmente un nome, Salvini, ma purtroppo per Berlusconi non lo ha scelto lui. Questo certifica il tramonto politico del Cavaliere». E Renzi? «Renzi ha sperperato in pochissimo tempo un patrimonio di consenso enorme. Soprattutto per errori suoi e del suo entourage. Una volta conquistato, il potere per essere conservato richiede intelligenza politica, capacità di scelta dei collaboratori migliori, mente lucida al riparo dall’ ingordigia». E i talk-show hanno ancora un futuro? «Ma certamente! Ha un futuro la voglia di capire, approfondire e confrontare«. A sinistra cosa succederà? Chi sarà il segretario Pd? «Per ora è in corsa Zingaretti. È uno dei pochi dirigenti Pd con una storia di successo. Può farcela a due condizioni: che riesca a formare un gruppo dirigente coeso e capace; che ristabilisca il primato della politica sulla comunicazione, che non mi sembra il suo forte». Lei conosce bene la Rai. Cosa sta succedendo? Comincia una nuova stagione di occupazione politica? O la tv pubblica sarà più libera? «La riforma Renzi ha rafforzato la presa dei governi sulla Rai. Vedremo dunque cosa accadrà in autunno. Per ora posso dire che il nuovo direttore generale, Salini, che ho conosciuto a La7, è un professionista solido».

Il lungo stallo nel Cda senza guida dopo la bocciatura parlamentare

Il Giornale

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Il nome di Marcello Foa, incaricato dal cda Rai di fare il presidente, non è passato in Commissione di vigilanza. E in questo scenario è maturato lo scontro tra la Lega e Forza Italia, che ha rifiutato di sostenere il candidato della coalizione per guidare la Rai, mentre Salvini gli ha riconfermato la fiducia. Foa, preso atto della decisione della Vigilanza, si è messo a disposizione dell’ azionista continuando a coordinare i lavori del Cda. L’ ipotesi di un trovare un nuovo nome non ha trovato il favore della maggioranza del cda e lo stallo ancora continua.

Si cerca la quadra sulla Rai Berlusconi e la Lega trattano

Il Giornale
ROBERTO SCAFURI
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Un passo avanti, uno indietro e magari poi di lato. È un delicato minuetto, quello che la politica danza attorno al cavallo di Saxa Rubra, in una Rai che ancora attende lo sbloccarsi di una situazione che diventa insostenibile con l’ inizio dei palinsesti autunnali. Basti considerare che ci sono tre testate senza direttore: Raisport, Radio e Tgr («non si può più andare avanti ad interim, necessitano piani editoriali», preme l’ Usigrai). Senza guida anche il cruciale settore della pubblicità, il cui interim è detenuto da Antonio Marano, funzionario di fiducia del centrodestra. La stasi ha costretto qualche giorno fa l’ ad Fabrizio Salini a chiedere al Ministero dello Sviluppo una proroga di sei mesi per le scadenze riguardanti il contratto di servizio. Ma è chiaro che in settimana, con una convocazione della commissione di Vigilanza per giovedì – chiesta perché il governo «batta un colpo», dice il portavoce di Forza Italia, Giorgio Mulè – si andrà verso un epilogo. Resta lampante che la madre di tutte le soluzioni sta nell’ elezione del presidente e che il pallino di un accordo che riproponga Marcello Foa sta nelle mani del centrodestra. Se fino all’ altro giorno sembrava cosa fatta, con un incontro dato per imminente tra Salvini e Berlusconi, il precipitare delle questioni giudiziarie che attanagliano la Lega ha riportato indietro le lancette. Non senza che la veemente presa di posizione del ministro dell’ Interno contro la magistratura sia stata accolta ad Arcore e dintorni come dimostrazione di una sintonia mai cessata, di un filo da tessere. Quello che sembrava elemento di distinzione tra Lega e M5S, con apertura di una crepa nel governo, pare però essere rientrata l’ altra notte, durante un incontro tra i due vicepremier. Di Maio ha voluto mostrare all’ alleato di governo il proprio sostegno, ma anche fargli capire che quella dell’ attacco alla magistratura non sarebbe stata una strada percorribile senza mettere a rischio la tenuta stessa del governo. La difesa d’ ufficio della magistratura è toccata perciò al guardasigilli Bonafede, con una dichiarazione che è stata però giudicata da Forza Italia anche abbastanza sgradevole, visto che ha tirato in ballo seconda Repubblica e Berlusconi. «Non possiamo tornare a quello», hanno voluto rimarcare i grillini. A Salvini non è rimasto che abbozzare in una retromarcia che potrebbe avere qualche ripercussione nei rapporti con il Cav. Forse persino su quell’ intesa ormai vicina che avrebbe visto il ritorno della candidatura Foa, votata sia da un Cda Rai ancora da convocare, sia dalla Vigilanza grazie agli indispensabili voti di Forza Italia. I pareri legali chiesti nelle scorse settimane da Salvini blinderebbero questa possibilità rispetto agli sbandierati annunci di ricorsi da parte del Pd. «La legge non prevede un secondo voto in Vigilanza sullo stesso nome, ma neppure lo esclude», assicurano gli uomini del Carroccio. In cambio dell’ elezione di Foa, Salvini darebbe via libera all’ intesa per le Regionali in Abruzzo e Basilicata, che si dovrebbero tenere in novembre. Una soluzione, quella del centrodestra unito, ora assai più conveniente anche per i leghisti, colpiti come sono tanto nella cassa quanto, probabilmente, nella riproposizione del loro storico simbolo.

Da Facebook a Twitter la task force del ” capitano” detta l’ agenda sul web

La Repubblica
MATTEO PUCCIARELLI
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La diretta in cui Matteo Salvini apre la famosa busta della procura di Palermo è stata vista 1,1 milioni di volte, ha ricevuto 111mila reazioni (faccine sorridenti, arrabbiate, sorprese, tristi e cuoricini), 82mila commenti e 25mila condivisioni su Facebook. L’ hashtag #complicediSalvini su Twitter ha scatenato 192 tweet e 833 retweet ogni ora. Ma non c’ è nulla frutto del caso in questa storia. Né l’ idea della diretta, su un fatto politico così delicato; né la capacità di penetrazione nel mondo dei social network. Dietro al “Capitano” c’ è la fantasia e l’ azzardo di Luca Morisi, 45 anni, esperto di informatica e appassionato di filosofia. La sua filosofia di partenza sembra banale ma non lo è: «Quando conobbi il “Capitano” (è lui ad avergli affibbiato il soprannome, ndr) per i politici andava di moda Twitter. Io gli spiegai: “È autoreferenziale. Il popolo sta su Facebook”, dobbiamo muoverci lì», raccontò tempo fa. Risultato: oggi il 95 per cento degli utenti italiani di Facebook sono incappati – per errore, per volontà, per condividerlo, per insultarlo – in un post del leader della Lega. Ma non è solo questo: il record assoluto in Europa della pagina di Salvini, cioè 3 milioni di fan e oltre 4 milioni di interazioni, fa sì che il ministro dell’ Interno detti l’ agenda al pari di un grande quotidiano. Provocando, spiazzando, polarizzando il dibattito, facendo parlare sempre e comunque di sé. Morisi ha preso in mano il politico Salvini su Facebook nel 2013, quando aveva 18mila fan. Già consigliere provinciale della Lega Nord a Mantova dal 2003 al 2008, insieme al suo socio Andrea Paganella nel 2009 ha fondato la Sistema Intranet srl, la quale da anni risulta avere 0 dipendenti. Azienda che comunque in questi anni ha avuto più clienti istituzionali: tutte asl lombarde. Un anno e mezzo fa il M5S fece una interrogazione per chiedere lumi su alcuni affidamenti diretti della Regione guidata dalla Lega. L’ alleanza era ancora lontana. Comunque sia, tutto il lavoro dello staff social di Salvini immensamente più importante di una qualsiasi struttura di partito – è fatto seguendo i “dieci comandamenti” di Morisi. Ovvero: dire, o far sembrare, che i post di Salvini li scriva sempre Salvini stesso; zero pause, post a manetta tutti i giorni tutto l’ anno; commentare i fatti appena accadono; punteggiatura sempre uguale, con accorgimenti percettivi (maiuscole e blocchetti); testi semplici, brevi, paratassi, “call to action”, ridondanza; leggere i commenti, a volte rispondere, fare sondaggi al volo, su temi seri ma anche no; “contaminazione”, cioè sconfinare spesso in ambiti extra-politici; Morisi la chiama la “formula trt”, tv-rete-territorio, cioè il concetto della cross medialità. Un esempio: si annuncia un comizio su Facebook, poi si fa la diretta video, dopo ancora si ricavano foto o clip. Poi: utilizzare sempre il “noi” e mai l’ io nei post del ministro; e infine far apparire che a Salvini piaccia da matti questo lavoro di interazione su Facebook. Il “social Salvini” funziona come un giornale grazie ad un sistema editoriale fatto in casa e denominato “la bestia”. Si pubblicano i contenuti ad orari prestabiliti, su più pagine affiliate e allo stesso tempo si monitorano le reazioni. Morisi e soci solo su Facebook scrivono e promuovono in media 80-90 post a settimana, contro i 60 di Luigi Di Maio e i 10 di Matteo Renzi. Uno dei trucchi fondamentali e più evidenti, che infatti rientra nel decalogo di Morisi, è utilizzare sempre le stesse parole, come se invece di un politico Salvini fosse l’ avventore di un bar: esordire con “Amici” (A sempre maiuscola), “alla faccia di”, “non si molla di un millimetro”, una montagna di smile con bacini e sorrisi. L’ irriverenza, con annessi impliciti inviti a scaldare gli animi contro questo o quel nemico di turno (“clandestini”, Pd, Ue, magistrati cattivi, “rosiconi”) viene poi placata con la foto di un piatto di cibo, o del mare, Salvini abbracciato a qualche militante, Salvini che pesca, in un continuo sovrapporsi di pubblico e privato. Morisi ha sempre fatto il “censimento utenti”, che poi è un lavoro simile a quello di Cambridge Analytica. Lo scrisse lui stesso in una slide di presentazione del proprio lavoro tre anni fa, quando la pratica non era ancora sotto l’ occhio del ciclone. Così capì che c’ era la possibilità di una reale espansione della Lega al sud: i fan e gli utenti di Salvini che mettevano “mi piace” non erano solo confinati al nord, il fenomeno stava cominciando ad espandersi. Allora cominciò il tour del segretario della Lega in Sicilia, Puglia, Campania e così via, la creazione di “Noi con Salvini” e l’ abbandono definitivo dell’ indipendentismo. Quanto a Morisi e Paganella, erano addirittura nei tavoli delle trattative per la composizione del programma con il M5S e spesso accompagnano il “Capitano” nelle missioni. Vengono retribuiti dal Viminale, messi sotto contratto il giorno dopo l’ insediamento di Salvini: 65mila euro l’ anno per Morisi, 86mila per Paganella. Con loro altri quattro membri dello storico team della Sistema Intranet. Da soli ormai, con la loro capacità di individuare i temi da cavalcare, valgono il peso di tutto il gruppo parlamentare della Lega. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Da domani Rai Radiodue “live” h 24

La Repubblica

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In onda Rai Radio2 si accenderà in diretta h 24: microfoni aperti e il “mitico” 06.3131 sempre attivo per condividere con gli ascoltatori ogni momento del giorno e della notte. Si ricomincia domani con i programmi più amati e nuovi progetti. Dalle 6.00 alle 7.30 il buongiorno arriverà da Caterpillar AM con Filippo Solibello, Claudia De Lillo, Marco Ardemagni e Cinzia Poli. Dalle 7.45 alle 10.30 torna Il Ruggito del Coniglio Marco Presta e Antonello Dose che accompagneranno l’ inizio della giornata commentando fatti e argomenti del giorno con l’ ausilio delle telefonate in diretta del pubblico. Pubblico che tornerà in studio due volte a settimana anche nella nuova edizione del Coniglio da Camera che si avvarrà delle voci di Giancarlo Ratti e Paola Minaccioni, di Max Paiella, Attilio Di Giovanni e della musica dal vivo dei Rabbits. Dalle 14 alle 16 una novità: La versione delle due, magazine con Andrea Delogu e Silvia Boschero. Dalle 18.00 alle 20.00 torna Caterpillar con Massimo Cirri, Sara Zambotti, Laura Troya, Paolo Labati e Saverio Raimondo. Da 21 alle 22.30 Back2Back con Ema Stokholma e Gino Castaldo. Radio2 allungherà la giornata live con i Lunatici, in studio Andrea Di Ciancio e Roberto Arduini.

Hopper abita qui

La Repubblica

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TITOLO: SILENZI E STANZE AUTORE: MICHELE MOZZATI EDITORE: SKIRA PREZZO: 13,50 EURO PAGINE: 80 Tutti avranno desiderato entrare dentro un quadro, scrittori compresi. Michele Mozzati ha scelto Edward Hopper e torna con una seconda raccolta a lui dedicata dopo Luce con muri del 2016. Nelle opere del pittore americano lo spazio è dominato dalla luce e dai chiaroscuri, impreziosito di dettagli apparentemente minori, sfuggiti alla pulizia del tratto per motivi non detti (e non dipinti). I racconti di Mozzati, a volte storie e a volte saggi brevi, si lasciano ispirare dalle città deserte, dal silenzio dei ritrovi mondani (come in Chop Suey, 1929), dal fascino di una ragazza che scruta l’ alba ( Morning Sun, 1952). Pur sapendo di non poter svelare il romanzo segreto nascosto nella tela. di Gabriele Di Donfrancesco.

“Perché l’ Europa deve approvare la direttiva sul diritto d’ autore”

La Stampa

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La Federazione nazionale della Stampa italiana, insieme con la Federazione europea e la Federazione internazionale dei giornalisti, i sindacati dei giornalisti di numerosi Paesi europei e le associazioni di editori di giornali, scrittori, registi, ha sottoscritto un appello al Parlamento europeo affinché nella riunione plenaria di mercoledì venga approvata la direttiva europea per la difesa del diritto d’ autore. «Tale regolamentazione – sostiene la Fnsi – è necessaria per difendere la libera informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati, garantiti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’ Uomo e dall’ articolo 21 della Costituzione italiana. Introdurre l’ obbligo di pagare delle royalties a chi ogni giorno diffonde gratuitamente una grande quantità di notizie pubblicate dai giornali attraverso piattaforme digitali, social network e motori di ricerca non significa penalizzare gli utenti della rete, ma vuol dire difendere l’ informazione di qualità e tutelare la dignità del lavoro. La democrazia si nutre di buona informazione». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

“Con i Bitcoin basta il telefono per fare affari”

La Stampa
CARLA RESCHIA
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J ames Canning-Cooke è responsabile della ricerca per Mulberry Tree Capital, uno dei fondi speculativi gestiti che investe nelle principali valute digitali come Bitcoin ed Ethereum. Quando ha iniziato a interessarsi al mondo dei Bitcoin? «Ero un giornalista appassionato di tecnologia. Ho lasciato l’ editoria per investire nel settore immobiliare in Estonia. Tallinn è una città affascinante e storica, patrimonio Unesco. Abbiamo raccolto fondi attraverso investitori scandinavi e investito oltre 60 milioni di dollari in progetti immobiliari. Ho venduto la società nel 2008 e ho continuato a vivere e a investire lì. Nel 2013 avevo messo in vendita la mia auto, una Volkswagen, e il potenziale acquirente, un russo, si offrì di pagarmi in Bitcoin. Con mia sorpresa ho scoperto che era una valuta forte che potevo scambiare immediatamente con dollari o sterline». Cosa sono i Bitcoin? «Sono una moneta non emessa da una banca ma supportata solo dalla matematica e dalla teoria dei giochi. Un Bitcoin è una lunga stringa di numeri e lettere che assume la forma di una chiave pubblica, poi c’ è un’ altra stringa che è una chiave privata. I Bitcoin fanno parte di una rete a cui dà accesso una chiave privata e ogni Bitcoin sa dell’ esistenza di ogni altro Bitcoin e conosce l’ intera cronologia di tutte le transazioni sulla rete da quando è iniziata nel 2009». Come sono nati i Bitcoin? «Li ha inventati una persona con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto nel 2008. Penso che sia l’ americano Hal Finney. Nel 2008 c’ erano solo 20 persone al mondo con le competenze necessarie per inventare una cosa del genere. L’ idea è nata per risolvere il problema del denaro su internet; senza autorità centrale né banca, nessun controllore e nessuna interazione umana. Inizialmente era una risposta alla crisi finanziaria del 2008. Un Bitcoin non può essere svalutato dalle banche centrali che stampano in quantità illimitate, è al di fuori del circuito bancario. Nessuno sa quanti ne hai, nessuno te li può portare via e tutti i conti sono numerati. Per la prima volta nella storia chiunque può avere il controllo assoluto delle proprie ricchezze». Quanto vale un Bitcoin? «Oggi vale 7000 dollari». Dove si trova? «È un bene liquido. È possibile aprire un conto di trading con un broker e acquistarlo su internet in un cambio autorizzato. Si ottiene una password per accedervi in sicurezza e si può scambiarlo quasi ovunque nel mondo. Ogni Bitcoin è divisibile in otto punti decimali, quindi si può comprare una tazza di caffè come una macchina. Ad esempio, in Giappone è una valuta legale e 300 mila negozi lo accettano. Quanti Bitcoin ci sono? «Attualmente 17 milioni in circolazione nel mondo. L’ inventore ha deciso che ce ne possono essere solo 21 milioni. Ogni giorno ne vengono emessi altri attraverso un processo chiamato “Bitcoin mining”, ma fino al 2140 c’ è un’ emissione ridotta». È legale? «Ovunque tranne in Cina e Arabia Saudita. In Cina i Bitcoin sono stati bloccati a causa della fuga di capitali. I maggiori utenti sono Giappone e Corea del Sud. Esiste un commercio illegale di Bitcoin, come esiste con i contanti, ma con i Bitcoin si possono analizzare tutte le transazioni precedenti. Un criminale sarebbe pazzo a scegliere Bitcoin perché è una rete aperta. Quando provi a incassare, un’ identità del mondo reale viene associata a un indirizzo Bitcoin e puoi essere monitorato». Quante valute digitali ci sono? «Attualmente più di mille, ma molte spariranno, perché falliscono se nessuno le usa e hanno corso solo quando il loro valore è riconosciuto. I grandi nomi hanno più probabilità di durare. Ora Bitcoin ha una capitalizzazione di mercato di 100 miliardi di dollari, Ethereum di 20 miliardi. Ethereum è stato avviato da un genio russo di 19 anni, Vitalik Buterin. Si potrebbe definire un Bitcoin flessibile. È programmabile e serve ad esempio a concludere contratti. Non è solo denaro digitale, ma denaro intelligente». La criptovaluta ha successo? «È controverso. Pochissimi usano Bitcoin per comprare cose, e quasi nessuno usa Ethereum; gran parte della sovraeccitazione iniziale è finita, ma molte persone intelligenti stanno lavorando alla fase successiva, sia che si tratti di condivisione di taxi, assicurazioni, mercati azionari o commercio di energia solare ». Quali sono i rischi? «Il rischio maggiore è che il valore si azzeri se tutti smettono di usarli. Non c’ è il rischio di essere truffati, ma se dimentichi o perdi la password hai perso tutto. La password deve essere archiviata in modo sicuro. È una chiave indispensabile per la transazione». Cosa accadrà tra 50 anni? È un nuovo modo di fare soldi? «La maggior parte degli utenti di Bitcoin sono giovani sotto i 35 anni, e il 36% dei giovani americani intende acquistare Bitcoin nel corso del prossimo anno. È un fenomeno giovanile fare operazioni di banca sul telefono e i nativi digitali non hanno problemi a usare questo sistema. Va ricordato che circa un miliardo di persone nel mondo non ha accesso alle banche, ma ha un telefono. La criptovaluta permette anche a persone molto povere di entrare nel commercio, quindi ha un vero valore sociale». traduzione di Carla Reschia BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

casa italia

La Stampa
ROBERTO CONDIO
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Digerire un Mondiale di calcio senza azzurro dopo 60 anni è stato complicato. Da oggi, però, potremmo rifarci: a Roma comincia il «nostro» Mondiale, quello del volley. Vero: nelle prime due fasi lo ospita anche la Bulgaria, ma le finali saranno a Torino e i 14 allenati da Chicco Blengini sanno di avere un’ occasione imperdibile. Con il calcio che non vince e annoia, l’ Italia ha bisogno di una Nazionale di cui innamorarsi. Specie se le sue partite vanno in diretta Rai in prima serata. Avevano già fatto boom ai Giochi di Rio, i pallavolisti. Ma dopo quell’ argento da urlo, l’ anno scorso erano arrivati solo autogol: la peggior World League di sempre, l’ estate a riposo di Juantorena, Zaytsev fuori dal gruppo per questione di scarpe e infine il ko nei quarti europei contro il Belgio. In ritiro da maggio Con i big di ritorno, e dopo una lunga preparazione senza intoppi né infortuni, è tornato il sereno e c’ è solo voglia di riprendere il discorso interrotto alle Olimpiadi, perché 5 titolari su 7 sono gli stessi. È un Mondiale che porta il meglio del volley anche a Firenze, Bari, Bologna e Milano. È un evento che costa (25 milioni di budget, 3 stanziati dal governo nel 2016), ma che può dare tanto a un movimento che ha numeri, idee e risultati però non decolla a causa degli orizzonti limitati di troppi suoi dirigenti. Le prime tre sfide degli azzurri, intanto, sono «sold out». Il successo, però, sarà pieno soltanto se l’ Italia farà strada. «Partiamo ottimisti e fiduciosi – dice Blengini -. Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo per limare i difetti emersi nell’ ultima Nations League. Finalmente ci siamo: è ora di giocare». Il primo allenamento stagionale risale al 9 maggio. Di quel gruppo resistono in cinque. Tra di loro c’ è il centrale Daniele Mazzone, il più alto con i suoi 209 cm, l’ unico al primo grande torneo da titolare: «Gli ultimi due mesi a Cavalese sono sembrati due anni: non finivano mai da quanta voglia c’ era di iniziare. Vogliamo fare esplodere di entusiasmo i tifosi. Vogliamo arrivare tra le sei finaliste. A Torino, casa mia». Prossima tappa a Firenze E’ anche casa di Blengini, che segnala il tranello: «La formula del torneo è nuova, spietata. Conta ogni risultato, può costare caro anche perdere qualche set. Più che mai, quindi, pensiamo a una partita per volta». Belgio, Argentina, Rep. Dominicana e Slovenia, rivali a Firenze dal 13 al 18, possono aspettare. Il girone comincia contro un rivale che non può spaventare ma, come ogni debutto, la sfida contro il Giappone vale già tantissimo. Apre il Mondiale, con il tocco in più dell’ evento speciale e non solo perché tra gli 11 mila in tribuna ci sarà il presidente della Repubblica Mattarella: si gioca sotto le stelle, nel Foro Italico tempio del tennis. Nakagaichi, ct nipponico solo a referto perché quello vero è il francese Blain, ex di Cuneo, confessa: «L’ unico ad aver giocato una partita vera all’ aperto sono io, 30 anni fa. Questa squadra non l’ ha mai fatto…». Ieri ha avuto due orette per prendere confidenza con la novità. L’ Italia qui ha già giocato (e vinto) due volte, contro Polonia e Brasile in World League. Almeno Zaytsev, Lanza, Anzani e Colaci, insomma, sanno come si fa. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

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Rassegna Stampa del 10/09/2018

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Indice Articoli

Chengdu, la carica dell’ “altra Cina” hi-tech e startup per battere Shanghai

Azienda Italia, il vertice non cambia al timone meno giovani e più over 70

Il significato del clamoroso ritorno di Canale 5 sul satellite

Se Amazon vende Di Maio

Credito agevolato per la cultura

IL DIRITTO D’ AUTORE AI TEMPI DEI SOCIAL

Chengdu, la carica dell’ “altra Cina” hi-tech e startup per battere Shanghai

Affari & Finanza
FILIPPO SANTELLI
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IL CAPOLUOGO DEL SICHUAN COME LE ALTRE CITTÀ DI “SECONDA FASCIA” PUNTA SU BASSI COSTI, RAPIDITÀ DELLA BUROCRAZIA E CONTRIBUTI ALLE IMPRESE PER BATTERE LE BLASONATE “CAPITALI” DELL’ INDUSTRIA. LA SPINTA DEL GOVERNO PER SFOLTIRE I MAGGIORI CENTRI Chengdu «Q uesta città piace a tutti, nella nostra azienda lavorano 80 persone che vengono da ogni parte della Cina». Per chi conosce poco l’ Impero di mezzo è un toponimo come altri: Chengdu. Ma è una metropoli di 16 milioni di abitanti, capoluogo della Provincia meridionale del Sichuan, e sta provando a mettersi sulla mappa come uno dei nuovi centri tecnologici del Dragone. L’ ingegnere Saga Song, 34 anni e il classico beverone di tè degli startupper cinesi, ci ha fatto l’ università. E dopo anni di ricerca negli Stati Uniti, quando ha deciso di tornare, non ha avuto esitazioni a fondare la sua startup qui. Idealseesta sviluppando una tecnologia per la realtà virtuale che proietta le immagini direttamente nell’ occhio dell’ utente. All’ ingresso dell’ ufficio, un open space nel quartiere hi-tech di Tianfu, l’ intera parete è tappezzata da brevetti. «La burocrazia è snella, le tasse sono basse, siamo riusciti a reclutare dei talenti top», spiega. «Tutti amano il cibo e le donne di Chengdu». Battuta da spogliatoio? Non è l’ unico a magnificare le bellezze locali: forse conta anche questo nella maschilissima industria digitale. Non quanto però la possibilità di affittare o comprare una casa senza dissanguarsi: «A Pechino o a Shanghai è difficile». Il costo della vita Questione di costi, sempre più alti nella capitale e nelle altre metropoli che i cinesi chiamano di prima fascia: Shanghai appunto, Canton o l’ hub digitale di Shenzhen. Ma questione anche di regole, a cominciare dal permesso di residenza, l’ hukou, il foglio di carta che dà accesso all’ assistenza sociale. Nelle metropoli “5 stelle” è impossibile ottenerlo: le autorità vogliono contenerne l’ espansione, riequilibrare lo sbilanciamento demografico che oggi fa pendere la Cina verso la costa. E i centri cosiddetti di seconda fascia, quelli dell’ entroterra, provano a sfruttare l’ occasione per strapparsi a vicenda la nuova generazione di talenti e imprese, in una battaglia tutta interna al Paese. Ha iniziato Wuhan, capitale dello Hebei, annunciando di voler attirare entro cinque anni un milione di laureati grazie a certificati di residenza immediati. L’ hanno seguita Xi’ an, capitale dello Shaanxi, Chongqing e appunto Chengdu, che ci ha aggiunto del suo: oltre allo hukou espresso, agli immigranti qualificati offre accesso privilegiato al mercato immobiliare e ingresso libero alle attrazioni culturali, compreso il parco dei panda, simbolo indiscusso della città. «La competizione già feroce per i talenti in Cina lo diventerà ancora di più con l’ invecchiamento della popolazione», dice Henry Huiyao Wang, fondatore del think tank Ccg e consulente del governo. Il giusto ecosistema E un po’ come agli adorabili orsi bianconeri, anche ai talenti va fornito il giusto ecosistema, spazi e opportunità per esprimersi. A giudicare dallo sconfinato plastico nell’ edificio visitatori, nella Nuova area di Tianfu dovrebbero sentirsi a casa. Molto più di un parco tecnologico: quella che la diligente hostess ci illustra è una vera e propria città-giardino dell’ innovazione progettata al margine Meridionale dell’ attuale Chengdu. Entro il 2030 dovrebbe occupare il territorio di 54 villaggi, 1.500 chilometri quadrati, preservando verde e terreni agricoli. L’ hostess elenca: «Un aeroporto da 90 milioni di passeggeri, treno alta velocità, cinque autostrade, otto linee della metro, il centro direzionale, una sede dell’ Accademia delle scienze, una dell’ Istituto aerospaziale, l’ isola delle startup». Già Chengdu ospita grandi stabilimenti industriali, da Intel a Foxconn, oltre che l’ interporto da cui le merci della Nuova Via della seta prendono la via dell’ Europa; dopo il devastante terremoto del 2008 è una delle città cinesi cresciute di più. Ma l’ area di Tianfu è il suo tentativo di salire un gradino più su, dall’ economia delle fabbriche a quella dei centri di ricerca, dalla produzione all’ innovazione. Una scommessa su cui la Cina di Xi Jinping si gioca il futuro. Usciti fuori, dalla cima della collinetta che domina l’ area, di tutto questo non si vede ancora nulla. I lavori sono partiti dalle bonifiche ambientali, le stradine e i canali che circondano il lago sono finiti e tirati a lucido, con tanto di panchine, aiuole e giochi per i bambini. In giro però passeggiano solo giardinieri con il cappello di paglia e gruppetti di operai, tra cantieri di edifici ancora in costruzione. «Sarà uno sviluppo graduale », spiega il direttore dei lavori, proprio mentre passiamo davanti allo scheletro del dormitorio riservato ai cervelli di ritorno dall’ estero. Le alternative Sceglieranno davvero Chengdu, o preferiranno le già affermate Silicon Valley mandarine di Pechino o Shenzhen? E basterà l’ affitto gratuito per tre anni a popolare di imprese innovative l’ isola delle startup? In Cina fanno così: prima costruiscono le cattedrali, enormi, e poi cercano di riempirle di fedeli. Questa città non fa eccezione: ha un fantasmagorico centro esibizioni da 200 mila metri quadrati, semivuoto. E il palazzo con la superficie commerciale più grande del pianeta, il New Century Global Center, con dentro una spiaggia artificiale in cui degli schermi giganti simulano il calar del sole. Ora ecco Tianfu, progetto (al momento) da 30 miliardi di euro che Xi ha inserito tra quelli prioritari per il Paese, la garanzia che andrà avanti. «Fate le cose per bene», ha raccomandato il presidente-segretario in visita. Ci assicurano che le aziende private cominciano ad arrivare, ottengono in concessione i terreni e poi si occupano di edificare. Citano Nokia, il colosso dei sistemi di sorveglianza Hikvision, quello del riconoscimento facciale Sensetime. Certo questa corsa delle “altre” metropoli cinesi a creare degli hub dell’ innovazione può sembrare artificiale, l’ ennesima bolla. Di recente anche il governo ha ammonito le amministrazioni a non esagerare: oltre alle città di seconda fascia, si sono iscritte alla competizione anche quelle di terza o quarta. Ognuna con schemi di attrazione dei talenti, incentivi a valanga, smisurati parchi tecnologici. La redistribuzione abitativa «Queste politiche aiutano a redistribuire la popolazione che in altre città come Pechino è in eccesso, verso quelle che invece hanno bisogno di giovani», spiega Henry Huiyao Wang. Ma se per chi si laurea in Cina stanno effettivamente diventando delle mete ambite, non così per i cervelli di ritorno dall’ estero, né tanto meno per gli stranieri, che preferiscono ancora la prima fascia, dove il costo della vita è sì maggiore, ma anche gli stipendi e le opportunità. Di recente Chengdu ha festeggiato la nascita del primo unicorno, cioè una startup valutata oltre un miliardo di dollari. Si tratta di Xinchao Media Group, ex editore di riviste che si è convertito al ben più lucrativo business della pubblicità online. Poca cosa rispetto alle decine di campioni (e al fiume di capitali) che può vantare Pechino, solo un inizio. «Facciamo fatica ad attrare ricercatori stranieri», ammette in sala riunioni Li Yao, sulla cinquantina, camicia lilla, dottorato a Stanford in Ingegneria Elettronica. La sua impresa, Borns, è la prima in Cina a progettare robot per gli interventi chirurgici, i suoi concorrenti sono tutti occidentali, ed è in Occidente che Li deve reclutare parte delle competenze: «Qui la mentalità è molto diversa, le cose scorrono più piano», spiega. Basta fare un giro nelle stradine del centro per capirlo: a sera i ragazzi passeggiano tranquilli in mezzo ai vicoli ristrutturati, tra belle case a corte, negozi a tema panda e i banchetti dei pulitori di orecchie, una tradizione locale. Niente a che vedere con la polverosa frenesia di Pechino o gli scintillanti grattacieli di Shanghai. Nel bene e nel male: chissà chi la vincerà. © RIPRODUZIONE RISERVATA In questa pagina e nell’ altra, due immagini di Chengdu: la città ha raggiunto in pochissimi anni i 16 milioni di abitanti e lo sviluppo di una fiorente industria dell’ alta tecnologia.

Azienda Italia, il vertice non cambia al timone meno giovani e più over 70

Affari & Finanza
PAOLA JADELUCA
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Roma «C redo alle persone intorno a me ma sono l’ unico a prendere le decisioni finali»: Giorgio Armani, 84 anni, il re del lusso made in Italy, così ha dichiarato al Financial Times un anno fa, quando si accingeva a preparare la successione. In una maison della moda l’ identificazione tra azienda, brand e fondatore è talmente forte da rendere il passaggio del testimone talmente delicato da giustificare in gran parte il fatto che molto spesso questo venga prorogato nel tempo. Ma il caso Armani è comunque la punta dell’ iceberg di un fenomeno che va oltre la moda, un fenomeno tipicamente italiano che si sta accentuando negli ultimi tempi: i capitani d’ industria sono sempre più avanti con gli anni, mentre sono sempre di meno i giovani ai vertici aziendali. Stando alle recenti rilevazioni di Unioncamere- Infocamere- Movimprese, l’ aumento degli amministratori delegati più agée, ovvero oltre i 70 anni d’ età, è particolarmente accentuato al Centro e al Sud; al contrario, la diminuzione degli amministratori più giovani è più radicata nel Nord-Ovest. Complessivamente tra il marzo 2013 e il marzo 2018 le nuove generazioni coinvolte nelle stanze dei bottoni dell’ Azienda Italia sono diminuiti del 7,7% tra gli under 50, mentre gli over 50 sono passati a rappresentare il 61% del totale, contro il 53,3% di cinque anni fa. Come si spiega tutto questo? Sembra da escludere che dipenda da una contrazione del numero delle startup che non superano la fase di incubazione e decollo, ovvero quelle più innovative e per questo guidate da nuove generazioni. La rilevazione Unioncamere- Infocamere/Movimprese evidenzia infatti che nello stesso periodo si assiste a una crescita complessiva dei capitani d’ industria, da che se ne deduce, come spiegano a Unioncamere, che si assiste a: «Un recupero e progressivo riposizionamento del sistema imprenditoriale – almeno in termini di vitalità anagrafica – verso i numeri degli anni ante-crisi». La crisi. Ecco uno dei problemi centrali. «Le imprese italiane sono nella stragrande maggioranza imprese familiari e in questo tipo di aziende familiari emerge un chiaro indicatore: il ricambio al vertice negli ultimi 10 anni, forse anche complice la crisi economica è avvenuto a ritmi inferiori al passato», afferma Fabio Quarato, tra i responsabili dell’ Osservatorio Aub sulle aziende familiari italiane, nonché managing director della cattedra AIdAf-EY di Strategia delle aziende familiari, che al suo interno ospita lo stesso Osservatorio Aub realizzato con la collaborazione di UniCredit, Università Bocconi, Fondazione Angelini e Camera di Commercio Metropolitana di Milano, Monza-Brianza e Lodi e Borsa Italiana. Spiega Quarato: «Un passaggio generazionale rappresenta la discontinuità; invece di realizzare questo passaggio delicato proprio in un momento in cui l’ azienda sta affrontando mille problematiche per rimanere competitivi, preferiscono rimandare a quando la situazione del mercato sarà più stabile. D’ altronde, abbiamo vissuto una crisi epocale che è durata e sta ancora durando più del previsto ». Unoaerre, Ermengildo Zegna, Natuzzi, Zanichelli Editore, Petrolifera Adriatica, Acciaierie Valbruna, Salumifico Beretta, Lube, Pirelli, Arnoldo Mondadori, Abk Ceramiche, Prada: selezionando un campione di 50 imprese con fatturato sopra i 5 milioni di euro, le rilevazioni di InfoCamere nel Registro imprese ne scovano giusto un paio con un ceo giovane, la Moby Spa, compagnia di navigazione, guidata da Alessandro Onorato, classe 1989 e Thun, oggetti da collezione altoatesini, guidata da Paolo Dente, anche lui classe 1989. Bisogna scendere di fatturato e analizzare le imprese con più di 1 milione di euro di fatturato, per trovare una situazione più bilanciata tra over 70 ed età decrescenti. Tra le aziende di taglia minore guidate da un giovane che ha meno di 30 anni figurano: Newlat-Food di Reggio Emilia (farine, paste e mangimi alimentari); la Xilopan, di Cicognola, Pavia, specializzata in pannelli truciolari; Forentini Firenze di Tavernelle Val di Pesa, Firenze, produttore di olio d’ oliva; Beatrice e Francesco Carlo Zanetti ad di Hausbrandt di Trieste, polo che va dal caffè alla birra; Bifrangi, del vicentino, specializzata in stampa e lavorazione dell’ acciaio; High Power, teleriscaldamento, di Torino. Aziende di tutti i settori. Molte destinate a crescere, a cambiare denominazione giuridica. Altre finalmente a passare il testimone, come la Fratelli Saclà ora guidata da Chiara Ercoli, terza generazione del business di famiglia. Un altro andamento di fondo del tessuto imprenditoriale italiano è la progressiva diminuzione del peso delle ditte individuali in favore di forme più organizzate, in particolare di società di capitali. In questo caso più favorevoli a rinnovare i vertici, aprendo le porte agli ammini-stratori esterni. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il significato del clamoroso ritorno di Canale 5 sul satellite

Corriere della Sera

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La nuova stagione televisiva si apre con una novità importante: Canale 5 è tornato sulla piattaforma Sky e, a breve, vi faranno ritorno anche Rete4 e Italia 1. Il rientro di Canale 5 può apparire una cosa squisitamente tecnica, ma per il mercato televisivo segna un passaggio importante, come clamoroso era stato il momento dell’ uscita dei canali Mediaset dalla piattaforma Sky, tre anni fa (tre anni fa? Con le moderne tecnologie sembra sia passato un decennio). Il tutto – ricordate? – per un braccio di ferro fra i due broadcaster: durante l’ estate 2015, il Biscione aveva dato tono ultimativo alle richieste, avanzate per anni, di vedersi pagati i diritti di ritrasmissione per i suoi canali in chiaro. In previsione di Premium (un’ esperienza che ora pare agli sgoccioli), Pier Silvio Berlusconi non aveva voluto regalare alla piattaforma Sky il ruolo strategico del gatekeeper (controllore privilegiato) che offre al pubblico tutto o quasi quello che passa in tv. Ma l’ attuale consumo televisivo non è fatto solo di prodotti, è fatto anche di modalità di visione e, in un comunicato Mediaset afferma di voler «portare i propri canali su tutte le piattaforme free e pay: digitale terrestre, satellite e streaming online. Un’ estensione continua che comporta due importanti risultati: da un lato garantire al pubblico la visione delle reti Mediaset su qualsiasi device, dall’ altro accrescere in modo adeguato la forza, la qualità e il valore dei palinsesti e dei contenuti Mediaset». Che è esattamente quanto si suggeriva al Biscione, inascoltati, al momento del distacco. Non c’ è dubbio, il vero cambiamento negli ultimi anni riguarda proprio l’ estensione della convergenza e le abitudini di visione: il consumo televisivo tende a farsi sempre più personalizzato, in un’ ideale linea di sviluppo che conduce dalla griglia del palinsesto alla libertà «video on demand».

Se Amazon vende Di Maio

Il Giornale
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Non facciamoci prendere in giro. Dietro l’ annuncio di Di Maio che a breve una legge impedirà a negozi e centri commerciali di tenere aperto nei giorni festivi, domeniche comprese, non c’ è alcuna visione romantica della vita, non la tutela delle famiglie dei lavoratori, ma solo un enorme piacere ai nuovi poteri forti, quelle big tech che già controllano le nostre teste e i cui nomi ci appaiono familiari e rassicuranti, da Amazon a Google, da Facebook a Twitter. Parliamo di giganti insaziabili, di dittature dal volto amico che con la scusa di semplificarci la vita stanno realizzando il più grande monopolio mai esistito al mondo. Impedire l’ apertura festiva del commercio tradizionale non aiuta a creare nuova occupazione, semmai riduce e penalizza economicamente quella esistente. In compenso – ovviamente – spinge ancora di più le vendite on line, regalando soldi e potere ai colossi dell’ economia digitale senza che questo produca un beneficio di entrate per lo Stato perché le big tech le tasse le pagano (poche) nei paradisi fiscali. Abbiamo parlato di «un piacere», ma più probabilmente siamo di fronte a uno «scambio di piaceri» tra i Cinquestelle e il mondo digitale che li ha generati e aiutati a svilupparsi. Una volta politica e poteri forti si sostenevano finanziandosi, spesso illegalmente, a vicenda. Nella nuova era la manipolazione della democrazia avviene con metodi molto più sofisticati, dalla costruzione delle fake news alla diversa visibilità concessa – attraverso complicati algoritmi – alla propaganda dei partiti e dei loro sostenitori. Se scrivo, come sto facendo, che Google, Amazon e Facebook sono pericolose dittature e che tra loro e il governo italiano ci potrebbe essere un patto oscuro non credo che oggi e in futuro sarà facile rintracciare questo articolo sul web. Da quelle parti vige infatti la più rigorosa delle censure e quello che passa per loro è gratuito, non riconoscendo alcun diritto d’ autore ai contenuti che veicolano. Mercoledì il parlamento europeo tenterà di approvare una legge che tuteli editori e giornalisti – stabilendo un prezzo ai contenuti – dal saccheggio di Google e soci che è la prima causa della crisi dell’ informazione tradizionale. Sapete chi si oppone? Guarda caso i Cinquestelle. Tra i negozi chiusi e l’ informazione gratis e filtrata c’ è più di un nesso. Ciò che chiude non conta più, ciò che è gratis non ha valore. Chiaro, no?

Credito agevolato per la cultura

Italia Oggi Sette
PAGINA A CURA DI ROBERTO LENZI
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Sul piatto 200 milioni (che arrivano a 300 milioni) in controgaranzie dalla Ue a favore delle imprese operanti nei settori culturali-creativi (cinema, tv, editoria e architettura e in tutti gli altri settori culturali-creativi) che vogliono effettuare investimenti oppure ottenere capitale circolante. Le aziende potranno contare sul sostegno di un nuovo strumento, finanziato con fondi comunitari, il «Cultural and creative sectors guarantee facility» (Ccs), gestito dal Fei, che ora diventa operativo in Italia grazie alla partnership con la Cassa depositi e prestiti (Cdp). Dall’ accordo tra la Ue e la Cdp è nato, infatti, lo strumento denominato Garanzia Cdp-Ccs, che rappresenta l’ operazione più rilevante in termini di accesso al credito mai realizzata, all’ interno del programma europeo «Europa Creativa», che sarà attuata mediante lo sviluppo di un portafoglio di contro-garanzie in favore del Fondo Pmi per un valore di 200 milioni di euro, incrementandone fortemente la capacità operativa. Le piccole e medie imprese attive nei settori culturali e creativi otterranno in questo modo finanziamenti fino a 300 milioni di euro. L’ impatto dello strumento sarà particolarmente rilevante; la stima parla di 900 imprese che potranno accedere ai finanziamenti garantiti nei primi sei mesi di operatività e circa 3.500 pmi nei prossimi due anni. Questo accordo di garanzia aiuta a colmare la mancanza di strumenti specifici che penalizza il settore delle imprese culturali e creative, che a livello comunitario impiega oltre 7 milioni di persone e rappresenta oltre il 4% del pil. L’ accesso al credito delle imprese operanti nei settori culturali e creativi può essere infatti difficoltoso, principalmente in ragione della natura immateriale dei loro asset e delle loro garanzie, della ridotta dimensione del mercato, dell’ instabilità della domanda e della mancanza di esperienza da parte dei finanziatori nel saper soddisfare le specifiche esigenze di tali controparti. Più risorse a disposizione del Fondo di garanzia pmi per finanziare le imprese culturali-creative. Lo strumento di garanzia per i settori culturali e creativi denominato Garanzia Cdp-Ccs, nato dalla collaborazione tra Mediocredito Centrale e Cdp, rafforza, con l’ ampliamento delle risorse a disposizione, l’ operatività del Fondo di Garanzia per le pmi, uno degli strumenti più efficaci per facilitare l’ accesso al credito delle piccole e medie imprese in Italia. L’ iniziativa consiste in una contro-garanzia all’ 80% rilasciata da Cdp in favore del Fondo di Garanzia per le pmi (Fondo pmi) su un portafoglio di nuove operazioni originate in favore delle imprese creative e culturali, per un valore massimo di 200 milioni di euro. Cdp beneficia a sua volta di una copertura gratuita al 70% rilasciata dal Fondo europeo per gli investimenti (Fei) a valere sulla Cultural and creative sectors guarantee facility. Chi sono i possibili beneficiari. Il nuovo strumento è riservato alle imprese che soddisfano la definizione comunitaria di pmi o di pmi pubblica e che abbiano rispettato, negli ultimi 24 mesi, almeno uno dei seguenti requisiti: l’ impresa ha operato nel campo dei settori creativi e culturali (Ccs); uno o più Progetti Ccs sviluppati dalle imprese hanno ricevuto finanziamenti da una istituzione europea Ccs o da una istituzione nazionale Ccs o da un’ associazione, incluse quelle del Programma Europa Creativa (Media e Cultura); uno o più progetti Ccs sviluppati dall’ impresa hanno ottenuto un «riconoscimento Ccs»; l’ impresa ha depositato diritti di autore, marchi registrati, diritti di distribuzione o ogni altro diritto equivalente nei settori Ccs; e/o l’ impresa ha beneficiato di un credito fiscale o di una esenzione fiscale correlata allo sviluppo di diritti di proprietà intellettuale o attività Ccs. Tra i settori creativi e culturali finanziabili troviamo cinema, teatro e fotografia, musei e biblioteche, editoria, radio e tv, architettura e design. Come accedere ai finanziamenti garantiti. Accedere ai finanziamenti garantiti è molto semplice. Le pmi operanti nei settori culturali e creativi che intendono ricorrere alla garanzia Cdp-Ccs, per finanziare nuovi investimenti o per esigenze di capitale circolante, devono avvalersi del Fondo di garanzia per le pmi. Per fare ciò basta che le pmi si rivolgano alla propria banca o al proprio confidi. Saranno la banca o il confidi a richiedere l’ intervento del Fondo pmi, il cui esito viene fornito mediamente entro una settimana lavorativa. Con circolare n. 11 del 19 luglio 2018 Mcc ha reso noto che, per le domande presentate dal 1° settembre 2018, il gestore del fondo potrà richiedere la controgaranzia rilasciata dalla Cassa depositi e prestiti, anche a valere sullo strumento di garanzia per i settori culturali e creativi. A tal proposito dovrà essere utilizzato l’ apposito allegato 4 pubblicato nella sezione modulistica del sito www.fondidigaranzia.it. © Riproduzione riservata.

IL DIRITTO D’ AUTORE AI TEMPI DEI SOCIAL

La Stampa
CHRISTIAN ROCCA
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Mercoledì mattina, a Strasburgo, il Parlamento europeo affronterà una delle questioni più delicate della nostra epoca, il copyright al tempo di Internet, un argomento che va oltre il linguaggio oscuro di una direttiva europea e le procedure esoteriche delle istituzioni continentali. Secondo l’ ex Beatles Paul McCartney, in gioco c’ è il futuro della musica; mentre per le associazioni dei giornalisti e degli editori, la posta in palio è la sopravvivenza dell’ industria dell’ informazione. Dall’ altra parte, i giganti della Silicon Valley e i populisti della rete sostengono che lo zelo europeo sul copyright finirà per imbavagliare Internet. Ciascuno ha le proprie ragioni, fondamentalmente economiche, ma l’ aspetto più interessante del voto di dopodomani è quello del possibile impatto che sia l’ approvazione sia la bocciatura della direttiva sul copyright potrebbero avere sulla formazione dell’ opinione pubblica nella società contemporanea. In sintesi, Strasburgo voterà su un punto preciso: i grandi monopolisti digitali, Facebook e Google, dovranno riconoscere agli editori e agli autori di informazione e di musica una parte infinitesimale degli strabilianti ricavi che ottengono dal loro geniale e cinico modello di business che consiste nel monetizzare, vendendo dati e target pubblicitari, la diffusione virale che i loro utenti fanno di contenuti prodotti da terzi. Oggi funziona così: i big digitali si arricchiscono, gli utenti dei social si informano e si divertono, mentre i produttori di contenuti che consentono ai primi di guadagnare e ai secondi di divertirsi rischiano di sparire perché alla lunga, nemmeno tanto lunga, produrre contenuti non sarà più conveniente. L’ innovazione tecnologica conduce sempre a cambiamenti radicali nei settori industriali e artigianali, ma lo smantellamento del sistema dell’ informazione ha conseguenze sociali diverse rispetto alla scomparsa di spazzacamini, carrozze a cavallo o venditori di ghiaccio. Senza un’ informazione professionale, o indebolita e incapace di attrarre talenti e cervelli, circolerà soltanto robaccia – post verità, fake news, fatti alternativi – ancora più di quanto ne circoli adesso, in una spirale negativa che minaccia di inghiottire il discorso pubblico, la società civile e il sistema di valori liberaldemocratici. I centralini e i server di posta del Parlamento europeo hanno registrato un interesse senza precedenti in queste settimane, i gruppi di pressione degli opposti schieramenti hanno tempestato i parlamentari di telefonate, email e appelli, mentre sui social la campagna pro e contro la direttiva non conosce sosta. A giugno, la Commissione giuridica del Parlamento aveva approvato un testo, ma a luglio l’ aula plenaria ha bocciato la direttiva. Mercoledì si rivoterà e in queste ore i gruppi parlamentari stanno lavorando per definire gli emendamenti per un possibile compromesso in particolare sugli articoli 11 e 13, i più controversi. In caso di voto favorevole sarà comunque una corsa contro il tempo perché si aprirà il negoziato nel cosiddetto «trilogo» tra Commissione europea, Consiglio, cioè i governi dei paesi membri, e il Parlamento, i tre detentori del potere legislativo europeo, per concordare un testo comune di direttiva che dovrà comunque poi essere votato di nuovo dal Parlamento entro marzo, prima della fine della legislatura e delle nuove elezioni di maggio 2019. Se non ci riusciranno, o non faranno in tempo, si dovrà ricominciare tutto daccapo con il nuovo Parlamento. E noi resteremo con regole obsolete che mortificano il diritto d’ autore, invece di proteggerlo, perché risalgono al 2001, quando non c’ erano i social e il discorso pubblico si formava ancora sullo scambio di fatti e di opinioni, non sulla condivisione di bufale e di immagini divertenti sui social. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

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Facebook lancia sul mercato la tv 2.0

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Si chiama Watch tv la nuova piattaforma lanciata da Mark Zuckemberg, il nuovo servizio è gratuita e ha debuttato in tutto il mondo il 29 agosto , un anno dopo l’entrata sul mercato americano. “Oggi rendiamo Watch disponibile ovunque, offrendo alle persone in tutto il mondo un nuovo modo per scoprire video straordinari e interagire con amici e autori. Invitiamo tutti a prendere parte a questa rivoluzione” ha dichiarato Fidji Simo, capo della divisione video di Facebook. Il progetto di Menlo Park prevede video party, prime visioni, video discussi in diretta con emoticon e i contenuti saranno ricercati con più facilità dagli utenti. “ Stiamo cercando nuove esperienze video incentrate sulle persone – ha proseguito Simo dando loro la possibilità di definire in quale direzione i contenuti devono evolvere. L’obiettivo di Facebook è quello di creare una tv sociale , campo mai percorso neanche da Netflix, Yuotube e Amazon , i suoi maggiori concorrenti sul mercato che perderanno la sfida con la creatura di Zuckemberg perché la nuova tv sociale è gratuita e il social network ha 2,3 mld di iscritti. La tv 2.0 è costata un miliardo di dollari di investimento, i dati di E Marketer sugli Stati Uniti e di Vincenzo Costa in Italia hanno rilevato che oggi Facebook ha come target non solo gli adolescenti appassionati di Snapchate e Instagram ma ha conquistato un pubblico più adulto. La nuova tv offre programmi come Red Table Talk con Jada Pinkett Smith e le dirette della Major League di baseball, Fox Circle , il tg realizzato con Anderson Cooper, volto della Cnn e i collegamenti con i giornalisti di Abc News. Watch tv garantira’ ai suoi visitatori contenuti di qualità per accaparrarsi il consenso degli editori, e combattere le Fake News. Il palinsesto della nuova tv sociale prevede inoltre web serie originali come Skam e Sorry for your Loss , programmi di approfondimento giornalistico come quelli di Aj+ Direct From e New Brooke, Queen America con Catherine Zeta Jones e il trailer Sorry Four Your Loss, con protagonista Elisabeth Olsen che interpreta una giovane sposa la cui morte improvvisa del marito le stravolge la vita. Il feed di Watch potrà essere personalizzato dal telespettatore premendo il tasto Watch, scorrendo il menu’ inoltre lo spettatore potrà rimuovere dalla propria lista di preferiti quelli non graditi e creare una lista di video salvati. Watch è accessibile anche da Apple TV, Samsung Smart tv, Amazon Fire TV, Android TV, Xbox One e Oluculus. La tv sociale consentirà ai creator e agli editori di trasmettere contenuti di qualità a un pubblico più selezionato e gli spot pubblicitari serviranno a finanziare i video. La TV social sarà disponibile su IOS e Android tramite App di Facebook ma anche su Samsung Smart TV, Amazon Fire TV, Android TV, Apple TV e su Oculus TV e Xbox One.

Marcella Losco

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De Alessandri nominato a.d. dell’Ansa

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Il consiglio di amministrazione dell’agenzia ANSA, presieduto dal presidente Giulio Anselmi, si è riunito oggi a Roma ed ha nominato Stefano De Alessandri amministratore delegato e direttore generale dell’agenzia.

Stefano De Alessandri ha un’importante esperienza nel general management di aziende editoriali e nella consulenza direzionale.

Dopo un avvio in Publitalia, entra nel 1989 in RCS Media Group con il ruolo di direttore marketing e, successivamente, di vice direttore generale dei Periodici.

In seguito è in Condé Nast come vice direttore generale, assume nel 2003 l’incarico di amministratore delegato e direttore generale in Gruner+Jahr/Mondadori e quindi, nel 2005, con lo stesso incarico passa in Hachette Rusconi.

Particolarmente impegnato nella valorizzazione dei brand editoriali e nello sviluppo integrato del digitale, passa nel 2010 a dirigere i periodici Mondadori e quindi a ricoprire il ruolo di amministratore delegato Radio & Attività internazionali del gruppo. Dal 2013 al 2018 partner e board member MED Region all’interno di EY (Ernst & Young), è stato per 10 anni ai vertici delle associazioni industriali editoriali come vice presidente FIEG, Audipress, ADS e FIPP.

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Siae, al via le iscrizioni per il premio musica contro le mafie

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Sono aperte fino al 5 novembre le iscrizioni on line per la nona edizione di Musica contro le mafie. Basta compilare il form di iscrizione per partecipare al premio musicale europeo dedicato alla musica con tematiche legate al sociale e in particolar modo all’impegno antimafia. Alle selezioni possono partecipare cantautori, band, rapper e ogni artista di ogni genere musicale.

A votare, tre giurie. Una giuria Facebook sarà composta da coloro che voteranno i brani in gara sul portale del “Premio Musica contro le mafie 9^ Edizione″; la giuria Studentesca rappresentata da una rete di scuole condivise da Libera (Associazioni nomi e numeri contro le mafie) sul territorio Italiano e la giuria “responsabile”, composta da giornalisti/critici musicali, esponenti di associazioni, scrittori, operatori del mondo musicale italiano.

Saranno loro a stabilire i dieci finalisti che si esibiranno alle finali nazionali a Cosenza in dicembre.

Il vincitore assoluto del Premio Musica contro le Mafie – 9^ edizione e gli altri artisti premiati sono annunciati dopo la conclusione delle finali. Il primo classificato vincerà 15.000 € per realizzare un tour (WINNER TOUR) messi in palio dal Nuovo IMAIE. Il secondo si esibirà sul palco di Casa Sanremo. Verrà inoltre consegnato, tra gli altri riconoscimenti, il Premio Speciale Illumina il tuo percorso – under 35 grazie ad un progetto di Mklive e On Mag Promotion, con il sostegno di MiBACT e di SIAE, nell’ambito dell’iniziativa “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura”.

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Rassegna Stampa del 11/09/2018

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Indice Articoli

Copyright

L’ obiettivo: far pagare i contenuti a Google e Fb

La partita spagnola mette le ali a Mediaset, balzo del 4,8%

Mogol nuovo presidente Siae

Il «Nyt» incredulo: davvero cerca lavoro?

Riforma del copyright Il giorno del giudizio tra pressioni e appelli

Colpo di scena alla Siae: Mogol diventa presidente

Diritto d’ autore, la battaglia finale

Scrosati da Sky a Freemantle l’ italiano più potente della tv

«Inizia a Pietrarsa il racconto dell’ Italia vista dai treni»

Fiorello tra gli «Imbavagliati»

Il ritorno di Ciro l’ immortale

Botta e risposta Di Maio-Riffeser

Copyright, ultima spiaggia per fermare i big del web

L’ articolo 11 e l’ obbligo di retribuire i contenuti

Siae, Mogol eletto nuovo presidente

Contenuti da pagare

Copyright, la commissione Ue spinge per l’ ok alla direttiva

Fronte comune dell’ editoria a difesa del diritto d’ autore

Andrea Scrosati lascia Sky e approda in Fremantle

Copyright, Fieg rilancia l’ appello

Mogol presidente di Siae Purgatori per la sorveglianza

Riffeser replica a Di Maio: pronti a confronto su editoria

Chessidice in viale dell’ Editoria

Rtl 102,5: giù le mani da W l’ Italia

Scrosati lascia Sky per Fremantle

Gianni Maritati “La nostra festa della lettura legittima difesa al degrado”

I punti Non ci sarà nessun costo a carico degli utenti 1 Editori e giornalisti L’ articolo 11 …

Ultima chiamata in Europa per la legge sul copyright

IL COPYRIGHT È LIBERTÀ

Europarlamento per il copyright è l’ ultima chiamata

La prova del cannibale

Europarlamento spaccato sul copyright Tempi stretti, si rischia di buttare la riforma

Leghisti pronti a bocciare la direttiva Lo strappo fa infuriare Berlusconi

IN TEMPI DI TRASPARENZA LE FONTI ANONIME METTONO A DURA PROVA LA FIDUCIA

Copyright

Corriere della Sera

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Il copyright o il diritto d’ autore, secondo la definizione della Società italiana autori ed editori (Siae), è il diritto che consente di poter disporre in modo esclusivo delle proprie opere, di rivendicarne la paternità, di decidere se e quando pubblicarle, utilizzarle, modificarle e di ricevere i relativi compensi.

L’ obiettivo: far pagare i contenuti a Google e Fb

Corriere della Sera
MASSIMO SIDERI
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C’ è una domanda che viene naturale porsi guardando alla grande agitazione che la discussione europea in difesa del copyright online ha portato in casa dei nuovi monopolisti del tech: di cosa hanno paura? Sul serio il loro business miliardario potrebbe essere messo solo vagamente in difficoltà dagli Articoli 11 e 13 della legge che verrà votata domani? Prima di dare un giudizio vediamo cosa contengono gli articoli con i 200 emendamenti presentati (alcuni dello stesso relatore, un chiaro segnale di una volontà negoziale): l’ Articolo 11 è quello che coinvolge anche la stampa – compresi i quotidiani come il Corriere della Sera – ma più in generale l’ informazione e, dunque, anche i lettori. Dimenticate fantasiose definizioni come quella frutto di un sapiente lobbismo come la link tax, la tassa sui link, che avrebbe, se fosse vera, del ridicolo. L’ articolo 11 la cui genesi va fatta risalire al lavoro della Commissione Ue nel 2015 introduce l’ obbligo del pagamento da parte delle piattaforme come Google, Facebook, Microsoft ed Apple (sono già escluse enciclopedie online et similia come Wikipedia) per l’ utilizzo delle notizie, anche sotto forma di snippet, l’ anteprima formata da titolo, sommario e immagini che i motori di ricerca catturano automaticamente grazie ai propri software-ragno. Le società si pubblicano così dei «propri» giornali. Vista l’ audience che hanno si potrebbe parlare del Facebook Times e del Google Post, se non fosse che, appunto, i contenuti non sono loro e produrli costa (al contrario di quanto la disinformazione spesso diffonde in Rete i principali quotidiani non ricevono fondi pubblici come le testate “politiche”). Qui si potrebbe pensare: alla fine quella che l’ Articolo 11 vuole regolamentare è una forma di pubblicità e chi è interessato può andare ad approfondire. Purtroppo la disabitudine alla lettura degli articoli e la velocità della circolazione online delle informazioni tendono a soddisfare con questi pochi elementi molti lettori. Voi entrereste in un ottimo ristorante se qualcuno all’ ingresso vi regalasse in continuazione dei piattini di assaggi presi dallo stesso posto? Il tema dell’ Articolo 11 è il futuro dell’ informazione che sta cambiando, complici tutti noi. Provate a pensare a qualcuno che invece di due pasti al giorno, con relativa digestione lenta, mangiasse in continuazione piccoli bocconi, ogni cinque minuti. Le micro-informazioni rischiano di essere come degli snack continui: danno la sensazione di essere soddisfatti ma non fanno bene se si salta il pasto. Lo sanno bene le piattaforme online. Senza il rispetto del diritto d’ autore il rischio è che la percentuale di «fake news», già diffuse, aumenti, perché si mina il modello di business dei giornali. E le «fake news» sono gli zuccheri lavorati e i grassi saturi nella digestione dell’ informazione. L’ articolo 13 introduce invece l’ obbligo per le piattaforme di mettere dei filtri per bloccare il caricamento dei contenuti protetti. Il pensiero va facilmente a YouTube: in sostanza se qualcuno prova a mettere online per esempio un film di Fellini come Amarcord l’ Articolo 13 permetterà di andare a chiedere come mai è accaduto non all’ utente singolo ma a YouTube. La faccenda è tecnicamente possibile, ma molto costosa. Motivo per cui sono esonerate start up e piccole realtà. In definitiva le aziende tech hanno paura perché gli Articoli 11 e 13 introdurrebbero il concetto di «responsabilità» più che un costo. Il mito della neutralità della tecnologia è finito.

La partita spagnola mette le ali a Mediaset, balzo del 4,8%

Corriere della Sera
F. Sav.
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MILANO L’ operazione varrebbe, ai valori correnti di Borsa, circa 960 milioni di euro. Per comprare il 48% (il 13% è in mano al gruppo Prisa) residuo di Mediaset España Comunicación, la controllata spagnola del Biscione, in modo da delistarla dalla Borsa di Madrid. L’ indiscrezione, riportata dal sito Bloomberg, è stata smentita da un portavoce Mediaset, ma tanto è bastato per far schizzare il titolo sul listino madrileno con aumenti fino al 20% e a far guadagnare alla capogruppo il 4,79% a Piazza Affari. A ben vedere un senso industriale l’ operazione potrebbe pur averla. E sembrerebbe dar credito alle recenti dichiarazioni di Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mediaset, che a giugno si è detto al lavoro per un progetto di consolidamento in Europa nel settore televisivo «del quale saremmo motore, locomotiva trainante». Sarebbe la via più facile questa. Consolidare la controllata spagnola che gestisce nel Paese iberico otto emittenti tra cui Telecinco, Quatro, Boing e Divinity. Anche la fase ribassista del titolo, al netto dell’ exploit di ieri, potrebbe suggerire una tempistica favorevole utilizzando anche le risorse derivanti dalla plusvalenza determinata dall’ adesione all’ offerta pubblica sulle torri Ei Towers, l’ infrastruttura proprietaria del Biscione su cui viaggiano le frequenze televisive del digitale terrestre, non più in concessione dal 2008 ma disponibili per i broadcaster grazie ad un’ autorizzazione generale del ministero dello Sviluppo. Al netto delle tecnicalità resta il proposito dei vertici del gruppo di Cologno Monzese di «creare valore di lungo termine per i propri azionisti». E ciò non può non passare attraverso la creazione di un gruppo pan-europeo di creazione e distribuzione di contenuti sulle tv generaliste, il segmento su cui il Biscione – abbandonate le velleità sulla tv a pagamento dopo i risultati deludenti di Premium e l’ accordo di scambio di contenuti con l’ emittente Sky – compete con i rivali, come la tedesca ProSiebenSat.1 e la francese TF1. Che fanno parte peraltro della piattaforma EBX, con cui i broadcaster gestiscono i diritti e la vendita degli spazi pubblicitari online. In Spagna il mercato televisivo, dopo una crisi acutissima successiva al 2008 e protrattasi per diversi anni, è pian piano ripartito e fa il paio con la crescita del Paese che ha ovviamente ridato slancio agli investimenti (e quindi ai ricavi) pubblicitari della controllata spagnola. Da Madrid fonti di Mediaset España Comunicación fanno sapere che non ci sono dichiarazioni da fare sull’ ipotesi di acquisto della quota residua da parte della capogruppo. Non è cambiato poi molto lo scenario rispetto ad aprile 2016 quando Mediaset firmò con la media company Vivendi un accordo che prevedeva uno scambio di partecipazioni e il conferimento della pay-tv Premium ai francesi. Quell’ intesa – che immaginava proprio la nascita di un colosso pan-europeo di contenuti e piattaforme distributive – naufragò solo pochi mesi dopo sulla valutazione differente della tv a pagamento del Biscione da parte del gruppo presieduto ora da Yannick Bolloré (figlio di Vincent) oggetto di un contenzioso che si trascina in tribunale con una richiesta di risarcimento danni per 1,5 miliardi di euro. È da registrare la logica speculativa che alcuni fondi stanno manifestando sul titolo Mediaset España. Due settimane fa il fondo britannico Polar Capital ha cominciato a scommettere contro la società dopo essere entrato nel mese di giugno con una posizione corta.

Mogol nuovo presidente Siae

Corriere della Sera

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Mogol è il nuovo presidente del Consiglio di Gestione della Siae (Società Italiana degli Autori ed Editori). «Siamo in guerra: si sta attentando al diritto d’ autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo», le prime parole del neopresidente. Sempre ieri Andrea Purgatori è stato eletto presidente del Consiglio di sorveglianza Siae.

Il «Nyt» incredulo: davvero cerca lavoro?

Il Giornale
DDS
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Roma I soliti maligni che si annidano nei palazzi della politica dicono sia invisibile. O peggio, senza alcuna autonomia decisionale. In balìa degli umori di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Eppure, Giuseppe Conte, ha la sua «rete». Un network di legami che, prima della rinuncia al concorso alla Sapienza, gli aveva permesso di pensare a un’ alternativa, nel caso fallisse l’ avventura politica. «Il primo ministro Italiano sta cercando un lavoro di riserva?». Questa è la domanda che si fa il New York Times in un articolo pubblicato ieri. L’ affondo del Nyt è durissimo: «Giuseppe Conte, poiché svolge un lavoro tradizionalmente precario, ha tentato di evitare di mettere tutte le sue uova in un unico cestino professionale, candidandosi ad una posizione di riserva come docente in un’ università a Roma». Secondo il quotidiano americano «il cestino in questione è il governo italiano. E il signor Conte è il suo primo ministro». Il New York Times elenca tutte le spine del governo gialloverde che avrebbero portato Conte a pensare di trovarsi una nuova sistemazione professionale. Dal crollo del Ponte Morandi di Genova, con relative divergenze tra M5s e Lega, ai guai giudiziari del Carroccio, fino all’ ultimo attacco hacker ai danni della piattaforma Rousseau. Ha proseguito il giornale: «Il premier che molti credono sia controllato da Salvini e Di Maio si è concentrato sulla costruzione di una carriera di altro tipo. Continuando a perseguire il lavoro alla Sapienza, programmato prima di diventare primo ministro». Conte prima di sedersi a Palazzo Chigi vantava rapporti trasversali. Certo, c’ è Alfonso Bonafede, Guardasigilli grillino e studente di Conte all’ Università di Firenze. Bonafede ha aperto all’«avvocato del popolo» le porte del M5s. Ma ci sono anche i link con una serie di personaggi vicini al mondo del «Giglio magico» renziano, tanto da portare il professore di origini pugliesi ad avvicinare Maria Elena Boschi e a conoscere Matteo Renzi. E naturalmente c’ è Guido Alpa, il «maestro» del premier, titolare di quella cattedra alla Sapienza sognata da Conte. Un modello, tanto da far scrivere all’ inquilino di Palazzo Chigi nel curriculum di aver «aperto con il prof. avv. Guido Alpa un nuovo studio legale dedicandosi al diritto civile, societario e fallimentare». Circostanza smentita dallo studio Alpa, di cui Conte era comunque un collaboratore. Consolidati anche i rapporti con alcuni esponenti del mondo cattolico, a partire dal cardinale Achille Silvestrin. Nella carriera del giurista Conte non mancano le consulenze. Dopo la tragedia del Ponte Morandi di Genova, hanno fatto discutere gli incarichi per Aiscat, l’ Associazione italiana concessionarie autostrade e trafori e per la Serenissima A4 Brescia Padova. Ha suscitato imbarazzi la consulenza per il finanziere Raffaele Mincione e la sua cordata Fiber 4.0 nell’ ambito dello scontro interno al cda di Retelit, società proprietaria di oltre 12.500 chilometri di cavi in fibra ottica. Questione su cui il governo ha deciso di esercitare il Golden Power. A giustificare Conte ci ha pensato Di Battista: «Mi sembra una cosa bella e normale che Conte faccia il concorso alla Sapienza, non so e non credo che esista un conflitto d’ interessi». DDS.

Riforma del copyright Il giorno del giudizio tra pressioni e appelli

Il Giornale
Manuela Gatti
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Manuela Gatti I numeri aiutano a inquadrare il fenomeno: in vista della plenaria di domani, deputati, assistenti e funzionari del Parlamento europeo hanno ricevuto 4,5 milioni di email da lobbisti e il 179% di telefonate in più rispetto alla media. Tanto è atteso il voto della direttiva sul diritto d’ autore nel mercato unico digitale, la riforma sostenuta da editori e artisti e boicottata dalle grandi aziende del settore tech e dai fautori del web libero, che a luglio era stata bocciata dalla stessa aula di Bruxelles (318 «no», 278 «sì» e 31 astenuti). Difficile fare pronostici sull’ esito della consultazione: da allora i rapporti di forza non sono cambiati, i gruppi restano divisi. La direttiva torna all’ attenzione degli eurodeputati con 252 nuovi emendamenti da valutare, alcuni dei quali proposti dallo stesso relatore Axel Voss, del Partito popolare europeo. Le proposte di modifica intervengono sui due articoli più dibattuti della riforma, l’ 11 e il 13. Il primo prevede che gli editori possano esigere il pagamento di diritti da parte degli aggregatori di notizie (come Google News) e dei social network (Facebook e Twitter) che condividono, finora gratuitamente, gli articoli prodotti dai siti di informazione (è salvo invece il «legittimo uso privato»). Il secondo stabilisce che le piattaforme (ad esempio YouTube con i video) diventino responsabili delle eventuali infrazioni di copyright causate dai contenuti caricati dagli utenti, portandole ad attrezzarsi con filtri che blocchino i contenuti illeciti. Il tema interessa l’ opinione pubblica, almeno stando al sondaggio Copyright & Us Tech Giants da cui emerge che l’ 89% degli italiani è favorevole alla direttiva, oltre la media europea dell’ 87% (ma va detto che l’ indagine è stata commissionata da «Europe for creators», che riunisce circa 250 organizzazioni a sostegno della riforma). La Fieg, la Federazione italiana editori giornali, e l’ Enpa, il suo omologo europeo, da mesi si sgolano sul tema, appellandosi agli europarlamentari affinché approvino la nuova normativa. «Tutelerebbe l’ informazione professionale, libera e indipendente, consentendo a tutte le aziende editoriali, indipendentemente dalla loro dimensione, di ottenere la giusta remunerazione per il proprio lavoro – spiegano -. Senza l’ approvazione della direttiva si avrà un generale impoverimento della qualità della produzione editoriale, la proliferazione di notizie false e di informazioni non veritiere». Contrari, invece, i colossi del web (Google e Facebook in primis), che sarebbero chiamati a pagare per i contenuti di cui vivono e che per questo hanno condotto un’ intensa attività di lobbying sugli europarlamentari, tanto che alcuni hanno parlato di «violenza inaccettabile». Fanno campagna per il «no» anche i sostenitori della Rete aperta e libera, come la deputata Ue Julia Reda del Partito pirata tedesco, ormai leader dell’«opposizione», ma anche alcuni piccoli editori, spaventati dall’ idea di sparire dai motori di ricerca e di perdere così i ricavi provenienti dai «clic». I gruppi parlamentari restano divisi al proprio interno. Sul fronte italiano Stefano Maullu (Forza Italia) parla di «riforma giusta e necessaria» che riguarda «un comparto che genera in Italia 92 miliardi di euro annui e che dà lavoro a 1,5 milioni di persone, il 6% degli occupati», mentre secondo il collega forzista Massimiliano Salini si tratta di «assicurare la libertà di navigare sul web e utilizzare i social network garantendo la giusta protezione del diritto d’ autore contro le multinazionali che lucrano alle spalle di chi lavora». Favorevole anche il Pd, mentre contrari sono Lega e M5s, che parlano di «censura» e «attacco alla libertà d’ espressione». Una spaccatura che rischia di vanificare tutto il lavoro fatto finora. Perché, anche in caso di approvazione, bisognerà poi concordare un testo comune tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue, testo che dovrà poi essere votato di nuovo entro la fine della legislatura, che scade a maggio 2019. Altrimenti si ricomincerà tutto da capo.

Colpo di scena alla Siae: Mogol diventa presidente

Il Giornale
PG
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È Giulio Rapetti in arte Mogol il nuovo presidente del consiglio di Gestione della Siae. L’ ha comunicato la stessa Società Italiana degli Autori ed Editori, spiegando che «lo affiancheranno, in qualità di consiglieri, Salvatore Nastasi, Roberto Razzini, Claudio Buja e Federico Monti Arduini». Il consiglio di Sorveglianza ha eletto «Andrea Purgatori a presidente del consiglio di Sorveglianza» mentre Paolo Franchini «è stato confermato nella carica di vice presidente». Mogol ha iniziato negli anni Sessanta con grandi artisti come Mina, Bobby Solo, Tony Renis, Tenco, per raggiungere i massimi livelli dopo l’ incontro con Lucio Battisti con il quale ha dato vita a grandissimi successi. Il dopo-Battisti ha visto Mogol al fianco di Riccardo Cocciante, poi sono nate le collaborazioni con Gianni Bella, Mango, Gianni Morandi, e Adriano Celentano. Ha fondato oltre trenta anni fa la Nazionale Italiana Cantanti, progetto creato per raccogliere fondi a scopo benefico. Nel 1992 ha dato vita in Umbria al CET, una scuola di alto perfezionamento musicale nata con lo scopo di valorizzare e qualificare principalmente nuovi professionisti della musica pop, persone sensibilizzate all’ importanza della cultura popolare e alle esigenze etiche della comunicazione. L’ elezione di Mogol, che prende il posto ricoperto fino a pochi mesi fa da Filippo Sugar, è un segnale importante in questa delicatissima fase di discussione dei diritti d’ autore. Le vertenze comunitarie. L’ arrivo di altri «operatori» dai contorni non sempre precisi. Le polemiche di tanti artisti. La sfida toccherà quindi all’ autore che ha saputo portare le parole della nostra canzone a un livello letterario unico al mondo. PG.

Diritto d’ autore, la battaglia finale

Il Mattino
FRANCESCO PACIFICO
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LO SCONTRO Francesco Pacifico Giulio Papetti, in arte Mogol, chiama tutti alle armi: «Siamo in guerra, si sta attentando al diritto d’ autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi aBbiamo ragione». Luigi Di Maio invece è convinto che siamo di fronte a «un attacco alla libertà della rete». Domani a Bruxelles s’ inizia a votare la direttiva Ue sul copyright, l’ altro pezzo dopo il nuovo regolamento della privacy (il Gdpr passato nei mesi scorsi) con il quale la Ue prova a dare una forma giuridica a un settore, l’ It, che è cresciuto anche grazie alla deregulation. E nell’ aula dell’ Europarlamento partiti e deputati dei singoli gruppi sono spaccati anche trasversalmente, che nessuno sa scommettere sull’ esito finale. L’ OBIETTIVO I propositi della direttiva sono ineccepibili. Da un lato, infatti, vuole rafforzare la posizione dei creatori e dei detentori dei contenuti, autori ed editori titolari dei diritti d’ autore e la loro possibilità di vedersi remunerato il proprio lavoro. Anche provando a dare un forma a un concetto tanto sfuggente come l’ equo compenso. Dall’ altro, come si legge nella relazione che accompagna il testo, si punta «a instaurare un mercato interno e a creare un sistema che garantisca l’ assenza di distorsioni della concorrenza», con regole identiche per tutta l’ Unione. Ma per arrivarci – e qui nasce lo scontro tra i giganti della rete – la Ue vuole affidarsi a norme dagli effetti discussi. Il testo, all’ articolo 11, prevede che le grandi piattaforme come Facebook o Twitter paghino i produttori di contenuti anche se pubblicano un link di un loro articolo. Il modello è quello di Google News, che dopo tante polemiche e tante pressioni riconosce un fisso agli editori dei quali rilancia i contenuti. Contemporaneamente – impone l’ articolo 13 – sempre ai grandi media si chiede di essere giuridicamente responsabili e di controllare il materiale che gli utenti postano attraverso di loro. Wikipedia (che mesi mesi scorsi ha organizzato una serrata virtuale del servizio) deve vagliare tutte le informazioni ogni qualvolta un suo utente aggiorna una voce dell’ enciclopedia scritta dal basso; YouTube deve fare altrettanto con i video diffusi dal suo sito. E in caso di uso scorretto, vanno eliminati immediatamente. Più controlli, va da sé, vuol dire meno traffico e più costi sul versante della sicurezza. IL DUELLO Queste sono le norme più contestate. Ma non meno il mercato è spaventato dall’ articolo 4. Che dà ai governi quella pistola che gli è sempre mancato ai tavoli che con i big del web. «Gli Stati membri – si legge – possono prevedere un equo compenso per il pregiudizio subito dai titolari dei diritti a causa dell’ utilizzo delle loro opere o altro materiale a norma del paragrafo». All’ articolo 3, invece e con una formula che lascia adito a molte interpretazioni, si dà la possibilità alle nazioni di derogare al diritto d’ autore «per le riproduzioni e le estrazioni effettuate da organismi di ricerca ai fini dell’ estrazione di testo e di dati da opere o altro materiale cui essi hanno legalmente accesso per scopi di ricerca scientifica». Le start europee hanno denunciato che in questo modo uno Stato potrebbe anche imporre di rendere pubbliche informazioni e dati alla base di algoritmi matematici innovativi o brevetti scientifici nel campo per esempio delle nanotecnologie, che sono per le aziende, soprattutto le più piccole, una leva di business, di competitività e di concorrenza rispetto ai giganti loro concorrenti. LA COMMISSIONE Attraverso l’ Ansa, ieri, un portavoce della Commissione ha fatto sapere: «Ora o mai più. Se il Parlamento europeo non riuscirà a concordare una posizione, la riforma non potrà essere conclusa entro l’ anno prossimo». Sta provando a trovare una mediazione tra i 252 emendamenti presentati il relatore, il popolare tedesco Axel Voss, il quale ha proposto per esempio di eliminare – nei contestati articoli 11 e 13 – sia i filtri ai contenuti sia le limitazioni all’ uso dei link, che costringerebbe le piattaforme a pagare gli editori. Sul versante opposto i socialisti l’ Alde, i verdi, i liberali di Efdd (dove sono i Cinquestelle e un tempo c’ era la Lega) chiedono l’ abolizione delle due norme. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Scrosati da Sky a Freemantle l’ italiano più potente della tv

Il Mattino

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«X Factor» è stato galeotto. Nell’ annuncio del passaggio di Andrea Scrosati da Sky al grande colosso della produzione televisiva Fremantle ci deve essere molto del successo del talent, passato dalla Rai al network satellitare in un momento di calo e rilanciato fino a diventare uno degli appuntamenti più in vista della stagione. E, se c’ è molto di «X Factor», c’ è anche molto dei risultati che il gruppo Murdoch è riuscito a ottenere, negli ultimi anni, sul fronte largo dell’ intrattenimento, genere che non era compreso, fino ad allora, nei suoi piani di sviluppo, con titoli come «Masterchef» e serie vendute in tutto il mondo come «Gomorra» (acquistata in 200 paesi) e come «The young pope». Dunque, Scrosati, romano di 46 anni, il nuovo «group chief officer», vale a dire riferimento per quello che riguarda l’ intrattenimento con delega sul Sud Europa (oltre l’ Italia, Spagna, Francia, Portogallo), il Brasile, Messico, Israele e sulle attività della Euston Films, oltre a essere membro del comitato investimenti e presidente di varie aziende di produzione del gruppo: l’ italiana Wildside, la Miso Film scandinava, l’ israeliana Abbot Hameiri. Un mandato ad ampio respiro («Andrea riporterà a Jennifer Mullin, group ceo di Fremantlen», è stato precisato nel comunicato che ha annunciato la sua nomina), che lo porta in una posizione di rilievo nel mondo della produzione globale, destinato a segnare il futuro del consumo nel campo dell’ intrattenimento, in un ruolo che, per peso e evidenza, non ricopre nessun altro italiano nel mondo. La società britannica nel suo carnet di titoli, oltre a «X Factor», ha «Got talent» e tutte le varie declinazioni di un altro talent, «Idol» per un totale di oltre 12.000 ore di produzioni per 450 programmi. L’ incarico, che diventerà effettivo dall’ 1 novembre, e che prevede il suo trasferimento a Londra, chiude una collaborazione con Sky Italia durata 11 anni. Scrosati («Era il momento di rimettermi in gioco» ha commentato ieri) aveva già seguito il gruppo fin dal suo sbarco italiano nel 2003 (quando ereditò le piattaforme di Stream e Telepiù) come ufficio stampa con la sua società Mn. Poi, poi nel 2007 è diventato responsabile per la comunicazione del polo satellitare, quindi è stato nominato vice presidente a capo di tutti i contenuti non-sportivi incluso il canale free (trasmesso sia sul satellite che sul digitale terrestre) Tv8, che in pochi anni ha moltiplicato i suoi ascolti dallo 0,4 al 2,5, e compresa anche la delega all’ informazione, visto che è stato molto presente nella crescita di Sky Tg24. Quanto all’ intrattenimento, è stato non solo il responsabile ma il vero artefice dell’ avventura in un territorio che fino a quel momento era ad appannaggio assoluto dei network terrestri, da quando lanciò, era il 2009, il canale SkyUno con lo show in onda tre volte a settimana di Fiorello dalla tenda di piazzale Clodio (poi Rosario ha continuato in altre occasioni a collaborare con Sky grazie al rapporto che aveva proprio con Scrosati). «La mia esperienza in Sky è stata la più importante della mia carriera», ha riconosciuto ieri, annunciando le sue dimissioni: «Una straordinaria esperienza personale, nel corso della quale ho avuto la possibilità di sperimentare e assumere dei rischi che nessuna altra azienda mi avrebbe mai permesso di avere». Il divorzio, anche se improvviso, dunque, arriva in un clima di rapporti ottimi. Non solo per il caloroso saluto dell’ ad di Sky, Andrea Zappia. Ma anche perchè conserverà un filo diretto con la sua vecchia azienda mantendo il ruolo di presidente di Vision Distribution, la joint venture di distribuzione cinematografica fondata nel 2016 tra Sky Italia e cinque produttori indipendenti italiani tra cui Wildside. Quanto al futuro della piattaforma Murdoch in Italia, la ricerca di un sostituto è naturalmente avviata, ma avrà bisogno di un qualche tempo, anche perché l’ addio di Scrosati è arrivato senza ampio preavviso, dal momento che la chiamata londinese di Fremantle è avvenuta solo pochi giorni fa, in seguito alle dimissioni della precedente Group chief officer, Saangeta Desai, dopo cinque anni di mandato. m.m. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Inizia a Pietrarsa il racconto dell’ Italia vista dai treni»

Il Mattino
Luciano Giannini
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«E sul binario stava la locomotiva, la macchina pulsante sembrava… un giovane puledro che appena liberato il freno, mordesse la rotaia con muscoli d’ acciaio», canta Guccini nella «Locomotiva». Il treno: un incantamento; macchina gioiosa e indiscreta, suscitatrice di sogni, attrazione estetica, placenta da cui osservare il mondo in movimento; e anche motore della società. «Con la nascita delle ferrovie arrivarono gli orari e si dovette inventare l’ orologio da taschino. Percorrendo un vagone, Angela Giussani sbirciò una copia di Fantomas ed ebbe lidea di un fumetto tascabile da leggere in viaggio. Nacque Diabolik», dice Raffaele Di Placido, divulgatore storico-scientifico. E Beppe Severgnini, giornalista, saggista e direttore di «Sette», del «Corriere della Sera»: «Le Frecce sono una eccellenza italiana. L’ alta velocità ha cambiato la nostra vita, ed è un errore che si fermi a Salerno». Entrambi dal 22 ottobre alle 21.50, ogni lunedì su History, canale 407 di Sky, daranno vita a «L’ Italia dal treno». Il documentario, in cinque puntate, attraverso la storia minore delle ferrovie d’ Italia, racconterà quella maggiore di un intero Paese e, soprattutto, i cambiamenti che ha generato nei costumi e nelle abitudini nazionali. «Grazie al treno, che trasportò le truppe al fronte, vincemmo la Prima guerra mondiale. E il fascismo sui treni e le architetture concretò la propria idea d’ Italia anche se, poi, scelse dei binari morti. Pensi anche alla grande migrazione interna da Sud a Nord nel dopoguerra», spiega Severgnini. E lo fa proprio là dove, il 3 ottobre 1839, per la prima volta un convoglio su rotaie solcò le campagne. Il merito, tra tanti altri misconosciuti, fu di Ferdinando II, re Borbone. Siamo nel Museo nazionale ferroviario di Pietrarsa, altra eccellenza italiana e cuore pulsante del programma. Tra le imponenti architetture ottocentesche del padiglione principale, immerso nell’ afa umida e soleggiata di un caldo settembre, Severgnini è il conduttore-affabulatore; dipana la narrazione e presenta via via le immagini d’ archivio e quelle riprese in tutt’ Italia da Di Placido, che spiega: «Ho girato dal Friuli alla Sicilia, dal fronte carsico alle miniere di zolfo dell’ isola; da quelle di mercurio della Toscana, alla linea Sulmona-Isernia, la Transiberiana d’ Abruzzo; dal bunker di Mussolini sul monte Soratte alla più piccola stazione d’ Italia, Trequanda, in Val d’ Orcia… fino al Brennero, dove stanno costruendo la galleria più lunga al mondo». Non mancheranno le immagini di altre eccellenze passate, come gli elettrotreni Settebello e Arlecchino, con la cabina di guida al piano superiore per permettere ai viaggiatori di perdersi nell’ incanto dei binari divorati dalla velocità. Severgnini: «History aveva bisogno di un conduttore già avvezzo alla tv, che fosse anche un appassionato. Pensi, il primo viaggio lo feci nell’ 86. Per il viaggio di nozze portai mia moglie sulla Transiberiana, da Mosca a Pechino. Il mio maestro, Indro Montanelli, mi disse: L’ idea è stupida, ma vai. Per punizione mi scriverai il resoconto del viaggio. Un altro lo feci nell’ 89, da Helsinki a Istanbul, sempre a est della Cortina di ferro, per vedere da vicino la fine del comunismo. Poi da Mosca a Lisbona, nel 2011, per capire che l’ Europa, nonostante le differenze, ha una identità comune». Perché le piacciono i treni, dunque? «Sono un palcoscenico su cui cast, personaggi e scenografie cambiano continuamente. E la trama della drammaturgia è già scritta. Ha un punto di partenza e uno d’ arrivo, uno schema fisso che aiuta la narrazione». E il pubblico? «È fatto di persone unite dal caso e divise da una stazione, che si confessano storie e peccati, per poi assolversi l’ un l’ altro». Preziosa è stata la collaborazione di Luigi Cantamessa, direttore della Fondazione Ferrovie dello Stato, con i suoi approfondimenti storici e tecnici e con un video-archivio ricchissimo e digitalizzato, da cui History ha largamente attinto. Severgnini, che cosa emerge da questo viaggio ferroviario nel Belpaese? «Il progresso non fa paura agli italiani, ma dovrebbe essere ben guidato dai politici. Quelli di oggi, purtroppo, più che leader, sono followers, seguono soltanto mode, ansie, istinti e paure di massa». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fiorello tra gli «Imbavagliati»

Il Mattino
Ida Palisi
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Parla di eroi di tutti i giorni perseguitati dalla censura e di «figli di un’ informazione minore» che in alcuni Paesi non ha neppure la possibilità di accedere a Google la quarta edizione di «Imbavagliati» il festival di giornalismo sociale ideato da Désirée Klein e organizzato con il sostegno del Comune, la Fondazione Polis, la Regione e «Il Mattino» tra i media partner. Culturale e sociale insieme il programma di incontri e mostre che si terrà dal 20 al 26 settembre al Pan dove è custodita la Mehari di Giancarlo Siani, simbolo dell’ informazione senza bavagli. Testimonial d’ eccezione l’ attore Beppe Fiorello, a modo suo un «imbavagliato» per il blocco della fiction «Tutto il mondo è paese» sull’ esperienza del sindaco di Riace Domenico Lucano e sul modello di integrazione che ha fatto il giro del mondo, trasformando l’ emergenza in una risorsa. Dopo il tweet di denuncia dell’ attore, la fiction mai vista è diventata un caso. La Rai con un comunicato assicura che non è stata bloccata, «ma semplicemente sospesa dal palinsesto in quanto, come da tempo è noto, al sindaco è stato recapitato un avviso di garanzia da parte della Procura di Locri per alcuni presunti reati collegati alla gestione del sistema di accoglienza. Non appena la magistratura comunicherà le sue decisioni finali in merito all’ indagine» Viale Mazzini «adotterà i provvedimenti conseguenti». Ma, si chiede Lucano, «perché collegare fiction a inchiesta»? E, naturalmente, al tempo del governo gialloverde che adotta la linea dura salviniana sugli emigranti, la polemica diventa politica, con il senatore del Pd Davide Faraone che annuncia un’ interrogazione parlamentare. «Se la ragione di questo stop fosse invece solo un pregiudizio ideologico, come molti temono, sarebbe davvero una vergogna per il nostro Paese», scrive invece su Facebook Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Calabria. «In ogni caso», dichiara il sindaco di Riace, «con la nostra esperienza di accoglienza realizzata in un paese povero e abbandonato dell’ interno della Calabria che grazie ai migranti é rinato e si é risollevato dallo spopolamento diamo un messaggio di umanità che può essere preso come esempio da tutti e può essere replicato in qualsiasi altra parte del mondo, se solo si ha la volontà di farlo e se si é spinti da un vero senso di altruismo e di solidarietà». Ma torniamo a «Imbavagliati»: questa edizione del festival ospita in anteprima i finalisti del Premio Morrione per il giornalismo investigativo e si apre il 20 alle 18 con l’ inaugurazione della mostra «Imbavagliati/ Faces of war», a cura di Stefano Renna, con oltre cento fotografie del vincitore del World Press Photo Alfred Yaghobzadeh e di «Scatti della memoria», curata da Renna con Sergio Siano e Gaetano e Antonella Castanò, in cui saranno raccontati i volti più celebri della fotografia napoletana. Alla censura in Uzbekistan, in Cina, Giappone, Corea e Pakistan sono dedicati alcuni incontri con testimoni diretti il 21 e 22 (interviene anche il vignettista Riccardo Marassi), mentre domenica (ore 18.30) Beppe Fiorello partecipa al convegno organizzato con la Fondazione Polis su come è cambiata la narrazione audiovisiva dei fenomeni criminali. Tra gli altri appuntamenti segnaliamo quello di lunedì alle 16 sui blogger italiani vittime di minacce, l’ incontro con il fotoreporter napoletano Francesco Paolo Cito (World Press Photo 1996) e i workshop sul giornalismo d’ inchiesta nella giornata di mercoledì. Una sorta di prologo del festival è considerato il Premio Eleonora Pimentel Fonseca quest’ anno dedicato alla memoria di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese assassinata per le sue inchieste e che andrà a Caroline Muscat impegnata nel proseguirne il lavoro, e alla spagnola Olga Rodríguez. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il ritorno di Ciro l’ immortale

Il Mattino
Alessandra Farro
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Torna Ciro l’ Immortale, morto nella terza stagione di «Gomorra» e non stiamo parlando delle puntate della quarta serie che saranno dirette da Marco D’ Amore, interprete di un personaggio seguitissimo dai telespettatori. Ma proprio di lui, Ciro Di Marzio, e stavolta i riflettori saranno puntati solamente su di lui: nel prequel sulla sua storia dal titolo provvisorio »Immortale». Il film, prodotto da Cattleya, sarà diretto e, chiaramente interpretato, dallo stesso D’ Amore. Sarà Leonadro Fasoli, dopo aver lavorato anche alle serie «Zero, zero, zero» ispirata al romanzo di Roberto Saviano, a occuparsi della sceneggiatura del film. La speranza della produzione è quella di riuscire a cominciare a girare nel primo trimestre del 2019. Alla distribuzione, invece, ci penserà la Vision Distribution, che ha già portato sul grande schermo le prime puntate della terza stagione di «Gomorra» e porterà anche quelle della quarta, prima della messa in onda su Sky Atlantic. Per il prequel ancora top-secret i dettagli della trama. Fino ad adesso, ciò che è trapelato è che lo spin-off dovrebbe raccontare la formazione di Ciro Di Marzio, svelando come ha ottenuto il soprannome di «Immortale» e quando ha cominciato a unirsi alla camorra, partendo dalla sua infanzia fino al suo primo incontro con Gennaro Savastano. Ciro, infatti, è l’ unico superstite al crollo del palazzo in cui viveva con i genitori, durante il terremoto dell’ Irpinia. Così la nascita del suo soprannome e la sua infanzia in orfanotrofio. Comincia presto a frequentare il mondo della criminalità, diventando in adolescenza il braccio destro di Don Pietro Savastano e, poi, mentore del figlio del boss. Da qui comincia l’ escalation che lo porterà dritto verso la fine. Possibile la ricomparsa di alcuni personaggi morti nelle stagioni scorse, come lo stesso boss, interpretato da Fortunato Cerlino, e Salvatore Conte, interpretato da Marco Palvetti, entrambi uccisi nella seconda. «Marco ha fatto un ottimo lavoro dirigendo diversi episodi della quarta serie di Gomorra», spiega Riccardo Tozzi, produttore di Cattleya: «Questo film mostrerà come Ciro Di Marzio divenne Immortale e il suo approccio al clan dei Savastano. È importante ricordare che lo stesso terremoto del 1980 a cui è sopravvissuto da bambino ha contribuito a far rinascere la camorra in Campania, quindi c’ è un parallelo nelle loro storie». Prossimamente, l’ attore sarà nel cast del film «Drive me home» con Jennifer Ulrich, Lous Castel e Vinicio Marchioni e, al momento, è impegnato a Torino sul set per la produzione della commedia «Dolcissime», di cui è regista e sceneggiatore con Francesco Ghiaccio. Con Vinicio Marchioni, Valeria Solarino, Margherita De Francisco, Giulia Barbuto, Giulia Fiorellino e Alice Manfredi, una storia lontana da «Gomorra»: «I personaggi principali di questo film sono due generazioni di donne, mamme e teenagers. Un’ età complicata che viene raccontata dal punto di vista femminile», spiega il regista. Intanto, per la quarta stagione della serie che ha avuto un successo straordinario non solo nazionale, ma internazionale, e che è stata acquistata in oltre duecento mercati e in Italia ha ascolti più alti di «Il trono di spade», i fan devono attendere la primavera 2019. Intanto, D’ Amore scrive sui social: «Sapete quando all’ improvviso la malinconia vi stringe la gola? Ecco… finisce così l’ ultimo giorno di riprese, con due regali inaspettati e meravigliosi da parte della mia troupe… il famigerato #ciak e una maglia che in due immagini racconta 6 anni di vita! Non sarò mai abbastanza grato ai compagni di questo viaggio, alla sorte benevola e un po’ anche al mio coraggio! Evviva le avventure, i percorsi accidentati! Evviva le difficoltà, i limiti e i suoi superamenti! A quelli che mi domandano come sarà… rispondo con la voce che si fa stranamente cupa… nun sapit che v’ aspetta!». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Botta e risposta Di Maio-Riffeser

Il Messaggero

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Luigi Di Maio attacca i giornali e promette una legge «per garantire che gli editori siano puri, perché l’ operazione di discredito verso questo governo», ha detto il ministro, «continua senza sosta». Al vicepremier ha replicato il presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, che ha ribadito «la pronta ed immediata disponibilità ad un serio confronto in Parlamento con tutte le forze politiche per analizzare e discutere il futuro della carta stampata». D’ altro canto, come sostenuto anche dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’ editoria Vito Crimi, è necessario traghettare il settore per i prossimi dieci anni. «Mi auguro – ha ribadito Riffeser – che si ricerchi nel Parlamento la massima condivisione sulla riforma in modo da dare certezze alle imprese, considerando il ruolo fondamentale della stampa e del lavoro dei giornalisti che richiede adeguate risorse e mezzi. Resta prioritario», ha aggiunto, «poter continuare ad informare i cittadini nella maniera più obiettiva, potendo disporre di aziende sane, indipendenti e libere da condizionamenti».

Copyright, ultima spiaggia per fermare i big del web

Il Messaggero

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IL PROVVEDIMENTO BRUXELLES Di nuovo di scena domani al Parlamento europeo riunito a Strasburgo la riforma del copyright. Dopo aver respinto due mesi il testo della commissione giuridica con 318 contrari, 278 favorevoli e 31 astenuti, i parlamentari voteranno i nuovi emendamenti e, di conseguenza, si pronunceranno sul mandato per negoziare con il Consiglio Ue le norme di tutela del diritto d’ autore. Se passerà il testo, riveduto e corretto sulla base dei nuovi emendamenti presentati dopo lo stop di luglio, il Parlamento sarà pronto per il via alla trattativa, che richiederà tempi abbastanza lunghi. Il tempo a disposizione non è molto dato che in primavera scadrà la legislatura. Se il testo venisse nuovamente respinto e rinviato alla commissione parlamentare, ciò equivarrà all’ affossamento almeno in questa stagione. «Si rischia di non parlare di riforma del diritto d’ autore per diversi anni e questo sarebbe un problema dal momento che l’ ultima direttiva è del 2001», indica l’ eurodeputata Virginie Rozière del gruppo socialista. Era un’ epoca in cui Youtube non esisteva e si parlava solo di commercio elettronico, non di diffusione di contenuti creativi o giornalistici sulle piattaforme online. LE POSIZIONI È massima l’ attenzione dell’ editoria (e degli stessi giornalisti) e dell’ industria creativa europee, entrambe a favore della nuova normativa: vogliono lasciarsi alla spalle l’ era in cui i contenuti circolano online senza ottenere in cambio una parte del valore che generano in termini pubblicitari e di accesso. In sostanza, non è in discussione la generica libertà della rete, bensì il consolidato vantaggio delle entità che aggregano e diffondono per lucro contenuti frutto del lavoro creativo di individui e imprese senza il corrispettivo riconoscimento economico. Ed è ovviamente massima l’ attenzione dei giganti del Web, come Google, Facebook, Amazon, nettamente contrari alla normativa e impegnati al massimo con un’ azione di lobby fortissima e violentissima condotta negli ultimi mesi sugli eurodeputati, a suon di decine di migliaia di email arrivate per lo più dagli Stati Uniti agli indirizzi di posta dei parlamentari, con i telefoni degli uffici del Parlamento andati in tilt e pure qualche minaccia di morte. In gioco c’ è il riconoscimento del valore concreto, in termini di prezzo, dell’ attività creativa e informativa. Ciò chiama in causa l’ attuale modello di business su cui si fonda l’ attività dei Gafa, acronimo che indica i colossi digitali Google, Amazon, Facebook, Apple. Un modello difeso anche dai militanti’ di internet free a tutti i costi. A luglio Lega e M5S hanno votato contro il mandato negoziale. LA POSTA IN GIOCO La partita è essenzialmente su due articoli della normativa che non riguarda gli utenti finali, ma i rapporti tra le piattaforme digitali e gli editori/creatori di contenuti. Si tratta dell’ articolo 11, che definisce l’ obbligo di retribuire gli autori per i contenuti diffusi on line, e dell’ articolo 13 sul blocco dello scaricamento dei contenuti protetti dal diritto d’ autore. Il primo, denominato erroneamente LinkTax dai colossi digitali, prevede che gli editori devono ottenere una remunerazione giusta e proporzionata da parte dei provider di informazioni (social network e motori di ricerca) per l’ uso digitale delle loro pubblicazioni. Remunerazione dunque, non una tassa. La pubblicazione delle prime battute di un articolo deve richiedere una licenza. Il secondo articolo prescrive che siano firmati «contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». Senza un accordo scattano i filtri automatici in grado di controllare preventivamente i contenuti scaricati dagli utenti. In sostanza, se c’ è una violazione del copyright, la pubblicazione deve essere impedita. Intanto il neo presidente della Siae Mogol chiama alle armi auspicando il sì dell’ Europarlamento alle nuove regole: «Siamo in guerra: si sta attentando al diritto d’ autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi abbiamo ragione», afferma. «È un problema di tutti, non solo della Siae: se la cultura dovesse soccombere davanti ai soldi, sarebbe grave per tutti, italiani ed europei», conclude. Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.

L’ articolo 11 e l’ obbligo di retribuire i contenuti

Il Messaggero

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Mira a proteggere i contenuti giornalistici in caso di utilizzo sul web, obbligando la remunerazione degli editori da parte dei colossi digitali che pubblicano i contenuti on line (per questo ribattezzato dai giganti della Rete LinkTax)

Siae, Mogol eletto nuovo presidente

Il Messaggero

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Arriva con spirito battagliero, Giulio Repetti, che tutti conoscono come Mogol, autore di più di 2000 canzoni, alla guida della Siae. Succede a Filippo Sugar e nel giorno della sua elezione (con voto unanime) ha dichiarato: «Siamo in guerra: si sta attentando al diritto d’ autore. Responsabili sono le multinazionali. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi abbiamo ragione». Il monito arriva alla vigilia del voto dell’ Europarlamento, che domani si pronuncerà sulla normativa che imporrebbe a Google e soci di pagare per i contenuti in rete di editori, autori e proprietari del diritto d’ autore in genere, finora utilizzati gratis. «È un problema di tutti, non solo della Siae: se la cultura popolare dovesse soccombere davanti ai soldi, sarebbe grave per tutti», avverte Mogol, 82 anni, che aggiunge: «La prima cosa che farò sarà invitare a un incontro tutte le società europee di incasso dei diritti per organizzare una difesa valida». m.mol. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Contenuti da pagare

Il Sole 24 Ore

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Remunerazione «equa e proporzionata» L’ articolo 11 della direttiva impone agli Stati di garantire agli editori, con alcune eccezioni, la remunerazione equa e proporzionata per l’ utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico.

Copyright, la commissione Ue spinge per l’ ok alla direttiva

Il Sole 24 Ore
Alessandro Galimberti
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«Ora o mai più». La Commissione europea lancia l’ ultimo, accorato appello per la riforma del copyright in versione Ue che si deciderà domani a Strasburgo nella seduta plenaria del Parlamento. Dopo lo stop dello scorso luglio, quando diversi deputati si erano sfilati chiedendo il rinvio del voto, un ulteriore ripensamento del legislativo comunitario determinerebbe la fine, di fatto, del progetto pensato per riequilibrare il mercato dei diritti sulle opere artistiche e sulle pubblicazioni editoriali. «Se il Parlamento non riuscirà a concordare una posizione, la riforma non potrà essere conclusa entro la legislatura» ha detto una portavoce della Commissione all’ agenzia Ansa, e lo status quo continuerà a favorire «solo le grandi piattaforme» come Facebook, Google e YouTube. Le nuove regole sul copyright, dicono alla Commissione, «sono necessarie per consentire ai creatori e alla stampa di ottenere accordi migliori quando i loro lavori sono resi disponibili online». Il tema resta davvero caldissimo, sia per la portata in valore economico della posta in gioco – che ha messo in moto le potentissime lobby dei monopolisti digitali dentro e fuori i corridoi del Parlamento – sia per il risvolto politico della vicenda. Non a caso il vicepremier italiano Luigi Di Maio, che a luglio aveva parlato di «legge bavaglio al web» – mentre in realtà si tratta solo di far pagare ai monopolisti (e non al pubblico) i diritti che spettano agli autori – ieri è tornato ad attaccare gli editori “tradizionali”, spettatori interessati alla partita. Di Maio ha detto che «bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori», riferendosi alla tragedia del ponte Morandi di Genova e alle «mani in pasta» dei grandi gruppi. A stretto giro la risposta del presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, che rigettando con forza l’ affermazione che gli editori abbiano le «mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato» ha ribadito la pronta e immediata disponibilità «ad un serio confronto in Parlamento con tutte le forze politiche per analizzare e discutere il futuro della carta stampata». Anche il neopresidente della Siae, il noto autore e paroliere Mogol, lancia una chiamata alle armi: «Siamo in guerra: si sta attentando al diritto d’ autore. Responsabili sono le multinazionali piene di miliardi. Ma spero tanto che vinceremo: loro hanno i miliardi e fanno attività di lobbying, noi abbiamo ragione», ha dichiarato Mogol. Il tema di fondo, in termini giuridici, è l’ attualizzazione della direttiva del 2001 che regola il riconoscimento dei diritti online. Quella direttiva, che a Bruxelles considerano superata da tempo, badava soprattutto a rendere fruibili i contenuti sulla rete, creando una serie di neutralità per far circolare liberamente le conoscenze. Tuttavia, superata la fase di start up del mondo digitale, e soprattutto nata la fase della interattività degli utenti (che possono agire come veri e propri editori senza titolo, postando e rilanciando contenuti altrui), il mercato dell’ informazione e dell’ intrattenimento online ha preso una deriva a quell’ epoca non prevedibile: gli autori e le società editoriali sono stati spossessati del tutto del diritto di essere remunerati/pagati, mentre gli intermediari digitali (in testa Google, Facebook e YouTube) hanno catalizzato tutti gli incassi, provocando lo squilibrio sotto gli occhi di chiunque (basti valutare la capitalizzazione multimiliardaria dei monopolisti digitali a Wall Street). Bruxelles aveva presentato il pacchetto di aggiornamento già due anni fa, nel 2016. «La nostra proposta salvaguarda la libertà di espressione», ha ribadito la Commissione, «non mette al bando né i meme né i link a differenza di quanto è stato dichiarato in queste settimane». Per la Ue la redistribuzione dei ricavi digitali è necessaria anche e soprattutto per salvaguardare la pluralità delle fonti di pensiero e di informazione, messe seriamente a rischio dai processi di concentrazione imprenditoriale sviluppatisi nel mondo web. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fronte comune dell’ editoria a difesa del diritto d’ autore

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Ha fatto e sta facendo fronte comune il mondo dell’ editoria in vista dello showdown di domani, quando alla plenaria di Strasburgo il Parlamento Ue tornerà a votare la cosiddetta riforma del copyright. L’ Eurocamera aveva respinto a luglio il via libera al mandato negoziale, riaprendo il dibattito e facendo slittare il verdetto. Con una lettera aperta pubblicata più volte sui giornali italiani, la Fieg, Federazione italiana editori giornali, e l’ Enpa, l’ Associazione degli editori europei, hanno quindi chiesto ai parlamentari di Strasburgo «di votare a favore dell’ introduzione di un diritto connesso per gli editori di giornali». L’ introduzione «di un diritto connesso – spiega la nota diffusa dalla Fieg – tutelerebbe l’ informazione professionale, libera e indipendente in Italia e in Europa, consentendo a tutte le aziende editoriali, indipendentemente dalla loro dimensione, di ottenere la giusta remunerazione per il proprio lavoro». Nella lettera, firmata dal presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, e dal presidente Enpa, Carlo Perrone, si legge che gli editori «vogliono difendere la democrazia e il diritto dei 150 milioni di lettori europei ad una libera Stampa». L’ introduzione del diritto connesso, scrivono, «garantirà la sopravvivenza della stampa, minacciata dalla distribuzione massiva di contenuti ad opera dei grandi aggregatori digitali; consentirà alle aziende editoriali, grandi e piccole, di ottenere la giusta remunerazione per il proprio lavoro; contribuirà a difendere i giornalisti e il loro lavoro; riequilibrerà la differenza di valore tra stampa e piattaforme digitali». Una campagna è stata promossa anche della Federazione nazionale della Stampa italiana (Fnsi), d’ intesa con la Federazione europea e la Federazione internazionale dei giornalisti. La «regolamentazione – si legge nell’ appello dei sindacati dei giornalisti – è necessaria per difendere la libera informazione e il diritto dei cittadini ad essere informati, garantiti dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’ Uomo e dall’ articolo 21 della Costituzione italiana». Se il prodotto giornalistico, si legge ancora, «non soltanto viene messo gratuitamente a disposizione attraverso la rete, ma addirittura consente ai cosiddetti “Over the top” di ricavare ingenti profitti attraverso la raccolta pubblicitaria e la messa in circolazione di dati forniti dagli utenti della rete, esiste un problema non soltanto per le imprese, costrette a ridurre il numero dei giornalisti e del personale dipendente», ma «anche e soprattutto per la democrazia». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Andrea Scrosati lascia Sky e approda in Fremantle

Il Sole 24 Ore

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Dopo 11 anni, da ottobre Andrea Scrosati lascerà Sky Italia. E nel voltare pagina approda a Fremantle, gigante europeo della produzione di contenuti di Rtl Group. Scrosati lascia così la sua posizione di executive vice president programming Cinema,Entertainment, news & partner Channels di Sky. Un addio che arriva in un momento di passaggio per Sky come per tutto l’ universo 21st Century Fox, che si sta unendo a Disney. Da novembre Scrosati passerà a Fremantle nel ruolo di Group chief operating officer, a diretto riporto del ceo Jennifer Mullin. A Scrosati riporteranno una serie di funzioni di gruppo tra cui Strategy, M&A, Legal e Business Affairs e le attività in Sud Europa (Italia, Spagna, Francia, Portogallo), in Brasile, Messico, Israele, come quelle della scripted label inglese Euston Films. Un link con la sua “precedente vita” Scrosati lo manterrà con la presidenza di Vision Distribution, la jv di distribuzione cinematografica fondata nel 2016 tra Sky Italia e cinque produttori indipendenti italiani. «Andrea è stato, nei suoi anni trascorsi in Sky, uno degli executive più importanti nella crescita della nostra azienda», ha commentato l’ ad di Sky Italia, Andrea Zappia. Dal canto suo Scrosati ha commentato: «Non c’ è mai stato un periodo più straordinario per l’ industria globale creativa e dei contenuti e Fremantle è la realtà che sta guidando questa fase da protagonista». (A. Bio.).

Copyright, Fieg rilancia l’ appello

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Oggi ItaliaOggi e Milano Finanza arrivano in edicola con una sovraccopertina che avvolge le loro prime pagine tradizionali: così il lettore si troverà di fronte a una nuova Prima completamente bianca, senza parole ma con in evidenza la sola testata di ItaliaOggi o di Milano Finanza e l’ invito a voltare pagina. Nella seconda facciata, infatti, viene pubblicato l’ appello a difesa del copyright lanciato dall’ associazione presieduta da Andrea Riffeser Monti (editore di Quotidiano Nazionale Qn-Giorno-Nazione-Resto del Carlino-Telegrafo), con tanto di foto e nomi dei singoli europarlamentari italiani. La sovraccopertina continua poi con la penultima pagina della foliazione dei due quotidiani. Obiettivo: dare spazio anche all’ appello della Federazione nazionale della stampa italiana-Fnsi, delle associazioni europee dei giornalisti e alla lettera firmata dallo stesso Riffeser e da Carlo Perrone, presidente Enpa (European newspaper publishers’ association), storico editore del Secolo XIX e adesso socio del Gruppo Gedi (Repubblica+Stampa+Secolo XIX). L’ iniziativa coinvolge oggi i due quotidiani italiani perché domani l’ Europarlamento metterà ai voti la proposta di una nuova direttiva sul copyright (280/2016). Un’ iniziativa analoga, con una prima pagina bianca accostata all’ appello ai rispettivi europarlamentari a Strasburgo, è stata presa pure da diverse testate europee appartenenti alla European business press-Ebp, associazione che riunisce gli editori di giornali economici e finanziari comprendendo 42 giornali di 27 paesi Ue, MF-Milano Finanza compresa. Più nel dettaglio domani vanno all’ esame del Parlamento Ue i testi dell’ articolo 11 e dell’ articolo 13. Il primo, più specifico sul mondo dei giornali, prevede l’ introduzione di un’ equa e consona remunerazione per lo sfruttamento dei contenuti online (o delle loro anteprime) da parte delle piattaforme digitali, di cui Google e Facebook sono solo due esempi. Il secondo, invece, dalla portata più generica, attribuisce ai portali come YouTube la funzione di controllo sui contenuti (spesso video) e soprattutto sul loro copyright in modo che, senza accordo con l’ autore, non ci possano essere pubblicazioni pirata. Nell’ appello firmato dalla Fieg viene ribadito che il via libera alla direttiva senza emendamenti che ne stravolgano l’ impianto generale significa dire sì a una maggiore tutela del lavoro dei giornalisti e delle case editrici, all’ esistenza di una stampa indipendente che dà spazio a notizie affidabili; di conseguenza è un sì alla salvaguardia dei valori democratici e poi soprattutto è un sì «perché l’ uso della rete resterà libero». Un avvertimento, quest’ ultimo, che vuole combattere la fake news secondo cui, se le piattaforme digitali dovessero pagare per lo sfruttamento dei contenuti altrui, allora verrebbe a mancare la pluralità di voci tipica della rete. Ma, secondo l’ impostazione Fieg, è vero il contrario: se non vengono remunerati i contenuti, allora solo le notizie che non richiedono spese per essere verificate e quelle sostenute per altri scopi popolerebbero il web. Da ultimo, ma non meno importante, la Federazione degli editori di giornali ricorda che a chiedere agli europarlamentari di votare a favore è l’ 89% dei loro stessi elettori, citando la ricerca Copyright & US Tech Giants condotta dall’ istituto di ricerca Harris Interactive su un campione europeo di 6.600 persone (vedere ItaliaOggi del 7/9/2018), tra Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna (il campione italiano è composto da 800 persone). Da sottolineare che, della stessa posizione e con la stessa scala di consensi, è il 92% dei greci, il 91% dei romeni, l’ 88% degli spagnoli e pure dei francesi e, ancora, l’ 86% dei tedeschi. © Riproduzione riservata.

Mogol presidente di Siae Purgatori per la sorveglianza

Italia Oggi

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Mogol è il nuovo presidente del consiglio di gestione della Società italiana degli autori ed editori-Siae. Lo affiancheranno i consiglieri Salvatore Nastasi, Roberto Razzini, Claudio Buja e Federico Monti Arduini. Andrea Purgatori, giornalista, scrittore e sceneggiatore, arriva invece alla presidenza del consiglio di sorveglianza. Paolo Franchini resta invece come vicepresidente. Mogol è il famoso nome d’ arte di Giulio Rapetti, che ha iniziato la sua lunga carriera nei primi anni Sessanta collaborando con grandi artisti del periodo come Mina, Bobby Solo, Tony Renis, Tenco, per raggiungere i massimi livelli dopo l’ incontro con Lucio Battisti. Nel 1992 ha dato vita in Umbria al CET, una scuola di alto perfezionamento musicale nata con lo scopo di valorizzare e qualificare principalmente nuovi professionisti della musica popolare.

Riffeser replica a Di Maio: pronti a confronto su editoria

Italia Oggi

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Gli editori non hanno le «mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato». Anzi, sono pronti a confrontarsi con tutte le forze politiche presenti in Parlamento per discutere il futuro della carta stampata. È questa la posizione di ieri di Andrea Riffeser Monti, presidente Fieg (Federazione italiana editori giornali) e a sua volta editore di Quotidiano Nazionale Qn-Giorno-Nazione-Resto del Carlino-Telegrafo, dopo le dichiarazioni su Facebook del vicepremier, ministro del lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio a proposito di «giornalisti ignoranti o in malafede, o entrambi» che «mi accusano di aver sbagliato a chiedere a Michele Emiliano (governatore della Puglia, ndr) cosa stesse facendo per Matera, lasciando intendere che non sappia in che regione sia. Sono loro che non sanno che la Regione Puglia sta facendo e ricevendo investimenti milionari in vista dell’ appuntamento con Matera capitale della cultura» e capoluogo lucano. Si tratta quindi, sempre secondo quanto dichiarato Di Maio, di una «operazione di discredito verso questo governo continua senza sosta. Gli editori dei giornali hanno le mani in pasta ovunque nelle concessioni di Stato: autostrade, telecomunicazioni, energia, acqua». Ma Riffeser va oltre non solo ricordando che anche il sottosegretario con delega all’ editoria Vito Crimi (del movimento pentastellato come Di Maio) ritiene necessario un confronto per traghettare il settore nei prossimi 10 anni, ma soprattutto auspica che «si ricerchi nel Parlamento la massima condivisione sulla riforma in modo da dare certezze alle imprese, considerando il ruolo fondamentale della stampa e del lavoro dei giornalisti che richiede, sempre più, adeguate risorse e mezzi. Resta prioritario poter continuare ad informare i cittadini nella maniera più obiettiva, potendo disporre di aziende sane e libere da condizionamenti, tutelando gli oltre 60 mila addetti di tutta la filiera dell’ informazione». Intanto, sempre a seguito della smentita gaffe durante la sua visita alla Fiera del Levante di Bari con Emiliano, Di Maio ha aggiunto su Facebook che «bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori».

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Oath, un unico brand per le tecnologie pubblicitarie. Oath, la società del gruppo Verizon proprietaria tra gli altri di Yahoo e Huffington Post, ha lanciato Oath Ad Platforms, la suite che, grazie a soluzioni intelligenti, semplifica la gestione e la pubblicazione dei messaggi pubblicitari. Fieg-Google, seconda edizione del progetto per l’ evoluzione digitale dell’ editoria. Seconda edizione della Digital Transformation Academy, l’ iniziativa all’ interno dell’ accordo triennale tra Fieg e Google in collaborazione con Talent Garden. Cinuqe tappe in tutta Italia, dopo quella tenutasi ieri a Brescia: Roma (24 settembre), Bologna (15 ottobre), Bari (29 ottobre), Cosenza (5 novembre), Cagliari (9 novembre) e un evento conclusivo a Milano a fine anno. Fastweb multata per 600 mila euro dal Garante Privacy. Fastweb dovrà pagare 600 mila euro per aver condotto campagne di telemarketing senza il consenso delle persone contattate e per aver adottato modalità di profilazione non corretta dei propri clienti. Lo ha deciso il Garante della Privacy. Mediaset: nessun programma di acquisto del 48% di Mediaset España. «Non abbiamo piani relativi all’ acquisizione del 48% delle azioni di Mediaset España non di nostra proprietà», ha dichiarato un portavoce di Mediaset in risposta a indiscrezioni di stampa. Il nuovo sito LaPresse.it. Non solo restyling grafico ma una vera e propria apertura alla società cui fa riferimento: questa la strategia che ha ispirato il rinnovamento del sito LaPresse.it con una nuova e più completa gestione dei diversi contenuti che fanno capo all’ agenzia LaPresse e che saranno fruibili proprio attraverso il nuovo canale. A Milano il Festival del Documentario Visioni dal Mondo. Al via giovedì 13 settembre l’ appuntamento dedicato al cinema del reale, giunto alla sua quarta edizione e aperto al pubblico con ingresso gratuito.

Rtl 102,5: giù le mani da W l’ Italia

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Rtl 102,5 contro Mediaset. Ma non a causa delle radio del Biscione: questa volta il motivo del contendere è la nuova trasmissione di politica e attualità di Gerardo Greco, il neodirettore del Tg4 che per giovedì ha in programma di debuttare in prima serata con W l’ Italia. Il problema, spiega in questa intervista il patron del gruppo Rtl, Lorenzo Suraci, è che W l’ Italia è anche il nome di una trasmissione di punta della sua radio, che va in onda dalle 11 alle 13 dal lunedì al giovedì con Angelo Baiguini e Valeria Benatti e dal venerdì alla domenica con Charlie Gnocchi e Alessandro Greco. Per questo Suraci, che ha registrato il marchio già dal 1997, ha assoldato lo studio Giambrocono & C. specializzato in proprietà intellettuale e inviato ieri una diffida via Pec a Mediaset, chiedendo che si astenga dall’ utilizzo del marchio W l’ Italia e dando tempo 24 ore per avere una risposta. Oggi perciò si dovrebbe sapere se Greco andrà in onda tenendo il nome già deciso per il programma o se cambierà in corsa. Domanda. Suraci, quindi ci sarà un W l’ Italia anche in tv ma non sulla sua radiovisione? Risposta. Ci siamo accorti venerdì che ci sarebbe stato questo nuovo programma di Rete 4 chiamato W l’ Italia. Il tempo tecnico per consultare i legali ed è partita diffida. Ma non so se si fermeranno. D. Non pensa che magari a Mediaset non si siano accorti che esistesse già un programma con lo stesso nome? R. È un programma che esiste da 21 anni, tanto che abbiamo rinnovato tre volte, ogni dieci anni, la registrazione del marchio valida per tutto: radio, tv, spettacoli eccetera. Gerardo Greco è stato per anni direttore di Radio Rai, mi rifiuto di pensare che non sapesse che uno dei programmi di punta della prima radio in Italia per ascolti fosse W l’ Italia. Peraltro noi siamo anche in tv, con la radiovisione, perciò quello è il titolo anche di un programma tv non solo radiofonico. Non stiamo parlando di una radiolina di Vibo Valentia (ride perché Suraci è nato nella cittadina calabra, ndr). È come se io uscissi domani con una radio chiamata ItaliaOggi. Lei come ci rimarrebbe? D. Soprattutto il mio editore… R. Soprattutto il suo editore. Io sono stupito, incredulo. Non ho parole. Ma lei sa quanti ascoltatori ha W l’ Italia? D. Quanti? R. Nel giorno medio fa esattamente 1.858.000 ascoltatori e 868 mila nel quarto d’ ora, numeri altissimi. Se arrivassimo a chiedere i danni non sarebbero due confettini. Qua si cerca di fare come in Formula 1: ci si mette in scia e poi si supera. Ma io sono uno schiacciasassi, non mi fermo. D. È solo una questione di marchi? R. Non solo stanno usando un marchio registrato da 20 anni, ma c’ è il rischio che la nostra trasmissione ne risenta in fatto di ascolti. W l’ Italia è un programma di intrattenimento, con notizie e musica, quello di Rete4 sarà un programma politico. Ma che lo chiamassero Forza Italia. Noi siamo liberi da tutti, non siamo legati alla politica, siamo filogovernativi ma diamo spazio all’ opposizione. Non vogliamo essere associati ad altre impostazioni. D. Mediaset ormai ha una posizione importante nel mondo radiofonico, ora anche con Rmc. Il suo gruppo ne sta risentendo? R. Non solo il mio gruppo, ma tutto il settore. Io ho sempre dichiarato grande preoccupazione per un polo che si andava conformando in questo modo. Ora con Radio Monte Carlo aggiungeranno un altro milione ai loro ascolti. Quando io ho fatto il progetto delle radio locali aprendo emittenti a marchio Rtl nelle varie regioni mi hanno bloccato. Ora un gruppo come il loro può acquistare quattro concessioni nazionali, più una locale (Radio Subasio, ndr) paragonabile alla nostra Radio Zeta. Dichiarano di essere il primo gruppo per ascolti, ma se metti insieme dieci concessioni è chiaro che sei il primo. D. L’ anno scorso avete fatturato circa 54 milioni di euro, quest’ anno? R. Noi per fortuna avendo una concessionaria nostra, guidata da mio fratello (Virgilio Suraci, ndr), ci difendiamo bene, però appunto siamo in difesa. Se dicessi che con la concorrenza di quest’ anno facciamo mezzo punto in più direi una balla, mentre mezzo punto in meno è prevedibile. Se la concorrenza diventa più grossa tutto il settore ne soffre. Anche perché loro hanno anche la tv e si presentano agli inserzionisti con tutto questo. Il mio gruppo si difende con prodotti che piacciono agli ascoltatori, sempre in diretta, con radio diversificate, da Rtl a Radio Freccia, però non c’ è dubbio che ci potrà essere il calo nonostante il settore vada sempre più forte. D. Radio Zeta e Radio Freccia stanno dando risultati? R. Per noi rappresentano una diversificazione, il completamento dell’ offerta musicale, perché è dalla musica che si parte. Radio Freccia ogni giorno fa nuovi ascolti. Radio Zeta si è molto svecchiata, allontanandosi sempre più dallo schema di Radio Italia per assumere un’ immagine propria, impostata sulla musica italiana. Abbiamo inserito per esempio i nuovi cantautori. Poi tutte e tre sono in radiovisione e questo fa parte dell’ offerta commerciale avendo anche gli spot in simulcast. D. A proposito, ormai quasi tutti gli editori puntano ad avere un canale tv per la propria radio… R. Noi siamo dal 2000 in radiovisione, perché il prodotto radio è espandibile su tutte le piattaforme, ma è un investimento, nessuno ti regala niente. Noi siamo su tutti i device con un prodotto unico: tv, dab, internet, app… D. Dalle case spariscono i ricevitori radio tradizionali mentre cominciano ad apparire gli altoparlanti intelligenti, gli smart speaker, cosa ne pensa? R. Abbiamo un settore nel gruppo che si occupa di innovazione, ho ben presente. Il vecchio ricevitore oggi è più un oggetto di arredamento mentre la radio è ricevibile da tutte le parti: tv, satellite, app, quegli apparecchi dal nome per me impronunciabile. Per fortuna il prodotto radio desta sempre moltissimo interesse. D. Ha detto che date spazio al governo, com’ è questo, abbastanza radiofonico? R. Sì, partecipano alle nostre trasmissioni. Poi con Salvini, avendo acquistato la loro radio (la concessione e le frequenze di Radio Padania andate a Radio Freccia, ndr) c’ è un bel rapporto e anche ieri ha lanciato alcune cose con noi. Poi se mi sta chiedendo se il governo si occupa del settore, penso che in questo momento, con i problemi che deve affrontare, probabilmente c’ è un po’ da attendere. © Riproduzione riservata.

Scrosati lascia Sky per Fremantle

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Andrea Scrosati, 46 anni, diventa uno dei manager più importanti del gruppo Fremantle, tra i principali a livello mondiale nella produzione di contenuti per molte piattaforme televisive e digitali. Da fine ottobre, infatti, lascerà Sky Italia per trasferirsi a Londra e assumere in novembre la carica di chief operating officer di Fremantle, dove riporterà direttamente a Jennifer Mullin, chief executive officer del gruppo. Scrosati, che siederà pure nel board globale di Fremantle, si occuperà di strategie, fusioni e acquisizioni e di legal and business affairs a livello centrale. Inoltre supervisionerà tutte le operazioni di Fremantle nei mercati di Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Brasile, Messico, Israele, compresa l’ etichetta Euston Films attiva nel Regno Unito. Infine, sarà presidente delle società di produzione Wildside (Italia), Miso Film (Scandinavia) e Abot Hameiri (Israele), mentre sarà nel consiglio di amministrazione di Kwai e Fontaram in Francia. Manterrà il ruolo di presidente di Vision distribution, società di distribuzione cinematografica fondata da Sky e partecipata da Wildside (a sua volta partecipata da Fremantle). In Fremantle Scrosati prende il posto di Sangeeta Desai, che lascia le poltrone di coo di Fremantle Group e di ceo della unit Mercati emergenti, occupate per oltre cinque anni. Il gruppo Fremantle è controllato da Rtl group, un colosso da 6,37 miliardi di euro di fatturato nel 2017, nato nel 2000 dalla fusione tra Clt-Ufa e Pearson tv. Nel 2017 Fremantle ha chiuso l’ esercizio con ricavi pari a 1,47 miliardi di euro (-1,9% sul 2016) e un ebitda di 140 milioni di euro (in crescita dell’ 8,5%). Nei primi sei mesi del 2018 il business è andato ancora meglio, con ricavi Fremantle per 672 milioni di euro (+5,2%) e un ebitda stabile a 42 milioni di euro. I brand più famosi, prodotti da Fremantle anche in Italia, sono Got Talent, Contadino cerca moglie, X-Factor, la serie tv The Young Pope, e molti altri ancora. Come detto, Scrosati, dopo 11 anni, lascia Sky Italia, in cui, dal 2013, ricopriva l’ incarico di executive vice president programming Cinema, Entertainment, news & partner channels. Co-fondatore della società di comunicazione MN, Scrosati, con il suo inglese fluente (grazie alla mamma inglese), è prima entrato in contatto con Sky Italia come consulente, poi ne è divenuto manager scalando piuttosto velocemente gli organigrammi. L’ ultima casella, quella di amministratore delegato, occupata da Andrea Zappia, appariva piuttosto difficile da conquistare. Ed ecco che l’ offerta di Fremantle pare quella migliore per completare il bagaglio manageriale e di business administration del dirigente italiano. I due Andrea si salutano comunque con molto affetto. Per Zappia «Andrea è stato, nei suoi anni trascorsi in Sky, uno degli executive più importanti nella crescita della nostra azienda e un collega di grandissimo valore, dando un’ impronta vincente ai nostri programmi di intrattenimento e cinema e supportando la crescita e la trasformazione di Sky Tg24, definendo un mondo di contenuti televisivi solo nostro e, per questo, unico, distintivo e di grande successo. Lascia un team di grande qualità, che sono sicuro affronterà il futuro con la stessa passione ed energia innovativa che hanno caratterizzato il suo modo di lavorare, e che ha sempre trasmesso a tutte le persone con cui ha collaborato». E Scrosati saluta sottolineando che «la mia esperienza in Sky è stata la più importante della mia carriera. È stata anche una straordinaria esperienza personale, nel corso della quale ho avuto la possibilità di sperimentare e assumere dei rischi che nessuna altra azienda mi avrebbe mai permesso. Per questo voglio ringraziare i vertici aziendali e tutto l’ eccezionale team con cui ho avuto la fortuna di lavorare, grazie ai quali nessuna delle cose fatte in questi anni sarebbe stata possibile. Sky oggi è in una condizione molto forte e con davanti a sé straordinarie opportunità che continuerò a seguire con l’ attenzione e l’ emozione di sempre. Ho deciso però che era giunto il momento di rimettermi in gioco, anche personalmente per coltivare nuove idee in un nuovo progetto professionale. Dopo 11 anni entusiasmanti a Sky ho deciso di cogliere una nuova bellissima sfida». © Riproduzione riservata.

Gianni Maritati “La nostra festa della lettura legittima difesa al degrado”

La Repubblica

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Gianni Maritati, 56 anni, giornalista Rai, da sempre vive a Ostia, è il presidente della Clemente Riva Il parco è il vostro punto di riferimento? «L’ associazione è nata da un gruppo di amici per onorare la memoria di monsignor Clemente Riva e il suo impegno per la giustizia sociale. Abbiamo dato l’ idea di intitolare il parco a lui, abbiamo avviato la festa del libro e adottato il parco, vigilando contro il degrado, facendo segnalazioni all’ Ama e appoggiando anche le iniziative dei residenti. I parchi a Ostia hanno sempre bisogno di manutenzione continua». Perché cultura e ambiente? «È il binomio giusto per alzare il livello culturale di Ostia e per il suo riscatto sociale. Bisogna sostenere più iniziative culturali, perché hanno un forte valore sociale. Ascoltare uno scrittore, vedere una bella mostra, leggere un libro è qualcosa che libera dalla propria solitudine, fa conoscere il proprio quartiere e ti apre la mente». Qual è il problema a Ostia? «C’ è tanto fermento culturale, ma a volte ognuno va per conto suo. Ci vorrebbe più collaborazione. C’ è una comunità che spesso non fa squadra fra le sue realtà culturali. Cercheremo di prendere una sede nel parco con il rinnovato comitato di quartiere, per mettere al servizio di tutti il nostro bagaglio di esperienze». Mafia e degrado si sconfiggono anche con la cultura? «Certo: come dice Woody Allen, “io leggo per legittima difesa”. Chi legge è una persona che si istruisce e ragiona con la propria testa e quindi meno preda dei fanatismi o di informazioni superficiali». Vuole lanciare un appello? «Direi a chi legge di dare il buon esempio e diventare testimonial di lettura. E lo dico da ostiense agli ostiensi perché il riscatto sociale deve partire dalla cultura». – s. giuf. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il giornalista Gianni Maritati 56 anni, giornalista Rai, da sempre vive a Ostia, è il presidente della Clemente Riva.

I punti Non ci sarà nessun costo a carico degli utenti 1 Editori e giornalisti L’ articolo 11 …

La Repubblica

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I punti Non ci sarà nessun costo a carico degli utenti 1 Editori e giornalisti L’ articolo 11 della direttiva europea sul copyright prevede che i colossi del Web (Google) versino un giusto compenso a editori e giornalisti per l’ uso dei loro contenuti 2 Audio e video L’ articolo 13 introduce l’ obbligo di licenza – e quindi il pagamento dei diritti d’ autore – a carico delle piattaforme (Youtube) che caricano audio e video 3 Gli utenti La direttiva non introduce costi a carico degli utenti e non limita la loro attività online. Non incide nemmeno sull’ attività di siti come Wikipedia.

Ultima chiamata in Europa per la legge sul copyright

La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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Domani il voto dell’ aula di Strasburgo, se bocciata difficilmente passerà nella prossima legislatura che sarà probabilmente a maggioranza contraria Dal nostro corrispondente STRASBURGO La Commissione europea non poteva essere più netta: « Ora o mai più » . Se domani l’ aula di Strasburgo non approverà la riforma del copyright, il testo passerà in cavalleria. Difficile portarlo a casa nella prossima legislatura, quando la plenaria dell’ Europarlamento registrerà l’ arrivo in massa di nazionalisti, sovranisti, euroscettici e sostenitori della democrazia illiberale contrari alla libertà di stampa e di espressione e quindi a sostenere il diritto dei media e degli autori ad un giusto compenso per le opere utilizzate dai motori di ricerca ( Google) o dalle piattaforme ( Youtube). Le quali hanno speso ingenti risorse per influenzare il voto dell’ Assemblea, sommando ad una aggressiva attività di lobby una campagna di fake news per guadagnare il consenso dell’ opinione pubblica: ad esempio la famosa (e inesistente) link tax a carico degli utenti o il ( fantasioso) divieto di scambiarsi via social le foto dei calciatori preferiti. Dunque domani l’ Europarlamento ci riprova dopo che a luglio l’ aula aveva bocciato il mandato al relatore Axel Voss ( Cdu- Ppe) a negoziare con Consiglio ( governi) e Commissione il testo finale della riforma che per Bruxelles è chiamata a salvare libertà di stampa, pluralismo e dunque il dibattito democratico in Europa. La pressione ora come prima dell’ estate è fortissima, basti pensare che funzionari ed eurodeputati hanno ricevuto 4,5 milioni di mail, non tutte garbate, se non minatorie, contro la direttiva. I due articoli cardine sono l’ 11 e il 13. Il primo prevede appunto un giusto compenso per editori e giornalisti da parte dei motori di ricerca che utilizzano i loro articoli, il secondo introduce l’ obbligo per le piattaforme di ottenere una licenza per i contenuti audio e video online, quindi di pagarli. Dopo la bocciatura di luglio, ora i deputati avranno la possibilità di votare gli emendamenti al testo originario ( sono 255) e poi si esprimeranno ancora sul mandato. Come due mesi fa la plenaria è spaccata con una saldatura tra ali estreme, governi sovranisti come quello italiano, polacco o ungherese e le multinazionali, già nel mirino per non pagare le tasse in Europa e per l’ utilizzo improprio dei dati degli utenti. A favore della riforma c’ è tutto il Ppe, a parte la sua componente polacca. Spaccati invece i Socialisti e democratici ( Pse): per la direttiva sono Pd, Ps francese, greci e portoghesi; contrari Spd, austriaci e in generale tutti i partiti dell’ Est. Divisi anche i liberali (Alde), con la stessa faglia geografica dei socialisti. Contrari Verdi, Gue ( comunisti) e tutti i sovranisti: Efdd ( M5S- Ukip) Enf (Lega-Le Pen) Ecr (il Pis di Jaroslaw Kaczynski e i Democratici svedesi). A cavallo dei due fronti i 20 Conservatori inglesi: sostengono l’ articolo 13 ( audio- video) ma non l’ articolo 11 (stampa). I numeri su entrambi gli articoli sono tirati, i supporter del sì hanno guadagnato qualcosa rispetto a luglio visto la crescente attenzione al tema, ma sembrano ancora sotto e soprattutto nelle ultime ore si sono spaccati. L’ industria culturale sostiene i due emendamenti ( sull’ 11 e sul 13) del relatore Axel Voss, che confermano il giusto compenso e specificano alcuni aspetti usati pretestuosamente dalle multinazionali per guadagnarsi il favore del pubblico rendendo ancora più chiaro che per gli utenti (e per i siti alla Wikipedia) nulla cambierà. Però anche Jean-Marie Cavada ( Alde), paladino del copyright, ha presentato due emendamenti più morbidi, nella speranza di arrivare a un compromesso con il resto dell’ aula limitando però i diritti dei media e degli autori. Al momento quindi i favorevoli si spaccherebbero sulle due versioni, tanto che si parla di una recente telefonata dello stesso Macron a Cavada per convincerlo a fare un passo indietro. -Se tutti e due i set di emendamenti resteranno in campo rischiano di elidersi, ma resterebbe viva la proposta della Commissione giudicata equilibrata da editori e produttori. Però a Strasburgo circola il timore che a quel punto per ripicca reciproca i deputati di Pse e Alde possano dare vita ad un maxi scontro anche sul voto finale della direttiva, affondandola definitivamente . «Con beneficio dei soliti noti » , notava ieri sconsolata la Commissione. Ovvero delle multinazionali del Web. © RIPRODUZIONE RISERVATA La sede dell’ Europarlamento a Strasburgo ANSA.

IL COPYRIGHT È LIBERTÀ

La Repubblica
ANDREA BONANNI
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Domani il Parlamento di Strasburgo voterà una direttiva che apparentemente parla di diritti economici, ma che potrebbe modificare in profondità la qualità delle nostre democrazie e la stessa sovranità dell’ Europa. Non è un caso che, per boicottare quel voto, i giganti americani del web si siano mobilitati con un’ azione di lobbying che non ha precedenti inondando con milioni di mail i computer di eurodeputati e funzionari. Né che la loro lotta sia sostenuta, praticamente senza eccezioni, da tutte le forze populiste e anti-Ue. In discussione è la proposta della Commissione di riformare la direttiva europea sul copyright, in modo da tutelare l’ interesse del diritto di autore anche nell’ era dell’ informazione digitale. La tutela di questi diritti riguarda sia, per esempio, la musica, sia la riproduzione totale o parziale di articoli di giornale, su cui i giganti del web non pagano alcun diritto di autore. Chi si oppone a questa direttiva, cioè le grandi multinazionali dell’ economia digitale che già riescono a eludere le tasse sugli enormi profitti che fanno in Europa, sostiene che la normativa penalizzerebbe la libertà di Internet. E questo ha valso loro il consenso di molta parte dell’ estrema sinistra, dei Verdi e anche di una fetta dei socialisti. Tuttavia la libertà che rischiano di trovarsi a difendere questi libertari in buona fede non è tanto quella sacrosanta degli utenti di Internet, quanto la licenza delle multinazionali che utilizzano o lasciano utilizzare materiale altrui senza pagare alcun diritto, ma facendoci sopra enormi profitti. Le principali vittime di questa moderna forma di pirateria, oltre agli autori di musica, canzoni, filmati e varie opere d’ ingegno, sono i giornali. Produrre informazione costa. Produrre buona informazione costa molto. Se si privano gli editori di una parte significativa dei proventi dei loro investimenti, si finisce per uccidere la stampa. Ma la stampa, e la sua libertà, sono un elemento portante delle democrazie liberali, fondate sul principio della rappresentatività e dell’ equilibrio dei poteri. E questo spiega perché tutte le forze populiste in Europa, e i governi da loro diretti, siano contrari alla direttiva europea sul copyright. Storicamente i social media sono stati, in questi anni, lo strumento prediletto dalle forze populiste. Hanno consentito di dar voce al demagogo di turno, sia Trump, Orbán o Salvini, senza l’ intermediazione critica della stampa. Hanno permesso di stabilire un legame diretto tra il Potere e le Masse, senza offrire a un arbitro terzo la possibilità di verificare le informazioni che il vertice fornisce alla base, ed eventualmente confutarle. Questo è stato il sogno dei grandi totalitarismi del secolo scorso, che hanno cercato di perseguirlo con la forza addomesticando i giornali. Il nuovo totalitarismo si propone, molto più semplicemente, di abolirli prosciugando quello che è il loro unico sostentamento: il diritto alla proprietà intellettuale. Tutto questo non vuol dire demonizzare i social media. Né cercare di limitare la libertà di Internet. Ma occorre saper riconoscere che, su quella libertà, alcuni gruppi hanno costruito fortune economiche che superano il bilancio di molti Stati. E che ora rifiutano di redistribuire quella ricchezza pagando le tasse sui profitti che realizzano. In questa fase storica, l’ unica forza che sta cercando di costringere i colossi dell’ economia digitale a pagare quanto devono alla collettività è l’ Europa. Per questo l’ Europa è un nemico, un avversario che oggi i giganti del web condividono con Putin, con Trump, con Erdogan e con i populisti nostrani. Gli eurodeputati che domani dovranno esprimere il loro voto su una questione cruciale per la qualità della democrazia in Europa, sappiano che la loro scelta li collocherà inequivocabilmente da una parte o dall’ altra della barricata.

Europarlamento per il copyright è l’ ultima chiamata

La Stampa

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I gruppi al Parlamento europeo spaccati sulla riforma per il copyright. Colossi del web e attivisti per la libertà della rete sono contrapposti a editori e produttori di contenuti. La Commissione Ue in pressing: i tempi stringono, adesso o mai più. Domani il voto all’ ora di pranzo. Bresolin e magri P. 10.

La prova del cannibale

La Stampa
MATTIA FELTRI
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Ieri Matteo Salvini ha fatto un tweet da papà, pubblicando la foto della figlia («Buon primo giorno di scuola principessa»). Poi ha fatto un tweet da fidanzato, pubblicando la foto di Elisa Isoardi («Oggi alle 11,30 su Rai 1 inizia la tua nuova avventura con La prova del cuoco: in bocca al lupo, Elisa!»). E ha fatto un tweet da politico che paga sulla sua pelle l’ odio dei cattivi, pubblicando la foto di un pessimo murales a Torino in cui è raffigurato a testa in giù (di odio ce n’ è tanto, sapesse Salvini quante scritte contro «i negri»). Sotto la foto del murales si è aperto il dibattito delle idee: i razzisti sono loro, no i razzisti siete voi, fascista, comunista, muori, crepa. Anche sotto la foto della bimba si è aperto il dibattito delle idee: ma è vaccinata?, ma ha compagni arabi?, sparisci demente, annegati, muori, crepa. Il più interessante dei dibattiti delle idee si è aperto sotto la foto di Isoardi: raccomandata, sciacquetta, parassita, fascisti, comunisti, zecca, nazi, crepa, muori. Era interessante perché analizzava l’ opportunità che un ministro rivolgesse auguri sui social alla fidanzata che lavora per la tv di Stato, e sebbene ci lavori da lustri. Una tv di Stato oltretutto sempre molto sensibile, diciamo così, alle più tenui brezze del potere. È una questione che appartiene ai tempi, il pubblico e il privato che si nutrono a vicenda. Però a un certo punto non si capiva chi fosse a testa in giù, se Salvini, la fidanzata o la figlia. Altro che prova del cuoco, era la prova del cannibale. E bisognerebbe starci attenti, anche solo per non suscitare il dubbio su chi sia il cannibale, se chi commenta o chi pubblica.

Europarlamento spaccato sul copyright Tempi stretti, si rischia di buttare la riforma

La Stampa
MARCO BRESOLIN
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I gruppi al Parlamento Ue sono spaccati. L’ attività di lobbying dei due fronti contrapposti continua. E intanto il tempo stringe: «Ora o mai più» avverte la Commissione europea, lanciando un segnale agli eurodeputati che domani all’ ora di pranzo dovranno votare la riforma del copyright. Anzi, rivotare, visto che il testo prodotto dalla commissione parlamentare Juri era già stato bocciato dall’ Aula il 5 luglio scorso. Durante l’ estate è arrivata una pioggia di emendamenti, oltre duecento, che i parlamentari ora dovranno votare uno a uno. Una situazione che rischia di partorire un testo «pasticciato», anche se il pericolo maggiore è di non riuscire a completare la riforma entro la fine della legislatura Ue. L’ iter legislativo Dopo l’ approvazione definitiva da parte dell’ Europarlamento, infatti, è necessario un altro passaggio-chiave prima del via libera finale: il testo prodotto dall’ emiciclo finirà sul tavolo dei negoziati con Commissione e Consiglio, che dovranno concordare un testo comune. I governi hanno già approvato un loro testo e dunque sarà necessario un nuovo compromesso. Il rischio è di scavallare le elezioni europee di maggio e dunque gettare nel cestino la riforma, rimanendo con le norme attualmente in vigore. Gli articoli discussi Sono due gli articoli maggiormente contestati dalle grandi multinazionali del web e da alcuni movimenti che considerano la riforma una minaccia alla libertà della Rete. L’ articolo 13 impone alle piattaforme online di dotarsi di appositi algoritmi, dei filtri in grado di intercettare e bloccare eventuali contenuti coperti da copyright pubblicati dagli utenti. Alcuni degli emendamenti in votazione domani restringono l’ ambito di applicazione dell’ articolo 13 a determinati contenuti o in base alle dimensioni del portale. «Su questo si intravedono soluzioni di compromesso» spiega una fonte. L’ articolo 11 riconosce invece agli editori i cosiddetti diritti connessi sui contenuti protetti da copyright anche se riprodotti parzialmente attraverso la loro condivisione. Non è una tassa sui link, visto che gli utenti saranno liberi di continuare a condividere liberamente. Si tratta di garantire un’ adeguata remunerazione ai produttori di contenuti (a carico delle piattaforme). La Fieg e l’ Enpa, che raggruppano rispettivamente gli editori italiani ed europei, hanno scritto agli eurodeputati, spiegando che la riforma «tutelerebbe l’ informazione professionale, libera e indipendente». L’ appello della Fieg arriva anche attraverso un’ intera pagina di giornale, con le foto di tutti gli eurodeputati, per chiedere di votare sì al nuovo articolo 11. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Leghisti pronti a bocciare la direttiva Lo strappo fa infuriare Berlusconi

La Stampa
UGO MAGRI
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Per colpa della Lega, Berlusconi potrebbe subire un danno gigantesco. Non politico stavolta, ma patrimoniale. Se la direttiva in difesa del copyright domani venisse bocciata, e i 6 voti della Lega al Parlamento europeo risultassero decisivi, le conseguenze sarebbero serissime per tutte le aziende televisive. Ma per una in particolare, Mediaset, oltre al nocumento economico si aggiungerebbe la beffa. Sarebbe il primo caso di un leader (Berlusconi) che viene colpito nel portafogli dal suo migliore alleato politico (Salvini). Un danno arduo da calcolare, ma che qualche esperto stima in decine e forse centinaia di milioni: qualunque film, o sceneggiato, o trasmissione tivù potrebbe finire tranquillamente su Internet, privando l’ emittente di una risorsa pubblicitaria. Per l’ azienda del Biscione, una questione vitale. Non a caso da 10 anni Piersilvio Berlusconi si batte per far valere i diritti d’ autore sul web, combattendone i giganti. Nel 2015 è riuscito addirittura a spuntarla su Google. Ma il pronunciamento di Strasburgo rischia domani di ribaltare le sorti della guerra. Confalonieri tradito Ecco come mai, tra il mondo berlusconiano e Salvini, l’ aria è tornata tesa. Il Cav, al quale Piersilvio ha lanciato l’ allarme, non riesce a farsene una ragione. Ma il più sconcertato risulta Fedele Confalonieri. Proprio lui, che il 4 maggio scorso confessava di sentirsi «un po’ leghista», e fino a dieci giorni fa definiva Matteo «affidabile, uno con la testa a posto». Pure il presidente Mediaset sente odore di tradimento. La scorsa settimana è volato a Bruxelles, dov’ è rimasto due giorni a tessere contatti. Ma la Lega non si è schiodata di un millimetro. Sul diritto d’ autore, Salvini la pensa come i grillini. È convinto che tutto quanto circola in rete debba essere gratis, per questioni di principio e anche per mettere in ginocchio «le radio ufficiali, le tivù ufficiali, i giornaloni ufficiali». Altrettanto di principio è la difesa che Forza Italia fa del copyright, da Tajani a Gelmini, da Bernini a Mulè. Per Brunetta «è in ballo la democrazia, perché i partiti populisti hanno convenienza a distruggere tutto quanto non è in Rete». Ma ad Arcore, accanto al nobile profilo ideale, circola un calcolo più prosaico. Non era quello, Salvini, che avrebbe dovuto tutelare Mediaset dalle vendette dei Cinquestelle? Perché invece parla come Di Maio, il quale ieri minacciava una legge contro gli editori «impuri»? Clima di sospetto Il timore berlusconiano è che Salvini pratichi il doppio gioco. Promette una cosa e ne fa un’ altra. All’ atto di nascita del governo, aveva ottenuto il via libera del Cav garantendogli in cambio che la delega delle Comunicazioni sarebbe andata a un sottosegretario leghista. Invece se l’ è tenuta Di Maio, e lì Silvio ha fiutato l’ inganno. Il sospetto è cresciuto quando, dopo il dramma di Genova, Salvini ha proposto di rivedere le concessioni, tivù comprese. Adesso, i diritti d’ autore. Qualcuno nota che in fondo la Lega è sempre stata contraria, bisognava aspettarselo. Ma per Berlusconi è una magra consolazione. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

IN TEMPI DI TRASPARENZA LE FONTI ANONIME METTONO A DURA PROVA LA FIDUCIA

La Stampa
ANNA MASERA
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Il dibattito deontologico in corso nel mondo del giornalismo anglosassone, scosso dalla scelta del New York Times di pubblicare lo scorso 5 settembre un editoriale anonimo di un alto membro dell’ amministrazione della Casa Bianca contro il presidente Donald Trump, ci offre l’ occasione per discutere con il nostro pubblico di come avvengono le scelte nei giornali, di reputazione, di fiducia e di trasparenza. Abbiamo già spiegato in questa rubrica che all’ interno della redazione l’ uso di fonti anonime deve essere limitato da regole chiare e controllato dalla «catena di comando»: a volte, l’ anonimato è necessario per proteggere le fonti e i giornalisti hanno l’ obbligo della riservatezza. Quindi si tratta di uno strumento prezioso nella nostra cassetta degli attrezzi, da utilizzare con parsimonia, da circostanziare quando possibile, comunque da spiegare con chiarezza. Poi un conto sono le fonti in un articolo, un conto la firma anonima di un intero editoriale. Nella fattispecie il New York Times ha pubblicato un distico di spiegazione per introdurlo, aprendo uno spazio di discussione online con il proprio pubblico per rispondere alle domande e dare spiegazioni. «La decisione di pubblicare l’ editoriale anonimo non è stata irragionevole ed era irresistibile», ha scritto Margaret Sullivan, ex public editor del New York Times, passata al concorrente Washing-ton Post come media editor. «Per me, era “newsworthy” (degno di notizia)» . Va spiegato che al New York Times gli editoriali sono gestiti da una redazione separata, che si occupa solo delle opinioni e non dei fatti. Non a caso la Sullivan si augura che a scoprire l’ autore dell’ editoriale anonimo siano i colleghi del Washington Post e non i giornalisti investigativi del New York Times . Certo, pubblicare un editoriale anonimo con contenuti esplosivi mette a dura prova le riserve di fiducia di cui godono i giornali. Secondo Jay Rosen, che insegna giornalismo alla New York University , troppo spesso si presume che il pubblico si fidi dei giornalisti e delle loro organizzazioni editoriali dietro le storie che pubblicano. Purtroppo, bisogna prendere atto che non è più così e che è ora di adottare nuove pratiche trasparenti da inserire nel proprio modo di lavorare e nella propria cultura. Perché il giornalismo è nel mezzo di un passaggio storico: da un sistema che si basava sull’ autorevolezza per ottenere fiducia, in cui la chiave era la reputazione, a un sistema in cui è richiesta la trasparenza. Il pubblico dell’ infosfera, circondato da fake news, per credere vuole vedere e toccare con mano. Come tanti San Tommaso. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

L'articolo Rassegna Stampa del 11/09/2018 proviene da Editoria.tv.

Il Governo “bacchetta” i giornali e ipotizza divieto di pubblicità istituzionale

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A dare il via alla campagna è Luigi Di Maio che denuncia “l’odio dei media” nei confronti del M5S come elemento di continuità dal 2014 a oggi.  “I giornali dei prenditori editori ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività: in legge di bilancio porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate dallo Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali (con investimenti spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi”, tuona il vicepresidente del consiglio su Facebook. A far saltare i nervi al capo politico dei cinquestelle è la notizia, che vedrebbe il reddito di cittadinanza ridotto a 300 euro per 4 milioni di persone. “Questo non è giornalismo è solo propaganda per difendere gli interessi di una riistretta élite che pensa di poter continuare a fare il bello e il cattivo tempo: non sarà più così, il Paese ha bisogno di un’informazione libera e di editori puri senza altri interessi”.
L’obiettivo, visto che i finaziamenti pubblici all’editoria non ci sono più e da un pezzo, è quello di vietare anche le inserzioni pubblicitarie verso i giornali “nemici” del governo. Immediata le reazione della Federezione nazionale della stampa. “Dichiarare guerra ai cosiddetti editori impuri annunciando norme di legge punitive come fa Di Maio ha il sapore di un’intimidazione e di un attacco alla libertà di sampa, garantita dall’articolo 21 della Costituzione”, ricordano Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. “Va constatato che che al di là dei proclami e degli annunci  di misure liberticide il governo e le forze di maggioranza hanno bocciato un emendamento al decreto dignità che puntava a contrastare la precarietà laviartiva nel settore dell’informazione, un preecente che non lascia intravvedere niente di buono”. “Di Maio non si deve permettere di minacciare la stampa, vuole fare il caudillo e mettere il bavaglio ai giornali rei di scrivere cose sgradite al M5S, difendere in ogni modo l’articolo 21 della Carta”, avverte Andrea Marcucci, capogruppo Pd alla Caera. “Il rispetto della idee altrui non appartiene al M5S”, aggiunge Mariastella Gelmini, di Forza Italia.

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Rassegna Stampa del 12/09/2018

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Indice Articoli

«Rai, ci vuole Foa. Con Silvio intesa possibile»

E a New York riapre il Club di Playboy

La partita si gioca sul filo dei voti

Tim, l’ ipotesi Cdp per cedere Sparkle

Copyright, oggi si vota in Ue Scontro tra Google ed editori

Di Maio prepara la censura «Stop ai media che ci odiano»

Copyright, oggi la scelta di Strasburgo

Un grande pasticcio fino alla fine Ma la serie B resta a 19 squadre

Rai, si sblocca il caso Foa Salvini: vedrò Berlusconi Segnali anche sul Csm

Copyright, scontro finale a Strasburgo tra fake news e pressing delle lobbies

Stop ai furti degli articoli

Di Maio lancia nuove minacce ai giornali: via i fondi

LE SFIDE VINTE E LA NUOVA CREDIBILITÀ

COPYRIGHT, UNA tutela CHE premia

Fabio Tamburini nominato direttore del Sole 24 Ore

Di Maio: stop finanziamenti pubblici indiretti ai media

Rai, Salvini tratta con Berlusconi su Foa e regionali

La comunicazione per il 2018 «vincola» il bonus pubblicità

Prima scadenza per Cigs e solidarietà

Chessidice in viale dell’ Editoria

Copyright Ue, il giorno del voto

Radio Rai spinge sul digitale con lo streaming video

Feltri, Libero cresce che è un piacere

Difesa del copyright, l’ Europarlamento al voto diviso

La minaccia di Di Maio “I giornali ci odiano tagliamo la pubblicità”

I RAGAZZI AMANO LA MUSICA CLASSICA ma non sempre lo sanno

«Rai, ci vuole Foa. Con Silvio intesa possibile»

Corriere della Sera
Monica Guerzoni
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roma Quando appare nel cortile di via Teulada dopo l’ intervista fiume con Bruno Vespa, Matteo Salvini ha ben chiaro lo schema del «blitz» per portare Marcello Foa alla presidenza della Rai, a dispetto della bocciatura incassata ad agosto in Vigilanza dal giornalista italo-svizzero. «Io non ho cambiato idea sul merito della persona», insiste il vicepremier in barba alle proteste del Pd, che prepara ricorsi e parla di «schiaffo al Parlamento». Foa è sgradito anche ai dipendenti Rai, ma Salvini non intende mollare: «C’ è un non-voto, vediamo se diventa un voto. Poi io non obbligo nessuno…». Il riferimento è a Silvio Berlusconi, che sulle prime aveva promesso il suo sì, poi ci aveva ripensato. Ma adesso che si ragiona di partito unico e che il voto in Abruzzo e Basilicata si avvicina, il vicepremier si è convinto che il leader di FI cambierà ancora idea: «Lo incontrerò nelle prossime ore. Credo ci sia la possibilità di trovare un accordo». Salvini la fa facile. In realtà, se pure la riproposizione di Foa non trova ostacoli sul piano giuridico, un secondo tentativo sarebbe una forzatura. L’ Huffpost ha scritto di un parere legale prodotto dalla Direzione affari legali e societari della Rai e valutato dal governo, come escamotage per consentire un secondo voto sul nome di Foa domani in commissione. Ma l’ azienda smentisce: «Notizia priva di fondamento». Eppure nella Lega si parla di un documento per riproporre in commissione la candidatura di Foa e Salvini pensa di farcela grazie ai voti determinanti di Berlusconi. A Porta a Porta appare in giacca scura, camicia bianca e cravatta verde, si bea dei sondaggi che confermano il (virtuale) sorpasso sul M5S e prova a tranquillizzare «gli amici cinquestelle», come definisce Di Maio e compagni: «Io non sono un giocatore di poker, non bluffo». Poi l’ avvertimento a quanti sognano un ribaltone, la Lega fuori e il Pd dentro: «Rispetto i patti e non farò saltare il tavolo. Ma se qualcuno dall’ altra parte comincia a remare contro, a fare casino, a cambiare o stralciare, è un altro paio di maniche». Pressato dal direttore del Corriere Luciano Fontana, Salvini difende lo stop ai migranti e sferza i magistrati che lo indagano per la nave Diciotti: «Uno risolve il problema e come medaglia gli danno un provvedimento che comporta 15 anni di galera?». Annuncia un «grande progetto» per l’ Africa, propone di trasformare il Sud in una terra esentasse per attrarre pensionati ricchi, ironizza sugli ispettori dell’ Onu in arrivo: «Andrò a Fiumicino ad accoglierli». E quando tocca ai 49 milioni di rimborsi spariti, il leader la butta sul ridere. Dice di non sapere quanti soldi ci sono sul conto della Lega («e nemmeno sul mio»), sentenzia che è «meglio avere il portafoglio vuoto e il cervello pieno», sostiene che ogni partito spende i finanziamenti come vuole e, per finire, si arrabbia con «Alex» Di Battista: «Se sto in Guatemala mi godo la mia famiglia, che c. mi occupo dei soldi della Lega? I soldi non ci sono, né in Italia né in Lussemburgo. Tutto certificato».

E a New York riapre il Club di Playboy

Corriere della Sera
MASSIMO GAGGI
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Quando il Playboy Club di New York chiuse i battenti, 32 anni fa, fu lo stesso fondatore, Hugh Hefner, a scriverne l’ epitaffio: «Ormai era un simbolo del passato». Cioè i ruggenti anni Sessanta, quando l’ editore decise di creare per i lettori della rivista patinata una rete di club coi clienti, prevalentemente uomini, accolti dalle celebri conigliette. Successo strepitoso e moltiplicazione dei Playboy Club in 30 città americane. Grandi affari negli anni Settanta, ma poi l’ interesse scemò e questi locali, uno alla volta, chiusero. Scomparso Hugh Hefner, però, il figlio Cooper che gli è succeduto, ha deciso di riprovarci. Nell’ anno del riscatto delle donne, in pieno vento di #metoo e con le elezioni di mid term del prossimo novembre caratterizzate da un numero record di candidature al femminile, a New York torna il simbolo più stereotipato della donna oggetto: la coniglietta. Fra tre giorni sulla 42esima Strada aprirà un nuovo Playboy Club: migliaia di dollari d’ iscrizione (25 mila per il Rabbit Hole, un club dentro il club, riservato ai VIP) per frequentare un locale che vuole trasudare opulenza (1.500 metri quadri di marmi, volte dorate, legni pregiati e pelle ovunque) e popolato da 54 conigliette. Perché, visto anche il fallito esperimento, 10 anni fa, quando quella formula venne riproposta al Palm di Las Vegas? Un tentativo di catturare i nostalgici della great America? Un club per chi è stanco del politicamente corretto e anche di #metoo? Che si punti sulla nostalgia non c’ è dubbio: i titolari del locale dicono che vogliono ricreare l’ atmosfera dei film di 007 (quelli dell’ era Sean Connery). Quanto alla sfida, vedremo. Aspettano anche le femministe, per ora abbastanza silenziose (a scatenarsi si rischia di fare pubblicità a qualcosa che potrebbe morire da sola), mentre l’ organizzazione fornisce anche un dato che, se vero, dà da pensare: il 45 per cento dei soci sarebbero donne.

La partita si gioca sul filo dei voti

Corriere della Sera
I. C.
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DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO Il voto di oggi dell’ Europarlamento sulle nuove regole a tutela del diritto d’ autore in rete si annuncia incerto e potrebbe essere deciso da una differenza di strettissima misura. Il fronte composto dagli editori di giornali, scrittori, registi, produttori cinematografici, musicisti, che si aspetta dalla nuova direttiva Ue la possibilità di ottenere un «equo compenso» dalle multinazionali Usa del digitale, ha cercato di recuperare consensi in extremis tra gli eurodeputati, da mesi sottoposti principalmente a un intenso lobbying dei giganti Usa del web. Le varie Google, Facebook, Amazon sarebbero già contente della mancanza di consenso a un testo di compromesso, che farebbe slittare tutto alla prossima legislatura e consentirebbe di continuare a pagare poco o nulla per lo sfruttamento su Internet di informazioni e opere dell’ ingegno. Il risparmio sarebbe nell’ ordine dei miliardi. Il dibattito nell’ aula di Strasburgo, alla vigilia del voto, ha confermato la difficoltà di superare le divisioni presenti all’ interno di gruppi, partiti e componenti nazionali. Gli europopolari del Ppe, a cui aderisce Forza Italia, appoggiano le nuove regole abbastanza compatti. Tra gli eurosocialisti, il grosso della delegazione del Pd è favorevole, ma altre componenti appaiono dubbiose. M5S e Lega contano sull’ approvazione di emendamenti a tutela della libertà del web. Settori euroscettici sono contrari. In totale sono stati presentati oltre 250 emendamenti da votare oggi, molti inconciliabili. Potrebbero non far emergere soluzioni di compromesso in grado di riuscire a superare i dubbi degli eurodeputati preoccupati da un ridimensionamento della «libertà della Rete», che a luglio votarono di fatto con le multinazionali Usa pur di rinviare al 12 settembre e consentire modifiche a tutela degli utenti. Il loro timore è che alcune parti della direttiva nascondano costi aggiuntivi per gli utenti e l’ attribuzione alle grandi piattaforme della facoltà di censurare i contenuti non graditi.

Tim, l’ ipotesi Cdp per cedere Sparkle

Corriere della Sera
Federico De Rosa
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Non è la prima volta, ma forse, rispetto a due anni fa quando si parlava di uno scambio di asset con la Cassa depositi e prestiti, oggi le cose stanno in modo un po’ diverso e probabilmente Sparkle verrà davvero ceduta. Tuttavia l’ avvio dell’ iter per la vendita della società a cui fa capo la rete internazionale di Tim è partito in salita. L’ auspicio del presidente Fulvio Conti («Venderemo Sparkle al migliore offerente») si è subito scontrato con il veto del governo che per bocca di Luigi Di Maio ha chiesto di fermare i motori: «Sparkle non si vende» ha detto, trovando l’ inattesa sponda di Arnaud de Puyfontaine, ceo di Vivendi e consigliere di Tim, che gli ha dato ragione. Va detto che il manager francese si sta spendendo in lungo e in largo per cercare sponde nel governo pentaleghista, come segnalato ieri dall’ agenzia Lapresse, che ha adombrato l’ ipotesi di un «golpe» in arrivo da parte di Vivendi per riprendere il controllo di Tim. Le manovre per la vendita sono comunque partite, anche se in molti hanno avuto la sensazione che mettendo Sparkle sul tavolo Tim abbia voluto soprattutto sollecitare l’ apertura di un dialogo con il governo. Per adesso sono state invitate le banche al «beauty contest», che servirà a decidere a chi assegnare il mandato. Così avviene di solito. Ma Sparkle non è una società qualsiasi e dunque bisogna tenere in considerazioni diverse variabili. La prima è il governo, che può bloccare la vendita. La seconda è nel consiglio di Tim che parte già spaccato, non solo sul dossier Sparkle. La terza, più importante, è l’ acquirente. Le possibilità non sembrano molte: o un concorrente – ma sarebbe straniero e probabilmente extra-Ue -, o un private equity a cui tuttavia difficilmente il governo darebbe il benestare, oppure la Cdp o F2i. Due anni fa, quando era in gestazione Open Fiber, la Cdp aveva avviato una trattativa con Tim per uno scambio tra Metroweb e Sparkle, naufragata per differenti valutazioni. Oggi alla Cassa c’ è un nuovo vertice, guidato dall’ amministratore delegato Fabrizio Palermo, e assicurano che sul suo tavolo non c’ è un dossier Sparkle. Almeno non ancora. Un’ operazione con Cdp porterebbe la rete internazionale di Tim sotto l’ ombrello publico (Cdp è partecipata all’ 83% dal Tesoro) e potrebbe essere funzionale alla creazione di un’ unica società per le reti mettendo l’ infrastruttura di Open Fiber (il 50% è della Cdp) insieme a quella del gruppo telefonico. I tecnici della Cassa conoscono bene la società. Dovrebbero solo aggiornare i numeri. Negli ultimi tre anni Sparkle ha rallentato la crescita: dai 198 milioni di Ebitda del 2015 è passata a 182 milioni nel 2016 e a 154 milioni nel 2017 e la proiezione sul 2018 arriva a 110-120 milioni. I multipli di mercato assegnerebbero un valore a Sparkle di circa 850-900 milioni, più o meno la stessa cifra che due anni fa la Cdp era disposta a riconoscere a Tim. Intanto il ceo di Tim Amos Genish si è messo al lavoro sulla squadra di management. E Pietro Scott Jovane, chief commercial officer del gruppo, lascia. Fabio Tamburini è il nuovo direttore responsabile del Sole 24 Ore, di Radio 24, dell’ agenzia Radiocor e di tutte le testate del gruppo editoriale 24 Ore. Lo ha deliberato all’ unanimità il consiglio di amministrazione che – si legge in nota – ha inoltre deliberato, sempre all’ unanimità, che il direttore uscente Guido Gentili mantenga la carica di direttore editoriale del gruppo 24 Ore. Tamburini lascerà il ruolo di vicedirettore dell’ agenzia Ansa.

Copyright, oggi si vota in Ue Scontro tra Google ed editori

Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Sala
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Migliaia e migliaia di email agli europarlamentari: il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, le ha definite “inaccettabili pressioni” per il voto di oggi sulla direttiva copyright. La discussione ha evidenziato le spaccature nei gruppi e il contrasto tra le piattaforme come Google e Facebook e gli editori. Oggi si voteranno uno alla volta tutti i 252 emendamenti presentati, pratica inusuale per il Parlamento che di solito tende ad approvare il mandato della commissione, in questo caso la Affari giuridici. La proposta era stata respinta a luglio in seduta plenaria per consentire la presentazione di nuovi emendamenti e aprire un nuovo dibattito. Cosa prevede.Il nodo riguardava principalmente due articoli della direttiva (70 tra ricercatori e studiosi avevano scritto a Tajani per chiedergli di opporsi ad alcuni aspetti del testo): il primo, l’ articolo 11, prevede la possibilità per un editore di ricevere ricavi ogni volta che una piattaforma (come Facebook o Google) ospita un link ai loro contenuti con uno snippet, ovvero una porzione di quel contenuto. Ad esempio, quando Google News indicizza gli articoli riportandone il titolo e un breve estratto. Per farlo, con queste nuove regole, Google dovrà corrispondere dei soldi agli editori per ogni titolo e ogni anteprima mostrati. Un possibile limite alla libera circolazione delle idee. Il secondo, l’ articolo 13, riguarda il cosiddetto finger printing (impronta digitale), ovvero la possibilità di creare sui prodotti caricati online (video, immagini, tracce musicali) una sorta di ‘firma’ che permetta di riconoscere quel contenuto tra milioni e capire se a caricarlo sia qualcuno che non è titolare dei diritti. Le grandi piattaforme, come Youtube, se ne sono già dotate. Una sorta di filtro preventivo da cui derivano i timori di un abuso (tentativi di censura con la scusa del copyright). Nelle scorse settimane, gli incontri tra i gruppi di europarlamentari per trovare un compromesso sono stati inconcludenti. Il 28 agosto Verdi, GUE e Socialisti si sono riuniti per lavorare a una proposta comune per lo shadow meeting del 29, convocato dal relatore Axel Voss, tedesco del Ppe. Ma senza esiti soddisfacenti. La proposta di Voss, ad esempio, prevedeva che non ci fosse pagamento dei link per i “meri collegamenti ipertestuali, che sono accompagnati da singole parole”. Definizione vaga come vago è attribuire la completa responsabilità delle violazioni sui gestori delle piattaforme, non prevedendo tutele per gli utenti. Il voto di oggi diventa così una incognita e il relatore, qualora passasse una versione troppo lontana dall’ intento originario, potrebbe rimettere il mandato al presidente della commissione Affari giuridici al quale toccherebbe poi negoziare con il Consiglio europeo un testo quantomeno poco coerente . Il paradosso. “I giganti del web, forti della loro posizione monopolistica sul mercato, rifiutano di sedersi al tavolo e negoziare con gli autori – ha detto Isabella Adinolfi, europarlametare del M5S , che propone l’ abolizione dei due articoli -. Bisogna lavorare sull’ applicazione della normativa antitrust e la cessazione dell’ elusione fiscale. Ma in Europa si preferisce implementare una politica di ‘gendarmeria’, piuttosto che scardinare i paradisi fiscali”. Il grande paradosso di questa direttiva è infatti l’ aver messo dallo stesso lato della barricata giganti del web e piccoli provider, grandi imprenditori e chi lotta contro il loro predominio online, Google e Wikipedia. Contro, gli editori. Far naufragare tutto sembra l’ obiettivo visto che il Parlamento europeo si rinnova a maggio e quindi in caso di rinvio alla commissione per un nuovo mandato negoziale la conclusione del trilogo (Commissione-Consiglio-Parlamento) difficilmente potrebbe arrivare prima della fine di questa legislatura.

Di Maio prepara la censura «Stop ai media che ci odiano»

Il Giornale
FRANCESCA ANGELI
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Una legge per strangolare la stampa libera. Piccoli tiranni crescono: Luigi Di Maio da appena tre mesi vicepremier compie un balzo di qualità e annuncia il taglio dei contributi pubblici indiretti per i giornali e l’ arrivo degli «editori puri». Il ministro dello Sviluppo Economico sulla sua pagina Facebook e sul Blog delle Stelle spiega che l’ iniziativa si è resa necessaria perché i giornali attaccano il governo e gettano discredito sull’ operato dell’ esecutivo giallo verde. Insomma se i giornali sono critici con il governo meglio tagliar loro le gambe. Nell’ agenda del vicepremier (ma non nel contratto di governo stipulato con la Lega) si punta non solo a tagliare i fondi ma a chiudere l’ accesso al settore agli editori impuri, in odore di conflitto di interessi. Insomma sembra di capire che la carta stampata potrebbe essere accessibile soltanto agli editori graditi al governo. «I giornali dei prenditori editori ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività», attacca Di Maio che annuncia tagli nella legge di bilancio. «Porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate di Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali con investimenti pubblicitari spropositati e dal dubbio ritorno economico per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi». Di Maio critica tutta la stampa colpevole a suo dire di produrre fake news sul governo. «Non è giornalismo è solo propaganda per difendere gli interessi di una ristretta élite che pensa di poter continuare a fare il bello e il cattivo tempo.- attacca il grillino- Non sarà più così. Il nostro Paese ha bisogno di un’ informazione libera e di editori puri senza altri interessi che non siano quelli dei lettori». Evidentemente per Di Maio l’ interesse dei lettori coincide con il suo. Oltre alla netta condanna della Federazione Nazionale della Stampa arrivano critiche anche dall’ opposizione. «Il rispetto per le idee altrui e per la democrazia non appartiene alla cultura pentastellata. -denuncia Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera – È così che il vicepremier Luigi Di Maio da giorni minaccia la libera stampa tagliando gli investimenti pubblicitari». Ma oggi si gioca anche un’ altra importante battaglia per il giornalismo e i diritti d’ autore. L’ Europarlamento deve infatti votare la a riforma Ue del copyright, la proposta di direttiva sui diritti d’ autore nel mercato unico digitale. É un voto che si presenta incerto e la posta in gioco è altissima. Per la Commissione Ue mantenere lo status quo avvantaggerebbe soltanto i cosiddetti giganti del web come Facebook e Google che, spiegano, continuerebbero a incassare senza riconoscere alcun compenso ad autori, creatori e stampa. Sono proprio i giganti del web come anche Youtube ad aver definito la riforma un bavaglio al web. In particolare criticano l’ articolo 11 che introduce quella che è stata definita la «tassa sui link» alle notizie, in base al quale gli editori possono esigere il pagamento di diritti dalle piattaforme online e dagli aggregatori che condividono una notizia pubblicata. Con l’ articolo 13 invece le piattaforme diventerebbero responsabili per eventuali violazioni del diritto d’ autore. Per i colossi del web la riforma metterebbe a rischio la creatività. Mentre un artista come Mogol, neopresidente della Siae, chiede di lottare in difesa del diritto di autore. Fronti opposti per Forza Italia, a favore della riforma, e Lega schierata dalla parte dei colossi del web. E naturalmente anche per i Cinque stelle, che imperversano sul web e si schierano con chi saccheggia le notizie.

Copyright, oggi la scelta di Strasburgo

Il Giornale

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Secondo uno schieramento è in gioco la libertà di internet, secondo l’ altro è in pericolo il futuro dell’ informazione. Il voto di oggi alla plenaria del Parlamento europeo sulla riforma del copyright è un’ incognita. Perché i gruppi sono divisi al proprio interno e le pressioni dei giganti del settore tech, come denunciato ieri dal presidente dell’ Europarlamento Antonio Tajani, si sono susseguite durante tutta l’ estate. Negli ultimi giorni anche la Fieg, la Federazione italiana editori giornali che ieri ha lanciato l’ appello dalle pagine dei quotidiani nazionali, si è fatta sentire sul tema. Il presidente Andrea Riffeser Monti si è pronunciato a favore di norme «che riequilibrino le attuali differenze di valore tra chi distribuisce massivamente contenuti editoriali e chi quei contenuti li realizza, con il proprio apporto creativo e le proprie risorse». Un’ ultima chiamata al «sì» alla riforma è arrivata anche da Mogol, il paroliere da lunedì presidente della Siae, secondo cui oggi a Strasburgo «sarà la guerra tra i soldi e la cultura, e speriamo che vinca la cultura». Contrari, invece, gli eurodeputati del Movimento 5 Stelle (così come la Lega) che hanno presentato due emendamenti per cancellare dalla direttiva i due articoli dibattuti: l’ 11, che prevede che gli editori possano esigere il pagamento di diritti dalle piattaforme online e dagli aggregatori di notizie (come Facebook e Google News) che condividono i loro articoli, e il 13, che renderebbe le piattaforme responsabili per eventuali violazioni del diritto d’ autore dei contenuti caricati dagli utenti, spingendole ad adottare filtri preventivi. Ieri a spiegare il proprio «no» è intervenuto anche il presidente di Confindustria Digitale, Elio Catania, che ha parlato del rischio di «penalizzare i protagonisti emergenti dell’ economia digitale e ridurre l’ accessibilità e la condivisione di contenuti in rete e quindi le potenzialità creative e di business».

Un grande pasticcio fino alla fine Ma la serie B resta a 19 squadre

Il Giornale
Marcello Di Dio
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Marcello Di Dio Tanto rumore per nulla. La serie B resta a 19 squadre: il Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni, dopo il rinvio della decisione venerdì scorso, ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro il provvedimento con cui il commissario Figc Fabbricini aveva fatto marcia indietro rispetto alla decisione iniziale, bloccando così i ripescaggi con una modifica delle norme federali e fissando il format del campionato cadetto. I posti lasciati liberi da Bari, Cesena e Avellino non saranno coperti da nessuno. Deluse le speranze di Novara, Catania, Siena, Ternana, Pro Vercelli ed Entella: alla luce della decisione del Collegio che si è dichiarato «incompetente» sulla questione, potrebbero di fatto rifare la trafila della giustizia sportiva mentre il campionato procederà senza intoppi. Più facile che i club provino a rivolgersi al Tar per richiedere dei maxi-risarcimenti alla Figc. «Nessuna pressione su di me, per la prima volta ho votato contro la decisione finale presa a maggioranza, la mia tesi era a 22 squadre», ha svelato Franco Frattini, presidente del Collegio. La spaccatura prevista tra i giudici è rimasta tale, tanto che il provvedimento è passato con 3 voti favorevoli e 2 contrari. «Una divergenza che nella storia del Collegio non c’ è mai stata», ha sottolineato ancora l’ ex ministro degli esteri che tra poco tempo lascerà la presidenza per approdare al Consiglio di Stato. Gli ultimi strascichi della vicenda saranno (per ora) il ricorso dell’ Avellino al Tar – domani la discussione – e il processo davanti al Tribunale federale chiesto dall’ Entella per il -15 inflitto al Cesena (ormai fallito) nella prossima stagione e non in quella conclusa a giugno. La sentenza è la vittoria del presidente della Lega B Mauro Balata che il 13 agosto scorso, pochi minuti dopo il via libera di Fabbricini con la delibera che fissava a 19 il numero delle squadre iscritte al campionato, ha subito varato il calendario della stagione partita regolarmente (nonostante il minacciato e non attuato sciopero da parte dei calciatori) undici giorni dopo. Con questo format, secondo il numero uno della Lega cadetta e molti dei patron delle squadre, il torneo sarà più sostenibile economicamente e saranno più grandi le fette di soldi dei diritti tv (assegnati a Dazn e alla Rai per quanto riguarda l’ anticipo del venerdì) da dividere tra i club. Restano le tre promozioni e le quattro retrocessioni. E oggi la serie C varerà gironi e calendari (il via domenica 16), mentre davanti al Tribunale federale ripartirà da capo il processo al Chievo per le presunte plusvalenze fittizie, «abortito» a luglio per gli errori procedurali della Procura Figc.

Rai, si sblocca il caso Foa Salvini: vedrò Berlusconi Segnali anche sul Csm

Il Messaggero

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IL RETROSCENA ROMA Una lettera da portare nella riunione di domani in Commissione Vigilanza. Così Matteo Salvini pensa di forzare su Marcello Foa per la poltrona di presidente di viale Mazzini. E di mettere alla prova FI. Il partito azzurro potrebbe astenersi visto che il documento comunque avrà la maggioranza. Solo dopo si aprirà la vera trattativa ma con la mossa preparata da M5S e Lega l’ ex premier si ritroverà in ogni caso con le spalle al muro. «La nostra proposta verrà indicato nella missiva è quella di nominare un presidente tra i membri eletti all’ interno del Cda, nessun escluso». Il partito di via Bellerio quindi riproporrà il nome del giornalista italo-svizzero indipendentemente dagli incontri e dai contatti con l’ ex premier. Un metodo che ha mandato su tutte le furie i forzisti e lo stesso Cavaliere. «E’ immorale comportarsi così», la protesta di molti big forzisti. Perché un confronto reale non c’ è ancora stato. In realtà Berlusconi e Salvini già si sono sentiti nei giorni scorsi ma il ministro dell’ Interno ha glissato sul futuro del centrodestra e sulle altre richieste di Berlusconi. Il vicepremier ha annunciato solo ieri l’ intenzione di recarsi a villa San Martino: «Su Foa ha spiegato dal salotto di Porta a porta’ non ho cambiato idea. La Rai è una grande azienda che ha voglia di correre e di crescere. Credo ci sia la possibilità di trovare un accordo con Berlusconi, conto di vederlo nelle prossime ore». L’ intesa prevede una convergenza sui candidati alle Regionali. A partire dall’ Abruzzo per finire alla Basilicata e alla Sardegna. Ed è possibile anche che un esponente azzurro – Alessio Lanzi – diventi vicepresidente del Csm. Ma il segretario della Lega non intende portare avanti una trattativa complessiva. E non vuole sedersi neanche al tavolo con lo stato maggiore azzurro. «Io parlo solo con chi comanda in FI», ha spiegato ai suoi anche durante l’ incontro sulla manovra tenutosi al Viminale. Un atteggiamento che – è l’ accusa dei moderati di FI – punta a tener fuori dalla partita il vicepresidente Tajani. In realtà i gruppi parlamentari sono sempre più in subbuglio. Perché Berlusconi, pur di tenere unito il centrodestra, è disposto a tornare indietro sul no a Foa di fine luglio ma deputati e senatori si aspettano che arrivino segnali veri da parte dell’ alleato, non semplici promesse. CONTROPARTITE «Senza contropartite dovremmo dire di no», si lamentano in tanti. In fibrillazione soprattutto le nuove leve. Quelli alla prima legislatura, soprattutto i giovani, guardano sempre di più a Salvini come futura guida. In tanti hanno bussato alle porte della Lega. «Sono più di una ventina, ma noi non accogliamo nessuno», dice un esponente di primo peso del partito di via Bellerio. Una decina di deputati, tutti alla prima esperienze ed eletti al nord, ha già promesso una sponda alla Lega in Parlamento, qualora servisse un aiuto a far passare provvedimenti. Ma si sta lavorando ad un nuovo contenitore che dovrebbe essere promosso da Giovanni Toti e fungere da passaggio di avvicinamento a Salvini. Giorgia Meloni non ha dato ancora il via libera ma nei prossimi giorni si studierà un piano ad hoc per le Europee. «Spaccheremo FI, c’ è chi non sposa la linea europeista di Tajani», spiegano in Fdi. C’ è poi un nutrito gruppo di deputati che chiederà allo stesso Berlusconi qual è la prospettiva di FI. La preoccupazione è legata alle perplessità dell’ ex premier di candidarsi alle Europee. «Senza di lui inutile anche presentarsi alle urne», dice uno dei peones azzurri. Ed è per frenare i mal di pancia crescenti nel gruppo che l’ ex presidente del Consiglio ha convocato per domani la riunione della Commissione preparatrice dei congressi. Quanto a Salvini, aspetterà il pronunciamento della Cassazione sulla questione dei fondi e poi partirà con il nuovo soggetto. FI andrà avanti sulla sua strada di rinnovamento ma l’ ipotesi del partito unico è gradita da molti parlamentari. Emilio Pucci © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Copyright, scontro finale a Strasburgo tra fake news e pressing delle lobbies

Il Messaggero

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IL VERDETTO BRUXELLES All’ Europarlamento oggi c’ è il finale di partita sulla direttiva sul copyright, il diritto d’ autore, sulla quale si è scatenata una feroce battaglia politica durata mesi. Si fronteggiano l’ industria culturale e l’ editoria da una parte, i colossi digitali come Google, Amazon, Facebook e Apple ormai denominati abitualmente GAFA, e schiere di difensori radicali della libertà del Web pura e dura. Difensori molto, troppo sensibili alle fake news, che fanno passare per attacco illiberale la giusta remunerazione di opere dell’ ingegno, da una canzone a un articolo di giornale, che circolano via Internet senza alcun riconoscimento economico a chi le ha create e prodotte. LA PARTITA In fin dei conti si tratta anche della libertà di stampa e proprio alla vigilia del voto che oggi a mezzogiorno gli eurodeputati esprimeranno proprio il tema della libertà di stampa è stato evocato a Strasburgo. I parlamentari voteranno i 252 emendamenti alla direttiva europea, il testo che costituisce la base negoziale per avviare la trattativa con il Consiglio, cioè i governi. Il tempo stringe, tra 6-7 mesi si chiude baracca, perché a maggio si vota per le elezioni europee. «È essenziale cogliere questa opportunità per adottare nuove regole, altrimenti ci sarà solo un vincitore: le grandi piattaforme digitali», dice il vicepresidente della Commissione Andrus Ansip. Il presidente dell’ Europarlamento Antonio Tajani ribadisce: «Sul copyright deve essere fatta chiarezza: non c’ è alcuna minaccia a Wikipedia, alla libertà del Web, nel testo che voterà il Parlamento ci sono regole chiare per garantire la libertà, il prodotto e l’ indentità europei, e pure i consumatori che devono avere notizie certe, non fake news». Difficile prevedere l’ esito del voto. Certo la battaglia è stata condotta senza esclusione di colpi. È stato formidabile l’ urto dell’ attività lobbyistica patrocinata e condotta dai GAFA al limite dello stalking, condotta pure a suon di minacce personali a singoli eurodeputati, con una copertura sui social di rara intensità. Non si era mai visto. Lo scontro riguarda sostanzialmente due articoli. L’ articolo 11 crea un nuovo diritto per gli editori: le piattaforme digitali dovranno pagare un prezzo proporzionato allo sfruttamento di contenuti autorizzati dagli editori. L’ articolo 13, nella versione della commissione giuridica che sarà nella migliore delle ipotesi un po’ edulcorata, prevede che i provider definiscano accordi di licenza con i proprietari dei contenuti per disciplinarne l’ uso. In assenza di accordo i grandi gruppi digitali dovranno controllare le violazioni dei diritti di autore o del nuovo diritto alla remunerazione dei contenuti dotandosi di filtri automatici. È sui filtri che attaccano Google, Facebook e Amazon per dimostrare che si vuole bloccare l’ innovazione. Alcuni emendamenti cercano di superare lo scoglio. Il Parlamento appare spaccato. Il Partito popolare europeo appare più compatto (Forza Italia compresa), il gruppo socialista è diviso (la stragrande maggioranza del gruppo Pd si schiera a favore del testo originario), i liberali pure, contrari Verdi, sinistra unita e partiti sovranisti’. I pentastellati nettamente contrari avendo sposato la tesi della censura del web, ieri la Lega era sulla stessa linea. La Federazione degli editori italiani (Fieg) ha invitato a votare a favore del «giusto compenso» per la distribuzione dei contenuti di giornalisti ed editori sulla rete. «I dati diffusi nei giorni scorsi – ha indicato il presidente Fieg Andrea Riffeser Monti confermano che l’ 89% degli italiani è favorevole all’ implementazione di regole europee che riequilibrino le attuali differenze di valore tra chi distribuisce massivamente contenuti editoriali e chi quei contenuti li realizza, con il proprio apporto creativo e le proprie risorse. In più, le modifiche proposte al testo in votazione a Strasburgo hanno fugato ormai ogni dubbio residuo e ogni alibi sui paventati rischi di limitare l’ accesso dei cittadini all’ informazione». Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Stop ai furti degli articoli

Il Messaggero

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L’ articolo 11 della Direttiva europea sul Copyright prevede che ci sia un accordo tra le grandi piattaforme di distribuzione dei contenuti, motori di ricerca e aggregatori di notizie come Google News o Fcebook, e i gruppi editoriali che producono quei contenuti. Se si distribuiscono contenuti e si realizzano guadagni, parte di questi profitti vanno girati ai gruppi editoriali che li hanno prodotti. Viene dunque riconosciuto un nuovo diritto che consentirebbe agli editori di pubblicazioni giornalistiche di ottenere un compenso per l’ utilizzo digitale degli articoli visto che soggetti come Google e Facebook utilizzano il link per metterci la pubblicità. Ad oggi il grosso della torta economica online viene proprio dalla pubblicità; questi ricavi si reggono soprattutto sui contenuti prodotti da artisti, autori e giornalisti. E tutelare il diritto d’ autore significa riconoscere anche ai giornali parte di quel fatturato.

Di Maio lancia nuove minacce ai giornali: via i fondi

Il Roma

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ROMA. «I giornali dei prenditori editori ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività. In legge di bilancio porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate di Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali (con investimenti pubblicitari spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi». L’ annuncio, su Facebook, è del vicepremier e ministro del Lavoro e Sviluppo economico, Luigi Di Maio, tuonando contro una notizia che vedrebbe il reddito di cittadinanza “ridotto” a mini -sussidio di 300 euro per 4 milioni di persone. «Questo non è giornalismo – attacca ancora Di Maio – è solo propaganda per difendere gli interessi di una ristretta élite che pensa di poter continuare a fare il bello e il cattivo tempo. Non sarà più così. Il nostro Paese ha bisogno di un’ informazione libera e di editori puri senza altri interessi che non siano quelli dei lettori». Dopo l’ ennesima minaccia di Di Maio ai giornali arriva la pronta critica di numerosi esponenti politici. «Il vicepremier Di Maio ha messo per iscritto un vero e proprio ricatto nei confronti della stampa, addirittura annunciando una lettera alle aziende di Stato che palesa evidenti profili di illegalità: mi auguro che la Fnsi e la Fieg valutino se non ci siano i presupposti per portare le parole di Di Maio in Tribunale» dichiara il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi. «Mai si era visto – prosegue Anzaldi – un esponente di Governo minacciare ritorsioni, addirittura con ostacoli a finanziamenti e alle inserzioni pubblicitarie, per l’ uscita di un articolo ritenuto sgradito. Di Maio non dice che vuole risparmiare, ma specifica chiaramente che vuole punire chi si permette di fargli le pulci: un’ arroganza mai vista, neanche ai tempi di Berlusconi» conclude Anzaldi. Anche la collega di partito al Senato, Caterina Bini, accusa Di Maio: «Siamo passati dall’ editto bulgaro alle minacce vere e proprie contro la stampa. L’ ossessione del vicepremier arriva persino alle ritorsioni. È un comportamento di inau dita gravità che va denunciato in tutti i modi» afferma la vicepresidente del gruppo dem a Palazzo Madama. Anche da Forza Italia giungono critiche nei confronti del leader dei Cinquestelle. «Il rispetto per le idee altrui e per la democrazia non appartiene alla cultura pentastellata. È così che il vicepremier Luigi Di Maio da giorni, forsennatamente, sta minacciando la libera stampa di tagliare gli investimenti pubblicitari. Non è chiaro se si tratti di puro disprezzo della democrazia o un modo arcaico per distogliere l’ attenzione dalle tante cose non fatte» dichiara Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera. Mentre il collega capogruppo del Pd, Andrea Marcucci, aggiunge: «Il vicepresidente del Consiglio vuole fare il caudillo e mettere il bavaglio ai giornali, rei di scrivere cose sgradite al M5s. Difenderemo in ogni modo l’ articolo 21 della Costituzione. Le minacce hanno dell’ incredibile. Di Maio vuole un Casaleggio in ogni redazione». Ancora più dura la reazione di Gigi Casciello, deputato di Forza Italia: «I Cinquestelle stanno mostrando il loro vero volto illiberale. Prima vogliono eliminare l’ Ordine dei giornalisti, ora Di Maio minaccia la chiusura dei giornali. Il suo è un attacco da non sottovalutare contro la libera stampa e le regole della democrazia – tuona Casciello, componente della commissione Cultura alla Camera – Proprio in Commissione abbiamo dovuto già ribattere al sottosegretario Crimi che ribadì come l’ obiettivo del M5s fosse di sopprimere l’ Ordine dei giornalisti. Ora Di Maio attacca e minaccia la libera stampa dimostrando puro disprezzo per la democrazia e tutta l’ arroganza di chi preferisce i portali di fake news ai giornali che possano scrivere cose sgradite al regime, o di chi desidera le redazioni dei quotidiani come la “Casaleggio e Associati”. Di Maio si dimostra un ministro della Repubblica che viola l’ art.21 della Costituzione, sulla quale ha giurato. Occorre una mobilitazione generale per difendere la libertà di stampa, il diritto di critica e l’ art. 21 della Costituzione. Questo Governo è anti democratico e mi auguro che la Lega, altra forza di governo, sappia arginare questa deriva autoritaria e illiberale».

LE SFIDE VINTE E LA NUOVA CREDIBILITÀ

Il Sole 24 Ore
Guido Gentili
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Dal 14 marzo 2017, quando su indicazione dell’ Editore sono stato nominato direttore del Sole 24 Ore, Radio 24 e Radiocor Plus, a oggi, il mio impegno è stato massimo per riportare questo giornale, architrave del Gruppo, fuori dalle secche in cui si era incagliato nel momento più difficile della sua storia. Si trattava di guardare avanti, con realismo e determinazione, in una stagione che ha compresso gli orizzonti dell’ editoria tradizionale e ne ha aperti di nuovi, molto più complessi ed incerti. In questa sfida, che ci ha obbligato ad accelerare il passo fino a studiare e mettere in campo un nuovo progetto di giornale e a rendere più incisiva la nostra presenza sul web sviluppando anche le sinergie tra le redazioni del sistema-Sole, ho potuto contare sulle eccezionali qualità dei giornalisti e di tutte le risorse e i collaboratori del Gruppo. Un potenziale enorme sul quale poggiano le basi del futuro. È stata un’ avventura straordinaria, da tutti vissuta ogni giorno con passione e dedizione anche nei momenti in cui la risacca sembrava riportarci indietro. Ci sono ancora problemi che vanno risolti e nuove sfide da intraprendere. Ma un tratto importante di strada è stato compiuto e la storica autorevolezza del giornale ha potuto di nuovo dispiegarsi al meglio per cogliere risultati inequivoci e di grande rilievo. Su indicazione unanime del Consiglio di amministrazione del Sole 24 Ore continuerò, con lo stesso impegno, la mia sfida come direttore editoriale del Gruppo. A Fabio Tamburini, nominato alla guida del Sole, Radio 24 e Radiocor Plus, formulo i miei migliori auguri di successo. E alle redazioni invio un abbraccio forte, convinto che continueranno a brillare per professionalità e entusiasmo. @guidogentili1.

COPYRIGHT, UNA tutela CHE premia

Il Sole 24 Ore
Oreste Pollicino
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Il Parlamento europeo oggi si pronuncerà sulla proposta della Commissione relativa alla nuova direttiva che si propone una tutela più incisiva del diritto d’ autore nel mercato unico digitale. Negli ultimi tempi si è susseguita una quantità innumerevoli di commenti. Il dibattito è stato finora viziato da due “crampi mentali” che hanno finito per inquinarlo con la conseguenza di una polarizzazione, se non radicalizzazione, di posizioni che considerano, alternativamente, da una parte la direttiva come la campana a morte per Internet così come lo conosciamo e, dall’ altra parte, come la formula magica per ogni distorsione competitiva nel mercato digitale europeo. Il primo crampo mentale ha portato a concentrarsi sulla portata dei famigerati articoli 11 e 13. Questi due articoli prevedono, rispettivamente, il primo, a favore degli editori di giornali, l’ introduzione di un nuovo diritto mirante a facilitare la concessione di licenze online per le pubblicazioni e il secondo, invece, di un obbligo, nei confronti delle grandi piattaforme digitali, di intraprendere, in cooperazione con i detentori dei diritti, misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di contenuti che infrangano il diritto d’ autore o diritti correlati. In questo modo si sono persi di vista, in primo luogo, contesto e obiettivi fondamentali della riforma, e, in secondo luogo, altri elementi caratterizzanti quest’ ultima. La proposta di legge muove dall’ idea che l’ evoluzione delle tecnologie digitali ha fatto emergere nuovi modelli di business e ha rafforzato il ruolo di internet quale principale mercato per distribuzione e accesso ai contenuti protetti dal diritto d’ autore. Nel nuovo contesto i titolari di diritti incontrano difficoltà nel momento in cui cercano di concedere una licenza ed essere remunerati per la diffusione online delle loro opere, il che potrebbe mettere a rischio lo sviluppo della creatività europea e la produzione di contenuti creativi. Non si può che concordare sia con tale preoccupazione, sia con l’ obiettivo identificato: garantire che autori e titolari di diritti ricevano una quota equa del valore generato dall’ utilizzo delle loro opere. Tale obiettivo nella direttiva è perseguito non solo e non tanto con le disposizioni prima richiamate, ma anche con una vasta gamma di misure la cui rilevanza è stata molto sottovalutata. Si pensi, per esempio, alle misure volte a migliorare la trasparenza e a instaurare rapporti contrattuali più equilibrati tra autori e artisti (interpreti o esecutori) e coloro cui essi cedono i loro diritti. L’ idea di base è quella non solo, come si vorrebbe far credere, di dichiarare una guerra senza esclusione di colpi alla violazione del diritto d’ autore ma anche di migliorare il meccanismo dell’ offerta legale di contenuti digitali. E non si può certo dire che tali sforzi, che devono essere ulteriormente amplificati, non abbiano portato a un mercato relativo all’ offerta musicale e audiovisiva assai vivace. D’ altronde, non si capisce perché se questo sistema ha funzionato su tali settori industriali sia destinato a fallire per l’ editoria giornalistica. È in gioco, in questo caso, con lo spettro delle fake news, la qualità e la veridicità dell’ informazione. Il secondo crampo mentale è legato all’ invocazione di un attentato alla libertà di espressione tutte le volte in cui si pone la questione dell’ attivazione di un possibile filtro messo in atto dalle piattaforme digitali per evitare la violazione sistematica del diritto d’ autore. In questi casi il bilanciamento, come la Corte di giustizia nella sentenza Scarlet del 2011 ha fatto notare, è sì tra due diritti previsti dalla Carta dei diritti della Ue. Ma si tratta di due libertà economiche, proprietà intellettuale e libertà di iniziativa economica. La libertà d’ espressione ricopre un ruolo marginale in questo contesto. Discutiamo quale sia il bilanciamento che rispetti al meglio il principio di proporzionalità, ma non si radicalizzi il conflitto con una retorica sterile dei diritti fondamentali che tiri in campo, a sproposito, l’ annullamento o la limitazione della libertà di espressione. Sono altri gli scenari in cui tale rischio è effettivo. Regolazione non sempre equivale a restrizione non proprozionale. E, infine, ci si ricordi che anche la libertà di espressione nel costituzionalismo europeo ammette limitazioni e temperamenti, il Primo emendamento della Costituzione americana e la protezione sacrale del free speech non gode (ancora) di un’ applicazione planetaria. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il Parlamento europeo oggi si pronuncerà sulla proposta della Commissione relativa alla nuova direttiva che si propone una tutela più incisiva del diritto d’ autore nel mercato unico digitale. Negli ultimi tempi si è susseguita una quantità innumerevoli di commenti. Il dibattito è stato finora viziato da due “crampi mentali” che hanno finito per inquinarlo con la conseguenza di una polarizzazione, se non radicalizzazione, di posizioni che considerano, alternativamente, da una parte la direttiva come la campana a morte per Internet così come lo conosciamo e, dall’ altra parte, come la formula magica per ogni distorsione competitiva nel mercato digitale europeo. Il primo crampo mentale ha portato a concentrarsi sulla portata dei famigerati articoli 11 e 13.

Fabio Tamburini nominato direttore del Sole 24 Ore

Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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MILANO Il Consiglio di Amministrazione del Sole 24 Ore Spa, riunitosi ieri a Milano sotto la presidenza di Edoardo Garrone, ha deliberato all’ unanimità la nomina di Fabio Tamburini a direttore responsabile de Il Sole 24 Ore, Radio 24, Radiocor e di tutte le testate del Gruppo 24 Ore. Il Consiglio di Amministrazione ha inoltre deliberato, sempre all’ unanimità, che Guido Gentili mantenga la carica di direttore editoriale del Gruppo 24 Ore. In un comunicato ufficiale diffuso ieri in serata, il Consiglio di Amministrazione del Sole 24 Ore S.p.A. «ringrazia il direttore Gentili per l’ impegno assicurato all’ azienda in un momento storico difficile, per l’ efficacia del lavoro svolto nel rafforzare l’ autorevolezza del quotidiano come strumento di lavoro imprescindibile per manager, imprenditori, professionisti e risparmiatori, e per aver sviluppato una più incisiva sinergia tra le redazioni del Gruppo, contribuendo così ad accrescere la professionalità di tutte le redazioni». Fabio Tamburini, già al Sole 24 Ore come inviato sui temi di finanza sotto la direzione di Gianni Locatelli, è stato direttore fino al 2013 dell’ Agenzia di Stampa Radiocor e di Radio 24. Tamburini, che lascerà l’ Agenzia di Stampa Ansa dove ricopre il ruolo di Vicedirettore, in precedenza è stato Vicedirettore del settimanale Milano Finanza e del quotidiano Mf, inviato e vicecaporedattore di Repubblica, caporedattore de Il Mondo. Per nove anni professore a contratto per le facoltà di economia alle Università Federico II di Napoli e a Parma, è autore della casa editrice Longanesi.

Di Maio: stop finanziamenti pubblici indiretti ai media

Il Sole 24 Ore

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«Pd e Fi che sembrava dovessero comandare per chissà quanto tempo oggi sono ridotti ai minimi termini e non sono in grado neppure di fare un’ opposizione e si limitano a spargere falsità sul governo, usando i giornali e le tv da loro controllati. Ecco, l’ odio dei media nei nostri confronti è l’ elemento di continuità dal 2014 a oggi. Ma anche per loro sta arrivando il momento di dire addio ai finanziamenti pubblici indiretti e alle inserzioni milionarie delle aziende partecipate dello Stato che dettano loro la linea editoriale». Così il vicepremier M5S Luigi Di Maio scrive sul blog delle Stelle tornando sul tema editoria. E sul tema è intervenuto anche il leader della Lega Matteo Salvini: «La libertà di informazione è qualcosa di molto soggettivo sul quale potremmo aprire un dibattito di settimane». Durissima la replica dell’ opposizione. «Di Maio non si deve permettere di minacciare la stampa. Il vicepresidente del consiglio vuole fare il caudillo e mettere il bavaglio ai giornali, rei di scrivere cose sgradite al M5S. Difenderemo in ogni modo l’ articolo 21 della Costituzione» incalza il capogruppo del Pd a Palazzo Madama Andrea Marcucci. Ed anche Fi, con Mariastella Gelmini insorge: «Di Maio minaccia la libera stampa». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, Salvini tratta con Berlusconi su Foa e regionali

Il Sole 24 Ore

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«Berlusconi conto di vederlo o sentirlo nelle prossime ore, c’ è un’ azienda che ha bisogno di crescere. C’ è la possibilità di trovare l’ accordo». Così a Porta a Porta il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, a proposito della Presidenza della Rai. Per Salvini l’ intesa con Berlusconi potrebbe essere «non solo sulla Rai. Se c’ è accordo si va fino in fondo», anche in vista delle prossime elezioni locali, e in particolare alle elezioni nelle Province autonome di Trento e Bolzano il 21 ottobre e poi al voto per le Regionali in Sardegna a inizio 2019. Le trattative fra i partiti sono in corso in queste ore perché domani è prevista una seduta della commissione di Vigilanza sulla Rai. Ieri si è anche diffusa la notizia di un parere legale a Viale Mazzini che permetterebbe di riprovare a eleggere una seconda volta Marcello Foa ma la Rai ha prontamente smentito. l’ opposizione non si fida: «#Salvini smetta di forzare su #Foa Presidente #Rai. È schiaffo in faccia al Parlamento e rottura istituzionale senza precedenti» scrive su Twitter il senatore del Pd Francesco Verducci, vicepresidente della Vigilanza Rai. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La comunicazione per il 2018 «vincola» il bonus pubblicità

Il Sole 24 Ore
Emanuele ReichFranco Vernassa
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Decreto attuativo e modello di comunicazione da inoltrare in via telematica: tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto si sono completati i vari tasselli necessari alle imprese per inviare tra il 22 settembre ed il 22 ottobre la prenotazione del credito d’ imposta per gli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017, nonché per quelli effettuati e da effettuare nel 2018. Ora le imprese, i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali sono pronti a partire, anche se permangono alcuni dubbi che dovranno essere chiariti dalle competenti Autorità. La fase operativa dovrà suddividersi in più punti: la ricerca dei costi tramite le fatture per le spese già sostenute oppure sulla base dei preventivi/budget di spesa 2018 per quelle già deliberate; la decisione sulla convenienza e fattibilità dell’ accesso al credito; la predisposizione del modello di comunicazione per il 2018 e/o la dichiarazione per il 2017 sull’ apposito software (ad oggi mancante) ed il successivo invio telematico; la gestione dei successivi adempimenti (bilancio 2018, dichiarazione dei redditi, eccetera); l’ attesa del verdetto finale per la definizione del bonus, per il quale non è però previsto un termine; questa circostanza rende incerto quando sarà possibile utilizzare il credito in compensazione. In particolare, entro il prossimo 22 ottobre il modello deve essere inoltrato come segue: inserendo dati consuntivi, quale «Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati», per gli investimenti pubblicitari incrementali sulla sola stampa quotidiana e periodica, anche online, effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017; inserendo dati in parte consuntivi, ed in parte previsionali, quale «Comunicazione per l’ accesso al credito d’ imposta», per gli investimenti pubblicitari incrementali sulla stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, effettuati e da effettuare nel 2018. Dal 1° al 31 gennaio 2019 il contribuente avrà cura poi di inoltrare, in via consuntiva, il modello quale «Dichiarazione» degli investimenti effettuati nel 2018, al fine di confermare o rettificare i dati forniti con la «Comunicazione». Merita notare che nella «Dichiarazione» per il 2018, l’ ammontare degli investimenti indicato non potrà essere superiore a quello esposto nella «Comunicazione» inoltrata in precedenza per il 2018 a titolo di prenotazione. Il provvedimento conferma che la «Dichiarazione» per il 2017 e la «Comunicazione» per il 2018 devono essere presentate separatamente, ancorché nel medesimo termine del 22 ottobre 2018. In ogni caso, per accedere al beneficio, non cumulabile con altre agevolazioni, è necessario che il valore degli investimenti, che dovranno essere oggetto della consueta attestazione, superi almeno dell’ 1% complessivo l’ ammontare degli analoghi investimenti pubblicitari effettuati sugli stessi mezzi di informazione nell’ anno precedente. Il credito d’ imposta è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati, con aumento al 90% per le microimprese, piccole e medie imprese, e start-up innovative, in via subordinata al perfezionamento, con esito positivo, della procedura di notifica alla Commissione europea. Entro il 21 novembre 2018, il Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria pubblica, sul proprio sito istituzionale, l’ elenco dei soggetti richiedenti il credito d’ imposta per gli investimenti relativi al 2018, con l’ indicazione della percentuale provvisoria di riparto e l’ importo teoricamente fruibile da ciascun soggetto dopo la realizzazione dell’ investimento incrementale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Prima scadenza per Cigs e solidarietà

Il Sole 24 Ore
Enzo De Fusco
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Il 23 settembre potrebbe essere la data in cui molte aziende perderanno gli ammortizzatori sociali introdotti dal Jobs act. Questo vuol dire che dal giorno dopo si porrà un problema serio di come contenere il costo del lavoro nei casi di temporanei esuberi. È questo uno dei dossier principali presente sul tavolo di molti direttori del personale e manager di aziende private. Il 24 settembre 2015 è entrata in vigore la riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel decreto legislativo 148/2015, il cui articolo 4 stabilisce la durata massima complessiva degli ammortizzatori sociali nel quinquennio mobile: 24 mesi per chi fa uso esclusivo di cassa integrazione straordinaria per crisi o riorganizzazione e 36 mesi per chi fa uso esclusivo del contratto di solidarietà (ipotesi molto frequente). La durata è intermedia in caso di utilizzo del mix tra i due strumenti. Per le aziende industriali e artigiane dell’ edilizia e affini e per quelle di escavazione o lavorazione di materiale lapideo, invece, è prevista una durata di 30 mesi. Il decreto, nel fissare la durata massima degli ammortizzatori, ha azzerato in via generale tutti i contatori e quindi i limiti sopra indicati sono stati computati tutti a partite dal 24 settembre 2015. Tuttavia, a quella data – in molti settori economici – la crisi nelle imprese era (e lo è ancora) molto presente, così sono state costrette a utilizzare anche ininterrottamente gli ammortizzatori sociali fino a oggi. Dunque, lo scenario attuale è molto diversificato: ci sono imprese, più fortunate, che sono riuscite in questi anni ad adottare strumenti alternativi conservando qualche mese di ammortizzatori sociali in una prospettiva (da scongiurare) di ulteriori difficoltà nel quinquennio; altre hanno già esaurito il plafond da tempo (ossia quelle che hanno utilizzato Cigs per crisi o riorganizzazione); altre ancora (forse la maggioranza) si apprestano a esaurire il plafond dell’ ammortizzatore sociale il prossimo 23 settembre, avendo utilizzato in continuità il contratto di solidarietà. A fronte di questo complesso scenario sono state approvate (e tutt’ ora vigenti) alcune specifiche norme che derogano ai limiti di durata. Tuttavia, si tratta di deroghe che riguardano un numero molto limitato di aziende che si sono avvalse in questi anni solo di Cigs per crisi o per riorganizzazione. Ad esempio, una deroga è stata consentita alle imprese operanti in un’ area di crisi industriale complessa, che hanno cessato il programma di crisi o riorganizzazione nel periodo dal 1° gennaio al 30 giugno 2018; in questo caso, previo accordo stipulato in sede governativa, può essere concesso un ulteriore intervento di Cigs (o di mobilità in deroga) ma, comunque, la durata non può eccedere il 31 dicembre 2018 (legge 205/2017, articolo 1, commi 140 e 142). Solo fino al 2019, limitatamente a un numero ridotto di imprese con organico superiore a 100 unità lavorative e con rilevanza economica strategica anche a livello regionale, che presentino rilevanti problematiche occupazionali con esuberi significativi nel contesto territoriale, possono essere concessi ulteriori 12 mesi per continuare una riorganizzazione complessa, ovvero ulteriori 6 mesi in caso sia presente una crisi complessa (articolo 22 bis del Dlgs 148/2015). Una specifica deroga, solo per il 2019, riguarda le imprese con organico superiore a 400 unità lavorative, ubicate nei comuni colpiti da terremoto e contestualmente in un’ area di crisi industriale complessa: in sede governativa è possibile ottenere un intervento di Cigs solo con causale di riorganizzazione aziendale, sino al limite massimo di sei mesi (articolo 1, comma 6 quater, della legge 55/2018). Una deroga speciale riguarda le aziende del settore editoria, i cui limiti di durata previsti dal decreto 148 si computano a partire dal 1° gennaio 2018 (articolo 25 bis del Dlgs 148/2015). In prospettiva sembrerebbe che il governo voglia reintrodurre la Cigs in caso di cessazione dell’ attività aziendale. Il problema vero, però, che si presenterà nelle prossime settimane, riguarda un numero molto più vasto di imprese che hanno utilizzato in questi anni solo il contratto di solidarietà e che non hanno alcuna intenzione di chiudere l’ attività: esse saranno costrette ad aprire procedure di mobilità per affrontare il tema della crisi avendo esaurito i 36 mesi di ammortizzatori sociali. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Tamburini direttore del Sole 24 Ore. Il cda del Sole 24 Ore ha nominato Fabio Tamburini direttore responsabile del quotidiano, di Radio 24, dell’ agenzia Radiocor e di tutte le testate del Gruppo 24 Ore. Succederà a Guido Gentili che manterrà la carica di direttore editoriale del gruppo. Tamburini, già al Sole come inviato sui temi di finanza sotto la direzione di Gianni Locatelli, è stato direttore fino al 2013 di Radiocor e di Radio 24. Lascerà l’ agenzia Ansa dove è vicedirettore, mentre in precedenza è stato vicedirettore di MF/Milano Finanza, inviato e vicecaporedattore di Repubblica, caporedattore del Mondo. Ei Towers, conferisce le azioni proprie all’ opa di 2i Towers. ieri il consiglio di amministrazione di Ei Towers ha deliberato di portare in adesione all’ offerta totalitaria di 2i Towers (F2i e Mediaset) le propri azioni di cui è titolare, pari al 4,83% del capitale sociale. Tenuto conto dell’ offerta, pari a 57 euro per azione, il corrispettivo spettante a Ei Towers sarà pari a circa 77,8 milioni. Anche gli amministratori Guido Barbieri, Piercarlo Invernizzi e Francesco Sironi hanno comunicato l’ intenzione di aderire all’ offerta con le azioni nella loro titolarità: rispettivamente 2.000, 12.500 e 600. Live Nation Italia compra Comcerto. L’ agenzia di organizzazione di eventi e concerti ha acquisito Comcerto, azienda nata nel 2005 che in Italia cura i live di artisti di fama mondiale come: Mumford & Sons, Tame Impala, The Lumineers, Lorde, The War On Drugs, James Bay, Of Monsters and Men, Passenger, Hozier oltre a nuovi talenti. Oltre a collaborare con alcuni festival italiani, Comcerto è produttore di Unaltrofestival a Milano e Spilla ad Ancona. Sky Italia media partner di Fuoricinema 2018. Sky Italia è media partner dell’ edizione 2018 di Fuoricinema che si terrà da venerdì a domenica a Milano Citylife. La manifestazione è giunta alla sua terza edizione e aprirà la prima edizione della Milano Movie Week, a cui Sky parteciperà con altre iniziative. Playboy punta al rilancio con tv in streaming. A circa un anno dalla scomparsa del fondatore, Hugh Hefner, Playboy Enterprises punta a rivitalizzare la sua produzione editoriale, con una maggiore integrazione tra le offerte online e televisive e con un magazine snellito. A tal fine, Playboy ha ingaggiato Julie Uhrman come primo presidente del segmento media, per far sì che la compagnia abbia una maggiore presenza nello streaming tv, nei videogiochi e nelle piattaforme di realtà virtuale e aumentata. Uhrman proviene da Lions Gate Entertainment Corp, dove è stata vice presidente esecutivo e general manager del business della tv in streaming dal 2016. Ha, inoltre, fondato Ouya, una console per videogame basata sul sistema Android e supportata da Alibaba, acquisita poi da Razer nel 2015. Dopo la morte di Hefner, la compagnia ha rimesso in discussione il futuro del magazine statunitense, da tempo in perdita e con uscite ridotte dalle 10 del 2017 alle 6 di quest’ anno. Ogni pubblicazione avrà d’ ora in poi 220 pagine, tre playmate e sarà dall’ anno prossimo un trimestrale. Eutelsat lancia Cirrus, verso l’ integrazione del satellite nell’ ecosistema IP. Eutelsat Communications lancia Eutelsat Cirrus, una soluzione di distribuzione ibrida satellite-ott, che consentirà ai broadcaster di offrire ai propri clienti una esperienza di visione multiscreen omogenea, flessibile ed evolutiva. Eutelsat Cirrus fornirà una soluzione chiavi in mano per la delivery dei contenuti via satellite e Ott.

Copyright Ue, il giorno del voto

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Un giorno decisivo per la protezione del diritto d’ autore in Europa. Oggi l’ Europarlamento voterà in seduta plenaria il progetto di riforma del copyright nel settore digitale varato nel 2016 dalla Commissione Ue. Una proposta di direttiva sulla quale si sono confrontati due fronti, in maniera accesa in particolare prima dell’ estate: da una parte gli editori di giornali e i produttori di contenuti, che rivendicano la protezione e il riconoscimento del proprio lavoro anche online, dall’ altra le grandi piattaforme del web che con un’ ampia campagna di lobbying hanno cercato di convincere quanti più parlamentari possibile a votare contro la riforma che a dire dei critici minerebbe la libertà della rete. In particolare sono due le norme contenute nel progetto di riforma sulle quali si è svolto il confronto e si voterà oggi, l’ articolo 11 e il 13. Il primo, più specifico sul mondo dei giornali, prevede l’ introduzione di un’ equa e consona remunerazione per lo sfruttamento dei contenuti online (o delle loro anteprime) da parte delle piattaforme digitali, di cui Google e Facebook sono solo due esempi. Il secondo, invece, dalla portata più generica, attribuisce ai portali come YouTube la funzione di controllo sui contenuti (spesso video) e soprattutto sul loro copyright in modo che, senza accordo con l’ autore, non ci possano essere pubblicazioni pirata. La Fieg, la Federazione italiana editori di giornali guidata da Andrea Riffeser Monti, ha lanciato un appello agli europarlamentari italiani, pubblicato ieri anche da questo giornale, chiedendo che votino a favore in particolare dell’ articolo 11 «al fine di garantire un giusto compenso a giornalisti ed editori per la distribuzione dei loro contenuti su internet», ribadendo che il «sì» durante la votazione odierna serve «per una stampa indipendente e per notizie affidabili», «perché l’ uso della rete resterà libero», «per garantire i valori democratici europei», «per tutelare il lavoro dei giornalisti delle aziende», «perché ve lo chiede l’ 89% dei vostri elettori». Riffeser Monti ha infatti spiegato che dati diffusi nei giorni scorsi «confermano che l’ 89% degli italiani è favorevole all’ implementazione di regole europee che riequilibrino le attuali differenze di valore tra chi distribuisce massivamente contenuti editoriali e chi quei contenuti li realizza, con il proprio apporto creativo e le proprie risorse. In più, le modifiche proposte al testo in votazione domani (oggi per chi legge, ndr) a Strasburgo hanno fugato ormai ogni dubbio residuo e ogni alibi sui paventati rischi di limitare l’ accesso dei cittadini all’ informazione. Per questo motivo chiediamo con forza ai nostri rappresentanti in Europa di dare ascolto alle richieste dei loro elettori e di esprimere un voto che è a difesa dei valori democratici europei di una stampa libera e indipendente». La Fieg ha anche diffuso una lettera aperta insieme con l’ Enpa, l’ associazione europea editori di quotidiani presieduta da Carlo Perrone, in cui si sottolinea come oggi si deciderà il futuro della stampa e come senza approvazione della direttiva con queste norme si avrà «un generale impoverimento della qualità della produzione editoriale» e «la proliferazione di notizie false e di informazioni non veritiere». Agli editori si sono uniti anche le associazioni dei giornalisti, il sindacato italiano, la Fnsi, la Efj-European Federation of Journalists e la Ifj, la federazione internazionale. «Introdurre l’ obbligo di pagare delle royalties», hanno scritto le federazioni, «a chi ogni giorno diffonde gratuitamente una grande quantità di notizie pubblicate dai giornali attraverso piattaforme digitali, social network e motori di ricerca non significa penalizzare gli utenti della rete, ma vuol dire difendere l’ informazione di qualità e tutelare la dignità del lavoro». Sull’ argomento è tornato anche il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani. «Io credo», ha detto Tajani a un gruppo di giornalisti a Strasburgo, «che si debba fare chiarezza in questa vicenda: non c’ è nessuna minaccia per Wikipedia, nessuna minaccia alla libertà, nel testo che viene votato dal Parlamento europeo: anzi, c’ è una richiesta di dare delle regole chiare per garantire la libertà, l’ identità europea, il prodotto europeo, per garantire i consumatori che devono avere notizie certe e non fake news». Con il passaggio di oggi il Parlamento in pratica adotterà la posizione sul testo da tenere nelle successive negoziazioni, previste con il Consiglio dei ministri dell’ Ue. © Riproduzione riservata.

Radio Rai spinge sul digitale con lo streaming video

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Radio Rai ha appena acceso cinque impianti Dab+ per illuminare meglio il Nord Italia, spingendo sul progetto digitale del polo radiofonico del servizio pubblico, dove lo streaming audio ma, novità, soprattutto lo streaming video cambierà parecchio le modalità di consumo. In sostanza, come spiega Roberto Sergio, direttore di Radio Rai, la radio vuole entrare nelle smart tv anche con la sua parte video investendo sulle tv connesse: «Abbiamo l’ obiettivo di essere leader del mercato radiofonico in Italia e di offrire un servizio pubblico all’ avanguardia. Per questo abbiamo avviato quella che abbiamo chiamato la nostra r(adio) evolution. La tv nelle case si è trasformata in un centro di intrattenimento multimediale, grazie alla connessione a Internet. Quindi», prosegue Sergio, «abbiamo deciso di non puntare sulla radiovisione classica, che impegna banda digitale terrestre e soprattutto non sembra portare ottimi risultati televisivi. Piuttosto, abbiamo investito sulle tv connesse, che permettono di vedere il flusso streaming dalla sezione radio. In questo modo siamo sempre nell’ ambito di una scelta di ascolto radiofonico che si scopre, però, offrire qualcosa in più, il video, anziché andare in competizione con i contenuti televisivi puri». Importante tassello del progetto «video» di Radio Rai è il nuovo studio C di via Asiago 10 a Roma: una sala con quattro telecamere motorizzate già installate, che possono arrivare fino a 12 e che vengono gestite da una nuova regia video. I programmi radio possono così essere mandati in diretta streaming contemporanea su tutte le piattaforme: web, social, YouTube. E chi possiede una smart tv connessa potrà vedere la diretta sul proprio televisore. «L’ accensione della sala C è un altro passo importante: oggi abbiamo degli studi radio all’ avanguardia che ci consentono di produrre nelle modalità che il nostro pubblico si aspetta. Un percorso lungo, in fase di realizzazione, che gradatamente», conclude Sergio, «sta coinvolgendo la sede storica di via Asiago, Saxa Rubra e le altre sedi Radio Rai in tutta Italia». © Riproduzione riservata.

Feltri, Libero cresce che è un piacere

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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«Dicono che bevo e sono vecchio ma intanto io non ho mai bucato una notizia. Forse sono assistito da San Culo ma tant’ è… Saremo poi anche burini a Libero ma cresciamo, i numeri lo confermano»: ad agosto scorso la diffusione complessiva del giornale cresce del 10,5%, a luglio cresceva del 6,3% e a giugno del 10,2%, ci tiene a precisare Vittorio Feltri, direttore del quotidiano pubblicato dalla famiglia Angelucci (editori anche del Tempo), che diffonde oltre 30 mila copie secondo gli ultimi dati carta+digitale Ads. Tanto più che, nel 2016 «quando ho ripreso la conduzione, Libero era in coma. Io l’ ho resuscitato». E allora alle critiche di fare titoli urlati, di essere populista e agitare il mal di pancia degli italiani, «dopo 40 anni di professione» Feltri risponde: «Non mi arrabbio. Mando tutti a cagare e basta». Del resto, il direttore (classe 1943 e natali bergamaschi) rivendica un passato al timone di vari giornali tra cui Europeo, Giornale, Borghese e Quotidiano Nazionale Qn. E oggi sembra in gran spolvero; a conferma ci sono le intemerate televisive e cartacee contro Massimo Giannini di Repubblica, Renzo Piano, l’ Onu e persino il figlio Mattia Feltri, giornalista della Stampa. Domanda. Libero cresce, quindi alla fine i titoli gridati rendono… Risposta. I nostri titoli non sono gridati. Che vuol dire? Riflettono la realtà e pare piacciano ai lettori. Io li ho sempre fatti così e ho sempre avuto dei risultati. È una tecnica. Se poi non piacciono ai fighetti, amen… D. Di certo sono titoli diversi… R. Io, i titoli degli altri giornali, non li capisco, ostia. Quindi salto le loro pagine, non le leggo. La nostra è una titolazione originale che stimola la lettura. D. Direttore, respingi anche la critica di cavalcare il mal di pancia degli italiani? R. In un momento politico particolare come questo noi raccontiamo la realtà, prestiamo l’ orecchio al sentir popolare e non a quello di palazzo. Inoltre non ci occupiamo più solo di politica ma anche di costume e società. E se i risultati arrivano di sicuro non mi schiaffeggio. Certo non sono più i volumi di una volta… Poi con internet, oramai, siamo tutti in crisi… D. I risultati arrivano anche in termini di bilancio? R. Il 2017 si è chiuso in sostanziale pareggio (-440,2 mila euro, ndr) e il primo semestre 2018 è in utile. D. Definire «particolare» l’ attuale momento politico non è un po’ poco? R. Mah… Leggendo gli articoli di politica sembra tutto scontato. Guardando ai leader di partito, non so. Per esempio Maurizio Martina del Pd è inutile, sciapo, pallido… D. Peggio di Matteo Renzi? R. Renzi è stato assassinato dal suo stesso partito. Mentre, all’ opposto, Silvio Berlusconi s’ è ammazzato da solo. D. Tante volte hanno dato Berlusconi per morto politicamente… R. L’ hanno dato per morto ma aveva i voti. Adesso è vivo ma senza voti… Dice che vuole fare la rivoluzione liberale ma poi non fa un cazzo. D. Ma che significa oggi liberale? R. Lasciare che un negoziante decida se tenere aperto o meno la domenica: questa è una battaglia liberale. E io la combatto. In Gran Bretagna, ognuno fa quello che vuole: c’ è chi resta sempre aperto, chi solo la notte… D. Quindi Luigi Di Maio non è un liberale? R. Di Maio non sa nulla. A livello di leadership c’ è solo Matteo Salvini. Per questo io gli do spazio. Di Maio ha lavorato solo la domenica e adesso s’ incazza per le aperture domenicali perché avrà un ricordo negativo di quelle passate al San Paolo. D. Direttore, sei molto televisivo. Non condurresti una trasmissione? R. Al massimo posso fare l’ ospite. Ma non è il mio mestiere la televisione. Partecipo alle trasmissioni solo perché fa bene al giornale. D. Dunque solo Libero per Feltri. Com’ è la tua giornata in redazione? R. Io scrivo ancora gli articoli a mano. Gli altri fanno la riunione di redazione, non so che cazzo si dicano… Tengo poi in grande considerazione i collaboratori perché stanno fuori dalla redazione e non diventano impiegati. D. Quali dei tuoi collaboratori ti piacciono di più? R. Melania Rizzoli per i temi scientifici ma anche Azzurra Noemi Barbuto, nonostante il cognome orrendo. Diciamo che le donne sono, generalmente, più brave degli uomini: sono più tignose, più preparate e spesso scrivono meglio. D. Non so perché ma avevo pensato a una tua ipotetica conduzione tv con Milena Gabanelli. Ma, parlando di carta stampata, non la chiameresti a collaborare allora? R. Non posso spendere in abbondanza… D. E poi Gabanelli è già nella scuderia Rcs-Corriere della Sera. Che ne pensi del Corsera? R. Che perdicchia… (in termini di copie, ndr) D. Di Repubblica? R. Che è un giornale che non capisce il movimento giallo-verde. Giannini parla di giornalismo xenofobo ma ricordo che Repubblica ha assecondato, in passato, una certa sinistra montante… Così Eugenio Scalfari ha venduto molte copie, chapeau… Non è una critica infatti. Però, adesso non possono più farlo perché non c’ è più la sinistra. C’ è Martina, che allegria… D. E Fatto Quotidiano e la Verità? Vi ha portato via copie l’ arrivo di quest’ ultima? R. Il Fatto sopravvive coi grillini. Sta in piedi. La Verità ci ha danneggiati all’ inizio ma noi abbiamo recuperato le copie perse. Questa è la verità. D. A proposito di altri giornalisti, cosa ha detto tuo figlio Mattia dopo il rimprovero a mezzo stampa? R. Se l’ è presa, anche se io l’ ho trattato benissimo. Non era per nulla un attacco. Però se dice cose non vere, lo dico come lo direi ad altri. Si parla di populismo ma non si sa cosa sia. Come può c’ entrare storicamente il populismo con Salvini? D. Ma Feltri jr non ha detto che avresti potuto, diciamo… evitare? R. No, non mi posso fare i fatti miei perché anche io sono un giornalista. Peraltro, Mattia non ha mai scritto che io sono bravissimo, come invece ho fatto io nei suoi confronti. D. Giornalisticamente parlando, esistono due Vittorio Feltri: quello che scrive sui Benetton e le magagne emerse dopo il crollo del ponte a Genova e quello che risponde alle lettere dei lettori, spesso su magagne matrimoniali… R. Sul crollo del ponte e i tecnicismi dei controlli fatti non me ne frega molto ma mi spiace per i morti e penso che i Benetton debbano finanziare il nuovo ponte, non costruirlo. Non li metterei in croce. Invece processerei chi ha fatto costruire il ponte originale. Peccato che sarà anche deceduto… E soprattutto mi domando come si faccia a tenere un quartiere intero sotto un ponte… D. Non dimentichiamo il Feltri esperto di matrimoni… R. Quello dei matrimoni, le corna e l’ amore è un argomento che mi fa ridere, perché gli italiani parlano di corna con molta spontaneità. Infatti alle corna non bisogna dare troppa importanza, ma occorre ricordare che sono il cemento dell’ amore. D. Ma come? R. Ma sì, il matrimonio dev’ essere vissuto come un’ intesa di mutuo soccorso. L’ amore finisce dopo i primi sei mesi. © Riproduzione riservata.

Difesa del copyright, l’ Europarlamento al voto diviso

La Repubblica

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Il Parlamento europeo vota oggi la direttiva sul copyright. Al centro della regolamentazione il diritto all’ equo compenso per editori e giornalisti da parte dei motori di ricerca, come Google, che utilizzano loro contenuti. Previsto il pagamento dei diritti d’ autore anche per caricare video da parte di piattaforme come Youtube. L’ intento è proteggere in modo adeguato il lavoro delle imprese editoriali nell’ era del web. L’ aula (nella foto la seduta di ieri) è divisa. Favorevole il Ppe, divisi i socia listi, contrari i gruppi del fronte sovranista. Il presidente dell’ assemblea, Antonio Tajani, auspica il sì: “Non c’ è nessuna minaccia alla libertà” L’ immagine.

La minaccia di Di Maio “I giornali ci odiano tagliamo la pubblicità”

La Repubblica
GIOVANNA VITALE
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, roma Non conosce tregua la campagna del vicepremier Luigi Di Maio contro i giornali, accusati – chi più chi meno – di voler screditare il governo e il M5S. Insofferente alle critiche, nelle ultime 48 ore il ministro dello Sviluppo ha rilanciato la sua controffensiva: « L’ odio dei media nei nostri confronti è l’ elemento di continuità dal 2014 a oggi», ha scritto sul blog delle Stelle. Dando per imminente un intervento legislativo per limitare la pubblicità sulla carta stampata. In barba alle regole di mercato e all’ articolo 21 della Costituzione. «I giornali dei prenditori-editori ormai ogni giorno inquinano il dibattito pubblico e la cosa peggiore è che lo fanno grazie anche ai soldi della collettività » , attacca Di Maio su Facebook. «Nella legge di bilancio porteremo il taglio dei contributi pubblici indiretti e stiamo approntando la lettera alle società partecipate di Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali ( con investimenti pubblicitari spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari e per pilotare le notizie in base ai loro comodi». Un chiodo fisso. «Bisogna fare una legge per garantire che gli editori siano puri e i giornalisti liberi di fare inchieste su tutte le magagne dei prenditori » , aveva sostenuto il giorno prima Di Maio sui social. Sempre con la stessa premessa: «L’ operazione di discredito verso questo governo continua senza sosta». In sintonia con l’ altra metà della mela gialloverde, il vicepremier Salvini, che a Porta a Porta chiosa: «La libertà di informazione è qualcosa di molto soggettivo. Potremmo aprire un dibattito di settimane. L’ Europa dà soldi alla Turchia dove non mi pare ci sia molta libertà di informazione». E a poco serve la rivolta delle opposizioni, dal Pd a Fi tutte a tuonare contro «le minacce antidemocratiche » del duo legastellato. Né il monito della Fnsi contro gli «annunci dal sapore liberticida». S’ incarica il sottosegretario grillino all’ editoria Vito Crimi di spiegare il progetto per spezzare «il perverso intreccio economico che unisce organi di stampa, grandi aziende e vecchi partiti » . In cinque mosse: « Incrementare la trasparenza negli assetti societari; recuperare la figura dell’ editore puro; rivedere la distribuzione delle inserzioni pubblicitarie ( in particolare delle aziende di Stato); superare definitivamente la dipendenza dei giornali dal finanziamento pubblico; andare oltre l’ ordine dei giornalisti». © RIPRODUZIONE RISERVATA

I RAGAZZI AMANO LA MUSICA CLASSICA ma non sempre lo sanno

La Stampa

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Quando si assiste a un’ opera lirica o a un concerto dalle ultime file della sala, si resta sempre impressionati dalla quantità di teste dai capelli bianchi che si vedono. Ma, contrariamente a quello che tutti pensano, i giovani ascoltano sempre più musica classica e se non sono seduti lì davanti è soltanto perché la ascoltano da un’ altra parte. Classic Fm è una delle tre radio indipendenti britanniche, e da 25 anni trasmette solo musica classica. Da tempo si poneva il problema di come avvicinare all’ ascolto i giovani e ora ha scoperto come fare. Trascinare i ragazzi ai concerti serve a poco e tantomeno trasmettere loro l’ erronea convinzione che tutta la musica classica sia bella. Persino Rossini diceva del Lohengrin di Wagner che non si può giudicare un’ opera al primo ascolto, ma che di certo lui non l’ avrebbe ascoltata una seconda volta. I responsabili della radio britannica hanno così deciso di cercare una innovativa porta di ingresso e l’ hanno trovata nei videogiochi e nelle colonne sonore dei film. Un programma in onda il sabato notte ricollega le note che gli adolescenti hanno sentito al cinema o alla playstation con i nomi e le opere dei compositori, aprendo un percorso che sempre più giovani sembrano disposti a seguire. Spiegare che la colonna sonora composta da Clint Mansell per il Cigno nero è ispirata al Lago dei cigni di Ciaikovskij o che quella di Dunkirk composta da Hans Zimmer deve molto al Nimrod di Elgar indica una strada che app molto usate dai ragazzi come Shazam e Spotify rendono facile percorrere nella ricerca di nuovi brani, da condividere magari sui social media. Sam Jackson, managing editor di Classic Fm, dice che nessun giovane ha paura di avvicinarsi a Bach o a Beethoven, ma che questo avvicinamento deve essere una gioia, non un dovere. Nell’ era dello streaming, la classica non va rinchiusa in una nicchia elitaria: è un contenuto che appare su playlist multiple e già si trova in molte espressioni della cultura pop. I ragazzi la ascoltano spesso, solo che non sempre lo sanno. Chi nei teatri si occupa dei programmi per le scuole (e il Teatro Regio di Torino è da anni uno dei più attenti in questo campo) dovrebbe guardare con attenzione il sito classicfm.com, dove l’ abc della musica classica è spiegato con estrema chiarezza. Nell’ elenco dei grandi maestri non ci si vergogna di affiancare a Mozart e Chopin anche John Williams, il compositore di Guerre stellari . Le brevi biografie video sono sbarazzine e simpatiche, e sono disponibili missaggi audio delle migliori composizioni di ogni autore. Dovunque appaiono inviti ad approfondire, ma senza forzature. Come faceva Beethoven a comporre se era sordo? Ha mai incontrato Mozart? Quale video di Lady Gaga inizia con una Fuga in si minore di Bach? Avvicinare i ragazzi alla musica classica è più facile di quanto sembri: basta mettersi al lavoro BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

L'articolo Rassegna Stampa del 12/09/2018 proviene da Editoria.tv.

Il Parlamento Europeo approva la direttiva sul copyright

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Il Parlamento Europeo ha approvato la direttiva avente ad oggetto la riforma della disciplina normativa relativa al diritto d’autore. Hanno votato a favore 438 parlamentari, a fronte di 226 voti contrari e 39 astensioni. La direttiva era stata respinta a luglio a causa di alcuni aspetti controversi, che hanno generato un acceso dibattito pubblico. Questa era l’’ultima occasione per approvare l’atto prima del rinnovo del Parlamento. Le formazioni politiche favorevoli alla riforma hanno perciò dato il loro benestare alla versione modificata del testo bocciato in estate. La prossima fase sarà la negoziazione tra le istituzioni europee, a cui seguirà l’esame nei Parlamenti dei singoli Stati membri.
Ad entrare nell’occhio del ciclone sono stati soprattutto gli articoli 11 e 13 della direttiva. L’art.11 riguarda l’obbligo di richiedere autorizzazioni preventive agli editori per la pubblicazione di contenuti ad essi afferenti, anche brevi. Ci si riferisce alla link tax, che è un compenso in denaro da corrispondere all’editore per il link inserito. I diritti di copyright si estendono a titolo, sommario e Url. La definizione di link tax è particolarmente azzeccata, dal momento che la nuova tutela si estende proprio agli elementi che contrassegnano un link. Una prescrizione favorevole ai grandi editori, che da anni combattono una battaglia contro i giganti del web.
L’articolo 13 è quello che ha scosso maggiormente le coscienze di chi ha a cuore la libertà che permea il concetto stesso di Internet. La disposizione prevede un controllo preventivo sulla pubblicazione di contenuti protetti da copyright. Nel testo non è uno specifico riferimento al filtraggio di contenuti, ma si parla di “tecnologie efficaci” per rimuovere le criticità. Si è parlato di “stop ai meme”, poiché la nuova norma potrebbe rendere molto complicata la diffusione virale delle famose immagini umoristiche. La norma rischia di essere un bavaglio per la libera espressione su Internet: è su questo tasto che hanno battuto 70 esperti della Rete nella campagna lanciata per frenare la direttiva.
In realtà sono pochi i cambiamenti, e nemmeno troppo significativi. Nella sua ossatura la direttiva resta molto simile a quella bocciata in estate. In merito ai ricavi conseguiti tramite diffusione di opere protette viene affermato il principio di condivisione tra grandi piattaforme e autori. Vi è una precisione sui collegamenti ipertestuali (hyperlink). Questi ultimi non saranno coperti da copyright se associati a parole individuali. Nel caso in cui, invece, ai link si associano descrizioni più elaborate si ricade nella casistica degli snippet, per i quali vi è la protezione del diritto d’autore e quindi la necessità che le piattaforme paghino i diritti d’uso agli editori. Sui controlli preventivi, altro punto molto critico della direttiva, sono state introdotte garanzie in favore dei contenuti non violanti il copyright. Una intensa cooperazione tra piattaforme e detentori sarà fondamentale per un corretto filtraggio dei contenuti. Contro la cancellazione preventiva di materiale non protetto sono previsti meccanismi rapidi di reclamo su iniziativa della piattaforma. Inoltre nel testo della direttiva è specificato che le norme non riguardano Wikipedia e altri siti open source, senza fini commerciali. Una precisazione resa necessaria dall’avversità della nota enciclopedia online per il provvedimento.

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Rassegna Stampa del 13/09/2018

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Lettori e autori Cosa cambia

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“La tv non può trattare i tifosi come fossero bancomat”

Ok alla tutela del copyright Ma i grillini stanno coi pirati

Dal diritto d’ autore alle libertà Così Bruxelles spacca il governo

Mauri presidente di Audipress

Verso la cessione di Premium a Sky

Copyright, l’ Europa dice sì Stretta sui giganti del web

I big della Rete responsabili equo compenso per gli editori

Retequattro riparte dai talk «ma restiamo generalisti»

Pragmatica o ideologica i due volti dell’ Europa

Copyright, l’ Europa dice sì Stretta sui giganti del web

Da Fb a Youtube, più controlli ed equo compenso agli editori

I link accompagnati da singole parole si potranno condividere liberamente dalle grandi …

Informazione e star: la ricetta di Retequattro

Mediaset ha deciso la sorte di Premium: finirà in dote a Sky

Cairo, il ritorno alla cedola è «una ipotesi che può diventare realtà»

LA BUONA INFORMAZIONE CHE GARANTISCE I DIRITTI

Sì Ue alla nuova legge sul copyright Ma Lega e M5S votano contro

Puntare sulla crescita con più notizie e inchieste

C’ è Rete 4 con l’ antiberlusconiano Greco

orsi & tori

L’ Europa difende il copyright

Di Battista asfalta su La7 Lilli Gruber dicendo delle cose ma il giorno dopo tutti i media gliene fanno dire delle altre

Copyright, ok dal Parlamento Ue

Audipress, Ernesto Mauri nominato presidente

Mediaset, nasce la nuova Rete4

Io Donna sarà un femminile al 100%: più moda in formato extra dal 29 settembre

Rcs, la pubblicità cresce del 2%

Chessidice in viale dell’ Editoria

Copyright, l’ Europa vota la riforma un freno ai giganti di Internet

Le nuove regole che disciplinano il diritto d’ autore

Da Mediaset a Sky tutte le tecnologie e 130 dipendenti della pay Premium

Se parli male di me ti taglio i fondi

SE LA STAMPA È IL NEMICO

“Questa direttiva garantisce l’ indipendenza dei giornali”

Copyright, sì di Strasburgo alla riforma Il diritto d’ autore va pagato anche online

Di Maio promette battaglia all’ Europa “Vergogna, questa è censura preventiva”

Link tax, snippet e Wikipedia Cosa cambierà su Internet?

Mediaset: i nostri canali andranno su Sky “Cederemo la piattaforma di Premium”

LA VOGLIA DI FERMARE I GIORNALI

“Le mie sfide, fare un Tg non urlato e raccontare la realtà dal di dentro”

Tv, il via alla stagione

Sventato il piano M5S per rubare ai giornali

Più vicino il via libera per Foa alla presidenza Rai

RETEQUATTRO SI FA IN 5

Indigestione di pallone

Svolta europea, i giganti web pagheranno

Corriere della Sera
Ivo Caizzi
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DAL NOSTRO INVIATO STRASBURGO Il martellante e costosissimo lobbying delle multinazionali Usa del digitale, che vorrebbero continuare a pagare poco o nulla articoli di informazione, foto, video, libri e altre opere dell’ ingegno utilizzati su Internet, non ce l’ ha fatta. L’ Europarlamento di Strasburgo ha votato a larga maggioranza la riforma del diritto d’ autore in Rete, che impone ai vari Google e Facebook di compensare in modo «equo» gli editori dei giornali, i produttori cinematografici e di musica, artisti, giornalisti, scrittori, sceneggiatori e creatori vari. Il voto del luglio scorso, che aveva bocciato la direttiva e rinviato al 12 settembre per inserire emendamenti, è stato capovolto con 438 favorevoli, 226 contrari e 39 astensioni. Il presidente francese Emmanuel Macron, che ha appoggiato le nuove regole insieme alla cancelliera tedesca Angela Merkel, ha definito l’ approvazione un «grande progresso per l’ Europa». Il relatore del testo sul copyright in Rete, l’ eurodeputato tedesco Axel Voss, è riuscito a far passare vari emendamenti di compromesso, che hanno consolidato il consenso del suo gruppo europopolare, a cui aderisce Forza Italia. Al tempo stesso hanno rassicurato numerosi eurodeputati socialisti (tra cui quelli del Pd) e liberali, preoccupati dall’ introduzione di restrizioni della «libertà della Rete» con censure preventive e costi aggiuntivi come una «link tax». Voss non ha però convinto verdi, sinistre e i cosiddetti sovranisti, tra cui il M5S e la Lega, che hanno votato contro convinti della necessità di eliminare del tutto alcuni articoli controversi. L’ eurodeputata tedesca Julia Reda dei Pirati informatici europei ha definito gli emendamenti passati esclusivamente «cosmetici». Il vicepremier Luigi Di Maio ha rafforzato il «no» degli eurodeputati pentastellati definendo l’ approvazione a Strasburgo «una vergogna tutta Europea» perché «il Parlamento europeo ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet» e «con la scusa di questa riforma del copyright ha di fatto legalizzato la censura preventiva» creando uno scenario da «Grande Fratello». Il presidente della Camera Ue Antonio Tajani di Forza Italia ha replicato esortando il premier Giuseppe Conte a prendere le distanze dalle parole «infamanti di Di Maio contro il Parlamento europeo» perché «minacciare l’ unica istituzione Ue direttamente eletta dai cittadini è da analfabeti della democrazia». Nel prossimo passaggio della procedura, il negoziato della Camera Ue con il Consiglio dei governi e la Commissione europea, l’ esecutivo di Di Maio e Salvini intenderebbe contrastare Germania, Francia e gli altri principali Paesi favorevoli per ottenere concessioni più ampie – per i cittadini e le piccole imprese – rispetto agli emendamenti negoziati dal tedesco Voss. Di Maio ha pronosticato un «esito ben diverso» al voto finale a Strasburgo. Le lobby delle multinazionali Usa del web hanno chiesto un testo più «equilibrato» e di fatto meno costoso per loro. Il presidente della Fieg Andrea Riffeser Monti ha applaudito l’ esito del voto e ha esortato a procedere «in tempi rapidi» nel negoziato con i governi. Urbano Cairo, presidente di Rcs, che controlla il Corriere della Sera, ha parlato di «battaglia giusta» per evitare che i giornali siano «saccheggiati» dai giganti Usa del web senza pagare diritti di copyright. L’ accordo tra Camera Ue e governi dovrebbe essere trovato entro marzo perché l’ ultima sessione a Strasburgo per l’ approvazione finale è in aprile, prima delle elezioni europee del maggio 2019.

Google e Facebook coinvolti Ma non Wikipedia

Corriere della Sera

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Innanzitutto, si parla di «prestatori di servizi di condivisione di contenuti online» che agiscono a fini commerciali. Quindi: realtà come Google, Facebook o YouTube attraverso le quali accediamo a «quantità rilevanti» di contenuti protetti dal diritto d’ autore e che guadagnano grazie ai nostri clic. Wikipedia è esclusa, perché è gratis e non ha pubblicità. In quanto servizio open source lo è anche GitHub (quasi) di Microsoft, che temeva di finire nel calderone con il suo archivio di codici. Fuori, inoltre, startup e piccole imprese, così da non appesantirle in fase di sviluppo. I colossi coinvolti dovranno accordarsi con editori ed etichette e i creatori di video, canzoni o notizie e pagare loro i diritti delle opere. L’ obbligo vale anche per le anteprime degli articoli mostrate da aggregatori come Google News: l’ uso di titolo e descrizione andrà pagato. Nel caso dei contenuti caricati dagli utenti e in cui non ci sia un accordo, invece, le piattaforme devono adottare misure «adeguate e proporzionate» per bloccare la diffusione del materiale protetto senza impattare sul resto. Meno netto il riferimento a filtri automatizzati ma, spiega l’ avvocato Ernesto Belisario, YouTube e simili «dovranno controllare quanto viene caricato. Rimane la responsabilità di chi mette online il contenuto, ma viene introdotto un onere di collaborazione per la piattaforma, anche attraverso meccanismi di reclamo».

La rimozione di video e testi e il ricavo equo

Corriere della Sera

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Sarà la reazione degli attori in gioco a modificare – eventualmente – le abitudini di navigazione delle persone. Nel 2014, ad esempio, in seguito all’ introduzione di un provvedimento sul rispetto del diritto d’ autore, Google ha deciso di chiudere in Spagna il suo aggregatore di notizie Google News. Difficile immaginare una reazione del genere a livello europeo. Di sicuro c’ è, invece, che una equa distribuzione dei ricavi generati in Rete può aiutare gli editori e i creatori di contenuti a monetizzare il loro lavoro adeguatamente e a innescare un circolo virtuoso che aumenti la qualità e l’ affidabilità anche di quanto circola su social network e motori di ricerca. Per quello che riguarda l’ eventuale rimozione di un contenuto caricato da un utente, se la norma dovesse venire approvata e così recepita anche nel nostro Paese – dove il vice premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha manifestato la sua nette contrarietà al risultato del voto di ieri: «Il Parlamento Europeo ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet. Per me è inammissibile» – si prevedono meccanismi di reclamo efficaci e rapidi. In realtà, ci si scontra così con l’ annoso problema della gestione immediata delle controversie, quando magari la decisione iniziale è automatica.

Lettori e autori Cosa cambia

Corriere della Sera
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Dopo lo stop di luglio, è arrivato il via libera di settembre: nel corso dell’ assemblea plenaria di Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva per il copyright. Dopo l’ introduzione del regolamento per la privacy, in vigore da maggio, un nuovo ruggito Ue nell’ arena digitale. Ieri hanno votato a favore 438 parlamentari. In 226 si sono detti contrari e 39 si sono astenuti. Sul tavolo c’ erano gli emendamenti agli articoli più discussi e controversi: l’ 11, che interviene sul rapporto fra gli editori e le piattaforme che diffondono i loro contenuti o parte dei loro contenuti online. E il 13, relativo al riconoscimento automatico del materiale che viola il diritto d’ autore. Adesso la norma passa nelle stanze dei negoziati con Consiglio.

Per gli editori più potere negoziale con i big

Corriere della Sera

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Come ricorda il testo, in Europa le industrie culturali e creative impiegano a tempo pieno oltre 12 milioni di lavoratori e generano circa 509 miliardi di euro di valore aggiunto per il Pil. E la maggior parte di queste cifre ha nella tutela del diritto d’ autore il suo elemento centrale. Con la nuova direttiva, messa sul tavolo per aggiornare quella del 2001, gli editori di contenuti acquisiscono un potere di negoziazione maggiore con le piattaforme; quantomeno quelli più grandi, mentre i piccoli sono preoccupati. Questo non risolve, comunque, i problemi legati all’ individuazione di modelli di business sostenibili e remunerativi per la diffusione dei contenuti online. Nel caso dell’ industria musicale le intese sembrano dare i primi frutti: realtà come Spotify o Apple Music, che si basano sull’ acquisizione dei diritti per consentire l’ ascolto gratuito e supportato dalla pubblicità o su abbonamento, hanno contribuito alla crescita del 17,5 per cento dei ricavi digitali – derivanti nel 70 per cento dei casi dallo streaming – generati in Europa dal mercato discografico (fonte: Ifpi). La direttiva guarda soprattutto alla distribuzione gratis con messaggi pubblicitari, e ancora l’ industria musicale con il dialogo con Facebook per coprire anche i contenuti generati dagli utenti come le storie di Instagram è un esempio interessante in prospettiva.

L’ iPhone cresce (per i video)

Corriere della Sera
Paolo Ottolina
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DAL NOSTRO INVIATO Cupertino (Stati Uniti) Le dimensioni contano. Almeno quando si parla di gadget elettronici. Il primo iPhone, nato 11 anni fa, aveva uno schermo da 3,5 pollici. Sembrava gigantesco, rispetto ai minuscoli display dei classici cellulari. L’ iPhone Xs Max, che Apple ha appena lanciato, ha uno schermo da 6,5 pollici. Il più grande mai visto su un telefono della Mela e uno dei più grandi in assoluto di sempre. Per dare un metro di paragone: l’ iPad mini ha uno schermo da 7,9 pollici. Non molti di più. Questo non vuol dire che andremo in giro con un tablet in tasca. Negli ultimi 2 anni tutti i produttori hanno aumentato man mano il calibro degli schermi. Con qualche trucco, per contenere le dimensioni dei dispositivi, che devono restare (più o meno) tascabili. Sono sparite le cornici e il frontale degli smartphone recenti è, all’ incirca, tutto display con un sottile bordo in metallo. I telefoni si sono allungati. La dimensione in pollici di uno schermo si calcola sulla diagonale ma il primo iPhone aveva un rapporto tra altezza e larghezza di 3:2. Era alto una volta e mezza quanto era largo. Poi si sono allungati, diventando 16:9, come i televisori. I nuovi iPhone, tre modelli lanciati da Tim Cook e soci all’ interno dello Steve Jobs Theater di Cupertino, hanno un rapporto di 19,5:9. Ovvero l’ altezza è più del doppio della larghezza. Una forma un po’ da telecomando, un trucco per offrire una diagonale maggiore di schermo. Perché? Perché gli smartphone sono diventati il mezzo privilegiato per consumare video. Con YouTube, Facebook, Instagram, WhatsApp ma anche, sempre più, con serie tv e film su Netflix e sui vari servizi di streaming video. E ora anche con lo sport in diretta, grazie allo sbarco nel mondo del calcio (e non solo) di realtà quali Dazn o Now Tv di Sky. Nel 2017 il 57% degli americani ha usato ogni mese una di queste app, che impattano per quasi l’ 80% del consumo di dati in mobilità. Nel nostro Paese i numeri non sono molto diversi. Lo smartphone come nuovo piccolo-grande schermo, sempre più spesso non solo alleato ma anche sostituto del televisore. Un matrimonio perfetto con i nuovi piani degli operatori mobili, che non a caso hanno tirato fuori offerte da 30, 40 o anche 50 Gigabyte al mese. Apple ha lanciato tre nuovi telefoni, che riprendono l’ iPhone X del decennale e tagliano i ponti con i primi modelli, quelli dell’ era Steve Jobs. Sparisce definitivamente il tasto fisico frontale e per muoversi nelle schermate del sistema iOS si usano una serie di gesti con il pollice. I tre iPhone del 2018 hanno tutti lo stesso look frontale: display «fullscreen» con cornici al minimo e in alto una «tacca» che ritaglia lo schermo. Un modello aggiorna l’ iPhone X con un nuovo processore più potente A12 Bionic, fotocamera e batteria migliorate. Si chiama iPhone Xs e ha un fratello maggiore, il Max con schermo da 6,5 pollici. I prezzi sono in stile Apple: molto alti (sopra i mille euro, si parte da 1.089 per il piccolo e 1.189 per il grande) ma molti degli acquirenti sfrutteranno le offerte a rate degli operatori telefonici. Stesso design ma una scocca colorata (6 differenti tonalità, tra cui giallo, azzurro e corallo) e qualche dettaglio tecnico meno pregiato per il terzo modello, non economico ma più abbordabile: si chiama iPhone Xr e partirà da 889 euro. Arriverà a ottobre, mentre i due modelli più costosi sono in vendita dal 21 settembre. Se la vedranno con una squadra agguerrita di concorrenti, dal Samsung Galaxy Note 9 appena uscito ai prossimi telefoni di Google (Pixel 3) e Huawei (Mate 20), in arrivo a ottobre. Apple ha anche presentato il suo orologio Watch Series 4, che per la prima volta è riconosciuto (negli Usa) come dispositivo medico: sarà in grado di effettuare elettrocardiogrammi e di far partire una chiamata di emergenza se il proprietario è caduto. La popolazione invecchia e anche Apple lavora per andare oltre i puri gadget.

Balzo della raccolta pubblicitariaper La7, La7d e Rcs MediaGroup

Corriere della Sera
Paola Pica
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Cresce la raccolta pubblicitaria dei canali tv di Cairo Communication e della controllata Rcs, la società che pubblica il «Corriere della Sera». Spinta dall’ aumento degli ascolti, la raccolta complessiva di La7 e La7d nei mesi di luglio e agosto 2018 è cresciuta rispettivamente del 4% e del 18% rispetto agli stessi mesi dello scorso anno, quando risultava pari rispettivamente a 6,7 milioni e a 3,8 milioni di euro. D’ altronde gli ultimi dati sugli ascolti, diffusi l’ 8 agosto scorso, mostravano per La7 un progresso del 33% sul totale giorno e del 46% nel prime time del mese di maggio. Un balzo alimentato dalla domanda di informazione di qualità e di trasmissioni di approfondimento che ha portato, sempre in maggio, la rete di Urbano Cairo alla quinta posizione nazionale e alla terza nel prime time. Alla data di ieri, il portafoglio ordini per la pubblicità trasmessa e da trasmettere sui due canali in settembre, informa una nota di Cairo Communication, risulta pari a circa 12 milioni, in aumento di oltre il 10% rispetto alla stessa data del 2017. Nel primo semestre di quest’ anno, la raccolta pubblicitaria dei due canali è cresciuta di circa l’ 1,5%: «L’ accelerazione nei risultati – viene confermato – è legata al buon andamento degli ascolti». Quanto a Rcs,negli otto mesi gennaio-agosto 2018 ha registrato una crescita del 2% della raccolta pubblicitaria, rispetto ai primi otto mesi dell’ anno scorso. Il gruppo del «Corriere» che ha chiuso il primo semestre con un risultato netto di 45,4 milioni, quasi raddoppiato rispetto ai primi sei mesi del 2017, punta alla distribuzione del dividendo agli azionisti.«È un’ ipotesi che potrebbe diventare realtà», ha commentato ieri l’ editore, presidente e amministratore delegato Urbano Cairo, a margine della presentazione del Festival dello Sport. «La decisione sul dividendo – ha aggiunto – sarà proposta dal consiglio per poi essere approvata dall’ assemblea, se i numeri continueranno a essere positivi come lo sono stati nei primi sei mesi dell’ anno».

«Retequattro polifonica, il pilastro è l’ informazione»

Corriere della Sera
Antonella Baccaro
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ROMA Una rete «generalista» e «polifonica», con un «pilastro portante»: l’ informazione. Pier Silvio Berlusconi, ad di Mediaset, battezza così la nuova Retequattro, presentandone i volti di punta nel centro Palatino di Roma che la ospiterà, storicamente sede del Tg5. Ai conduttori più rappresentativi, schierati per l’ occasione, Gerardo Greco, Roberto Giacobbo, Barbara Palombelli, Piero Chiambretti, Nicola Porro, Gianluigi Nuzzi, il manager ha affidato la missione di una tv di «buon gusto», chiarendo che si tratta di «una sfida bellissima» da fronteggiare «con serenità», sapendo di «essere un’ azienda quotata» dove «gli ascolti contano», ma con tempi di verifica lunghi. «Noi avremo pazienza – ha detto l’ ad -. Non siamo contro nessuno: la gara la facciamo su noi stessi. La partenza è stata buona ma è una partita lunghissima. Ci saranno prodotti da mettere a posto in corso d’ opera». Tutto sarà all’ insegna dell’ autoproduzione, ha precisato il direttore di rete, Sebastiano Lombardi. E per chiarire che non c’ è nessun pentimento per quello che «è stata finora la rete», Berlusconi annuncia il rientro in pista di un volto storico: Mario Giordano con una trasmissione dopo il tg delle 19.30, dal titolo «Fuori dal coro». Anche Paolo Del Debbio tornerà su Retequattro o altrove. Mentre per ora non è previsto un programma per Vittorio Sgarbi e Maurizio Belpietro. «Abbiamo una squadra di campioni del ragionamento» ha chiosato il direttore dell’ informazione Mediaset, Mauro Crippa. Interrogato sull’ eventuale messa in onda del documentario dell’ ex segretario del Pd, Matteo Renzi, l’ ad si è detto interessato «perché stimo Renzi» ma che aspetta di vederlo finito per giudicarlo. Poche parole invece sullo stallo della presidenza Rai, «una questione totalmente politica e che attiene ai rapporti di forza tra i partiti». In ogni caso, ha chiarito, «una Rai senza presidente non rappresenta un vantaggio per noi». Quanto all’ approvazione da parte del Parlamento europeo delle norme sul copyright, «da editore», la considera «una prima vittoria», «un passo di civiltà» mentre sono «fuori luogo le polemiche» che ne sono seguite. Intanto a pagare i diritti comincia Sky che, per il ritorno da ottobre delle reti in chiaro di Mediaset, verserà una fee. «Abbiamo ristabilito il principio che per avere visibilità occorre pagare» ha concluso Pier Silvio Berlusconi.

Il Parlamento Ue approva la legge sul copyright: ecco cosa cambia

Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Sala
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Il Parlamento europeo ha approvato ieri un testo che rispetto a quello respinto in luglio aveva solo degli aggiustamenti cosmetici, i punti critici sono rimasti tutti”: a spiegare al Fatto cosa implichi l’ approvazione della direttiva sul diritto d’ autore, su cui nelle prossime settimane inizieranno i negoziati, è Julia Reda, politica tedesca, europarlamentare del Partito Pirata e vicepresidente del gruppo dei Verdi. Nonché sostenitrice della libertà del Web. Dai filtri sull’ upload per prevenire automaticamente le violazioni del diritto d’ autore all’ introduzione della link tax che riconosce remunerazioni agli editori per la pubblicazione dei link agli articoli: “Una misura, quest’ ultima, molto problematica soprattutto per i progetti civici di chi pubblica i link e i titoli degli articoli per informare le persone e fornire le fonti”. Per gli editori. Autori ed editori sono stati tra i maggiori sostenitori dell’ approvazione. La Fieg, la federazione italiana degli editori, nei giorni scorsi ha acquistato paginate sui quotidiani nazionali per chiedere agli europarlamentari italiani di votare a favore. Se il testo dovesse essere approvato così com’ è, infatti, le grandi piattaforme come Facebook o Google dovranno pagare agli editori i diritti sui cosiddetti snippet, foto e breve testo di presentazione di articoli. Parte della remunerazione, poi, dovrà andare direttamente ai giornalisti che hanno scritto i contenuti. La direttiva esclude però dalle regole i link accompagnati da singole parole. Una definizione ritenuta non molto chiara, così come non è davvero chiara la definizione di snippet applicata ai social network. Per le piattaforme. Se le piccole e micro piattaforme sono escluse dall’ applicazione della direttiva (ma non si specifica quale sia l’ unità di misura), le grandi – che si sono schierate contro la direttiva dal primo momento – dovranno effettuare un monitoraggio costante sui contenuti per evitare che violino il copyright. E come faranno? Il controllo preventivo resta dietro l’ angolo come conseguenza così come il ricorso all’ automazione e ad algoritmi che setaccino da soli i contenuti caricati dagli utenti, che potrebbero censurare anche quelli senza scopo di lucro o con diritti di cronaca (la pubblicazione dovrà però comunque avvenire con l’ autorizzazione degli interessati). “Il caricamento di contenuti su enciclopedie online che non hanno fini commerciali come Wikipedia o su piattaforme per la condivisione di software open source, come GitHub, è escluso dall’ obbligo di rispettare le nuove regole sul copyright. – si legge sul comunicato del Parlamento Ue -. Anche i meme come le parodie sono esclusi”. Resta il fatto che bisognerà trovare il modo di setacciarli e riconoscerli, perché la responsabilità sarà delle piattaforme. Per gli autori. Va meglio per autori e artisti che potranno esigere una remunerazione supplementare da chi sfrutta le loro opere, nel caso il compenso corrisposto originariamente fosse considerato basso rispetto ai benefici che ne derivano. Tali benefici dovrebbero includere le cosiddette “entrate indirette”. Le misure approvate consentirebbero inoltre agli autori e agli artisti di revocare o porre fine all’ esclusività di una licenza di sfruttamento dell’ opera, se si dovesse ritenere che la parte titolare dei diritti di sfruttamento non stia esercitando tale diritto. Per gli utenti. Non dovrebbe cambiare molto per gli utenti passivi, che si limitano a leggere le notizie. A meno che le piattaforme non decidano di cambiare il loro modello di condivisione e diffusione delle notizie e dei contenuti, eliminando quindi snippet e anteprime e – questo è un rischio – riducendo il flusso di lettori che arriva ad esempio dai social network. Per chi invece ricorre a contenuti protetti da copyright, il rischio è che anche nei casi di esclusione dall’ applicazione della direttiva l’ automazione dei sistemi di filtraggio non riesca a distinguere e quindi ci si ritrovi ad essere oscurati e a dover presentare proteste e ricorsi. È infatti previsto che le piattaforme istituiscano meccanismi rapidi di reclamo, gestiti da persone e non da algoritmi, per presentare ricorso contro un’ ingiusta eliminazione di un contenuto. Immaginare un esercito di controllori del Web in carne e ossa è però difficile e, soprattutto, non è nei piani dei big tech che mirano ad automatizzare il più possibile. Non solo copyright. “In Europa, la libertà di Internet è sotto pressione – spiega la Reda -, capisco che gli autori vogliano essere pagati per il loro lavoro ma le proposte fatte si concentrano solo sul bloccare i contenuti. Al tempo stesso si stanno introducendo filtri anche su altri tipi di misure, dal terrorismo all’ hate speech alle fake news”. Nel nuovo regolamento contro il terrorismo proposto dalla Commissione europea in questi giorni, infatti, si prevede che ogni hosting provider debba cancellare i contenuti di propaganda terroristica entro un’ ora. Sono poi previste “misure proattive”. “I filtri preventivi infrangono la Carta dei diritti fondamentali – spiega Reda – la Corte di Giustizia Ue ha già detto che non si può monitorare ciò che fanno le persone online. Non credo sia una coincidenza che la proposta arrivi nello stesso momento dei filtri dell’ approvazione copyright: prima si iniziano a usare questo tipo di tecnologie, prima ci sarà qualcun altro che vorrà usarle”.

M5S su Tim cambia cavallo: flirta con Vivendi e B. trema

Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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Silvio Berlusconi da qualche giorno spera che la parola di Matteo Salvini sia salda come l’ interessato promette: il leader della Lega dovrà infatti garantire, oltre all’ unità del centrodestra alle prossime Regionali, pure la tenuta del pericolante accordone su cui è nata la cosiddetta Terza Repubblica, cioè il favore fatto al fu Caimano grazie all’ ingresso di Cassa Depositi e Prestiti in Telecom e l’ alleanza della società del Tesoro col fondo Elliott in funzione anti-francese. A Palazzo Chigi regnava ancora, si era ad aprile, Paolo Gentiloni (col dante causa Matteo Renzi), ma Carroccio e Cinque Stelle diedero la loro interessata benedizione a un’ operazione che, in sostanza, garantiva il mantenimento dello status quo televisivo fondamentale per Berlusconi: bloccata Vivendi – che al momento non controlla più la società telefonica e non sa che farsene del suo 20% in Mediaset – va però ancora garantito che le quote pubblicitarie che fanno ricca Cologno Monzese non siano toccate per qualche tempo né per via legislativa, né con una politica aggressiva della Rai. Solo così Berlusconi potrà fare quel che deve per salvare l’ impero di famiglia: cedere l’ azienda o, meglio, fonderla in una media company ad ampio spettro (cinema, tv, musica, società di comunicazione, internet, telefonia), ma al prezzo che deciderà lui. A suo tempo fu proprio il prezzo, com’ è noto, a bloccare l’ accordo tra l’ ex premier e la Vivendi di Vincent Bolloré. Per salvare questo equilibrio così delicato, l’ uomo di Arcore s’ era prima acconciato a dare il placet al governo gialloverde e ora il via libera a Marcello Foa a presidente della Rai dopo averlo bocciato (oggi in Vigilanza dovrebbe ripartire il processo di nomina). Adesso, però, ha un problema grosso: i 5 Stelle stanno pensando di cambiare cavallo, un po’ perché hanno capito che così finiscono per fare il reggimoccolo al duo Matteo&Silvio, un po’ per avere uno strumento di pressione sulla Lega che trionfa nei sondaggi. Le preoccupazioni di Berlusconi hanno iniziato a prendere corpo in un momento preciso e in un luogo preciso: sabato scorso, infatti, il premier Giuseppe Conte, il vicepremier Luigi Di Maio e l’ amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, si sono incontrati a Bisceglie, vicino Bari, per il convegno DigithOn. Organizzatore dell’ evento, peraltro, è Francesco Boccia, deputato della minoranza Pd, particolare anch’ esso assai preoccupante per la casa di Arcore: i dem di Matteo Renzi – che Pier Silvio Berlusconi vorrebbe tanto vedere in onda su Mediaset – sono stati parte dell’ accordone, ma la presa di Renzi sul partito è tutta da verificare al congresso. Che cosa si sono detti, dunque, de Puyfontaine e i suoi nuovi amici a Cinque Stelle (il manager ha avuto uno scambio a quattr’ occhi con Conte)? Il manager ha tentato di convincere il premier e Di Maio che Vivendi è in Italia per restare e su basi di parità: “Crediamo nell’ Italia che per noi resta un investimento di lungo termine.” In pratica significherà creare un’ articolazione societaria italiana (Vivendi Italia) e probabilmente investire maggiormente nella Universal Music a Milano. E poi c’ è Sparkle, la società dei cavi sottomarini di proprietà di Tim, l’ amo che de Puyfontaine ha lanciato dal palco delle Vecchie Segherie di Bisceglie in direzione dei grillini: “Sono d’ accordo con Di Maio: non credo che vada venduta, è strategica per l’ Italia”. E invece Elliott, portata al comando con lo spericolato ingresso nel capitale di Cdp, la vuole vendere, come ha recentemente ribadito il presidente Fulvio Conti: d’ altronde Elliott è un fondo speculativo che vede calare da settimane il prezzo delle azioni Tim (da inizio 2018 hanno perso il 25%, da aprile il 40%) e pretende di migliorare i conti subito, magari in attesa di uscire e dare l’ assalto a un pezzo di Mediobanca, come ha scritto Il Fatto. Il lato grillino del governo ha preso atto in Puglia delle intenzioni di Vivendi: pur non promettendo nulla, Conte e Di Maio hanno garantito che studieranno il dossier, tanto più che il tema della proprietà pubblica delle reti per i 5 Stelle è come una calamita e l’ alleanza di lungo periodo con un fondo speculativo nella gestione di una società resta un fatto innaturale. La richiesta dei francesi, d’ altra parte, è poco impegnativa: Cassa depositi in Tim assuma un ruolo terzo e lasci fare al mercato. E qui torniamo allo zio Silvio. Se Vivendi riesce a integrare Tim torna pericolosa pure nella partita Mediaset. Berlusconi è a capo di un impero tv ancora profittevole, ma sostanzialmente obsoleto, che ha l’ unico vero punto di forza nell’ avere incassi pubblicitari assolutamente fuori scala rispetto agli ascolti: grazie ad antiche alleanze commerciali e ad un sistema bloccato, infatti, con uno share medio stimabile nella fascia 30-35%, le tv del Biscione incamerano spot per il 55-60% del totale destinato alle televisioni (in soldi fa circa 2,5 miliardi l’ anno). Un’ apertura del mercato – che prima o poi arriverà comunque – rischia di costare a Cologno Monzese fino a un miliardo l’ anno e far calare drasticamente il valore dell’ azienda: a quel punto sarebbe il compratore (o il mercato) a fare il prezzo. Insomma, è la politica che farà la differenza in questa partita e ora i Cinque Stelle (e il Pd al congresso) devono decidere se garantire la tranquilla navigazione dell’ intesa tra Berlusconi e Salvini o sparigliare. Il problema di Di Maio e soci, a questo punto, è uno solo: la Lega non accetterà di mettere sotto schiaffo il leader di Forza Italia e su questa partita può persino saltare il governo.

Pier Silvio dà una speranza a Renzi: “Ci faccia vedere il documentario”

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Si riapre la trattativa tra Matteo Renzi e Mediaset per la messa in onda dell’ ormai famoso documentario su Firenze prodotto da Lucio Presta. A dirlo è stato, ieri, lo stesso Pier Silvio Berlusconi durante la presentazione della nuova Rete 4, negli studi del Palatino a Roma. “Il documentario di Renzi? Mi piacerebbe trasmetterlo, perché ho stima nei suoi confronti e il prodotto mi sembra curioso e interessante. Ma prima aspettiamo di vederlo, non possiamo acquistare un prodotto che non conosciamo per intero”, ha detto Berlusconi jr. Il tema era già stato dibattuto in estate. Alla presentazione dei nuovi palinsesti a giugno, infatti, il vicepresidente di Mediaset aveva mostrato interesse ma poi, qualche settimana dopo, dal Biscione si era chiusa la porta: “Non ci interessa”. Così Renzi era rimasto senza acquirente. Ma Presta non ha mollato l’ osso e ora l’ ipotesi Mediaset rispunta. E lo stesso Renzi, che ha finito le riprese due settimane fa, negli ultimi giorni si è mostrato fiducioso sul buon andamento della trattativa. Ieri, proprio al Palatino, erano presenti tutti i protagonisti della vicenda. C’ erano Berlusconi jr e Mauro Crippa. C’ era Presta, lì come manager di Barbara Palombelli, conduttrice del nuovo programma Stasera Italia. E c’ era pure Marco Agnoletti, portavoce di Renzi. Ne avranno parlato? “Di questo non so nulla, non me ne sono mai occupato, sono stato invitato da Gerardo Greco e mi ha fatto piacere essere qui”, dice Agnoletti. Berlusconi jr, poi, ha fatto un accenno anche alla situazione in Rai e allo stallo sulla candidatura di Marcello Foa: “Quello che sta accadendo è surreale, ma è una questione totalmente politica che attiene ai rapporti di forza e alle trattative tra i partiti. Per noi comunque non è un vantagio: in Rai ci sono ottimi professionisti che sanno lavorare bene anche in questa situazione”. Sul caso Foa, questa mattina si riunirà la commissione di Vigilanza, dove sembra tramontata l’ ipotesi di presentare, una risoluzione della maggioranza per chiedere al Cda Rai di esprimere un nome. Segno che l’ accordo tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini ormai è vicino e le forzature non servono. I due dovrebbero vedersi nelle prossime ore per chiudere un patto che riguarda pure Regionali, Csm e, si dice, qualche posto nell’ organigramma di Viale Mazzini (il Tg2?). “Decideranno Berlusconi e Salvini, anche perché la vicenda s’ inserisce in un discorso più ampio”, osserva Antonio Tajani. Altro segnale che l’ intesa è a un passo.

“La tv non può trattare i tifosi come fossero bancomat”

Il Fatto Quotidiano
Luca Cardinalini
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Valvole, manopole e passione. Tanta. Di Riccardo Cucchi gli sportivi italiani conoscono la voce e non il viso, come è giusto. “Radiogol” è il riassunto di trenta anni vissuti, minuto per minuto, davanti a un microfono. “Un atto di amore verso la radio e il calcio”, dice. Cosa salva di queste due partite della Nazionale? I ‘vecchi’, Bonucci e Chiellini intendo, e Donnarumma. Un livello tecnico modesto, forse più di quanto pensavamo. E l’ esclusione con la Svezia, ora possiamo dirlo, non è stata casuale. Cosa e quando abbiamo sbagliato? La crisi è un’ adolescente, ha 12 anni, inizia la famosa sera con il cielo azzurro sopra Berlino. Ci siamo cullati su quell’ alloro. I segnali inequivocabili, come le eliminazioni precoci in Sudafrica e Brasile, non siamo stati capaci di leggerli. Ed eccoci qui. Fa tenerezza Mancini sovranista, che invoca “prima gli italiani”, inascoltato. In teoria ha ragione, dovendo pescare in un bacino pari solo al 34% dei titolari in campionato. Non deve dimenticare però che, quando era all’ Inter, giocava spesso con 11 stranieri. Ma prima gli italiani è un messaggio sciocco e antistorico, anche nel calcio. Ventura: capo espiatorio o riabilitato eccellente? Per come l’ ho conosciuto, allenatore di Cagliari, Sampdoria, Torino, era ed è un tecnico di grandi conoscenze calcistiche e personalità. Ha mostrato limiti nella gestione della Nazionale, che è altra cosa. Gli auguro di rialzarsi, ha vissuto una parabola umana pazzesca. Opti Tavecchio Pobà. Buon dirigente dei Dilettanti. Forse non preparato culturalmente per fare il presidente federale. Ma non razzista né sessista, garantisco. L’ Italia pallonara è nel pallone. Da un lato un’ estate di fallimenti, serie B e C stravolte, federazione acefala. Dall’ altro l’ arrivo di CR7 . Qual è il vero volto? Entrambi. Ma negli anni 80-90, da noi, c’ era gente come Maradona, Zico, Platini, Rummenigge. Forse abbiamo una memoria corta. Sacchi dice che le società vogliono solo vincere e per farlo venderebbero l’ anima al diavolo. Impossibile dargli torto. Manca del tutto l’ aspetto del gioco, la cultura della sconfitta. Soprattutto non si insegna più il calcio, con dominio assoluto di fisicità e tattica. Un bambino che prova a dribblare un compagno, si becca i rimproveri del mister. Maradona portava a letto il pallone, in senso letterale, oggi il pallone i ragazzi lo vedono solo alla scuola calcio. Così non si allena, né si aiuta il talento a emergere. Totti, Baggio, Del Piero, anche se ci fossero, chi li vede più? La Juventus vincerà anche quest’ anno? È la società più attrezzata. Stadio di proprietà, squadra femminile, seconda squadra (l’ unica che l’ ha iscritta). Le altre inseguono. Intanto Berlusconi e Galliani, forse, ripartono dal Monza. Meraviglioso. Pura passione, l’ essenza di questo sport. Il calcio è un’ industria potente e particolare, che non produce cioccolatini, ma qualcosa di immateriale: la passione. Attenzione a non dilapidarla. A cosa allude? La troppa televisione, soprattutto a pagamento, ha stravolto tutto. Ma non puoi trattare il tifoso o l’ appassionato come un bancomat, magari vendendogli un servizio che non sei in grado di garantire. Siamo vicini al punto di rottura. Le reti generaliste hanno scoperto che una partita trasmessa in chiaro fa ascolti. Auspico che la Rai acquisti anche una sola partita in diretta del campionato Anche il solo secondo tempo, come 50 anni fa. Anche solo quello. Intanto il video trabocca di opinionisti, ex calciatori ed ex allenatori. Il limite della radio è anche la sua forza: l’ assenza di immagini, hai solo parole. La tv è soprattutto immagini, le parole hanno un altro effetto. Puoi essere stato un grande calciatore, ma se non studi e ti prepari, lo spettatore se ne accorge. La tv come ha cambiato il calcio? In tutti i sensi. È quasi un altro sport. Di sicuro la partita che vedi alla tv non è la stessa di quella che vedi allo stadio. Il rischio è ‘generazionale’: un nativo televisivo, diciamo un bambino che viene educato a guardare il calcio in tv, quando va allo stadio ha uno choc. Chiede: cos’ è questa roba? Esperienza alla Domenica Sportiva . Bilancio? Interessante, ma ho toccato con mano due mondi diversi. Ieri, chi mi fermava mi diceva: ‘Ti ho ascoltato ieri’. Dopo la Ds, chi mi fermava mi diceva: ‘Ti ho visto ieri’, e io allora replicavo: ‘Ma mi hai anche ascoltato?’. I più se ne andavano, senza rispondere.

Ok alla tutela del copyright Ma i grillini stanno coi pirati

Il Giornale
Andrea Canginidi; di
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La contrarietà M5s alla normativa europea che intende tutelare il diritto d’ autore su internet. L’ ostilità dichiarata nei confronti dell’ editoria cartacea. L’ annunciata chiusura domenicale dei negozi e il conseguente vantaggio per i colossi del commercio on line. Se è vero che tre indizi fanno (…) (…) una prova, è dunque provato che il Movimento 5 Stelle svolge opera lobbistica in favore dei colossi del web. Cioè del vero «potere forte» contemporaneo. Quante volte abbiamo sentito Grillo, Casaleggio, Di Maio e Di Battista strepitare contro i «poteri forti», o «le multinazionali», o «la finanza», o il «pensiero unico»? Quasi ogni giorno. Eppure non si ricordano intemerate analoghe contro i colossi del web. Il fatto che Facebook nel 2017 abbia pagato tasse in Italia per appena 120mila euro non li indigna. Né li scandalizza sapere che, tanto per fare un esempio, Airbnb degli 80 milioni dovuti al fisco ne abbia versati solo 19. Un privilegio assurdo a fronte di un potere economico colossale. Ma anche un inedito potere di condizionamento delle coscienze. La carta è infatti passata di moda, oggi la conoscenza passa dal web e chi controlla il web controlla le coscienze. Mai vista prima una simile concentrazione del sapere (e del gusto) in così poche mani. Chi vuole conoscere, oggi, consulta Google e i primi cinque risultati di ogni ricerca sono quelli che danno forma al mondo. Ma chi decide quali sono i primi cinque risultati di una ricerca? Un algoritmo. E chi programma l’ algoritmo? Gli analisti di Google. Possibile che lo facciano in maniera disinteressata? Possibile. Più probabile che lo facciano perseguendo interessi materiali e propagandando una certa visione del mondo. Una visione globale volta a massificare i consumatori. Altro che Gramsci, la vera egemonia culturale è questa. Ed è al servizio non della politica ma dell’ economia. Un’ economia di pochi che condiziona la vita di molti. Ora, posto che quella del web è ormai anche un’ ideologia e che a quell’ ideologia sembra sinceramente aderire buona parte degli eletti grillini, risulta difficile trascurare il fatto che gli eletti grillini dipendono dalla Casaleggio e associati e che per la Casaleggio e associati il web non è solo un’ ideologia ma anche e soprattutto un business. C’ entra qualcosa la proposta di chiusura domenicale dei negozi avanzata da Di Maio col fatto che nel 2016 Davide Casaleggio ha acquistato un dominio che si chiama E-commerce Factor? Diciamo che il dubbio sorge spontaneo: il dubbio di un conflitto di interessi 2.0. Andrea Cangini.

Dal diritto d’ autore alle libertà Così Bruxelles spacca il governo

Il Giornale
Anna Maria Greco
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Anna Maria Greco Roma Gli strali dell’ Europa sul governo gialloverde sono equamente divisi tra i due vicepremier: Antonio Tajani critica il grillino Luigi Di Maio per le parole «infamanti» sul voto sul copyright dell’ Europarlamento che lui presiede, mentre il numero uno della Commissione Ue Jean Claude Juncker si dice «allibito» per i continui attacchi a Bruxelles del leghista Matteo Salvini. Tutto avviene a Strasburgo, dove ieri sono state approvate a larga maggioranza le nuove regole sul diritto d’ autore nell’ era del web, contrari M5S e Lega. «Una vergogna tutta europea» per Di Maio, che su Facebook accusa il Parlamento europeo di aver «legalizzato di fatto la censura preventiva dei contenuti degli utenti su internet con la scusa di questa riforma del copyright». Per il capo del movimento nato dalla rete «stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell». È lo stesso Di Maio che il giorno prima minacciava il taglio dei contributi pubblici ai giornali critici con il governo, sostenendo che devono esserci solo «editori puri». Il nemico numero uno dell’ informazione cerca di trasformarsi in alfiere della libertà del web. Ma Tajani reagisce duramente e chiede al premier Giuseppe Conte di prendere «immediatamente» le distanze dalle parole «infamanti» del vice contro il Parlamento europeo. «Minacciare l’ unica istituzione Ue direttamente eletta dai cittadini è da analfabeti della democrazia», ha detto il numero uno di Strasburgo, secondo cui il voto di ieri è «una vittoria per tutti i cittadini dell’ Unione» e «difende la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al Far West digitale», oltre a proteggere i 12 milioni di lavoratori del settore. La battaglia contro i giganti della Rete è «l’ unico modo per assicurare una effettiva libertà di stampa e un contrasto serio alle fake news». Forse, è proprio di questo che il M5S si preoccupa, dopo aver appoggiato tante campagne menzognere, come quella sui vaccini. Poi c’ è Juncker, che sbotta su Salvini, precisando di non aver problemi con l’«amico» premier Conte. «Ma ogni tanto – dice – rimango allibito da questa retorica a cui gioca parte della coalizione di maggioranza e almeno uno dei due vicepremier, con i loro continui attacchi a Bruxelles. Questo non aiuta l’ Italia». Che parli del leader della Lega è chiaro e infatti precisa: «Salvini ha detto che in campagna elettorale, ogni volta che apro bocca, lui guadagna voti. Ecco, io non voglio essere utile a lui, voglio essere utile all’ Italia». Quanto alle manovre leghiste per un fronte popolare-populista-sovranista, è netto: «Non vedo una sola ragione per cui il Ppe possa sviluppare una relazione con Salvini. Abbiamo già Orbán ed è abbastanza». Juncker, che ha tenuto a Strasburgo il suo quarto discorso sullo stato dell’ Unione, racconta di una telefonata con Conte martedì sera. «Parte del governo temeva che l’ attaccassi fortemente. Credevano che volessi reagire nello stesso modo in cui l’ Ue e la Commissione vengono attaccate dal governo». Invece, gli ha ricordato «ciò che l’ Ue e la Commissione hanno fatto per l’ Italia», dagli 882 milioni dal 2015 per l’ immigrazione alla flessibilità per 18 miliardi di spesa in più. «Non è colpa nostra se un ponte è crollato a Genova – ha aggiunto il politico lussemburghese -. Nel bilancio europeo ci sono i soldi per le infrastrutture e bisogna usarli tutti, fino all’ ultimo centesimo».

Mauri presidente di Audipress

Il Giornale

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L’ assemblea dei soci di Audipress ha eletto ieri Ernesto Mauri (ad del gruppo Mondadori) nuovo presidente di Audipress Srl, nominando il consiglio di amministrazione della società per il biennio 2018-2019. Audipress è l’ indagine l’ indagine ufficiale di riferimento per la lettura della stampa quotidiana e periodica in Italia e fornisce i dati di lettura di quotidiani, supplementi di quotidiani, settimanali e mensili e le informazioni sociodemografiche sui lettori per 120 testate attualmente rilevate.

Verso la cessione di Premium a Sky

Il Giornale

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«Penso che eserciteremo l’ opzione» per cedere Premium a Sky. Lo ha detto ieri l’ ad di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi. A fine marzo il gruppo del Biscione si è accordato con Sky per lo scambio di contenuti tra le loro pay tv. L’ intesa comprendeva anche un’ opzione per vendere Premium a Sky.

Copyright, l’ Europa dice sì Stretta sui giganti del web

Il Mattino

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IL CASO BRUXELLES Ha vinto chi ritiene un fatto di civiltà remunerare un’ opera artistica o un articolo di giornale quando circola su Internet. Hanno perso i colossi digitali come Google e Facebook che accumulano profitti anche aggirando il copyright, il diritto d’ autore. E anche chi, trincerandosi dietro la difesa libertà della Rete, in fondo li favorisce. Dopo mesi di contrapposizioni e tensioni, di campagne capillari condotte da Google e compagnia, con una mobilitazione eccezionale sui social pure a suon di fake news, il Parlamento europeo ha sdoganato la sua riforma del diritto d’ autore, 438 sì contro 226 no e 39 astensioni. PRIMO PASSO È solo un primo passo: la partita ora si sposta nel negoziato con i governi e la strada è tutta in salita. Si è dimostrato sostanzialmente compatto il gruppo del Partito popolare; divisioni si sono registrate tra i socialisti e i liberali; verdi contrari; divisi anche i gruppi euroscettici ed eurofobici. Compatto i deputati di Forza Italia, la stragrande maggioranza di quelli del Pd ha votato a favore della tutela del diritto d’ autore, affinchè le piattaforme digitali come YouTube o gli aggregatori di notizie retribuiscano artisti, creatori e produttori di contenuti anche giornalistici. I parlamentari di Lega e M5S hanno votato contro. È già chiaro che il negoziato sarà complicato dalla posizione espressa dal vicepresidente del Consiglio Di Maio, che ha annunciato subito l’ opposizione dell’ Italia al testo della direttiva. ORWELL «Una vergogna tutta europea: il Parlamento Ue ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet. Stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell. Con la scusa di questa riforma del copyright, il Parlamento europeo ha legalizzato la censura preventiva. È inammissibile. La rete deve essere mantenuta libera e indipendente. Ci batteremo nei negoziati per eliminare questi due provvedimenti orwelliani. Un messaggio per le lobby: questi sono gli ultimi vostri colpi di coda, nel 2019 i cittadini vi spazzeranno via». Felpata la reazione al voto di Google, come è noto attivissima nell’ azione di lobbying a sostegno del no ai principi cardine della nuova legislazione: «Le persone vogliono avere accesso a informazioni di qualità e contenuti creativi online. Abbiamo sempre detto che più innovazione e più collaborazione sono il modo migliore perché si possa raggiungere un futuro sostenibile per l’ informazione e il settore creativo in Europa e siamo impegnati a mantenere una stretta collaborazione con questi settori», ha commentato un portavoce del gruppo. «La direttiva sul copyright è una vittoria per tutti i cittadini, sono state difese la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al Far West digitale, il diritto d’ autore deve essere tutelato fuori e dentro il Web, che non può rappresentare una zona franca dove tutto è permesso ha indicato il presidente del Parlamento Antonio Tajani -. I giganti della Rete, che pagano nell’ Unione tasse irrisorie trasferendo ingenti guadagni negli Usa o in Cina, non possono arricchirsi a spese del lavoro e degli altri. Indipendenza e qualità dei media devono essere salvaguardati». Quanto alla restrizione della libertà di espressione Tajani ha aggiunto: «Non c’ è alcuna restrizione, Wikipedia e tutti gli utilizzi di contenuti a fini educativi sono esplicitamente esclusi dalla direttiva. Così come l’ uso privato dei contenuti via Tinder, eBay o Dropbox. E sono esclusi anche gli utilizzi per parodie (meme), critiche, hyperlinks e i servizi di cloud individuali, start up e pmi». Per l’ europarlamentare del Pd Silvia Costa, «ha vinto l’ Europa della cultura e della creatività contro l’ oligopolio dei giganti del web, la libertà nella responsabilità contro la massiccia campagna di intimidazione nei nostri confronti fatta dai colossi digitali». Il presidente della Fieg (editori italiani) Andrea Riffeser Monti parla di «passaggio importante»: «Continueremo a collaborare con le istituzioni europee nella delicata fase dei negoziati per realizzare in tempi rapidi una riforma equilibrata». Il segretario Fns Raffaele Lorusso dice che «viene sancito il valore del lavoro giornalistico e dell’ informazione professionale, essenziali per la tenuta della democrazia». Per l’ ad Mediaset Pier Silvio Berlusconi il voto di ieri «è una prima vittoria di un percorso fondamentale». Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I big della Rete responsabili equo compenso per gli editori

Il Mattino

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IL FOCUS ROMA Il mandato negoziale approvato nell’ emiciclo di Strasburgo è molto più di un primo passo cruciale. Peraltro per nulla scontato. Ma la strada è ancora lunga per il via libera definitivo alla tassa sui link e sui video da far pagare a Big Ge i suoi compagni del web, da Youtube a Facebook, per la distribuzioni di contenuti altrui che fruttano nei bilanci di casa miliardi di fatturati pubblicitari. E la difficoltà maggiore del percorso non sarà tanto negli ostacoli, ma nei tempi davvero stretti per superarli. Con il rischio di azzerare tutto con le elezioni europee di maggio 2019. Ecco perchè gli editori e l’ industria discografica alzano i calici alla «democrazia» e alla «civiltà» ma guardano già oltre. Perchè chiedere il via libera definitivo in tempi stretti delle nuove norme Ue sul copyright, è ora la loro principale preoccupazione. L’ ITER IN SSALITA Proprio così, aver strappato il via libera del Parlamento Ue alla proposta della Commissione dopo il rinvio di luglio, vuol dire aver guadagnato il biglietto d’ ingresso alla fase due, quella dei negoziati con i governi. Ma rischia di essere proprio questo il tratto più impervio da percorrere. Il testo della riforma finirà sul tavolo dei negoziati tra Parlamento, Commissione e Consiglio Ue che dovranno concordare un testo comune. Nel frattempo, infatti, i governi hanno già approvato un loro testo e sarà dunque necessario trovare un nuovo compromesso per poter arrivare al via libera definitivo del Parlamento Ue entro la scadenza di maggio 2019. La battaglia, si sa, è tra chi reclama la remunerazione del diritto d’ autore e chi difende invece la libertà di comunicazione elettronica. E chiudere il gap in meno di nove mesi superando il fronte del no alla riforma guidato in prima linea da Luigi di Maio e i Cinquestelle in Italia non sarà facile. Il rischio è quello di andare oltre le elezioni europee di maggio e gettare nel cestino la riforma. Se invece si riuscirà nell’ impresa dell’ ok definitivo, ci vorrà molto tempo prima che i governi recepiscano le nuove norme. E in ogni caso, i nuovi paletti, non saranno legge nei singoli Paesi prima del 2021. LA SVOLTA Il primo dettaglio da non dimenticare è,infatti, che oggi non cambia nulla rispetto a ieri. Ma se si andrà in fondo alla strada, cambierà molto per la macchina dell’ editoria, della musica e della creatività che finora hanno nutrito praticamente gratis le piattaforme on-line. I giganti del web come Google, Youtube e Facebook, dovranno remunerare con un «equo e proporzionato compenso» i contenuti prodotti da artisti e giornalisti, che diventano nello stesso tempo responsabili, con tanto di sanzioni, per le violazioni sul diritto d’ autore dei contenuti da loro ospitati. In realtà la direttiva sul copyright è stata emendata in profondità rispetto al testo originario, ma ha sostanzialmente conservato, seppure con dei correttivi, i due articoli più controversi:l’ 11 e il 13. L’ articolo 11, diventato noto come «link tax», è stato corretto in questo modo: i link accompagnati da singole parole si potranno condividere liberamente, mentre gli snippet (foto e breve testo di presentazione di articoli) dovranno essere remunerate dalle piattaforme online che le utilizzano. Il compenso è quanto i servizi online dovrebbero pagare agli editori giornalistici per sfruttare a fini commerciali quest’ anteprima. La grande domanda è se Google chiuderà Google News in Europa (come fatto in Spagna, con conseguenze soprattutto per gli editori minori) e come Facebook tratterà in modo diverso i link di notizie, oppure se si troverà un accordo con gli editori. Dall’ articolo 13, invece, scompare il filtro «automatico». Non ci sono filtri sui contenuti ma una cooperazione tra piattaforme e detentori dei diritti «concepita in modo da evitare che colpisca anche le opere che non violano il copyright». Le piattaforme dovranno quindi istituire dei meccanismi rapidi di reclamo, gestiti da persone e non da algoritmi, per presentare ricorso contro un’ ingiusta eliminazione di contenuti. Le nuove regole tutelano infine, musicisti, artisti, interpreti e sceneggiatori. Sono escluse invece, le enciclopedie online senza fini commerciali, come Wikipedia, ma anche repertori didattici o scientifici. Roberta Amoruso © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Retequattro riparte dai talk «ma restiamo generalisti»

Il Mattino
Fabrizio Corallo
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Il restyling di Rete 4 passa dalla ribadita centralità romana e dal già in onda «Stasera Italia» condotto dal lunedì al venerdì alle 20.30 da Barbara Palombelli, a cui sarà accompagnato da stasera, ogni giovedì, «Viva l’ Italia- Oggi e domani», con Gerardo Greco, in onda anche col Tg 4 di cui è il neo direttore ogni giorno alle 12 e alle 18.55. Tanti i talk: da Gianluigi Nuzzi e Alessandra Viero con «Quarto grado» a Nicola Porro con «Quarta repubblica», da Mario Giordano con «Fuori dal coro» a Maurizio Belpietro che ha firmato un contratto per un progetto ancora da definire, e Paolo De Debbio, che però potrebbe finire anche su un’ altra rete Mediaset. Ma non solo: i martedì, dal 30 ottobre, c’ è Roberto Giacobbo con «Freedom – Oltre il confine», divulgazione in 4K, la sera dopo Piero Chiambretti protagonista dal 17 ottobre di «CR4 – La Repubblica delle donne». «Il nostro non diventerà un canale all news ma resterà generalista», promette però il direttore Sebastiano Lombardi, confermando spazi per i film e le soap («Il segreto» arriva in prima serata). Il direttore dell’ informazione Mediaset, Mauro Crippa, chiede pazienza sugli ascolti perché «nessuno crede che si possano registrare impennate clamorose in pochi giorni». Pier Silvio Berlusconi, come amministratore delegato del gruppo, conferma: «Siamo un’ azienda quotata in Borsa, lo share conta. Ma è una sfida che affrontiamo con serenità e che affrontiamo con il gusto di fare gli editori. Noi abbiamo pazienza, la gara la facciamo su noi stessi, in termini di obiettivi che vogliamo raggiungere e di risultati ottenuti. La nuova Retequattro è una rete generalista con l’ informazione come pilastro: la garanzia sta nella qualità dei protagonisti, della squadra. Sarà una rete polifonica, dobbiamo garantire buon gusto e rispetto». In ballo c’ è, intanto, la cessione della piattaforma di Premium a Sky: «Tutto procede in quella direzione, abbiamo comunque tempo per esercitare l’ opzione. Premium rimarrà un nostro marchio di cinema e serie». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Pragmatica o ideologica i due volti dell’ Europa

Il Messaggero
Alessandro Campi
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Ieri si sono viste all’ opera le due facce dell’ Europa: quella pragmatica, che prova ad affrontare i problemi che attraversano le società contemporanee e toccano direttamente la vita dei cittadini; e quella moralistico-pedagogica, che dietro le grandi battaglie sui diritti e i valori nasconde spesso un dogmatismo a sfondo religioso che è il contrario delle libertà che si vorrebbero difendere. Il voto del Parlamento europeo sul diritto d’ autore, arrivato dopo molte polemiche, ha sancito l’ idea che anche in Rete la creatività intellettuale debba essere difesa e adeguatamente compensata. Sinora, con la scusa del libero e incondizionato accesso di tutti a tutto, si era nella sostanza favorito lo sfruttamento commerciale da parte dei giganti del web dei contenuti informativi e giornalistici prodotti dal sistema dei media tradizionale. Nell’ immediato futuro piattaforme di condivisione e aggregatori di notizie dovranno invece spartire equamente i loro guadagni con artisti, giornalisti ed editori. Davvero non si capisce dove stia lo scandalo o l’ attentato alla libertà d’ espressione, tenuto anche conto del fatto che le enciclopedie online senza fini commerciali (come Wikipedia) e le piattaforme per la condivisione di software open source saranno esentate dal rispetto delle nuove regole sul copyright. A meno che non si ritenga normale e democratico, come è avvenuto sino ad oggi, che qualcuno possa arricchirsi col lavoro intellettuale altrui. I diritti d’ autore, ampiamente tutelati nel mondo reale, perché non dovrebbero esserlo in quello virtuale? Quanto ai cittadini e agli utenti, il loro problema come ormai si è capito non è avere informazioni d’ ogni tipo purché gratuite e facilmente accessibili, ma averne di attendibili e serie. La falsità di molta della merce che attualmente circola in Rete non è forse l’ attentato peggiore che si possa fare alla vita democratica e all’ autonomia di giudizio dei singoli? Ma ieri l’ assemblea di Strasburgo mostrando in questo caso la sua faccia al tempo stesso ideologicamente settaria e politicamente poco lungimirante ha anche approvato la risoluzione con cui si chiede al Consiglio dei capi di Stato e di governo dell’ Ue di attivare contro l’ Ungheria (colpevole d’ aver gravemente derogato ai valori di pluralismo e tolleranza su cui l’ Europa s’ è costruita) la procedura prevista dall’ articolo 7 del Trattato dell’ Unione Europea e che come sanzione estrema prevede la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio. Accusata d’ essere debole e passiva contro l’ avanzata dei populismi che minacciano i regimi liberali, ieri l’ Europa (la sua parte più civile e democratica) avrebbe in realtà trasmesso un segnale di vitalità e autorevolezza. Orbán, considerato il nemico interno capofila dei sovranisti che vorrebbero distruggere l’ Europa per conto di Trump e Putin, è stato pubblicamente isolato. Ma davvero la votazione di ieri è stata un segnale di forza politica e una decisione capace di mettere in difficoltà il fronte cosiddetto populista? D’ altro canto, il bando contro Orbán basterà a risolvere la crisi di fiducia e credibilità che da anni attanaglia le istituzioni europee o a ricomporre la frattura geopolitica e culturale che ormai esiste fra il blocco europeo occidentale e quello orientale e che non può essere considerata solo il frutto delle differenze visioni che essi hanno in materia di immigrazione? Basta convincersi (e convincere l’ opinione pubblica) che Orbán sia uno xenofobo e un potenziale dittatore per rimuovere o neutralizzare il malessere psicologico e le inquietudini politiche che alimentano i movimenti populisti ormai ovunque in Europa? Sul piano pratico, bisognerebbe innanzitutto chiedersi quanto realmente funzionino specie dopo quel che è successo in Italia con la vittoria alle elezioni di leghisti e grillini gli appelli a coalizzare i buoni democratici (d’ ogni colore politico) contro i cattivi populisti. Se il problema contingente è arginare questi ultimi in vista delle prossime elezioni europee forse bisognerà inventarsi qualcosa di diverso rispetto a campagne allarmistiche e a grandi coalizioni repubblicane alle quali gli elettori per primi risultano ormai insensibili. Anche le strategie di demonizzazione sembrano lasciare il tempo che trovano. Le sanzioni decise già nel 2000 contro il governo austriaco guidato da Wolfang Schussel e appoggiato da Joerg Haider a distanza di anni hanno tutt’ altro che fermato i populisti in quel Paese. Gli ungheresi cederanno questa volta alla pedagogia di Bruxelles e smetteranno di credere in Orbán dopo averlo eletto già quattro volte o si convinceranno definitivamente che, come ha detto ieri intervenendo in aula, il suo unico scopo è difendere la nazione ungherese contro coloro che vogliono distruggerla? Un’ ossessione identitaria che per molti osservatori sa di razzismo e di fascismo, ma che in realtà nasconde una frattura politico-culturale che spiega molti dei contrasti e dei risentimenti che attualmente attraversano l’ Europa. Bisognerebbe infatti stare attenti all’ imbroglio intellettuale o alle semplificazioni di chi, per eccesso di zelo politico, vorrebbe buttare l’ acqua sporca del nazionalismo col bambino (si fa per dire, visti i secoli che ha alle spalle) dello Stato-nazione. O convincere l’ opinione pubblica che nel Vecchio continente ormai ci si divide come ha sostenuto di recente Nadia Urbinati tra difensori del tribalismo e partigiani dell’ umanità, come se in mezzo a queste due forme estreme d’ aggregazione politica (il clan etnico e il mondo globale) non ci sia ormai nient’ altro. Ci sono in realtà le nazioni e gli Stati che dell’ Europa sono il fondamento storico-spirituale ma che un certo europeismo messianico tende invece a considerare un ostacolo sulla via di una compiuta integrazione continentale: una forma di sentimento o appartenenza collettiva da rimuovere come realtà vitale o da ridurre ad una dimensione puramente formalistica (il patriottismo costituzionale) o folcloristica. La democrazia illiberale d’ ispirazione cristiana di cui parla Orbán nei suoi comizi è chiaramente un tema propagandistico. Ma il fatto che egli si erga a difensore del diritto dei popoli a salvaguardare la loro identità culturale e la loro sovranità politica aggrava paradossalmente le colpe di coloro socialisti, popolari, liberali che hanno lasciato ai leader populisti (e a dottrinari alla Steve Bannon) l’ esclusiva su simili temi. Storicamente lo Stato-nazione ha rappresentato, in particolare nell’ esperienza dei Paesi occidentali, il baluardo delle libertà personali e della democrazia. Averne fatto un sinonimo di razzismo e una forma di particolarismo intollerante è il capolavoro ideologico perverso di un’ Europa che evidentemente non si riconosce più nella sua stessa storia e che forse proprio per questo ha smesso di suscitare passioni autentiche e speranze nel futuro. Un’ Europa che appunto ieri ci ha mostrato quanto essa possa essere utile ai suoi cittadini, allorché opera con spirito pratico, e quanto invece rischi di essere dannosa alla sua stessa causa, allorché si erge a modello astratto di civiltà. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Copyright, l’ Europa dice sì Stretta sui giganti del web

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LA GIORNATA BRUXELLES Ha vinto chi ritiene un fatto di civiltà remunerare un’ opera artistica o un articolo di giornale quando circola su Internet. Hanno perso i colossi digitali come Google e Facebook che accumulano profitti anche aggirando il copyright, il diritto d’ autore. E anche chi, trincerandosi dietro la difesa libertà della Rete, in fondo li favorisce. Dopo mesi di contrapposizioni e tensioni, di campagne capillari condotte da Google e compagnia, con una mobilitazione eccezionale sui social pure a suon di fake news, il Parlamento europeo ha sdoganato la sua riforma del diritto d’ autore, 438 sì contro 226 no e 39 astensioni. PRIMO PASSO È solo un primo passo: la partita ora si sposta nel negoziato con i governi e la strada è tutta in salita. Si è dimostrato sostanzialmente compatto il gruppo del Partito popolare; divisioni si sono registrate tra i socialisti e i liberali; verdi contrari; divisi anche i gruppi euroscettici ed eurofobici. Compatto i deputati di Forza Italia, la stragrande maggioranza di quelli del Pd ha votato a favore della tutela del diritto d’ autore, affinchè le piattaforme digitali come YouTube o gli aggregatori di notizie retribuiscano artisti, creatori e produttori di contenuti anche giornalistici. I parlamentari di Lega e M5S hanno votato contro. È già chiaro che il negoziato sarà complicato dalla posizione espressa dal vicepresidente del Consiglio Di Maio, che ha annunciato subito l’ opposizione dell’ Italia al testo della direttiva. ORWELL «Una vergogna tutta europea: il Parlamento Ue ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet. Stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell. Con la scusa di questa riforma del copyright, il Parlamento europeo ha legalizzato la censura preventiva. È inammissibile. La rete deve essere mantenuta libera e indipendente. Ci batteremo nei negoziati per eliminare questi due provvedimenti orwelliani. Un messaggio per le lobby: questi sono gli ultimi vostri colpi di coda, nel 2019 i cittadini vi spazzeranno via». Felpata la reazione al voto di Google, come è noto attivissima nell’ azione di lobbying a sostegno del no ai principi cardine della nuova legislazione: «Le persone vogliono avere accesso a informazioni di qualità e contenuti creativi online. Abbiamo sempre detto che più innovazione e più collaborazione sono il modo migliore perché si possa raggiungere un futuro sostenibile per l’ informazione e il settore creativo in Europa e siamo impegnati a mantenere una stretta collaborazione con questi settori», ha commentato un portavoce del gruppo. «La direttiva sul copyright è una vittoria per tutti i cittadini, sono state difese la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al Far West digitale, il diritto d’ autore deve essere tutelato fuori e dentro il Web, che non può rappresentare una zona franca dove tutto è permesso ha indicato il presidente del Parlamento Antonio Tajani -. I giganti della Rete, che pagano nell’ Unione tasse irrisorie trasferendo ingenti guadagni negli Usa o in Cina, non possono arricchirsi a spese del lavoro e degli altri. Indipendenza e qualità dei media devono essere salvaguardati». Quanto alla restrizione della libertà di espressione Tajani ha aggiunto: «Non c’ è alcuna restrizione, Wikipedia e tutti gli utilizzi di contenuti a fini educativi sono esplicitamente esclusi dalla direttiva. Così come l’ uso privato dei contenuti via Tinder, eBay o Dropbox. E sono esclusi anche gli utilizzi per parodie (meme), critiche, hyperlinks e i servizi di cloud individuali, start up e pmi». Per l’ europarlamentare del Pd Silvia Costa, «ha vinto l’ Europa della cultura e della creatività contro l’ oligopolio dei giganti del web, la libertà nella responsabilità contro la massiccia campagna di intimidazione nei nostri confronti fatta dai colossi digitali». Il presidente della Fieg (editori italiani) Andrea Riffeser Monti parla di «passaggio importante»: «Continueremo a collaborare con le istituzioni europee nella delicata fase dei negoziati per realizzare in tempi rapidi una riforma equilibrata». Il segretario Fns Raffaele Lorusso dice che «viene sancito il valore del lavoro giornalistico e dell’ informazione professionale, essenziali per la tenuta della democrazia». Per l’ ad Mediaset Pier Silvio Berlusconi il voto di ieri «è una prima vittoria di un percorso fondamentale». Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Da Fb a Youtube, più controlli ed equo compenso agli editori

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IL FOCUS ROMA Il mandato negoziale approvato nell’ emiciclo di Strasburgo è molto più di un primo passo cruciale. Peraltro per nulla scontato. Ma la strada è ancora lunga per il via libera definitivo alla tassa sui link e sui video da far pagare a Big Ge i suoi compagni del web, da Youtube a Facebook, per la distribuzioni di contenuti altrui che fruttano nei bilanci di casa miliardi di fatturati pubblicitari. E la difficoltà maggiore del percorso non sarà tanto negli ostacoli, ma nei tempi davvero stretti per superarli. Con il rischio di azzerare tutto con le elezioni europee di maggio 2019. Ecco perchè gli editori e l’ industria discografica alzano i calici alla «democrazia» e alla «civiltà» ma guardano già oltre. Perchè chiedere il via libera definitivo in tempi stretti delle nuove norme Ue sul copyright, è ora la loro principale preoccupazione. L’ ITER IN SALITA Proprio così, aver strappato il via libera del Parlamento Ue alla proposta della Commissione dopo il rinvio di luglio, vuol dire aver guadagnato il biglietto d’ ingresso alla fase due, quella dei negoziati con i governi. Ma rischia di essere proprio questo il tratto più impervio da percorrere. Il testo della riforma finirà sul tavolo dei negoziati tra Parlamento, Commissione e Consiglio Ue che dovranno concordare un testo comune. Nel frattempo, infatti, i governi hanno già approvato un loro testo e sarà dunque necessario trovare un nuovo compromesso per poter arrivare al via libera definitivo del Parlamento Ue entro la scadenza di maggio 2019. La battaglia, si sa, è tra chi reclama la giusta remunerazione del diritto d’ autore e chi difende invece la libertà di comunicazione elettronica. E chiudere il gap in meno di nove mesi superando il fronte del no alla riforma guidato in prima linea da Luigi di Maio e i Cinquestelle in Italia, non sarà certo facile. Il rischio è quello di andare oltre le elezioni europee di maggio e gettare nel cestino la riforma. Se invece si riuscirà nell’ impresa dell’ ok definitivo, ci vorrà molto tempo prima che i governi recepiscano le nuove norme. E in ogni caso, i nuovi paletti, non saranno legge nei singoli Paesi prima del 2021. LA SVOLTA Il primo dettaglio da non dimenticare è, infatti, che oggi non cambia nulla rispetto a ieri. Ma se si andrà in fondo alla strada, cambierà molto per la macchina dell’ editoria, della musica e della creatività che finora hanno nutrito praticamente gratis le piattaforme on-line. I giganti del web come Google, Youtube e Facebook, dovranno remunerare con un «equo e proporzionato compenso», secondo precisi accordi di licenza, i contenuti prodotti da artisti e giornalisti. Gli stessi giganti diventano anche responsabili, con tanto di sanzioni, per le violazioni sul diritto d’ autore dei contenuti ospitati. In realtà la direttiva sul copyright è stata puntualmente emendata rispetto al testo originario, ma ha conservato, seppure con dei correttivi, i due articoli più controversi. L’ articolo 11, meglio noto come «link tax», è stato corretto in questo modo: i link accompagnati da singole parole si potranno condividere liberamente, mentre gli snippet (breve testo di presentazione di articoli) dovranno essere remunerate dalle piattaforme online che le utilizzano. Il compenso è quanto i servizi online dovrebbero pagare agli editori giornalistici per sfruttare a fini commerciali quest’ anteprima. Le grandi domanda su questo fronte sono due. Google chiuderà Google News in Europa (come fatto in Spagna, con conseguenze soprattutto per gli editori minori) E Facebook tratterà in modo diverso i link di notizie, oppure se si troverà un accordo con gli editori? Dall’ articolo 13, invece, scompare il filtro «automatico». Non ci sono filtri sui contenuti ma una cooperazione tra piattaforme e detentori dei diritti, in modo da evitare che colpisca opere che non violano il copyright. Le piattaforme dovranno quindi istituire dei meccanismi rapidi di reclamo, gestiti da persone e non da algoritmi, per presentare ricorso contro un’ ingiusta eliminazione di contenuti. Per il resto, le nuove regole tutelano anche musicisti, interpreti e sceneggiatori. Escluse invece, le enciclopedie online senza fini commerciali, come Wikipedia, così come i repertori didattici o scientifici. Roberta Amoruso © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I link accompagnati da singole parole si potranno condividere liberamente dalle grandi …

Il Messaggero

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I link accompagnati da singole parole si potranno condividere liberamente dalle grandi piattaforme on-line, mentre gli snippet (foto e breve testo di presentazione di articoli) saranno coperti da copyright. Anche ai giornalisti potrà andare una quota della remunerazione ottenuta dagli editori.

Informazione e star: la ricetta di Retequattro

Il Messaggero
ILARIA RAVARINO
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LA SVOLTA Retequattro è morta, viva Retequattro. Prende il via ufficialmente stasera, con il varo del talk W L’ Italia di Gerardo Greco, la nuova era della ex rete Cenerentola di Mediaset, annunciata a luglio dall’ amministratore delegato Mediaset Piersilvio Berlusconi. Rottamate le soap, i film bellissimi e i tg sbilanciatissimi, i talk urlati e i melodrammi a puntate, il tasto quattro del telecomando si libera di qualche centimetro di polvere e si rifa il look: nuovo logo, rosso e arrotondato, jingle motivazionale (il tormentone Whatever it takes degli Imagine Dragons) e un palinsesto che sbircia La7 senza perdere per strada il pubblico di riferimento, cresciuto tra Emilio Fede e Topazio. «Non sfidiamo nessuno – ha chiarito ieri in apertura della conferenza stampa Berlusconi – la prima competizione è quella con noi stessi». RIFONDAZIONE Il mantra, ripetuto fino allo sfinimento dal direttore di rete Sebastiano Lombardi, è: «Rifondiamo il brand, ma non tradiamo gli spettatori». Ovvero «non stiamo costruendo una rete all news popolare, ma una rete generalista, che racconti la realtà anche attraverso le news». L’ informazione, insomma, sarebbe solo il primo mattone di una ricostruzione «che prenderà del tempo, chiediamo a tutti di avere pazienza sugli ascolti – ha messo le mani avanti il direttore generale per l’ informazione Mauro Crippa – nessuno punta a ottenere ascolti fantasmagorici in poche settimane. Iniziamo una storia lunga: avremo alti, bassi e dispiaceri. Ma la nostra sensazione è che oggi ci sia un gran bisogno di informazione. Sembra un paradosso, ma più informazione circola, e più bisogna stare attenti, perché aumentano le notizie fake». Come quella, circolata ieri in rete, di Silvio Berlusconi colpito da un ictus: «Un fake, il dottor Berlusconi sta benissimo». Avanguardia del nuovo corso, e unica donna sul palco della conferenza stampa (Ci sono così tante donne su Canale 5 – ha scherzato Berlusconi – che su Retequattro abbiamo dovuto tutelare le quote azzurre), Barbara Palombelli condurrà Stasera Italia, talk serale quotidiano di attualità che per la conduttrice «recupera il dna impegnato di Retequattro, la rete che fu di anche di Montanelli, una rete nata nel 1982 grazie all’ impegno di editori della carta stampata e della famiglia Berlusconi». In onda prima di Palombelli, alle 12 e alle 18,55, è però il nuovo Tg4 di Gerardo Greco a dettare la linea delle news: «I toni? A garanzia dell’ equilibrio c’ è la professionalità della squadra. Sarà una rete polifonica con diversi colori, conduzioni rispettose e di buon gusto». BATTESIMO DEL FUOCO Il battesimo del fuoco stasera, con la prima puntata di W L’ Italia, che Greco definisce un «reality emotivo molto ancorato alle storie, che prova a raccontare le realtà che non vediamo». Primo tema: l’ immigrazione. Primo ospite, il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Dal 14 sarà invece la volta di Gianluigi Nuzzi, confermato alla guida di Quarto Grado («Ripartiremo da quanto accaduto a Genova, proveremo a capire la natura del crollo del ponte Morandi»), e poi gli ex Rai Nicola Porro, con il talk Quarta Repubblica, e Roberto Giacobbo con Freedom: se per Giacobbo la sfida sarà migliorare i risultati già ottenuti altrove con Voyager, puntando sulla divulgazione patinata con immagini in alta definizione, per Porro il problema sarà sdoppiarsi tra la conduzione di Matrix e Quarta Repubblica. Che, a sorpresa, vedrà anche il contributo di Paolo Hendel nei panni di un ospite «sovranista e iperpopulista». Promosso in prima serata Piero Chiambretti, alla guida del varietà CR4 La Repubblica delle Donne, Berlusconi promette uno spazio anche a Mario Giordano, già prenotato dopo il Tg della sera con Fuori dal coro, e a Del Debbio, per il quale «lavoriamo ad alcuni progetti su Retequattro o altra rete». Apertura massima a Vittorio Sgarbi, orfano degli Sgarbi Quotidiani ma «nostro grande amico e presente sicuramente come ospite e opinionista», freddezza al limite del gelo per Maurizio Belpietro, epurato eccellente della nuova Retequattro. «Non escludo che lavoreremo ancora con lui, ma non subito», ha detto Berlusconi. Il futuro è segnato, pensando anche al satellite. Un annuncio: «Da ottobre tutte le reti in chiaro di Mediaset saranno sulla piattaforma satellitare di Sky»; mentre continua ad avanzare il progetto di cedere alla tv di Murdoch la piattaforma Premium. Con la raccolta pubblicitaria che Berlusconi definisce «ottima durante i mondiali, buona anche dopo», e la Rai in stallo («Ma questa dinamica non ci avvantaggia») la rete già pensa al futuro. Coltivando progetti alternativi di intrattenimento, come il programma tarato sulla coppia Blasi-Totti («Rivendico di essere stato il primo ad avere l’ idea. Quando la proposi non era il momento per via degli impegni di entrambi, Adesso chissà») o l’ ingresso di un eccellente nella squadra della rete: Matteo Renzi, cui l’ ad Mediaset aprirebbe volentieri le porte. «Prima di decidere se vogliamo il suo documentario su Firenze dobbiamo vederlo. Lo aspettiamo, una volta che sarà finito lo prenderemo in visione. Detto, ciò a me piacerebbe averlo sulle nostre reti, perché stimo Renzi, sono curioso e sono sicuro che si tratterà di un prodotto di qualità». Ilaria Ravarino © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset ha deciso la sorte di Premium: finirà in dote a Sky

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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roma L’ accordo del venerdì di Pasqua fra i due (ex) eterni duellanti della tv italiana, Mediaset e Sky, sta per arrivare a uno step spartiacque. Ieri da Roma dove ha presentato la nuova Retequattro, fresca di restyling, il numero uno di Mediaset Pier Silvio Berlusconi ha fatto capire che si pensa di procedere alla vendita della “piattaforma” Premium a Sky. «Penso – ha detto Pier Silvio Berlusconi- che andremo in quella direzione ed eserciteremo l’ opzione». Una vendita che rappresenta la seconda gamba dell’ intesa di fine marzo, accanto allo sbarco di Sky sul digitale terrestre e all’ aumento della library per la pay tv di Murdoch con i canali di cinema e serie Premium. C’ è tempo fino a fine anno (l’ accordo parlava di finestra temporale qualsiasi fra novembre e dicembre) e se Mediaset decide di vendere ciò che ha già inserito nel veicolo societario R2, controllato al 100%, Sky deve comprare. Nell’ eventualità servirà il placet di Agcom e Antitrust. Una precisazione diventa però d’ obbligo: non è Premium che sarebbe venduta a Sky, ma l’ infrastruttura su cui si poggia il tutto. Insomma, la parte “operation” comprensiva di gestione del billing, del customer care, del marketing, della parte tecnologica. La conseguenza, inevitabile, è il depotenziamento di Premium come pay tv pur rimanendo (almeno questo è il mood del momento) editore dei canali con il proprio marchio. «Poi vedremo se integrare questa proposta con Infinity», la “on demand” del gruppo” che da qualche giorno ha stretto un bundle commerciale con Dazn per permettere ai clienti di avere a prezzo scontato i contenuti di entrambi. Altra conseguenza è la definitiva rifocalizzazione nel core business della tv free. Una delle maggiori scommesse in questo senso è la nuova Retequattro: «Una rete “polifonica”», oltre che «una scommessa editoriale importante e bellissima». Più informazione e attualità, ma «rimarremo una rete generalista». Il pensiero corre inevitabilmente a La7, ma da Mediaset respingono il parallelo con la tv di Urbano Cairo, peraltro reduce da una stagione brillante in cui ha aumentato del 14% l’ audience e del 10,5% la share (dati Auditel elaborati dallo studio Frasi). «Abbiamo messo un punto di inizio e non c’ è stato nessun pentimento sul passato, anzi» ha invece replicato Pier Silvio Berlusconi alla domanda su quanto il riposizionamento sia stato dettato dalla volontà di mettersi alle spalle di quei talk show del “tutti contro tutti” che si pensa possano aver dato una mano a M5S e Lega alle ultime elezioni. Una prova, fa capire, ne è il programma di approfondimento di Mario Giordano. L’ offerta di Retequattro comprende così Gianluigi Nuzzi, Gerardo Greco, Barbara Palombelli, Piero Chiambretti, Roberto Giacobbo, Nicola Porro. Il parterre è nutrito con l’ obiettivo primo «di non perdere ascoltatori» e con l’ idea di «avere pazienza. Tireremo le somme fra due anni». Ascolti in più arriveranno ora con il ritorno su Sky di Retequattro, come di tutti gli altri canali in chiaro del gruppo, «entro ottobre», dopo tre anni di assenza per una tenzone sui fee di ritrasmissione. Ieri peraltro la Rai ha comunicato che da oggi Rai 4 non sarà più alla posizione 104 di Sky. «Come non abbiamo avuto particolari problemi allora, così non abbiamo particolari aspettative oggi» dice comunque un Pier Silvio Berlusconi che guarda con fiducia alla raccolta pubblicitaria («stiamo andando meglio del mercato in un momento difficilissimo») spinta dai Mondiali, che non chiude la porta al documentario di Matteo Renzi – aspettando «di vedere il prodotto fatto e finito» prima di decidere – e saluta con favore l’ accordo sul copyright al Parlamento europeo. «È una prima vittoria in un percorso fondamentale. Trovo fuori luogo le polemiche», ha detto facendo correre il pensiero alla posizione del vicepremier Luigi Di Maio. Di sicuro saranno state accolte con favore dai giornalisti le parole sulla scelta di Roma come “centro” della nuova Retequattro, mettendo da parte il progetto di riassetto delle testate e il trasferimento a Milano. «L’ attaccamento di Mediaset» per Roma ha prevalso «sulle ragioni economiche». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Cairo, il ritorno alla cedola è «una ipotesi che può diventare realtà»

Il Sole 24 Ore

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Il titolo Rcs corre in Borsa sull’ ipotesi di un ritorno alla cedola. Ieri le azioni del gruppo editoriale hanno archiviato le contrattazioni in rialzo del 2,02% a 0,96 euro. Il dividendo per gli azionisti di Rcs «è un’ ipotesi che potrebbe diventare realtà», ha dichiarato ieri il presidente e amministratore delegato di Rcs, Urbano Cairo. «La decisione sul dividendo – ha spiegato Cairo, a margine della presentazione del Festival dello Sport – la proporrà il consiglio per poi essere approvata dall’ assemblea. È un’ ipotesi che se le cose continueranno andare bene come sono andati nei primi sei mesi dell’ anno, sicuramente potrà essere una cosa che diventa realtà». Alla base della scelta «gli ottimi numeri» ottenuti sulla raccolta pubblicitaria. «Le cose – ha aggiunto Cairo – vanno bene. L’ andamento è sempre positivo, c’ è una buona tendenza dal punto di vista della pubblicità. Il periodo gennaio-agosto per quanto riguarda Rcs ci ha portato ad un incremento della raccolta pubblicitaria rispetto allo scorso anno del 2%. Sta andando molto bene anche La7, che ha avuto un luglio da +4,5% e un agosto eccellente, con un incremento della raccolta del 18%. Sono numeri molto belli».

LA BUONA INFORMAZIONE CHE GARANTISCE I DIRITTI

Il Sole 24 Ore
Carlo Melzi d’ Eril e Giulio Enea Vigevani
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In un sol giorno il Parlamento europeo ha battuto due colpi, entrambi significativi per la garanzia dei diritti in Europa. Con ampie maggioranze, ha dato il via libera alla procedura che può condurre a sanzionare l’ Ungheria per la violazione dei valori fondamentali dell’ Unione (si vedano gli articoli a pagina 17) e ha approvato la proposta di direttiva sul diritto d’ autore nel mercato unico digitale. Sono solo due tappe di processi lunghi, i cui esiti sono ancora incerti. Mostrano, però, che l’ Europa non è solo mercato o finanza ma anche l’ arena ove si combatte la battaglia sui diritti dell’ uomo. Concentriamoci sull’ approvazione della direttiva sul copyright: essa non implica una rivoluzione copernicana nel rapporto tra editori e giganti della rete. Tale esito, per nulla scontato, costituisce però un’ inversione di tendenza, rispetto a un processo che si credeva inarrestabile e che aveva stretto autori ed editori in una tenaglia tra gli interessi delle multinazionali del web e quelli di chi pensa di poter avere subito e senza un costo ogni contenuto presente in rete. In altri termini, il voto di Strasburgo sembra aprire nuove prospettive nei rapporti tra creatori di contenuti e grandi aggregatori e, più in generale, nel riconoscimento anche in rete di principi e diritti patrimonio della nostra civiltà europea. In una prima prospettiva, si coglie la consapevolezza di un necessario riequilibrio economico rispetto a oggi, attraverso la «giusta e proporzionata remunerazione» per l’ uso digitale delle opere dell’ ingegno, anche per conferire una concreta dignità al lavoro intellettuale. Una seconda prospettiva riguarda il rapporto fra il diritto d’ autore e la rete. In altre parole, sul terreno della direttiva si gioca una battaglia tra chi vorrebbe adattare il diritto d’ autore alla rete, mantenendo il principio secondo cui l’ opera intellettuale è nella disponibilità del suo autore, e chi ritiene che tale diritto sia destinato a dissolversi nella rete, con il corollario per cui l’ opera una volta inserita nel circuito deve godere della libera fruibilità urbi et orbi. Come se la facilità tecnica nella diffusione dovesse condizionare i principi, per cui non resterebbe altro che prendere atto dell’ ineluttabilità di una libera (e gratuita) circolazione. L’ impressione, dunque, è che la conclusione positiva o negativa dell’ iter della direttiva possa contribuire a spostare di qualche grado i comportamenti collettivi e così anche a modificare il mondo del futuro, in un’ ottica di continuità con il passato o di netta rottura. E questo ci porta alla terza prospettiva, che riguarda, senza voler esagerare con le parole, la vita democratica, perché incide sulla salute del principale contropotere, l’ informazione professionale. Facciamo un passo indietro: la libertà di manifestazione del pensiero non è solo un diritto ma anche una condizione indispensabile affinché sia realizzabile il controllo del potere. Consentire ai giornali di essere economicamente indipendenti, in ragione del successo e quindi della qualità del loro lavoro, contribuisce a mantenerli liberi e a creare un contesto nel quale è più facile che nasca e prosperi una informazione autorevole. Insomma, pur senza estremizzare, l’ impressione è che intorno alla discussione sulla direttiva, in sede istituzionale ma anche nei dibattiti pubblici, non vi sia solo un confronto dettato da interessi economici tra due soggetti, giganti della rete ed editori, incomparabili quanto a forza. Vi è in corso un contraddittorio più generale fra due modelli di società. E, in quest’ ottica, se si vuole arginare l’ attuale crisi dello stato liberal-democratico, non si può essere passivi davanti alla crisi di uno degli elementi essenziali che ha sostenuto questo sistema: una stampa forte e libera. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sì Ue alla nuova legge sul copyright Ma Lega e M5S votano contro

Il Sole 24 Ore
Roberto Da Rin
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strasburgo Internet potrebbe non esser più lo stesso. I giganti del Web dovranno remunerare i contenuti prodotti da giornalisti e artisti. Il Parlamento europeo ha dato il via libera alla proposta di direttiva sui diritti d’ autore nel mercato unico digitale. La proposta sul Copyright è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni. Un risultato che va al di là delle aspettative delle vigilia, anche se l’ iter non è terminato. La normativa approvata ieri regola i rapporti tra detentori di diritti e grandi piattaforme. Gli utenti dovrebbero essere più tutelati. Gli eurodeputati hanno approvato alcune modifiche proposte dal relatore Axel Voss agli articoli 11 e 13, quelli contestati. L’ articolo 11 introduce l’ obbligo di pagamento per l’ utilizzo delle notizie da parte di Google, Facebook (ma non Wikipedia). La nuova direttiva sul copyright vorrebbe ribilanciare il rapporto tra le piattaforme online e gli editori, che subiscono uno “sfruttamento” dei loro contenuti senza incassare un adeguato compenso. Mentre l’ articolo 13 prevede che le piattaforme online esercitino un controllo, molto stretto, su tutto ciò che viene caricato dai loro utenti, così da escludere la pubblicazione di contenuti protetti dal diritto d’ autore. Il dibattito, aspro e serrato, ha contrapposto “regolatori” e “ultraliberisti”, con riferimento al web. Il voto della plenaria di ieri conduce verso il Consiglio europeo che dovrà varare un accordo comune. Lo scontro politico ed economico si riassume così: da una parte le posizioni dei produttori di contenuti (favorevoli alla riforma) e dall’ altra quelle delle piattaforme che agevolano la diffusione dei testi (contrari alla regolamentazione). La gratuità e la totale deregolamentazione producono distorsioni gravi e fake news, è la posizione di chi auspica da tempo una riforma. Frenare o limitare l’ accesso al web genera una limitazione delle libertà, è la replica di chi osteggia le nuove regole. Il relatore Voss, del Partito popolare europeo, ha dichiarato: «Una volta che le acque si saranno calmate, Internet sarà libero come lo è oggi, i creatori e i giornalisti guadagneranno una parte più equa degli introiti generati dalle loro opere, e ci chiederemo per quale motivo c’ è stato tutto questo clamore». Il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, ha dichiarato: «Il voto di oggi sul diritto d’ autore è una vittoria per tutti i nostri cittadini. Abbiamo scelto di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine all’ attuale far-west digitale. Non esiste vera libertà senza buone regole», E poi ancora: «Con il voto di oggi il Parlamento europeo ha dimostrato la sua determinazione a proteggere l’ inestimabile patrimonio di cultura e creatività che rappresenta la nostra stessa identità. Autori, artisti, designer, stilisti, giornalisti, scrittori, e tutto l’ indotto e i posti di lavoro generati grazie al loro genio e investimenti, devono essere difesi da diffusioni e riproduzione non autorizzata. Ogni anno la violazione di diritti d’ autore online costa migliaia di posti lavoro e miliardi di Pil all’ Europa». Di segno opposto la reazione del M5S, che ha votato contro, come del resto la Lega: «Questa è una pagina nera per la democrazia e la libertà dei cittadini. Con la scusa della riforma del copyright, il Parlamento europeo ha di fatto legalizzato la censura preventiva. Il testo approvato ieri dall’ aula di Strasburgo contiene l’ odiosa link tax e filtri ai contenuti pubblicati dagli utenti. È vergognoso! Ha vinto il partito del bavaglio», dichiara l’ europarlamentare del Movimento 5 Stelle Isabella Adinolfi, in linea con quanto detto dal vicepremier Luigi Di Maio. In attesa che il Consiglio d’ Europa approvi e dia seguito al provvedimento è opinione condivisa che le piattaforme digitali come YouTube, Facebook e altri aggregatori di notizie come Google News debbano comunque rimodulare le loro strategie. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Puntare sulla crescita con più notizie e inchieste

Il Sole 24 Ore
Fabio Tamburini
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Gli anni, purtroppo, passano in fretta e pochi ricordano un giornalista vero: Franco Serra, precursore dell’ informazione economica in Italia. Diceva Serra, mio primo maestro di giornalismo: «Vedi caro, la ricetta per un prodotto editoriale di successo, qualunque sia, è di pubblicare in ogni numero delle informazioni che non siano già conosciute». Può sembrare la scoperta dell’ acqua calda, ma non lo è. L’ impegno che prendo come direttore è di non dimenticare l’ insegnamento di Serra. Ogni giorno il quotidiano cartaceo e il sito on line in diretta daranno conto di notizie esclusive, inchieste, interviste, analisi. Possono farlo con una efficacia informativa straordinaria insieme alle altre testate editoriali del gruppo: dall’ agenzia di stampa Radiocor Plus a Radio 24. Tutte, fino a martedì scorso, hanno avuto come direttore Guido Gentili, un collega che stimo, che ringrazio e che resterà come direttore editoriale. Punto di forza sono le capacità professionali della redazione, che darà la spinta decisiva perché una squadra motivata, compatta e determinata fa la differenza. Inutile nascondere che negli anni le vendite hanno perso terreno e che l’ on line non è servito a parare il colpo. Tuttavia le condizioni per recuperare ci sono tutte anche se per l’ editoria non sono momenti facili. Un passaggio fondamentale, ampiamente condiviso con l’ azienda, dev’ essere chiaro: la sfida sono le iniziative di sviluppo, che significa puntare su prodotti editoriali eccellenti investendo sulla qualità. La volontà è giocare la partita come quotidiano libero e indipendente, presupposto fondamentale per guadagnare credibilità. I fatti sono veri o falsi. E quelli veri si pubblicano, senza reticenze o censure di schieramento. Poi, ben separate dai fatti, vengono le opinioni, meglio se contrapposte, in modo che il lettore possa metterle a confronto maturando convinzioni più fondate. Tutto questo tenendo conto sempre della necessità d’ inquadrare quanto accade in Italia nella dimensione internazionale. Qui c’ è molto da lavorare. Troppo spesso il giornalismo economico non dedica attenzione e spazi adeguati all’ informazione sui mercati esteri, che invece è cruciale. Solo la conoscenza di quanto accade nel mondo permette di fare scelte giuste e tempestive in Italia, condizione importante per un Paese le cui imprese hanno tenuto le posizioni e sono cresciute proprio grazie alle esportazioni. Roccaforte del Sole 24 Ore è l’ informazione su norme e tributi. È un settore che in passato ha dato al gruppo grandi soddisfazioni, ma i tempi cambiano. Quindi occorre studiare nuove formule editoriali per non essere spiazzati dalle trasformazioni che ci sono state e che hanno tolto al gruppo l’ esclusiva delle informazioni e dei commenti. Occorre percorrere strade diverse che confermino il giornale come punto di riferimento naturale dei liberi professionisti, che siano commercialisti, ragionieri, avvocati, consulenti del lavoro e così via. Uguale attenzione è necessaria per la finanza e l’ economia reale, che merita molto più spazio di quanto le venga dato dall’ informazione economica. Le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’ economia. Nonostante ciò troppo spesso mancano la volontà e la voglia di raccontare, nel bene e nel male, le storie aziendali, i personaggi, gli ostacoli e le contraddizioni che devono superare ogni giorno. Le realtà imprenditoriali diventate famose nel mondo sono un numero davvero elevato ma, incredibilmente, vivono in una sorta di limbo informativo. La dichiarazione d’ intenti è di porvi rimedio. L’ Italia è un grande Paese e merita un grande quotidiano economico. Viviamo in una realtà dove l’ informazione è diventata merce abbondante. Ma, troppo spesso, è un’ informazione superficiale se non, in tutto o in parte, inattendibile. Non dev’ essere così: l’ informazione dev’ essere certificata e il marchio del Sole 24 Ore è garanzia di qualità. Ma è anche necessario che si trasformi in conoscenza. Per questo le notizie devono essere selezionate, ragionate, collocate nel contesto giusto. Non può essere un’ informazione gratuita, perché la qualità va pagata. Un fronte d’ impegno è il risparmio gestito. Dopo la crisi epocale del 2007-2008 è stato uno dei pochi settori che è cresciuto a ritmi record. È necessario aumentare l’ informazione dalla parte dei risparmiatori, che frequentemente vedono sfumare i risparmi di una vita. Viene dedicata grande attenzione all’ acquisto dell’ automobile raccogliendo informazioni, verificandole, confrontandole. Molto meno tempo e molte meno energie, inspiegabilmente, sono dedicate agli investimenti dei risparmi. C’ è spazio per contributi informativi importanti. Vanno messi al primo posto rispetto della legalità, correttezza dei comportamenti, contrasto della corruzione. Un Paese avanzato non può avere una doppia contabilità, non può avere numeri ufficiali diversi da quelli reali. Occorre trasparenza, la cui premessa è che ci sia giustizia fiscale. Le tasse vanno pagate da tutti, ma non può essere considerato normale lavorare oltre metà dell’ anno per pagare imposte e balzelli vari. In un Paese avanzato, infine, non è accettabile che esistano territori fuori dal controllo dello Stato in cui il rispetto delle leggi risulta facoltativo. Mafia, camorra, ‘ndrangheta vivono perché hanno radici capillari nel tessuto economico. Non solo nel Mezzogiorno. Il modo migliore per contrastarle è non dimenticarsene facendo vivere ogni giorno la lezione di magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le piste del denaro sono quelle che risultano sempre rivelatrici ed è proprio il terreno su cui i giornalisti del Sole 24 Ore hanno competenze adeguate. Le stesse che permettono di avere certezze positive sul futuro del gruppo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli anni, purtroppo, passano in fretta e pochi ricordano un giornalista vero: Franco Serra, precursore dell’ informazione economica in Italia. Diceva Serra, mio primo maestro di giornalismo: «Vedi caro, la ricetta per un prodotto editoriale di successo, qualunque sia, è di pubblicare in ogni numero delle informazioni che non siano già conosciute». Può sembrare la scoperta dell’ acqua calda, ma non lo è. L’ impegno che prendo come direttore è di non dimenticare l’ insegnamento di Serra. Ogni giorno il quotidiano cartaceo e il sito on line in diretta daranno conto di notizie esclusive, inchieste, interviste, analisi. Possono farlo con una efficacia informativa straordinaria insieme alle altre testate editoriali del gruppo: dall’ agenzia di stampa Radiocor Plus a Radio 24. Tutte, fino a martedì scorso, hanno avuto come direttore Guido Gentili, un collega che stimo, che ringrazio e che resterà come direttore editoriale. Punto di forza sono le capacità professionali della redazione, che darà la spinta decisiva perché una squadra motivata, compatta e determinata fa la differenza. Inutile nascondere che negli anni le vendite hanno perso terreno e che l’ on line non è servito a parare il colpo. Tuttavia le condizioni per recuperare ci sono tutte anche se per l’ editoria non sono momenti facili. Un passaggio fondamentale, ampiamente condiviso con l’ azienda, dev’ essere chiaro: la sfida sono le iniziative di sviluppo, che significa puntare su prodotti editoriali eccellenti investendo sulla qualità. La volontà è giocare la partita come quotidiano libero e indipendente, presupposto fondamentale per guadagnare credibilità. I fatti sono veri o falsi. E quelli veri si pubblicano, senza reticenze o censure di schieramento. Poi, ben separate dai fatti, vengono le opinioni, meglio se contrapposte, in modo che il lettore possa metterle a confronto maturando convinzioni più fondate. Tutto questo tenendo conto sempre della necessità d’ inquadrare quanto accade in Italia nella dimensione internazionale. Qui c’ è molto da lavorare. Troppo spesso il giornalismo economico non dedica attenzione e spazi adeguati all’ informazione sui mercati esteri, che invece è cruciale. Solo la conoscenza di quanto accade nel mondo permette di fare scelte giuste e tempestive in Italia, condizione importante per un Paese le cui imprese hanno tenuto le posizioni e sono cresciute proprio grazie alle esportazioni. Roccaforte del Sole 24 Ore è l’ informazione su norme e tributi. È un settore che in passato ha dato al gruppo grandi soddisfazioni, ma i tempi cambiano. Quindi occorre studiare nuove formule editoriali per non essere spiazzati dalle trasformazioni che ci sono state e che hanno tolto al gruppo l’ esclusiva delle informazioni e dei commenti. Occorre percorrere strade diverse che confermino il giornale come punto di riferimento naturale dei liberi professionisti, che siano commercialisti, ragionieri, avvocati, consulenti del lavoro e così via. Uguale attenzione è necessaria per la finanza e l’ economia reale, che merita molto più spazio di quanto le venga dato dall’ informazione economica. Le piccole e medie imprese rappresentano la spina dorsale dell’ economia. Nonostante ciò troppo spesso mancano la volontà e la voglia di raccontare, nel bene e nel male, le storie aziendali, i personaggi, gli ostacoli e le contraddizioni che devono superare ogni giorno. Le realtà imprenditoriali diventate famose nel mondo sono un numero davvero elevato ma, incredibilmente, vivono in una sorta di limbo informativo. La dichiarazione d’ intenti è di porvi rimedio. L’ Italia è un grande Paese e merita un grande quotidiano economico.

C’ è Rete 4 con l’ antiberlusconiano Greco

Il Tempo
CARLO CONTI
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Sarà una nuova Retequattro nella quale dovranno convivere varie anime: dall’ informazione, nuovo trend sul quale si vuole specializzare la rete, alla divulgazione scientifica, fino alla telenovela. Molte sono le connotazioni di sinistra. E stata realizzata una campagna acquisti, nel corso degli ultimi mesi, che ha pescato anche nell’ ampio bacino Rai portando via all’ azienda di viale Mazzini personaggi come Gerardo Greco e Roberto Giacobbo. Piero Chiambretti è stato riposizionato da Canale 5 alla nuova Retequattro dove è arrivato anche Nicola Porro. Barbara Palombelli sta già conducendo, dallo scorso 3 settembre la nuova versione di Stasera Italia in access prime time, dal lunedì al venerdì. E poi c’ è la riconferma di Quarto grado che, nella prima serata del venerdì, si occupa di cronaca nera. Viene recuperato anche Mario Giordano al quale sarà affidato, dopo il Tg4 un programma dal titolo Fuori dal coro. Una rete generalista e polifonica è stata definita, nel corso della presentazione dei palinsesti, dai vertici dell’ azienda Mediaset e dallo stesso Piersilvio Berlusconi. Una rete per il cui restyling è stato realizzato un consistente investimento economico. I vertici Mediaset hanno ampiamente sottolineato che i risultati si vedranno soltanto a lunga scadenza: bisogna dare ai telespettatori il tempo di abituarsi. Una maniera per non incorrere subito in critiche e polemiche ovemai il nuovo riassetto, come è prevedibile, non rispondesse subito alle aspettative di ascolti della vigilia. Viene così distribuita la nuova squadra di conduttori: Nicola Porro esordisce il prossimo lunedì 17 settembre in prima serata alle 21.25 con Quarta repubblica. Sarà un talk show politico- economico che, giura il conduttore, avrà atmosfere differenti da Matrix perché la collocazione è in prima serata. E si avva le della presenza di Paolo Hendel nel ruolo di un personaggio sovranista e super populista. Gerardo Greco è stato uno dei personaggi Rai più noti nel settore dell’ informazione. Adesso è il direttore del Tg4 e questa sera esordisce con un programma dal titolo Viva L’ Italia. Contenuti e trend non sono ancora molto chiari: Greco ha annunciato che nella prima puntata ci sarà il ministro Bonafede. Viene anticipato che sarà un grande racconto dell’ Italia. I telespettatori hanno già visto Greco negli speciali da lui condotti in occasione della caduta del ponte Morandi a Genova. C’ èra ancora molto da migliorare. Ed eccoci a Roberto Giacobbo, altro personaggio Rai che ha cambiato casacca. Dopo aver assunto la carica di responsabile dei contenuti e autori del canale Focus, dal 30 ottobre propone Free dom- oltre il confine, in prima serata. Da quanto ha spiegato il conduttore in conferenza stampa, sarà una evoluzione dei suoi programmi precedenti. Ma sarà difficile per Giacobbo liberarsi dal marchio di Voyager che su Rai 2 lo ha accompagnato per anni. Molta curiosità anche sull’ appuntamento condotto da Piero Chiambretti a partire dal 17 ottobre in prime time: CR4- La Repubblica delle donne. Viene definito «un intrattenimento originale». Ma la sua dissacrante comicità “sinistrorsa” appare distante dal pubblico di Retequattro. Un pubblico che, nel corso degli anni, ha assistito a vari mutamenti della rete e che adesso, dovrà assorbirne un altro, forse il più difficile. Gli restano la telenovela Tempesta d’ amore e la soap opera spagnola Il segreto in onda il mercoledì in prima serata. Inoltre Berlusconi junior non esclude che i documentari sulla città di Firenze realizzati da Matteo Renzi, possano avere un futuro sulle reti Mediaset. Annuncia che, a partire da ottobre Retequattro, come tutti gli altri canali free dell’ azienda, sarà di nuovo visibile su Sky. Infine: «Una Rai senza presidente non rappresenta un vantaggio per noi», dice, ribadendo che questa è una questione totalmente politica, sulla quale non dà nessuna previsione né opinione.

orsi & tori

Italia Oggi
PAOLO PANERAI
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Solo l’ Europa, il Vecchio continente ma anche il più civile e democratico, poteva surrogare gli Stati Uniti, una volta patria dell’ antitrust e dei diritti, oggi assolutamente inqualificabile nell’ aver permesso che colossi come Google e Facebook potessero crescere a dismisura senza regole e anzi con licenza di rubare. L’ approvazione della direttiva sull’ introduzione del copyright per qualsiasi opera del cervello è un segno che l’ Europa, smarrita fra immigrazione, egoismi tedeschi, nazionalismi, unità economica incompiuta, può avere un ruolo fondamentale per la democrazia nel mondo. Non l’ assurdo tentativo americano di esportare la democrazia, come fosse Coca-Cola, via internet in Africa del Nord. La democrazia è maturità, rispetto del bene intellettuale, del prossimo e delle regole. Aver messo le premesse, primo continente al mondo, per impedire che il furto dei contenuti creati da centinaia di migliaia di giornalisti, artisti, intellettuali non possa più essere perpetrato, o se perpetrato punito, ricrea la speranza in un’ Europa unita. Ridà motivazione a tutti coloro che credono nella proprietà intellettuale, nelle regole, nel ruolo fondamentale per la democrazia dei giornali che producono il 95% dell’ informazione. Un bene come quello che il Parlamento europeo, con maggioranza bulgara, ha consegnato al mondo, alle Americhe e all’ Asia, e un bene prezioso per il futuro dell’ Europa stessa ma di tutto il mondo. Se molti, anche se non tutti, sapranno coglierlo. Class Editori, che è arrivato a uscire con la prima pagina bianca dei due quotidiani che gestisce, ringrazia tutti i lettori che hanno sostenuto le nostre idee. Grazie anche al presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, e a tutto lo staff della Federazione degli editori per la passione che hanno messo in questa fondamentale battaglia di democrazia e per quanto faranno per il recepimento della direttiva nella legislazione italiana. (riproduzione riservata) Paolo Panerai.

L’ Europa difende il copyright

Italia Oggi
FRANCO ADRIANO
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All’ Europarlamento è passata la direttiva sul copyright. La partita era aperta. Alla fine i big del web sono stati battuti. Il diritto d’ autore su internet sarà garantito. Il presidente del parlamento europeo Antonio Tajani ha alzato il calice: «La direttiva sul diritto d’ autore è una vittoria per tutti i cittadini. Oggi il Parlamento europeo ha scelto di difendere la cultura e la creatività europea e italiana, mettendo fine al Far west digitale». Gli eurodeputati italiani della Lega e del M5s hanno votato compatti contro la proposta di riforma. Il vicepremier Luigi Di Maio è insorto: «Una vergogna tutta europea: è stata introdotta la censura dei contenuti degli utenti su internet. Stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell». Un attacco giudicato «infamante» da Tajani. Di Maio ha aggiunto che M5s si batterà «nei negoziati tra i governi, in Parlamento europeo e nella Commissione europea» contro il provvedimento. L’ europarlamento ha approvato la direttiva copyright a Strasburgo con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astenuti. Apprezzamento dal presidente della Fieg (la federazione italiana degli editori) Andrea Riffeser Monti. «È un passaggio importante, che consente a questa legge di proseguire il suo iter di approvazione verso una più efficace difesa del diritto d’ autore nello spazio digitale contemporaneo». «È la vittoria della ragione, del buonsenso e della dignità del lavoro su chi punta a disarticolare la democrazia e le sue istituzioni attraverso l’ attacco all’ informazione e ai corpi intermedi. È un risultato che premia la battaglia comune dei sindacati dei giornalisti dei principali Paesi europei, a cominciare dalla Fnsi, e delle associazioni di editori, scrittori, autori cinematografici, attori, registi, film-maker», ha affermato in una nota, Raffaele Lorusso, segretario generale della federazione nazionale della stampa. Il Parlamento europeo ha approvato la relazione sullo stato di diritto in Ungheria che può condurre a sanzioni contro il Paese. Ora il dossier passa al Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dell’ Unione europea. Gli europarlamentari del M5s hanno votato contro Orbàn, gli alleati nel governo italiano della Lega, invece, hanno difeso il presidente ungherese. A margine del suo ultimo discorso sullo stato dell’ Unione europea, il presidente della Commissione Jean Claude Junker si è dichiarato allibito dai continui attacchi del viepremier Matteo Salvini all’ Unione europea, mentre ha dichiarato di non avere nessun problema di collaborazione con il premier Giuseppe Conte. Bisogna costruire «un’ Europa più unita e più forte», ha sottolineato Junker, «che sia un continente di apertura e tolleranza» e non diventi invece «una fortezza in un mondo che soffre». Dunque, «no alle frontiere interne» e «no al nazionalismo malsano». «Sì», invece, «al patriottismo illuminato». Juncker ha infine annunciato un rafforzamento della guardia costiera e di frontiera europea fino a 10 mila unità. Inversione dei ruoli alla Camera. La maggioranza M5s-Lega ha posto la fiducia sul decreto Milleproroghe e il Pd è salito sulle barricate. Secondo i democratici è illegittima la richiesta del voto di fiducia approvata dal Consiglio dei ministri prima della firma sul decreto del presidente Sergio Mattarella. Inoltre la Camera ha respinto la richiesta del Pd di sospendere l’ esame del decreto per permettere al governo di recepire il ripristino dei fondi per le periferie, frutto della recente intesa con l’ Anci. Un folto numero di deputati pd ha occupato l’ Aula di Montecitorio sedendosi anche sui banchi del governo. Il presidente Sergio Mattarella è sceso in difesa dei magistrati. «Non sono chiamati a seguire gli orientamenti elettorali, ma devono applicare la legge e le sue regole il cui rispetto è indispensabile, sempre, quale che sia l’ intenzione di chi si propone di violarle», ha affermato. «Nessuno è al di sopra della legge, neanche i politici», ha aggiunto. La replica del vicepremier Matteo Salvini, che si è sentito chiamare in causa è stata: «Il presidente ha ragione. Per questo io, rispettando la legge, la Costituzione e l’ impegno preso con gli italiani, ho chiuso e chiuderò i porti a scafisti e trafficanti di esseri umani. Indagatemi e processatemi, io vado avanti». Una lettera, con minacce di morte e con un proiettile da guerra, è stata recapitata al procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio. Nella missiva si fa riferimento al caso della nave Diciotti bloccata con migranti a bordo per 5 giorni. Sulla busta il simbolo dell’ organizzazione Gladio. Ieri, si è verificato un duro scambio di accuse tra i governi italiano e maltese sulla vicenda della Diciotti. «Ci sono bande di nigeriani che hanno occupato militarmente i territori. Sul litorale domizio fanno spaccio di droga e gestiscono la prostituzione». Così il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, dal palco della Festa dell’ Unità di Ravenna. Il presidente ha poi ribadito a margine di una conferenza stampa a Salerno: «Questa parte del problema il Pd la conosce o no e che cosa dice?» È stata presentata ieri dal presidente della Camera Roberto Fico la prima edizione del rapporto, a cura dell’ associazione indipendente Riparte il futuro e di I-Com (Istituto per la Competitività), sul peso della corruzione nella crescita economica. Il report, oltre a fornire una panoramica dei fenomeni corruttivi in Italia, approfondisce tre aspetti: la relazione tra corruzione e investimenti diretti esteri; la relazione tra corruzione e occupazione, in particolare giovanile, e, infine, l’ esistenza di una relazione tra corruzione e lo sviluppo digitale. La regione più colpita è il Lazio: una famiglia su cinque dichiara di aver avuto a che fare con la corruzione. Primi sì dei lavoratori all’ accordo con Arcelor Mittal per L’ Ilva. I lavoratori dello stabilimento di Cornigliano (Genova) del gruppo Ilva hanno approvato l’ accordo con più del 90%. Dei 1.474 aventi diritto, hanno votato in 1123. I voti favorevoli sono stati 1012 (90,1%), i contrari 99 (8,8%), le schede nulle 12. Anche i lavoratori dello stabilimento di Novi Ligure del gruppo Ilva hanno approvato l’ accordo: dei 730 aventi diritto, hanno votato in 510. I voti favorevoli sono stati 456 (89,4%), i contrari 52 (10,2%). Ora la parola passa a Taranto.

Di Battista asfalta su La7 Lilli Gruber dicendo delle cose ma il giorno dopo tutti i media gliene fanno dire delle altre

Italia Oggi
ALESSANDRA NUCCI
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Chi lunedì sera ha visto per intero Ottoemezzo è andato a letto pensando che l’ ex onorevole grillino Alessandro Di Battista aveva schivato brillantemente tutte le prevedibili provocazioni di Lilli Gruber per indurlo a mettere un cuneo fra M5s e Lega. Ma martedì mattina i titoli dei giornali formavano un coro. Ansa: Di Battista contro la Lega «Restituisca il maltolto». Repubblica: Fondi Lega, Di Battista attacca «Restituiscano il maltolto». Il Giornale: Di Battista attacca Salvini. Tg.com: Di Battista: «La Lega rispetti la sentenza». Libero: «Di Battista contro Salvini, ridacci i soldi che ti sei pappato». E online, Il sussidiario: Di Battista vs Salvini «Lega restituisca il maltolto». Eppure basta riascoltare la trasmissione: nessun attacco a Salvini, ma molti attacchi al Pd, e poi a Renzi, Berlusconi, De Benedetti, Caltagirone Esordisce la Gruber: l’ Onu manda gli ispettori, l’ Italia giudicata razzista per colpa di Salvini. Di Battista non abbocca «L’ Onu dovrebbe mandare gli ispettori in tanti paesi perché il razzismo dilaga. Negli Usa il muro l’ hanno tirato su per primi i democratici. Invito tutti a informarsi». La conduttrice si riposiziona: «Ma in questa collaborazione voi ci rimettete. Salvini occupa tutti gli spazi». Di Battista la spiazza con un attacco a Repubblica perché sostiene Salvini. «Salvini è pompato dal sistema mediatico, vergognosa in maniera particolare Repubblica, perché per gli editori impuri siamo pericolosi noi del M5s, non la Lega». La Gruber cala l’ asso: «Restiamo sulla Lega. La sentenza del riesame obbliga la Lega di Salvini a restituire i 49 milioni di rimborsi elettorali “illeciti o usati in modo illecito”… Salvini ha reagito dicendo che è un processo politico. Condivide? In altri tempi avreste fatto un putiferio per molto meno denaro…». È qui che Di Battista si dilunga, ma sui giornali non compare la conclusione: «Li deve restituire fino all’ ultimo centesimo. Se fossi un militante della Lega sarei il primo a chiedere alla Lega di restituire i quattrini, perché sarebbero quattrini miei e degli altri militanti. Iniziassero magari i deputati trombati della Lega a restituire gli assegni di fine mandato [] Ma queste cose le posso dire io, che mi sono sempre comportato così. Trovo ridicolo che Renzi e il Pd, che si sono intascati centinaia di milioni di euro di rimborsi elettorali purtroppo legali, ma illegali politicamente perché ci fu un referendum, diano la morale alla Lega…». «Ma perché Di Maio è così timido e non altrettanto perentorio come lei?», insiste ancora la giornalista italiana preferita dai Bilderberger, che inserisce velocemente un «non c’ entrano i rimborsi elettorali di altri partiti, la magistratura ha indagato». Di Battista imperterrito di rimando: «No, quei quattrini li c’ entrano politicamente, dicevo, non è una questione legale: ricordo che ci fu un referendum per abolire il finanziamento pubblico ai partiti, poi l’ hanno trasformato in rimborsi elettorali. Credo che il Pd si sia intascato più di un miliardo di euro! (il tono è esclamativo) Questo per dire che è una questione politica». Dopo di che rientra disciplinato nel tema: «Ho sentito più volte Luigi e Bonafede dire che la Lega li deve restituire. Mi sembra una cosa normalissima. Siamo in piena sintonia con Luigi». Gruber riparte, critica Conte che vorrebbe fare il concorso a cattedra. Ma anche qui Di Battista la delude. «Mi sembra una cosa bella, una cosa normale, ha fatto domanda prima. Mi sembra risibile che tutti i giornaloni diano tutto questo spazio a questa vicenda». Gruber piccata: «Quali giornaloni?!». Dibba: «Viene schiaffata questa roba in prima pagina perché c’ è un tentativo incredibile di delegittimare questo governo legato alla nazionalizzazione di Autostrade, perché con Autostrade e con la pubblicità ci hanno mangiato un sacco di giornali». Gruber: «Ma quanto potete andare avanti a dare la colpa a chi vi ha preceduto?» (non nomina il Pd) e «lei è sempre stato fra quelli che hanno chiesto ai giornalisti di fare il loro mestiere». Di Battista: «L’ opposizione sta dalla parte del capitale. È sbagliato che fra gli editori ci siano Caltagirone o De Benedetti che usano i loro giornali per fare politica». Gruber ancora sulla Lega: «Vi supera, i consensi sembrano premiare più la Lega che voi. Lo dice anche lo scrittore Andrea Camilleri». E Dibba, «Certe ideologie che sostiene Camilleri per noi sono obsolete». Arrivati al tema della Diciotti il boomerang è clamoroso: «Io non credo più che l’ accoglienza sia la risposta! Tra l’ altro mi ha indignato vedere quella passerella dei politici sulla nave! E adesso che nessuno sa dove sono finiti quei disgraziati, i politici non si vedono più! Allora gli interessava come agli attori di Hollywood, per avere i riflettori, non gli interessava seguirne la vita. Io all’ accoglienza come risposta non ci credo più, credo che bisogna intervenire sulle cause, da dove partono i migranti! Per questo mi sporco le mani, come faccio qui [Di Battista era in collegamento dal Guatemala, ndr] con reportage, oppure zappando la terra L’ accoglienza oggi è assistenzialismo, e l’ Africa, l’ America Latina, il Centro America hanno bisogno di sovranità, autonomia e indipendenza, non di assistenzialismo!». Ma Gruber non raccoglie e cambia angolatura: «Quindi quando Salvini si iscrive al movimento di Steve Bannon, l’ ex ideologo di Trump, molto a favore della distruzione dell’ Unione europea questo non vi crea imbarazzo? Lei c’ è stato, ha visto cos’ è l’ America di oggi». Ma Dibba: «Sì, ho visto pure, parlando qui con le persone al confine, quanto sia stato il paladino del Partito democratico Obama a finanziare con quattrini pubblici il muro, o l’ ex paladino di Veltroni, Bill Clinton, a promuovere l’ operazione Gatekeeper, che ha purtroppo causato morte ai confini con gli Stati Uniti d’ America. Se certe persone che votavano Obama hanno votato Trump, più che criminalizzarli io mi domanderei il perché». Ma Bannon? lo richiama la Gruber. «Chiaramente è uno che c’ ha cervello perché ha fatto vincere Trump», è la risposta. «E penso che se l’ Europa si dovesse disgregare è colpa di chi sta distruggendo i diritti economici e sociali degli europei, non dell’ ideologo che ha fatto vincere Trump». Orban? «Anche Macron si comporta come Orban: chiudono le frontiere. Orban non può essere mio alleato ma l’ Europa non ha messo bocca quando la Francia ha bombardato la Libia, ci sono stati morti, rifugiati… Poi Orban è legittimato perché è stato votato democraticamente, ma siccome ha una politica contro l’ Europa gli si vota contro. L’ Europa se continua su questa strada morirà di ipocrisia». Ribatte Gruber: «L’ Ue non ha competenza primaria sulla politica nazionale L’ Italia allora è stata alleata della Francia», ma sventola la mano come per togliere l’ argomento dal tavolo. Conclusione di Dibba: «Il Movimento continui così: intransigenza, barra dritta, rinuncia ai quattrini. Se tornassi, sarei sempre in sintonia con Luigi, gli voglio bene, la pensiamo esattamente nello stessissimo modo». Per chi non credesse alla mistificazione dei media del giorno dopo può sempre rivedere la trasmissione al link qui sotto: http://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/di-battista-ritorno-alle-origini-10-09-2018-249636.

Copyright, ok dal Parlamento Ue

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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«Abbiamo trovato una strada che consenta agli editori di guardare direttamente in faccia le grandi piattaforme online». Così Axel Voss, l’ eurodeputato relatore del progetto di riforma del diritto d’ autore online ha commentato l’ approvazione da parte del parlamento Ue della proposta di direttiva. Nel testo si prevede che i giganti del web dovranno remunerare i contenuti prodotti da artisti e giornalisti, mentre rimarranno escluse da quest’ obbligo le start-up e le piccole piattaforme, così come non ci sarà alcuna tassa sui link accompagnati da singole parole (anziché da estratti del testo) che si potranno condividere liberamente. Un passo importante quello di ieri, anche se non definitivo. Il Parlamento, con una maggioranza netta che in molti non si aspettavano (438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni), ha infatti adottato la propria proposta che dovrà negoziare ora con il Consiglio, ovvero i ministri dei paesi membri. A luglio, dopo il via libera della Commissione giuridica del Parlamento, la plenaria si era spaccata su due articoli e per questo il testo era stato rimandato a settembre. I due articoli, l’ 11 e il 13, riguardavano il primo l’ introduzione di un’ equa remunerazione per lo sfruttamento dei contenuti online (o delle loro anteprime) da parte delle piattaforme digitali, il secondo l’ obbligo per le piattaforme di condivisione dell’ introduzione di una funzione di controllo sui contenuti (in particolare video) per evitare la pubblicazione di materiale protetto dal diritto d’ autore. Ebbene il Parlamento ha mantenuto queste norme apportando alcune modifiche. Intanto si conferma la responsabilità delle piattaforme e degli aggregatori riguardo alle violazioni del diritto d’ autore e si ribadisce la necessità di un pagamento ai titolari dei diritti anche per gli estratti degli articoli, i cosiddetti snippet che per esempio utilizza Google News. Il testo prevede che i giornalisti stessi, e non solo gli editori, beneficino di questa remunerazione. Per incoraggiare l’ innovazione e garantire la libertà di espressione, però, nel testo si specifica che le piccole e micro imprese sono esonerate da questi pagamenti (pur dovendo rispettare il diritto d’ autore) e la semplice condivisione di link agli articoli insieme a «parole individuali» sarà libera. Una cosa è insomma pubblicare un riassunto anche in poche righe degli articoli, altro un semplice link. Inoltre, le piattaforme dovranno istituire meccanismi di reclamo rapidi gestiti da personale in carne ed ossa a cui si possa fare ricorso contro l’ eliminazione di un contenuto. Da queste norme sono inoltre escluse enciclopedie online come Wikipedia e siti di software open source. Infine sono stati rafforzati i diritti di negoziazione di autori e artisti (remunerazione supplementare da chi sfrutta le loro opere ecc.). Durante la conferenza stampa Voss ha ricordato le pressioni arrivate nei mesi precedenti dalla lobby online, «ma questa riforma», ha detto, «non deve essere vista come un contrasto fra piattaforme e titolari del diritto d’ autore. Abbiamo fatto in modo che si possa riscuotere ciò che semplicemente è già sancito dalle normative in vigore», rivolgendo poi un «invito alle piattaforme a partecipare alla discussione. Finora hanno fatto molto poco. Si sono date a una campagna che constava anche di affermazioni false. Noi non vogliamo una battaglia, mettere i bastoni fra le ruote a nessuno, abbiamo semplicemente voluto dare ai titolari la possibilità di far valere i propri diritti su internet». Il relatore ha inoltre spiegato che la direttiva potrà essere applicata in maniera differente fra i paesi ma che nella sostanza si tratterà di trovare modalità di negoziazione fra editori-proprietari di contenuti e grandi player online. Il presidente della Fieg, la Federazione italiana degli editori, Andrea Riffeser Monti, ha parlato di «un passaggio importante, che consente a questa legge di proseguire il suo iter di approvazione verso una più efficace difesa del diritto d’ autore nello spazio digitale contemporaneo» sollecitando un’ approvazione in tempi rapidi, mentre da Strasburgo, il presidente dell’ Enpa (European newspaper publishers’ association), Carlo Perrone, ha evidenziato come la riforma «preserverà l’ indipendenza dei giornali per le generazioni future». Reazioni positive da tutte le associazioni che raggruppano i creatori di contenuti, dalla Fimi all’ Aie a Univideo e Confindustria Radio Televisioni. Critico il vice premier Luigi Di Maio che parla di «una vergogna tutta europea: il Parlamento europeo ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su internet». Dichiarazioni, queste, che il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, ha definito «infamanti». © Riproduzione riservata.

Audipress, Ernesto Mauri nominato presidente

Italia Oggi

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Ernesto Mauri è il nuovo presidente di Audipress, la società che monitora l’ andamento e le abitudini del lettorato di quotidiani e periodici in Italia. L’ a.d. del gruppo Mondadori è stato eletto ieri dall’ assemblea dei soci, in sostituzione di Maurizio Costa. Per il prossimo biennio 2018-2019, assieme a Mauri, fanno parte del consiglio di amministrazione i consiglieri in quota Fieg (Federazione editori giornali) Marco Arduini, Alessandro Bompieri, Francesco Dini, Uberto Fornara, Domenico Galasso, Massimo Ghedini, Carlo Mandelli, Davide Mondo, Domenico Nocco, Debora Peroni, Luigi Vanetti, e Raimondo Zanaboni. Nel cda siedono anche i membri espressione di Upa (che riunisce le aziende investitrici in pubblicità): Filippo De Caterina, Valerio Di Natale, Leonardo Lambertini, Giuseppe Lavazza, Giovanna Maggioni, Raffaele Pastore e Carlotta Ventura. Così come quelli di Assap Eugenio Bona, Stefano Del Frate, Sandra Grifoni, Graziana Pasqualotto e infine quelli Unicom Davide Arduini e Gianluca Bovoli.

Mediaset, nasce la nuova Rete4

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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«Se tutto va come deve andare, da ottobre tutte le reti Mediaset saranno fruibili su Sky»: parole del vicepresidente esecutivo e amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, che ieri a Roma ha presentato il nuovo palinsesto di Rete4. Inoltre, «stiamo lavorando a un progetto paneuropeo che faccia crescere ulteriormente Mediaset oltre che broadcaster in Italia e Spagna. Ci stiamo lavorando e ci crediamo». Per quanto riguarda l’ andamento della pubblicità nel terzo trimestre «il mercato è difficilissimo, tanto per cambiare; però noi andiamo meglio del mercato». È andato «benissimo il periodo del mondiale, agosto bene rispetto all’ anno scorso», si è limitato ad aggiungere l’ a.d. Intanto, procede l’ iter per la cessione della piattaforma Premium a Sky: «Penso che eserciteremo l’ opzione» di cessione della piattaforma della pay tv Premium a Sky, grazie all’ accordo di fine marzo che comprendeva anche l’ esercizio di una opzione put a favore di Mediaset entro fine anno. «Tutto procede in quella direzione, ma abbiamo tempo», ha continuato Pier Silvio Berlusconi. «Il marchio Premium rimarrà» per il momento poi «in futuro si vedrà. È un mondo molto in evoluzione». Stimolato dalla presenza negli studi televisivi Palatino di Lucio Presta, il produttore dei documentari dedicati alla città di Firenze con protagonista l’ ex presidente del consiglio Matteo Renzi, Berlusconi jr ha detto: «A me piacerebbe avere il documentario di Renzi, perché lo stimo e perché è un fatto curioso. Appena avremo l’ opportunità di vedere il prodotto capiremo se verrà trasmesso sulle nostre reti, io spero di sì», ha aggiunto. Per Rete4 adesso è il momento del rilancio, anche grazie a un restyling dello storico logo: per Berlusconi jr, sarà una «rete polifonica» con una sfida «editorialmente importante e bellissima». Nei dettagli è entrato il direttore Sebastiano Lombardi: «Tutto nasce dal progetto di rimettere in piedi una rete di piena identità, per abbracciare tutte le declinazioni della realtà: dalla cronaca alla fiction. Hanno ironizzato sul fatto che trasmetteremo Il segreto ma in una rete generalista ci sta e ci deve essere l’ intrattenimento. Non vogliamo tradire il pubblico che ci apparteneva ma lo abbiamo abituato nel corso degli ultimi anni a un nuovo linguaggio e a temi complessi. Questo pubblico ce lo teniamo stretto e da lì andiamo avanti». Gerardo Greco crede molto nel suo impegno televisivo sotto le insegne di Mediaset nei panni del direttore del Tg4, e non teme la scelta del titolo W l’ Italia per il suo programma serale del giovedì, contestato da Rtl 102,5 che ne rivendica la primogenitura, spingendo l’ editore dell’ emittente radiofonica Lorenzo Suraci a inviare una diffida: su questo tema, il direttore generale dell’ informazione Mediaset Mauro Crippa ha risposto dicendo che la questione è in mano ai legali. E il nome, per ora, rimane quello. Nella redazione del serale di Greco, tra l’ altro, approda da Panorama la giornalista Lucia Scajola, come inviata. L’ arrivo di Roberto Giacobbo porta grandi novità: «Sarà la versione 3.0 dei miei programmi. Punteremo sulla qualità delle immagini, sarà girato tutto in 4k. Abbiamo curato tutto nei minimi particolari anche il lettering che è il più adatto per i dislessici. Nella divulgazione questo è importante». Piero Chiambretti non perde l’ occasione per scherzare, anche annunciando la sua nuova trasmissione, in onda dal 17 ottobre, tutti i mercoledì in prima serata, con il titolo CR4 – La Repubblica delle donne: «Sì, proprio loro, le donne, saranno protagoniste assolute, volevamo avere per la prima puntata un uomo che piace molto alle donne, Luigi Di Maio, mentre è in volo con l’ aereo di Matteo Renzi verso Matera». La rete scommette sui talk di attualità, a cominciare da Stasera Italia: dal lunedi al venerdi la conduzione è affidata a Barbara Palombelli, sabato e domenica tutto sarà nelle mani di una coppia inedita formata da Giuseppe Brindisi e Veronica Gentili, quest’ ultima strappata alla concorrenza con un contratto in esclusiva. A portare l’ economia e la politica in prima serata, dal 17 settembre, ci penserà invece Nicola Porro, con Quarta Repubblica, un talk show ideato per approfondire i temi caldi della settimana. E proprio da Porro nei panni dell’ opinionista fisso sarà presente il critico d’ arte e sindaco di Sutri Vittorio Sgarbi, per il quale al momento non è prevista nessuna trasmissione, a cominciare da quella che lui stesso aveva annunciato, Sgarbi quotidiani. E poi con la cronaca torneranno volti storici del canale, come Gianluigi Nuzzi e Alessandra Viero con Quarto grado, appuntamento ormai tradizionale che riprende le trasmissioni da domani, ogni venerdì: «È meraviglioso lavorare con un editore che continua a investire su news, informazione e intrattenimento», ha detto Nuzzi. Crippa ha voluto definire la nuova Rete4 come una «scatola delle meraviglie, un miracolo tecnico e produttivo portato a compimento da una grandissima squadra». Sottolineando che per contare i primi successi negli ascolti «ci vorrà pazienza, tanta pazienza». E qualche mese a disposizione. Una squadra, quella della rete guidata da Lombardi, formata in gran parte dall’ agenzia Visverbi, sotto gli occhi vigili di Barbara Castorina e Valentina Fontana.

Io Donna sarà un femminile al 100%: più moda in formato extra dal 29 settembre

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Orgoglio rosa per il nuovo Io Donna targato Danda Santini: il settimanale in edicola il sabato col Corriere della Sera vuole essere un settimanale femminile a tutti gli effetti, senza quell’ ansia da prestazione che porta spesso gli allegati femminili dei quotidiani d’ attualità a essere un po’ troppo newsmagazine. Seguendo questo filo rosa, poi, le prossime novità tra i periodici Rcs sono attese da Amica. Dopo la direzione di Diamante D’ Alessio e l’ arrivo dallo scorso marzo dell’ ex direttore di Elle (Hearst), secondo quanto risulta a ItaliaOggi, per il nuovo corso di Io Donna al debutto il 29 settembre la ricetta editoriale punta sulla moda (settore da cui arriva Santini), che non solo viene portata avanti nel giornale, nella prima parte della foliazione, ma è sempre alla moda che verrà riservata la gran parte delle copertine. A conferma le parole del direttore che in redazione ripete spesso: «Se gli uomini parlano sempre del campionato di calcio, le donne possono parlare più spesso di moda senza timore di apparire frivole». Moda ma non solo, però, perché avrà più spazio anche la bellezza, la cura del corpo femminile e verrà introdotta una rubrica delle lettere (la foliazione totale del primo numero è sulle 450 pagine). Insomma, Santini e l’ editore Urbano Cairo vogliono meno personaggi, che fa tanto newsmagazine, preferendo mantenere la parte centrale del giornale sull’ attualità ma ampliando i temi legati alla cucina (con meno ricette e più spunti sulla cosiddetta arte creativa della tavola), alle case (poche quelle di design, di più quelle con un’ impronta femminile), senza dimenticare il binomio lavoro&carriera. Comunque, se tanta moda sarà, vanno di pari passo le parole di Urbano Cairo, ieri a Milano durante la presentazione del Festival dello sport, sull’ adozione di un formato più grande per il femminile del Corsera. Il formato diventerà infatti uguale, sempre secondo quanto risulta a ItaliaOggi, a quello degli altri magazine Rcs come Amica, Living e Style. In aggiunta migliora la qualità della carta e soprattutto viene adottato un sistema di stampa che colga maggiormente le gradazioni delle fotografie. Oltre che delle campagne pubblicitarie, visto che il focus sulla moda può stimolare maggiormente la raccolta, proprio in un periodo in cui il settore dei settimanali è in movimento, tra l’ altro, per l’ arrivo di Elle. In casa Rcs, infine, il nuovo corso di Io Donna (295,2 mila copie complessive carta+digitali, secondo gli ultimi dati Ads di luglio) è solo un tassello nel percorso di rinnovo dei vari periodici. Amica sarà verosimilmente la prossima testata a presentare novità (Santini ne è il direttore editoriale, Emanuela Testori quello operativo). Non sono esclusi nemmeno nuovi magazine nel medio-termine. Precedenti tappe sono stati invece (lo scorso weekend) il debutto di Dresscode, filiazione del maschile Style, e la definizione del progetto di Cook (vedere ItaliaOggi del 20/7/2018), mensile sul cibo al battesimo dell’ edicola mercoledì.

Rcs, la pubblicità cresce del 2%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Tra gennaio e agosto la raccolta pubblicitaria del gruppo Rcs è cresciuta del 2% rispetto allo stesso periodo del 2017, mentre su La7 iniziano a sentirsi i benefici effetti del boom di ascolti: il primo semestre si era chiuso con un +1,5%, ma in luglio la raccolta è salita del 4% e in agosto c’ è un balzo addirittura del +18% rispetto allo stesso mese 2017. Certo, il periodo estivo non è quello più carico di pubblicità, a livello assoluto vale pochi milioni, però la tendenza è molto buona. Peraltro, in casa Corriere della Sera, sono in arrivo due novità che contribuiranno ad allargare il numero di potenziali investitori commerciali. Poiché, come spiega Urbano Cairo, presidente di Rcs MediaGroup, a margine della presentazione del Festival dello sport (organizzato da Gazzetta dello Sport a Trento dall’ 11 al 14 ottobre), il 19 settembre esce Cook, il nuovo periodico di cucina allegato al Corriere della Sera e diretto da Angela Freda, mentre il 29 settembre arriva il nuovo Io Donna targato Danda Santini. «E se le cose in Rcs andranno bene come nei primi sei mesi dell’ anno», aggiunge Cairo, «la distribuzione del dividendo potrebbe essere una realtà. Ma è questione che spetta al consiglio di amministrazione e che deve poi essere ratificata dalla assemblea dei soci». L’ editore di Rcs e di La7 affronta pure la questione del copyright in discussione a Bruxelles: «Una battaglia sacrosanta, condivisa anche dalle testate di Rcs. È giusto che gruppi con tanti dipendenti e tanti giornalisti non vedano i propri contenuti saccheggiati da questi over the top che non pagano il diritto di copyright. E ricordiamo che il settore dei media è pure garante della libertà e della democrazia». Essendo stato tra i pochi presidenti di società di calcio (il Torino) favorevole al progetto, poi bocciato, degli spagnoli di Mediapro sui diritti tv della Serie A, Cairo commenta anche il debutto dei match di campionato sulla piattaforma in streaming Dazn: «Dazn ha avuto un inizio difficile, ma può accadere. Stanno lavorando alacremente per risolvere i problemi, ma è nel loro interesse che è anche quello dei loro abbonati. Credo siano già stati fatti passi avanti su numeri molto importanti. Sono fiducioso che le cose possano essere sistemate tutte quante nel modo migliore». Il calcio italiano, in generale, non sta vivendo un grande momento, tra i risultati deludenti della Nazionale e una Figc che non riesce a darsi un presidente: «Non ho mai fatto nomi, ma il calcio italiano ha di sicuro bisogno di innestare una marcia diversa», risponde Cairo a chi ipotizza Giuseppe Marotta come possibile prossimo presidente della Figc. «Non mi sono occupato di nomi, ho letto dai giornali varie ipotesi. Io credo che il calcio italiano abbia bisogno di una rinascita, di una progettualità a breve-medio periodo. Se la Croazia, con 4 milioni di abitanti, arriva in una finale del Mondiale, noi dobbiamo innestare una marcia diversa. Senza timore di copiare i paesi che invece hanno fatto le cose per bene. Mi chiedo: la Gran Bretagna vinse una sola medaglia d’ oro alle Olimpiadi del 1996, e 20 anni dopo, a Rio, nel 2016, ne ha vinte 67, arrivando seconda nel medagliere. Come hanno fatto?». La risposta arriva a stretto giro da Giovanni Malagò, presidente del Coni, e ospite alla presentazione del Festival dello sport: «La Gran Bretagna, semplicemente, ha deciso di non finanziare più tutti gli sport. Hanno scelto quelli dove c’ erano prospettive, per esempio il ciclismo su pista, hanno preso l’ intero budget pubblico affidandolo a un manager che ha dirottato le risorse solo su alcune discipline. È semplicemente un modello diverso. Ma se una ragazza che vive a Londra vuole giocare a volley, semplicemente non può. Così come il basket, è sparito in Gran Bretagna. In Italia, invece, il Coni deve finanziare 387 discipline, non esiste nessun paese al mondo che ne finanzia tante. Il Coni ha 12 milioni di tesserati, è il più grande partito italiano. Come dicevo, è questione di modello: si vuole privilegiare il medagliere oppure la diffusione di tutti gli sport in maniera la più capillare possibile? Col modello attuale, lo ribadisco, l’ Italia fa miracoli nello sport mondiale». © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Verizon nomina K. Guru Gowrappan ceo di Oath. Verizon Communications ha annunciato che dal 1° ottobre K. Guru Gowrappan, da aprile chief operating officer di Oath, diventerà nuovo ceo di quest’ ultima riportando al ceo di Verizon Hans Vestberg. L’ attuale ceo Tim Armstrong aiuterà l’ azienda nella transizione come consulente strategico prima di lasciare l’ azienda alla fine del 2018. Oath è la società che ha riunito le attività di Aol e Yahoo e controlla anche HuffPost, mentre Gowrappan è un ex manager di Alibaba. Nei giorni scorsi si era parlato di divergenze fra Armstrong e il vertice di Verizon sulla gestione della società. Rai4, non rinnovato il contratto con Sky per il canale 104. A partire da oggi Rai4 non sarà più visibile su Sky. Il contratto triennale per la collocazione del canale sul numero 104 della piattaforma satellitare è infatti in scadenza e non sarà rinnovato. Lo ha annunciato viale Mazzini aggiungendo che Rai4 resta visibile sul canale 21 del digitale terrestre, su Rai Play e Tivùsat ai canali 10 e 110. Al numero 104 dovrebbe andare Rete 4, dopo che già Canale 5 è tornato al numero 105 della piattaforma satellitare. Comcast modifica l’ offerta per Sky e ottiene lo 0,29% del capitale. Comcast ha esteso per la seconda volta il periodo di accettazione della sua proposta da 25,9 miliardi di sterline (29 miliardi di euro) in contanti per Sky al 6 ottobre. Il gruppo, che si sta contendendo il controllo di Sky con 21st Century Fox da aprile, ha dichiarato di aver ottenuto l’ approvazione per 5,2 miliardi di azioni di Sky, pari allo 0,29% del capitale dell’ azienda. At&t prevede una maggiore redditività dopo l’ acquisizione Time Warner. L’ amministratore delegato di At&t, Randall Stephenson, ha dichiarato che si aspetta per l’ anno prossimo un aumento della redditività di alcune divisioni, a seguito dell’ acquisizione della compagnia di media, Time Warner. L’ acquisizione di Time Warner ha dato alla compagnia il controllo di Warner Bros film, i canali televisivi di Turner e il servizio premium di Hbo, ma ha anche lasciato un debito netto di 180 miliardi di dollari (155,37 mld di euro). Frequenze tv, in Gazzetta le aree geografiche per il rilascio della banda 700. È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il provvedimento con cui si suddivide il territorio nazionale in quattro aree geografiche «allo scopo di definire un calendario nazionale che individua le scadenze della tabella di marcia ai fini dell’ attuazione degli obiettivi della decisione (Ue) 2017/899, del 17 maggio 2017», ovvero il passaggio della banda 700 dalle televisioni alla telefonia per la realizzazione delle reti 5G. Rocco Siffredi per il debutto degli Xbiz Europa Awards 2018 i premi cinematografici dell’ intrattenimento per adulti. Rocco Siffredi ha condotto martedì la serata di premiazione della prima edizione degli Xbiz Europa Awards: i riconoscimenti internazionali che vengono assegnati, durante tre distinti festival annuali, dal settore mondiale della cinematografia per adulti. La premiazione delle eccellenze europee si è tenuta a Berlino e il pornodivo è stato l’ uomo scelto per timonare il debutto della prima edizione nel Vecchio continente della kermesse. La grande boxe su Dazn. La grande boxe arriva su Dazn. La piattaforma sportiva di streaming live e on demand trasmetterà infatti, in esclusiva per l’ Italia, alcuni degli incontri di boxe più importanti dei prossimi mesi, grazie agli accordi con Matchroom Boxing e Showtime Boxing. Il primo grande appuntamento è il rematch tra Saúl «Canelo» Alvarez e Gennady Golovkin, in programma nella notte tra sabato 15 e domenica 16 settembre.

Copyright, l’ Europa vota la riforma un freno ai giganti di Internet

La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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Dal nostro inviato strasburgo Scesa la pressione delle multinazionali, il Parlamento europeo si è espresso in favore della direttiva sul copyright. Il testo dopo mesi di violenti scontri politici, segnati da una pressione senza precedenti della Silicon Valley anche con diversi casi di minacce agli eurodeputati, ieri è passato nell’ aula di Strasburgo con 438 voti contro 226. Ribaltando il risultato di luglio, quando i parlamentari Ue avevano rimandato il testo. Da allora molte cose sono cambiate. Innanzitutto, racconta chi ha seguito da vicino la direttiva, i big della Rete si sono resi conto del danno di immagine provocato da una lobby aggressiva, mollando leggermente la presa. E così – non senza significative battaglie sotterranee – gli equilibri in aula sono cambiati. Ora il testo passa al negoziato finale tra Parlamento, Consiglio (governi) e Commissione Ue. Portarlo a casa definitivamente resta comunque una corsa contro il tempo visto che decadrà con le elezioni europee del 26 maggio. Gli articoli chiave della direttiva sul diritto d’ autore sono l’ 11 e il 13. Il primo riconosce un giusto compenso a editori e giornalisti per l’ utilizzo da parte dei motori di ricerca come Google delle loro notizie e la sottoscrizione di una licenza da parte delle piattaforme come Youtube per caricare contenuti audio e video. Il secondo dà alle piattaforme la responsabilità del controllo sui contenuti pubblicati. Per gli utenti non cambierà nulla, non dovranno pagare per i servizi. A luglio il Parlamento aveva respinto il mandato a negoziare la versione finale della direttiva al relatore Axel Voss (Cdu-Ppe) con 318 voti. Ieri gli equilibri sono cambiati. Prima i deputati hanno approvato una serie di emendamenti facendo passare quelli chiave, ovvero le modifiche degli articoli 11 e 13 firmati dallo stesso Voss. Poi l’ insieme del testo. Decisivo il fatto che al contrario di due mesi fa ieri la plenaria fosse piena per il discorso sullo stato dell’ Unione di Juncker e del voto su Orbán. E poi c’ è stato lo spostamento di diversi settori dell’ aula. In massa hanno cambiato voto i conservatori (Ecr), ma anche nel Ppe il voto a favore del testo è stato molto più compatto su spinta del governo tedesco e grazie agli emendamenti di Voss: se a luglio i “sì” erano stati 129 su 219, ieri sono stati più di 200. In generale tutti i gruppi, anche quelli che erano compatti contro la direttiva, si sono spaccati. Tra l’ altro a Strasburgo si racconta di un intervento di Silvio Berlusconi, che avrebbe convinto Orbán a girare in favore della direttiva gli 11 voti di Fidesz in cambio del sostegno azzurro contro il rapporto Sargentini sullo stato della democrazia in Ungheria. Ma a cambiare idea sono stati anche molti deputati socialisti (Pse) e della sinistra unitaria (Gue). Lega e M5S sono rimasti compatti sul no. Gli editori europei hanno salutato il voto parlando di «grande giorno per la stampa indipendente e per la democrazia». Commenti positivi anche dall’ industria musicale, dagli autori e da tutto il panorama della cultura. Deluse le multinazionali del web. Il violento scontro politico delle ultime settimane dopo il voto non si è placato. Da Roma Luigi Di Maio (gli emendamenti M5S sono stati ignorati dai colleghi) si è scagliato contro l’ Europarlamento: «È una vergogna, stiamo entrando in uno scenario da Grande Fratello di Orwell ». Il vicepremier ha insistito sulla creazione della (inesistente) “link tax” a carico degli utenti e ha accusato Strasburgo di avere introdotto «la censura preventiva». Il presidente del Parlamento, Antonio Tajani, ha risposto: «Minacciare l’ unica istituzione Ue direttamente eletta dai cittadini è da analfabeti della democrazia». © RIPRODUZIONE RISERVATA VINCENT KESSLER/ REUTERS.

Le nuove regole che disciplinano il diritto d’ autore

La Repubblica
GABRIELLA COLARUSSO
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Risponde Come è nata la legge? Le regole sul diritto d’ autore in Europa risalgono al 2001, quando l’ accesso a Internet e l’ uso delle piattaforme digitali non erano così diffusi. Il modo in cui condividiamo, vendiamo e utilizziamo le informazioni e i contenuti online è radicalmente cambiato. Per questo nel 2016 la Commissione europea ha proposto una direttiva per aggiornare le norme sul copyright. Ieri è stata approvata dal Parlamento europeo, con alcune modifiche rispetto al testo che era stato bocciato a luglio. Cosa prevede? La direttiva introduce due principi nuovi: «i fornitori di servizi di condivisione dei contenuti online», cioè gli aggregatori e le grandi piattaforme come Google e Facebook, che fanno profitti anche grazie a contenuti alla cui produzione non contribuiscono economicamente, devono pagare gli editori per i prodotti giornalistici e audiovisivi che utilizzano, stipulando «accordi di licenza equi e appropriati». Le piattaforme hanno la responsabilità di controllare che non vengano violate le norme. I link agli articoli si potranno condividere se accompagnati da poche parole per riassumerne il contenuto, mentre saranno protetti da copyright gli “snippet”, cioè le anteprime degli articoli con immagini e testi brevi. Anche i creativi, dai musicisti agli sceneggiatori, hanno diritto ad essere «remunerati» per i loro contenuti utilizzati da Facebook, Youtube e gli altri. Quali sono i punti controversi? L’ articolo 11 che disciplina l’ equo compenso. I critici sostengono che potrebbe spingere le società a chiudere servizi come Google News, penalizzando soprattutto i piccoli editori, e che potrebbe pesare sulle piccole piattaforme. Per evitare questo secondo rischio il testo specifica che i fornitori di servizi fino a 250 dipendenti e le piattaforme senza scopo di lucro come Wikipedia sono escluse dai nuovi obblighi così come gli utenti che utilizzeranno in maniera «privata», «non commerciale» i contenuti protetti da copyright. L’ articolo 13 è il più controverso perché obbliga le grandi aziende a esercitare un controllo stretto sui contenuti che vengono pubblicati e questo potrebbe finire per dare a Google, Facebook e alle altre piattaforme un potere di censura e selezione delle informazioni maggiore di quello che già hanno, incentivando l’ uso di filtri automatici, preventivi. La prima bozza della proposta Ue richiedeva specificamente l’ utilizzo di «tecnologie di riconoscimento dei contenuti». Nel testo approvato però questo riferimento è stato eliminato, si parla solo di responsabilità dei fornitori di servizi e di «accordi di licenza e cooperazione» con i titolari dei diritti. Potrà essere modificata? Sì, durante la discussione del Trilogo (Parlamento, Consiglio e Commissione). Il testo dovrà essere poi votato di nuovo dall’ assemblea di Strasburgo. Il suo impatto reale dipenderà anche dagli accordi tra editori e piattaforme e dalle decisioni dei giudici in caso di dispute legali.

Da Mediaset a Sky tutte le tecnologie e 130 dipendenti della pay Premium

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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Pier Silvio Berlusconi: le attività a pagamento in futuro potrebbero fare capo alla sola Infinity “Il ministro Di Maio non penalizzi l’ editoria” ROMA Mediaset Premium perde un altro pezzo importante, l’ ennesimo suo pilastro, a vantaggio del concorrente Sky. L’ ad di Mediaset Pier Silvio Berlusconi rivela che, tra novembre e dicembre, il Biscione cederà a Sky il cuore tecnologico della sua Premium. Gli esperti lo chiamano Operation Pay. Sono quei servizi di assistenza ai clienti e manutenzione tecnica che oggi permettono il funzionamento di Premium. Poco alla volta, già a partire da marzo, Mediaset Premium dimagrisce sotto i nostri occhi mentre Sky ingrassa. Con il supporto di legali molto esperti – attenti a non irritare le autorità della concorrenza – Sky sta consolidando dunque il suo primato nel settore della pay-tv italiana, dove Premium conserverà un ruolo marginale. Se pure lo conserverà. La pace televisiva scoppia il 30 marzo. Quel giorno, Mediaset autorizza Sky a trasmettere i canali di serie tv e cinema di Premium, peraltro ” ricchi” perché alimentati da colossi come Warner Bros e Nbc Universal. Questi canali di serie tv e cinema continuano ad essere disponibili su Premium, che però rinuncia all’ esclusiva e li condivide con Sky. Nell’ estate, intanto, il gruppo Berlusconi si ritira dal calcio. Niente più Champions ( ora è su Sky). Niente Europa League (è su Sky). Per la Serie A e la Serie B, Mediaset Premium deve accontentarsi dell’ accordo con Dazn. Quest’ intesa porterà agli abbonati di Premium le tre sole partite della Serie A che Dazn ha in mano, oltre alla malandata Serie B. E adesso arriva l’ annuncio di Pier Silvio Berlusconi, che spiega: «Tutto ormai va in quella direzione ». In base ai patti già firmati a marzo scorso, ora Sky conquista « manutenzione tecnica, accesso condizionato, assistenza ai clienti e attività commerciali» di Mediaset Premium. Come dire: i freni e il cambio delle Ford, li farà la Fiat. In cambio delle chiavi del suo motore, Mediaset dovrebbe incassare 14,18 milioni di euro. Questa, almeno, è la valutazione che il Biscione ha fatto del suo cuore tecnologico. Non solo. Premium trasferirebbe a Sky anche 130 dipendenti tra tecnici, quadri e dirigenti su un totale di 240. Pier Silvio Berlusconi – che è ad e vice presidente esecutivo di Mediaset – dice anche che ” premium” resterà un marchio del suo gruppo. Servirà a firmare serie tv e film. In prospettiva, Premiun potrebbe essere fusa con Infinity, la pay- tv via Internet che il Biscione ha lanciato nel 2013. La pace tra Sky e Mediaset si arricchisce, poi, di un nuovo capitolo. A tre anni dall’ oscuramento del settembre 2015, ora Canale 5 è tornato visibile sul decoder di Sky. Da fine ottobre, stesso lieto fine per Rete 4 e Italia 1, che pure faranno ritorno sul decoder della emittente a pagamento. Il gruppo Berlusconi si aggiudica un round, in questo ambito. A ottobre del 2014, con particolare forza, il Biscione aveva chiesto a Sky un compenso in cambio della presenza di reti come Canale 5 sul decoder di Sky, che però si era sempre rifiutata di pagare. Canale 5 , Rete 4 o Italia 1 non erano forse qualcosa di gratuito? Ora Sky riconoscerà dei soldi. « Non abbiamo aspettative di chissà quali guadagni » , ammette Berlusconi. Ma la battaglia di principio, quella almeno è vinta. Sempre Berlusconi – a Roma per presentare la nuova Rete 4 – dice la sua sul ministro Di Maio, che minaccia di togliere ossigeno e risorse al settore editoriale: « Certe dichiarazioni mi sembrano più dovute a propaganda che a necessità reali. Il mondo dell’ editoria è già sotto pressione. E in Italia ancora di più, perché il mercato è in difficoltà più che altrove e molto, molto concorrenziale. Non mi sembra che ci sia la necessità di mettere limiti che complichino la già difficile vita di coloro che operano nel settore. Con tutto il rispetto, faccio fatica a capire dove si stia mirando. Le nuove tecnologie hanno portato una rivoluzione che ha cambiato totalmente l’ editoria, togliendo tante certezze agli imprenditori. Non parlo di Mediaset, ma di tutti, a partire dai piccoli editori della carta stampata e delle radio». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sky più forte, Premium più debole sul mercato della pay-tv.

Se parli male di me ti taglio i fondi

La Repubblica
Gianfranco Bossi
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Il vicepremier Di Maio annuncia che vieterà alle aziende statali di fare pubblicità sui giornali. Il sottosegretario Crimi giustifica il provvedimento, perché i giornali « parlano male del governo » . Questo sottosegretario ( all’ Editoria!) sa che l’ articolo 21 della Costituzione tutela la libertà di stampa e, quindi, anche la libertà di critica? Un governo che non vuole la Tav, il Tap, la Gronda, che voleva chiudere l’ Ilva, che vuole nazionalizzare invece di liberalizzare, che sui vaccini ha emanato tre provvedimenti diversi in tre giorni ( il ” governo del cambiamento”), che vuole chiudere i negozi la domenica, che ha ministri e sottosegretari di manifesta incompetenza, non merita qualche critica? O Di Maio e Crimi vogliono solo elogi? Li leggano sui social quelli.

SE LA STAMPA È IL NEMICO

La Repubblica
VITTORIO ZUCCONI
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Nel tempo della Rete padrona, nelle ore della sofisticata e capillare manipolazione del consenso organizzata dai pastori dell’ algoritmo, questi « giornali morenti capaci solo di attaccare il governo » , secondo il M5S al governo, questi «giornali falliti e bugiardi», secondo Trump, continuano, inspiegabilmente, a fare paura ai potenti e a rivelare il sintomo delle loro pulsioni repressive. Perché questi maledetti giornali, questi maledetti giornalisti al servizio di loschi editori, questi piccoli numeri, che dovrebbero far sorridere i signori dei Social, smascherano non la forza, ma la insicurezza del potere. In queste ore di ansia negli Stati Uniti, sui quali sta per schiantarsi un uragano feroce, il presidente Trump ne dà una dimostrazione esemplare. Si fionda in diretta televisiva per vantare « l’ incredibile successo » segnato un anno fa soccorrendo Puerto Rico investita dall’ uragano Maria, una sbruffonata che deve avere fatto rabbrividire gli abitanti della costa atlantica in attesa di “Florence”, visto che il “successo” fu un colossale fiasco del soccorso governativo, con quasi tremila vittime. Un flop che proprio i media hanno smascherato e che la Protezione civile americana, la Fema, ha ammesso. Il nemico da sconfiggere, l’ avversario da abbattere non è il problema in sé, è chi osa mettere in dubbio la capacità dei potenti di risolverlo. E quanto più incapaci si mostrano nell’ affrontarlo, tanto più insopportabile è chi osi farglielo notare. L’ equazione è semplice e confortante. Se qualcuno non mi riconosce il merito, non è certo perché io abbia sbagliato o perché sia inetto: è perche lui o lei è un venduto, pagato per attaccarmi e disconoscere la mia grandezza. Dunque, eliminando i critici, saranno risolti i problemi. Nessun governo, nella storia delle democrazie moderne, è immune dalla paranoia dell’ insicurezza e l’ elenco dei leader politici che hanno consumato, in privato o in pubblico, la loro idiosincrasia per ogni forma di critica giornalistica è universale. Dai ” gufi” di Renzi ai giornalisti ” criminosi” che Berlusconi volle esiliare, dalla “lista di nemici” di Nixon a Clinton esasperato dal tormento del suo ” Sexgate”, ogni governo si sente bersaglio di oscure forze che vogliono minarlo e disconoscerne i luminosi successi. Anche quando il potere acquista il controllo totale dell’ informazione, come avveniva nella Russia sovietica, la paranoia dell’ insicurezza non si placa, si allarga. I boss del Cremlino si arrovellavano leggendo – soltanto loro – la stampa estera che si ostinava a non accettare il trionfo del “Socialismo Reale”. La spiegazione per loro, la sola possibile, era dunque vedere dietro ogni critica la mano di qualche impuro manipolatore e “nemico del popolo”. Noi inviati e corrispodenti esteri a Mosca eravamo invariabilmente agenti della Cia o servi di mostruosi complotti che ci inducevano a raccontare i sintomi del naufragio. Soffocare o ammutolire i critici e la stampa avversa, sempre descritta dalla paranoia del potere come “tutti contro di me”, è la soluzione più naturale ed efficace per pavoneggiarsi e insieme quella che più garantisce che i problemi non saranno risolti. Se il bambino va male a scuola, basterà cambiare i voti sulla pagella o trovare un’ insegnante compiacente perché si trasformi in un genio, ma resterà ignorante. Se i giornalisti criticano, basterà trovare l’ editore che accetterà di accompagnare alla tastiera il potere. E così, giorno dopo giorno, giornale dopo giornale, boccheggia e finalmente muore non la libertà di stampa, ma la libertà di tutti, garantita meglio dal più scalcagnato e fazioso dei critici che dal più brillante degli adulatori. Se qualche migliaio in meno di americani moriranno domani, il merito andrà a quei maledetti giornalisti che hanno rivelato il disastro di Puerto Rico e scosso il governo. Faziosamente salvando vite.

“Questa direttiva garantisce l’ indipendenza dei giornali”

La Stampa
M . SOD.
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«L a tecnologia cambia i mezzi con cui si diffondono i contenuti editoriali, non si vede perché non dovrebbero cambiare anche le regole sulla protezione del copyright». Carlo Perrone, consigliere di Gedi (il gruppo che edita, tra gli altri, anche La Stampa) e presidente dell’ associazione degli editori di giornali europei Enpa è molto soddisfatto per l’ esito del voto di Strasburgo. Dice: «Questa direttiva preserverà l’ indipendenza dei giornali per le generazioni future. Non riguarda solo la modernizzazione del diritto d’ autore ma la sua funzione fondamentale nelle nostre democrazie». Imponendo un compenso per chi riutilizza contenuti nei quali gli editori investono i loro budget di produzione, continua Perrone «i parlamentari europei hanno dato prova di voler sostenere la stampa indipendente votando in favore dei diritti di autore che aiuteranno ad assicurare la sostenibilità del settore». Di tenore analogo il commento di Andrea Riffeser Monti, presidente della Federazione italiana editori di giornali: «Esprimo il mio apprezzamento per l’ esito del voto di Strasburgo sulla direttiva copyright e ringrazio gli europarlamentari per il senso di responsabilità dimostrato. È un passaggio importante, che consente a questa legge di proseguire il suo iter di approvazione verso una più efficace difesa del diritto d’ autore nello spazio digitale». Il nodo della vicenda resta il principio di remunerazione degli editori e dei giornalisti autori dei contenuti che poi vengono diffusi dalle grandi piattaforme. Anche Riffeser sottolinea che quella remunerazione è una garanzia per il pubblico. «Il principio che ispira la direttiva è la tutela dei valori democratici europei: una stampa libera e indipendente con un ruolo centrale nella società». Proteggere i prodotti editoriali significa rafforzare il valore delle imprese. «Tutelare le genialità di ciascuno – continua il presidente Fieg – potenziare la capacità di innovare, sperimentare nuove forme di comunicazione», tutte cose fondamentali per chi fa dell’ informazione il suo mestiere in un mondo bombardato dalla disinformazione. Riffeser: «L’ Europarlamento riconosce l’ informazione professionale come presidio di informazione affidabile e verificata, l’ argine ai rischi di una deriva della diffusione delle fake news. Continueremo a collaborare con le istituzioni europee nella delicata fase dei negoziati con l’ obiettivo di realizzare in tempi rapidi una riforma equilibrata e aderente al mutato contesto tecnologico e digitale. Una riforma che, ne siamo certi, incoraggerà forme di cooperazione virtuosa tra i titolari di diritti sui contenuti editoriali e i fornitori di servizi innovativi che riproducono ed elaborano i contenuti protetti da tali diritti». m . sod. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Copyright, sì di Strasburgo alla riforma Il diritto d’ autore va pagato anche online

La Stampa

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EMANUELE BONINI – Le Siae di tutta Europa sono pronte a sbarcare su Internet. Il Parlamento europeo ritiene che il diritto d’ autore vada pagato sempre anche sulla Rete, per cui si preannunciano cambiamenti epocali. L’ Aula ha stabilito che giornalisti, editori, musicisti e creativi di ogni genere debbano essere retribuiti per l’ utilizzo delle proprie creazioni da piattaforme di condivisione come YouTube o Facebook e aggregatori di notizie come Google News. I giganti del web saranno inoltre responsabili per ciò che finisce sui propri spazi e l’ uso che ne viene fatto. Un risultato non scontato e neppure definitivo. Adesso sarà il Consiglio a doversi esprimere. I divieti Niente riproduzione, neppure parziale, dei contenuti. Vuol dire divieto di snippet, ma solo utilizzo di hyperlink con una sola parola. Dall’ emiciclo esce un testo utile nelle intenzioni del legislatore per gli autori e il mercato. Vengono pagati i primi, si regolamenta il secondo. Le start-up e le imprese fino a un massimo di 250 dipendenti sono escluse dalle nuove regole, che non si applicheranno neppure a servizi di cloud, portali di commercio elettronico per vendita di dettaglio di beni fisici, enciclopedie e biblioteche on-line. L’ opposizione Il negoziato inter-istituzionale che si apre potrebbe ridimensionare la portata dei cambiamenti proposti dal Parlamento. Dando uno sguardo alla lista dei voti contrari, si può intravedere un blocco pronto all’ imposizione del pagamento del copyright su Web formato dai Paesi dell’ Est, Italia e probabilmente Paesi Bassi. I deputati liberali di Vvd e D66 sono contrari a questa riforma del copyright, e rappresentano i partiti nella coalizione di governo olandese. Trovare una sintesi, per la presidenza austriaca del Consiglio, potrebbe non essere cosa facile. Il blocco dei no L’ Italia è quella che in questo momento promette più di altri battaglia. Lega e M5S si sono espressi insieme contro le nuove norme, con l’ ala del governo giallo-verde che ha già annunciato di voler bloccare quella che i 5 Stelle in Europa considerano un bavaglio. Il loro leader in Italia, Luigi Di Maio, parla di «vergogna» ed è scontro istituzionale. Via Twitter il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, esorta il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a «prendere le distanze» dal suo vicepremier, che definisce un «analfabeta della democrazia». Sfogo che riporta alla mente episodi di berlusconiana memoria (era il 2003 quando il cavaliere definì gli eurodeputati tutti «turisti della democrazia») e riaccende le tensioni su un tema molto delicato. I gruppi parlamentari hanno trovato una posizione comune solo all’ ultimo minuti, e senza neppure riuscirci fino in fondo. Non sono pochi quelli ad essere usciti dai ranghi tra socialdemocratici (26) e liberali (23) e votare contro la riforma del copyright. I conservatori (Ecr) si sono addirittura spaccati (29 «sì» e 38 «no»). Numeri che dimostrano la complessità di un tema più incline alle liti, anche interne, che al compromesso. Nonostante ciò l’ Aula ha trovato i numeri per andare avanti, e portare al tavolo l’ Europa degli Stati. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Di Maio promette battaglia all’ Europa “Vergogna, questa è censura preventiva”

La Stampa

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FEDERICO CAPURSO – Il Movimento 5 Stelle è furioso. La proposta approvata dal Parlamento europeo, che potrebbe applicare il diritto d’ autore ai contenuti del web, colpisce dritta al cuore il partito di Luigi Di Maio. Nel mirino dei grillini ci sono due articoli (l’ undicesimo e il tredicesimo) che – nei loro ragionamenti – sono una picconata al mito della Rete libera sul quale Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio hanno costruito la loro creatura politica. E che per di più spuntano le loro armi nell’ infinita guerra contro i media e l’ informazione. La partita è talmente importante da far scendere in prima linea il leader, Di Maio, che affida a un post su Facebook il suo sfogo: «È una vergogna tutta europea: il Parlamento Ue ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet – scrive il vice premier – Stiamo entrando ufficialmente in uno scenario da Grande Fratello di Orwell». Il riferimento è all’ articolo 13 della proposta di riforma del copyright, che impone una verifica preventiva, attraverso dei filtri automatici, dei contenuti caricati online. Un passaggio ritenuto necessario per impedire che possano essere pubblicati in Rete materiali protetti dal diritto d’ autore. Sostanzialmente – negli autoreferenziali timori del Movimento – il rischio è che la norma si trasformi in un freno alla propaganda online su social, blog e siti della costellazione targata Casaleggio Associati. L’ articolo 11, invece, introduce la «folle link tax», attacca Di Maio. Una norma che obbligherebbe i giganti del Web a pagare un contributo per ogni contenuto o notizia condivisa sulle loro piattaforme. Una norma che il Parlamento europeo approva, per di più, proprio nel giorno in cui dal Movimento viene annunciato il taglio ai finanziamenti pubblici ai giornali. Uno smacco. Insopportabile per Di Maio e per quel mito grillino della Rete «libera e indipendente». «Ci batteremo nei negoziati tra i governi, in Parlamento europeo e nella Commissione europea per eliminare questi due provvedimenti orwelliani», promette allora Di Maio. «E statene certi: alla prossima votazione d’ aula la direttiva verrà nuovamente bocciata». Il piano, tra le parole minacciose del capo politico del Movimento, è già abbozzato: «Sarà un piacere vedere, dopo le prossime elezioni europee, una classe dirigente comunitaria interamente rinnovata che non si sognerà nemmeno di far passare porcherie del genere». E lancia persino «un messaggio per le lobby: questi sono gli ultimi vostri colpi di coda. Nel 2019 i cittadini vi spazzeranno via». Nonostante le attività lobbistiche più insistenti, negli ultimi mesi, siano state proprio quelle esercitate dai giganti del Web che, come il Movimento 5 stelle, avversano la direttiva. Google, per esempio, avrebbe speso oltre 31 milioni di euro per esercitare pressioni sui membri dell’ Unione europea nei confronti dell’ articolo 13 della direttiva. La strategia d’ attacco del Movimento è nelle mani di Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’ Editoria. «Noi continueremo la nostra battaglia. Anche perché la direttiva non è stata ancora approvata», ribadisce Crimi a La Stampa . «Ora si apre un confronto in Europa tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio. Una trattativa che potrebbe durare più di un anno», mette in guardia. E «tra nove mesi», sottolinea Crimi, « si terranno le elezioni» per rinnovare il Parlamento europeo. «Noi puntiamo ad arrivare al voto finale su questa direttiva dopo la data delle urne», mette in chiaro il sottosegretario M5S. Con la scommessa di un «rinnovamento» in seno all’ Europa che renda più semplice affossare il provvedimento. Non solo. «Se anche dovesse passare il vaglio della prima trattativa con il Consiglio europeo e la Commissione, le norme rischierebbero comunque di entrare in vigore fra tre anni. Per il mondo della Rete è un periodo sufficiente a renderle già obsolete e quindi da modificare». La partita però non è semplice. Il Movimento dovrà trovare nuovi alleati a Bruxelles che abbiano i suoi stessi interessi a sposare questa battaglia. La Lega, ad esempio, che come i Cinque stelle muove gran parte della sua propaganda online, si è schierata contro la direttiva sul copyright, (anche se due dei suoi europarlamentari hanno votato in dissenso dal gruppo). Sempre che la trattativa non proceda a vele spiegate arrivando in porto, magari, prima delle elezioni. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Link tax, snippet e Wikipedia Cosa cambierà su Internet?

La Stampa
MARCO SODANO
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Leggi un articolo, lo condividi. Cerchi un’ informazione su un motore di ricerca. Vuoi dire la tua sulle decisioni del governo. La nuova direttiva europea sul copyright limiterà i nostri diritti? Ecco la risposta alle domande più frequenti. Cos’ è la link tax? Chi pubblica online contenuti coperti da diritti e prodotti da altri dovrà corrispondere ai titolari dei diritti un compenso, dovrà aver «stipulato accordi di licenza equi e appropriati con i titolari dei diritti». Il meccanismo è stato ribattezzato «tassa», ma si tratta di un compenso. Chi la dovrà pagare? Chi monetizza la sua attività online usando contenuti prodotti da altri. Per esempio, gli aggregatori di notizie, veri e propri giornali composti con una serie di link alle testate pubblicate da società editrici. Sono escluse le start-up, le microimprese digitali e gli operatori che hanno meno di 250 dipendenti. Perché devono pagare? Perché producono profitti: i link rimandano ai siti dei proprietari dei diritti, ma gli aggregatori traggono profitto dall’ analisi del traffico dei loro utenti, un big data gigantesco e preziosissimo che viene costruito grazie ai contenuti prodotti dagli editori. Cosa significa che saranno proibiti gli «snippet»? Senza un accordo con i titolari dei diritti gli aggregatori non potranno pubblicare le anteprime dei contenuti linkati: titoli, foto, prime righe degli articoli. Sono gli elementi che accreditano come un giornale gli aggregatori. Wikipedia, l’ enciclopedia online gratuita, ha lanciato l’ allarme: rischiamo di chiudere. È un timore fondato? Rispetto al primo testo la direttiva è stata modificata. Ora dice esplicitamente che le enciclopedie online, così come le piattaforme che sviluppano software open source – risorse messe a disposizione di tutti sono esclusi dagli obblighi della direttiva. No, Wikipedia non rischia la chiusura. Potrò continuare a postare gli articoli dei giornali che mi piacciono sul mio profilo Facebook? Molto dipende da come verrà affinata la direttiva nel dibattito che si apre ora con il Consiglio. Su Facebook, in molti casi, gli articoli sono pubblicati dagli stessi editori. I lettori, come soggetti privati, non ottengono ricavi dalle loro condivisioni. È possibile che Facebook debba cambiare l’ aspetto delle anteprime che pubblica sulle sue pagine. C’ è chi grida alla censura per via dei filtri preventivi, il meccanismo che analizzerà i post in anticipo per verificare se vengono violati i diritti di qualcuno. Qualunque azione di sorveglianza su una pubblicazione può diventare una censura, dipende da come la si usa. Anche la registrazione al Tribunale (prevista per le pubblicazioni cartacee) diventa censura, se il Tribunale decide di negare l’ autorizzazione per motivi ideologici. Un filtro del genere è già attivo su YouTube: la piattaforma è in grado di accorgersi, in alcuni casi, se un video viola un copyright. Senza la prova che l’ autore del video dispone dei diritti, YouTube non pubblica. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Mediaset: i nostri canali andranno su Sky “Cederemo la piattaforma di Premium”

La Stampa
F. SP.
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Mediaset si prepara a vendere la piattaforma tecnologica di Mediaset Premium a Sky, esercitando l’ opzione concordata al momento dell’ accordo con l’ operatore satellitare, il fine marzo scorso. L’ operazione segue la decisione di portare sulla piattaforma Sky i canali generalisti di Mediaset. «Tutto procede in quella direzione», ha detto l’ ad del Biscione, Pier Silvio Berlusconi alla presentazione del palinsesto di Retequattro. «Abbiamo comunque tempo per esercitare l’ opzione», ha aggiunto. In ogni caso «il marchio Premium rimarrà un nostro marchio di cinema e serie. Poi vedremo se ci sarà una integrazione con Infinity», la piattaforma online di casa Mediaset. Nel gruppo, intanto si lavora all’ alleanza internazionale che, nei piani di Cologno Monzese, ha soppiantato l’ asse coi francesi di Vivendi, finita a carte quarantotto dopo il dietrofront di Bolloré proprio sulla pay tv Premium. Ora si punta su gruppi europei come ProsiebenSat. Al nuovo polo, ha detto Berlusconi jr ,«ci stiamo lavorando e ci crediamo». F. SP. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

LA VOGLIA DI FERMARE I GIORNALI

La Stampa

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Ieri il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva sul copyright. Fra le altre cose, essa prevede che ogni Stato-membro debba assicurarsi che i produttori di contenuti, gli editori, ricevano compensi «consoni ed equi» per l’ uso dei loro materiali da parte delle piattaforme on line. Semplificando, hanno vinto editori e partiti «tradizionali» e ha perso la strana coalizione formata dai cosiddetti «giganti del web» e dai partiti anti-establishment, fra cui Lega e Cinque Stelle. Questi ultimi, che solitamente hanno scarsa simpatia per il capitalismo, specie se americano, si erano allineati con le istanze della Silicon Valley. Intanto, in Italia il ministro Di Maio annuncia una lettera alle società partecipate per indurle a smettere di fare pubblicità sui quotidiani. Si discute poi di eliminare l’ obbligo di pubblicazione per la Pa (per esempio per gli avvisi di gara), con l’ obiettivo dichiarato di colpire le imprese editoriali. I cosiddetti populisti hanno per anni accusato i loro predecessori di voler asservire l’ informazione: pensate alle polemiche, spesso condivisibili, sull’«occupazione» della Rai. Pensavamo fossero critiche, invece era un programma. L’ attuale governo sta facendo esattamente ciò che rimproverava agli odiati Renzi e Berlusconi: prendere il controllo della Rai, usare la pubblicità delle partecipate a fini politici. Più in generale, se la Silicon Valley non ama né Donald Trump né i suoi epigoni europei, questi ultimi sono convinti che il loro successo dipenda dal superamento dei media tradizionali. Attraverso i social, essi costruiscono, giorno dopo giorno, quel rapporto diretto fra elettori e eletti che è un ingrediente essenziale della loro ideologia. L’ obiettivo è quello di mettere in scena una democrazia senza bardature, dove la rigidità delle regole non è più un ostacolo alla reazione immediata alle sollecitazioni del «popolo». Che poi del popolo considerino solo la frazione che li inonda di «like», non importa. E non importa neppure che «fare le leggi», pure quando le fa il governo, continui a richiedere un tempo incommensurabilmente diverso da quello del web. Ciò che conta è dare l’ impressione di un’ attenzione istantanea. Piaccia o non piaccia, la storia della democrazia è anche la storia dei giornali. Il dibattito politico ha bisogno di confrontarsi con un’ opinione pubblica informata e vivace. L’ opinione pubblica, sosteneva Walter Bagehot, è «l’ opinione di quel signore calvo seduto in fondo all’ autobus». Con questo, voleva dire che l’ opinione pubblica non coincide necessariamente con le idee delle classi dirigenti, e nemmeno con quelle delle persone più colte: coincide con il pensiero delle persone «comuni» che vogliono dire qualcosa sul modo in cui vengono condotti gli affari pubblici ma sentono anche il bisogno di farlo a ragion veduta. La libera stampa non è perfetta, come nulla è perfetto a questo mondo. Essa è però la precondizione di un’ opinione pubblica informata: che ha bisogno di una polifonia di opinioni ma anche di chi metta risorse e competenze per dare notizie, soprattutto se sgradite a chi governa. Più che le singole iniziative, colpisce quindi il disegno, la guerra ai giornali. Per alcuni è il sogno romantico della democrazia diretta, senza filtri. Quei «filtri» sono tuttavia indispensabili per avere una informazione non frammentaria, che consenta di conoscere davvero quel che viene deliberato ed eventualmente di reagire ad abusi e soprusi. C’ è un motivo se il potere vuole avere un rapporto diretto col singolo individuo. E’ che il singolo individuo, apparentemente emancipato da tutte quelle strutture che si interpongono fra lui e il governo, in realtà è disarmato. Inerme. Il suddito ideale. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

“Le mie sfide, fare un Tg non urlato e raccontare la realtà dal di dentro”

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M. TAMB.
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Gerardo Greco sposa la tesi di Pier Silvio Berlusconi, quella di tenere viva l’ attenzione sulla capitale, una scelta editoriale che lo vede in accordo perfetto dopo tutti i ragionamenti fatti, anche insieme. Oggi Greco si prepara a una nuova trasmissione che da stasera prende il via: W l’ Italia , un titolo che è ancora allo studio per un problema guarda caso proprio di copyright con un’ emittente radiofonica. «Intanto partiamo così ma non credo ci debbano essere problemi», dice il conduttore. Anche lui in doppia veste: alla guida del programma di dibattiti su temi d’ attualità in prima serata e come direttore del nuovo Tg4 che ha cambiato orari, (alle 12 e alle 18,55 con il suo editoriale) e ritmi. La sua mission è di quelle strutturali e non facili da realizzare: rendere il Tg 4 meno urlato e più autorevole. A questo si aggiunge appunto la nuova trasmissione rigorosamente in prima serata. Come sarà il suo programma? «Parliamo di un cambio di passo importante. Da tanto stavamo ragionando con Pier Silvio a proposito di una trasmissione fatta in certo modo, che avesse un taglio narrativo importante». Qualche esempio? «Abbiamo come inviata Karima Moual che si è messa a grave rischio, nascondendo la telecamerina e il microfono per andare a Ventimiglia e attraversare il confine assieme ai disperati che vogliono andare in Francia. Un modo per raccontare un mondo con il quale lei ha facilità di relazioni essendo di origini marocchine. Dunque dal di dentro e senza filtri. È stata molto coraggiosa e brava». Teme di avere nostalgia della Rai? Forse è l’ unico che se ne è andato senza sbattere la porta e con una trasmissione in tasca… «Non credo e non temo di avere nostalgia. Sono certo invece di avere nostalgia per l’ America, dove sono stato benissimo e dove tornerei molto volentieri». m. tamb. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Tv, il via alla stagione

La Stampa
MICHELA TAMBURRINO
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I l più grande investimento su Roma mai fatto in tempi recenti da un grande broadcaster, una visione controcorrente che come succede a chi canta fuori dal coro, può rivelarsi una intuizione illuminata. Pier Silvio Berlusconi scende nella capitale per presentare la nuova Retequattro, figlia di un ragionamento nato due anni fa, un progetto dal principio editoriale che punta sulle competenze. Rimettere a fuoco una rete generalista senza perdere il pubblico fidelizzato restituendo identità piena, una definizione più calzante. Forte di un linguaggio produttivo specifico, si punta sulle news indagate in tutte le dimensioni della realtà, intrattenimento, cronaca nera, politica, spettacolo, approfondimento sociale. Rifondare il brand nella sua interezza e complessità grazie a un know-how tecnico e narrativo proprio di una rete contemporanea, vale a dire conservatrice, cioè che produce prodotto. Emozionato e felice Pier Silvio Berlusconi, è galvanizzato anche dal voto al Parlamento europeo che dice sì alla nuova legge sul copyright: «Da editore e da professionista ritengo sia un primo passo di civiltà in un percorso fondamentale di crescita. Non bisogna scambiare la difesa di un diritto con la libertà di espressione». Parla dei suoi programmi «griffati» da talenti che avranno lo studio personalizzato al Colle Oppio. «Per gli ascolti – mette le mani avanti l’ ad nonostante il buon esordio di Barbara Palombelli in prima serata, la stessa che ieri è stata chiamata ad accendere la nuova emittente – bisogna avere molta pazienza ma il Dna buono c’ è. Retequattro nacque con Bocca e Montanelli, l’ aristocrazia del giornalismo che oggi passa il testimone», Conduttori dai toni sfumati Una linea d’ intervento che guarda all’ informazione e che mette da parte la sensazione. Sparisce dai palinsesti Belpietro e arrivano conduttori dai toni sfumati. «Questa delle news è la parte più complicata e più bella, equivale a un rapporto più stretto con il Paese. La squadra è composta da campioni del ragionamento in grado di farsi capire». E allora eccola la squadra di eccellenze con un’ unica stella al femminile che brilla da sola, Barbara Palombelli: ci sono Nicola Porro che si bilocherà tra Matrix su Canale 5 e Quarta Repubblica su Retequattro; Paolo Del Debbio, Roberto Giacobbo che con Freedom punterà anche sulla qualità delle immagini in esclusiva da archiviare come reperti. Curatissima anche la lettering per arrivare a un pubblico di dislessici («Una sensibilità che mi viene da problemi familiari») e poi attenzione a una cultura non elitaria, comprensibile a chi non sa, non noiosa per chi sa». E Chiambretti che con La Repubblica delle donne si dedicherà al femminile, finalmente in prima serata e Gianluici Nuzzi con l’ immarcescibile Quarto Grado . Cinque produzioni originali in diretta e un futuro fatto di accordi con Sky per la fruibilità della piattaforma da ottobre per tutte le sue reti «e andremo a esercitare l’ opzione a proposito della cessione definitiva di Premium a Sky. Il marchio Premium rimarrà nostro per cinema e serie. Forse ci sarà un’ integrazione con Infinity». L’ ad di Mediaset ha confermato anche la volontà del gruppo di studiare una possibile aggregazione con altri broadcaster europei: «Ci stiamo lavorando e ci crediamo. Un progetto che possa far crescere ulteriormente Mediaset al di fuori di Italia e Spagna». E potrebbe coinvolgere tv francesi (Tf1), tedeschi (ProSieben) o inglesi (Itv). Tutto in positivo persino la risposta della Borsa, così il suo buon umore non viene scalfito neppure dalle dichiarazioni di Di Maio a proposito della pubblicità in parte negata. «Dichiarazioni di propaganda. Il mondo editoriale è già sotto pressione, non c’ è alcuna necessità di rendere ancora più difficile la vita a chi cerca di fare bene il proprio lavoro». Persino sull’ impasse Rai è magnanimo mentre si augura una rapida sistemazione della governance di viale Mazzini. E infine la presenza del man ager e produttore Lucio Presta ha fatto pensare che il documentario di Matteo Renzi su Firenze avesse trovato casa: «Prima di decidere voglio vedere il prodotto fatto e finito. Avere il documentario di Renzi sulle nostre reti mi piacerebbe, stimo la persona e penso che il suo sarà un ottimo prodotto. Ma solo vedendolo capirò se potrà avere un destino sulle nostre reti ». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI».

Sventato il piano M5S per rubare ai giornali

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RENATO BESANA Secondo un vecchio adagio popolare, neanche un cane muove la coda per niente. Figuriamoci Di Maio (che non intendiamo in modo alcuno paragonare a un cane, a scanso di querele e per rispetto verso il fedele amico dell’ uomo). Ieri i 5Stelle al parlamento di Strasburgo, imitati chissà perché dalla Lega, hanno votato contro la proposta di riforma in materia di copyright, pronunciandosi così a favore dei Gafa, cioè Google, Amazon, Facebook e Apple, che dominano la distribuzione di contenuti via Web, non pagano un euro di tasse in Europa e non retribuiscono gli autori grazie ai cui prodotti incassano cifre da capogiro. Non è la prima volta che il ministro al sottosviluppo economico tira la volata ai Fab Four, che non sono i Beatles. Anche la chiusura domenicale degli esercizi commerciali risponde all’ identica logica. Altro che tutela dei piccoli negozi, purtroppo e da anni in crisi irreversibile, e salvaguardia delle famiglie distrutte dallo shopping festivo: a trarre vantaggio dal provvedimento saranno in primo luogo le vendite via internet, nelle quali primeggia la solita banda arciplurimiliardaria. Non è finita, anzi è appena cominciata. Si sa che il caro leader si appresta a tagliare le provvidenze a favore dell’ editoria, ancora una volta misteriosamente seguito da Salvini. Non contento, la scorsa settimana ha minacciato una legge per impedire che non meglio identificati gruppi di potere possiedano giornali. In altre parole, gli imprenditori impegnati in attività diverse dovranno abbandonare la carta stampata. Fosse così, una buona metà dei quotidiani, compresi quelli locali, si troverebbe costretta a sospendere le pubblicazioni. Cui prodest, cioè chi ne trae vantaggio? Risposta ovvia: l’ informazione fornita dai siti internet, egemonizzata dai Gafa, che in questo modo aumenterebbero anche la raccolta pubblicitaria. Gli effetti secondari d’ una tale norma liberticida non sarebbero di sicuro sgraditi a Di Maio. Il suo modello è il turco Erdogan, che chiude i giornali d’ opposizione e incarcera i giornalisti sgraditi. A tanto, almeno per ora, non si può arrivare, ma senza quei rompiscatole recidivi che si ostinano a scrivere quel che pensano, il nostro sarebbe libero d’ indulgere nel proprio incoercibile narcisismo, diffondendo il verbo pentastellato in infinite dirette su Facebook. Gli italiani potrebbero finalmente abbeverarsi alla pura fonte della sua vasta cultura e nessuno avrebbe più a ridire se sposta Matera in Puglia o sostiene che il corpo umano è composto al novanta per cento d’ acqua. Questi, però, sono dettagli. Acquisti nei giorni festivi, copyright e mercato dell’ informazione: in ballo ci sono molti soldi cui i Gafa non sembrano disposti a rinunciare. Nonostante le arie da ducetto, Di Maio appare genuflesso ai loro interessi. Non è senz’ altro vero e per carità di Patria ci rifiutiamo di sospettarlo, tuttavia i malevoli potrebbero insinuare che i beneficiati non mancheranno di mostrare la loro commossa gratitudine: un osso con un po’ di polpa non si nega a nessuno. riproduzione riservata.

Più vicino il via libera per Foa alla presidenza Rai

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Il tormentone della presidenza Rai si starebbe per concludere. Lo stallo che da diverse settimane blocca le nomine a viale Mazzini, infatti, si starebbe per sbloccare. Oggi nuova seduta della Commissione di Vigilanza e anche se il via libera potrebbe non arrivare in queste ore, la maggioranza gialloverde è convinta di essere ad un passo dal via libera di Silvio Berlusconi a Marcello Foa per la presidenza della tv pubblica. «Ormai c’ è sintonia sulla strada da prendere, ma vanno evitate scorciatoie che potrebbero ritardare la nomina di Foa», dicono fonti interne. Allineati sul nome dell’ ex giornalista de Il Giornale, sarebbero, oltre alla Lega e M5S, anche Fdi e Forza Italia. Forze che avrebbero condiviso, dopo aver raccolto anche pareri legali autorevoli, la convinzione che si potrà votare per Foa presidente, «anche perché quella di una prima bocciatura di Foa, è una fake news, visto che piuttosto si è trattato di un non-voto di Fi». A questo punto è possibile che tutto trovi soluzione martedì prossimo, con la vigilanza che, a quanto si apprende, sarà riconvocata proprio in quella data.

RETEQUATTRO SI FA IN 5

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FRANCESCA D’ ANGELO Retequattro cambia pelle: lo annunciano ieri, a Roma, i pesi massimi di Mediaset ossia l’ ad Piersilvio Berlusconi, il direttore del canale Sebastiano Lombardi e il primo stock di nuovi volti, composto da Barbara Palombelli, Gerardo Greco, Nicola Porro, Roberto Giacobbo, Piero Chiambretti, Gianluigi Nuzzi. Bene. Cosa cambierà, esattamente? Per semplificare, si è preferito partire con dire quello che non sarà: Retequattro non si trasformerà in una all news, men che meno in una rete populista e/o popolare e, precisano gli interessati, il nuovo canale non nasce dal nulla. Il progetto è allo studio da un paio d’ anni. Dunque? «Sarà una rete generalista, con al centro l’ attualità e l’ approfondimento», spiega Berlusconi. Gli fa eco Lombardi: «L’ identità della nuova Retequattro si fonda non sulla contrapposizione con altre reti esistenti, bensì sull’ investimento nell’ autoproduzione». I DEBUTTI Sono infatti ben cinque i programmi, realizzati internamente, pronti per il prime time. Si incomincia stasera con W l’ Italia di Gerardo Greco, seguito domani da Quarto grado di Gianluigi Nuzzi. Il 17 settembre debutta Quarta Repubblica di Nicola Porro: «Sarà completamente diverso da Matrix: la nostra cifra sarà il rigore nell’ affrontare i temi di economia e politica», anticipa Porro. Poi il 17 ottobre sarà la volta di Piero Chiambretti, promosso in prime time con Cr4 – La repubblica delle donne: «Sarà un programma su, per e con le donne. Se non piacerà al pubblico femminile sono fregato e tornerò a condurre la presentazione dei palinsesti Mediaset», scherza Chiambretti. Dopodiché il 30 ottobre tocca a Roberto Giacobbo, strappato alla Rai per condurre la trasmissione di divulgazione Freedom – Oltre il confine. Al centro, la scienza e l’ archeologia. Morale: da novembre il pubblico di Retequattro avrà cinque prime time su sette autoprodotti. Altre informazioni sparse: la soap Il segreto passa da Canale 5 a Retequattro; Sgarbi quotidiani non si farà ma Sgarbi sarà ospite fisso di Porro; Mario Giordano avrà un programma tutto suo, intitolato Fuori dal coro, in onda alle 19.30, mentre per quanto riguarda Maurizio Belpietro le porte sono aperte: «Per ora non abbiamo alcun programma in lavorazione, ma non escludo di fare ancora un progetto con lui. Perché no? So però che è un uomo molto impegnato al momento», dichiara Berlusconi. A ottobre peraltro Retequattro sarà visibile, insieme a tutti gli altri canali Mediaset, sulla piattaforma Sky: «Non c’ è stato alcun ripensamento da parte nostra rispetto alla scelta passata: la nostra semmai è una vittoria», precisa l’ ad, «Sky ora paga un ritrasmission fee (una somma di denaro per la ritrasmissione di contenuti terzi, ndr) per avere i nostri canali sulla piattaforma, come è giusto che sia e come avviene già nel resto d’ Europa». I BELLISSIMI In tutto questo cambia anche il logo del canale: il numero quattro viene inglobato in un tondo arancione e, per un po’, nei promo della rete vedremo vari volti Mediaset sventolare il numero quattro con la mano.A chi osserva che Retequattro pecca di poche donne, Berlusconi replica: «Ci sono così tante donne su Canale 5 che su Rete 4 abbiamo deciso di difendere il vero sesso debole: gli uomini!». Retequattro, insomma, non sarà più la stessa. Però resta una grande, granitica, certezza: il ciclo cinematografico I bellissimi. Quello ci sarà. Può cambiare il mondo, ma i film che hanno fatto la storia di Mediaset non si toccano. Meno male. riproduzione riservata.

Indigestione di pallone

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FRANCESCO MORRONE Archiviata la sosta per le Nazionali, che tante amarezze e interrogativi ha regalato all’ Italia, è quasi una consolazione che ritorni il campionato accompagnato dalle coppe europee, una sorta di medicina per curare le ferite lasciate dall’ Italia targata Mancini. E allora cosa c’ è di meglio di un bel mese di pallone senza soste, con un’ ondata di partite che permetterá di riprendere il filo della lotta scudetto e inaugurare il battesimo europeo dei nostri club? A partire da sabato (con l’ anticipo tra Inter e Parma delle 15) e fino all’ amichevole tra Italia e Ucraina del 10 ottobre, contando anche la serie B, si scenderà in campo ogni giorno. Per la gioia delle tv, ovvero Sky e Dazn (e anche in parte della Rai), che si divideranno il ricco piatto. Dopo la quarta giornata di Serie A, aprirà infatti i battenti anche la nuova Champions League, con il ritorno da brividi dell’ Inter che ospiterà a San Siro il Tottenham mentre il Napoli farà visita al Maracanà di Belgrado per sfidare la Stella Rossa. Il giorno dopo toccherà alla Roma debuttare in Champions contro i campioni d’ Europa in carica del Real Madrid, mentre la Juventus inizierà la sua caccia alla coppa dalle grandi orecchie contro il Valencia. L’ Europa League che apre il sipario giovedì 20 settembre, vedrà invece coinvolte Lazio e Milan, con i primi che all’ Olimpico ospiteranno l’ Apollon, mentre i secondi se la vedranno contro il Dudelange, prima squadra lussemburghese a disputare una competizione Uefa. Dopo soltanto 48 ore, ecco che ritorna la Serie A con il quinto turno. Neanche il tempo di posare il telecomando lunedì 24 settembre, unico giorno del “mese” senza partite in programma, che due giorni dopo si riscende già in campo per il turno infrasettimanale di campionato spalmato tra il martedì e il giovedì. E a 48 ore di distanza, la Serie A offre subito due match niente male: sabato 29 va in scena alle 15 il derby di Roma, alle 18 c’ è lo scontro di fuoco tra Juventus e Napoli che darà le prime risposte sulla lotta al vertice. Zero recupero per i bianconeri, che tre giorni dopo Ancelotti dovranno fare i conti con la Champions: ma almeno ci sarà lo Young Boys, avversario comodo, mentre un paio d’ ore dopo la Roma giocherà in casa con il Viktoria Plzen. L’ impegno più difficile è senza dubbio quello del Napoli, atteso dal debutto casalingo europeo contro il Liverpool, alla stessa ora in cui l’ Inter farà visita al Psv Eindhoven. Nel giovedì di Europa League rischia anche la Lazio contro l’ Eintracht di Francoforte mentre il Milan ospiterà l’ Olympiakos. Proprio i rossoneri, subito dopo la sosta, saranno attesi dal derby. riproduzione riservata.

L'articolo Rassegna Stampa del 13/09/2018 proviene da Editoria.tv.

Il Parlamento UE vara la riforma del diritto d’autore in rete. Ecco le principali novità

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L’ Europarlamento di Strasburgo ha votato a larga maggioranza la riforma del diritto d’ autore in Rete, che impone ai vari Google e Facebook di compensare in modo «equo» gli editori dei giornali, i produttori cinematografici e di musica, artisti, giornalisti, scrittori, sceneggiatori e creatori vari.  L’ obbligo vale anche per le anteprime degli articoli mostrate da aggregatori come Google News: l’ uso di titolo e descrizione andrà pagato. Nel caso dei contenuti caricati dagli utenti e in cui non ci sia un accordo, invece, le piattaforme devono adottare misure «adeguate e proporzionate» per bloccare la diffusione del materiale protetto senza impattare sul resto. Con la nuova direttiva, messa sul tavolo per aggiornare quella del 2001, gli editori di contenuti acquisiscono un potere di negoziazione maggiore con le piattaforme; quantomeno quelli più grandi, mentre i piccoli sono preoccupati. Questo non risolve, comunque, i problemi legati all’ individuazione di modelli di business sostenibili e remunerativi per la diffusione dei contenuti online.
La direttiva esclude dalle regole i link accompagnati da singole parole. Una definizione ritenuta non molto chiara, così come non è davvero chiara la definizione di snippet applicata ai social network. Per le piattaforme. Se le piccole e micro piattaforme sono escluse dall’ applicazione della direttiva (ma non si specifica quale sia l’ unità di misura), le grandi – che si sono schierate contro la direttiva dal primo momento – dovranno effettuare un monitoraggio costante sui contenuti per evitare che violino il copyright. E come faranno? Il controllo preventivo resta dietro l’ angolo come conseguenza così come il ricorso all’ automazione e ad algoritmi che setaccino da soli i contenuti caricati dagli utenti, che potrebbero censurare anche quelli senza scopo di lucro o con diritti di cronaca (la pubblicazione dovrà però comunque avvenire con l’ autorizzazione degli interessati). “Il caricamento di contenuti su enciclopedie online che non hanno fini commerciali come Wikipedia o su piattaforme per la condivisione di software open source, come GitHub, è escluso dall’ obbligo di rispettare le nuove regole sul copyright. – si legge sul comunicato del Parlamento Ue -. Anche i meme come le parodie sono esclusi”. Resta il fatto che bisognerà trovare il modo di setacciarli e riconoscerli, perché la responsabilità sarà delle piattaforme.
Non dovrebbe cambiare molto per gli utenti passivi, che si limitano a leggere le notizie. A meno che le piattaforme non decidano di cambiare il loro modello di condivisione e diffusione delle notizie e dei contenuti, eliminando quindi le anteprime e – questo è un rischio – riducendo il flusso di lettori che arriva ad esempio dai social network. Per chi invece ricorre a contenuti protetti da copyright, il rischio è che anche nei casi di esclusione dall’ applicazione della direttiva l’ automazione dei sistemi di filtraggio non riesca a distinguere e quindi ci si ritrovi ad essere oscurati e a dover presentare proteste e ricorsi. È infatti previsto che le piattaforme istituiscano meccanismi rapidi di reclamo, gestiti da persone e non da algoritmi, per presentare ricorso contro un’ ingiusta eliminazione di un contenuto.

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Editoria: Di Maio, presto legge ‘taglia fondi’ e misura per editori puri

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Una legge per togliere il finanziamento ai giornali? “Ci stiamo lavorando! Lo faremo presto! E’ una battaglia storica del Movimento 5 Stelle! Faremo anche una legge per gli editori puri!”. Lo assicura il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, rispondendo alle sollecitazioni di un utente su Instagram.
Crimi già ieri aveva  rincarato la dose, annunciando l’intenzione di  “liberare l’informazione italiana”. E invocando pure il ritorno dell’editore puro e la necessità di andare oltre l’Ordine dei giornalisti.
Dura la risposta FNSI, “L’ennesimo editto del vicepremier Luigi Di Maio contro i giornali conferma l’avversione del governo e delle forze politiche che lo sostengono ai principi della democrazia rappresentativa, di cui la libertà di espressione e il pluralismo dell’informazione sono pilastri essenziali. Annunciare il divieto per le aziende statali di fare inserzioni pubblicitarie sui giornali non è soltanto una minaccia a quelle testate che si sforzano di informare i cittadini e di alimentare dibattiti e la circolazione delle idee, ma fornisce l’esatta rappresentazione dell’idea che il vicepremier e i suoi sodali hanno della democrazia».
«Si illude, Di Maio – proseguono i vertici della Fnsi – se, attraverso la minaccia di togliere ai giornali fonti di sostentamento, pensa di introdurre in Italia un modello di informazione guidato da un pensiero unico, magari veicolato dalla rete i cui utenti non sono assimilabili al pubblico che attraverso la lettura dei giornali cerca spunti di riflessione e non di sfogare i propri istinti o di alimentare il rancore. Nella carta stampata, come nell’emittenza pubblica e privata e in tutti i settori dell’informazione italiana, esistono ancora giornalisti con la schiena dritta pronti a fare il loro lavoro nell’interesse dei cittadini ad essere informati e della crescita civile del Paese. Non saranno certo gli editti di qualche federaletto di provincia ad impedire ai giornalisti italiani di compiere ogni giorno il loro dovere”.
“Di Maio non complichi un mestiere già difficile”. Pier Silvio Berlusconi commenta così le parole di Luigi Di Maio che promette di tagliare i finanziamenti pubblici alla stampa. “Onestamente le dichiarazioni di Di Maio mi sembrano più dovute a propaganda che a necessità reali”, ha detto l’ad di Mediaset durante la presentazione della nuova Rete  “Il mondo dell’editoria è già sotto pressione in generale. E in Italia ancora di più. Non mi sembra che ci sia la necessità di mettere limiti che complichino la già difficile vita di tutti coloro che fanno editoria. Con tutto il rispetto, faccio fatica a capire dove si stia mirando. Le nuove tecnologie hanno portato una rivoluzione che veramente ha cambiato totalmente l’editoria, togliendo molto spesso le certezze e le regole a partire degli investimenti che un editore deve fare. Poi in Italia il mercato è ancora più in difficoltà e iperconcorrenziale e tutto bisogna fare fuorché mettere in difficoltà gli editori. Non parlo di Mediaset, ma parlo di tutti, a partire dai piccoli editori di carta stampata e di radio”.

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Inpgi gestione separata, entro il 30 settembre il versamento dei contributi minimi 2018

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Il 30 settembre scadono i termini per il pagamento dei contributi minimi per l’anno 2018 da parte dei giornalisti lavoratori autonomi. «Si ricorda – spiega l’Inpgi in una nota – che sono tenuti al versamento del contributo minimo annuale tutti i giornalisti iscritti alla Gestione separata che nel corso dell’anno 2018 abbiano svolto attività giornalistica in forma autonoma».

Non sono tenuti al versamento i giornalisti che svolgono l’attività esclusivamente nell’ambito di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, dal momento che, per questi ultimi, gli adempimenti contributivi sono interamente a carico del committente.  «In tal caso – precisano da via Nizza – l’interessato deve comunicare all’Inpgi le modalità con cui svolge la professione». (Qui il modulo).

Sono esentati dal pagamento anche i giornalisti iscritti alla Gestione separata che – alla data del 30 settembre – non abbiano svolto alcuna forma di attività giornalistica autonoma e che entro la fine del 2018 presumono di non svolgere alcuna attività giornalistica. Anche in questo caso va data comunicazione all’istituto (tramite il modulo disponibile a questo link).

Come da dal Regolamento della Gestione separata Inpgi, per i giornalisti con un’anzianità di iscrizione all’Ordine professionale fino a cinque anni, il contributo minimo è ridotto al 50%: potranno versare il contributo minimo in misura ridotta gli assicurati che risultino iscritti all’Ordine professionale (elenco professionisti, registro praticanti e/o elenco pubblicisti) con decorrenza successiva al 30 settembre 2013.

Sono tenuti al pagamento in forma ridotta al 50% anche gli iscritti che, alla data del 30 settembre 2018, risultino già pensionati .

Il pagamento dovrà essere eseguito tramite modello F24/Accise o mediate bonifico bancario. Tutte le informazioni necessarie sono indicate nella circolare pubblicata sul sito web dell’Inpgi. Nei prossimi giorni, ai giornalisti che hanno segnalato il proprio indirizzo di posta elettronica (mail o Pec) l’ente invierà una nota in cui sono riportati i dati per effettuare il versamento della contribuzione. (inpgi)

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Rassegna Stampa del 14/09/2018

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