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Rassegna Stampa del 08/12/2017

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Indice Articoli

A far scuola, nelle redazioni, non è il racconto del vecchio giornalismo pre-Tangentopoli, ma quello fantasy della Seconda e Terza repubblica

Chessidice in viale dell’ Editoria

Libri, il 76% dei lettori li compra in negozio

La rete dice che ci vuole unire in realtà riesce a imbozzolarci

Nella corsa alla nuova tv Sky vuole allearsi con Open Fiber

Denunci la censura? Facebook ti censura

Denunci la censura? Facebook ti censura

A far scuola, nelle redazioni, non è il racconto del vecchio giornalismo pre-Tangentopoli, ma quello fantasy della Seconda e Terza repubblica

Italia Oggi
DIEGO GABUTTI
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Eugenio Scalfari, con una mossa a sorpresa, ha riabilitato Silvio Berlusconi. Perché? È presto detto: perché ci sono, in politica, bestie ben più pericolose del Caimano, a cominciare (ça va sans dire) da Beppe Grillo, Gigetto Di Maio, Casaleggio jr. e Associati. Romano Prodi, passato qualche giorno, ha sottoscritto l’ editto scalfariano: il leader di plastica, per quanto sia stato (e rimanga) il nemico pubblico numero uno delle forze del progresso, e volendo anche un po’ della Vera religione, è comunque molto meglio delle mezze pippe, che stanno alla democrazia come l’ Anticristo alla Dc. Sembrava fatta. Fuori l’ ex Comico, dentro l’ ex Cavaliere. Gli Associati no pasarán, arriba, arriba. E invece niente. Si sono messi di traverso, oltre al Fatto quotidiano e agli altri antigiuristi campioni di diritto sommario, anche l’ editore di Repubblica Carlo De Benedetti e le grandi (be’, medie, anche un po’ sotto la media) firme del giornalone, da Michele Serra a Massimo Giannini. Va bene il Fatto, giornale nostalgico, dove si tifa notoriamente per tutte le Bestie e le Bestialità dell’ Apocalisse (Travagliokan e i suoi Tigrotti della Malora detestano le serate eleganti berlusconiane ma non si perdono, in compenso, un solo sabba pentastellare). Si capisce anche De Benedetti, che ha dato a Scalfari (minimizzando) del «vanitoso»: vedi mai che, una volta tornato in sella, il Caimano non pretenda che gli siano restituiti i dané dell’ affare Mondadori (800 milioni di euro o giù di lì intascati dall’ editore di Repubblica per decisione d’ un tribunale secondo alcuni un po’ troppo generoso). Si capiscono anche i neonati Liberi e Uguali, che sperano in un’ alleanza (a qualsiasi condizione, anche la più umiliante) col partito azienda, dove si coltiva, come a sinistra del partito democratico, un antiberlusconismo dalle tinte deliranti (tipo teoria del complotto, o funghi magici). Ma è mai possibile che tutta la sinistra gazzettiera, Repubblica in primis, preferisca davvero associarsi agli Associati (come al Corriere, dove persino Ernesto Galli Della Loggia scrive di non capire che cosa ci sia d’ eversivo nell’ antipolitica, nel delirium tremens giustizialista e nella «democrazia digitale») piuttosto che arrendersi all’ evidenza? Al fatto, cioè, che l’ Amico degli animali, con tutti i suoi difetti, al confronto dei Dibba e Gigetti Di Maio è un affare? Non è che si rischia, abbracciando la linea populista, d’ affondare con le mezze pippe, che non vinceranno le elezioni e che se anche le vincessero (oppure s’ adattassero a combinare un’ alleanza con forze non meno eversive, tipo la Ditta rifondata e la Lega post lombarda) dovrebbero affrontare le ire dell’ Unione europea, come a suo tempo i populisti greci, e non resterebbero a lungo al governo della nazione? Vero che la sinistra giornalistica non può decidere da sola che strada imboccare. A imporre la linea populista e antiberlusconiana a Repubblica è De Benedetti; e giusto Scalfari, che è Scalfari, può ignorare la voce del padrone. Ma De Benedetti non è Napoleone, e come stratega non vale granché, specie quando si schiera, da solo, contro una sorta di fronte unico non popolare ma antipopulista che comprende (come si diceva una volta) l’ intero arco democratico, da Berlusconi a Prodi, escluse soltanto le ali estreme: lumbard, nostalgici dell’ Msi e post comunisti. Invece di baciare l’ anello della proprietà, i giornalisti del gruppo Repubblica-L’ Espresso (quelli più svegli, e non ne mancano) dovrebbero almeno tentare di smarcarsi, ma (ahiloro) neppure ci pensano. Non finirà male solo perché è già finita male. Già da un pezzo calano, o meglio tracollano, le tirature dei giornali, in particolare quelle dei giornaloni, che diffondono ormai meno copie di quanto ne diffondessero, fino a una decina d’ anni fa, le testate meno nobili, e persino quelle ignobili. Se i lettori spariscono è perché la stampa non registra più gli eventi ma finge di non vederli. Perchè li disapprova e li contesta, e perché a volte addirittura si sforza (per lo più invano, ma purtroppo non sempre) di provocare eventi di segno opposto. A fare scuola, nelle redazioni, non è il racconto più o meno sobrio del vecchio giornalismo pre-Tangentopoli ma quello fantasy della Seconda e Terza repubblica. (E non è neppure un racconto. È jihad). © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Tim: su Persidera in corso la due diligence dei potenziali acquirenti. Il processo di cessione di Persidera è stato avviato a ottobre, con il supporto di Barclays e Lazard, rispettivamente advisor di Tim e Gedi. L’ attività sta procedendo in linea con le tempistiche tipiche di questo tipo di operazioni: è attualmente in corso la due diligence da parte dei potenziali acquirenti che hanno presentato offerte preliminari non vincolanti e sono stati ammessi alla fase successiva dell’ iter. È quanto ha reso noto Tim in un comunicato diffuso su richiesta della Consob sulla possibile cessione della partecipazione di Tim nell’ operatore di rete del digitale terrestre. Mediaset, Confalonieri: accordo con Vivendi entro 19 dicembre? Speriamo. È possibile che si raggiunga un accordo tra Vivendi e Mediaset entro il 19 dicembre, giorno in cui è prevista un’ udienza al Tribunale di Milano per il contenzioso tra le due società? «Speriamo», ha detto ieri il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri durante una pausa della Prima della Scala. Rcs/Cairo, Imi alza il target price. Banca Imi ha alzato il prezzo obiettivo su Cairo Communication da 4,6 a 4,8 euro (ieri -0,10% a 3,926 euro) e su Rcs da 1,01 a 1,55 euro (ieri +1,18% a 1,20 euro). Su entrambi i titoli la raccomandazione è buy, comprare. In un report dal titolo Lavori in corso gli esperti evidenziano come «finora Rcs stia mantenendo le promesse», con la «ristrutturazione sulla giusta strada in Italia». Per Rcs le stime 2017-2019 vengono migliorate in media del 6% per l’ ebitda e del 41% per l’ eps. Per Cairo, invece, le previsioni scendono rispettivamente del 27% e del 54% per tener conto di una «performance più debole della divisione publishing e di ritardi nel lancio di nuovi magazine e canali tv». Tribunale Ue dà ragione a Coca-Cola: Master non può richiamarne il suo marchio. La Coca-Cola può opporsi alla registrazione del marchio Master (per la Master cola), che utilizza il suo steso segno grafico per la commercializzazione di bevande e prodotti alimentari. Lo ha stabilito il Tribunale Ue indicando che nonostante il segno Master di Modern Industrial & Trading Investment (Mitico) sia utilizzato con una forma analoga a quella della Coca-Cola soltanto in Siria e in Medio Oriente, la Coca-Cola può provare il rischio di «parassitismo economico mediante deduzione logica», nella misura in cui è probabile che Master sia in futuro utilizzato allo stesso modo nell’ Unione europea. Il meglio di X Factor 2017 in prima serata su Tv8 e la finale in contemporanea con Sky Uno. Sono quattro gli appuntamenti con X Factor 2017 in onda su TV8 (tasto 8 del telecomando) in prima serata. Gli spettatori del canale free di Sky potranno vedere il meglio della gara in due serate speciali in programma oggi e domani alle 21,15. La visione della semifinale andata in onda ieri su Sky Uno è prevista, in versione integrale, martedì 12 dicembre sempre alle 21,15 e infine la finale giovedì 14 dicembre in diretta dal Mediolanum Forum di Assago e in simulcast su Sky Uno HD. Suspiria su Rai 4K, la paura in Ultra HD. Martedì 12 dicembre, in seconda serata, su Rai 4K, il canale satellitare di Viale Mazzini diffuso al tasto 210 della piattaforma gratuita Tivùsat, il primo film Ultra HD della storia televisiva italiana grazie alla collaborazione di Eutelsat, Rai e Tivùsat. Si tratta di Suspiria, il capolavoro di Dario Argento del 1977 recentemente restaurato da Videa per l’ uscita nelle sale avvenuta lo scorso mese di febbraio. Salone del libro, priorità mettere in sicurezza l’ edizione 2018. «La nostra priorità è mettere in sicurezza l’ edizione 2018 del Salone del libro di Torino». Ad affermarlo, l’ assessore alla Cultura della Regione Piemonte, Antonella Parigi, intervenendo ieri in commissione consiliare. «A tal fine», ha aggiunto, la prossima settimana verrà siglata una convenzione con il Circolo dei Lettori e la Fondazione per la Cultura per suddividere attività e dipendenti della Fondazione per il Libro: il Circolo si occuperà delle attività interne del programma del Salone e dell’ International Book Forum, mentre la Fondazione per la Cultura curerà le attività del Salone Off, quelle più prettamente musicali e la ricerca di sponsor». 20th Century Fox estende la partnership di distribuzione con Imax. Imax Corp e 20th Century Fox, la divisione film di 21st Century Fox, si sono accordate per estendere a tutto il 2019 la loro partnership per la distribuzione. Come parte dell’ ìntesa, alcuni fra i più popolari film firmati 20th Century Fox saranno riadattati per gli schermi giganti premium di Imax. I biglietti per i cinema Imax hanno costi maggiori rispetto a quelli standard. L’ accordo fra Fox e Imax giunge mentre la società controllante è in trattative per la vendita di questa divisione e di altri asset legati all’ entertainment a Walt Disney. Su Rai Movie gli European Film Awards 2017. Tornano in diretta streaming su Rai Movie gli European Film Awards: domani su www.raimovie.it sarà possibile seguire in live streaming dalle ore 19.00 la 30esima cerimonia di assegnazione degli Efa, i premi attribuiti dalla European Film Academy che dal 1988 promuove la cultura e l’ industria cinematografica europea. La premiazione sarà trasmessa in sintesi il 12 dicembre in terza serata su Rai Movie.

Libri, il 76% dei lettori li compra in negozio

Italia Oggi
MARCO LIVI
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La sbornia da e-commerce è ancora alta in Italia e, complice Amazon, riguarda un po’ tutti: da una nuova moda di fare la spesa di casa all’ acquisto di libri. Ma proprio per l’ editoria libraria non è così vero che il commercio elettronico stia spopolando. Anzi, resiste e bene la libreria. Infatti, il 76% di chi ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi l’ ha comprato in un negozio fisico, almeno stando all’ indagine dell’ Osservatorio sui consumi culturali realizzato in collaborazione con Pepe Research e presentata ieri alla fiera «Più libri più liberi» dell’ Aie (Associazione italiana editori, presieduta da Ricardo Franco Levi). L’ e-commerce riveste una quota importante del settore (29% delle indicazioni) e da esso non si può prescindere, ma non rappresenta al momento il canale principale attraverso cui il lettore compra i libri. Semmai, è utilizzato per l’ acquisto di libri cartacei da chi compera anche e-book. Addirittura viene superato dalla categoria di libri in «regalo e prestito» (43%). E gli italiani che vanno in libreria non rappresentano per forza una nicchia di lettori, a loro volta facenti parte della nicchia di chi legge nella Penisola: in libreria si compra un po’ di tutto dai romanzi ai gialli, dai saggi fino alle guide di viaggio e manuali. Va da sé poi, sempre secondo Aie, che nelle grandi città gli acquisti si concentrino nelle librerie di catena (57%) o dentro i centri commerciali (21%) ma resistono stabili, per l’ appunto, le insegne indipendenti o specializzate nell’ usato (rispettivamente 16% e 17%). C’ è poi da constatare che i libri si comprano anche in occasioni di mercatini e fiere tematiche. In particolare, è il 4% di lettori che dichiara di aver comprato libri durante saloni del libro o festival letterari. Percentuale che, in proiezione, può arrivare a rappresentare circa 900 mila italiani. A conferma della tesi, ribadisce Gianni Peresson, responsabile ufficio studi Aie, c’ è il fatto che «il lettore italiano è un cliente con una spiccata multicanalità nell’ acquisto dei libri di carta. Quindi, gli store online non escludono la libreria e le fiere e i festival non escludono il banco libri della grande distribuzione. Questo ci dice che dobbiamo ragionare sempre più in logiche complessive di sistema distributivo, di ricerca di politiche e di una efficienza complessiva». Tradotto: un po’ come cercano di fare da tempo i quotidiani e i magazine, ogni occasione è buona per essere comprati e di conseguenza l’ obiettivo è moltiplicare le occasioni in cui essere presenti a tu per tu col potenziale cliente.

La rete dice che ci vuole unire in realtà riesce a imbozzolarci

Italia Oggi
SERGIO LUCIANO
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«Pronto, qui è la televisione!», disse la malcapitata segretaria Rai quando sentì, dall’ altro capo del filo, la voce del commendator Eduardo De Filippo, che rispondeva alla chiamata. E il grande commediografo napoletano, di rimando, le rispose: «Aspettate, vi passo il frigorifero!». Che avrebbe mai detto oggi, Eduardo, di fronte al dilagare parossistico di comunicazioni dirette e automatiche tra elettrodomestici, il cosiddetto “internet delle cose”, per cui ad esempio la caldaia del riscaldamento comunica con un sms sul nostro smartphone l’ avvenuto raggiungimento della temperatura voluta, o magari l’ approssimarsi dell’ esaurimento del combustibile nel serbatoio? Tutte cose utili, certo. Ma c’ è un ma, che Eduardo avrebbe subito evidenziato. Un esempio. Recentemente chi scrive ha compiuto gli anni ed è stato subissato (sia via mail che su Facebook) da una raffica di messaggi di auguri e, peggio ancora, di pseudo-regali promozionali, da parte di una serie di soggetti impersonali, cioè aziende, anonimi, ignari e remoti che però, per precedenti avvenute transazioni digitali, sono in possesso dei dati del sottoscritto, tra cui il giorno, il mese e l’ anno di nascita. E dunque eFarma, Runtastic, Cartoline.net , eBay, Boggi, Genialloyd, Ticket One e naturalmente Facebook mi hanno fatto gli auguri. Ebbene: che non si attendano ringraziamenti, ne avrei fatto serenamente a meno. È un caso apparentemente minimo, ma in realtà eloquente, di questa strana bolla di comunicazione ipercinetica ed ipertrofica che s’ intreccia attorno a noi lasciandoci, in realtà, assolutamente soli. Il Fratello Algoritmo (con la sua cosiddetta intelligenza artificiale, o aumentata che dir si voglia) usa i nostri dati, mattoncini di vita vera, per inviarci comunicazioni finte. Cioè non-naturali. Come la televisione che vuole parlare con il frigorifero Tante triste, e stupide, imitazioni della realtà. Molto diverse da un sorriso naturale e un “tanti auguri” sganciato dal garagista di buona memoria che si segna la data sbirciata una volta sulla patente, o dal barista che lo sa perché sapendo tutto di tutti, sa anche quand’ è il tuo compleanno. Ma quanto ci stanno disumanizzando il digitale e la Rete? Che tristezza. Ben lo ha descritto “Alone together”, il saggio di Sherry Turkle sui social media che – a dire della sociologa americana – fingono di riunirci una in realtà ci isolano in un mondo virtuale che ci separa dal prossimo. Ma è per l’ appunto solo una finzione: la nostra società è catalizzata dai nuovi strumenti elettronici, fagocitanti, soprattutto dai devices mobili come il cellulare e il tablet. Portatili, discreti, belli. Da sposare, se fossero di carne e ossa. © Riproduzione riservata.

Nella corsa alla nuova tv Sky vuole allearsi con Open Fiber

La Repubblica

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Milano In principio fu Sky e la parobola, poi venne la fibra con i servizi on demand. E così anche la tv di Rupert Murdoch, che finora aveva un contratto in esclusiva con Telecom per veicolare i suoi contenuti sul cavo tlc, starebbe già pianificando nuovi accordi. Se come pare l’ asse Vivendi- Telecom- Mediaset si andrà rinforzando non solo a livello di incroci azionari, ma anche di pacchetti di servizi e contenuti ( « Un accordo con i francesi entro il 19 dicembre? Speriamo » , ha detto ieri il presidente di Mediaset Confalonieri), Sky dovrà attrezzarsi per tempo, in modo da arrivare alla gara per i diritti della Serie A, dopo aver vinto quella della Champions League, adeguatamente preparata. E in proposito pare che il gruppo guidato da Andrea Zappia stia lavorando su Telecom, per spuntare il massimo dal vecchio contratto firmato all’ epoca di Marco Patuano ( che tra le altre cose prevedeva dei minimi garantiti di abbonamenti che non si sono mai verificati), ma anche trattando su altri tavoli. In particolare su quello di Open Fiber, che in futuro potrebbe essere il nuovo partner tecnologico di Sky per arrivare nelle case degli italiani, senza passare dalle parabole. Siglare un contratto con Open Fiber significa, via Metroweb, entrare nelle case di Milano, con Acea in quelle di Roma, e poi in altre ricche aree come Genova e Bologna. Ma anche nelle 271 future città che il gruppo si è impegnato a cablare con la fibra fino casa. A quel punto gli italiani potranno comprare, come già fanno, i pacchetti di Sky abbinati ad altre offerte della Vodafone tv, di Timvision o di Fastweb, ma anche disgiuntamente direttamente con Sky, senza avere un contratto telefonico, via fibra invece che via etere. Del resto Murdoch aveva trattato oltre dieci anni fa con la Telecom di Marco Tronchetti Provera con l’ idea di abbandonare la parabola per la fibra: una tecnologia meno costosa, che dà maggiore possibilità di offerta e che non presenta il rischio di cattivo servizio per colpa delle condizioni meteo. Non a caso Netflix è stato fin da subito un successo: negli Usa dove la fibra c’ è da tempo, ma anche in Europa e in Italia. Certo la migrazione di Sky non sarà né banale né repentina, perché la fibra per ora è arrivata solo in poche città italiane, e spesso si è fermata all’ armadietto stradale senza salire dentro casa. Ma dato che nei prossimi anni il divario digitale dovrà essere colmato, a quel punto la parabola passerà in soffitta come il tubo catodico al tempo del plasma. Per Sky la mossa ha poi un’ altra valenza: scegliendo Open Fiber, punta su un gruppo controllato dalla Cdp e da Enel, che è il fornitore ufficiale dell’ infrastruttura di tutti i concorrenti di Telecom sul fisso. Il fatto che il gruppo anglosassone si schieri con Open Fiber e i suoi clienti telefonici, non significa comunque per forza posizionarsi contro la Telecom dell’ era Vivendi- Berlusconi, che resterà suo potenziale cliente. – s.b. EPA/ YUI MOK/ PA Tycoon Rupert Murdoch, 86 anni, nella foto con la moglie Jerry Hall, guida un impero dei media che comprende anche Sky.

Denunci la censura? Facebook ti censura

Il Tempo
MARCELLO VENEZIANI
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La censura ideologica ha fatto un altro passo avanti. Non bastava la manipolazione e la falsificazione mediatica in grande stile di tg e giornali, l’ omertà e il silenzio su fatti del passato e del presente, le leggi liberticide approvate o in via d’ approvazione nel parlamento, l’ identificazione tra opinioni e reati, la via giudiziaria al coformismo. Ora, ci si mette anche facebook e il meraviglioso mondo dei social. Sentivo (…) segue a pagina 7.

Denunci la censura? Facebook ti censura

Il Tempo

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(…) parlare di censure, ma oggi posso dire di averne subita una. Qualche giorno fa è uscito su Il Tempo un mio editoriale, Il pericolo farsista, che criticava l’ aria di intolleranza, di censure e di sdegno a senso unico che si respira ormai da qualche tempo in Italia. L’ articolo è stato poi ripreso dalla pagina face book da me autorizzata. Beh, mi riferisce il curatore, l’ articolo è stato censurato da face book e cassato dalla pagina perché «Non adatto». Se ne avete voglia, vi invito a leggere il testo qui accanto o sul sito a me dedicato, per verificare i suoi contenuti e il suo stile. Tra l’ altro si paragonava lo sdegno unanime di istituzioni e media per l’ episodio naziskin di Como, alle tante volte in cui è stato impedito di parlare – a me ed altri- in luoghi pubblici, sottolineando come queste ultime irruzioni siano passate inosservate e non stigmatizzate. Ma la censura, che si nasconde dietro l’ impermeabile degli algoritmi, colpisce un articolo di opinioni, di idee, di civilissima polemica. È una piega bruttissima, potremmo chiamarla la boldrinizzazione dell’ informazione, la confusione di social con soviet, la dittatura del politically correct. È davvero pericoloso che la censura si accanisca indistintamente su chi offende, insulta, falsifica la realtà e chi esprime idee e opinioni difformi dal conformismo imperante. È un precedente pericoloso, anzi un ennesimo segnale di quella riduzione di libertà che prende spunto dalle fake news per fare carne da porco di tutto ciò che risulta sgradito e difforme al Potere. Non abituiamoci, e tantomeno rassegnamoci, a questo andazzo, alzando le spalle e dicendo: fatti tuoi. A uno auno, come sempre succede nei sistemi di Polizia Culturale (vera traduzione del politically correct), si procederà per mutilazioni, intimidazioni, eliminazioni successive. Fino a che si proverà, orwellianamente, a espiantare ogni seme di dissenso e di pensiero critico. In questa luce mi sembra che la carta stampata, nei rari casi come Il Tempo che non è allineata, diventa l’ ultima sponda di libertà. Sui social sta cominciando il trattamento Orwell, magari ottenuto dal potere anche tramite minacce fiscali: attenti, cari social, allineatevi al catechismo dell’ establishment, altrimenti poi veniamo a vedere se pagate le tasse o variamo leggi restrittive della vostra sfera. Censureranno pu re il mio ultimo libro Imperdonabili, perché quel titolo fa scattare l’ algoritmo della censura? Aggiungo un’ osservazione: se nessun presidente, nessun leader esprimerà sconcerto e solidarietà per questo attacco alla libertà, potrà essere considerato secondo i gradi di coinvolgimento complice, mandante o ispiratore di quest’ aria fetente di censura che si respira in giro e che alimenta, anzi caldeggia, reazioni estreme delle menti più deboli per poter così allargare la criminalizzazione a tutti i pensieri difformi. E non distinguere tra fake news e idee difformi, tra opinioni e insulti, grida scomposte e simboli «proibiti» con argomentazioni e polemiche civili. Vietato pensare; chi pensa avvelena anche te, digli di smettere. Marcello Veneziani Pubblichiamo l’ editoriale di Marcello Veneziani uscito su Il Tempo il 3 dicembre scorso. L’ articolo è stato rimosso da Facebook sulla pagina dell’ autore. Fermi tutti. In pieno autunno del 2017, un benemerito compagno ha scoperto una cosa tremenda: il 20 maggio del 1924, la città di Crema conferì su proposta della giunta locale la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini. L’ orrenda scoperta ha subito compattato il valoroso popolo de sinistra enti, associazioni, partiti e sindaca, oltre l’ ineffabile Anpi – che ha intimato di provvedere subito a ritirare l’ atto osceno in luogo pubblico. Togliendo la cittadinanza onoraria di Crema a Mussolini avremo finalmente un Duce scremato. Tempestivo, non c’ è che dire, se ne sentiva l’ urgenza, 93 anni dopo. Ma come dice un proverbio politicamente corretto, Chi va piano va Fiano e va lontano. È tutta una gara in Italia per scoprire e revocare la cittadinanza onoraria al Duce in un sacco di comuni. Pensavo a questo eroico atto di ribellione al fascismo da parte della città cremosa mentre leggevo per il terzo giorno consecutivo commenti, anatemi e mobilitazioni contro il pericolo fascista dopo la sconcertante «azione squadrista» compiuta a pochi chilometri da Crema, a Como. La Repubblica, per esempio, ha schierato il suo episcopato per condannare il fascismo risorgente e chiamare a raccolta l’ antifascismo eterno. Sui tg c’ è stato un tripudio di demenza militante a reti unificate. Non avevo intenzione di scriverne, mi pareva immeritevole d’ attenzione, ma la paranoia mediatico-politica non accenna a scemare. Ora, per cominciare, quell’ irruzione in un’ assemblea pro -migranti non è di stampo squadrista semmai di stampo sessantottino. Gli squadristi, come i loro dirimpettai rossi, non irrompevano per leggere comunicati e andarsene senza sfiorare nessuno. L’ abitudine di interrompere lezioni, assemblee, lavori è invece tipicamente sessantottina e poi entrò negli usi degli anarco-situazionisti, della sinistra rivoluzionaria, dei centri sociali, ecc. Gli «skin» in questione ne sono la copia tardiva, l’ imitazione grottesca. Secondo, i comunicati. Trovate pure demente e mal recita to, quel comunicato che gli impavidi neofascisti hanno letto interrompendo la riunione filo -migranti. A me fa sorridere, se penso ai comunicati degli anni di piombo. Vi ricordate? Davano notizie o annunci di assassini, accompagnavano attentati ed erano a firma Br, Primalinea e gruppi affini. Quando penso a quei comunicati, deliranti ma corrispondenti ad azioni deliranti e sanguinose, trovo farsesco il remake a viso aperto di quattro fasci e l’ allarme mediati c o che ne è seguito. Terzo, la violenza di irrompere e interrompere. Succede ancora, nelle università, in luoghi pubblici, verso chi non piace ai movimenti di sinistra radicale, lgbt, centri sociali o affini. È capitato anche a me, girando l’ Italia, di trovare aule universitarie e luoghi pubblici in cui non riesci a parlare o parli sotto scorta, tra interruzioni, proclami e incursioni. Di questo teppismo i giornali e i tg non ne parlano mai. E nessuna di queste anime belle che gridano indignate al pericolo fascista, ha mai espresso una parola di solidarietà e di condanna. Lo dico anche al pinocchietto fiorentino che esorta la comunità nazionale a indignarsi tutta e non solo la sua parte politica, per l’ episodio di Como, anzi per la strage virtuale: lui non ha mai speso una parola per stigmatizzare episodi di segno opposto, assai più numerosi e più violenti e pretende che l’ Italia insorga compatta per una robetta del genere? Diamine, ci sono ogni giorno storie di violenza e di morti, aggressioni in casa, e la comunità nazionale intera deve mobilitarsi unita di fronte a un episodio verbale così irrilevante? In realtà, voi informazione pubblica, voi governativi, voi giornaloni e associati, siete i primi spacciatori di bufale o fake news. Perché prendete una minchiata qualsiasi e la fate diventare La Notizia della Settimana, ci imbastite teoremi, prediche, rieducazioni ideologiche, campagne e mobilitazioni antifasciste. Se il pericolo che corrono le nostre istituzioni ha tratti così farseschi, allora il primo pericolo è la ridicolizzazione della storia e della democrazia da voi operata quando sostenete che sono messe a repentaglio da episodi così fatui e marginali. Non sapete distinguere tra una bomba e una pernacchia. E finirete spernacchia.


Rassegna Stampa del 09/12/2017

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Indice Articoli

Alla Corte Costituzionale il vaglio sulla legittimità dei tagli all’editoria

Successo all’ estero per i titoli italiani: cresce la vendita di diritti

Buon Natale Scampia: in regalo la biblioteca

Il libro italiano cresce nel mondo

A Google e Facebook un quarto dell’ advertising mondiale

Tv, più ricavi pay che pubblicità

Chessidice in viale dell’ Editoria

Telco, ott e la democrazia della rete

LA CULTURA FA BENE ALLA TV MA ANCHE IL DIAVOLO

Tanta America su Rai Cultura con Molinari editorialista

Alla Corte Costituzionale il vaglio sulla legittimità dei tagli all’editoria

www.editoria.tv
(Enzo Ghionni)
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I contributi all’editoria negli ultimi anni si erano trasformati in una sorta di eventualità: quasi un’elargizione del Governo; avallando le teorie di chi, come i cinque stelle, si sono sempre dichiarati contrari al sostegno pubblico all’editoria in quanto limita l’autonomia dei giornali rispetto alla politica. Dimenticandosi che i contributi all’editoria sono previsti esplicitamente dalla Costituzione e che vengono erogati sulla base di una legge dello Stato. Il problema, rilevato dal Giudice della prima sezione civile di Catania nella sentenza, è che il diritto ai contributi ha tale rilevanza pubblica da non poter subordinato a decisioni, spesso postume, dell’esecutivo. E la decisione del giudice civile va nella stessa direzione tracciata, come motivazione di principio dal Tar della Sicilia che con la precedente sentenza n. 2447 del 22 ottobre 2015, dichiarando al contempo la propria incompetenza giurisdizionale, che poteva sollevarsi in questione di legittimità costituzionale rispetto all’intero sistema prefigurato dal comma 62 dell’articolo 2 della legge 191/2009, quella che ha eliminato il diritto soggettivo, laddove sottopone il sostegno all’editoria ad un atto politico presupposto e, pertanto, irragionevole. Come detto, proprio in questa direzione il Giudice civile nella sentenza ritiene che il Governo non poteva, in relazione ai contributi relativi al 2013, decidere, tra l’altro per due volte, sullo stanziamento, nonostante la valutazione politica fosse stata allo stesso delegata da una legge. E, allora, il profilo rilevato dal Giudice è quello della legittimità costituzionale della norma che rimandando all’esecutivo le determinazioni relative al quantum del contributo, anche con decisioni postume rispetto ai tempi di maturazione del diritto ai contributi, lede, da un lato, il legittimo affidamento delle imprese e, dall’altro, il principio di autonomia dell’informazione rispetto all’esecutivo, premessa del sostegno pubblico. Si tratta di una sentenza che rimanda, chiaramente, al Giudice costituzionale un approfondimento circa l’effettiva legittimità della norma, ma che apre da subito lo spunto ad una seria riflessione circa la sciatteria con cui la politica ha tratto un tema, quello del rapporto tra informazione e Stato, che meritava ben altro respiro.

Successo all’ estero per i titoli italiani: cresce la vendita di diritti

Corriere della Sera

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I diritti sui libri italiani si vendono di più all’ estero, per la precisione la crescita è del 13,6 per cento sul 2016: è il dato che e-merge dall’ Indagine import export dei diritti 2017 , realizzata dall’ Ufficio studi dell’ Aie (Associazione italiana editori) con Ice (Agenzia per la promozione all’ estero delle imprese italiane) e presentata ieri, a Roma, alla fiera della piccola e media editoria Più libri più liberi. La rassegna continua oggi e domani con moltissimi eventi alla Nuvola Roma Convention Center: tra gli autori oggi in fiera, il disegnatore Zerocalcare (alle 12, sala La Nuvola) , i giallisti Marco Malvaldi, Antonio Manzini, Gaetano Savatteri e Fabio Stassi in sala Luna (alle 12) e l’ incontro sul Giallo made in Italy con Angelo Mascolo in dialogo con Maurizio de Giovanni, Francesco Pinto, Aldo Putignano e Serena Venditto (14.30, sala Giove). Tra gli stranieri, oggi anche il vincitore del Man Booker Prize 2016, Paul Beatty, con Nicola Lagioia (alle 16, sala Sirio), Ágnes Heller (17.30, Aldus Room), Fernando Aramburu (17.45, La Nuvola) e Michael Zadoorian (19, sala Luna). Domani la chiusura con, tra gli altri, Roberto Saviano, Antoine Volodine, Alessandro Baricco, Francesca Comencini e Andrea Camilleri. (b. co.)

Buon Natale Scampia: in regalo la biblioteca

Il Mattino (ed. Napoli)
Ugo Cundari
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La sedicesima edizione della fiera nazionale della piccola e media editoria, «Più libri più liberi», continua sino a domani a Roma, alla Nuvola di Fuksas tra numeri che parlano di un netto successo, di presenze, ma anche perché il numero degli appuntamenti e degli editori presenti è rispettivamente di 550 e di 500, mai arrivati a tanto. Soddisfatto Diego Guida, l’ editore napoletano presidente del gruppo piccoli editori delll’ associazione italiana editori, Aie: «Vince l’ idea di dare spazio e visibilità alle case editrici piccole con un calendario fitto non solo di presentazioni di libri, ma anche di dibattiti, incontri scientifici e convegni destinati agli operatori del settore», spiega Guida, soddisfatto anche della presenza degli editori campani, anche qui con numeri crescenti, «segno di una grandissima vitalità nostrana». Tra di loro, insieme alla Guida editori, Rogiosi e Polidoro, e non è un caso che i tre editori napoletani siano i promotori del comitato che ha programmato il Salone del libro a Napoli per maggio. «Un impegno che stiamo portando avanti già organizzando ogni mese eventi collaterali». Ma un’ altra novità della fiera romana è la presenza di uno stand dell’ associazione italiana dei librai in cui si potranno acquistare libri sul tema della legalità: «Ho tenuto particolarmente a questa presenza perché editori e librai devono fare squadra, non sentirsi gli uni in competizione con gli altri». È la filosofia del gruppo, dei piccoli che si uniscono agli altri operatori del settore non solo per resistere a un mercato dove i grandi gruppi crescono sempre di più, ma anche per rilanciare con un progetto culturale sempre diverso e innovativo. E in questa ottica anche le biblioteche sono considerate naturali alleate degli editori, tant’ è che Guida ha già annunciato un prossimo evento napoletano dal significato non solo simbolico: l’ inaugurazione della biblioteca di Scampia il 22 dicembre, resa possibile proprio grazie all’ unione di forze e di intenti tra vari operatori del settore editoriale, come l’ Aie e la Siae. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il libro italiano cresce nel mondo

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Si sta facendo valere. I numeri hanno ancora margini di miglioramento, ma che l’ editoria libraria si stia facendo apprezzare sempre di più all’ estero è un risultato da tenersi ben stretto. E in fondo gli ultimi numeri in arrivo da “Più libri, più liberi”, la Fiera della piccola e media editoria in programma a Roma fino a domani e promossa da Aie (Associazione italiana editori), danno più sostanza alle indicazioni positive emerse in questi giorni sullo stato di salute del mercato del libro (nei primi dieci mesi dell’ anno nei canali trade – librerie, online con l’ esclusione di Amazon e grande distribuzione – la crescita del fatturato si è attestata sul +1,5%, passando a 913,6milioni). La fotografia scattata dall’ Indagine realizzata da Aie in collaborazione con l’ Ice ritrae un mercato editoriale italiano che nel 2017 ha venduto oltreconfine 7.455 titoli (+13,6%) acquistandone 9.227 (-2,9%). Insomma, all’ estero va ben più di un libro italiano su dieci fra novità e nuove edizioni (erano il 3,2% nel 2001). In questo quadro, l’ aumento di vendite di diritti non è solo affare di grandi editori visto che nel 2016 (ultimo dato disponibile) i titoli venduti all’ estero dai piccoli editori rappresentavano il 12,5% dei titoli commercializzati oltreconfine (+31,9%). Cosa vendono di più gli editori italiani? Soprattutto libri per bambini e ragazzi, convalidando la quota di mercato con il 49% delle vendite (+7,7% sul 2016). Dove vanno invece i flussi geo-editoriali? In generale, le vendite per il 63,1% sono ancora in Europa anche se, rispetto alle rilevazioni del 2007 quando assorbiva tre quarti delle vendite, il Vecchio Continente ha perso peso. La palma della crescita va invece al Medio Oriente (+73,5% e 7,4% di quota). Anche l’ export cresce, con un valore salito a 315,3 milioni. «I dati – spiega Ricardo Franco Levi, presidente di Aie – confermano il ruolo importante dell’ editoria italiana, non a caso prima industria culturale del Paese, e della partecipazione alle fiere internazionali. Cresciamo in quelle aree in cui negli anni l’ Aie e gli editori italiani hanno partecipato a collettive o a missioni esplorative». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

A Google e Facebook un quarto dell’ advertising mondiale

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nel 2017 verranno investiti nel mondo circa 535 miliardi di dollari (453,7 mld di euro) in pubblicità. E, in base alle stime della società di ricerche Warc, il 18% andrà a Google e il 7% a Facebook. Perciò, ogni volta che una azienda, in qualunque angolo del pianeta, mette sul piatto quattro dollari in advertising, almeno un dollaro finisce nelle casse dei due colossi americani, per un totale di quasi 134 miliardi di dollari (113,6 mld di euro). Le cifre fanno impressione sia a livello complessivo, analizzando tutti i mezzi di comunicazione (Google e Facebook pesavano il 9% del totale nel 2012, sono saliti al 20% nel 2016 e al 25% nel 2017, in una cavalcata che pare inarrestabile), sia a livello digitale. Perché anche in questo comparto i due big stanno assorbendo la gran parte delle risorse, bloccando lo sviluppo di altri soggetti: nel 2012 Google e Facebook intercettavano infatti il 47% degli investimenti pubblicitari digitali; ma nel 2016 la percentuale era salita al 58%, e nel 2017 al 61%, con Google a spartirsi il 44% e Facebook a incassare il 18%. Twitter e Snapchat, per dire, devono combattere per portarsi a casa le briciole. Per questo, quindi, sarebbe necessario che a livello internazionale ci fosse una sensibilità verso lo strapotere di Google e Facebook non solo da parte dei media tradizionali, come le tv, i quotidiani o i periodici, ma pure da parte di altri soggetti del nuovo mondo digitale, la cui sopravvivenza è ora fortemente messa a rischio. Non bastasse lo stradominio sulla torta pubblicitaria, per Google e Facebook sta cominciando pure una stagione favorevole sul fronte fiscale: nel 2018, infatti, partirà il nuovo sistema di tassazione voluto da Donald Trump, presidente degli Stati Uniti. Un sistema che, in base alle prime stime, consentirà nel 2018 di risparmiare 2,28 miliardi di dollari (1,9 mld di euro) a Google, e 1,56 mld di dollari (1,3 mld di euro) a Facebook. Insomma, piove sempre sul bagnato. © Riproduzione riservata.

Tv, più ricavi pay che pubblicità

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Quest’ anno non sarà da incorniciare per il mercato televisivo italiano. Di qui ai prossimi due anni, però, il nuovo rapporto di ITMedia Consulting disegna un settore in fermento, con cambiamenti nella fruizione dei telespettatori e nella suddivisione delle risorse e con un lento ritorno dei ricavi ai livelli pre crisi del 2010. Buone notizie in generale ma anche una sveglia per i broadcaster legati ai modelli di business tradizionali, perché i nuovi operatori stanno cominciando a far sentire la propria presenza. Intanto la chiusura del 2017: -1,1% a 8,1 miliardi di euro, con una perdita di 89 milioni rispetto allo scorso anno. Un ripiegamento, dopo la ripresa del biennio passato e il +5,4% del 2016, anche se il dato merita un’ analisi approfondita. Le due risorse principali del mercato si sono mosse tutto sommato in terreno positivo: +0,7% la pubblicità e +2,6% i ricavi dalla tv a pagamento, insieme +1,6%. A essere calato rispetto allo scorso anno è stato il canone a causa della diminuzione da 100 a 90 euro dell’ importo in bolletta e della quota dell’ extra gettito a favore dell’ emittente pubblica. Questi movimenti hanno portato a una importante differenza rispetto al passato: i ricavi da pay tv sono arrivati al 40% del totale e hanno sorpassato la pubblicità, mentre negli anni precedenti al più le due voci erano state appaiate. Il rapporto attuale si consoliderà nel prossimo futuro: secondo la società di ricerca guidata da Augusto Preta di qui al 2019 la pubblicità crescerà a un tasso medio annuale del 2,7% mentre la pay andrà avanti con un +4,6% medio generando il 41% delle risorse complessive mentre la raccolta garantirà il 39%. In totale entro il 2019 il settore arriverà a valere 8,4 miliardi di euro, grazie al +3% medio all’ anno, avvicinandosi ai livelli pre crisi del 2010. «Questo è un anno di assestamento che però porterà il settore a crescere ancora», ha commentato Preta. «Sarà comunque una crescita selettiva, non riguarderà tutti indistintamente». Per capire il quadro che prospetta ITMedia bisogna vedere cosa sta accadendo nelle case degli italiani. Ovviamente è il digitale terrestre la piattaforma principe delle 24,6 milioni di abitazioni tv e lo resterà ancora, sebbene la quota diminuirà. Oggi è al 61%, nel 2019 sarà al 55% mentre parallelamente crescerà la percentuale della broadband tv dal 9% attuale al 14%. Il satellite (Sky e Tivùsat) sarà pressoché stabile, con un piccolo incremento dal 30 al 31%. Si parla degli utenti che guardano la tv in maniera prioritaria con una o l’ altra piattaforma. Se poi, al di là della modalità di ricezione, ci si chiede quante famiglie paghino per la tv, ebbene la quota pay (Dtt, sat e internet tv) crescerà dall’ attuale 37% al 42% e parallelamente quella free passerà secondo le previsioni dal 63% al 58%. A questo proposito il rapporto arriva anche a sezionare il segmento della tv a pagamento fra le diverse piattaforme. Di qui si nota come già oggi la tv broadband (Netflix, Tim Vision e gli altri) pareggi la pay sul digitale (Mediaset Premium) in termini di utenti (25% ciascuno) mentre il satellite (Sky) è primo con il 50%. Ma nel 2019 la tv via Internet avrà superato di molto la pay terrestre con il 34% degli utenti contro il 20% del Dtt. Anche la tv a pagamento satellitare ridurrà la propria quota, fino al 46%. Dopo anni in cui si è registrata una finta partenza, sembra quindi arrivato il momento anche dell’ affermazione della tv via Internet nelle sue diverse forme. Ma cosa accadrà ai maggiori operatori? Sky Italia, secondo il rapporto, si affermerà definitivamente come primo gruppo nel mercato. La sua quota oggi intorno al 32% dovrebbe aumentare entro due anni di circa due punti percentuali mentre Rai e Mediaset dovrebbero seguire alla pari con una market share intorno al 28%. Dalla sua Sky avrà la riconquista della Champions e con tutta probabilità il mantenimento della Serie A, oltre a una crescita anche nella tv gratuita. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Spotify, accordo con la cinese Tencent. La piattaforma di streaming musicale più grande del mondo, la svedese Spotify, ha annunciato un accordo con la cinese Tencent. L’ intesa prevede lo scambio incrociato di quote di minoranza. Con l’ intesa entrambe le società «esploreranno opportunità di collaborazione», si legge in una dichiarazione congiunta. Tencent Music Entertainment (Tme), controllata di Tencent, e Spotify pagheranno in contanti per le partecipazioni, di cui non comunicano l’ entità, l’ una nell’ altra, mentre la controllante Tencent investirà in Spotify acquistando azioni della società svedese. Tencent, che gestisce piattaforme di social media in Cina, è anche la più grande compagnia di servizi musicali online del Paese, con diversi milioni di utenti. YouTube presenterà un servizio musicale in streaming. Anche YouTube prova a entrare nel settore della musica in streaming. A marzo dovrebbe lanciare il proprio servizio entrando in diretta competizione con Spotify e Apple Music. Ne ha parlato il sito MarketWatch che ha sottolineato come il servizio darà spazio anche ai video. YouTube, di proprietà di Alphabet, avrebbe firmato un contratto con Warner e starebbe trattando con Universal Music Group e Sony Music Entertainment, per i diritti. Non è la prima volta che YouTube cerca di creare un servizio a pagamento: un esempio è YouTube Red, che è tuttavia fallito dopo poco tempo. Libri, +13,6% i diritti italiani venduti all’ estero. Nel 2017 sono stati venduti all’ estero i diritti di 7.455 titoli (+13,6% rispetto al 2016) mentre ne sono stati acquistati 9.227 (-2,9% sul 2016). È quanto emerge dall’ Indagine import export dei diritti 2017, realizzata dall’ Ufficio studi dell’ Associazione italiana editori (Aie) in collaborazione con Ice, Agenzia per la promozione all’ estero e l’ internazionalizzazione delle imprese italiane, presentata ieri a «Più libri più liberi», la Fiera della piccola e media editoria in programma fino a domani alla Nuvola Roma Convention Center. Fra i generi più venduti, Bambini e ragazzi, con il 49% delle vendite (+7,7% sul 2016), Narrativa di autori italiani (23,8%) e Saggistica (16,5%). Quanto ai generi più acquistati, gli editori italiani concentrano la loro attenzione sulla Narrativa di autori stranieri che rappresenta il 35,5% (-3% sul 2016) degli acquisti di diritti. Gli altri generi mantengono sostanzialmente le quote del 2016: Bambini e ragazzi coprono il 26,4% e la Saggistica il 18,4%. È l’ Europa a confermarsi come il principale mercato di sbocco delle vendite con il 63,1% delle opere vendute (+8% rispetto al 2016) mentre il Medio oriente – soprattutto per via degli editori turchi – con il 7,4% delle vendite vive la crescita più sostenuta: +75,3% rispetto al 2016. La maggior parte degli acquisti si concentra in Europa, tanto da coprire il 54,4% nel 2017 (in calo rispetto al 60,2% nel 2016). Aumenta la sua capacità di acquisto l’ Asia con il 13,2% dei titoli. Aci, Sticchi Damiani nominato vicepresidente sport della Fia. L’ Assemblea generale della Fia, riunita ieri a Parigi, ha nominato il presidente dell’ Automobile Club d’ Italia, Angelo Sticchi Damiani, vice presidente mondiale sport della Fia, Federazione internazionale dell’ automobile, per i prossimi 4 anni. «L’ Italia», ha dichiarato Sticchi Damiani, «esce ancora una volta rafforzata, in quanto oggi dispone di una vicepresidenza, di un posto nel senato Fia – Maria Angela Zappia – ed è presente in due nuove commissioni particolarmente prestigiose. Una rappresentanza che consentirà al nostro Paese di esercitare un ruolo sempre più significativo nella definizione di politiche fondamentali per tutti i cittadini: una mobilità sempre più sicura, efficiente, pulita e uno sport automobilistico sempre più spettacolare ed emozionante, ma anche laboratorio di ricerca e tecnologie, modello di importanti valori culturali e sociali». Grazie alla rappresentanza Aci, l’ Italia consolida il proprio peso anche nel consiglio mondiale mobilità automobile e turismo, l’ organo di governo dell’ altro grande settore di attività della Fia. Oliviero Toscani fotografa l’ Istituto superiore di sanità (Iss). Quello del noto creatore di immagini è un viaggio nei laboratori, nelle sale, negli uffici di uno dei più grandi istituti di sanità pubblica europei. L’ obiettivo del fotografo ha fissato i volti per raccontare l’ entusiasmo, la passione e l’ atmosfera che animano più di 2 mila persone che lavorano all’ Istituto con la missione principale di tutelare la salute dei cittadini. Il volume contiene più di 100 scatti di Toscani che ha ritratto tutti i lavoratori. Le fotografie, alla presenza dello stesso Toscani e del presidente dell’ Iss Walter Ricciardi, sono state presentate all’ Auditorium Parco della Musica di Roma, nel corso di una serata condotta da Tiberio Timperi con il contributo di personaggi dello spettacolo quali Ennio Fantaschini, Mimmo Locasciulli ed Elena Sofia Ricci. Rai, per la Scala 2,1 mln di spettatori (11%). L’ Andrea Chénier di Umberto Giordano diretto dal maestro Riccardo Chailly, che ha inaugurato giovedì la stagione del Teatro alla Scala e che Rai Cultura ha proposto su Rai 1, è stato visto (dalle 17,59 alle 20,57) da 2,077 milioni di spettatori con uno share dell’ 11,1%. Sky, 4,6% di share per la semifinale di X Factor. Sono stati 1 milione 141 mila gli spettatori medi con il 4,6% di share e picchi del 6% giovedì sera per la semifinale di X Factor 2017 su Sky Uno/+1 HD. Numeri che fanno di Sky Uno il quinto canale tra il pubblico 15-54 anni con il 7,7% di share, e il più visto di Sky.

Telco, ott e la democrazia della rete

Italia Oggi
* DELEGATO ITALIANO ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
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Sono debitore di alcune risposte a lettori de «Il Punto»; in particolare il dr Matteo Silvestri da Roma mi chiede se le cosiddette «over the top» (Google, Amazon, Apple, Facebook, Microsoft) non violino le legislazioni Antitrust. La risposta la stanno cercando un po’ in tutto il mondo ad iniziare proprio dagli Stati Uniti, la nazione che per prima, nel secolo XIX introdusse le leggi Antitrust e che le ha applicate prima per le ferrovie, poi nel corso degli anni alla Standard Oil, all’ Ibm, alla Xerox, alla At&t e, negli anni 90, alla stessa Microsoft. Tuttavia il mondo di Internet ha delle sue peculiarità e, ad esempio, spaccare Google in 4 o 5 «Googlettes» non è affatto detto che garantirebbe la concorrenza e contribuirebbe a migliorare i servizi agli utenti/consumatori. Quello che è certo è che chi è in grado di raccogliere e utilizzare mega-flussi di dati («big data» come si usa dire) deve essere obbligato ora e subito alla massima trasparenza perché svolge «oggettivamente» un servizio pubblico e ciò sia che sia una struttura privata (come le over the top) sia che sia una istituzione pubblica. La sig.na Maria Vittoria Capece, ricercatrice alla Cattolica di Milano e che ha passato molto tempo negli Stati Uniti, ritiene che io sia in errore nell’ apprezzare (come avrei fatto nello scorso numero di questa rubrica) la «riforma» Trump sulla cosiddetta «net neutrality» della rete. Grazie dell’ attenzione, però io ho semplicemente sostenuto che la riforma annunciata dal presidente trumpiano della Federal communications commission (Fcc) Ajit Pai non è e non può essere «la fine della democrazia sulla rete». La Fcc voterà il prossimo 14 dicembre un regolamento per cui i gestori di rete (le grandi aziende di telecomunicazione, le telco) potranno applicare prezzi diversi a chi accede a internet attraverso i loro servizi (attualmente sono obbligati a riservare a tutti le stesse tariffe). Il mercato dell’ accesso alla rete (non il diritto di accesso alla rete che deve essere per tutti e questo non è in discussione) ne risulterà più libero portando forse a un incremento dei prezzi e a un peggioramento dei servizi ma forse, al contrario, a una riduzione complessiva dei prezzi (come spesso accade quando aumenta la concorrenza) e a vantaggi per i consumatori. Io ho semplicemente sottolineato che è difficile dire ex ante quale sarà il risultato delle nuove disposizioni che, comunque, con la democrazia e la libertà c’ entrano poco. Che si possa accedere al pagamento a «internet veloce» poco cambia con la responsabilità di «cosa» transita sulla rete che è poi la vera lettura del concetto di «net neutrality» che accomuna telco e over the top nel senso che si dichiarano estranei e irresponsabili rispetto a qualunque cosa possa passare nelle loro piattaforme. È democrazia questa? Lascio la risposta ai nostri lettori. © Riproduzione riservata.

LA CULTURA FA BENE ALLA TV MA ANCHE IL DIAVOLO

La Repubblica
Antonio Dipollina
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Niente male come preserale televisivo, una prima della Scala. Poco più di due milioni di spettatori, l’ 11 per cento di share per l’ Andrea Chénier di Chailly e Martone. In questi casi, si sa, tremano vene e polsi dei big della Rai – nella storia dell’ azienda c’ è una clamorosa débâcle in prima serata, anni fa, al 5 per cento e quindi ogni volta si sta tutti in apprensione. Invece alla fine l’ opera interpretata da Anna Netrebko e Yusif Eyvazov si è incastonata bene nella serata: lunghezza accettabile, musica difficile ma scene molto spettacolari per la tv. E quindi il dato Auditel è corroborante, la soglia dei due milioni superata permette di vantarsi e a quel punto, arrivare alla celebrazione dell’ apoteosi della cultura trasmessa dal servizio pubblico, è un attimo. Il direttore generale Mario Orfeo ha toni giustamente soddisfatti e si augura che anche il prossimo anno si possa vedere la grande opera su Rai 1. Frase un po’ criptica: la prima scaligera prevede l’ Attila di Verdi, opera minore ma comunque è sempre Verdi. Così come lo scorso anno toccò a Puccini e alla Butterfly e gli ascolti furono superiori – due milioni e mezzo – rispetto al fascinoso, efficace, bello ma non popolarissimo Andrea Chénier. Magari il dg ha in mente possibili sviluppi futuri che prevedano qualcos’ altro oltre al tradizionale e ormai obbligato appuntamento di Sant’ Ambrogio, ma poi chissà: quello che è certo è che come sempre in questi casi la retorica sulla cultura che invece funzionerebbe assai in tv e una volta l’ anno ne abbiamo anche le prove, diventa immancabile. Pazienza, i canali minori della Rai mandano cultura a ogni ora del giorno e nessuno impedisce di guardarli, ma si sa che le cose funzionano in altro modo. Curioso anche notare come da più parti si viva il successo della Scala in tv come una sorta di redenzione nazionale contro la cattiva televisione: nello specifico, vista la vicinanza degli eventi, si è anche fatto riferimento alla ventata lugubre-pop portata sere fa da Canale 5 con l’ ospitata dell’ inquietante (una volta, forse) Marilyn Manson nel programma musicale di Bonolis. Più che l’ esorcista, poté la cultura – fermo restando che Manson numericamente ha fatto più ascolti, in pochi sono fuggiti dal televisore segnandosi e quindi anche il Diavolo in persona, o quel che ne rimane, ha fatto la sua figura. Dipendesse da Bonolis, se la caverebbe citando la scena finale di Chénier e facendo notare che la ghigliottina prima del tg1 va in onda in realtà tutte le sere, e difenderebbe il suo pop a oltranza. Ma prima che diventi disputa ideologica su cosa mandare in tv, meglio fermarsi finché si è in tempo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tanta America su Rai Cultura con Molinari editorialista

La Stampa

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Dalla dichiarazione di guerra di Italia e Germania agli Stati Uniti alla morte di George Washington. Dalla decisione della Suprema Corte sulle elezioni presidenziali Usa del 2000 alla protesta nel porto di Boston che diede il via alla guerra di Indipendenza americana: c’ è molta Storia degli Stati Uniti tra le ricorrenze commentate dal direttore de La Stampa Maurizio Molinari, editorialista della settimana a Il giorno e la Storia , il programma di Rai Cultura in onda tutti i giorni a mezzanotte e in replica alle 5.30, 08.30, 11.30, 14.00 e alle 20.10 su Rai Storia. La settimana si apre martedì nel ricordo dello stesso giorno del 1941 quando, a pochi giorni dall’ attacco giapponese su Pearl Harbor, anche Italia e Germania dichiarano guerra agli Stati Uniti. E si chiuderà la domenica con l’ attentato del 1973 a Fiumicino quando un commando di terroristi arabi si impadronì di un velivolo della Lufthansa. In mezzo, troveranno spazio le contestatissime elezioni presidenziali di George W. Bush del 2000; il ricordo di quando in Polonia, nel 1981, il generale Jaruzelski introdusse la legge marziale; la morte, nel 1799, di George Washington, primo presidente Usa e comandante in capo nella guerra d’ Indipendenza; la condanna a morte per crimini contro il popolo ebraico e contro l’ umanità pronunciata nel 1961 a Gerusalemme nei confronti del gerarca nazista Adolf Eichmann; il Boston Tea Party del 1773, scintilla della guerra d’ Indipendenza. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Rassegna Stampa del 10/12/2017

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Indice Articoli

Giornalisti, la solidarietà dell’ Ordine nazionale

Indagini sul web e si cercano i video

A capo di Rai Pubblicità va Gaia con cui Tiziano parlava d’ affari

Referendum, così i fake diventarono news

Edicola digitale sull’ alta velocità di Trenitalia

Trenitalia, con il nuovo orarioc’ è l’ edicola digitale sulle Frecce

Giornalisti, la solidarietà dell’ Ordine nazionale

La Repubblica (ed. Napoli)
CARLO VERNA
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Il presidente Verna e i consiglieri Sansoni e Sasso in redazione “Domani a Roma in difesa del giornale” Il vertice dell’ Ordine nazionale dei giornalisti ha fatto visita ieri mattina alla redazione napoletana di Repubblica, portando la solidarietà per la campagna dei neofascisti di Forza Nuova contro il giornale. In redazione il presidente nazionale Carlo Verna con i consiglieri Antonio Sasso e Alessandro Sansoni. A riceverli il responsabile di Repubblica a Napoli Ottavio Ragone, il presidente regionale dell’ Ordine Ottavio Lucarelli e l’ intera redazione. Una visita che segue l’ esposizione di uno striscione nella notte tra giovedì e venerdì di fronte alla sede della redazione, alla Riviera di Chiaia, con la scritta “Boicotta l’ informazione di regime” e il blitz con maschere e fumogeni nei giorni scorsi davanti alla redazione romana del quotidiano. Carlo Verna ha ricordato che lunedì si terrà a Roma una manifestazione davanti alla sede centrale di Repubblica in segno di solidarietà da parte di Ordine, sindacato e associazioni. E ha informato che si è insediato il 6 dicembre al Viminale il Centro di coordinamento delle attività di monitoraggio, analisi e scambio permanente di informazioni sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti. Al tavolo, presieduto dal ministro dell’ Interno Marco Minniti, il capo della Polizia, Franco Gabrielli, Ordine dei giornalisti e sindacato. Verna si è soffermato a lungo anche sulla piaga delle fake news: « Senza impedire la libera espressione del pensiero, garantita dall’ articolo 21 della Costituzione, bisogna aiutare la pubblica opinione a distinguere il giornalismo professionale dal giornalismo occasionale avvertendo le persone su come maneggiare le informazioni che circolano». © RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Verna.

Indagini sul web e si cercano i video

La Repubblica (ed. Napoli)
irene de arcangelis ottavio lucarelli
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Si passano al setaccio i profili filofascisti Solidarietà al giornale da Migliore, Cgil e Fondazione Valenzi Striscione contro Repubblica alla Riviera di Chiaia firmato Forza Nuova: le indagini partono da ” El diablo boy”. Altri non è che l’ autore del post sulla pagina Facebook di Repubblica Napoli: “Salve, guardate cosa hanno fatto quei porci di Forza Nuova fuori la vostra redazione!!!”. Una frase, con tanto di foto dello striscione attaccato sulla recinzione del cantiere della linea 6 metropolitana, di fronte all’ ingresso del palazzo dove ha sede la redazione, che aveva fatto scattare l’ allarme nella notte tra il 7 e l’ 8 dicembre. Proprio le telecamere del cantiere potrebbero offrire immagini utili alla Digos. Il messaggio: “Boicotta l’ informazione di regime”. Ma intanto lo striscione era scomparso, tolto dalla vigilanza del cantiere come ha poi spiegato lo stesso leader di Forza Nuova Salvatore Pacella. Questione di minuti che ha subito insospettito i poliziotti della Digos. Preparano gli atti da trasmettere in Procura, ma intanto vogliono andare fino in fondo al caso visto anche l’ annuncio, da parte di Fn, di prossime nuove iniziative contro il gruppo editoriale, e partono dall’ esatta ricostruzione cronologica dei fatti. Il post di ” El diablo boy”, soprannome scelto sul profilo Facebook, è delle ore 2,57 del mattino dell’ 8 dicembre. Lo striscione è già stato tolto, lui aveva la fotografia. In breve la Digos ricostruisce i suoi interessi palesati sul profilo. Ci sono foto del duce, frasi come “Prima gli italiani: non è razzismo. È buon senso”. “No Ius soli”. Gli investigatori approfondiscono, trovano i legami. Dunque il tono della frase sui “porci di Forza Nuova” era solo ironica. Si parte da qui, mentre gli 007 terranno d’ occhio eventuali episodi relativi alle iniziative annunciate e intanto naturalmente continuano a indagare su quanto accaduto. Nel mentre fioccano i messaggi di solidarietà e sostegno alla redazione. In tanti ieri hanno comprato il giornale postando la foto su Facebook con il quotidiano tra le mani. Messaggi che si aggiungono a quelli inviati venerdì e che arrivano dal deputato del Pd Massimiliano Manfredi, dal sottosegretario alla giustizia Gennaro Migliore («sono vicino alla redazione»), dal professore Eugenio Mazzarella, dal presidente dell’ azienda regionale trasporti Eav Umberto De Gregorio, dal segretario generale della Cgil- Napoli, Walter Schiavella, che sottolinea: «Libertà di stampa e di pensiero sono valori fondamentali della democrazia. Pronti a innalzare la vigilanza contro il pericolo neofascista». Una lettera l’ ha inviata Antonio Frattasi, segretario regionale del Partito comunista: «Solidarietà alla redazione napoletana di Repubblica, oggetto di una scellerata intimidazione da parte di Forza Nuova, becero movimento xenofobo e razzista che si richiama al fascismo». Solidarietà dalla Fondazione Valenzi che esprime « sdegno per gli attacchi di questi giorni con le scritte seguite al blitz di Roma». Messaggi anche da Alessandra Cusani, da Antonio Mattone della Comunità di Sant’ Egidio, da Guido Donatone, presidente regionale di Italia Nostra: « Viva solidarietà a Repubblica contro rigurgiti neofascisti e nazisti». © RIPRODUZIONE RISERVATA Lo striscione Le scritte comparse tra giovedì e venerdì sulla recinzione del cantiere di fronte alla sede di “Repubblica” Napoli.

A capo di Rai Pubblicità va Gaia con cui Tiziano parlava d’ affari

Il Fatto Quotidiano
Antonio Massari e Carlo Tecce
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Il suo nome è Mauro Gaia ed è l’ uomo che da gennaio potrebbe guidare Rai Pubblicità, da amministratore delegato del gruppo, controllato al cento per cento da Rai. Gaia è considerato il favorito per la guida della ex Sipra, e così la gestione delle casse della pubblicità di viale Mazzini è pronta a finire nelle mani di un renziano doc: è stato infatti molto vicino al padre del segretario dem, Tiziano Renzi, con il quale, quando Gaia era a capo del marketing di Pagine Gialle, ha più volte discusso di affari. E gli avrebbe affidato lavori su Torino e Milano. A rivelarlo, una fonte molto vicina a Tiziano Renzi, che chiede di mantenere l’ anonimato, e ricostruisce una serie di passaggi avvenuti nel 2013. L’ argomento in questione è la distribuzione di Pagine Gialle, della quale le aziende di Tiziano Renzi, dalla Chil Post alla Eventi 6, si sono più volte occupate, prendendola in sub appalto dalla Tnt Post nel 2010. A un certo punto, però, alla Tnt viene tolta la distribuzione. E Tiziano Renzi prova a non perdere la commessa che, fino ad allora, secondo la nostra fonte, gli aveva fruttato fra i 3,5 e i 4 milioni annui. Tiziano Renzi racconta al suo conoscente “che a quel punto va dal nuovo amministratore di Postel Pierangelo Scappini e gli chiede di potersi candidare alla distribuzione. Scappini vede che l’ azienda è a posto e gli dà una serie di lavori, ma piccoli, solo dei controlli, cose così. Le fa volentieri perché punta a Pagine Gialle. Postel – controllata al 100% da Poste italiane, ndr – gliel’ avrebbe data volentieri, ma c’ era Seat che doveva dare l’ ok”. Ma c’ è un passaggio in più. E di passaggio in passaggio – come vedremo – Tiziano Renzi racconta a chi gli è vicino d’ essere arrivato proprio a Gaia. Ma andiamo con ordine. Tiziano Renzi racconta a chi lo conosce bene che “tramite i sindacati, non tramite la politica, e questo non l’ avrebbe saputo neanche suo figlio Matteo, riesce a parlare con il dottor Santelia, in via Veneto a Roma”. Vincenzo Santelia, in quel momento, è l’ amministratore delegato di Seat Pagine Gialle. Ed ecco la versione che Tiziano Renzi ha riportato alla nostra fonte: “Lui – Santelia, ndr – rimane colpito e lo fa parlare con il suo responsabile Marketing, il suo vice Mauro Gaia, che dice: ‘Guardi Renzi, a me piace, sono stufo di Postel’. Renzi sr. risponde: ‘Non faccio la guerra a Postel. Troviamo la soluzione. Convinciamo Poste ad approvare noi alle stesse condizioni di prima e io sono disposto a investire, perché li distribuisco tutti’. A quel punto però l’ ad di Postel Scappini si tira indietro per una serie di problemi pregressi”. Ma Tiziano Renzi riesce comunque a organizzare un appuntamento. Tra chi? “Riesce a combinare un incontro tra Scappini e Santini, il 31 agosto del 2013 in viale Europa a Roma”. Nel frattempo però “sull’ edizione genovese della Repubblicaviene fuori che l’ azienda di Tiziano Renzi è stata condannata a risarcire un lavoratore con 70mila euro perché lavorava in nero” e – guarda caso – nella ricostruzione che Renzi fa agli amici a quel punto salta l’ affare. Ma al suo conoscente ha dichiarato che comunque “Postel si è avvalso delle mie collaborazioni”. E riferisce che “a Torino e Milano ha preso lui la distribuzione, convincendo, o cercando di convincere Mauro Gaia, che non era il caso di dargliela direttamente, ma che era giusto passare da Poste. Perché non voleva si facesse un ragionamento contro Poste”. Insomma, secondo questa ricostruzione, il probabile futuro ad di Rai Pubblicità fu convinto da Tiziano Renzi ad affidargli la distribuzione di Pagine Gialle, ma non direttamente, bensì passando da Poste. In quei mesi, tra dicembre e febbraio 2014, suo figlio Matteo prima scala il Pd, del quale viene proclamato segretario, poi Palazzo Chigi, con l’ incarico da presidente del Consiglio. Conflitti d’ interesse per chi ha il compito di nominare l’ ad di Poste. Tiziano Renzi, con chi lo conosce, s’ è difeso così: “Diceva non vi fosse nessun conflitto d’ interessi, perché era già fornitore di Postel, e spiegava di essere stato ‘cassato’ per tutta una serie di anni, fino a quando Seat non ha detto: ‘o ci porti il lavoro o lo dai a un fornitore che piace a me'”. E a Gaia, per quanto Tiziano Renzi riferiva alla nostra fonte, piaceva come lavorava la sua azienda. Ora invece Gaia sembra piacere alla Rai. E anche parecchio. Per il ruolo di ad, in Rai Pubblicità – che sarà ratificato a gennaio – in questo momento è lui il favorito. L’ indicazione spetta al Cda di Viale Mazzini, quello presieduto da Monica Maggioni con Mario Orfeo direttore generale, mentre la “ratifica” spetta invece al cda di Rai Pubblicità. Poiché, per l’ anno in corso, l’ ultimo cda di Rai Pubblicità è fissato al 20 dicembre, pare improbabile che in quella sede si possa già discutere dell’ arrivo di Gaia. Più plausibile che la scelta slitti agli inizi di gennaio, anche perché Orfeo deve cambiare, oltre l’ attuale ad Fabrizio Piscopo, anche il direttore generale Luciano Flussi. Un mese fa Piscopo, nominato da Luigi Gubitosi e proveniente da Sky Italia, ha raggiunto il quinto anno alla guida di Rai Pubblicità: la raccolta di Viale Mazzini è in discesa da tempo e sembra inesorabile per l’ invecchiamento del pubblico e l’ offerta televisiva poco appetibile per gli inserzionisti. Per esempio, la Sipra – così si chiamava Rai Pubblicità – dieci anni fa incassava oltre un miliardo di euro, quest’ anno si fermerà a circa 670 milioni, più o meno in linea con le previsioni di giugno. E nell’ elenco dei successori di Piscopo, assieme a ex manager di Rcs e Sole24Ore, c’ è l’ ex reponsabile marketing di Seat Pagine Gialle, diventato poi ad di Italia Online e oggi ad della società di produzione audiovisiva Videa. Con il tetto fissato a 240mila euro per i manager, in Viale Mazzini si maligna sui “nuovi”: siccome in molti sono andati via per guadagnare di più altrove, chi accetta l’ incarico o è a fine carriera, o è un novizio, o non vale così tanto. A parte il legame col renzismo, chissà a quale categoria appartiene Mauro Gaia.

Referendum, così i fake diventarono news

Il Mattino
Valentino Di Giacomo
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Se ci siano i russi dietro le innumerevoli bufale che girano sul web e che puntano a destabilizzare il dibattito politico in Italia non esistono ancora evidenze certe. Eppure, riavvolgendo il nastro della campagna elettorale del referendum costituzionale dello scorso anno, di fake news ne sono state propagate a migliaia e in alcuni casi sono state cavalcate anche dai leader politici che così hanno dato grado di dignità a notizie false. Basta ricordare le denunce di brogli nei collegi per gli italiani all’ estero, il mistero delle schede ritrovate già segnate con la crocetta sul «Sì» o le tessere elettorali abbandonate in fantomatici hangar della periferia romana. Le accuse di Joe Biden sulla possibilità di influenze russe che mirano a condizionare il voto del referendum appaiono piuttosto vaghe, ma chissà che gli apparati americani non siano in possesso di prove che possano confermare tutto. Del resto l’ attività dei siti fake ha avuto il proprio picco alla vigilia della campagna per il referendum costituzionale dello scorso anno. Come per il caso dell’ informatico di Afragola che aveva creato decine di siti, non è però possibile decifrare se questa diffusione di notizie false sia opera di personaggi che puntano al clic facile per guadagnare denaro oppure se dietro questi network della bufala ci siano delle mani invisibili. Lo scorso anno, a ridosso del referendum, una serie di siti web con sede legale in Bulgaria producevano fake news a ritmi indiavolati. Una produzione di bufale in quantità industriale: le più riconoscibili quelle di Fidel Castro che avrebbe votato «No» al quesito referendario e Agnese Renzi che confessava al marito il proprio voto contrario. Poi ci sono stati i casi in cui le bufale sono diventate tema di dibattito politico. «Stanno succedendo troppe cose strane dichiarò a Radio Padania il 18 novembre dello scorso anno Matteo Salvini in collegamento da Mosca – ci sono segnalazioni che mi arrivano da tutto il mondo di schede che appaiono e scompaiono». Stessi argomenti utilizzati dal Movimento 5 Stelle che dal blog di Grillo, con un intervento del senatore pentastellato Vito Crimi, titolava con toni allarmistici: «Occhio al voto degli italiani all’ estero!». Secondo Crimi era concreto «il rischio che le schede non vengano consegnate agli aventi diritto e che le stesse siano intercettate da qualcuno e usate per esprimere il voto all’ insaputa del votante». Un pericolo che, reale o presunto, era alimentato anche dai siti produttori di bufale. Una delle fake news che circolarono maggiormente fu quella degli immaginari 35 arresti dopo il ritrovamento di milioni di schede già votate. Tutto falso, ma sui social in molti ci cascavano e in quel clima di scontro tra notizie vere, presunte e inventate fu costretto ad intervenire in un question time alla Camera anche l’ allora titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni, assicurando che «la nostra rete diplomatica e consolare applica la legge in modo corretto e imparziale». Un clima di sospetti irrorato da siti che avevano accuratamente creato pagine molto simili alle testate online dei veri quotidiani. È il caso di «Liberogiornale» o dell’ ormai celeberrimo «Fattoquotidiano» che ancora oggi riporta in homepage una fantomatica dichiarazione di Trump sull’ Italia governata da incapaci. Sul referendum girava ogni genere di invenzione. «Attenzione all’ articolo segreto del referendum: l’ Italia dovrà eseguire gli ordini di Bruxelles», era ad esempio uno dei titoli più cliccati che sosteneva che nel quesito referendario ci fosse una norma per abolire la sovranità nazionale. Una bufala circolata massicciamente anche tra le catene di Sant’ Antonio su Whatsapp. Fino ad arrivare al must di ogni elezione: l’ immancabile matita del seggio che consentirebbe di cancellare la preferenza. E, in quel caso, più che gli hacker russi, furono personaggi dello spettacolo a veicolare la bufala. Piero Pelù denunciò che la matita con cui aveva votato al referendum era cancellabile. Non fu il solo, nel 2013 a lanciare lo stesso sospetto fu il candidato grillino in Emilia Romagna, Matteo Dall’ Osso, che fornì pure un illuminante manuale di voto: «Bagnatevi la mano con la saliva scrisse su Facebook – umettate la matita e poi votate, solo così il vostro voto sarà indelebile. La matita copiativa in dotazione alle urne elettorali è completamente cancellabile». La notizia fake che circolò più diffusamente fu però quella delle 500mila schede, già segnate con il «Sì», ritrovate nell’ immaginaria località di Rignano sul Membro. Un luogo che probabilmente chiarisce definitivamente come vengano scritte certe notizie. In vista delle prossime elezioni politiche, al di là se dietro queste attività esistano influenze estere, resta ancora tanto lavoro da fare per assicurare un voto realmente libero da bufale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Edicola digitale sull’ alta velocità di Trenitalia

La Stampa

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I clienti delle Frecce Alta Velocità di Trenitalia potranno leggere il loro giornale preferito a bordo treno su pc, tablet o smartphone: da oggi sarà attiva l’ edicola digitale, un nuovo servizio fruibile dal Portale Frecce in tutte le classi e livelli di servizio, senza limiti di utilizzo e senza necessità di connessione internet una volta effettuato il login. Tra le testate disponibili – l’ elenco crescerà – i quotidiani la Repubblica, Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport, La Stampa e Milano Finanza, con le riviste settimanali e mensili Capital, Ciak, Class, Gente, Grandecucina, Marie Claire Maison, PC professionale. L’ edicola digitale di Trenitalia si aggiunge all’ offerta di intrattenimento del portale di bordo che prevede già cinema, musica e notizie Ansa. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Trenitalia, con il nuovo orarioc’ è l’ edicola digitale sulle Frecce

Corriere della Sera

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C’ è una novità in arrivo con il nuovo orario invernale di Trenitalia, che entra in vigore oggi. I clienti delle Frecce Alta Velocità potranno leggere il loro giornale preferito a bordo del treno su personal computer, tablet o smartphone. Proprio a partire con l’ odierna entrata in vigore del nuovo orario, infatti, sarà attiva l’ edicola digitale, un nuovo servizio utilizzabile dal Portale Frecce in tutte le classi e livelli di servizio, senza limiti di utilizzo e senza necessità di connessione a internet una volta effettuato il login iniziale. La nuova edicola digitale sarà disponibile su tutti i treni Frecciarossa e Frecciargento. Consentirà di consultare gratuitamente i principali quotidiani italiani, a partire dal Corriere della Sera , e anche una selezione di riviste, settimanali e mensili. L’ elenco delle testate disponibili è comunque destinato a crescere nel tempo.

Rassegna Stampa del 11/12/2017

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Indice Articoli

Diritti calcio, Eurosport il piano B della Lega

Pubblicità online il mercato riparte ma vuole allentare la morsa Google-Fb

Rivoluzione Dab, così la radio entra in gioco nella corsa alle smart car

«Tetto pubblicitario per la Rai In Europa è rimasta un unicum»

Dopo il blitz neofascista, la solidarietà oggi sit in a Repubblica e L’ Espresso

Diritti calcio, Eurosport il piano B della Lega

Affari & Finanza

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Stefano Carli La gara per i diritti tv della Serie A di calcio del prossimo triennio sembra ancora in alto mare. Il 2018 è alle porte e più in là di marzo non si può andare perché il nuovo campionato parte ad agosto . Sforare sarebbe per la disastrata Lega Calcio anche peggio dell’ eliminazione dell’ Italia dal mondiale. Ma l’ accordo Mediaset -Vivendi , che tutti aspettano perché altrimenti Sky non avrebbe avversari e l’ asta diverrebbe una svendita all’ unico offerente, va a rilento. A dispetto dalle continue voci di una firma a breve. E allora la Lega si prepara un piano B. Fare tutto da sola. Una tentazione che s presenta ad ogni asta ma che è sempre sembrata finora una posizione tattica e senza reale intenzione di farlo davvero. Anche perché è difficile. Non tanto le telecamere per le riprese ma tutto il sistema di pay tv e abbonamenti da gestire. Deve essere per questo che – si narra – dalla Lega stiano partendo telefonate sempre più pressanti in direzione Eurosport. Che in Italia vuol dire Discovery. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro Araimo Discovery Italia.

Pubblicità online il mercato riparte ma vuole allentare la morsa Google-Fb

Affari & Finanza

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“C’ È UN’ ESIGENZA DI MAGGIORE TRASPARENZA CHENON PUÒ ANDARE DISATTESA” DICE CARLO NOSEDA PRESIDENTE DI IAB ITALIA APRENDO IL FORUM DI MILANO E PRESENTANDO I DATI CHE PARLANO DI UN 2017 AL 12% CON TUTTE LE COMPONENTI IN CRESCITA, PERFINO LE “VECCHIE” E-MAIL Stefano Carli Milano Roma L a pubblicità digitale torna a correre. Dopo un anno di pausa, il 2016, in cui gli investimenti in tutte le nuove forme di media digitali avevano visto la corsa fermarsi ad appena il 9%, quest’ anno le stime dicono che si chiuderà con un più 12%, a quota 2,65 miliardi di euro. Corre nel mondo, dove, come negli Usa, approfitta del calo degli investimenti pubblicitari sulle tv e conquista la vetta della classifica dell’ Ads spending, Ma corre anche in Italia, dove il mercato sembra essersi stabilizzato e gli investimenti pubblicitari sulle televisioni hanno perfino dato il segno di una lieve risalita. A crescere di più, anche da noi, come dicono i dati presentati pochi giorni fa a Milano da Iab Forum, l’ associazione della pubblicità digitale italiana, e dall’ Osservatorio Internet del Politecnico di Milano, sono ancora le componenti più nuove e dinamiche: il video, la programmatica (ossia la pubblicità che “si cerca” i suoi target selezionando i contenuti), i motori di ricerca, la nativa (forme di sponsorizzazione evoluta e interattiva). La pubblicità digitale è insomma entrata ormai nell’ età adulta, i volumi di risorse che attira e impegna, specie da parte dei grandi marchi, non sono più episodici. E questo vuol dire che il settore non può più permettersi di sottovalutare alcune scorie negative che la corsa rapidissima degli ultimi anni aveva messo da parte. Due soprattutto. L’ incontrollabilità degli algoritmi e la concentrazione del mercato. Nelle scorse settimane si è verificata una nuova fiammata di polemiche per la presenza di alcuni grandi brand mondiali (e grandi investitori) su siti dai contenuti assolutamente inappropriati. Quando l’ inappropriatezza raggiunge la pornografia, peggio ancora con la presenza di minori, scatta una immediata censura, comunque ex post e quindi tardiva. Ma il tema resta anche quando i contenuti non sono così chiaramente condannabili e c’ è solo un problema di inadeguatezza rispetto alle strategie di immagine dei grandi marchi. In primavera un primo caso aveva riguardato siti o video con commenti antisemiti o favorevoli al terrorismo. In entrambi i casi le vicende hanno provocato una levata di scudi da parte di marchi come Adidas, Deutsche Bank, Mars, LIdl, come riportato dal quotidiano inglese The Guardian, ma anche da parte di grandi agenzie di pubblicità, come la francese Havas, tra le top 5 mondiali del settore, e di recente fusasi dentro la Vivendi di Vincent Bolloré. Anche adesso, come la scorsa primavera, si sono susseguite la rassicurazioni da parte dei vertici di YouTube, della sua controllante Google e da parte di Facebook, di voler moltiplicare i controlli. Ma la diffidenza non viene meno. E questo porta dritto al secondo problema. Quello di un mercato ormai troppo concentrato: un vero e proprio duopolio ormai. L’ 84% della pubblicità digitale mondiale è controllata da Google e Facebook, secondo una stima elaborata dal numero uno mondiale della pubblicità, il gruppo Wpp. Il messaggio è chiaro. Se nei primi anni del boom della pubblicità digitale la crescita era andata a scapito dei media tradizionali, la stampa prima di tutto, ma poi anche quello che sembrava il grande e imbattibile moloch delle tv, adesso invece è tutto cambiato. A fare le spese della crescita dei ricavi pubblicitari di Google e Facebook sono soprattutto gli altri media digitali: portali e app, agenzie e aggregatori di contenuti. Non è un caso che l’ intero settore abbia sentito il bisogno di trovare un ambito di confronto. Si chiama “Coalition for better Ads”, l’ alleanza per la buona pubblicità, in sostanza. Ci sono dentro tutti, perfino Google e Facebook. Ma la novità è che sono a un tavolo “virtuale” assieme ai grandi editori, come Springer e Murdoch, ai big del software, come Microsoft, alle grandi agenzie pubblicitarie, appunto, come Wpp, Publicis o Havas. E assieme a tutti i maggiori Iab: quello Usa e quello europeo. «Cresce l’ esigenza che la pubblicità digitale sia in grado di instaurare un rapporto positivo con gli utenti dei suoi contenuti -spiega Carlo Noseda, presidente di Iab Italia E questo vuol dire mettere a punto assieme, tra tutti i protagonisti del settore, regole di rispetto e comportamenti improntati alla ricerca della massima trasparenza. D’ alta parte- continua Noseda – Proprio le dimensioni che abbiamo raggiunto ci affidano nuove responsabilità, soprattutto verso la generazione dei new millennials, giovani che si formano in un ambito completamente digitalizzato e che saranno gli utenti dei grandi marchi e di tutti gli investitori pubblicitari di domani. Sta a noi far sì che il rapporto tra questi giovani e i media sia un rapporto di massima fiducia. E per questo serve la massima trasparenza». E’ per questa esigenza di comprendere che quest’ anno Iab Italia ha realizzato assieme ad Ey una ricerca con il compito di definire meglio i confini del digitale italiano. E ne è venuto fuori un quadro, presentato durante la due gironi milanese di Iab Forum, impressionante per dimensioni: «L’ economia digitale italiana vale 58 miliardi se mettiamo assieme tutto, dalla pubblicità online fino all’ e-commerce, alle tecnologie e ai servizi professionali – spiega Noseda – E genera anche posti di lavoro: solo nel 2017 solo oltre 30 mila posti in più, che portano il totale a 253 mila unità. E il trend è positivo: i posti sono cresciuti del 15%, quindi ad una velocità superiore a quella della crescita dei ricavi». Ed è infatti questa la tendenza più recente emersa sul mercato: la necessità di soggetti in grado di offrire strategie di comunicazione sull’ intero ventaglio dei media digitali calibrate in base alle effettive esigenze degli investitori, che sappiano calibrare tutti i vari fattori in gioco, compresa la scelta dei contesti (visto il rischio di affidarsi ai soli algoritmi) e anche la tipologia di inserimento dei messaggi pubblicitari. Necessità quest’ ultima dettata anche da un dato di fatto: la diffusione dei sistemi di Ad Block, che bloccano cioè i messaggi pubblicitari sugli schermi degli utenti. E’ un fenomeno che riguarda solo gli utenti dei media collegati alla rete fissa, tipicamente pc e tv connesse, e soprattutto gli utenti di Chrome, il browser di Google, che sul mercato Usa ha una quota del 60%. E’ un fenomeno che al momento non sembra toccare le app dei dispositivi mobili, smartphone e tablet. Ma questo è un ulteriore problema perché il piccolo schermo dei telefoni non è dei più adatti per uno sviluppo completo dell’ offerta pubblicitaria. I cui ricavi crescono, ma a velocità più bassa rispetto alla crescita del traffico dati degli utenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Noseda presidente di Iab Italia.

Rivoluzione Dab, così la radio entra in gioco nella corsa alle smart car

Affari & Finanza

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IN ITALIA ORMAI UNA NUOVA AUTO SU TRE HA IL RICEVITORE DIGITALE DI SERIE E TRE SU QUATTRO LO OFFRONO COME OPTIONAL. E QUESTO HA DATO IL VIA ALLA MESSA A PUNTO DI UNA NUOVA GENERAZIONE DI SERVIZI. A PARTIRE DALL’ EWS, PER GLI ALLARMI DELLA PROTEZIONE CIVILE C’ è un allarme alluvione improvviso. La vostra radio interrompe qualsiasi costa stiate ascoltando. E se è spenta si accende e trasmette un comunicato della Protezione Civile. Lo sentono solo i cittadini della zona interessata, non viene trasmesso dalle singole emittenti ma direttamente dalle autorità e darà istruzioni su cosa fare e dove andare. Si chiama Ews, Emergency Warning System. Oppure immaginate una casa automobilistica che voglia aggiornare il firmware di un modello in circolazione. Oggi dovrebbe richiamare le auto una ad una e inserire i nuovi dati. Lo si potrebbe fare in un unico momento per tutte le vetture se i dati viaggiassero su una rete broadcast, come quella della radio e se il ricevitore autoradio fosse integrato con tutta la scatola nera della vettura. Futuro? No, presente. L’ Ews funziona già in Norvegia, in Svizzera e presto in Alto Adige, dove opera la Ras, l’ emittente radiofonica pubblica di lingua tedesca. L’ aggiornamento software delle auto ancora non c’ è ma è già tutto pronto. Ma tutto questo funziona ad una sola condizione, che le radio in questione siano ricevitori digitali Dab. La radio è l’ ultimo media a digitalizzarsi ma adesso inizia ad avere i numeri per recuperare il tempo perduto. E i risultati si vedono perché tutta l’ industria dei nuovi servizi abilitati dalla nuova tecnologia si è messa prepotentemente in moto e vuol bruciare le tappe. E per completare l’ opera non resta che attendere che anche le legislazioni si adeguino. Già undici paesi europei hanno chiesto ai rispettivi governi e all’ Ue di rendere obbligatori i nuovi chip di decodifica del segnale Dab in tutti i nuovi apparecchi radio venduti. In Italia la richiesta è stata recepita dal governo che ha inserito all’ interno della legge di stabilità una norma che stabilisce come dal giugno 2019 non si possano più importare ricevitori che non abbiano, assieme al tradizionale sistema Fm anche il Dab. E che dal primo gennaio 2020 non si possano più vendere radio non Dab. E’ soprattutto una norma a protezione dei consumatori, perché non rischino di comprare ricevitori non in linea con un mercato che si sta comunque adeguando di suo, tanto che il costo industriale dei ricevitori Dab ha di fatto annullato ogni differenza di prezzo rispetto al semplice Fm. E questo proprio in virtù della diffusione crescente. «Un’ auto nuova su tre ha il ricevitore Dab di serie, e tre su quattro lo offrono come optional ad un costo aggiuntivo di un centinaio di euro», spiega Sergio Natucci, direttore di Dab Italia, uno dei tre operatori di rete radio digitale italiano (gli altri due sono Rai e EuroDab), che associa 8 emittenti: le tre di Gedi, l’ ex gruppo Espresso, Radio 24, Rds, Radio Maria, Radio 101 e Radio Radicale. «Si stima che in Italia siano oggi in circolazione 2,5 milioni di auto dotate di ricevitore radio Dab – continua Natucci – e che sull’ intero mercato europeo se ne siano ormai venduti 60 milioni. Ma il fenomeno è ancora in accelerazione perché adesso il mondo automotive ha lasciato da parte le vecchie incertezze». A smuovere i big dell’ auto sono state le innovazioni che si stanno concentrando attorno alle smart car e alla smart mobility. E l’ evoluzione della piattaforma Dab, che già oggi non è più solo un sistema di diffusione di contenuti audio. Si è infatti ormai capito che la banda larga in mobilità non può non essere un sistema complesso in grado di utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili facendole dialogare tra di loro. Ricevere contenuti via web e banda larga mobile può essere molto costoso (e oggi spesso ancora difficoltoso) e impegna quote enormi di banda. Ricevere gli stessi contenuti, via etere, su una rete broadcast, è molto più economico. Le nuove piattaforme Dab possono gestire le richieste degli utenti in diverse modalità: si riceve per esempio un programma radio via etere dove c’ è il segnale, ma in assenza di questo si può passare sul web e tornare poi di nuovo alle onde radio. Impegna meno banda e costa meno. C’ è anche già sul mercato uno smartphone che opera così, lo Stylus della Lg. L’ interazione del ricevitore Dab a bordo dell’ auto con il sistema Gps permetterà di riceve informazioni più rapidamente, come le info-traffico o come i messaggi di allarme. Ma anche la pubblicità guarda al Dab. Si possono inviare spot legati al territorio che si sta attraversando secondo i dettami della pubblicità georeferenziata. E l’ intero sistema dell’ advertising è interessato fortemente a questo, a conferma del fatto che la radio è di tutti i media tradizionali quello che meglio ha resistito alla grande crisi di questi anni e che da diversi trimestri ormai continua a confermare il ritorno alla crescita degli investimenti. Un circolo virtuoso in cui attenzione crea attenzione. Adesso anche Autostrade per l’ Italia si sta impegnando è ha iniziato dei test in alcune gallerie delle tratte appenniniche per mettere a punto un sistema di ripetitori del segnale nei tunnel. Senza contare che anche in questo campo la digitalizzazione porta risparmi sui costi di manutenzione e di esercizio. Un’ antenna Dab consuma un decimo dell’ energia necessaria ad alimentare un’ antenna Fm che copra un uguale territorio. Ma non solo, un’ antenna Fm porta il segnale di una sola emittente, mentre un’ antenna Dab ne gestisce fino a 20 per cui i risparmi si moltiplicano da 100 fino a 200 volte. E c’ è chi ha stimato che se la Rai passasse in Dab, non avrebbe più bisogno dei suoi attuali 3.300 ripetitori ma ne basterebbero 400. Un risparmio stimabile in circa 50 milioni di euro l’ anno. E infatti Rai ha appena annunciato di voler accelerare sulla copertura del territorio e dovrebbe arrivare a coprire tutto il nord e il centro Italia fino a Salerno entro il prossimo anno. Intanto c’ è chi brucia le tappe. Gli altoatesini di Ras hanno annunciato che si apprestano a spegnere 44 dei loro attuali 220 ripetitori. Come ha già fatto la Norvegia. Come sta per fare anche la Svizzera. (s.car.) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Tetto pubblicitario per la Rai In Europa è rimasta un unicum»

Corriere della Sera

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«In Italia ci sono più canali gratuiti che in tutti gli altri Paesi d’ Europa, la concorrenza televisiva è letteralmente esplosa, mentre il mercato pubblicitario dall’ inizio della crisi è crollato ed è passato da 10 miliardi di euro a poco più di 6. Ci sono tante, forse troppe reti ma la vera tv generalista rimane insostituibile e la sua capacità attrattiva verso il pubblico e gli investitori pubblicitari non morirà mai». Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente e amministratore delegato di Mediaset, è nel suo quartier generale di Cologno Monzese. È un fine anno tra l’ intenso e il cruciale per Mediaset. Sul fronte societario si appresta a cambiare statuto, deve riuscire a farsi risarcire i danni dei francesi di Vivendi che prima hanno rotto il contratto per un’ alleanza industriale e l’ acquisto di Premium e poi tentato un’ impossibile scalata a Mediaset, bloccando progetti e piani di sviluppo. Eppure appare tranquillo. Forse perché i francesi paiono aver capito che o si fa un accordo o l’ esborso potrà essere miliardario? Sicuramente è molto più rilassato per quello che Mediaset sta facendo sul fronte della tv. Ma non è che esagera? Tra Netflix e nuovi entranti, il panorama televisivo cambia in un attimo, non le viene il dubbio di avere troppa fiducia nella tv generalista? «Lo confermano i dati: anche questo autunno i nuovi canali e la pay tv fanno fatica. Noi invece, nonostante tutta la nuova concorrenza, siamo cresciuti sia negli ascolti sia nelle quote di mercato pubblicitario. Persino sul totale individui, considerando anche il pubblico più anziano, noi in autunno abbiamo guadagnato 1,2 punti di share e la Rai ha perso 1 punto. E Canale 5 nelle 24 ore con il 17% è in assoluto la prima rete italiana. Un vantaggio che arriva fino a 5 punti di share sul target commerciale». Ma se la torta della pubblicità si è ridotta come lei stesso ammette «Il mondo dei media televisivi si va polarizzando sempre più tra due estremi: i player globali che offrono contenuti in streaming, principalmente cinema e serie, anche di qualità ma preconfezionati – il modello “grande congelatore” – e chi offre prodotti caldi, locali, in diretta, fatti da editori che conoscono la pancia del Paese. Ed è questo il nostro know how che, lasciatemelo dire, è un vero e proprio mestiere, un’ arte che non puoi comprare. I giganti digitali – Google, YouTube, Netflix, Amazon – non hanno questa capacità, è una ricchezza che non possiedono». Ma non siete soli, è una ricchezza che ha anche la Rai «Vero. La Rai quest’ arte ce l’ ha. Ma via via si sta affievolendo a causa dell’ instabilità legata alla politica. Ormai i grandi successi della Rai sono soprattutto fiction, che però vengono prodotte all’ esterno. In casa Rai si fa fatica e il parco artisti non si è rinnovato». La sua è la visione del concorrente della Rai Non dimentichi che tra canone e pubblicità la tv pubblica ha buone armi nel suo arsenale, e che forse lei invidia. «Chiariamo subito: io penso che un’ offerta televisiva di servizio pubblico sia indispensabile e debba essere lo standard di riferimento su ogni prodotto, dall’ informazione all’ intrattenimento. Ma la Rai è rimasta un ibrido che vive di canone e di pubblicità. E per la pubblicità insegue la tv commerciale. È l’ unico caso rimasto in Europa. Oltretutto falsa il mercato e sottrae risorse a un settore già in difficoltà come l’ editoria». Vuole togliere la pubblicità alla Rai? «Ripeto, la Rai è rimasta un unicum in Europa. Se percepisci un canone devi avere perlomeno un tetto molto stringente alla pubblicità. A beneficiarne sarebbe tutto il mercato, anche la carta stampata e gli editori più piccoli. E non è questione di limitare la concorrenza: noi abbiamo già dimostrato di reggere la concorrenza sia di chi ha canone e pubblicità sia di colossi internazionali come Murdoch». Già, la pay tv dove si colloca? Premium era anche nata per stoppare la crescita di Murdoch. Sky non è più un vostro competitor? «La missione difensiva di Premium è riuscita in pieno: gli abbonamenti alla pay satellitare sono inchiodati da anni. Detto questo, la pay tv classica con decine di canali è un sistema destinato a essere in difficoltà. L’ offerta on demand degli over the top, il modello “vedi tutto a prezzi scontati” alla Netflix e Amazon, a lungo andare la schiaccerà. Certo, la pay tv potrebbe vivere di eventi sportivi in diretta, ma la concorrenza delle compagnie telefoniche rende il costo degli eventi sportivi esorbitante e quindi in perdita per chi li trasmette. Mentre la tv generalista è ben viva in ogni Paese». S ta dicendo che Mediaset non si fer merà a Italia e Spagna? «La tv generalista, come ho già detto, non è il mestiere dei colossi digitali. E noi, con l’ Italia e la Spagna, siamo già il più grande editore europeo di tv commerciale. Il sogno sarebbe creare un grande polo europeo della tv free. E sarebbe bello – e anche importante per il nostro Paese – se per una volta fosse un’ azienda italiana a guidare un’ espansione internazionale. Ma, come dicevo, è solo un sogno per ora». Mediaset ha partecipato all’ asta per l’ assegnazione dei diritti tv dei Mondiali di calcio in Russia 2018. Ci credete davvero? «Senza l’ Italia, spiace dirlo, le cifre sono più abbordabili. E con i diritti in esclusiva per tutte le piattaforme siamo sicuri che l’ operazione sarebbe profittevole. Abbiamo fatto un’ offerta razionale. Per Mediaset avere i Mondiali sarebbe un evento storico, oltretutto per la prima volta totalmente gratuito per il pubblico. Incrociamo le dita». Premium è un nervo scoperto. La battaglia con Vivendi, che ha stracciato l’ accordo firmato sulla vostra pay tv, a che punto è? «Tim ha bisogno dei nostri contenuti, è molto interessata a un accordo. Ma c’ è sospesa la questione con il loro azionista di controllo Vivendi. Vediamo se questi interessi comuni sui contenuti ci aiuteranno a superare le difficoltà». Se Premium vi rimane sul groppone, è possibile che riduciate l’ offerta solo a film e serie? «Penso che in Italia ci siano le condizioni per continuare a offrire ai nostri abbonati la Serie A. Un monopolio pay satellitare sarebbe dannoso per tutti, squadre e telespettatori. Parteciperemo all’ asta con razionalità. Ma non ridurremo certo gli investimenti sui contenuti soprattutto italiani, dal cinema alle serie fino al grande intrattenimento». Il successo del Grande Fratello Vip è andato oltre le aspettative… «Cito due dati: il Grande Fratello Vip ha generato 112 milioni di video visti e raccolto 65 milioni di voti. Numeri incredibili. L’ idea di mettere in chiaro le immagini della Casa 24 ore su 24 è stata vincente. Tanto che stiamo pensando a una programmazione con un “reality permanente” su Canale 5: prima l’ Isola dei famosi, poi il ritorno del Grande Fratello classico, quindi Temptation Island e una nuova edizione del Grande Fratello Vip. L’ idea è aumentare con decisione il prodotto italiano esclusivo: abbiamo dato prova che la nostra offerta di intrattenimento, informazione e fiction oggi più che mai parla a tutta l’ Italia». Ha dato il via libera a Michelle Hunziker per Sanremo? «Per la verità non mi hanno ancora chiesto niente. Ma nel caso non ci sarebbero problemi: il fatto che la Rai per i suoi più grandi eventi cerchi ormai da tempo artisti Mediaset è un altro segno della nostra centralità».

Dopo il blitz neofascista, la solidarietà oggi sit in a Repubblica e L’ Espresso

La Repubblica

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roma « Tutti insieme per dire no a qualsiasi forma di fascismo e di razzismo » . Questo lo slogan del presidio di solidarietà, organizzato per oggi alle 15.30 davanti alla sede di Repubblica e de L’ Espresso dove, mercoledì scorso, è stato organizzato un blitz di alcuni attivisti di Forza Nuova. «Nel nostro Paese c’ è ormai un clima di intimidazione contro i giornalisti, che si manifesta con aggressioni squadriste spiegano gli organizzatori – I giornalisti liberi danno fastidio e per questo qualcuno vorrebbe tornare ai tempi dei manganelli, come è successo a Ostia » . Di qui l’ appello, rivolto «alle associazioni e organizzazioni di categoria dei giornalisti e a tutte le associazioni e forze democratiche e cittadini che ogni giorno lottano contro intolleranza ed egoismo, contro ogni forma di neorazzismo e neofascismo » . Tante le adesioni, dalla Federazione Nazionale della Stampa ad Articolo 21, dall’ Ordine nazionale dei giornalisti all’ Usigrai, dalla rete Nobavaglio all’ associazione Stampa Romana, il sindacato cronisti, l’ ordine dei giornalisti del Lazio. Poi ancora, Libera, Emergency e tanti altri. L’ irruzione fascista a Repubblica.

Editoria, record di visitatori per la fiera “Più libri più liberi”

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Si chiude a Roma, la sedicesima edizione di Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria, promossa e organizzata dall’Associazione italiana editori (Aie).
«Un successo oltre ogni previsione», commenta il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi, sottolineando che Più libri più liberi è l’«unica fiera interamente organizzata dall’Aie, segno della centralità della piccola e media editoria nel campo dell’editoria nazionale». Quanto ai numeri, «i dati ancora non li abbiamo — dice — ma la folla è stata da derby Roma-Lazio. Dall’apertura dei cancelli fino alle otto di sera c’era una coda ininterrotta di persone che entravano, visitavano la Nuvola e passavano tra gli stand degli editori. Non c’era un incontro che non fosse pieno. Nel 2016, nella sede del Palazzo dei Congressi, ci furono circa 50 mila visitatori, quest’anno molti molti molti di più. L’affluenza è stata da capogiro».

Un risultato che fa bene anche a Roma. «Vedere queste enormi file, in questa splendida Nuvola, è stato per la città una boccata di fiducia, di speranza e di bellezza».

L’Aie vorrebbe dunque riproporre anche nel 2018, in analoghe forme, la vetrina andata in scena quest’anno. La piccola e media editoria pesa per circa un libro ogni tre di quelli pubblicati in Italia e nel 2017 il suo mercato risulta in crescita per il terzo anno consecutivo (+3,3% a valore e +0,6% a copie sul 2016, esclusa la grande distribuzione organizzata, dati Nielsen per Aie). In generale, secondo le indagini presentate proprio nella Nuvola, l’universo complessivo del libro torna a registrare in Italia alcuni segni positivi. Nel 2017 il fatturato è cresciuto nei primi dieci mesi dell’1,5% (dati Nielsen per Aie) e risultano venduti all’estero i diritti di 7.445 titoli italiani, il 13,6% in più del 2016 (Aie-Ice).
Un progresso ancora contenuto ma che si sta consolidando. «Quella editoriale — nota Levi — è la prima industria culturale del Paese. Si apre una stagione nuova, con un interesse delle istituzioni mai così alto». Cita l’aiuto alle librerie indipendenti e ai diciottenni per l’acquisto dei libri, i «3 milioni poi portati a 5 per la promozione del libro e della lettura, con i 2 milioni aggiunti specificamente per le biblioteche scolastiche, a valle del grandissimo lavoro di #ioleggoperché».
In questo contesto, l’Aie vuole presentarsi come la casa di tutta l’editoria, dei grandi e dei piccoli. Per questo Roma è stata una tappa significativa. E adesso tocca a Tempo di Libri, la fiera internazionale che si terrà a Milano dall’8 al 12 marzo. Un «passaggio di testimone ideale — conclude Levi — in cui a Milano passa anche la responsabilità di fare qualcosa di straordinario come quello che c’è stato a Roma in questi giorni» (corriere)

Caso Uber. I Garanti europei indagano sulla violazione di dati personali

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Le Autorità per la privacy europee, riunite nel “Gruppo di lavoro Articolo 29”, hanno deciso di istituire una task force per indagare sulla violazione di dati personali subìta nel 2016 dalla società americana UBER a seguito di un attacco hacker e tardivamente denunciata solo alla fine dello scorso novembre. Il data breach avrebbe coinvolto i dati di decine di milioni di utenti Uber in tutto il mondo.

La task force, sarà guidata dal Garante olandese – anche in virtù del fatto che la sede legale di Uber in Europa è ad Amsterdam – e composta dai rappresentanti delle Autorità privacy francese, italiana, spagnola, belga e tedesca, e conterà anche sulla collaborazione dell’ICO, l’Autorità britannica.

I Garanti coinvolti hanno già avviato la richiesta di chiarimenti e documentazione presso le sedi Uber dei loro Paesi di competenza, impegnandosi a condividere nell’ambito della task force le informazioni utili all’approfondimento del caso.

Rassegna Stampa del 12/12/2017

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Indice Articoli

Disney pronta a chiudere con Murdoch

Quotidiani, ottobre è tiepido

Chessidice in viale dell’ Editoria

Class Cnbc, la hit parade della pubblicità in tv

Domus lancia il nuovo corso

Debutta l’ edicola digitale per i passeggeri delle Frecce di Trenitalia. Cinque quotidiani, più settimanli e mensili, gratis per tutti. L’ offerta è destinata a crescere

I dati Ads di ottobre per quotidiani e settimanali e di settembre per i mensili (TABELLE)

Tetto alla pubblicità non solo per la Rai Ci vuole veramente una gran faccia tosta a richiedere …

Fake news russe, ma chi ci difende dalle italiane?

Di Maio all’ Osce: “Da editori impuri fake news contro il M5S “

Giornalismo e fake news, quali anticorpi per proteggere la società

La Rai e gli spot: Mediaset chiede di mettere il tetto? Ma da noi c’ è già

Presidio a Repubblica, alt ai neonazi “Il blitz di Forza Nuova riguarda tutti”

Mobilitazione anti-fascista: «Stampa libera»

Disney pronta a chiudere con Murdoch

Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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new york Tutto è cominciato, come spesso accade anche in eventi epocali, da un semplice gesto. Una telefonata. Da un lato della linea Bob Iger; dall’ altro l’ 86enne Rupert Murdoch. Era ottobre. Adesso quella chiamata potrebbe rivelarsi fatidica. Potrebbe tradursi in uno della maggiori rivoluzioni nell’ élite dei mass media americani e internazionali: lo smembramento dell’ impero della 21st Century Fox, costruito con decenni di acquisizioni da un protagonista leggendario e sempre all’ avanguardia. Disney, se come sembra emergerà davvero come l’ acquirente dal duello con altri aspiranti del calibro di Comcast e Verizon, potrebbe uscire enormemente rafforzata, nel raggio d’ azione globale e sulla frontiera di nuovi servizi di streaming. Murdoch invece si arrende, passando ad altri il testimone nella gara tra vecchi e nuovi leader, un novero che vede la carica di colossi integrati di Tlc e media, dal contenuto alle piattaforme di distribuzione, e l’ avanzata dei signori di Internet e hi-tech quali Netflix, Amazon, Facebook, Google e Apple. La parola fine sull’ impero di Murdoch potrebbe essere scritta già questa settimana: i negoziati con Disney per la cessione di decine di miliardi di dollari di preziosi asset mondiali e di produzione cinematografica potrebbero andare in porto a tempi brevi, entro il mese di dicembre. Lo ha insinuato una battuta dello stesso Murdoch, filtrata sul Wall Street Journal: durante un incontro con investitori che chiedevano conto di quando un deal avrebbe potuto essere consumato ha appunto detto entro il mese. Certo è che Murdoch è in stretto contatto con Iger, amministratore delegato e chairman di Disney, che e’ tornato a corteggiarlo dopo una fase di raffreddamento e divergenze sul prezzo. E nei giorni scorsi, a testimonianza della frenesia che attraversa il settore, nei locali di un club newyorchese ha chiacchierato con il patron di Comcast Brian Roberts. In gioco è il passaggio di mano di asset per 40-60 miliardi di dollari, che comprenderebbero gli omonimi Studios 21st Century Fox, canali Tv via cavo statunitensi quali FX e National Geographic, operazioni internazionali quali le quote nella tv satellitare britannica Sky e nella brillante Star Tv in India. A Disney fa particolare gola anche la vasta biblioteca di film e spettacolo del gruppo, che ne farebbe un re ineguagliato nel content. L’ analista di Piper Jaffray Stan Meyers ha definito una simile conquista «chiaramente positiva per Disney». Grazie ad una dote che «migliorerebbe significativamente l’ ampiezza del contenuto disponibile per una piattaforma rivolta ai consumatori, trasformandola in meta di abbonamenti d’ obbligo». E alla «diversificazione fuori dall’ ecosistema della Pay-Tv», le cui difficoltà per la concorrenza di Internet pesano sui titoli in Borsa. Murdoch manterrebbe le attività di informazione, sportive e i network televisivi targati Fox. Per l’ ottuagenario magnate la scelta rappresenta una ritirata e un ritorno alle radici, alla passione originale per giornalismo e informazione, forse con l’ intento di fondere i rimanenti asset con l’ altra sua società, News Corp, che controlla marchi come il Wall Street Journal. Agli albori, nei primi anni Cinquanta, Murdoch aveva ereditato dal padre un piccolo gruppo editoriale in Australia espandendolo in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti come strategie ultra-aggressive e controverse, che spezzarono sindacati, spinsero la deregulation e diedero vita a un impero diversificato tra stampa, tv, cinema e qualche meno fortunata avventura digitale. Murdoch avrebbe ora semplicemente concluso che in futuro il suo gruppo non potrà avere le dimensioni adeguate per continuare a competere. Lo smembramento in discussione sarebbe tuttavia l’ esito non solo di ripensamenti strategici ma anche di dissidi familiari al vertice che hanno fatto maturare oggi i tempi d’ una separazione. I due figli quarantenni dal 2015 al comando a fianco di Rupert – Lachlan e James – avrebbero sviluppato stili e interessi sempre più contrapposti. Lachlan, basato a Los Angeles, è gran fautore della cessione e condivide la passione del padre per il business delle news. James, che vive a New York, ha un debole per la tecnologia. Lachlan potrebbe così in futuro prendere le redini di una ridimensionata azienda di famiglia. James potrebbe al contrario lanciare una propria avventura imprenditoriale oppure assumere un ruolo di alto profilo in un gruppo del calibro di Disney, fino a entrare in lizza tra i potenziali successori di Iger che dovrebbe ritirarsi nel 2019. Iger sarebbe pronto a posticipare l’ uscita di scena di due o tre anni per assicurare un successo della fusione, ma non ha al momento un delfino e il 44enne James emergerebbe alle sue spalle. L’ impero Murdoch forse è sul viale del tramonto, ma la famiglia Murdoch potrebbe rimanere nel gotha dei media. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Quotidiani, ottobre è tiepido

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Non migliorano le diffusioni dei principali quotidiani italiani a ottobre ma, almeno, alcuni riescono a tamponare la fuoriuscita di copie secondo i dati Ads carta+digitale: Libero contiene per esempio le perdite a -6,5% rispetto a settembre (vedere ItaliaOggi del 8/11/2017), Quotidiano Nazionale Qn-Nazione argina a -3,9%, il Messaggero riduce a -3,7%, Quotidiano Nazionale Qn-Resto del Carlino si ferma a -3,4% mentre il Fatto Quotidiano arriva quasi in pareggio, giù dello 0,5%, e il Corriere della Sera passa addirittura in terreno positivo (+0,5%). Migliorano anche le testate sportive, non foss’ altro perché a settembre hanno risentito del confronto con agosto, mese estivo di calciomercato e inizio di campionato. Così TuttoSport è a -11,8% e il lunedì a -6,2%, Gazzetta dello Sport a -11,2% e il lunedì a -6,6%, Corriere Sport-Stadio a -7% e il lunedì a -4,7%. Completano il panorama la Verità (-4,8%), Repubblica (-4,5%), Giornale (-4%), Stampa (-2,7%) e Quotidiano Nazionale Qn-Giorno (-2,1%). Si confermano infine in crescita Avvenire su del 9,1% e Sole 24 Ore dell’ 1,6%. Nella classifica a 10 sulle diffusioni totali carta+digitale, il Corriere della Sera si mantiene saldo sul gradino più alto del podio e anzi aumenta il distacco da Repubblica (87.133 copie). Quest’ ultima, però, precede sempre Quotidiano Nazionale Qn (dorso sinergico di Giorno, Nazione e Resto del Carlino) sulla soglia complessiva delle 202.791 copie. Seguono il lunedì della Gazzetta dello Sport e il Sole 24 Ore, che balza al quinto posto dalla precedente settima posizione. La Stampa si mantiene stabile (sesta) e a retrocedere sono le uscite settimanali della Gazzetta dello Sport, divenuta settima. Avvenire conquista l’ ottavo posto (era nono), il Messaggero il nono (era ottavo). Stabile come decimo della classifica il lunedì del Corriere Sport-Stadio. Tra i settimanali, da notare in confronto ai quotidiani, l’ andamento con oscillazioni più marcate in cui regna il segno negativo sulle diffusioni complessive carta+digitale e si spazia da Chi (-1,8%), Panorama (-2,1%), Espresso (-4,4%) e Settimanale Di Più (-4,5%) fino a Diva e Donna (-10,3%), Grazia (-11,1%) e Donna Moderna (-15,5%). Non mancano comunque i segni positivi, tra cui Tu Style (+16,7%), Milano Finanza (+6,2%), Viversani e Belli (+2%). Nell’ edicola dei quotidiani non si registrano significativi cambiamenti se non che ad Avvenire (+20%) e Sole 24 Ore (+0,6%), al rialzo anche nei canali di vendita previsti dalla legge, si aggiunge ItaliaOggi in crescita del 7,5% (e sostanzialmente stabile nella rilevazioni complessiva carta+digitale). Invece contraggono Libero (-6,4%), Repubblica (-5,7%), Messaggero (-4,7%), Qn-Nazione (-4%), Stampa (-4%), Corriere della Sera (-3,7%), Giornale (-3,7%), Qn-Resto del Carlino (-3,7%), Qn-Giorno (-2,4%) e da ultimo Fatto Quotidiano (-0,9%). Tra gli sportivi, in particolare, ci sono Gazzetta dello Sport (-12,6% e il lunedì a -6,7%) e Corriere Sport-Stadio (-9,3% e -4,9% al lunedì). Nella top ten, Quotidiano Nazionale Qn rimane primo come a settembre, anticipando il Corriere della Sera. Le due testate si alternano periodicamente, però, tra primo e secondo posto: questa volta la differenza è di 3.507 copie (a settembre era di 3.141). Invece è al terzo gradino che si registra la novità con Repubblica che supera nuovamente il lunedì della Gazzetta dello Sport (ora quarta). Sorpasso che poggia su sole 326 copie di vantaggio. A seguire invariati Gazzetta dello Sport, Stampa, Corriere Sport-Stadio del lunedì, Messaggero e ancora Corriere Sport-Stadio in settimana. In decima posizione, però, entra in classifica il Giornale facendo retrocedere all’ undicesima (e quindi fuori classifica) il lunedì di TuttoSport. Sul digitale tra i quotidiani, infine, avanzano Corriere Sport-Stadio (+2,9% sia in settimana sia al lunedì), Stampa (+1,6%) e Libero (+1,5%). ItaliaOggi, in particolare, cresce del 109%. Stabili Fatto Quotidiano, Corriere della Sera e Repubblica. Di contro c’ è il segno negativo per Gazzetta dello Sport (-4,4% e -4,2% il lunedì), Avvenire (-2%), Messaggero (che contiene a -1,5%) e Giornale (a -0,9%) e Sole 24 Ore (-0,7%). Come risultato finale rimane invariato il ranking con, nell’ ordine, Sole 24 Ore e Corriere della Sera (ora distanziati da meno di 5 mila copie, in calo a 4.853), Repubblica, Stampa, Gazzetta dello Sport del lunedì e nel resto della settimana, Fatto Quotidiano, Messaggero, Avvenire e Gazzettino.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Rai, tetto alla pubblicità più alto delle tv commerciali. «La Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico, è soggetta a limiti di affollamento pubblicitario di gran lunga superiori alla concorrenza delle tv commerciali». Lo ha precisato la Rai in una nota dopo l’ intervista di ieri rilasciata al Corriere della Sera dall’ amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi. «Il tetto, quindi, già c’ è ed è per questo che la richiesta dell’ a.d. di Mediaset appare oggi del tutto strumentale». «Quanto agli ascolti, Rai ribadisce di essere leader e i dati dell’ autunno 2017 lo confermano, con l’ incremento dello share di un quarto di punto sul totale individui nell’ intera giornata rispetto a un anno fa (fonte Auditel)», ha concluso Viale Mazzini. Non è L’ Arena di Giletti al 5,98%. Ancora un ottimo risultato su La7 per Non è l’ Arena di Massimo Giletti che domenica 10 dicembre ha conquistato il 5,98% di share, 1.312.518 telespettatori medi e 7.573.696 contatti. Il programma ha ottenuto inoltre picchi del 9,23% e 2.012.416. La7 con il 5,87% di share in prime time (20,30-22,30) è quinta rete, superando Rai 3 e Rete4 ferme al 4,56 e al 3,21%. Su Tivùsat arrivano Vh1 E Spike. Altri due canali di Viacom International Media Networks Italia sono visibili su Tivùsat: VH1 e Spike. Oltre a Paramount Channel, il canale dedicato ai film e alle serie tv disponibile sul canale 27 di tivùsat, ora sono disponibili anche Vh1 (canale 25 di Tivùsat), e Spike, lanciato ad ottobre e ora fruibile anche sul canale 26 della piattaforma satellitare gratuita. Sui siti Citynews i contenuti Mediaset. Partnership fra il gruppo editoriale Citynews e Reti televisive italiane (Rti) del gruppo Mediaset: Citynews avrà la possibilità di accedere alla piattaforma telematica Mediaset on Demand, nello specifico all’ area intrattenimento della repository, per incorporare i contenuti video negli articoli pubblicati dai quotidiani digitali del gruppo. Le 47 testate di Citynews potranno così offrire approfondimenti televisivi. Link raccolta la Mediamorfosi. Link. Idee per la televisione, il magazine fondato da Mediaset nel 2002 e dedicato alla cultura televisiva, torna in libreria da oggi per fare il punto sull’ evoluzione dell’ industria dell’ audiovisivo a dieci anni dalla cosiddetta rivoluzione digitale. Nel 2006 infatti usciva un numero speciale di Link intitolato «Mediamorfosi» che raccontava la trasformazione della tv di quell’ epoca: l’ abbandono dell’ analogico per il digitale terrestre, i primi passi della distribuzione di video attraverso le reti telefoniche, l’ inizio di un nuovo mondo fatto di contenuti on-demand. «Mediamorfosi 2» descrive l’ inarrestabile sviluppo tecnologico che ha caratterizzato l’ universo della tv e dintorni nell’ ultimo decennio, dall’ alta definizione alla distribuzione dei contenuti su smartphone e tablet e agli ott. Ma racconta anche il fallimento della profezia sulla morte della tv, oggi più viva che mai. Il numero 22 di Link (336 pagine) è in libreria al prezzo di 15 euro negli store digitali. LaFeltrinelli Red apre a Milano. Aprirà oggi a Milano nel cuore di Porta Romana (in viale Sabotino 28) laFeltrinelli Red, il nuovo store polifunzionale ideato da Gruppo Feltrinelli e sviluppato con Cir food dove si possono comprare libri e degustare piatti. Per l’ occasione sarà organizzata dalle 18 una festa che vedrà coinvolto il quartiere con il ritmo jazz della Milano Brass Band. Nasce ForzaItalianews.it. Si chiama ForzaItaliaNews.it ed è un sito per l’ aggregazione e la divulgazione di notizie relative a Forza Italia, nazionali, regionali e locali. L’ obiettivo è arrivare direttamente sullo smartphone, sul tablet, e sul computer dell’ elettore, informandolo in tempo reale, allegando oltre al testo, immagini, infografiche, file audio e video. ForzaItaliaNews.it è stato presentato ieri a Firenze, alla presenza della responsabile nazionale comunicazione di Forza Italia Deborah Bergamini, del vicepresidente del consiglio regionale della Toscana Marco Stella, del responsabile comunicazione di Forza Italia Toscana Angelo Pollina e del coordinatore del progetto editoriale Ciro Costagliola. ForzaItaliaNews.it si pone come un sito aggregatore esclusivo di notizie diviso nelle sezioni: News Nazionali (News Camera + News Senato + Cronaca Politica) e News Regionali (News dalle Regioni e dai Comuni), con la sezione Forza Italia Video, che nel tempo si presenterà come una vera e propria web tv dove saranno pubblicati gli interventi dei rappresentanti del movimento. Per favorire il rapporto con l’ elettore, ForzaItaliaNews.it ha predisposto al suo interno lo spazio per i commenti e le interazioni alla fine di ogni articolo, per poter creare un dialogo aperto tra lettori ed eletti o rappresentanti di Forza Italia. Rosy Abate chiude al 21% di share e 5,3 mln di telespettatori. La fiction Rosy Abate «ha regalato a Canale 5 numeri record. I telespettatori hanno premiato, per cinque settimane consecutive, un prodotto di qualità dal respiro internazionale e una grande storia, raccontata, interpretata e realizzata magistralmente. Grazie a Pietro Valesecchi, all’ intera Taodue, al regista Beniamino Catena, a una straordinaria Giulia Michelini e a tutta la produzione artistica e produttiva che hanno creduto in questo progetto». Lo ha dichiarato ieri il direttore di Canale 5 Giancarlo Scheri commentando gli ascolti dell’ ultima puntata di questa edizione della serie, andata in onda domenica in prima serata: 20,89% di share, pari a quasi 5,3 milioni di spettatori medi, l’ audience più alta tra le fiction Mediaset di quest’ anno.

Class Cnbc, la hit parade della pubblicità in tv

Italia Oggi

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Sono di Bauli, Apple, Motta, Tim e Kidmas Project gli spot che concorrono questa settimana alla hit parade delle migliori campagne pubblicitarie elaborata nel corso della trasmissione Marketing Media and Money, il programma di Class Cnbc (sul canale Sky numero 507) dedicato al mondo del marketing, della pubblicità e della comunicazione, in onda ogni martedì sera alle 21.05 (in replica mercoledì e sabato alle 10.10 e venerdì alle 13.30) e condotto da Andrea Cabrini e Silvia Sgaravatti. A rischiare il podio dei rimandati, invece, sono Pandora, Balocco, Lavazza, Findus e Kellog’ s. Le classifiche sono elaborate in base ai giudizi di una giuria composta da studenti della laurea specialistica in marketing management dell’ Università Bocconi che spiegano ai telespettatori i motivi delle loro scelte.

Domus lancia il nuovo corso

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il mensile Domus è un gioiellino della editoria italiana. Ha numeri piccoli, certo. Ma dà il nome a una prestigiosa casa editrice (Editoriale Domus), compie 90 anni, è una testata con i bilanci in positivo e, unica in Italia, ha quasi il 60% della propria diffusione all’ estero: circa 30 mila copie sulle 50 mila complessive. Il nuovo progetto Domus, affidato da tre mesi al direttore editoriale Walter Mariotti in un percorso pensato già con respiro decennale, apporta qualche cambiamento, con una grande attenzione, comunque, a preservarne la tradizione e l’ unicità: Domus sostituirà il direttore ogni anno nella prossima decade, con una direzione responsabile sempre in capo all’ editore Maria Giovanna Mazzocchi, e una direzione editoriale, per la prima volta affidata a un giornalista, ad assicurare una coerenza complessiva. I direttori verranno scelti tra architetti di fama internazionale per il loro approccio visionario, e, per questo, il numero di gennaio di Domus sarà firmato ad esempio da Michele De Lucchi, che prende il posto di Nicola Di Battista, direttore di Domus dal settembre 2013, e che dirigerà il mensile per tutto il 2018. «De Lucchi rappresenta l’ eccellenza della progettualità italiana», spiega Maria Giovanna Mazzocchi, presidente di Editoriale Domus, «capace di una visione internazionale, e il suo lavoro dimostra quanto sia fecondo il dialogo tra architettura, design e arte. Tutti elementi vicino allo spirito di Domus. Sono sicura sia la persona giusta per inaugurare questo nuovo ciclo di vita della rivista», che porterà Domus fino a festeggiamenti per il centenario nel 2028. Il nuovo sito di Domus è invece già online da ottobre. E sia questo progetto digitale, sia quello cartaceo, sono a cura dell’ art director britannico Mark Porter, in passato già responsabile della grafica del Guardian, di Nature, Internazionale o Panorama. La piattaforma di Domus avrà un piglio più giornalistico rispetto alla precedente versione. E l’ architettura verrà trattata come scienza non verticale, ma orizzontale, come una sorta di tessuto connettivo di tutta la società, con rubriche, visioni, riflessioni anche sui temi dell’ economia, dell’ antropologia, meteorologia o filosofia. Il giornale, insomma, si allarga, si estende sia in alto sia in largo. Si parla sempre ai professionisti dell’ architettura e del design, ai docenti e agli studenti, ma pure a chi è interessato alla innovazione, alle arti visive, alle nuove tendenze. Alle numerose edizioni locali di Domus, dalla Cina alla Russia e Israele, dall’ India al Messico, dal mercato tedesco a quello del centro America fino allo Sri Lanka, da poco si è aggiunta la nuova iniziativa a Gaborone, capitale del Botswana e centro mondiale del commercio dei diamanti. Il mensile e il sito verranno poi affiancati da molti speciali allegati, dove si darà spazio ad aziende internazionali interessate a rapportarsi con le categorie della architettura, energia, finanza o grandi costruzioni. Si allargano, quindi, i campi di competenza di Domus. Che conserverà comunque un prezzo di copertina a 10 euro, con una redazione molto agile: tre persone sull’ online, due persone sul mensile cartaceo, due sugli speciali e tre grafici. © Riproduzione riservata.

Debutta l’ edicola digitale per i passeggeri delle Frecce di Trenitalia. Cinque quotidiani, più settimanli e mensili, gratis per tutti. L’ offerta è destinata a crescere

Prima Comunicazione

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Con il nuovo orario invernale di Trenitalia ha fatto il suo debutto l’ edicola digitale. Attivo da ieri, domenica 10 dicembre, il nuovo servizio è disponibile sui treni Alta Velocità Frecciarossa e Frecciargento per tutti i viaggiatori, senza distinzione di classe, ed è fruibile direttamente dal portale di bordo, che conta 13 milioni di visualizzazioni complessive. La selezione offre cinque dei principali quotidiani nazionali (per ora Corriere della sera, Repubblica, Gazzetta dello sport, La Stampa, Milano Finanza) e una sezione di riviste settimanali o mensili (Capital, Ciak, Class, Gente, Grandecucina, Marie Claire Maison, PC professionale). Ma il numero di testate è destinato a essere implementato. “L’ edicola digitale, che si affianca ai servizi cinema, musica e news, è gratuita in ciascuna classe, senza limiti di utilizzo e senza necessità di connessione internet una volta effettuato il login”, spiega Alessandra Bucci, responsabile commerciale divisione passeggeri long haul di Trenitalia. Il nuovo servizio “mette ancora una volta il cliente al centro, arricchendo la possibilità di scelta del viaggiatore”, prosegue Bucci, e “favorisce l’ educazione alla digitalizzazione che, insieme al rispetto per l’ ambiente, costituiscono valori importanti della nostra politica aziendale”. L’ obiettivo, conclude, è quello di “ampliare ulteriormente l’ offerta di testate, differenziandole per classe di servizio”. L’ edicola digitale, come anche tutti i servizi cinema, musica e news Ansa, si può fruire tramite pc, tablet e smartphone direttamente dal portale di bordo. Per i sistemi IOS e Android è inoltre disponibile l’ app gratuita del portale FRECCE scaricabile da App Store e Google Play. Tutti i dettagli del nuovo servizio nella sezione news del sito di Trenitalia .

I dati Ads di ottobre per quotidiani e settimanali e di settembre per i mensili (TABELLE)

Prima Comunicazione

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Sono disponibili da lunedì 11 dicembre 2017, i nuovi dati mensili stimati dagli editori, riferiti al mese di ottobre 2017 per quotidiani e settimanali e al mese di settembre 2017 per i mensili. Come ricorda la società in una nota, a seguito dell’ entrata in vigore del nuovo Regolamento ADS edizioni digitali, orientato alla centralità dell’ utente finale, è ripresa anche la comunicazione dei dati relativi alle copie multiple, con la verifica dell’ esplicita volontà di fruizione della copia da parte dell’ utente finale e l’ adozione di evoluti strumenti tecnologici di controllo dell’ avvenuta attivazione. I dati relativi alle copie multiple gestite tramite intermediari sono disponibili a partire dai dati riferiti a luglio 2017 e comunque a completamento della prima fase del processo di accreditamento di ciascun soggetto. E’ stata eliminata la soglia di prezzo prevista dal precedente regolamento: le copie digitali sono suddivise per fasce di prezzo e vengono rappresentate anche le copie digitali promozionali e omaggio per le quali sono previste le nuove regole di certificazione valide anche per le copie multiple. QUOTIDIANI – I dati dei quotidiani a ottobre 2017 (.xls) SETTIMANALI – I dati dei settimanali a ottobre 2017 (.xls) MENSILI – I dati dei mensili a settembre 2017 (.xls) Disponibile prossimamente la teballa con i trend dei quotidiani realizzata da L’ Ego Editoriale per Primaonline.it.

Tetto alla pubblicità non solo per la Rai Ci vuole veramente una gran faccia tosta a richiedere …

La Stampa

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Tetto alla pubblicità non solo per la Rai Ci vuole veramente una gran faccia tosta a richiedere il tetto alla pubblicità soltanto per la Rai. Vorrei sapere chi è contento di vedere nei pochi film trasmessi in chiaro da Mediaset la pubblicità che ormai dura più del film stesso. Senza contare la quantità enorme di spot elettorali che tutti i giorni inondano i telegiornali. E che ne dite di una buona legge sul conflitto di interessi? Rinaldo Besozzi Milano L’ italiano non è una lingua minore Credo che il senso di sé di un pop olo si noti anche dal linguaggio che utilizza. Jobs act; story telling; hater; social network; competitor; location. Questi sono piccoli esempi di come gli italiani abbiano perso parte della propria lingua comune o la considerino una lingua minore, di una nazione minore. Se a ciò mettiamo poi insieme gli strafalcioni ormai sdoganati correntemente il quadro è sconfortante e vien da pensare che, oltre alla perdita della coscienza nazionale e l’ orgoglio di sentirsi italiani, anche la nostra scuola abbia clamorosamente falli to. Giampiero Gallizioli Convertire i motori diesel in Gpl Per ri durre l’ inquinamento atmosferico nelle nostre città si potrebbe permettere ai cittadini di trasformare a Gpl anche i motori diesel, oggi in attesa di specifica autorizzazione ministeriale. In tal modo, oltre a permettere il riutilizzo di vetture a gasolio che diventerebbero euro 6, si otterrebbe la riduzione immediata e consistente degli inquinanti, polveri sottili comprese, a vantaggio della salute di tutti. Mi domando quale sia il motivo che impedisce questa soluzione che risolverebbe un problema gravissimo. Vittorio Fiore I marocchini razzisti verso i migranti Qualche settimana fa a Casablanca, in Marocco, è successa una cosa a mio parere molto istruttiva. Da un po’ di tempo in centro sono accampati centinaia di immigrati provenienti soprattutto dall’ Africa sud-equatoriale. Le periferie delle città marocchine, già degradate, ora lo sono ancora di più per la presenza di tantissimi immigrati. Anche in centro. Così è successo che immigrati e abitanti della zona si sono scontrati violentemente. Gli immigrati gridavano: «Razzisti, razzisti». I cittadini marocchini dicevano invece ai giornalisti: «Li ospitiamo e loro chiedono cose che neppure noi abbiamo». Ho guardato i video degli scontri con un amico marocchino e gli ho detto: «Sono molto contento che riceviate quello che ci avete dato. Anche voi siete razzisti come dicono di noi. I cittadini del Marocco rispondono alle migrazioni come qualunque cittadino italiano. Certo, lì e qui, i ricchi o benestanti se ne fregano, visto che non sono particolarmente toccati dal fenomeno». Non ha potuto che darmi ragione. In fatto di migrazioni il Marocco fa la politica che conosciamo bene: pochi controlli, arrivi in massa e la speranza che riescano a venire nell’ Unione europea. Eppure ha, esattamente come noi, tanti disoccupati e masse di giovani in cerca di un lavoro. Verrebbe da dire che è l’ unico Paese arabo a ripetere la follia europea. Marco Kouros.

Fake news russe, ma chi ci difende dalle italiane?

Il Fatto Quotidiano
Luisella Costamagna
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“La campagna elettorale si giocherà sui social network. È guerra alle fake news”. A parte il fatto che mia madre manco sa cosa sono Facebook e Twitter e a malapena maneggia un telefonino. A parte il fatto che siamo un Paese anziano, non tutti hanno Internet e gli italiani si informano ancora all’ 80% con la tv generalista: la battaglia alle fake news online è indubbiamente cominciata. Qualche settimana fa l’ autorevole New York Times ha segnalato il rischio che la campagna elettorale fosse inquinata da bufale e ha indicato codici comuni tra siti pro Lega e pro 5S (chi se no?). E chi veniva citato nell’ inchiesta? Tal Andrea Stroppa, giovane hacker che ha anche lavorato con l’ amico di Renzi Marco Carrai nella sua società di cybersecurity. Una fonte non esattamente indipendente, no? Come si suol dire: il troppo Stroppa. Invece di prendere una pausa di riflessione, ora La Stampa, dopo lo scoop sull’ algoritmo Beatrice Di Maio poi rivelatasi la moglie di Brunetta (ricordato da Travaglio), rilancia una notizia bomba: l’ ex vicepresidente Usa Biden accusa la Russia di ingerenze nella politica italiana. Con una campagna di disinformazione sui social, la spectre di Putin avrebbe condizionato il referendum dello scorso dicembre e ora sosterrebbe Lega e 5S (chi se no?) in vista delle Politiche. Accusa il Cremlino di ingerenza e intanto ingerisce. Ma è soprattutto quello che si vuol far ingerire agli italiani che proprio non va giù: volete farci credere che il 59% degli italiani che hanno votato No al referendum, e che sono diventati 61% a un anno di distanza, sono manovrati dalla propaganda russa? Che il 29,1% che oggi voterebbe M5S e il 14,4% Lega, come nell’ ultimo sondaggio Ipsos, è un algoritmo di Putin in combutta con Di Maio e Salvini? C’ è di che essere preoccupati: perché se è vero che bisogna combattere – ci mancherebbe – le bufale online, chi ci difende invece dalle bufale dop diffuse dall’ informazione ufficiale, stampa e tv nazionali, che mia madre e moltissimi italiani leggono e guardano? Qui sta il punto. Mentre aspettiamo con ansia le prove inconfutabili delle “spie che vengono dal freddo” per far vincere i “populisti”, ricordiamo sommessamente i messaggini di Di Maio su Marra “servitore dello Stato”, tagliati da alcuni quotidiani senza fare mea culpa; le buche di Roma del Fu giornalismo 2.0 de L’ Unità con foto del 2014 (quando la Raggi non era sindaco); il racconto edulcorato della crisi, per cui la crescita della disoccupazione diventa “Più italiani cercano lavoro”; fino alla “Situazione in ripresa” del commissario al terremoto De Micheli all’ ultima Leopolda, che ha fatto imbufalire gli sfollati, ancora in attesa delle casette promesse da Renzi un anno fa “Entro Natale” (senza specificare di che anno). Già, diamo a Cesare quel che è di Cesare: se l’ ex premier ha un primato, è quello di spararle tipo geyser. Come ha ricostruito di recente Il Fatto: dall’#Enricostaisereno arriverò a Palazzo Chigi con le elezioni, a “se perdo il referendum lascio la politica”, “Aboliamo i vitalizi” (primarie 2012), viva le preferenze (poi Italicum e Rosatellum senza), il sistema bancario è “solido” e ” MPS un bell’ affare”, ecc. Sicuri che gli italiani siano maneggiati dalla Russia o non piuttosto vaccinati alle balle nostrane?

Di Maio all’ Osce: “Da editori impuri fake news contro il M5S “

Il Fatto Quotidiano

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“I gruppi editoriali impuri con conflitti di interessi fanno politica contro il M5S “. Così si è lamentato il candidato premier dei Cinque stelle Luigi Di Maio nell’ incontro con i rappresentanti dell’ Osce, l’ Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, a cui proprio il Movimento ha chiesto di monitorare le prossime elezioni politiche (ma aveva già chiesto all’ organizzazione di sorvegliare sulle Regionali in Sicilia). Ieri gli inviati dell’ Osce erano a Roma, per un ciclo di incontri con i partiti proprio in vista delle Politiche. E Di Maio, a quanto filtrato dal Movimento, ha parlato molto di informazione ostile: “Qui in Italia ci sono veri e propri giornali ed emittenti di partito che pubblicano ogni giorno fake news sul M5S , alterando l’ agenda mediatica. Lo riteniamo molto grave”. Il vicepresidente della Camera si è poi soffermato sui metodi di finanziamento dei 5Stelle: “Noi ci finanziamo solo attraverso piccole donazioni di massimo 5 mila euro. Non accettiamo soldi da portatori di interessi o da lobby, perché vogliamo restare liberi, e rendicontiamo ogni cosa. Finora abbiamo rifiutato 42 milioni di euro di finanziamento pubblico”.

Giornalismo e fake news, quali anticorpi per proteggere la società

Avvenire

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Roma. Fake news è la parola del momento. Il fenomeno infatti è diventato così esteso da avere influenzato, secondo alcuni osservatori, anche l’ elezione di Trump o l’ esito del referedum sulla Brexit e quello costituzionale in Italia. Ma si può porre un freno a un problema che rischia di ripercuotersi sui meccanismi democratici? Ed eventualmente, come ha detto il rettore della Lumsa Francesco Bonini, «in che modo creare gli anticorpi per questo virus«? Giornalisti magistrati e rappresentanti delle istituzioni ne hanno parlato ieri pomeriggio proprio alla Lumsa nel corso di un dibattito organizzato dalla stessa università, in collaborazione con la Rai. Secono Fabrizio Ferragni, direttore delle relazioni istituzionali della Rai, occorre mettere in atto «rimozione delle falsità, sanzioni per chi le diffonde, certificazione delle notizie». Più facile a dirsi che a farsi secondo Francesco Nicodemo. Per l’ autore del libro “Disinformazia. La comunicazione al tempo dei social media”, il flusso delle informazioni sulla rete è ingestibile. Quindi, più che di leggi c’ è bisogno di formazione all’ uso della rete, soprattutto per gli adulti. «Una rete che non è da criminalizzare », ha aggiunto il presidente dell’ Ordine dei giornalisti, Carlo Verna. Tuttavia, vanno creati meccanismi di difesa basati anche sulla chiara distinzione tra chi è giornalista e chi no. Anche per l’ ex magistrato ed ex presidente della Camera, Luciano Violante, «c’ è un problema di educazione civica dei cittadini, che hanno diritto alla verità», soprattutto nei confronti delle bugie dei politici. E per Otello Lupacchini, procuratore generale di Catanzaro, è necessario stigmatizzare chi fa un uso improvvido delle false notizie». In sostanza, ha concluso Benedetta Liberatore dell’ Agcom, qualche linea di regolamentazione va data anche ai social, per rendere più affidabile la circolazione delle notizie, specie a fronte delle norme stringenti sulla par condicio presenti per altri canali informativi. Un contributo sicuramente illuminante al dibattito in corso, ha ricordato Mimmo Muolo di Avvenire, verrà dall’ atteso messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni del 2018. Il cui tema ‘Notizie false e giornalismo per la pace’ – intercetta proprio il problema delle fake news. «Il Papa, mettendo l’ accento sulla gravità della disinformazione, cioè il dire solo una parte della verità, richiama tutti a un uso responsabile delle notizie. In fondo, si potrebbe concludere, noi tutti siamo ‘servizio pubblico’ verso gli altri». (r.r.) RIPRODUZIONE RISERVATA.

La Rai e gli spot: Mediaset chiede di mettere il tetto? Ma da noi c’ è già

Corriere della Sera
Maria Volpe
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milano Può la Rai, tv del servizio pubblico, avere il canone e la pubblicità? Il dibattito è aperto da anni. Naturalmente, di tanto in tanto, torna alla ribalta mettendo sul piatto nuove polemiche e vecchi rimedi. Questa volta l’ occasione arriva da un’ intervista rilasciata da Pier Silvio Berlusconi, al Corriere della Sera . L’ amministratore delegato di Mediaset porta avanti questa battaglia da tempo e lo ha ribadito anche ieri: la Rai ha troppa pubblicità, non è equo. E ieri non si è fatta attendere la nota della Rai che «in qualità di concessionaria del servizio pubblico è soggetta a limiti di affollamento pubblicitario di gran lunga superiori alla concorrenza delle tv commerciali. Il tetto, quindi, già c’ è ed è per questo che la richiesta dell’ ad di Mediaset appare del tutto strumentale». Pier Silvio Berlusconi aveva sottolineato che «la Rai è rimasta un ibrido che vive di canone e di pubblicità. E per la pubblicità insegue la tv commerciale. Unico caso rimasto in Europa. Oltretutto falsa il mercato e sottrae risorse a un settore già in difficoltà come l’ editoria». E incalzato, aveva aggiunto: «Se percepisci un canone devi avere perlomeno un tetto molto stringente alla pubblicità. A beneficiarne sarebbe tutto il mercato, anche la carta stampata e gli editori più piccoli». Ed è proprio attorno a quel «molto stringente» che ruota il discorso. L’ ad di Mediaset sceglie di non controreplicare alla nota Rai, ma da Mediaset fanno notare che sì è vero il tetto c’ è, ma non è abbastanza stretto, andrebbe ridotto drasticamente. Secondo i dati Nielsen da gennaio a settembre, la Rai avrebbe incassato più di 500 milioni di euro grazie alla pubblicità, molto più di quanto incassato da tutti i quotidiani italiani , piccoli e grandi, messi insieme. E neppure gli ascolti riescono a mettere d’ accordo le due rivali. Sempre nell’ intervista l’ ad di Mediaset dice: «In autunno abbiamo guadagnato 1,2 punti di share e la Rai ha perso 1 punto. Canale 5 nelle 24 ore con il 17% è la prima rete italiana». Replica Viale Mazzini: «Rai ribadisce di essere leader e i dati dell’ autunno 2017 lo confermano, con l’ incremento dello share di un quarto di punto sul totale individui nell’ intera giornata rispetto a un anno fa (fonte Auditel)». Come per i risultati post elettorali, i numeri si possono leggere in tanti modi.

Presidio a Repubblica, alt ai neonazi “Il blitz di Forza Nuova riguarda tutti”

La Repubblica
Cristina Nadotti,
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Roma C’ erano l’ Anpi, i rappresentanti del sindacato, le associazioni. E certo, anche tanti giornalisti, ma il presidio antifascista di solidarietà a Repubblica e all’ Espresso, contro il blitz di Forza Nuova della scorsa settimana, ha mostrato che in tanti non vogliono minimizzare né sottovalutare gli attacchi alla stampa libera. «L’ intimidazione che abbiamo subìto riguarda tutti – ha sottolineato il direttore di Repubblica, Mario Calabresi – non ci preoccupano gli attacchi contro di noi, ma la deriva per cui in cambio di quattro voti o quattro copie in più, politici e anche giornalisti minimizzino o schiaccino l’ occhio a chi rispolvera la difesa della razza». Il direttore dell’ Espresso, Marco Damilano, ha ricordato Carlo Casalegno, giornalista ucciso nel 1967 dalle Brigate Rosse: « Lo faccio mentre parliamo di antifascismo, perché la storia della violenza contro i giornalisti nel nostro Paese non conosce colore politico. Casalegno era un ex partigiano, che aveva combattuto per fondare il nostro Stato sulla libertà di stampa e sull’ antifascismo. Sono questi i valori attaccati da chi odia le domande e non vuole critiche. Ma senza giornalismo non c’ è democrazia». «Siamo qui per denunciare che ci sono una destra e una parte dell’ opinione pubblica che fanno finta di non vedere – ha detto il condirettore di Repubblica, Tommaso Cerno mentre il pericolo delle squadracce è reale » . Ha ribadito la preoccupazione che si sottovaluti la recrudescenza del fascismo anche la segretaria della Cgil Susanna Camusso, insieme ai vertici delle associazioni della stampa. Ieri, intanto, nove militanti di CasaPound sono stati condannati dal tribunale di Roma a 3 anni e 7 mesi di carcere, per gli scontri con le forze dell’ ordine del luglio 2015 a Casale San Nicola, periferia nord di Roma, dove gli imputati manifestarono per impedire il trasferimento di immigrati in una struttura di accoglienza, © RIPRODUZIONE RISERVATA Davanti alla sede del giornale Nella foto sopra, il sit in di ieri in via Colombo, a Roma, dove hanno sede “Repubblica” e “L’ Espresso”, obiettivo martedì scorso di una azione intimidatoria di Forza Nuova AGF.

Mobilitazione anti-fascista: «Stampa libera»

Il Giornale

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«Nel nostro Paese c’ è un clima di intimidazione contro i giornalisti, che si manifesta con aggressioni squadriste. I giornalisti liberi danno fastidio e per questo qualcuno vorrebbe tornare ai tempi dei manganelli (…). Si vuole mettere il bavaglio all’ informazione. Ma non ci riusciranno», era l’ appello rivolto ad associazioni e organizzazioni di categoria dei giornalisti e a tutte le associazioni e forze democratiche e cittadini «che ogni giorno lottano contro intolleranza ed egoismo, contro ogni forma di neorazzismo e neofascismo». In nome di questo principio è stato dato vita ieri al presidio anti-fascista davanti alla sede del quotidiano La Repubblica e del settimanale L’ Espresso, nel luogo in cui è avvenuta l’ incursione di Forza Nuova. Associazioni, sindacati, federazioni di giornalisti e cittadini hanno partecipato al presidio in via Cristoforo Colombo, a Roma. «Ci preoccupa la grande sottovalutazione che accompagna, in Italia, gli attacchi neofascisti o razzisti. Troppo spesso questi episodi vengono minimizzati invece che essere fermati facendo rispettare le leggi» ha detto la segretaria della Cgil Susanna Camusso.

Cassazione: un like su facebook può essere indizio di colpevolezza per reati di terrorismo

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Mettere “like” a un video dell’Isis può rappresentare un grave indizio di colpevolezza che giustifica la custodia cautelare in carcere per apologia del terrorismo. Lo ha stabilito la Cassazione in merito al caso di un uomo di origine kosovara, residente nel Bresciano e ora espulso dal nostro paese, che era stato sottoposto a misura cautelare poi annullata dal tribunale del Riesame. Il procuratore della Repubblica di Brescia, dopo una prima pronuncia della Suprema Corte e un nuovo annullamento del Riesame, aveva presentato un secondo ricorso rilevando che “il richiamo costante ed esplicito al conflitto bellico in corso di svolgimento sul territorio sirio-iracheno, contenuto nelle registrazioni pubblicate e condivise sul profilo Facebook” dell’indagato, “rappresentava un idoneo e qualificato riferimento all’Isis”. Il Riesame bresciano, “pur riconoscendo che il termine ‘Jihad’ evoca la guerra santa”, aveva sottolineato nel ricorso il capo della Procura, “ha ritenuto che nelle videoregistrazioni non vi siano sufficienti elementi per ricondurre univocamente i richiami alla guerra santa, in esse contenuti, all’Isis, sul rilievo che lo Stato islamico era solo una delle parti belligeranti del conflitto sirio-iracheno e non era stata dimostrata la volontà” del kosovaro “di riferirsi proprio all’Isis e non ad altri combattenti”.
Un’argomentazione che, secondo il capo del pm di Brescia, risulta “contraddittoria e incongrua”, con cui si ridimensiona anche “l’importanza” dell’opzione ‘like'” che l’indagato aveva apposto ad uno dei video pubblicati in rete.


Rassegna Stampa del 13/12/2017

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Indice Articoli

Operazione trasparenza di Zuckerberg

Editoria, digiuno a Famiglia Cristiana

Nell’ editoria Cigs con decadenza semestrale

Famiglia Cristiana, la redazione domani sciopera e digiuna: “L’ azienda continua a umiliarci”

Pagina99, 3 licenziamenti Perdite per 3,5 milioni

CHESSIDICE IN VIALE DELL’ EDITORIA

Rita Dalla Chiesa rientra a Rete 4 dopo la pausa a La7

La classifica dei quotidiani più diffusi a ottobre: bene Corriere, Sole e Avvenire. Perdite a doppia cifra per Gazzetta e TuttoSport (Dati Ads)

Murdoch divide l’ impero in due Sky e Fox passano alla Disney

Addio TeleKabul. Rai Tre diventa TeleAnpi

«No accesso a film e serie on line dall’ estero»

Addio al giornalista Everardo Dalla Noce

Rai, il pressing di FI sugli spot

Operazione trasparenza di Zuckerberg

Il Sole 24 Ore
Marco lo Conte
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Il cambio di passo ha una data simbolica precisa, il 1° novembre scorso, quando Mark Zuckerberg, a margine dell’ annuncio dei risultati del terzo trimestre, ha indicato ai suoi la parola chiave dello sviluppo di Facebook nei prossimi mesi: trasparenza. Il fondatore del social media più diffuso al mondo ha voluto imprimere una svolta eclatante nella politica di relazione della piattaforma nei confronti degli utenti, ma anche delle imprese – non ultime i publisher – e dei policy maker. È in questo quadro che si iscrive l’ annuncio di Facebook di contabilizzare i ricavi pubblicitari realizzati nei singoli paesi e di conseguenza versare all’ Erario le tasse sui profitti realizzati. Una mossa che si iscrive in una strategia avviata dopo le elezioni Usa e le accuse ai social di aver condizionato il risultato elettorale attraverso fake news. Ma su cui evidentemente ha pesato il pressing dell’ opinione pubblica e dei governi impegnati nella definizione della web tax, a partire dal G7 di Bari in poi. Hanno avuto un ruolo anche gli accordi con il Fisco di colossi come Google che hanno dato origine a multe milionarie per gli arretrati e secondo diverse fonti, Facebook ha contatti in corso da mesi con il Mef e l’ agenzia delle Entrate. Forte di una profittabilità monstre dei propri ricavi pari a circa il 25%, il social media muove la sua torre contabile da Dublino, il quartier generale europeo, nelle singole caselle europee in un’ operazione di avvicinamento ai policy maker. «Stiamo creando un sistema – dicevano Zuckerberg e il suo top team lo scorso primo novembre – per permettere ai nostri utenti di capire se un contenuto è sponsorizzato, di rintracciare altri contenuti sponsorizzati dallo stesso soggetto, in particolare per quelli politici. Ma allo stesso tempo di collaborare con i publisher per consentire loro di diffondere al pubblico informazione di qualità riconosciuta come tale in modo evidente». Dopo le polemiche seguite all’ elezione di Donald Trump alla Casa Bianca – con il coinvolgimento di provider russi e server nei Balcani da cui sono partite campagne su inesistenti guai giudiziari di Hillary Clinton o il presunto endorsement di Papa Francesco a Trump – Facebook non intende accettare il ruolo di canale neutro di diffusione di informazioni. La ragione è più semplice di quanto possa apparire: un far west digitale non è il contesto ideale per chi come il social media incassa worldwide circa 1,5 miliardi di dollari ogni mese. Al contrario, un ambiente affidabile rende efficiente il posizionamento delle imprese che trovano sulla piattaforma il contatto con un pubblico di consumatori. Rende profittevole la costruzione di un’ ambiente in cui è chiaro chi pubblica cosa, perché, come e cos’ altro fa. In questo Facebook è alleata a Google nel transparency project proprio sul delicato tema dell’ informazione, e autonomamente ha lanciato il Facebook journalism project, per identificare insieme agli editori strumenti adeguati per migliorare l’ informazione presente sul social. Ed è proprio sulla costruzione di un pubblico di lettori sempre più avvertiti che il social media è impegnato, con iniziative di educazione digitale, come il decalogo per il riconoscimento delle fake news o il Trust indicator, che si affiancano alle iniziative di rimozione di post e di commenti offensivi o anche di interruzione delle inserzioni pubblicitarie a pagine caratterizzate da sensazionalismo, clickbait e complessivamente bassa qualità. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Editoria, digiuno a Famiglia Cristiana

Il Sole 24 Ore

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Una giornata di sciopero, ma anche di digiuno, domani, per i giornalisti di Famiglia Cristiana «per salvare la testata e lanciare un drammatico grido d’ aiuto». È la decisione, presa all’ unanimità dall’ assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, che pubblica Famiglia Cristiana, Credere, Jesus e Il Giornalino. «Purtroppo – si legge nella nota – l’ autorevolezza e la qualità delle nostre riviste sono sempre più minacciate da una politica aziendale miope e di corto respiro che considera tutti i lavoratori, giornalisti e impiegati, soltanto una riga di costo del bilancio». E così, «dopo quasi tre mesi di trattative, infruttuose, tra l’ editore e il Cdr sul rinnovo degli accordi integrativi aziendali disdettati unilateralmente dall’ azienda nel giugno scorso, siamo costretti, nostro malgrado, a questo gesto simbolico che non ha precedenti nella quasi centenaria storia di Famiglia Cristiana». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Nell’ editoria Cigs con decadenza semestrale

Il Sole 24 Ore
Antonino CanniotoGiuseppe Maccarone
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Dal 1° gennaio andranno in vigore le nuove regole in materia di trattamenti di integrazione salariale straordinaria (Cigs) per le imprese editrici. Il Dlgs 69/2017, attuativo della delega contenuta nella legge 198/2016, ha infatti ridefinito, tra l’ altro, la disciplina della Cigs per le aziende del settore, con il chiaro intento di adeguarla ai più stringenti principi in materia di ammortizzatori sociali dettati, per la generalità delle imprese, dal Dlgs 148/2015. Il nuovo impianto normativo è stato realizzato attraverso due fondamentali passaggi: l’ abrogazione, dal 1° gennaio 2018, dell’ articolo 35 della legge 416/1981 che attualmente regola la materia e l’ introduzione, nel Dlgs 148/2015, dell’ articolo 25 bis con la nuova regolamentazione. L’ operazione, i cui effetti si produrranno dal prossimo anno, tuttavia, non determinerà la totale attrazione della disciplina della Cigs per l’ editoria al regime generale, ma tra gli elementi che verranno armonizzati figura la decadenza semestrale, quale conseguenza dell’ esplicito richiamo operato dall’ ultimo periodo del comma 8, dell’ articolo 25 bis. Ricordiamo che l’ istituto della decadenza, introdotto dall’ articolo 7 del Dlgs 148/2015, opera laddove le aziende, nell’ arco temporale di 6 mesi a loro disposizione, non procedano a recuperare le somme anticipate ai lavoratori a titolo di cassa integrazione. La tecnica legislativa utilizzata per l’ articolazione della normativa sembra portare alla conclusione che, nello specifico settore dell’ editoria, la decadenza sfugga, quindi, sino al 31 dicembre 2017 al regime generale e produca i suoi effetti a partire dal 1° gennaio 2018. Se, infatti, la decadenza semestrale – in quanto principio di carattere generale – avesse trovato applicazione anche nel settore dell’ editoria dal 24 settembre 2015, non ci sarebbe stata necessità del suo espresso richiamo, contenuto nell’ articolo 25 bis, comma 8, del Dlgs 148/2015. www.quotidianolavoro.ilsole24ore.com La versione integrale dell’ articolo © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Famiglia Cristiana, la redazione domani sciopera e digiuna: “L’ azienda continua a umiliarci”

Il Fatto Quotidiano

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UNA GIORNATA di digiuno e di sciopero dei giornalisti di Fa – miglia Cristiana, per salvare la testata e lanciare un d ra m m a t i co grido d’a i u to. È la decisione, presa all’unanimità, per la giornata di domani, dall’assemblea dei giornalisti della Periodici San Paolo, che pubblica le testate Famiglia Cristiana,C re d e re ,JesuseIl Giornalino.Pur troppo si legge nel documento approvato all’unanimità l’autorevolezza e la qualità delle nostre riviste sono sempre più minacciate da una politica aziendale miope e di corto respiro che considera tutti i lavoratori, giornalisti e impiegati, soltanto una riga di costo del bilancio mortificandone la dignità professionale. Dopo quasi tre mesi di trattative, infruttuose, tra l’Editore e il Comitato di redazione sul rinnovo degli accordi integrativi aziendali disdettati unilateralmente dall’azienda nel giugno scorso siamo costretti, nostro malgrado, a questo gesto simbolico che non ha precedenti nella quasi centenaria storia di Famiglia Cristiana. Con questo digiuno spiegano i giornalisti della Periodici San Paolo vogliamo denunciare con sgomento che l’azienda non ha alcuna idea seria e credibile di futuro, se non quella di tagliare lo stipendio dei giornalisti e impiegati imponendo solo tagli, sacrifici e umiliazioni.

Pagina99, 3 licenziamenti Perdite per 3,5 milioni

Italia Oggi

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Acque agitate a Pagina 99. Da una parte c’ è la redazione del settimanale ieri e oggi in sciopero dopo il licenziamento di due giornalisti e del grafico, come annunciato ieri con una nota dagli stessi giornalisti, che hanno sottolineato anche il recente addio alla carta stampa e la prossima scadenza di quattro contratti. Dall’ altra parte c’ è l’ editrice News 3.0 (controllata da Sator private equity fund che fa capo al banchiere Matteo Arpe) che ha ricordato, sempre ieri, investimenti effettuati per 3 milioni complessivi in Pagina99, a fronte di una perdita totale di 3,5 milioni. Quindi, a giudizio di News 3.0, le uscite «sono funzionali al mantenimento in vita dell’ intera iniziativa editoriale».

CHESSIDICE IN VIALE DELL’ EDITORIA

Italia Oggi

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L’ italia delle slot l’ inchiesta dei quotidiani locali del gruppo Gedi con Dataninja. I quotidiani locali del gruppo Gedi con l’ aiuto del Visual Lab di gruppo e di Dataninja, società che si occupa di datajournalism, hanno creato un database che contiene tutti i dati sulle slot machine in Italia. Venerdì, alle 10, nella sala stampa della Camera dei deputati, a Palazzo Montecitorio, verranno illustrati in anteprima tutti i dettagli di questo lavoro. A questa mole di dati, disponibili in versione esclusivamente digitale, si aggiunge l’ inchiesta giornalistica che si compone di una parte nazionale e di una locale. Questo lavoro di squadra verrà pubblicato su tutti i quotidiani locali del Gruppo Gedi domenica 17 dicembre 2017 così come la versione digitale. Visibilia, due nuove testate dai marchi di Visto e Novella 2000. Visibilia Editore ha finalizzato l’ acquisizione dei marchi Visto e Novella 2000 da Visibilia magazine in liquidazione per 655 mila euro. L’ intenzione è di sviluppare due nuove testate periodiche di carattere generale: Visto Tv e Visto pet. Il MAGAZINE G della Gazzetta dello Sport. La Gazzetta dello Sport celebra la Coppa del mondo di sci nelle tappe italiane con il MAGAZINE G in regalo con la rosea domani. Un numero di oltre 100 pagine e due copertine: nella prima il jet azzurro Peter Fill, nella seconda la campionessa Sofia Goggia. Vanity Fair Red Christmas Party. Si è tenuto lunedì, negli spazi del casello di Ponente all’ Arco della Pace, il Red Christmas Party, l’ evento di Vanity Fair che introduce il nuovo format «Vanity Fun Fair». Ad animare la serata sono state infatti storie raccontate attraverso le performance di artisti di fama internazionale. Il 22 dicembre Trio Medusa e Radio Deejay insieme a favore di Cesvi. Torna Zozzoni Day: venerdì 22 dicembre per un’ intera giornata, dalle 7 alle 20, la diretta radiofonica sarà dedicata a Cesvi, organizzazione attiva in oltre 20 paesi del mondo con progetti a sostegno dei più vulnerabili. Knightfall su A+E Networks. La produzione originale A+E Networks con Tom Cullen (Downton Abbey) e la firma di Jeremy Renner che racconta il misterioso mondo dei Cavalieri Templari, arriva in anteprima esclusiva per l’ Italia su History (canale 407 di Sky) da oggi 13 dicembre alle 21.

Rita Dalla Chiesa rientra a Rete 4 dopo la pausa a La7

Italia Oggi
GIORGIO PONZIANO
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Rita Dalla Chiesa figliol prodiga. Rete 4 l’ accoglie a braccia aperte dopo che lei aveva sbattuto la porta quattro anni fa, abbandonando la conduzione di Forum per passare a La7, dove però non era poi riuscita a proporre un proprio programma. Dopo molte ospitate ora è arrivato il disgelo. Guiderà Italiani, trasmissione dedicata alle eccellenze nazionali. Jenna Coleman sarà la nuova protagonista della sfida domenicale di Canale5 a Fabio Fazio (Che tempo che fa, Rai1). È lei infatti la principale interprete di Victoria, la nuova fiction che prenderà il posto, dalla prossima domenica di Rosy Abate. Racconta gli eventi principali della vita della regina Vittoria. La prima serie è stata trasmessa da LaEffe, la seconda tenta l’ avventura con Canale5. Bisserà il successo di Rosy Abate che anche la scorsa domenica ha surclassato (5,2 milioni, 20,9%) il programma di Fazio (3,9 milioni, 14,5%) nonostante la presenza, per altro non brillantissima, degli U2 e il debutto tv di Pietro Grasso nel nuovo ruolo di leader partitico. Da registrare il buon successo delle Iene (Italia1) con 2 milioni (9,7%) che hanno quasi doppiato Massimo Giletti, che con Non è l’ arena (La7) si è fermato a 1,3 milioni (5,9%). Alberto Angela lo stakanovista arriva su Rai1 (ma continua Ulisse su Rai3) con Meraviglie-La Penisola dei tesori, quattro puntate dal 4 gennaio, in prima serata. «È un viaggio», lo definisce Angela, «tra bellezze monumentali, artistiche e naturali del nostro Paese, che è unico al mondo». Piero Marrazzo e il suo ritorno alla grande nei Tg Rai, dopo le sfortunate vicende politico-familiari. Le violenze che hanno accompagnato la decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele ne hanno fatto, quale corrispondente appunto da Gerusalemme, uno dei protagonisti di questi giorni: si è presentato in video ostentando un giubbotto antiproiettile e nel corso di una diretta con Rainews24 ha interrotto il collegamento per indossare un elmetto poiché alcuni dimostranti gli avevano lanciato dei sassi. Quando si dice: in prima linea Giorgio Panariello e gli auguri di Natale. Angelo Teodoli, direttore Rai1, lo ha scelto per animare due serate pre-natalizie, il 21 e il 22 dicembre. Il programma si intitolerà Panariello sotto l’ albero. Hanno risposto al suo grido d’ aiuto Carlo Conti, Leonardo Pieraccioni, Fiorella Mannoia, Max Pezzali, Cristina D’ Avena, Christian De Sica. In radio lo show sarà proposto da Rtl 102,5, quindi niente RadioRai: misteri dell’ emittente pubblica. Alessandro Greco si prende la rivincita. Dopo gli ascolti sottozero del suo Zero e Lode, su Rai1 alle 14, orario davvero poco gratificante per un quiz, ha convinto la Rai a trasmettere dei promo e ora viaggia sui 2 milioni di telespettatori, col 12% di share, asticella mai raggiunta in questa fascia dalla rete ammiraglia. Diamo a Cesare quel è di Cesare: la decisione, assai rischiosa, fu presa dall’ ex direttore di Rai1, Andrea Fabiano (ora direttore di Rai2) Antonella Clerici e il ping-pong sulla fedeltà alla Rai, stesso copione di Fabio Fazio. Si susseguono le voci che la Prova del cuoco (Rai1) sia agli sgoccioli. E lei se ne guarda bene dello smentire. Anzi è andata nella trasmissione Un giorno da pecora (Rai1) e a Giorgio Lauro, che l’ ha intervistata, ha risposto: «Lasciare la Prova del cuoco? Non lo so ancora. Sto decidendo. Magari in sintonia con la Rai potremo vedere come cambiare il cooking show. Certo mi piacerebbe dedicarmi ad altro. Un po’ come fa la mia collega Milly Carlucci che conduce Ballando con le stelle ed è impegnata solo per un determinato periodo all’ anno». Gianni Morandi ha tradito la Rai, che lo aveva lanciato nel mondo delle fiction a metà degli anni 80, e si è accasato ormai stabilmente con Mediaset. Dopo la recente fiction L’ Isola di Pietro (Canale5) ha festeggiato sullo stesso canale i suoi 73 anni con uno speciale intitolato Amore d’ autore. Altro anniversario è quello di Umberto Tozzi ed è ancora Canale5 a proporre il suo spettacolo dall’ Arena di Verona, in occasione dei 40 anni della sua canzone più popolare, Ti amo. Lo show sarà trasmesso il 23 dicembre. Elisabetta Canalis (ultima fatica televisiva Zelig su Italia1 nel 2014) è impegnata in una campagna natalizia contro l’ uso della pelle di rettile nella moda. Il set è una foresta, con un serpente che scende da un albero, lei indossa un bikini di stoffa color pelle e sentenzia: «Vivi in modo naturale e lascia vivere gli animali selvatici, non indossare pelli esotiche». Renzo Arbore e Nino Frassica di nuovo insieme in un’ operazione revival. Due serate su Rai2, stasera e il 20 dicembre, per ricordare i 30 anni di Indietro tutta, fortunato programma che lanciò non pochi artisti. La novità, tra presumibilmente tanta nostalgia, è la co-conduzione di Andrea Delogu. Dice Arbore: «Indietro tutta non risulta datata perché rifuggiva dall’ attualità, era davvero un programma a futura memoria, fatto per restare. Non come la tv di oggi, che è tutta usa e getta, una fast-tv che è vecchia già il giorno dopo». Carlo Conti, che sta ridando il testimone a Fabrizio Frizzi nell’ Eredità (Rai1), va giù pesante coi colleghi: «Abbiamo tantissime presentatrici donne di grande livello, che stanno crescendo sempre di più. Caterina Balivo e Francesca Fialdini sono senza dubbio tra le più brave, possono parlare di qualsiasi argomento e rimanere naturali. Sugli uomini invece si è deciso di non investire e la situazione non è altrettanto buona. Al momento ci sono solo Federico Russo, Alvin (pseudonimo di Alberto Bonato, Ndr) e Alessandro Cattelan, non vedo molto altro in giro». Enrico Mentana, direttore del Tg La7, è il principale influencer, cioè il giornalista più attivo e più seguito con interesse sui social. È il risultato della prima ricerca sulla leadership digitale, realizzata da Agi e Doing (digital business company). Nonostante l’ addio a Twitter di qualche anno fa, Mentana risulta scatenato su Facebook e risponde quasi sempre agli interlocutori della sua pagina. Anche per questo è stato messo sul gradino più alto del podio. Letizia Lamartire ha incominciato a Ferrara le riprese di Saremo giovani e bellissimi, suo esordio nel lungometraggio (un corto è stato proposto a Venezia, alla Settimana della critica), prodotto da RaiCinema. L’ emittente pubblica ne prevede la programmazione alla fine del prossimo anno. Protagonisti: Barbara Bobulova e Alessandro Piavani. Il film racconta una storia d’ amore che incrocia generazioni diverse ma legate dallo stesso filo conduttore: la musica. Tano Grasso, ex deputato Pds e nel 1990 animatore della Fondazione Antiracket, difende il magistrato napoletano Giuseppe Borrelli, che ha criticato la fiction Gomorra (Sky), e inoltre rileva che esprimere riserve sullo sceneggiato di Roberto Saviano non è parlar male di Garibaldi. Spiega: «L’ attore Marco D’ Amore, interprete del personaggio di Ciro Di Marzio», ha denunciato «il rischio di scivolare verso la censura. Ma l’ evocazione della censura appare decisamente sproporzionata e, per alcuni aspetti, pericolosa. Sproporzionata rispetto alla pacata riflessione del giudice Borrelli il quale, con la competenza di chi è da anni impegnato nel contrasto giudiziario alla vera Gomorra, ha sottolineato come la camorra rappresentata dalla fiction televisiva è folkloristica e antica». Adamo Dionisi, protagonista di Suburra (Sky) ha messo a soqquadro l’ hotel Salus Terme di Viterbo, devastando suppellettili e picchiando anche una donna che era con lui. Dionisi è stato arrestato dalla polizia, intervenuta in seguito ad una segnalazione. Il giudice ha poi convalidato l’ arresto, rimettendo l’ uomo in libertà e disponendo il divieto di avvicinamento alla donna. Il processo si terrà il 19 gennaio. Twitter: @gponziano © Riproduzione riservata.

La classifica dei quotidiani più diffusi a ottobre: bene Corriere, Sole e Avvenire. Perdite a doppia cifra per Gazzetta e TuttoSport (Dati Ads)

Prima Comunicazione

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La classifica dei quotidiani a ottobre (.xls) per diffusione carta+digitale elaborata da Primaonline.it sui dati Ads. La graduatoria è realizzata comparando il dato appena diffuso da Ads con quello del mese precedente. In una nota la società ha ricordato che, a seguito dell’ entrata in vigore del nuovo Regolamento ADS edizioni digitali, orientato alla centralità dell’ utente finale, è ripresa anche la comunicazione dei dati relativi alle copie multiple, con la verifica dell’ esplicita volontà di fruizione della copia da parte dell’ utente finale e l’ adozione di evoluti strumenti tecnologici di controllo dell’ avvenuta attivazione. I dati relativi alle copie multiple gestite tramite intermediari sono disponibili a partire dai dati riferiti a luglio 2017 e comunque a completamento della prima fase del processo di accreditamento di ciascun soggetto. E’ stata eliminata la soglia di prezzo prevista dal precedente regolamento: le copie digitali sono suddivise per fasce di prezzo e vengono rappresentate anche le copie digitali promozionali e omaggio per le quali sono previste le nuove regole di certificazione valide anche per le copie multiple. – Leggi o scarica la tabella con i dati dei quotidiani relativi al mese di ottobre (.xls)

Murdoch divide l’ impero in due Sky e Fox passano alla Disney

Corriere della Sera
di Corinna De Cesare
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Per dirla con le parole di Walt Disney, «tutto è cominciato da un topo». Ma ora il gruppo di animazione nato negli anni 20 e che ha fatto di Topolino il suo protagonista indiscusso, potrebbe avere anche i supereroi di Marvel, X-Men, i Simpson e il 39% di Sky con i suoi 22,5 milioni di clienti nel Vecchio Continente. L’ affare sembra quasi fatto: Walt Disney e 21st Century Fox potrebbero annunciare l’ accordo nelle prossime ore, domani secondo Cnbc. La trattativa con Rupert Murdoch è in effetti in corso da mesi: Disney vuole gli studios cinematografici e televisivi di Fox, Fx, National Geographic, una quota di Hulu ma anche gli asset internazionali di 21st Century Fox, incluso il 39% di Sky. Ma l’ obiettivo è rafforzarsi nello streaming per competere con Netflix. Se Walt Disney ha infatti una capitalizzazione di mercato che è circa il doppio di quella di Netflix, quest’ ultima è leader mondiale dell’ intrattenimento in streaming, con 104 milioni di abbonati. Disney vuole, in questa fase, riposizionare il suo business televisivo online e l’ acquisizione delle attività di 21st Century Fox glielo consentirebbe. Lunedì l’ ultimo ostacolo alla trattativa è caduto. Comcast si è sfilata dalla corsa spianando così la strada alla rivale. «Non abbiamo mai raggiunto un livello di coinvolgimento necessario per fare una offerta definitiva». A 21st Century Fox resterebbero invece in portafoglio Fox News e Fox Sports 1. La società dovrebbe restare inizialmente indipendente in attesa che Murdoch decida se riunirla o meno con News Corp. È comunque evidente che dopo aver trascorso anni a creare il suo impero, Murdoch sia pronto a fare un passo indietro. L’ intesa con Disney, se raggiunta, dovrà essere approvata dalle autorità di regolamentazione ma se fino a poco tempo fa un via libera sarebbe stato scontato, la partita è ora più incerta dopo il blocco delle autorità alle nozze fra At&t e Time Warner. Le indiscrezioni su un possibile accordo di Fox con un altro gruppo si rincorrevano da tempo, tanto che Lachlan e James Murdoch avevano scritto nei giorni scorsi ai dipendenti rassicurandoli: «Anche se non possiamo commentare le speculazioni di mercato, vogliamo affrontare l’ impatto che queste hanno su tutti voi. La nostra attenzione è sulle attività del gruppo e sul benessere di tutti i nostri colleghi», hanno scritto il 7 dicembre in una mail, senza smentire i rumors. Le tempistiche dell’ acquisizione comunque coincidono con quelle indicate da Rupert Murdoch in uno degli ultimi incontri con i manager: «Se accade qualcosa, accade a dicembre». L’ operazione con Disney ha un valore di circa sessanta miliardi di dollari e in caso di esito positivo è possibile, come ha scritto nei giorni scorsi il Wall Street Journal , che l’ amministratore delegato Disney Bob Iger sia costretto a posticipare (di nuovo) la sua uscita, prevista inizialmente nel 2019. L’ ipotesi più accreditata è però che sia chiamato direttamente il figlio minore di Murdoch, James, attuale presidente di Fox, a sostituirlo .

Addio TeleKabul. Rai Tre diventa TeleAnpi

Il Tempo
PIETRO DE LEO
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C’ era una volta TeleKabul, retaggio novecentesco utile ad indicare l’ impronta comunista di un Tg3 guidato dall’ indimenticato Sandro Curzi. Oggi, c’ è TeleAnpi. Ossia Agorà, il talk della mattina, sempre su Rai3, condotto da Serena Bortone. Lì trionfa l’ ultimo espediente ideologico inventato dalla sinistra per nascondere i guasti provocati dalla politica sull’ immigrazione, ovvero la psicosi da fascismo, l’ onda nera che gonfierebbe tra saluti romani e teste rasate. L’ house organ televisivo di a poter accampare una difesa d’ ufficio. Peraltro, per quanto riguarda le voci dal X Municipio, a fronte di qualche anziano che riconosce a CasaPound il merito di iniziative per i più deboli, tipo i pacchi con generi alimentari, viene affiancata l’ immagine di un giovane che asserisce di essere stato picchiato dagli attivisti del movimento, e una donna che candidamente ammette di non poter votare perché «sono stata in galera», ma se avesse potuto avrebbe scelto, guarda un po’, CasaPound. Nella puntata del 17, peraltro, ospite a studio è Alessia Morani, deputata del Pd, che annuncia un’ interrogazione per capire qual è l’ origine delle dazioni alimentari di CasaPound. Altra puntata degna di nota quella del 30 novembre, con la disamina della sceneggiata messa in piedi dal gruppo del Veneto Fronte Skinhead, che a Como ha interrotto la riunione di un’ associazione impegnata nell’ aiuto ai migranti per leggere un comunicato. L’ immagine è assai nota, perché ha fatto il giro del web e delle tv. Le teste rasate hanno violato una libertà, sì, ma senza alzare le mani. Epperò, in studio, il modulo dedicato al tema si apre con Andrea Costa del Baobab Experience il quale afferma che c’ è più violenza in quella scena rispetto alle botte. «Mi hanno fatto più impressione quelle immagini che se avessi visto un naso rotto, perché c’ è la violenza intrinseca», dice. Ovviamente quando Alessandra Mussolini, collegata da Bruxelles, fa no tare che la violenza dei centri sociali è ben estrinseca, quasi rimane inascoltata. E ancora, la puntata del 5 dicembre, una parte è dedicata all’ odio sul web. Si parte con il fotomontaggio raffigurante Sal vini imbavagliato e la bandiera delle Br alle spalle. Qualche minuto per liquidare la pratica e subito, sul tema dell’ odio, si passa al nocciolo della questione: un filmato con un calciatore di Marzabotto che esulta con il braccio teso, l’ immagine di Anna Frank utilizzata per schernire i tifosi della Roma, la bandiera del secondo Reich appesa da un carabiniere di Firenze sopra il suo letto. Come se l’ odio fosse solo lì, insomma. E quando Giovanni Sallusti, di Libero, prova a far notare che la veemenza sta pure nell’ universo dei centri sociali, arriva una valanga di rimbrotti di Fiano sul nazismo e sull’ antisemiti smo. Nulla quaestio sull’ orrore anti ebraico, e allora forse giova ricordare che anche sul web è molto attivo un centro sociale denominato «Intifada», non esattamente un nome evocativo di amicizia verso gli ebrei. Comunque, siccome TeleAnpi fa le cose fino in fondo (e forse per questo nel centrodestra si rimpiange il precedente conduttore Gerardo Greco, che non era certo di area, ma quanto meno più equilibrato), ecco la puntata del 15 novembre, dedicata, dopo il disastro -mondiali, allo stato del calcio sotto Tavecchio. Un segmento ri guarda lo scapestrato calciatore del Marzabotto. Titolo: «Quando l’ estrema destra infetta il calcio». E l’ estrema sinistra, che per esempio inebria la tradizione calcistica a Livorno? Boh. D’ altronde, che aria tira lo si capisce dalla puntata del 9 ottobre, la cui chiusura è dedicata ai 50 anni dalla morte di Che Guevara. Minuti di pura agiografia. Dove i crimini del Che, teorico della necessità dell’ odio nei popoli, vengono amabilmente taciuti. Così funziona a Tele Anpi, tempio della doppia morale.

«No accesso a film e serie on line dall’ estero»

Il Messaggero

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Niente accesso online a film, serie e show prodotti o coprodotti a livello nazionale dai broadcaster locali, come per esempio la Rai, per chi vive o viaggia all’ estero. È il risultato del voto in plenaria del Parlamento europeo che ha affossato la proposta della Commissione Ue, concedendo ai cittadini fuori dal proprio Paese di poter vedere via internet solo i telegiornali. Con 344 voti a favore, 265 contrari e 36 astensioni, è passato il rapporto del provvedimento già adottato dalla commissione affari giuridici, ormai completamente snaturato rispetto al testo della Commissione Ue al punto che lo stesso relatore, l’ europarlamentare socialdemocratico tedesco Woelken, ha ritirato il suo nome dal provvedimento. «La quasi totalità della delegazione italiana del Partito Democratico ha votato in difesa delle posizioni del nostro Paese» ha spiegato l’ eurodeputato Pd e membro della commissione affari giuridici Enrico Gasbarra.

Addio al giornalista Everardo Dalla Noce

Corriere della Sera

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Addio al giornalista Everardo Dalla Noce (nella foto). Storica voce di «Tutto il calcio minuto per minuto», inviato del Tg2 dalla Borsa di Milano per aggiornamenti economici, Dalla Noce aveva 89 anni e per 30 ha lavorato nella tv pubblica. In anni più recenti era diventato un beniamino del pubblico tv da Fabio Fazio con «Quelli che il calcio».

Rai, il pressing di FI sugli spot

MF
ANDREA MONTANARI
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I conti della Rai sono in rosso: nel primo semestre la perdita è stata di 2,2 milioni. Per di più la raccolta pubblicitaria della tv di Stato è in pesante calo: 520,6 milioni a fine settembre, -10,3%. Il gruppo di viale Mazzini sconta l’ anno senza grandi eventi sportivi (nel 2016 c’ erano stati gli Europei di calcio e le Olimpiadi). Ma le problematiche per la società presieduta da Monica Maggioni, che ha dovuto far fronte al calo drastico degli ascolti di Rai2 e Rai3 (anche se dati Auditel alla mano il gruppo vince la sfida complessiva nei confronti di Mediaset) e guidata dal direttore generale Mario Orfeo sono ben altre. E riguardano sempre gli spot. Per questo da qualche mese si sta cercando un nuovo responsabile della concessionaria: come anticipato l’ 8 novembre da MF-Milano Finanza, il posto di Fabrizio Piscopo traballa e per la sua sostituzione circolano tra gli altri i nomi di Raimondo Zanaboni, da anni in forza alla divisione pubblicità della Rcs Mediagroup di proprietà di Urbano Cairo, e come riferito dal Fatto Quotidiano domenica 10 dicembre, di Mauro Gaia, ex Seat Pagine Gialle e oggi alla Videa di Sandro Parenzo, patron di Telelombardia (gruppo Mediapason). Il vero nodo da sciogliere riguarda le polemiche commerciali applicate in questi anni da viale Mazzini. Al punto che oggi in Commissione di vigilanza Rai sarà affrontata una tematica relativa al nuovo contratto di servizio 2018-2022. Un passaggio delicato, significativo ma assai importante che riguarda l’ articolo 23 (Obblighi specifici) dello stesso contratto e che si concentra in particolare sulla pubblicità (comma R). I membri della Commissione presieduta da Roberto Fico (M5S) saranno chiamati a valutare a approvare una norma specifica relativa al dumping sui prezzi di vendita degli spot. Un percorso che è già stato in parte recepito e che prende lo spunto da uno schema di risoluzione presentato l’ 8 novembre dalla relatrice, la senatrice Anna Maria Bernini di Forza Italia, e che di fatto chiedeva alla stessa Rai di applicare un nuovo codice di comportamento e di adottare nuove procedure di valorizzazione degli spazi commerciali. Un argomento delicato che è tornato alla ribalta proprio in questi giorni in seguito all’ intervista rilasciata al Corriere della Sera da Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente di Mediaset, che chiedeva un tetto pubblicitario per la tv di Stato. Una battaglia che ciclicamente, soprattutto in periodi pre-elettorali, torna di moda (in questo momento il Centrodestra è avanti nei sondaggi rispetto al Centrosinistra) e che vede schierato anche Cairo, patron di La7, favorevole a una Rai con meno pubblicità (un canale senza spot). Nello specifico la bozza di risoluzione presentata da Forza Italia in Commissione di vigilanza, ma non approvata, si rifaceva al fatto che «A partire dal 2012 e fino a tutto il 2016, ma con un dato che risulta essere attuale anche per il 2017, gli sconti mediamente praticati dalla Rai, sulla base dei dati Nielsen, sono progressivamente aumentati fino a un valore medio superiore all’ 85% con punte superiori al 90%». Una politica «di dumping», si legge sempre nel documento presentato dalla Bernini, che la tv pubblica ha «potuto perseguire grazie alle risorse garantite dal canone», nonostante le «segnalazioni dell’ associazione degli editori della carta stampata all’ Antitrust, le segnalazioni e le istanze presentate dalle emittenti all’ Agcom, i tentativi di dissuasione e le proteste in ogni sede degli editori». (riproduzione riservata)

Web Tax, Facebook anticipa il fisco e decide di pagare le tasse nei paesi in cui vende la pubblicità

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E’ quanto deriva dalla decisione della società di passare a una “struttura di vendita locale” nei Paesi in cui è presente un ufficio che fornisce supporto alle vendite nei confronti degli inserzionisti locali. I relativi ricavi pubblicitari non saranno più contabilizzati dalla sede internazionale a Dublino, ma dalla società presente in quel Paese. Facebook, ha spiegato Dave Wehner, Chief financial officer, conta di realizzare il cambiamento nel corso del 2018, con l’obiettivo di completarlo in tutti gli uffici (sono circa 30 in tutto il mondo) entro la prima metà del 2019. Il cambiamento globale quindi riguarderà anche l’Italia, dove, a quanto si apprende, inizierà già nella prima metà dell’anno prossimo. Il nuovo corso richiederà anche un’analisi delle leggi locali di ogni Paese interessato.

“Ogni Paese è unico e vogliamo essere sicuri di realizzare questo cambiamento in modo corretto – ha spiegato Wehner -. Si tratta di un grande impegno, che richiederà risorse significative per poter essere attuato in tutto il mondo. Introdurremo, il più rapidamente possibile, nuovi sistemi e modalità di fatturazione per garantire una transizione agevole alla nostra nuova struttura”. Facebook ha già fatto un cambiamento simile anche nel Regno Unito e in Australia, dove ora contabilizza localmente i ricavi realizzati con il supporto dei team locali. Il quartier generale di Menlo Park (California) continuerà ad essere la sede centrale di Facebook negli Stati Uniti, e gli uffici a Dublino (Irlanda) continueranno ad essere l’headquarter internazionale.

Rassegna Stampa del 14/12/2017

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Indice Articoli

La riscossa dei giornali

Chiusa l’ Unità, Pessina finanzia Berlusconi

Napoli, l’ Ordine difende la bufala

Assegnati i premi «Giustolisi» per il 2017

Sulla pubblicità Google e Facebook dettano il ritmo

Il giornalismo è rovinografico

Nella tv futura big del web e telco

Medusa punta sugli autori italiani

Pubblicità, i dieci mesi a -0,4%

Tv: -2,9%. Discovery +9,1%, La7 -1,1%, Mediaset -1,8%, Sky -3,1%, Rai -9,1%

Gli investimenti pubblicitari crescono di quasi un punto (+0.9%) a ottobre, ma calano da inizio anno -0.4% che diventa -3.1% senza search e social. Nielsen: male tutti i mezzi tranne radio, Internet, transit, go tv e cinema

Crisi a «Famiglia Cristiana» E i giornalisti digiunano per protesta

Famiglia Cristiana sciopero della fame e niente messa per fermare i tagli

La riscossa dei giornali

Italia Oggi
CARLO VALENTINI
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Il 2017 è il primo anno in cui (nel mondo) la pubblicità sul web (209 miliardi di dollari) ha superato quella nella televisione (178 miliardi di dollari). La forbice sembra destinata ad allargarsi, secondo il sito WebMarketingManager: nei prossimi cinque anni la pubblicità online/digitale arriverà a 348 miliardi di dollari mentre quella televisiva non raggiungerà i 200 miliardi di dollari. In parte è la riscossa dei giornali che dopo anni di sofferenza pubblicitaria per colpa della tv riescono per la prima volta a rosicchiare quote non marginali di mercato pubblicitario con le loro edizioni online proprio alla nemica televisione. Insomma, chi la fa l’ aspetti. © Riproduzione riservata.

Chiusa l’ Unità, Pessina finanzia Berlusconi

Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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ANatale dobbiamo essere tutti più buoni, come ci ricorda ogni anno la pubblicità del panettone e oltre ai regali da destinare ad amici e familiari è il momento di rivolgere un fattivo pensiero anche ai nostri impegni e doveri verso la società. Il costruttore milanese Massimo Pessina, socio di maggioranza della casa editrice del quotidiano l’ Unità e con una quarantina di lavoratori tra giornalisti e poligrafici finiti in cassa integrazione, pare abbia destinato a questo capitolo edificante del suo budget personale ben diecimila euro. Una bella sommetta, per un imprenditore ufficialmente in difficoltà, che divisa per 40 si tradurrebbe in un piccolo sollievo di 250 euro da mettere sotto l’ albero dei suoi esausti dipendenti, ancora in attesa degli stipendi degli ultimi mesi e, nel caso dei poligrafici, anche dell’ erogazione del primo assegno della cassa integrazione. Tutto è bene quello che finisce bene, quindi, sentenzierebbe William Shakespeare a chiosa di questa bella storia natalizia, se non fosse proprio per il finale, anzi della fine che Pessina avrebbe fatto fare ai diecimila euro. Antipasto tricolore, pasta al pesto ai quattro formaggi, sformato di melanzane e panettone artigianale: è il menu a prezzo fisso che il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha offerto l’ altra sera a una ventina di imprenditori, tutti accorsi alla sua tavola per finanziargli la campagna elettorale, anche se l’ ex Cavaliere mantiene il primato di essere uno degli imprenditori più ricchi del pianeta. La quota da versare, appunto diecimila euro a testa, comprendeva, oltre al godimento per essere accolti dall’ anziano tycoon in persona, anche l’ apertura straordinaria della casa di Arcore, per la prima volta messa a disposizione per una banale iniziativa di fundraising. E chi c’ era, tra quei “fortunati” commensali, secondo quanto riportato dai cronisti di Repubblica e Libero? Proprio Massimo Pessina, l’ editore del fu quotidiano della sinistra storica che, finito nelle mani del costruttore grazie ai buoni uffici di Matteo Renzi, ha cessato le pubblicazioni nel giugno scorso, dopo mesi di impegni non mantenuti e a distanza di ben 93 anni dalla sua fondazione. La gestione di Pessina con il rinnovato impegno del Pd è durata due anni, dal momento della terza riapertura nel giugno 2015 alla nuova chiusura. Il nuovo socio aveva sottoscritto dieci milioni di euro, ma non tutti, pare, ancora versati. Investimenti azzerati, redazione e distribuzione strozzate di pari passo al crollo delle copie vendute, una linea editoriale schiacciata su Matteo Renzi, hanno convinto lo stesso Pessina di aver fatto un pessimo affare e della necessità di cercarsi nuovi padrini politici. Ad attrarre ad Arcore l’ ex editore dell’ Unità sarà stato decisivo il programma illustrato da Berlusconi insieme alla coordinatrice per la Lombardia, Mariastella Gelmini al dessert: meno tasse, pensione specifica per le donne e più diritti per gli animali.

Napoli, l’ Ordine difende la bufala

Il Fatto Quotidiano
fd’ e
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Diceva Rafa Benitez, non solo allenatore ma anche intellettuale ispanico, che Napoli vincerà o cambierà quando “smetterà di pensarsi diversa dal resto del mondo”. Invece Benitez è stato frettolosamente dimenticato e Napoli continua a essere speciale per molti versi. Come nel caso della finta rapina allo scrittore americano Bruce Sterling, autore di fantascienza. Sterling è stato a Napoli per una conferenza all’ Università e il giorno dopo Mattino, Repubblica locale e Corriere del Mezzogiorno, imbeccati da un anonimo accademico, hanno scritto che lo scrittore era stato vittima di una rapina a mano armata. Incerto il luogo del misfatto: piazza Garibaldi o addirittura la lontana Pompei. A quel punto la moglie dello scrittore è intervenuta su Facebook per smentire: è stato un borseggio, senza minaccia di pistole, avvenuto in piazza Municipio. La donna ha pubblicato anche la denuncia fatta alla polizia. In una città normale i giornali interessati avrebbero dato conto della smentita. Ma Napoli è Napoli e la tesi della rapina a mano armata è stata confermata a onta dell’ evidenza. E l’ altro giorno persino il presidente dell’ Ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli, ha difeso pubblicamente la fake news diramata dai tre quotidiani dalla “macchina del fango dei social”.

Assegnati i premi «Giustolisi» per il 2017

Il Sole 24 Ore

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Sono stati individuati i vincitori della terza edizione del Premio per il giornalismo d’ inchiesta “Giustizia e verità” intitolato al giornalista Franco Giustolisi, scomparso il 10 novembre 2014 e autore, tra l’ altro, del libro “L’ Armadio della Vergogna” sulle stragi nazi-fasciste rimaste per lungo tempo nascoste e impunite. Le giornaliste Valeria Ferrante e Marilù Mastrogiovanni sono le vincitrici, ex aequo, del “Premio Franco Giustolisi Giustizia e verità”. La prima per l’ inchiesta sui possibili inquinamenti delle Ong a causa delle connessioni con il traffico di migranti nel Canale di Sicilia, per la trasmissione “Agorà” su Rai 3; la seconda per il suo portale su fatti e misfatti della Sacra Corona Unita, e perché, nonostante giornalista precaria, continui a informare combattendo contro le minacce che la costringono a vivere sotto protezione. La giuria ha assegnato, poi, a Ilaria Bonuccelli il premio speciale “Franco Giustolisi – Fuori dall’ Armadio”, promosso dal presidente del Senato della Repubblica, per la sua inchiesta originale sui call center. Gli altri premi 2017 sono stati assegnati per il libro inchiesta a Maurizio Molinari per “Il ritorno delle tribù” (Rizzoli); premio speciale della Giuria “Una vita per il giornalismo” a Ferruccio de Bortoli; premio speciale “Per la difesa del patrimonio culturale” a Fabio Isman; premio “Memoria e verità” a Donatella Alfonso per il libro “La ragazza nella foto”; premio “Voci dai fatti” a Raffaella Calandra per la trasmissione “Storiacce” su Radio24. L’ edizione 2017 vede, per la prima volta, una sezione dedicata alle scuole promossa dal Comune di Boves, sede dell’ edizione 2017. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sulla pubblicità Google e Facebook dettano il ritmo

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Gli occhi sono puntati al 2018 con l’ incognita della mancata partecipazione dell’ Italia ai Mondiali di calcio in Russia. È evidente che in quel caso gli investimenti pubblicitari delle aziende sarebbero stati maggiori di quanto ora ci si possa attendere. Alberto Dal Sasso ricorda poi il «periodo iniziale di incertezza elettorale» con l’ approssimarsi delle elezioni politiche. Detto questo, Nielsen confida in una chiusura 2017 positiva e buone speranze per il 2018. Per ora però, a guardare i dati diffusi ieri e relativi ai primi dieci mesi dell’ anno, il barometro fatica a virare verso il bello, con un gennaio-ottobre in calo dello 0,4 per cento. Il risultato sarebbe anche peggiore (-3,1%) se dal computo si sottraessero search e social (leggi Google e Facebook). Nel solo mese di ottobre con Google e Facebook la raccolta risulta in crescita dello 0,9% («positiva anche se un po’ sotto le aspettative», commenta Dal Sasso); senza si va in negativo: -1,8 per cento. Insomma, i colossi del web stanno dettando il ritmo. E se a fine 2016 il digital valeva il 28% circa degli 8,2 miliardi complessivi, è pressoché sicuro che questa quota salirà per un 2017 in cui, come si vede, Google e Facebook l’ hanno fatta da padrone anche nel confronto con una Tv che resta leader per investimenti (3 miliardi nel gennaio-ottobre su 5 complessivi, ma sempre senza calcolare Google e Facebook) ma che ha chiuso in negativo sia ottobre (-3,7%) sia il periodo cumulato (-2,9%). Secondo le elaborazioni del Sole 24 Ore, nel comparto solo per Discovery la raccolta risulta in crescita nei dieci mesi (+9,1% a 198,3 milioni su 2,7 miliardi totali). In negativo invece Rai (-9,1% a 599 milioni) e Sky (-3,1% 373,2 milioni) penalizzate dagli eventi sportivi del 2016, La7 (-1,1% a a 124,5 milioni), e Mediaset (-1,8% a 1,7 miliardi). Per il gruppo di Cologno il mese di ottobre è stato poi particolarmente avaro di soddisfazioni (-7,9%) – anche se la chiusura d’ anno è attesa in positivo (+0,5%) – con Rai ferma, La7 in calo del 2,9% e Sky e Discovery a +6,9% e +7,5 per cento. Migliora la radio (+5,4% a 327,5 milioni) mentre per quotidiani e periodici non si vede l’ uscita dai segni meno sia per ottobre (rispettivamente -4,3% e -9,7%) sia per i dieci mesi (-9,2% e -6,7%). In questo quadro il settore della stampa cartacea confida negli effetti del credito d’ imposta sulla pubblicità incrementale per 2017 e 2018. L’ agevolazione (75% o 90% se a investire sono Pmi o startup innovative) introdotta dalla manovra correttiva 2017 e fortemente richiesta dalla Fieg, è prevista per chi farà investimenti superiori, a partire dal 24 giugno 2017, dell’ 1% al valore degli investimenti, di analoga natura, effettuati nell’ anno precedente. La dote è di 62,5 milioni: 50 per gli investimenti sulla stampa (20 per quelli nel secondo semestre 2017 più 30 da effettuare nel 2018) e 12,5 milioni per investimenti su tv e radio locali nel 2018. Per quanto riguarda i settori, il trend è stato positivo in particolare per auto (+1,1%), farmaceutica (+0,9%) ed elettrodomestici(+23,6%). All’ opposto tlc (-5,5%), alimentari (-4,5%) e distribuzione (-9,1%). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il giornalismo è rovinografico

Italia Oggi
DOMENICO CACOPARDO
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La conclusione della legislatura porta con sé il peggio della tradizionale disinformazione che regola il sistema, privilegiando non solo le fake news, ma anche le vere sciocchezze, quelle affermazioni più o meno apodittiche con le quali il politicante di turno, in questo caso l’ inconsapevole Luigi Di Maio, cerca di imbonire un pubblico che, per definizione e per pratica propagandista, è beota, capace, quindi, di bere tutto. Il vizio viene da lontano, da quando l’ informazione italiana era in bilico tra l’ obbedienza al regime (democristiano) e l’ obbedienza ai suoi nemici. Nonostante tutto, peraltro, c’ erano dei limiti evidenti e riconoscibili, talché la Rai di Bernabei e di Fabiani aveva innovato e molto il costume mediatico nazionale, dando spazio a una comunicazione non legata o succuba dei partiti, anche se TeleKabul, il terzo canale della televisione di Stato, s’ era caratterizzata, sin dall’ inizio, per una pedissequa osservanza e promozione delle esigenze di Botteghe Oscure, la via che dava il nome al Pci. Rimane, di fondo, la diffusa tentazione di andare in soccorso del vincitore possibile (vedi la subordinazione alle esigenze dei 5stelle) e un’ attenzione spasmodica a fenomeni eversivi del sistema giuridico-istituzionale vigente (vedi l’ enfasi con la quale vengono trattate la corruzione, l’ antimafia canonica e, da ultimo, il livello di povertà). Per spiegare meglio, segnalo che ieri un giornale ben pensante e liberale (una volta, almeno) come La Stampa titolava «Record amaro: oltre 10 milioni di persone vivono in stato di estrema privazione. Nel 2016 situazione migliorata. Povera Italia, siamo ultimi in Europa». Nel testo invece si scopriva che: 1) nel 2016 ci sono stati 3,4 milioni di indigenti in meno; 2) che non è vero che in Italia ci sono più poveri che altrove in Europa; 3) che insomma l’ azione del governo su questo terreno ha funzionato. 4) e che, infine, il problema riguarda anche la Francia e la Germania (oltre che, in modo catastrofico la Romania) ed è frutto del combinato disposto di tre fattori ineluttabili: la globalizzazione; l’ impatto tecnologico; la crisi del 2008. Uno sputtanamento come un altro. Tanto per tornare su un argomento che abbiamo trattato più volte, dedichiamo qualche riga alla corruzione. Benché giornali e politici contribuiscano ad accendere di indignazione il cittadino comune sulla base di un elemento farlocco come la «corruzione percepita» cioè i titoli di giornale (cosicché i paesi con la stampa sotto controllo, vedi la Russia, in cui non è possibile scrivere di corruzione, risultano esenti o quasi dal fenomeno), quando ci si trasferisce su fonti attendibili possiamo constatare come il fenomeno sia di modesta e marginale entità in Italia sia per l’ Osservatorio di Bruxelles, messo in piedi dall’ Unione, che per il nostro Istat che ha realizzato un’ approfondita inchiesta sul fenomeno dalla quale risulta che solo l’ 1,2% delle famiglie ha ricevuto richieste di denaro e altri benefici in cambio di servizi dovuti o di agevolazioni (legali e illegali). E parliamo dell’ 1,2% delle famiglie, cioè dello 0,5/0,6% dei cittadini. Ma questo non interessa ai nostri padroni del vapore informativo. Interessa delegittimare il sistema, la politica, quando non è «fake», demagogia e menzogna, alimentare uno scontento e una contestazione sociale alla luce di numeri ingiustificati, capaci comunque di riportare il Paese alla barbarie del 1922. Già, infatti, siamo sull’ orlo del precipizio di una politica-antipolitica che distrugge i fondamenti della democrazia liberale, tanto ignoti da consentire allo sciocco (politico) del momento, il predetto Luigi Di Maio, di annunciare per la prossima legislatura l’ introduzione del «vincolo di mandato», l’ obbligo cioè, per gli eletti, di obbedire al partito e, nel suo caso, al comico ducetto genovese, Beppe Grillo. Insomma, la vittima sacrificata di questi tempi è la verità. Per essa ci siamo battuti e continueremo a batterci. ©Riproduzione riservata.

Nella tv futura big del web e telco

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Fino a pochi anni fa in Italia si dibatteva su temi come «la concessione governativa necessaria per trasmettere un canale televisivo nazionale», «mandare Rete 4 sul satellite», «fare pagare un’ Iva maggiorata sui ricavi dei film a luci rosse del bouquet di Sky». Ora tutto ciò è preistoria, spazzato via dal mondo digitale dove gli over the top alla Netflix, con una app, trasmettono liberamente e a chiunque qualsiasi contenuto. E in Europa, col Mercato unico digitale (Mud) al via nel 2020 e la transizione agli standard DVB T2, che comporterà la sostituzione di tutto il parco televisori, si sta per ripartire da zero: non si ragionerà più per canali o per piattaforme, ma solo per contenuti, visti attraverso questa o quella app. In tale nuovo scenario le prime a dover ripensare al loro modello di business saranno le pay tv tradizionali, quelle con una clientela più giovane, moderna, benestante, sempre aggiornata, che sarà però la più rapida ad abbandonare i contratti da decine di euro al mese, decoder, parabole, ferraglia varia, privilegiando invece modalità di consumo di contenuti più agili, disponibili a casa e in mobilità, a prezzi più bassi e con grande semplicità di ingresso e uscita dal contratto. Con il Mercato unico digitale e la libera circolazione internazionale dei diritti tv, anche le aste per i diritti stessi, in particolare quelli dello sport, assumeranno una scala paneuropea. Con cifre monstre in ballo e leve finanziarie che potranno permettersi solo due tipi di soggetti: i giganti del web, alla Amazon, Facebook, Google o Apple; i grandi gruppi di telecomunicazioni. All’ interno di questa cornice va quindi letta l’ operazione Disney-Fox. Un deal che il Financial Times stima in 60 miliardi di dollari (51 mld di euro), e con il quale Rupert Murdoch si appresta a cedere le società di produzione cinematografica e televisiva di Fox, 22 canali tv sportivi via cavo, Fx, Natgeo, Star tv (India), il 30% di Hulu (streaming a pagamento) e il 39% di Sky in Europa. Anche Murdoch, insomma, pare aver compreso che occorrono dimensioni maggiori per poter competere nel futuro, e che il suo gruppo dovrà confrontarsi con giganti come Amazon e Facebook. Passa quindi all’ incasso, in una operazione che, peraltro, qualcuno potrebbe anche leggere come un Murdoch che mette il suo zampino in Disney (è previsto infatti pure uno scambio di azioni), e che quindi non esce di scena, ma, anzi, rilancia. «Non c’ è dubbio che il Mud e la sostituzione del parco tv, con l’ arrivo delle nuove smart tv nelle case di tutti, comporteranno un rimescolamento delle carte mai visto prima», spiega Massimo Donelli, ex direttore di Canale5 e ora media consultant e docente di broadcasting management alla Università della Svizzera italiana di Lugano. «Il Mud avrà per la tv lo stesso effetto che ebbe la sentenza Bosman sul mondo del calcio. Ci sarà la libera circolazione dei contenuti digitali, certo con necessarie misure Antitrust, ma cambierà tutto. In un lampo si passa dal broadcast al broadband. Non hai più bisogno di una piattaforma per fare vedere il tuo canale tv. Ti fai un over the top, ti compri i contenuti o li produci in casa, e la tv è fatta. Non devi acquistare o affittare frequenze, oppure andare a chiedere spazio alle piattaforme di Sky o Mediaset premium. Questo nuovo mercato», conlcude Donelli, «comporta però dei volumi finanziari che si possono permettere solo due tipi di aziende: o i big del web, o le telco». Il modello tradizionale della pay tv entra in crisi: da un lato insegue la tv generalista, dall’ altro gli over the top, ma non è più lui a dettare la linea dell’ innovazione. La tv generalista, invece, sopravvive (il suo target è un po’ più lento nel cambiare abitudini), ma con ascolti in calo, senza sport, film di pregio o serie tv di grande qualità. Dovrà puntare a quell’ intrattenimento caldo e locale di cui parla spesso l’ amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi. Un contenuto, tuttavia, piuttosto costoso, con un parco artisti che invecchia e senza ricambi in vista, in un contesto dove il prezzo degli spazi pubblicitari è in decrescita costante, e in cui sono sempre meno le aziende che devono per forza pianificare il grande evento televisivo per raggiungere il loro target. Nel mercato un tempo monopolio dei broadcaster televisivi entreranno massicciamente, come detto, sia i big player del web sia le telco. E lo sport sarà la grande leva. Amazon Prime, per esempio, si è già aggiudicata i diritti esclusivi dei tornei Atp di tennis per il Regno Unito, versando circa 10 milioni di sterline all’ anno (11,4 mln di euro). Negli Usa si è buttata sui diritti tv della Nfl (football), così come Twitter. Mentre Facebook, insieme con Amazon, potrebbe partecipare alla prossima asta di febbraio per i diritti tv 2019-2022 dei match della Premier league inglese di calcio. Non si può, peraltro, escludere che nei prossimi mesi uno tra Amazon, Facebook o Apple possa comprarsi Netflix, e quindi chiudere il cerchio. I grandi gruppi di telefonia, invece, hanno raggiunto una saturazione nei loro business tradizionali: le offerte di fibra o di telefonia mobile si assomigliano un po’ tutte. E alla loro proposta commerciale devono ora affiancare una terza leva, quella di contenuti esclusivi. Non film, che ormai hanno tutti. Ma eventi live, in diretta. E, quindi, diritti tv dello sport. Se Vodafone o Wind o Tim mettono sul piatto le partite del Milan o dell’ Inter in esclusiva, questa è di certo una ottima motivazione per sottoscrivere i loro contratti. Tornando però alla cessione di molte attività di Fox alla Disney, si devono anche sottolineare motivazioni legate ad alcune preoccupazioni sul futuro stesso di Disney: dopo molti decenni, la gallina dalle uova d’ oro del gruppo, ovvero la tv sportiva via cavo Espn, ha iniziato a battere in testa, con un calo di abbonati; pure gli utili e i margini del gruppo, nel 2017, diminuiscono; e anche gli incassi del comparto cinema, quest’ anno, non brillano. Di Fox, quindi, fanno gola sia i brand cinematografici (Alien, Avatar, Titanic, Pianeta delle scimmie, X-Men), che Disney sarebbe bravissima a valorizzare così come ha fatto negli ultimi anni con Star Wars o tutti i supereroi della Marvel, sia il 30% di Hulu, offerta in streaming che potrebbe competere con Netflix. Disney, infatti, è ben conscia che gli ott in streaming riescono a raccogliere big data tali per cui possono poi investire nella produzione di serie tv di sicuro successo. Una cosa ancora molto diversa dai film per il cinema, dove invece si investono centinaia di milioni di euro, ma senza avere la certezza di non sbagliare un colpo. E non è un caso che Star Wars, il cui ultimo capitolo è uscito ieri nelle sale italiane, stia per diventare anche una serie tv. © Riproduzione riservata.

Medusa punta sugli autori italiani

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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Segno meno per gli incassi (-13%), ma con un’ alta qualità di film. Medusa però chiude la stagione con ottimismo, aspettando il prossimo successo di Checco Zalone. Per l’ amministratore delegato e vicepresidente Giampaolo Letta, che guida la società cinematografica del gruppo Mediaset, la mission è confermata: «Puntiamo ancora su Italia e qualità». Medusa è il secondo distributore italiano dopo 01, e ha potuto contare su incassi record come quelli del film L’ ora legale, con biglietti venduti per oltre 10 milioni di euro. Ed è leader, nelle ultime tre stagioni cinematografiche, nella classifica dei film italiani che hanno incassato più di 2 milioni di euro. Nella seconda parte della stagione Medusa vanta ben due film nella classifica dei primi 10 italiani: La ragazza nella nebbia, film scritto, diretto e tratto dall’ omonimo bestseller di Donato Carrisi, con un box office di oltre 3,6 milioni di euro che è anche il miglior successo italiano non di commedia in tutto il 2017 e The Place di Paolo Genovese, con un incasso di oltre 4,2 milioni di euro. La legge sul cinema e l’ audiovisivo voluto dal numero uno del ministero dei beni e le attività culturali e del turismo Dario Franceschini riceve elogi da parte di Letta, ma anche qualche appunto: «La legge di sistema è positiva, ma c’ è troppa disparità di trattamento tra i soggetti indipendenti e quelli che non lo sono come Medusa, Rai Cinema e Vision. Per i primi c’ è un credito di imposta al 30% che non vale per noi e questo non lo trovo giusto. Alla fine siamo noi a sostenere il cinema. E poi le quote non possono piacere mai». Con Medusa che contesta gli obblighi per le reti televisive di trasmettere film di produzione italiana ed europea: «Lo dico anche pensando a La7». Per Letta, «dato che ormai non produciamo né distribuiamo tantissimi film, ci siamo concentrati sempre di più sul cinema italiano e su pochi stranieri. Va detto che le cose sono cambiate e un incasso di 2 milioni di euro oggi è considerato dignitoso o più che dignitoso. Puntiamo così sul solo cinema italiano nel rispetto di qualità e rendimento, tenendo conto che è sempre più difficile, tranne per i blockbuster, portare in sala il pubblico e farlo stare lì per due ore». Novità nel listino: torna alla regia Luciano Ligabue con Made in Italy, con Stefano Accorsi e Kasia Smutniak, segue Matrimonio italiano di Alessandro Genovesi con Diego Abatantuono e Salvatore Esposito nell’ inedito ruolo di gay, passando per Vincenzo Salemme con Una festa esagerata e Paolo Genovese con Il primo giorno della mia vita. Dopo l’ estate arriveranno Io te & Sofia di Guido Chiesa, Il vizio della speranza di Edoardo de Angelis e due remake: Alibi.com dalla commedia francese di Philippe Lacheau, diretto da Volfango De Biasi, e Truman dall’ omonima commedia spagnola sull’ amicizia diretta da Cesc Gay. Sospeso invece il contratto che impegnava il regista Fausto Brizzi a scrivere un film per Medusa a gennaio. «Abbiamo deciso insieme di congelarlo. Trovo assurda la gogna mediatica che ha fatto di lui un mostro. Bisogna aspettare che su questa vicenda si faccia luce. Diciamo che in questo momento sarebbe stato inopportuno per lui mettersi al lavoro con l’ obiettivo di girare in primavera e arrivare nelle sale in autunno. Nessun motivo censorio, abbiamo concordato la cosa migliore da fare in questo contesto». Letta non vuole tornare «all’ Ottocento»: però la possibilità di introdurre come negli Usa clausole morali sui prossimi contratti «è qualcosa su cui si può riflettere». L’ occhio di Medusa comunque è puntato sul recordman del cinema, Zalone: «Sta scrivendo il fim, per ora la regia non è stata assegnata ma non sarà di Gennaro Nunziante, la produzione è di Taodue e sarà nelle sale a gennaio 2019», sottolinea Letta. Leccandosi i baffi ripetendo la cifra incassata con l’ ultima pellicola del comico pugliese: «Ben 65 milioni di euro». © Riproduzione riservata.

Pubblicità, i dieci mesi a -0,4%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude il mese di ottobre in crescita dello 0,9% (-1,8% senza search e social). La raccolta nel periodo consolidato gennaio-ottobre 2017 rimane invece in calo dello 0,4%, rispetto allo stesso periodo del 2016. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, l’ andamento dei 10 mesi registra una contrazione del 3,1%. «La crescita del mese di ottobre è positiva», ha spiegato Alberto Dal Sasso, ais managing director di Nielsen, «anche se un po’ sotto le aspettative. Il quarto trimestre sarà in crescita, ma la quantificazione della chiusura dipenderà dalla performance degli ultimi due mesi dell’ anno. Possiamo però anticipare che la raccolta a novembre sarà la migliore del 2017». Relativamente ai singoli mezzi, la tv a ottobre torna in negativo (-3,7%), chiudendo il periodo cumulato a -2,9%. Continua il buon andamento della Go Tv, che segna un +16,7% nei dieci mesi e un +36,4% a ottobre. «Siamo sulla buona strada considerando che la crescita della Go Tv si consolida per otto mesi consecutivi, con un’ ulteriore accelerazione a ottobre dopo la performance estremamente positiva del mese di settembre (+32,4%)», ha commentato Angelo Sajeva, presidente di Fcp-Assogotv e di Class Pubblicità. «La Go Tv continua a confermarsi il media più in salute del mercato pubblicitario, attrae infatti nuovi clienti e pianificazioni sempre più articolate sulle tante e nuove opportunità di presenza e contestualizzazione del messaggio. Molto positiva è stata la performance degli alimentari, settore che occupa il podio insieme a turismo e pharma. Interessante e significativo il sempre più elevato avvicinamento alla Go Tv dei player dell’ energia (+50%) che considerano gli ambienti fuori casa media particolarmente idonei per veicolare le loro promozioni al numeroso pubblico in mobilità. Ancora in crescita il settore distribuzione che annovera nuove realtà native digitali e dell’ e-commerce». L’ andamento della stampa continua a essere in calo: nel singolo mese, i quotidiani e i periodici perdono rispettivamente il 4,3% e il 9,7%, portando la raccolta nei primi dieci mesi dell’ anno rispettivamente a -9,2% e -6,7%. Prosegue invece il buon trend della radio che chiude il periodo cumulato con una crescita del 5,4%, grazie a un mese di ottobre che conferma il buon momento del mezzo (+14,6%). Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising nel periodo cumulato chiude in positivo a +7,4% (+0,9%, se si escludono il search e il social). Da gennaio a ottobre il transit è in aumento del 3,6%, mentre l’ outdoor e il direct mail restano negativi (-15,2% e -3,1%). Il cinema conferma l’ andamento positivo (+7,5%), grazie anche al contributo di una nuova concessionaria operativa sul mercato da qualche mese. Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 9 in crescita nei primi 10 mesi dell’ anno, con un apporto complessivo di circa 52 milioni di euro. «Anche se sotto le aspettative, l’ andamento in buona salute del periodo autunnale ci conferma una chiusura di anno in terreno positivo e più in generale un mercato pubblicitario in fase di recupero nel medio periodo, seppur contenuta», ha concluso Dal Sasso. «I recenti miglioramenti delle stime negli indicatori macroeconomici possono fare ben sperare per il 2018: molto dipenderà anche dalle scelte delle aziende in vista di un campionato mondiale senza la nazionale italiana e di un periodo iniziale di incertezza elettorale». © Riproduzione riservata.

Tv: -2,9%. Discovery +9,1%, La7 -1,1%, Mediaset -1,8%, Sky -3,1%, Rai -9,1%

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Lo scorso ottobre non è stato un mese d’ oro per la raccolta della pubblicità in televisione, probabilmente stretto tra la ripresa del mercato a settembre e i preparativi in vista del periodo di picco natalizio (oltre che da variazioni infrasettimanali del campionato di calcio). A conferma il piccolo schermo ha il segno negativo davanti sia sul singolo mese (che da positivo gira a -3,7%) sia cumulando i primi dieci mesi dell’ anno (-2,9%). Tendenza confermata dai dati di tutte le principali emittenti in contrazione nei primi 10 mesi dell’ anno. Eccezion fatta per una sola: Discovery su del 9,1%. In particolare, il network che riunisce tra gli altri i canali tv Nove e Real Time avanza nella pubblicità tabellare e sensibilmente nelle televendite. Contrae nelle iniziative speciali (che assieme alle telepromozioni hanno comunque un peso contenuto in valore assoluto, per tutto il mercato tv). Di contro, la Rai segna il -9,1% (con un dato speculare a quello di Discovery) e indietreggia su tutti e tre i format promozionali monitorati da Nielsen mentre Mediaset riesce ad arginare le perdite a quota -1,8%. Il Biscione cresce con televendite e iniziative speciali. Diminuisce invece la pubblicità tabellare. Ancora più contenuta la contrazione per La7, che si ferma a -1,1%. Aumentano significativamente le televendite (più o meno nello stesso ordine di grandezza di Discovery), migliora (meno) la pubblicità tabellare e perdono terreno le iniziative speciali. Infine c’ è Sky con una raccolta pari al -3,1%. Nel dettaglio arretrano sia la pubblicità tabellare sia le iniziative speciali. Crescono di molto le televendite del network satellitare.

Gli investimenti pubblicitari crescono di quasi un punto (+0.9%) a ottobre, ma calano da inizio anno -0.4% che diventa -3.1% senza search e social. Nielsen: male tutti i mezzi tranne radio, Internet, transit, go tv e cinema

Prima Comunicazione

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Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude il mese di ottobre in crescita dello 0,9% (-1,8% senza search e social). La raccolta nel periodo consolidato gennaio – ottobre 2017 rimane in calo dello 0,4%, rispetto allo stesso periodo del 2016. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, l’ andamento dei 10 mesi registra una contrazione del 3,1%. “La crescita del mese di ottobre è positiva – spiega Alberto Dal Sasso, AIS Managing Director di Nielsen – anche se un po’ sotto le aspettative. Il quarto trimestre sarà in crescita, ma la quantificazione della chiusura dipenderà dalla performance degli ultimi due mesi dell’ anno. Possiamo però anticipare che la raccolta a novembre sarà la migliore del 2017”. Relativamente ai singoli mezzi, la tv a ottobre torna in negativo (-3,7%), chiudendo il periodo cumulato a -2,9%. L’ andamento della stampa continua a essere in calo: nel singolo mese, i quotidiani e i magazine perdono rispettivamente il 4,3% e il 9,7%, portando la raccolta nei primi dieci mesi dell’ anno rispettivamente a -9,2% e -6,7%. Prosegue invece il buon trend della radio che chiude il periodo cumulato con una crescita del 5,4%, grazie a un mese di ottobre che conferma il buon momento del mezzo (+14,6%). Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising nel periodo cumulato chiude in positivo a +7,4% (+0,9%, se si escludono il search e il social). Sempre buono l’ andamento della GoTV (+16,7%) e del transit (+3,6%) nel periodo cumulato, mentre l’ outdoor e il direct mail restano negativi (-15,2% e -3,1%). Il cinema conferma l’ andamento positivo (+7.5%), grazie anche al contributo di una nuova concessionaria operativa sul mercato da qualche mese. Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 9 in crescita nei primi 10 mesi dell’ anno, con un apporto complessivo di circa 52 milioni di euro. Per i primi cinque comparti a livello di quote di mercato, si registrano andamenti differenti. Gli investimenti del settore automobilistico si fermano al +1,1%. Positiva la performance del pharma (+0,9%). Continua invece l’ andamento negativo per le telecomunicazioni (-5,5%), per gli alimentari (-4,5%) e per la distribuzione (-9,1%). Ottima la performance degli elettrodomestici nei primi dieci mesi dell’ anno (+23,6%). Limitatamente al singolo mese di ottobre, un rilevante contributo alla crescita arriva dai settori Cura persona, Giochi/articoli scolastici e Turismo/Viaggi che crescono rispettivamente del +26,7%, +31,7% e +11,9% con un apporto complessivo di circa 8,7 milioni di euro. “Anche se sotto le aspettative, l’ andamento in buona salute del periodo autunnale ci conferma una chiusura di anno in terreno positivo e più in generale un mercato pubblicitario in fase di recupero nel medio periodo, seppur contenuta. I recenti miglioramenti delle stime negli indicatori macroeconomici possono fare ben sperare per il 2018: molto dipenderà anche dalle scelte delle aziende in vista di un campionato mondiale senza la nazionale italiana e di un periodo iniziale di incertezza elettorale” – conclude Dal Sasso. In allegato, in un unico file: la nota, la tabella sugli investimenti per tipologia di media e la tabella sui settori di investimento.

Crisi a «Famiglia Cristiana» E i giornalisti digiunano per protesta

Corriere della Sera
Giampiero Rossi
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I giornalisti di Famiglia Cristiana in sciopero e digiuno, oggi, per protestare contro il proprio editore, cioè la Periodici San Paolo. In una vertenza sindacale resa aspra da una crisi che si trascina da anni ci può stare. Ma a rendere più doloroso (e rumoroso) il gesto è la scelta del giorno: quello della visita del nuovo arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che proprio oggi alle 17 è atteso per celebrare la messa nell’ auditorium dedicato a don Giacomo Alberione, fondatore della Famiglia Paolina. Lo scontro frontale, del resto, emerge nitidamente già dalla lettura dei comunicati: «Con questo digiuno vogliamo denunciare con sgomento che l’ azienda non ha alcuna idea seria e credibile di futuro», dicono i giornalisti di Famiglia Cristiana , Credere , Jesus e Il Giornalino. P arlano di «logica del ricatto» e aggiungono: «Di questo passo, anche percepire lo stipendio diventerà agli occhi dei vertici aziendali un odioso privilegio». Non è meno dura la replica della Periodici San Paolo che parla di «toni aggressivi» e di «contenuti che ci lasciano allibiti: tanti insulti, attacchi personali, vere e proprie falsità». L’ azienda parla di «situazione difficile» e sottolinea «lo sforzo fatto in questi anni difficili per preservare, per quanto possibile, l’ occupazione». Il Comitato di redazione, viceversa, ricorda le due precedenti ondate di tagli, nel 2013 e nel 2015, che hanno ridotto gli organici a una trentina di persone in tutto. «E per effetto della logica costi-risparmi – raccontano i giornalisti – Famiglia Cristiana non fa più inchieste e addirittura non segue più nemmeno il Papa nei suoi viaggi». E a proposito del Pontefice, si spingono a ricordare «con rammarico» che certe scelte aziendali sono «in netto contrasto con la dottrina sociale della Chiesa e con i messaggi sulla dignità del lavoro di Bergoglio, che noi giustamente rilanciamo sui nostri giornali». Insomma, uno scontro senza esclusione di colpi, encicliche comprese. La nota dell’ editore lascia aperta la strada del confronto e ribadisce la «volontà di portare a compimento l’ azione di risanamento». Ma certo, la protesta di oggi, in occasione della visita dell’ incolpevole arcivescovo è tutt’ altro che un segno di pace.

Famiglia Cristiana sciopero della fame e niente messa per fermare i tagli

La Repubblica
ZITA DAZZI,
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Tra i giornalisti che digiunano e rifiutano l’ ostia contro il piano del colosso dell’ editoria cattolica Appello all’ arcivescovo di Milano: “Aiutaci” MILANO In redazione non si può salire, i giornalisti di Famiglia Cristiana devono scendere nella portineria del palazzone anni ’70, in via Giotto, la storica sede delle edizioni Paoline, per spiegare agli esterni perché oggi faranno il primo “sciopero della messa e della fame” che si ricordi nella storia del settimanale cattolico più venduto d’ Italia. «Ordini della direzione», spiega da dietro al vetro la receptionist. Arrivano con l’ ascensore i tre del comitato di redazione con in mano il documento votato all’ unanimità dall’ assemblea che indice per oggi, giorno della visita dell’ arcivescovo di Milano, Mario Delpini, l’ astensione dal lavoro oltre che il « digiuno dal cibo e digiuno eucaristico». Nessun giornalista parteciperà oggi alla messa natalizia che monsignor Delpini celebrerà nella chiesa della sede del gruppo editoriale. Lo aspetteranno fuori, con lo striscione e una lettera in cui spiegano le ragioni della protesta decisa, dopo mesi di stato di agitazione, «per salvare la testata e i posti di lavoro e per lanciare un grido d’ aiuto». Un’ iniziativa clamorosa e mai vista prima nella lunga storia di quello che era uno dei settimanali più venduti in Italia, oltre un milione di copie un tempo, oggi 270mila, cifre comunque da record nel panorama editoriale nazionale. « Scriviamo ogni giorno delle critiche che il Papa fa a chi considera la forza lavoro solo come una “voce di bilancio”, ma poi, dopo quattro anni di cassa integrazione e contratti di solidarietà, dopo tutti i possibili sacrifici economici, veniamo trattati come “privilegiati e irresponsabili” dai dirigenti », spiegano i membri del cdr, Sergio Tosatto, Antonio Sanfrancesco e Luciano Scalettari, attorniati da altri redattori, scesi anche loro in portineria. «Però niente nomi, la situazione è troppo delicata», implorano. Anche a Famiglia Cristiana, come nelle migliori famiglie, è arrivata, improvvisa, la notte dei lunghi coltelli. I vertici del gruppo, in mano alla congregazione religiosa dei padri paolini, rispondono con comunicati di fuoco a quelli votati dall’ assemblea dei giornalisti. ” La periodici San Paolo esprime costernazione, stupore e rammarico”, si legge nel documento dell’ azienda. « Non partecipare alla messa dell’ arcivescovo è un gesto vergognoso – si arrabbia il direttore di Famiglia Cristiana, don Antonio Rizzolo – Non si può strumentalizzare la realtà più importante della fede cristiana – la Messa – per i propri scopi, per quanto giusti possano essere. È inaccettabile». I giornalisti confinati in un angolo della portineria di via Giotto hanno un’ espressione sconvolta, si vede che non sono abituati alle barricate. « Siamo addoloratissimi per questa scelta del digiuno dal cibo e del digiuno eucaristico. Qui siamo tutti credenti, praticanti. Ma la società ha dimezzato la redazione in pochi anni e fra qualche mese anche il nostro stipendio per loro diventerà un odioso privilegio da estirpare » . Al telefono, replica l’ editore, don Rosario Uccellatore: «È tutta una strumentalizzazione. Sono inspiegabili i toni aggressivi e le falsità dei giornalisti: nessuno ha mai messo in dubbio il futuro di Famiglia Cristiana, né i posti di lavoro ». E allora perché questo scontro frontale? «Difendono privilegi anacronistici. Noi vogliamo continuare le trattative – prosegue -. Mai chiesto di tagliare il 50 per cento dello stipendio: chiediamo solo di rinunciare a un pezzettino della retribuzione, la metà degli attuali accordi integrativi, che prevedono cose fuori dal mondo, come la 15ma mensilità. Una misura inevitabile per il risanamento dei conti e per il rilancio delle testate. Ma se i giornalisti non collaborano, è difficile ». In mezzo a questa dura contesa, la Curia milanese tace. Imbarazzata. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Voucher digitalizzazione, dal 30 gennaio le domande

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Il voucher è destinato all’acquisto di hardware, software e servizi specialistici per digitalizzare i processi aziendali e favorire l’ammodernamento tecnologico. Ogni impresa può beneficiare di un unico voucher fino a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili. Le risorse disponibili sono pari a 100 milioni di euro. Nell’ambito della dotazione finanziaria complessiva è prevista una riserva destinata alle imprese che hanno conseguito il rating di legalità.

Voucher per la digitalizzazione delle Pmi

Cos’è
È una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. La disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014.

Cosa finanzia
Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di:

migliorare l’efficienza aziendale;
modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro;
sviluppare soluzioni di e-commerce;
fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.
Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher.

Le agevolazioni
Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.

Come funziona
Con decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica che sarà resa disponibile in questa sezione, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda. Per l’accesso è richiesto il possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata (PEC) attiva e la sua registrazione nel Registro delle imprese.

Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), il Ministero procede al riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni concorrono al riparto, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione della domanda.

Ai fini dell’assegnazione definitiva e dell’erogazione del Voucher, l’impresa iscritta nel provvedimento cumulativo di prenotazione deve presentare, entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese e sempre tramite l’apposita procedura informatica, la richiesta di erogazione, allegando, tra l’altro, i titoli di spesa.

Dopo aver effettuato le verifiche istruttorie previste, il Ministero determina con proprio provvedimento l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.

 

Ransomware: i consigli del Garante privacy per difendersi dal programma che prende “in ostaggio” pc e smartphone

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Il ransomware è un programma informatico dannoso diffuso per infettare un dispositivo elettronico (pc, tablet, smartphone, smart tv), bloccandolo o criptandone i contenuti (foto, video, file), e chiedere  un riscatto (in inglese, ransom) per “liberarlo”.

Davanti all’aumento di questo tipo di attacchi informatici, il Garante per la protezione dei dati personali pubblica una pagina informativa con alcune regole basilari per conoscere meglio questo malware e mettere in campo alcuni accorgimenti utili per non esserne vittima o per tentare di liberarsene nel caso in cui i dispositivi utilizzati siano già stati infettati e vi sia stata una richiesta di riscatto.

La scheda, disponibile alla pagina www.garanteprivacy.it/ransomware, è parte di una serie di prodotti di divulgazione ideati dal Garante per sensibilizzare gli utenti sulle diverse tematiche connesse alla protezione dei dati personali, in particolare quando si usano le nuove tecnologie.

La campagna informativa sul ransomware sarà portata avanti anche attraverso i profili social del Garante su Linkedin, Instagram eGoogle+.

Contributi INPGI, Tribunbale di Roma condanna quotidiano locale per mancato versamento

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Con sentenza del novembre 2017, il Tribunale di Roma ha riconosciuto la natura subordinata dei rapporti di lavoro di quattro giornalisti pubblicisti di una societa’ editrice di un quotidiano locale ed ha confermato, in favore dell’Inpgi, il diritto a ricevere i relativi contributi previdenziali per l’importo complessivo di circa 100.000 euro.

La Corte, in particolare, ha riconosciuto che le modalita’ con le quali i “collaboratori autonomi” – di cui tre inquadrati dalla societa’ con contratti di collaborazione coordinata e continuativa e uno titolare di Partita IVA – hanno svolto la loro attivita’ erano state correttamente valutate, all’esito degli accertamenti ispettivi effettuati dai funzionari dell’INPGI, come rientranti nella figura tipica del corrispondente locale, di cui all’art. 12 del vigente CNLG.

L’Inpgi – si legge infatti nella sentenza – ha “correttamente individuato la natura subordinata dei rapporti di lavoro instaurati di fatto tra l’azienda e i giornalisti come confermato dall’istruttoria dibattimentale, sulla base della presenza di tutti gli indici rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro e dello svolgimento di attivita’ giornalistica secondo le modalita’ tipiche della figura del corrispondente. In particolare, all’esito del giudizio e’ emerso con chiarezza lo “stabile incarico da parte del quotidiano con una retribuzione fissa mensile, la continuita’ delle prestazioni, i quasi quotidiani contatti telefonici con la direzione del giornale, lo stabile inserimento del giornalista nell’organizzazione aziendale consistente nell’affidamento sulla permanenza della disponibilita’ del corrispondente, che assicura la tempestivita’ dell’informazione in relazione ad avvenimenti rilevanti”. I quattro giornalisti avevano garantito una stabile e tempestiva copertura dell’informazione, con cadenza pressoche’ quotidiana, in una determinata zona geografica priva di redazione e pertanto avrebbero dovuto essere correttamente assunti dal datore di lavoro ed inquadrati con la qualifica di corrispondente ex art. 12 CCNLG”.

Per giungere a queste conclusioni il giudice ha potuto contare su un solido corredo probatorio – che, come di consueto, e’ acquisito dai funzionari di vigilanza nel corso dell’accertamento e che viene adeguatamente valorizzato dai legali dell’Istituto in sede giudiziale – con particolare riferimento alle dichiarazioni circostanziate di collaboratori e dipendenti e ai diversi elementi documentali acquisiti, attraverso i quali e’ emersa la rilevanza della copertura informativa del territorio di rispettiva competenza e la quotidianita’ dell’apporto informativo reso dai quattro corrispondenti.

La pronuncia, pertanto, si inserisce in un solco consolidato che conferma la fondatezza dell’orientamento interpretativo assunto dall’INPGI in questo ambito. (inpgi)

Rassegna Stampa del 15/12/2017

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Indice Articoli

Svolta di Murdoch: la tv a Disney, compresa Sky Italia

La svolta di Murdoch, separa le news dai film

Disney punta sull’ online, sfida a Netflix

Murdoch cede e Disney rileva studios e pay tv

Il passaggio di controllo di Sky apre la partita finale sulle pay-tv

Al tramonto il predominio dello «squalo»

Disney compra Fox per 52,4 mld

New York Times: A. G. Sulzberger sostituisce il padre come editore

chessidice in viale dell’ editoria

Libri, Rcs pronta a ripartire

Nel Regno Unito gli under 35 spendono più tempo a leggere i quotidiani di carta che a navigare sulla versione online del medesimo brand (INFOGRAFICHE)

Censire le case popolari per offrire alle istituzioni strumenti di integrazione tra città e periferia. MM Spa anticipa i risultati dell’ Anagrafe Utenza 2017 e presenta la pubblicazione ‘La tua casa’ (VIDEO)

Sull’ intrattenimento il duello Usa-Europa per la tv del futuro

New York Times, Sulzberger lascia la guida al figlio

Walt Disney prende Fox E lancia la sfida a Netflix

Topolino fa shopping e porta a casa la Fox

Murdoch smembra il suo impero Fox passa a Disney per 52,4 miliardi

Rai Way è in corsa per le antenne tv di Persidera

Diritti tv, bando bis per spingere fondi e banche a investire un miliardo

Svolta di Murdoch: la tv a Disney, compresa Sky Italia

Corriere della Sera
di Massimo Gaggi
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Ora è ufficiale. Disney ha comprato l’ impero cinematografico di Rupert Murdoch, compresa Sky Italia. Disney pagherà 52 miliardi di dollari in azioni per dar vita al più grosso polo mondiale dell’ intrattenimento. Resta nelle mani del magnate australiano Fox News. a pagina 25.

La svolta di Murdoch, separa le news dai film

Corriere della Sera
Massimo Gaggi
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NEW YORK Se fosse andato in porto il tentativo fatto anni fa da Murdoch di acquistare Time-Warner o se, più di recente, il governo Usa non avesse posto il veto all’ acquisizione della stessa Time-Warner da parte di AT&T, avremmo assistito a operazioni di integrazione orizzontale o verticale enormi ma, comunque, tradizionali. Il passaggio della Fox alla Disney ufficializzato ieri ha, invece, le stimmate di un’ operazione diversa: fuori dagli schemi, se non, addirittura, rivoluzionaria. La notizia: la multinazionale californiana di Topolino e delle tv compra per 52 miliardi di dollari la 21st Century Fox con le sue attività cinematografiche e molti canali televisivi negli Usa (da FX a National Geographic), in Asia (l’ indiana Star TV) e in Europa dove rileva il 39 per cento di Sky Europe di Murdoch: una società televisiva forte soprattutto in Gran Bretagna, Italia e Germania. Disney avrà anche il 30 per cento di Hulu: diventa, così, padrona di questo gigante dello streaming che controllerà con una quota del 60 per cento. Alla famiglia Murdoch, oltre alla società che fa capo alla NewsCorp nella quale sono confluiti i giornali (dal W all Street Journal al Times di Londra, alle testate australiane), rimangono le reti Fox americane che trasmettono notizie e sport (Fox News, Fox Business, Fox Broadcasting) che confluiscono in una nuova società. Una soluzione che soddisfa il desiderio del vecchio Rupert di continuare a coltivare la passione della sua vita: l’ informazione giornalistica, con l’ influenza politica che ne deriva. E che serve anche ad evitare un’ eccessiva concentrazioni di diritti sportivi (quelli di Fox più quelli di ESPN che è della Disney) sotto un’ unica proprietà: si rischiava un veto dell’ Antitrust. Messa così sembra una cessione: il vecchio guerriero stanco che, padrone di un gruppo potente ma che perde colpi davanti ai nuovi giganti digitali che lo surclassano per dimensioni degli investimenti cinematografici e gli tolgono fette del mercato tv con lo streaming, vende lasciando una ricca dote ai figli. Solo che questa, più che una cessione, è una fusione. La famiglia Murdoch non riceve denaro ma azioni Disney, diventando primo azionista industriale della multinazionale californiana. Alla fine dell’ operazione dovrebbe arrivare a possedere una quota non molto inferiore al 5,9% detenuto dal fondo Vanguard, primo azionista Disney. E qui il romanzo dei destini personali – James Murdoch che, dopo qualche disaccordo gestionale col padre e col fratello Lachlan lascia il gruppo di famiglia per seguire i destini della 21st Centiry Fox, il 66enne Bob Iger, già quasi in pensione, richiamato per gestire questa complicata integrazione fino al 2021 – si mescola con la «rivoluzione permanente» del mondo dell’ entertainment che fa da sfondo a una fusione che ha, a sua volta, l’ aspetto di un work in progress destinato a durare anni. L’ accordo annunciato ieri diventerà operativo a metà del 2018 se supererà l’ esame del governo Usa, ma poi ci saranno problemi regolatori anche negli altri continenti, mentre a Londra andrà avanti il takeover a suo tempo lanciato da Murdoch sul rimanente 61% del capitale di Sky: ma la nuova società dovrà forse ripartire da zero nel tentativo di scalata. Insomma, una «fusione dinamica» per curare le debolezze dei due gruppi che darà loro più forza nello streaming mentre Disney sarà più presente in Asia e in Europa, con un contatto con gli utenti diretto: non più mediato attraverso le piattaforme di terzi. Ma anche un’ operazione di cui oggi nessuno può prevedere con esattezza lo sbocco finale, tra possibili interventi dei regolatori e rapida evoluzione delle tecnologie e del business.

Disney punta sull’ online, sfida a Netflix

Il Manifesto

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GIULIA D’ AGNOLO VALLAN New York II Il topo diventa un T -Rex. È stato raggiunto l’ accordo tra Robert Iger e Rupert Murdoch con il quale la Walt Disney Company potrebbe assorbire la maggior parte degli assetts della murdocchiana 21st Century Fox, un pacchetto di proprietà che includono quello che rimane ancor oggi uno degli studi hollywoodiani più prestigiosi e dall’ archivio più ricco (tra le franchisee, X Men, Avatar, Mamma, ho perso l’ aereo, Il pianeta delle scimmie), le produzioni tv della Fox (36 serie, tra cui Modern Family, The Simpsons e Homeland), 22 canali via cavo regionali a tema sportivo, la piattaforma di streaming Hulu, i canali FX e National Geographic e – all’ estero – partecipazioni nella televisione inglese Sky e nell’ indiana Star. La gigantesca iniezione di contenuti, intesa a posizionare la compagnia di Mickey Mouse nel nuovo, ipercompetitivo contesto della distribuzione online pionierizzata da Netflix e Amazon, costerà alla Disney circa 52.4 miliardi di dollari, tutti pagabili in azioni. La Disney prevede di rientrare dei primi due miliardi grazie a quello che il New York Times ha già definito un downsizing della 20th Century Fox, lo studio fondato nel 1935 sotto l’ egida di Darryl Zanuck e reso famoso, tra gli altri, da John Ford, Frank Borzage, Marilyn Monroe, Shirley Temple, Cleopatra e The Sound of Music. Secondo le anticipazioni parte delle operazioni della 20th Century Fox saranno riassorbite nei Disney Sudios e riconfigurate «per la produzione di film destinati all’ online». L’ annuncio non specifica il destino della Fox Searchlight, l’ etichetta autoriale della Major di Murdoch, amata dei registi, che quest’ anno ha due film per cui si attendono parecchie nomination agli Oscar, La forma dell’ acqua e Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Ma sembra che, nel merger, la proprietà dei leggendari teatri di posa di Century City dovrebbe rimanere a Murdoch. Della 21st Century Fox, al tyco on australiano – affiancato alle redini un paio di anni fa dai figli James a Lachlan – resteranno invece Fox News, il network televisivo Fox e alcuni canali sportivi, che verranno ricostituiti in una nuova compagnia il cui focus iniziale sarà su news e dirette di sport. Lachlan Murdoch, ceo della 21st Century, ha definito la mossa «un ritorno alle radici». E se è vero è che questa cessione, da parte dei Murdoch, sembra il segno di zero fiducia nei confronti della centralità (economica) del cinema nel futuro del business, è anche vero che liberandosi di questa fetta enorme di proprietà, la compagnia torna a concentrare tutte le sue forze sul grande amore del patriarca Rupert, ovvero la notizia. Insieme alla News Corp (proprieta Queste affinità elettive potrebbero aiutare i Murdoch a superare lo scoglio dell’ antitrust che ha recentemente bocciato un altro mega -merger hollywoodiano, quello tra AT&T e Time/Warner – su cui pesava la violenta antipatia di Trump per Cnn. Se approvata, l’ acquisizione porterà alla corporation di Topolino (già proprietaria anche dei marchi Pixar, Marvel e Star Wars) un valore aggiunto enorme con cui i rimanenti studi – alcuni dei quali già in apparente difficoltà dovranno fare i conti. Tra le file dei “creativi” il primo a farsi sentire è stato il sindacato degli sceneggiatori che ha condannato l’ accordo in quanto «parte delle tendenza irrefrenabile a eliminare la competizione».

Murdoch cede e Disney rileva studios e pay tv

Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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new york Disney, o meglio la Walt Disney Co, ha conquistato per 52,4 miliardi di dollari (66 miliardi totali incluso il debito) gran parte degli asset della 21st Century Fox, l’ impero costruito dall’ ottuagenario Rupert Murdoch che ora passa la mano alla grande rivale d’ un tempo. Una fusione che, per dimensioni e influenza dei marchi coinvolti, scuote alla radici gli equilibri di potere nel settore dei media tradizionali e digitali, dentro e fuori gli Stati Uniti. E intensifica la battaglia per la conquista di audience globali e di nuove strade di crescita tra colossi sempre piu’ in in grado di dominare contenuti o piattaforme di distribuzione – e spesso entrambi. L’ operazione è interamente in azioni in ragione di 0,2745 titoli Disney per ciascuna azione Fox. A Disney, che ha battuto Comcast nel corteggiare Murdoch, andranno gli Studios cine-televisivi della Twentieth Century Fox e attività internazionali quali la quota del 39% nella tv satellitare britannica e europea Sky e la Star India. new york Con il content e il rafforzamento del raggio d’ azione fuori dai confini americani, Disney ha in programma una nuova fase di drastica espansione ai quattro angoli del pianeta, forte di inediti servizi di streaming – ieri definiti la «maggior priorità» – e contando su un potenziamento delle operazioni nel piccolo schermo. Di recente Disney aveva comprato per 2,6 miliardi la società di tecnologia streaming BamTech e dovrebbe varare tra il 2018 e il 2019 sia un canale streaming familiare che uno sportivo. Sta inoltre cercando di contrastare con nuovi «pacchetti» multimediali il declino degli abbonamenti alle sue pay-tv, a cominciare dalla sportiva ESPN, che se rappresentavano due terzi degli utili operativi cinque anni or sono adesso contano solo per il 47 per cento. L’ acquisizione è scattata – e forse ha accelerato il passo – mentre vecchi e nuovi media sono in subbuglio, tra fusioni (in gioco c’ è anche AT&T e Time Warner) e spinte alla deregulation oltre che alla costante innovazione capitanata da Google, Facebook, Netflix e Amazon. Ieri la Federal Communications Commission, che aveva già allentato limiti sulla proprietà dei media, ha votato a stretta maggioranza, tre a due, per cancellare la «net neutrality», adottata dall’ ex amministrazione Obama per garantire democraticità su Internet e accusata dalla Casa Bianca di Donald Trump di eccesso di regolamentazione. I colossi integrati delle tlc, con in portafoglio sistemi di cavi e wireless, dovrebbero avvantaggiarsi grazie alla flessibilità nel favorire siti e offrire servizi a diverse velocità, qualità e costi a fornitori e produttori di content. Sollevando così lo spettro di discriminazioni e danni alla concorrenza, soprattutto per società di minori dimensioni. Sono già scattati i primi ricorsi in tribunale contro la mossa della Fcc, a partire da quello dello Stato di New York, e anche Netflix ha annunciato battaglia. Il nuovo impero di Disney, al riparo da simili preoccupazioni, sarà guidato dal veterano amministratore delegato e presidente Robert Iger, che ha esteso il suo contratto dal 2019 al 2021 per gestire il merger. Murdoch stesso ha complimentato esplicitamente Iger e il top executive ha risposto dicendosi onorato della fiducia ricevuta con il passaggio delle consegne sugli prestigiosi asset Fox. Il 66enne Iger, da quando diventò chief executive nel 2005, ha già messo a segno colpi di successo quali l’ acquisto di Pixar, Marvel e Lucasfilm di Star Wars. Con Fox riporterà del tutto a casa gli X-Men, supereroi Marvel ma i cui diritti cinematografici appartenevano a Murdoch, e incasserà quelli di film record quali Avatar e di numerosi tra i più popolari show televisivi. Disney, accanto alle molteplici attività menzionate, riceverà anche la partecipazione di Fox in Hulu e 22 canali sportivi regionali, i Fox Regional Sports Networks. A Murdoch rimarranno invece attività nell’ informazione e nella Tv: la Fox News, Fox Business, la rete Fox Broadcasting e le sue stazioni, Fox Sports 1 e 2 e il Big Ten Network. Verranno scorporate in una separata società quotata, con un giro d’ affari stimato in circa 10 miliardi. La famiglia Murdoch controlla inoltre la News Corp, con attività giornalistiche e editoriali quali il Wall Street Journal. «Questa acquisizione riflette un quadro dei mass media in cambiamento – ha dichiarato Iger nello spiegare la sua scommessa – Che è definito in modo crescente da tecnologie trasformative e da gusti dei consumatori in evoluzione». Iger ha avvertito che la nuova, storica combinazione Disney-Fox non è ancora un dato di fatto: dovrà passare al vaglio di severi controlli dell’ antitrust, che sta già cercando di bloccare AT&T-Time Warner. Le dimensioni del nuovo colosso, anche al netto di alcune eventuali dimissioni e previsti tagli, dovrebbero tuttavia essere tali da tenere a battesimo una nuova stagione di fusioni nel settore. Tra le possibili future prede circolano nomi a loro volta di prestigio ma oggi in affanno del calibro di Cbs e Viacom, Sony Pictures e Lions Gate. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il passaggio di controllo di Sky apre la partita finale sulle pay-tv

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Una tavola contenuta in un’ analisi di Digital Tv Research sulla pay tv è, nella sua essenzialità, fin troppo eloquente. I ricavi della pay tv nel mondo nel 2016 erano superiori ai 202 miliardi di dollari. Al 2022 questo livello scenderà sotto i 200 miliardi. Poca differenza si dirà. Ma solo perché la pay tv che cresce non è in Nordamerica, né tantomeno in Europa. Qui la flessione è conclamata. Con ogni probabilità le ragioni di un’ operazione come quella che ha portato al takeover di Disney su 21st Century Fox vanno ricercate in una situazione familiare che potrebbe aver suggerito a Rupert Murdoch un simile passo. Pare tuttavia fuor di dubbio che il lato industriale giustifichi la scelta che passa anche per la cessione di Sky. Le difficoltà in Uk per l’ acquisto del 61% non ancora di Murdoch avranno poi certamente influito. Va detto però che quello che si va a formare sul mercato è un gigante che concentra gran parte del prodotto di intrattenimento a circolazione globale. Una mossa che sa tanto di arrocco difensivo dinanzi all’ ascesa dei giganti dello streaming (Netflix e Amazon in testa) ma che ha anche un effetto sui competitor delle piattaforme tradizionali. Netflix e Amazon, eventualmente anche i nuovi entranti globali delle offerte videotelevisive (YouTube, Facebook, Apple), devono ora negoziare con una controparte più forte in virtù di un incremento della concentrazione che indubbiamente sarà oggetto di una valutazione sul piano della regolamentazione Antitrust. Dall’ altra parte l’ autonomia produttiva di Netflix e Amazon (il loro original content) è comunque in via di formazione, in crescita, ma deve ancora acquisire una solidità e per questo ci vorranno alcuni anni. A questo punto occorrerà verificare se e quanto i leader dell’ on demand riusciranno a far saltare le finestre di sfruttamento dell’ industria del film ritenute troppo rigide o anche diventare sempre più alternativi al broadcasting storico pay. «La vera sfida per Disney e Sky però – commenta Emilio Pucci di E-Media Insitute – non è quella difensiva, ma è al contrario quella “future proof”, del lancio di una piattaforma globale per competere sul difficile terreno dello streaming che tende a sostituire in parte il consumo storico lineare». Nella disponibilità del nuovo gigante ci sono, come piattaforme, Hulu (partecipata al 30% da Disney e al 30% da Fox), Now Tv e proprio Sky, attiva in Uk, Irlanda, Italia, Germania e Austria. Per i competitor di Sky in Europa l’ unione non darà conseguenze immediate, vista l’ attesa dell’ ok dell’ Antitrust Usa. Ma il problema, per loro come per Sky, della competizione con piattaforme globali resta. Ancora di più dopo questo matrimonio. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Al tramonto il predominio dello «squalo»

Il Sole 24 Ore
Riccardo Barlaam
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Arriva per tutti nella vita il momento in cui bisogna tirare una linea. Keith Rupert Murdoch, classe 1931, da Melbourne è figlio di sir Keith Artur Murdoch. Giornalista australiano che non dice molto ai più. Ma che ebbe il merito durante la Prima guerra mondiale di denunciare, eludendo la censura militare, «il pasticcio dei comandanti britannici» che fu causa dei «disastrosi insuccessi» nella battaglia di Gallipoli contro l’ alleanza tedesca-ottomana. Cresciuto a pane e giornalismo, con uno straordinario istinto imprenditoriale, il giovane Rupert ha vissuto sempre a duecento all’ ora. Fino a ieri. Appena laureato a 22 anni inizia a costruire il suo impero mediatico con i giornali locali eredidati dal padre: il Melbourne Herald e l’ Adelaide News. Sposta subito i suoi interessi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, sempre a colpi di acquisizioni clamorose: il New York Post, il New York Magazine e poi The Times, simbolo della stampa conservatrice londinese. Nel 1989 dalla carta si butta, famelico, sulle televisioni satellitari e compra Sky Television, l’ anno dopo fusa con British Satellite Broadcasting: nasce BSkyB. Nel 1996 lancia Fox News. Nel 2002 il mogul dei media tedesco Leo Kirch, pieno di debiti, alla fine di un tentativo di joint andato a male definisce Murdoch «uno squalo. Uno squalo con lunghi denti affilati». Soprannome che da allora lo perseguita ma che, più di tutte le parole scritte su di lui, dà un’ idea precisa e nitida dei modi spietati con i quali quest’ uomo è riuscito a a costruire un impero mediatico su cui non tramonta mai il sole. Ed è divenuto tra i più potenti e ricchi al mondo. Sposato quattro volte: dalla hostess di Melbourne Patricia Booker, nel 1956, alla giornalista del Daily Telegraph Anna Tory Mann, nel ’67. Fino, in anni recenti, già vecchio, nel 1999 alla cinese Wendi Deng, vicepresidente di Star Tv. E all’ ultima conquista-preda, appena un anno fa, l’ ex fotomodella e attrice, Jerry Hall, già donna di Brian Ferry dei Roxy Music, già moglie di Mick Jagger degli Stones. Tre figli dalla prima moglie, Elisabeth, Lachlan e James. Più altre due figlie avute in tarda età dalla moglie cinese, Grace e Chloe. Fino all’ ultimo ha cercato di rilanciare il suo impero. Mai sazio, proprio come uno squalo. Nel 2014 prova a scalare Time Warner con un’ offerta da ottanta miliardi. Poi gli screzi con i figli, le differenti vedute sulla gestione del gruppo e la decisione di vendere. Così l’ impero dei media dove non tramonta mai il sole finisce a un topolino. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Disney compra Fox per 52,4 mld

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Disney li ha portati a casa: si è comprata gli X-Men, i Fantastici Quattro e DeadPool per riavere la famiglia Marvel al completo, poi Avatar, I Simpson, tutta una serie di titoli di successo. Ma anche molto altro, compresa una quota importante in Sky. Ieri l’ ufficializzazione della notizia su cui già si è già scritto molto nelle scorse settimane: l’ accordo fra il gigante dell’ intrattenimento e la 21st Century Fox di Rupert Murdoch. Quest’ ultima, una volta fatto lo spin off delle attività che Murdoch vuole tenere, sarà venduta a Disney per un pagamento in azioni da 52,4 miliardi di dollari (44,2 miliardi di euro), un valore totale di 66,1 miliardi di dollari (55,8 mld di euro) se si considerano i 13,7 miliardi di dollari di debito che l’ acquirente si accollerà. Disney, comunque ha piani per un risparmio di costi pari ai 2 miliardi di dollari. L’ operazione, antitrust permettendo, sarà perfezionata entro il 30 giugno del prossimo anno e a quel punto gli attuali azionisti di Fox otterranno il 25% di Disney. Nel dettaglio, a Murdoch resteranno il network di Fox Broadcasting e le relative emittenti, poi Fox News, Fox Business e Fox Sports 1 e 2. Tutte attività che dovranno essere scorporate prima della vendita effettiva. Disney dal canto suo acquisirà le attività di produzione di film e tv (Twentieth Century Fox Film and Television studios), i network via cavo e il business internazionale. «Siamo onorati e grati che Rupert Murdoch ci abbia affidato il futuro delle aziende che ha costruito durante tutta la sua vita», ha dichiarato con una nota Robert A. Iger, presidente e ceo di The Walt Disney Company, «e siamo entusiasti della straordinaria opportunità di aumentare in modo significativo il nostro portafoglio di franchise e contenuti di marca amati per migliorare notevolmente le nostre crescenti offerte dirette ai consumatori. L’ accordo amplierà inoltre la nostra portata internazionale, permettendoci di offrire storytelling di classe mondiale e piattaforme di distribuzione innovative a più consumatori nei mercati chiave di tutto il mondo». In questa frase ci sono i tre pilastri che hanno motivato l’ acquisizione: contenuti che si aggiungono al già florido portafoglio Disney (da sfruttare anche per i parchi divertimenti, non solo in tv e al cinema); piattaforme per l’ offerta diretta ai consumatori, vedi la partecipazione azionaria in Hulu, il servizio di streaming online in cui ora Iger raggiunge il 60%, aggiungendo al 30% iniziale l’ altro 30% di Fox (nella vj restano però anche Comcast e Time Warner); presenza internazionale fra l’ altro in Europa con il 39% di Sky plc, in India con Star, in oltre 170 paesi con i 350 canali di Fox Networks. Un gruppo che arriva agli spettatori di tutto il mondo senza passare per le piattaforme distributive altrui, acquisendo realtà consolidate anziché attendendo che le proprie piattaforme simil-Netflix (marchiati Disney ed Espn) diventino grandi per competere con quelle già esistenti. Per quanto riguarda Sky, Disney ha specificato di voler continuare nel processo di acquisto del restante 61% avviato da Fox e di attendersi che si concluda anche questo entro giugno. Sia il board di Disney che quello di Fox hanno chiesto che Iger resti fino al 2021 anziché ritirarsi nel 2019 come previsto. Questo taglia la testa a una delle ipotesi fatte nei giorni scorsi, ovvero che James Murdoch sarebbe passato alla guida della nuova Disney. Murdoch jr però aiuterà Iger nel passaggio degli asset mentre resta ancora da discutere il suo ruolo futuro. «Ci stiamo ritirando? Assolutamente no», ha specificato Murdoch senior in una conferenza con gli investitori, spiegando che la sua famiglia si sta riorientando su un nuovo obiettivo in un momento cruciale. «È un ritorno alle nostre radici», ha detto Lachlan Murdoch, presidente esecutivo della 21st Century Fox, «come marchio leggero e aggressivo focalizzato sulle notizie e sullo sport imperdibili». © Riproduzione riservata.

New York Times: A. G. Sulzberger sostituisce il padre come editore

Italia Oggi

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A. G. Sulzberger, membro della famiglia che da oltre 120 anni controlla il New York Times, prenderà dal 1° gennaio il posto del padre alla guida della società editrice del giornale. Arthur Gregg Sulzberger, 37 anni, detto A. G., sostituirà Arthur Ochs Sulzberger, 66 anni, al timone della testata dal 1992. A. G., che ha iniziato la sua carriera da giornalista, era l’ erede designato. Il padre lascia la guida del giornale ma resterà nel gruppo come presidente del board dei direttori. La famiglia Ochs-Sulzberger detiene una quota di minoranza nel capitale del gruppo, ma controlla la maggioranza delle azioni di tipo B, a diritto di voto rinforzate, con le quali designano 9 dei 14 direttori del board.

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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De Bellis lascia Gq e approda a Sky. Giuseppe De Bellis, già condirettore del Giornale, abbandona la direzione del mensile maschile di Condé Nast per diventare direttore di Sky Sport 24. Al suo posto, all’ editrice di piazza Castello, prende l’ interim della direzione Luca Dini, ex direttore storico di Vanity Fair. Rolling Stone Italia, Lucarelli guida il web. Selvaggia Lucarelli diventa direttore del mondo web di Rolling Stone Italia, a partire dal prossimo gennaio. Sul web Lucarelli è seguita da 1,2 milioni di follower Facebook, 800 mila su Twitter e 350 mila via su Instagram. L’ edizione digitale di Rolling Stone Italia registra oltre 1,4 mln di utenti unici al mese, più di 7,7 milioni di pagine viste, 394 mila follower Facebook, 158 mila su Instagram e 128 mila su Twitter. Marie Claire in uscita il primo numero firmato Bussi. Antonella Bussi firma il suo primo numero da direttore del mensile edito da Hearst Magazines Italia, in edicola da sabato prossimo. Bussi ritorna a Marie Claire, dove era stata condirettore fino al novembre del 2012. Il Tempo delle Donne alla quinta edizione. La festa-festival è organizzata da Corriere della Sera da un’ idea de La27esimaOra e in collaborazione con IoDonna, Fondazione Corriere della Sera e ValoreD. Il tema 2018 è la felicità. L’ ultima edizione dedicata a Uomini&Cambiamento ha coinvolto 35 mila persone e ha registrato online 500 mila pagine viste da 300 mila utenti unici. CasaFacile, raccolta 2016 a +23%. CasaFacile porta in edicola un numero di dicembre speciale, all’ insegna dell’ atmosfera di Natale. In parallelo è già stato rinnovato Casafacile.it. La raccolta è cresciuta invece del 23%, a fatturato, rispetto al 2016. Verona, ancora polemiche dopo spegnimento antenne tv. Non si fermano a Verona le reazioni dopo il blitz della Guardia di Finanza che, su ordine della procura della repubblica, ha posto sotto sequestro preventivo per occupazione abusiva di suolo pubblico una serie di antenne e ripetitori televisivi e radio da decenni installati sulla Seconda Torricella Massimiliana in area demaniale. Tra le emittenti coinvolte ci sono Telearena, Telenuovo e Telepace.

Libri, Rcs pronta a ripartire

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI MARCO A. CAPISANI
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Si chiamerà ufficialmente Solferino – I libri del Corriere la collana di nuovi titoli che Rcs porterà in edicola e libreria a partire dal nuovo anno. Si parte con una prima selezione in uscita di 10-12 libri di vari generi, non solo saggi, firmati da autori differenti, non per forza scelti tra i giornalisti del quotidiano diretto da Luciano Fontana. Ma è comunque prevedibile che i cronisti della testata milanese verranno ampiamente coinvolti. Quando, per esempio, verranno decise le prossime uscite fino a tendere, progressivamente, verso un catalogo vero e proprio con un centinaio di titoli. A sostegno di tutta l’ operazione, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, c’ è un’ intesa commerciale non ancora finalizzata ma prossima alla conclusione con Feltrinelli per la promozione dei libri Solferino – I libri del Corriere e con Messaggerie per la loro distribuzione (peraltro queste ultime due società lavorano già in joint venture nella distribuzione libraria fisica e virtuale). Non solo, anche il gruppo Cairo Communication (che fa capo a Urbano Cairo, editore anche del gruppo Rcs-Corriere della Sera) pubblica libri targati Cairo publishing, al momento distribuiti da Mondadori dopo che il gruppo di Segrate ha acquisito la vecchia Rcs Libri. Quindi, in un’ ottica di sinergie (su cui molto ha puntato Cairo per il rilancio del gruppo milanese), l’ accordo per Solferino – I libri del Corriere potrà essere esteso nel 2018 alle pubblicazioni di Cairo Communication. Ma quello che più importa è che il nuovo editore Rcs Urbano Cairo inizia così a ricostituire di fatto la vecchia Rcs Libri, ceduta a metà dell’ aprile 2016 a Mondadori (prezzo dell’ operazione: 127,1 milioni di euro) dalla gestione dell’ ex a.d. Pietro Scott Jovane. Un’ operazione che Cairo non ha mai giudicato positivamente e su cui, anche di recente (vedere ItaliaOggi del 12/10/2017), ha ribadito: «teniamo all’ attività libri, è importante. Ma abbiamo dei vincoli a seguito della cessione di Rcs Libri a Mondadori, una cessione avvenuta prima della mia scalata e che io non avrei mai fatto». I vincoli cui fa riferimento l’ editore del Corriere e della Gazzetta dello Sport (oltre che di numerosi periodici e del network tv La7 e La7d) riguardano in particolare il tetto di 110 libri pubblicabili e legati al marchio Corriere della Sera (o comunque ad altri brand editoriali già esistenti nel gruppo) e il divieto di fare attività libraria in senso tradizionale. Clausole in vigore postcessione fino alla fine dell’ anno prossimo. Dal gennaio 2019 invece «torneremo liberi di fare quello che vogliamo», ha già annunciato Cairo. Nel frattempo Rcs può tornare a presidiare il mercato dei libri, seppur legati alla testata Corriere ma con un piede già nelle librerie. E in parallelo il quotidiano prosegue con le uscite dei suoi collaterali veri e propri, di cui le ricette culinarie di Angela Frenda sono solo un esempio. A capo della nuova attività libraria è stata scelta Luisa Sacchi con un passato in Rcs. A Giovanna Canton (ex Mondadori) è andata la responsabilità delle acquisizioni dei diritti esteri delle opere. Ieri il titolo Rcs ha chiuso a +0,81 pari a 1,247 euro. © Riproduzione riservata.

Nel Regno Unito gli under 35 spendono più tempo a leggere i quotidiani di carta che a navigare sulla versione online del medesimo brand (INFOGRAFICHE)

Prima Comunicazione

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Secondo una ricerca comScore e National Readership Survey, i giovani adulti tra 18 e 34 anni, spendono il 30% di tempo in più per leggere l’ edizione cartacea di un quotidiano nazionale che non la versione online del medesimo brand . (Clicca sull’ immagine per ingrandirla) La ricerca, denominata ‘ Has digital distribution rejuvenated readership? Revisiting the age demographics of newspaper consumption ‘, riporta il sito journalism.co.uk , è stata pubblicata sulla rivista Journalism Studies journal . Secondo quanto emerge, l’ 89% dei lettori di quotidiani nazionali è ancora cartaceo. Ecco come è cambiato il numero di lettori dei principali quotidiani nazionali per fasce di età dal 2000 ad oggi: (Clicca sull’ immagine per ingrandirla)

Censire le case popolari per offrire alle istituzioni strumenti di integrazione tra città e periferia. MM Spa anticipa i risultati dell’ Anagrafe Utenza 2017 e presenta la pubblicazione ‘La tua casa’ (VIDEO)

Prima Comunicazione

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Matteo Rigamonti – Censire le case popolari per offrire alle istituzioni strumenti di integrazione tra città e periferia. Prevenendo sprechi di soldi pubblici e nuove forme di abusivismo. Ma avvicinando al tempo stesso l’ ente pubblico agli inquilini e alle loro legittime esigenze. È questo il senso dell’ Anagrafe Utenza, lo strumento che consente a MM Spa di avere una situazione chiara e aggiornata di ogni famiglia assegnataria di immobili di edilizia residenziale pubblica ; nonché del progetto presentato questa mattina presso la sede di via Vecchio Politecnico: ‘La tua Casa. Atlante del patrimonio residenziale pubblico del Comune di Milano’. Un libro, suddiviso in due volumi, ricco di documentazione fotografica e informazioni potenzialmente utili tanto al pubblico quanto al privato. Da sinistra: Gabriele Rabaiotti, Davide Corritore, Stefano Cetti, Stefano Zanini Alla presentazione sono intervenuti Gabriele Rabaiotti, assessore ai Lavori pubblici e alla Casa del Comune di Milano, Davide Corritore, presidente di MM Spa, Stefano Cetti, direttore generale di MM Spa, e Stefano Zanini a capo della divisione Casa della società milanese. “I quartieri dove sorgono le case popolari sono nati per rispondere a un’ esigenza di separazione funzionale”, ha esordito Rabaiotti, “e cioè quella di accogliere le migrazioni, prima dal Veneto e dal Sud Italia, e poi dal Sud del Mondo, da parte di chi cerca nuove occasioni di lavoro a Milano”. Una città che, ha ricordato Corritore, cresce con un moltiplicatore di 2,5/3 volte superiore alla crescita del Pil in Italia. Con l’ Anagrafe Utenza, ha spiegato il presidente di MM Spa, abbiamo “censito il patrimonio immobiliare”, ad oggi circa 18mila alloggi di edilizia residenziale popolare per 50mila inquilini, al fine di “classificarlo e stabilire eventuali interventi necessari” e aiutare il Comune a “indirizzare sempre meglio gli investimenti” e “definire la riassegnazione degli appartamenti”. Inoltre, ha aggiunto Corritore, “è stata un’ occasione per conoscere gli inquilini, le famiglie con tutte le loro esigenze e i problemi quotidiani“, ma anche per “creare momenti di aggregazione sociale, momenti culturali e di svago nei cortili”. Da qui è nata l’ idea, in via di definizione, di coinvolgere a partire dal 2018 enti, aziende e soggetti privati in un’ opera di risposta alle esigenze più comuni. Il tutto, ha precisato il presidente di MM Spa, “senza gravare sui bilanci pubblici”. A beneficiarne potrebbero essere, per esempio, gli anziani, se si considera che il 53% dei nuclei censiti è formato da over 65 o ha almeno un componente over 65. Mentre solo il 17% dei nuclei ha presenza di minori e il 22% ha almeno una persona straniera nel nucleo familiare. I Paesi di origine più frequenti sono: Egitto, Marocco, Filippine, Sri Lanka. (Clicca per ingrandire l’ immagine) L’ opera di censimento, realizzata con il supporto delle 4 sedi territoriali di MM Spa e 63 punti in totale istituiti anche temporaneamente presso portinerie, spazi comuni, locali affittati e persino due parrocchie, ha permesso anche di recuperare circa 2 mila immobili “fantasma” che si sapeva esistessero dai libri contabili ma si credevano occupate e invece non lo sono. Case che, una volta restaurate, potranno tornare utili per rispondere ai bisogni. Un contributo dal gestore è stato dato anche alla riduzione delle occupazioni abusive, ora poco più di 1.200. A illustrare che cosa può cambiare in positivo con un’ anagrafe aggiornata sono stati il dg Cetti e il collega Zanini: per esempio, intervenire sulla trasformazione a metano dei complessi di riscaldamento a gasolio, entro la fine del 2018, nonché rendere più efficiente il sistema di segnalazioni di problemi come il classico ascensore che si blocca evitando che passino giornate intere prima dell’ intervento dell’ azienda manutentrice e risparmiando sui costi. Ma il progetto dell’ Anagrafe Utenza è stato anche occasione per sfatare un luogo comune sulla qualità della vita nei quartieri popolari: ciò che è emerso da un sondaggio, hanno spiegato i vertici di MM Spa, è che ci sono quartieri dove la percezione della sicurezza è superiore alla media della città. Mentre moltissimi sono gli immobili curati con attenzione notevole dai loro inquilini che, in media, li abitano da 33 anni.

Sull’ intrattenimento il duello Usa-Europa per la tv del futuro

La Stampa
ALBERTO INFELISE
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Certe sfide si combattono all’ OK Corral. Spargimento di sangue, sguardi torvi, pistole sguainate le une contro le altre, chi spara per primo spara due volte, specie se fa centro. Altre si vincono semplicemente perché l’ avversario non si presenta: perché ha capito che non può vincere, perché fatica a mettersi d’ accordo con i compagni di avventura, perché sceglie di combattere un’ altra battaglia. Dopo anni passati a disegnare sul taccuino del futuro le fattezze di una grande televisione europea, capace di produrre, distribuire e imporre sul mercato una via franco-italiana all’ intrattenimento, Vivendi e Mediaset sembrano aver perso lo slancio in coincidenza con la mossa del cavallo avversario. Il matrimonio targato Hollywood tra Fox e Disney annunciato ieri è di quelli capaci di spiazzare un intero settore a livello internazionale. Due giganti che uniscono le loro forze con un accordo maturato in un silenzio quasi totale, realizzato in tempi brevissimi, con la sfrontatezza di chi sa che velocità, discrezione e ambizione sono armi fondamentali per chi vuole giocare il gioco duro dei duri. Il gruppo Murdoch e la Disney si somigliano per attitudine e visione, ma anche per origine culturale. Tra Vivendi e Mediaset sembrano essere entrati in campo aspetti culturali, prima ancora che di impresa, che hanno portato prima alle difficoltà, poi alla diffidenza reciproca e alla difficoltà di portare a casa un vero progetto comune. Francesi e italiani sanno come non amarsi, quando capiscono che non è il caso di amarsi. E non hanno timore di farselo capire a vicenda. Questo non vuol dire che in un futuro anche vicino non possa esserci un nuovo progetto a livello europeo delle tv generaliste che scelgono di puntare sul mercato free, con alleanze strategiche tra Mediaset, ProSieben in Germania, TF1 in Francia e Channel Four in Gran Bretagna. Il risultato è che oggi il duello Hollywood-Parigi sul modello di sviluppo dell’ intrattenimento ha un vincitore. O meglio, due. Disney acquista una qualità che in passato non aveva mai posseduto in Europa: la capacità capillare di parlare ai propri utenti porta a porta. Attraverso la rete di 21st Century Fox, Disney arriverà direttamente nelle case di milioni di clienti europei attraverso i canali di Sky. Sky a sua volta entra in un mondo con un patrimonio e una libreria di contenuti di dimensioni sconfinate. Ma non basta. Se dal punto di vista internazionale è chiaro che l’ affare tra Fox e Disney configura la nascita di un gigante pronto alla battaglia della vita con nuovi competitor come Netflix e Amazon, guardando la vicenda in ottica europea si intuisce come, all’ interno della famiglia Murdoch, sia stato James (quarto figlio del patriarca Rupert, quarantacinquenne da due giorni) a muoversi tra le righe per portare in dote all’ unione la nuova capacità e vivacità produttiva del vecchio continente in materia di fiction. «Babylon Berlin», «Young Pope» e «Gomorra» sono gli ultimi esempi di produzioni capaci di far stare l’ azienda nel mercato più difficile, quello dei consumatori di fiction di fascia alta, quegli appassionati che stanno sempre più sostituendo la mania per le serie tv a quella per il cinema consumata dai loro genitori (e nonni). La nuova sfida è chiara. Chi sarà capace di stare sul mercato dovrà vedersela con Netflix e con i suoi quasi cento milioni di utenti nel mondo. Disney e Fox ieri hanno messo le fondamenta di una fortezza attrezzata per combattere. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

New York Times, Sulzberger lascia la guida al figlio

La Stampa

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Cambio della guardia generazionale al New York Times: l’ editore Arthur Ochs Sulzberger Jr. dal primo gennaio sarà sostituito dal figlio Arthur Gregg (rispettivamente a sinistra e a destra nella foto). Sulzberger padre ha 66 anni, era editore Times dal 1992 e resterà come presidente della New York Times Company. Il figlio sarà il sesto membro della famiglia a rivestire la carica di editore da quando il patriarca Adolph S. Ochs acquistò il giornale nel 1896.

Walt Disney prende Fox E lancia la sfida a Netflix

Il Giornale
Cinzia Meoni
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Cinzia Meoni Topolino conquista i Simpson. Dopo una lunga trattativa, la Walt Disney Company ha sbaragliato la concorrenza di Comcast (ovvero Universal) e ha raggiunto un accordo miliardario per comprare le reti via cavo (compreso il 39% di Sky), gli studi televisivi e cinematografici oltre allo sterminato catalogo di serie tv e film (da Titanic a Die Hard, dal Pianeta delle scimmie e Avatar a «Episodio IV-Una Nuova speranza», il primo film della serie di Guerre stellari) di Rupert Murdoch. Praticamente buona parte della 21 Century Fox, l’ impero costruito dallo «squalo» australiano in decadi di strategie di espansione. Più in dettaglio Disney offrirà 0,2745 azioni per ogni titolo 21 Century Fox detenuto, per un valore di 52,4 miliardi di dollari a cui saranno aggiunti 13,7 miliardi di debiti per 66,1 miliardi complessivi. Al termine delle operazioni gli azionisti di Fox avrebbero il 25% del nuovo gruppo. La transazione è condizionata al via libera delle autorità Antitrust. E non è detto che sia semplice ottenerlo: gli ostacoli, come dimostrato dall’ opposizione alle nozze tra AT&T e Time Warner, potrebbero non mancare. All’ 86enne imprenditore australiano, oltre al 5% del nuovo gigante dell’ intrattenimento, rimarrà l’ informazione e lo sport: Fox News, Fox Sports, Fox Business e la rete di 28 stazioni di emittenti locali americane che, prima della chiusura dell’ accordo con Disney, saranno scorporati per dar vita a una nuova società. Secondo alcune voci di mercato queste ultime attività potrebbero essere oggetto di un secondo round, sempre con l’ impero fondato tra Topolinia e Paperopoli, anche se non manca chi ipotizza una fusione tra New Fox e News Corp, l’ altro gioiello della corona di Murdoch. Per la famiglia Murdoch, la decisione di vendere si tradurrà anche nella possibile uscita di scena di James, presidente di Sky e per cui si parlava di un ruolo dirigenziale nella Disney. Al momento tuttavia non c’ è niente di definitivo, anzi. Robert Iger, ad di Disney, ha rinviato la pensione di tre anni, al 2021. «L’ accordo offre a Disney l’ opportunità di riunire sotto lo stesso tetto X-Men, Fantastici Quattro e Deapool (il cui franchising è in mano a Fox, ndr) con la famiglia Marvel (acquisita nel 2009 per 4 miliardi, ndr) e di creare mondi più ricchi di personaggi e storie interconnesse» spiega il gruppo di Burbank. In realtà le nozze offrono molto. In questo modo il gruppo californiano si rafforzerà nello streaming con un ulteriore 30% di Hulu, oltreché sui contenuti per poter affrontare la concorrenza sempre più accesa dei colossi del video on demand come Netlix (leader nel settore con 104 milioni di abbonati) e Amazon e le web star come Google e Facebook per quanto riguarda la pubblicità digitale. Non solo. Il nuovo polo avrà una maggiore diversificazione internazionale: grazie a Sky, Disney potrà sbarcare nel mercato europeo e con Star India nel continente asiatico. Dal punto di vista finanziario infine dall’ integrazione tra i due gruppi dovrebbero derivare due miliardi di sinergie di costi.

Topolino fa shopping e porta a casa la Fox

Il Messaggero
GLORIA SATTA
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IL CASO Hollywood cambia pelle, il mercato si trasforma, il pubblico scopre nuovi orizzonti e Topolino si mangia la Volpe. La Walt Disney acquista le attività cinematogratiche, televisive e il business internazionale di 21st Century Fox. Valore dell’ affare, destinato a smembrare l’ impero mediatico di Rupert Murdoch in tre decenni: 52,4 miliardi di dollari. Passeranno di mano Sky, Star India, una serie di pay-tv fra cui Fx e National Geographic mentre rimarranno nella scuderia di Murdoch il canale Fox News, la rete sportiva FS1 e il network Fox negli Usa. Disney si accollerà anche i circa 13,7 miliardi di dollari di debiti della Fox. Se sarà approvato dall’ antitrust Usa, l’ accordo sarà una rivoluzione per i media hollywoodiani: Disney con Fox avrà più armi per contrastare Netflix e Amazon, sempre più agguerriti nella produzione e sempre più accettati nel circuito del cinema d’ autore internazionale. Intanto la Casa Bianca in serata ha smentito le indiscrezioni su contatti fra Trump e Murdoch prima dell’ accordo con la Disney. «Complimenti a tutti per l’ affare, l’ occupazione crescerà», ha dichiarato il presidente. Intanto reagisce la Borsa dove, all’ annuncio dell’ accordo, i titoli Fox sono saliti del 2,69 per cento, mentre Disney ha perso lo 0,15 per cento. Guadagna anche Netflix (l’ 1,10 per cento). Ma se le autorità bloccheranno il matrimonio, come qualcuno profetizza, Disney pagherà a 21st Century Fox 2,5 miliardi di dollari. L’ azienda che inventò Topolino non è nuova a operazioni di questo genere: ha già acquisito Marvel e Pixar (fumetti e cartoon) e nel 2012 si è aggiudicata la Lucas Film versando a George Lucas 2,2 miliardi di dollari in contanti e 37,1 milioni di titoli Disney. Queste cifre danno la misura di un mercato globale che deve fare i conti con le trasformazioni tecnologiche e le nuove abitudini dei consumatori. E cerca di sopravvivere attraverso concentrazioni, fusioni, creazioni di monopoli. Più grandi, più forti: è la filosofia che prende piede nel mondo dell’ audiovisivo. Con buona pace del cinema indipendente e della differenziazione dell’ offerta. Alla luce del mega-accordo Disney-Fox il mondo del cinema s’ interroga preoccupato: in futuro vedremo solo supereroi, effetti speciali, cartoni animati? Se la fusione tra Disney e Fox fosse avvenuta l’ anno scorso, fanno notare gli analisti del cinema, il nuovo mostro avrebbe incassato nelle sole sale nordamericane 4,5 miliardi di dollari aggiudicandosi il 40 per cento del mercato. Un risultato mai nemmeno sognato da un singolo studio, una realtà capace di ridurre ai minimi termini il potere contrattuale degli esercenti, costretti ad ospitare solo un genere di film. Gli stessi analisti si domandano: per contrastarlo, dovranno sposarsi anche Sony e Paramount? L’ uscita del nono episodio di Star Wars (film Disney) prevista nel 2019, e del primo sequel di Avatar, prodotto da Fox e atteso nelle sale nel 2020, lasciano prevedere sfracelli. PADRE E FIGLIO Il primo a parlare, ieri, è stato Bob Iger, ad della Walt Disney destinato a rimanere alla guida della società fino al 2021: «Siamo onorati del fatto che Rupert Murdoch abbia creduto in noi per il futuro delle sue attività che ha costruito in una vita», ha detto, «questa intesa allarga il nostro portafoglio di marchi e contenuti rafforzando la nostra offerta ai consumatori». Il magnate australiano ha ribattuto: «Sono convinto che questa unione, sotto la leadership di Iger, si tradurrà in una della maggiori aziende al mondo. Sono contento che Bob abbia deciso di restare». Intanto è pronto un posto nella nuova società per James Murdoch, il figlio di Rupert. Sempreché l’ antitrust non bocci l’ accordo e il monopolio dei supereroi. Gloria Satta © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Murdoch smembra il suo impero Fox passa a Disney per 52,4 miliardi

La Repubblica
federico rampini,
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L’ obiettivo del compratore è fare concorrenza a Netflix e Amazon puntando sullo streaming tv. L’ accordo cambia gli equilibri a Hollywood Dal nostro corrispondente new york L’ acquisizione del secolo nel mondo della tv e del cinema americano è dettata dalla paura. Così gli esperti, e in parte gli stessi protagonisti, descrivono l’ operazione da 52,4 miliardi di dollari con cui la Walt Disney Company conquista il controllo di gran parte dell’ impero Fox, ceduto da Rupert Murdoch e dai figli. La paura, come sempre di questi tempi, ha come oggetto i giganti dell’ economia digitale. Netflix e Amazon soprattutto, in parte anche Google ( YouTube), Apple ( iTunes) e Facebook, sono i nuovi protagonisti del consumo di video che si sposta velocemente dagli schermi (tv e cinema) ai mini-schermi dei tablet e smartphone. Netflix e Amazon invadono a gran velocità anche la creazione di contenuti. Perfino un “dinosauro” del cinema come Woody Allen – un autore che si è formato sui film di Ingmar Bergman e Federico Fellini – ormai si fa produrre da Amazon. E così la famiglia Murdoch dopo intensi travagli interni è giunta a una conclusione che può suonare sorprendente: è troppo piccola per competere con Amazon e Netflix. I Murdoch perciò si ritirano in quel settore che fu la vocazione iniziale di babbo Rupert e cioè l’ informazione, tenendosi la Fox News. Quasi tutto il rimanente, a cominciare dalla leggendaria casa di produzione hollywoodiana 21st Century Fox (fondata nel 1935, lanciò Marilyn Monroe e poi ” Guerre stellari”), passa alla Disney. La quale vuol andare al contrattacco. Unendo i suoi marchi di produzione Disney, Marvel, Pixar e Lucasfilm con gli studi della Fox che produce tra l’ altro le serie tv ” The Simpsons” e ” Homeland”, offrendoli sulla piattaforma digitale di streaming Hulu, la Disney spera di reggere l’ offensiva di Amazon e Netflix. Nel nuovo perimetro societario che nascerà da questa acquisizione – se l’ antitrust non obietta – la Disney si prende pure le reti tv Abc e Espn (sport) che vanno a unirsi a 22 canali di cable-tv locali del gruppo Fox. C’ entra anche il controllo della Sky ( Gran Bretagna) e della Star ( India) di cui i Murdoch cedono la maggioranza, nonché il network National Geographic. Poiché l’ acquisizione viene pagata interamente con azioni della Disney, almeno per una fase iniziale la famiglia Murdoch sarà tra i maggiori azionisti del nuovo gruppo, anche se a dirigerlo rimane Robert Iger. I commenti dei protagonisti sono trionfali, annunciano l’ avvento di un nuovo colosso deciso a rivoluzionare i rapporti di forze sia a Hollywood che nella Silicon Valley. Gli osservatori sono più scettici, sottolineano il carattere difensivo dell’ operazione. L’ agenzia Bloomberg ha riassunto i dubbi sull’ operazione paragonandola al famigerato matrimonio tra Aol e TimeWarner all’ inizio del millennio, che venne annunciato come una straordinaria novità nel mondo dei media e fu invece l’ inizio del tramonto per entrambe. Il problema della Disney è il suo legame con un modello di business che sta invecchiando rapidamente come la sua audience. Mentre i giovani consumano video sempre di più in streaming dalle piattaforme Netflix e Amazon, la Disney continua a inseguire quegli abbonati alla cable- tv che pagano un canone mensile per avere accesso a un pacchetto di alcune centinaia di canali in diretta più alcuni servizi premium di sport e cinema. In quest’ ottica aggiungere le produzioni Disney alle produzioni Fox nel breve termine rafforza il potere contrattuale del nuovo gruppo e gli consente di estrarre pagamenti maggiori da chi vende i pacchetti della cable- tv ( tipicamente operatori telecom come Comcast, Verizon o l’ ex- TimeWarner ora ribattezzato Spectrum). Ma a lungo termine la vera sfida è conquistare con Hulu quel pubblico che compra videostreaming da Amazon e Netflix. La qualità tecnologica di questi due non è facile da replicare. Tant’ è che la stessa Disney finora si era rassegnata a offrire su licenza i propri contenuti alla piattaforma Netflix. Solo nel 2019 li ritirerà per metterli in esclusiva sul proprio servizio streaming, attualmente in preparazione. La famiglia del tycoon torna a concentrarsi sull’ informazione cedendo le società che fanno spettacolo REUTERS/ BRENDAN MCDERMID.

Rai Way è in corsa per le antenne tv di Persidera

La Repubblica

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ROMA Rai Way, la società pubblica delle antenne tv, quotata in Borsa, ha presentato una «manifestazione di interesse non vincolante» per Persidera, operatore in tecnica digitale terrestre controllato al 70% da Telecom Italia e al 30% dal gruppo Gedi. Rai Way precisa di essere consapevole dei vincoli regolamentari presenti sul tappeto. Questa società è già titolare di 5 reti nazionali di trasmissione (multiplex). Dunque non può acquisire anche le frequenze di Persidera, pena una clamorosa violazione delle norme nazionali contro le concentrazioni. Telecom Italia vende Persidera su invito della Commissione europea. Il diktat della Commissione è scattato perché sia Telecom e sia il colosso tv Mediaset hanno in Vivendi un azionista di primissimo piano.

Diritti tv, bando bis per spingere fondi e banche a investire un miliardo

Corriere della Sera

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(m. col.) La Lega di A prepara il piano B nel caso in cui, dal bando per i diritti tv del campionato 2018-2021, le offerte da Sky, Mediaset e Internet non raggiungano un miliardo, obiettivo di Infront ( nella foto l’ ad De Siervo). È previsto un secondo bando rivolto a intermediari indipendenti: in ogni caso, le offerte in busta chiusa dovranno pervenire entro il 22 gennaio (il 4 approvazione dei bandi). La Roma sarebbe la big esclusa dal pacchetto di 8 club satellitare-digitale.


Rassegna Stampa del 16/12/2017

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Indice Articoli

Non basta un pezzo di canone a tutelare La7

Il giornalismo fondato sulla balla

Massimo Pessina è tornato in utile

Tv, la Mammì è proprio decrepita

Il giornale diventa design

Settore tv, ricavi su

X-Factor, share arriva all’ 11,23%

«Web tax, serve un’ intesa globaleIl nodo? Come dividere gli introiti»

Rai, la politica impone lo stop al dumping sui prezzi di vendita degli spot

Copie piratate la Nuova denuncia e chiede i danni

Sport Network è la nuova concessionaria di Telenorba. Aldo Reali: importante tassello alla strategia di espansione del network televisivo

Via libera dall’ assemblea Mediaset alle modifiche di statuto, che ‘blindano’ il Cda a favore di Fininvest. Contrari i fondi: dal cambio danni per società e minoranze

I tg regionali sono la spina dorsale dell’ informazione Rai, dice il dg Orfeo, sulla TgR che compie 38 anni. Il direttore della testata, Morgante: noi prima linea giornalistica per il servizio pubblico

Berlusconi blinda Mediaset più vicina la pace con Vivendi

Disney-Sky, anche in Italia la sfida tv

Baldini + Castoldi pensa positivo. E riparte dal «più»

Non basta un pezzo di canone a tutelare La7

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione” (da “Cattiva maestra televisione” di Karl R. Popper e John Condry – Donzelli, 1994 – pag. 25) Non può giovare a nessuno, tranne i diretti concorrenti, il calo degli ascolti che – secondo Business Insider Italia – ha colpito La7. Nonostante il fatto che quella di Urbano Cairo sia una “tv di qualità” e nonostante la massiccia campagna acquisti, la rete appare in difficoltà rispetto all’ anno precedente. Tra il 10 settembre e il 2 dicembre, lo share medio nel prime time è calato del 14,48% arrivando al 3,78% (elaborazione dello Studio Frasi su dati Auditel), con un’ audience di 952 mila spettatori. Nel giorno medio, sarebbe sceso sotto il 3%. La7 ha già replicato sostenendo che quest’ anno “il palinsesto autunnale si è acceso a pieno regime” e che l’ emittente “da oltre un mese è in piena, forte, evidente, crescita di ascolti”. Con il 4,4% di share medio nel prime time di novembre (fascia 20:30-22:30), sarebbe stabilmente la sesta rete nazionale. Il confronto con l’ anno scorso, insomma, risulterebbe falsato dalla circostanza che nel 2016 l’ effetto “referendum costituzionale” aveva fatto impennare l’ audience. Può anche darsi, come sostiene qualche esperto del settore, che tutto ciò dipenda dall’ orientamento movimentista adottato dalla tv di Cairo. O magari dal fatto che il palinsesto risulta monocorde, con una linea editoriale “antagonista” e dunque poco gradita a un target composto prevalentemente da spettatori anziani. E un mezzo di comunicazione di massa come la televisione commerciale, se è o appare troppo schierato, rischia di spaccare il suo pubblico e perdere audience. Eppure, rispetto al duopolio Rai-Mediaset nella tv in chiaro, La7 ha tutte le carte in regola per rappresentare un “terzo polo”, alternativo al servizio pubblico e al Biscione. E preservare questo ruolo, al di là dei legittimi interessi di Cairo che è anche l’ editore del Corriere della Sera, equivale a favorire un maggior pluralismo ed equilibrio del sistema. Non può essere, però, la devoluzione di una quota del canone Rai a tutelare La7, come ha chiesto recentemente lo stesso Cairo. Innanzitutto, perché significherebbe indebolire ulteriormente un servizio pubblico già vulnerato dalla doppia sudditanza alla politica e alla pubblicità. E in secondo luogo, perché un’ ipotesi del genere presupporrebbe un’ equa ripartizione fra tutte le reti televisive, nazionali e locali. Ora che il canone è inserito nella bolletta elettrica, bisogna eliminare gli spot dalla programmazione Rai, in modo che quelle risorse possano distribuirsi fra tutti gli altri media. Nei primi nove mesi di quest’ anno, da gennaio a settembre, l’ azienda ha rastrellato oltre 500 milioni di euro di pubblicità: molto più di quanto hanno raccolto tutti i quotidiani italiani, grandi e piccoli, messi insieme (dati Nielsen). È qui, dunque, il nodo del problema. Piuttosto che intervenire sul canone, a cui corrisponde un Contratto di servizio con lo Stato, sarebbe opportuno pretendere che la Rai – come quasi tutte le altre tv pubbliche europee, a cominciare dalla Bbc – fosse esclusa dalla spartizione della “torta” pubblicitaria. Al di là dei legittimi interessi di La7, gli investimenti potrebbero defluire così verso gli altri mezzi, in base alle rispettive potenzialità e alle scelte degli inserzionisti. Non si tratta, insomma, di aiutare questo o quello. Bensì di salvaguardare il pluralismo dell’ informazione e la libera concorrenza.

Il giornalismo fondato sulla balla

Il Dubbio

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Poi: «La Boschi è il Mario Chiesa della seconda Repubblica» ( cioè ha preso delle tangenti pagate in contanti, ndr). Ancora, «La Boschi ha confessato». Vogliamo andare avanti? Massì, citiamo pure qualche grido su Consip, tipo: «Renzi ha mentito», «Il papà di Renzi ha incontrato Bocchino», «Alcuni 007 hanno cercato di bloccare le indagini su Renzi». Beh, insomma, ce n’ è abbastanza per mandare a casa Boschi, per cacciare Renzi dal Pd, e poi per aprire indagini su indagini, da parte della magistratura, firmare avvisi di garanzia a raffica, arrestare qualcuno, e infine chiedere i conti al Pd per tante nequizie, e naturalmente per mandare a casa il governo. Giusto? Giusto, però tutte le affermazioni che abbiamo riportato tra virgolette sono false. Tutte. Completamente false. Sono affermazioni che ho ripreso da vari giornali, soprattutto dal Fatto ma non solo, oppure sono frasi pronunciate da diversi leader politici, a partire da Di Maio e dallo stesso Travaglio ( che ormai è considerato il vero capo del partito populista, cioè del partito trans- partito che sta ottenendo grandi successi, grazie anche ai due vice di Travaglio: Grillo e Salvini). Vediamole una ad una, visto che sono in questi giorni al centro della polemica politica. 1) Maria Elena Boschi non ha mentito al Parlamento. Ieri su questo giornale abbiamo pubblicato il testo dell’ intervento che pronunciò a Montecitorio nel dicembre di due anni fa e nessuna delle cose che disse in quell’ occasione è stata smentita. Né da Vegas né da nessun altro. Anzi, l’ altro ieri Giuseppe Vegas ( presidente di Consob e persona che ha avuto parecchie polemiche in passato col governo Renzi del quale la Boschi ha fatto parte) ha confermato di non aver mai ricevuto pressioni da lei su Banca Etruria. Pare invece che fu lui a fare qualche pressione sulla Boschi invitandola a casa sua, da sola, alle otto di mattina. La Boschi non ci andò: ma questa è un’ altra storia 2) Sostenere ( come ha fatto con aria anche piuttosto solenne, in Tv, Marco Travaglio) che la Boschi ha un conflitto di interessi simile a quello che aveva Berlusconi, è una affermazione che rasenta la trovata comica ( non intenzionale, però). Berlusconi, quando gli si rimproverò il conflitto di interessi, controllava personalmente tutte le televisioni private nazionali, cioè circa il 50 per cento delle televisioni italiane. E diversi giornali. Maria Elena Boschi invece possedeva 1500 euro di azioni di Banca Etruria. 1500 euro, capite? E per di più li ha persi quasi tutti. Ora, per paragonare il conflitto di interessi della Boschi e quello di Berlusconi, beh ci vuole o una dose massiccia di malafede, oppure una dose molto molto molto piccola di capacità intellettive. Propendo per la prima ipotesi. 3) La Boschi non ha aperto nessuna corsia preferenziale per suo padre. Tranne quella – diciamo così – che ha porta al licenziamento. Il governo del quale faceva parte la Boschi ha commissariato banca Etruria e mandato a casa il consiglio di amministrazione del quale il padre della Boschi faceva parte. Esempio raro, mi pare, di limpidezza. Possibile che questo nessuno lo dica? L’ altra sera, in Tv, la Boschi ha chiesto tre volte a Travaglio: «Mi dice di quali favoritismi avrebbe goduto mio padre?». Silenzio. Totale silenzio di Travaglio. 4) La Boschi come Mario Chiesa? L’ accusa l’ ha lanciata Di Maio, è una accusa gravissima. Mario Chiesa era un amministratore milanese che fu beccato mentre intascava una tangente, e da lì poi partì tutta l’ inchiesta su “Tangentopoli”. Maria Elena Boschi non è sospettata da nessuno, neppure lontanamente, di avere preso una tangente. È del tutto incensurata, non ha nessun avviso di garanzia ( a differenza di tanti amministratori del partito di Travaglio). Nemmeno nei momenti più cupi della lotta politica qualcuno aveva fatto ricorso a menzogne e accuse così platealmente false verso un avversario. L’ unica scusante, per Di Maio, è che probabilmente non ha capito bene neanche lui cosa stesse dicendo. Ma questo non toglie nulla alla gravità di questo passo ulteriore verso l’ imbarbarimento della politica. 5) «La Boschi ha confessato». È il titolo che occupa l’ intera prima pagina del Fatto di ieri. Ovvio che per confessare bisogna aver commesso un reato, se no come fai a confessarlo? Dunque il Fatto sostiene che la Boschi ha commesso un reato e poi lo ha confessato. Naturalmente entrambe le cose sono false. Valgono le stesse osservazioni fatte per Di Maio. E la stessa, eventuale, scusante: se Di Maio, come è noto, non conosce bene la geografia né la storia, è possibile che al Fatto zoppichino con l’ italiano 6) Infine il caso Consip, uno degli infortuni giornalistici più gravi degli ultimi trent’ anni, e che tuttavia ancora viene usato – in spregio assoluto della verità – per attaccare il Pd. Le affermazioni che abbiamo riportato, all’ inizio di questo articolo, su Renzi, come è noto, sono quelle contenute in una informativa dei carabinieri rivelatasi poi del tutto falsa, ma fatta filtrare, illegalmente, nelle redazioni di alcuni giornali ( in particolare il solito Fatto) e usata per una campagna di stampa contro Renzi e altri. Non solo quando si è scoperto che le notizie erano false non c’ è stato un passo indietro dei giornali e dei giornalisti colpevoli di avere costruito una campagna di stampa su notizie illegali e false. Non solo non è scattato un moto di indignazione per le probabili trame di pezzi dello Stato ( settori dei carabinieri e forse della magistratura) contro il partito di maggioranza. Ma la campagna contro il Pd è proseguita, come se nulla fosse, ignorando totalmente la falsità delle notizie. Ecco, quando si parla di fake news si parla esattamente di tutto questo. Della costruzione di vere e proprie “realtà parallele”, false, ma che riescono, grazie alla potenza dell’ apparato informativo del quale dispongono – stampa, Tv, rete – a tenere a bada la “realtà reale” e talvolta a cancellarla del tutto, a farla sparire. Naturalmente questo è possibile solo in un clima politico particolare. Cioè l’ attuale clima politico, dove non solo il populismo reazionario si espande e cresce, conquistando fette grandi dell’ opinione pubblica e dell’ intellettualità, ma riesce a condizionare e ad assoggettare settori ormai vastissimi dell’ informazione tradizionale. L’ inseguimento del populismo è diventato una specie di carta d’ identità del giornalismo italiano. Lontano le mille miglia dalle tradizioni del grande giornalismo liberale occidentale. E chi fa le spese di questo ciclone in primo luogo è il sistema democtratico, fiaccato dalla assenza di una corretta informazione, e poi sono alcune migliaia di giornalisti, che hanno una considerazione alta della propria professione, e che non possono più esercitarla. Non trovano spazio. Non vengono più nemmeno presi in considerazioni da chi comanda, da chi ha in mano il timone, dagli editori. Gli editori sembrano disinteressati ad avere giornalisti. Vogliono esecutori. Certo, se un giorno i giornalisti si ribellassero…

Massimo Pessina è tornato in utile

Italia Oggi
ANDREA GIACOBINO
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La vittoria nell’ arbitrato contro A2A consente a Massimo Pessina, già editore de l’ Unità, di tornare in utile con la cassaforte del suo gruppo di costruzioni. Il bilancio consolidato 2016 di Columbia prima, holding che detiene fra l’ altro Pessina Costruzioni, si è chiuso infatti con un profitto di oltre 9,1 mln di euro rispetto alla perdita di circa 700 mila euro dell’ esercizio precedente. Il tutto deriva da ricavi che anno su anno sono lievitati da 90 a oltre 113 mln e che comprendono alla voce «altri ricavi» i 44,2 mln ottenuti come risarcimento da Pessina Costruzioni nell’ ambito di un procedimento arbitrale contro la multiutility lombarda A2A. Ciò detto nel 2016 il gruppo di Pessina ha dato il via a nuovi lavori (Ospedale di La Spezia, centro direzionale della Fater a Pescara, un velodromo a Seriano), mentre restano aperte diverse commesse, come a Torino i nuovi uffici di Reale Mutua e il progetto Juventus Village, il Nuovo Poliambulatorio di Bologna, e a Milano i lavori sui Caselli Daziari. I ricavi della Pessina Costruzioni sono stati di 77,8 mln.

Tv, la Mammì è proprio decrepita

Italia Oggi
GIANNI CREDIT
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Qualunque sia l’ esito del voto, è prevedibile che il nuovo governo e il nuovo parlamento dovranno mettersi al lavoro su una riforma del sistema-media in Italia. La probabile chiusura di un grande accordo fra Vivendi, Tim e Mediaset – confermata da Piersilvio Berlusconi al Corriere della Sera – è destinata a cambiare radicalmente il mercato dei media e a mettere sotto pressione una regolamentazione che da tempo appare superata. Quest’ ultima è nata con la legge Mammì del 1990 ed è poi evoluta (leggi Gasparri, Gentiloni ecc.) senza mai metterne in discussione la matrice: la codificazione del duopolio di fatto fra Rai e Mediaset nella tv tradizionale e il muro fra tv e carta stampata. Una cornice sostanzialmente nazionale e non-digitale ha continuato a circoscrivere una industry nel frattempo rivoluzionata dalla globalizzazione tecnologica e finanziaria. E un approccio lontano dal libero mercato è stato finora caratterizzato da forme di regolazione della raccolta delle risorse pubblicitarie e dalla presenza dominante di un operatore statale (finanziato anche dal canone) e di un competitore unico, controllato da un leader politico per tre volte premier. Nel frattempo, ai gruppi editoriali nazionali della carta stampata è stato impedito di espandersi nella tv, frenandone così la crescita dimensionale e digitale. La stabilizzazione di una proprietà francese per Tim e la definizione di una partnership con Mediaset per la fornitura di contenuti video a piattaforme digitali, certificano ora il superamento netto di quel mondo, ponendo sia all’ industria sia ai regolatori sfide a cui rispondere senza più ritardi. I media sono dunque un business integrato e globalizzato, in cui la produzione di contenuti converge verso i canali digitali. È un business che richiede grandi investimenti: di qui la tendenza alla crescita dimensionali dei gruppi, senza più frontiere nazionali per la proprietà o linguistiche per il mercato. Certamente, l’ informazione resta un «prodotto» molto speciale all’ interno delle democrazie: la centralità del fake news nel dibattito pubblico internazionale lo conferma. Gli obiettivi di una riforma – di una «politica dei media» – da parte di una democrazia europea come quella italiana appaiono quindi complessi ma evidenti. Una situazione considerata auspicabile e comunque realizzata in numerosi altri settori (dalle banche all’ energia) vede alcuni operatori residenti competere sul mercato aperto e concorrenziale con operatori di altri paesi, con lo sviluppo frequente di alleanze e aggregazioni transnazionali. E fra gli operatori residenti, in tutti i paesi della Ue, l’ emittente tv di Stato mantiene un suo ruolo ma lontano dalla predominanza rispetto a gruppi privati, liberi invece di spaziare su tutti i segmenti del settore. Un governo (quello italiano si è recentemente dotato di un nuovo golden power proprio per il cambiamento del controllo di Tim) utilizza infine strumenti generali per fronteggiare in modo flessibile interessi esteri su gruppi nazionali di rilievo strategico. Fra i primi esiti in agenda del confronto di governo e Agcom con Tim vi è comunque un passaggio direttamente inserito nella specifica «politica dei media»: la neutralizzazione/liberalizzazione della rete Tim e il suo sviluppo nella banda larga Il caso Vivendi-Tim-Mediaset come delineato è in ogni caso già quasi esemplare: Mediaset e Tim stanno cercando crescita strategica nella convergenza digitale con il ruolo attivo di un investitore europeo e la loro alleanza è sorvegliata dal governo con un approccio bilanciato fra esigenze del mercato e tutela del sistema-Paese. La stessa opportunità va data a tutti gli altri operatori italiani: compresa la Rai, cui dovrebbe essere riconosciuta più la facoltà che l’ obbligo di ristrutturarsi. Una Rai concentrata sul vero servizio pubblico (con un finanziamento adeguato e regolato) potrebbe liberarsi di tutte le attività che sono ormai oggetto di competizione sul mercato e che un’ emittente pubblica nazionale non ha più dimensione per reggere in modo efficiente. D’ altro canto editori come Rcs, Gedi o Mondadori (pure controllata da Fininvest) devono avere l’ opportunità di espandersi a tutto tondo: cercando il migliore mix di prodotti e canali. Il riassetto dell’ oligopolio tv allargato (Rai -Mediaset oltre a La7 e a Sky nel satellitare) si presenta quindi l’ occasione per rafforzare il sistema-media italiano in vista di un’ ineludibile apertura del mercato. E se non ci fosse di mezzo il conflitto d’ interessi di Silvio Berlusconi, non sarebbe improprio immaginare un programma di incentivazione fiscale a scorpori e fusioni simile a quello che, nei primi anni 90, consentì al sistema bancario di riorganizzarsi e consolidarsi in vista dell’ euro. Oggi sembra preistoria ma fino al 2011 fu un caso di successo.

Il giornale diventa design

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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La qualità e l’ esperienza del design italiano vive «nello spazio tra familiarità ed estraneità che segna il nostro rapporto con il passato dell’ arte classica». Parole di Barnaba Fornasetti, erede di Piero e direttore artistico dell’ atelier, che nell’ esposizione Citazioni pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps promossa dal Museo Nazionale Romano con Electa e ideata da Triennale Design Museum di Milano e Fornasetti, riflette sul ruolo della creatività: «Mio padre Piero Fornasetti riteneva che la progettazione di un oggetto non debba mai dimenticare la sua funzionalità: la praticità ne è un elemento costitutivo. Un mobile, ad esempio, può essere decorato fino al limite dell’ eccesso, saturato di significati e messaggi emotivi, ma non può perdere la sua utilità, e diceva che una sedia è fatta per sedersi e prima di tutto dev’ essere comoda». Come quella dominata dai ritagli dei quotidiani internazionali, amatissima dai giornalisti. Avendo sempre l’ obiettivo di «costruire un dialogo che si snoda lungo il filo di trasgressioni e di rispettosi pensieri». Barnaba cerca di trattenere le emozioni, quando parla del genio di Piero, scomparso nel 1988, ma è una fatica che non può nascondere: a Roma, nella collezione di sculture e gli spazi di Palazzo Altemps, nel cortile, nelle stanze affrescate e nel teatro, l’ antico si confronta con le ventisette incursioni artistiche realizzate da oltre ottocento pezzi di Fornasetti. Di sala in sala i temi del classico, delle rovine e delle antichità rimandano a uno scambio a tratti spiazzante e irriverente, colto e sapiente, tra la collezione permanente di arte antica del museo e le creazioni nate dall’ immaginazione sfrenata e dall’ invenzione surrealista di Fornasetti. Attirando sempre l’ attenzione, a partire dai gatti collocati nel percorso archeologico. I temi della rassegna vengono ripercorsi e approfonditi nella guida che l’ accompagna, arricchita da un saggio critico sull’ attualità del classico, progettata da Fornasetti ed edita da Electa. A Citazioni pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps si accompagna il 19 gennaio l’ incontro con Romeo Gigli e Barnaba Fornasetti e gli studenti dell’ Accademia di Costume e di Moda. Un incontro tra due personalità artistiche legate dalla comune ricerca creativa perseguita nel corso degli anni. Verranno affrontati e condivisi con gli studenti le dinamiche del loro incontro artistico e gli sviluppi successivi, che hanno portato all’ ultima collaborazione, ossia la realizzazione dell’ opera lirica Il Dissoluto punito ossia il Don Giovanni di Mozart. © Riproduzione riservata.

Settore tv, ricavi su

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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I ricavi delle principali emittenti tv sono aumentati di circa 220 milioni di euro in 5 anni (2012-2016). Si sono invece ridotti di quasi un miliardo di euro i ricavi complessivi del settore editoria (quotidiana e periodica), nello stesso periodo. Sono questi due estremi del Focus sui bilanci aziendali nel settore dei media, reso noto ieri dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, presieduta da Angelo Marcello Cardani), che ha sottolineato subito come nel quinquennio analizzato abbia impattato l’ incremento degli introiti del canone tv (+180 milioni di euro) e dei servizi televisivi a pagamento (+70 milioni) mentre gli introiti pubblicitari, seppure in crescita nel 2015, si siano ridotti di 160 milioni di euro durante tutto l’ arco temporale considerato, rispetto al 2012. Nel dettaglio della televisione, la redditività lorda (ebitda) passa dal 24,9% dei ricavi nel 2013 al 18,3% nel 2016, mentre la redditività netta (ebit) passa +1,6% nel 2013 a -3,5% nel 2016. Sul valore degli indici a livello di intero settore, incide inoltre la presenza tra i player di mercato dell’ operatore designato a offrire il servizio pubblico. Infine, dal punto di vista occupazionale, con circa 22 mila addetti nel 2016 la forza lavoro rimane sostanzialmente stabile. Passando all’ editoria, la contrazione di ricavi è del 16,6% e la loro parte ottenuta in Italia, pari a circa 4 miliardi di euro nel 2016, è calata del 18,3% (-900 milioni di euro). Tuttavia nel 2016, sia i ricavi complessivi sia quelli domestici sono in crescita, rispettivamente del 7,1 e del 6%. In particolare, con riferimento al mercato interno, il segno positivo è legato a una crescita degli introiti pubblicitari (+5%) che compensano l’ ulteriore calo dei ricavi provenienti dalla vendita di copie (-0,6%). Il margine operativo lordo (ebitda), mediamente pari al 6,3% dei ricavi durante il periodo 2012-2016, raggiunge il 9,2% nel 2016, mentre il margine operativo netto (ebit), con un valore medio di periodo uguale al -4,3%, nel 2016 torna su valori positivi (+1,5%). Per quanto riguarda i livelli occupazionali, le imprese considerate hanno ridotto gli organici del 16,9% (-2.800 unità).

X-Factor, share arriva all’ 11,23%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La finale di X-Factor, in onda giovedì scorso su Sky Uno, Tv8 e Cielo, ha raggiunto 2,8 milioni di telespettatori medi, con una share complessiva dell’ 11,23%, superiore a quella incassata nella sua prima edizione, in chiaro su RaiDue, e in crescita del 22% sull’ audience della finale 2016. Le puntate live, in onda fino alla semifinale solo sulla piattaforma pay, hanno avuto una media record di 1.323.000 telespettatori, che salgono a 2.100.000 (+7% sul 2016) nei 7 giorni, con un ascolto differito che pesa quindi quasi per il 40% sul totale. Molto alta anche la partecipazione da casa: 8,5 mln di voti arrivati per la finale, e 33 mln totali nel corso dei vari live. Fortissima pure l’ interazione sui social (9,5 mln di interazioni su Facebook, Twitter, Instagram) per una edizione dove i veri protagonisti sono stati i talenti in gara, dai Maneskin a Nigiotti fino al vincitore Licitra, e nella quale la giuria, soprattutto nelle puntate live, è rimasta molto sullo sfondo. Probabile che Levante non sia confermata e Fedez, per i mille impegni, lasci il programma.

«Web tax, serve un’ intesa globaleIl nodo? Come dividere gli introiti»

Corriere della Sera
di Francesca Basso
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MILANO Nel mondo globalizzato la competizione tra gli Stati si gioca anche sulle tasse. «Mentre il presidente Trump vara una riforma fiscale molto aggressiva, l’ Europa continua a muoversi in ordine sparso. Molti equivoci caratterizzano i tentativi di webtax, l’ Europa è a un bivio: continuare con la linea della burocrazia e della lentezza o giocare un ruolo al tavolo internazionale. Il rischio è la perdita degli investimenti stranieri». Stefano Simontacchi è direttore del Transfer Pricing Research Center dell’ Università di Leiden in Olanda, managing partner di BonelliErede e consigliere di Rcs MediaGroup. L’ elusione fiscale da parte dei colossi come Apple, Amazon, Google o Facebook sta suscitando reazioni a livello internazionale. L’ Ocse ha stimato che ogni anno vengono persi tra i 100 e i 240 miliardi di dollari di tasse per le differenze tra le regole fiscali internazionali che permettono alle multinazionali di spostare i profitti nei paradisi fiscali. L’ ultimo Ecofin ha deciso di procedere sulla tassazione dei servizi digitali offerti sul web, seguendo il criterio della stabile organizzazione virtuale. In Italia è ora alla Camera con la manovra una web tax (sono previste modifiche) che prevede un’ aliquota del 6% sul fatturato dei servizi immateriali prestati alle imprese attraverso internet o reti telematiche dalle imprese non residenti. «Bisogna comprendere il fenomeno della digitalizzazione dell’ attività di vendita e capire che non è qualcosa che riguarda solo qualche web company – prosegue Simontacchi -ma sempre di più riguarderà qualsiasi tipologia di bene». In futuro la quantità di prodotti venduti in altri Stati senza bisogno di una presenza fisica della società crescerà e «gli istituti attuali su cui si basa la fiscalità non sono coerenti con i modi attuali di fare business. La manovra in discussione prevede l’ estensione del concetto di stabile organizzazione. Ma deve essere chiaro che le revisioni domestiche del concetto di stabile organizzazione – sottolinea – sono destinate a rimanere inefficaci in quanto in contrasto con i trattati in vigore. Inoltre il meccanismo della ritenuta previsto dalla manovra, non escludendo le operazioni infragruppo, rischia di avere l’ effetto perverso di disincentivare le multinazionali a stabilire la distribuzione in Italia (sulla falsariga di quanto annunciato da Facebook)». È dunque necessario, per Simontacchi, «affrontare le vendite online complessivamente perché riguardano tutti i settori dell’ economia. Certo, le multinazionali del web devono pagare il giusto livello di tasse. Ora non lo fanno perché gli Usa, come la Gran Bretagna, hanno lasciato buchi normativi consentendo delle agevolazioni. Per la soluzione si stanno considerando varie ipotesi, dal calcolo basato sull’ uso della rete (ma un film ha un costo diverso rispetto a una borsa firmata anche se consuma più rete) a quello in proporzione al numero dei cittadini, però va ponderato per il potere di spesa. La soluzione più praticabile è a mio avviso un prelievo alla fonte però coordinato a livello mondiale». L’ inizio di qualsiasi riflessione è «la domanda che si devono porre i governi: come andranno divise le imposte in un mondo digitalizzato. Questo è il nodo e va affrontato a livello internazionale – conclude -. L’ Europa deve reagire e l’ Italia potrebbe svolgere un ruolo guida».

Rai, la politica impone lo stop al dumping sui prezzi di vendita degli spot

Milano Finanza

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Il mercato pubblicitario in Italia è in affanno. A fine ottobre il saldo era negativo, -3,1% rispetto allo scorso anno. E anche la televisione ne risente: causa assenza di eventi di grande richiamo (Europei di calcio e Olimpiadi) complessivamente gli spot non hanno raggiunto neppure la soglia dei 3 miliardi. E se Mediaset, che è leader indiscussa (34,23% dell’ intera torta advertising), rallenta (-1,9% anno su anno), è la Rai a soffrire più di tutti. La tv di Stato, a fine ottobre, ha incamerato 600 milioni (-9,1% rispetto allo stesso periodo del 2016). Ma nell’ azienda presieduta da Monica Maggioni e guidata dal dg Mario Orfeo i problemi non finiscono qua. Non c’ è solo il dilemma del calo d’ ascolto di Rai2 e Rai3, a favore di Rai1, con il cambio di manager di primo livello. Ma c’ è anche il nodo della concessionaria. Perché come già anticipato da MF-Milano Finanza l’ ad Fabrizio Piscopo, in carica dal 2013, ha lasciato viale Mazzini. Per la sua sostituzione si fanno i nomi di Raimondo Zanaboni (Rcs Pubblicità) e Mauro Gaia, ex Seat Pagine Gialle e oggi in Videa. La scelta di cambiare i vertici della concessionaria a pochi mesi dalle elezioni politiche previste per inizio marzo è legato a un tema che è finito al centro dell’ agenda politica e sul tavolo della Commissione di vigilanza Rai. Come rilevato da questo giornale mercoledì 13, il centrodestra è in pressing su Viale Mazzini per la questione della gestione delle politiche commerciali della concessionaria dell’ emittente pubblica, così come è emerso dallo schema di risoluzione presentato dai parlamentari Anna Maria Bernini e Maurizio Lupi lo scorso 8 novembre proprio alla Commissione presieduta da Roberto Fico. «A partire dal 2012 e fino a tutto il 2016, ma con un dato che risulta essere attuale anche per il 2017, gli sconti mediamente praticati dalla Rai, sulla base dei dati Nielsen, sono progressivamente aumentati fino a un valore medio superiore all’ 85% con punte superiori al 90%», si legge in uno dei passaggi salienti del documento. E così martedì 19, dopo alcuni rinvii, la Commissione di vigilanza prenderà in esame la questione, concentrandosi su un punto specifico del contratto di servizio 2018-2022 per la Rai. Un passaggio delicato ma significativo che riguarda l’ articolo 23 (Obblighi specifici) dello stesso contratto e che si concentra in particolare sulla pubblicità (comma R). Da quel che trapela, l’ organismo parlamentare presieduto da Fico recepirà questa proposta e inserirà nel contratto di servizio il divieto al dumping sui prezzi di vendita degli spazi pubblicitari prevedendo uno specifico punto «relativo ai prezzi di vendita degli spazi pubblicitari effettivamente praticati al netto degli sconti applicati rispetto ai listini di vendita», come risulta a MF-Milano Finanza. Toccherà a Lupi portare avanti questa istanza e a farla approvare dalla Commissione sui cui tavoli arriveranno molto probabilmente nuovi emendamenti presentati ad Maurzio Gasparri, l’ ex ministro delle Comunicazioni e titolare della legga di settore che porta il suo nome. Proposte che, pare, non abbiano il consenso degli esponenti del pd e dei Cinque Stelle. Che il tema sia delicato e sensibile, anche in chiave politica, lo dimostra il fatto che è stato affrontato anche durante l’ ultimo cda della Rai di giovedì 14. Ovviamente, a guardare con particolare interesse a questa risoluzione è Mediaset, l’ azienda fondata da Silvio Berlusconi leader del centrodestra. (riproduzione riservata)

Copie piratate la Nuova denuncia e chiede i danni

La Nuova Sardegna

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di Antonello SechiwSASSARISei un avvocato, il responsabile di un’ associazione imprenditoriale, un sindacalista, o magari un semplice smanettone del web che pensa di fare bella figura con gli amici. Ti piazzi al pc al mattino presto, vai su quel sito che sai tu… ;), scarichi il pdf della “Nuova Sardegna” o di qualche altro giornale e poi, magari con Whatsapp, lo invii in un colpo solo a decine di persone. Come ti senti? Uno figo? Uno che la sa più lunga degli altri? Uno generoso? Di sicuro ti puoi fregiare di un titolo non esattamente glorioso: ammazza-giornali, killer della libera informazione. Beh, è bene che sappia una cosa: “La Nuova” non ci sta più a farsi dissanguare in questo modo. Alcuni di questi “benefattori” in questi giorni stanno ricevendo una lettera con richiesta di risarcimento danni da parte del legale della DBInformation, l’ editore del nostro giornale. La moral suasion e le diffide hanno lasciato indifferenti alcuni di coloro che, con l’ ausilio di siti pirata, diffondono illegalmente le copie digitali del nostro quotidiano. Inevitabile il ricorso a iniziative più incisive. «Il fenomeno è diventato evidente nei primi mesi dell’ anno – spiega Antonello Esposito, direttore generale della Nuova Sardegna – i pdf pirata del giornale hanno cominciato a girare tra i gruppi whatsapp, come se fosse la cosa più normale. Li hanno inviati anche a noi e ai giornalisti». Una moda virale che ha riguardato tutti i giornali italiani. E non solo. Con danni enormi: è comodo ricevere gratis il quotidiano sul proprio smartphone anziché spendere un euro e 30 centesimi in edicola, ma ogni copia in meno è un colpo d’ accetta alla solidità economica e all’ autonomia degli organi di informazione, ovvero alla loro capacità di reggersi sulle proprie forze. La Nuova ha reagito in vari modi: denuncia alla polizia postale con i numeri di telefono dei membri delle chat sulle quali si scambiano le copie pirata, sms con l’ invito a smetterla agli “spacciatori” di pdf più attivi, pagine di diffida pubblicate sul giornale dopo averne informato la Procura.C’ è chi ha capito. Altri no. Qualcuno è arrivato a minacciare (“sappiamo chi sei”) un giornalista al quale, attraverso ricerche su internet, è stato associato erroneamente il numero attraverso il quale la Nuova ha inviato gli sms. La Nuova Sardegna ha portato il problema – che è di tutti i giornali – anche all’ interno della Fieg, la Federazione italiana editori di giornali. I siti che diffondono le copie pirata sono stati posti sotto osservazione e fatti chiudere. Ma è una rincorsa continua, perché a una chiusura segue l’ apertura di un nuovo sito. Certo, questo è il web, bellezza. La Nuova lo sa. Ma non si arrende. Per questo – spiega Esposito – adesso partono le richieste di risarcimento danni. È bene saperlo. Ma, caro lettore, è bene sapere anche che cosa potrebbe accadere nei prossimi anni. A differenza di quanto sostengono alcuni politici in mala fede o poco informati, i giornali sono imprese che si reggono sulle copie vendute e sulla pubblicità. Se queste vengono meno, spariscono i giornali e i giornalisti. Che avranno tanti difetti ma nel loro insieme garantiscono a tutti noi cittadini la possibilità di farci un’ idea precisa di ciò che succede intorno a noi e nel mondo. La democrazia senza informazione libera non esiste. Sicuri – anche voi che spacciate i nostri pdf – di volerne fare a meno?

Sport Network è la nuova concessionaria di Telenorba. Aldo Reali: importante tassello alla strategia di espansione del network televisivo

Prima Comunicazione

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Sport Network è la nuova concessionaria pubblicitaria di Telenorba, storica emittente televisiva areale generalista, fondata nel 1976 dall’ imprenditore Luca Montrone a Conversano e facente parte del Gruppo Norba. Con questa partnership, ad oggi intesa dal 2018 alla fine del 2020, la concessionaria del gruppo Amodei (che gestisce la raccolta pubblicitaria di un grande network di mezzi tra cui Corriere dello Sport-Stadio, Tuttosport e importanti quotidiani generalisti come Il tempo, Il Giornale e Il Fatto Quotidiano, i periodici della Conti Editore, i magazine di bordo Ulisse e Italo, oltre a un autorevole portafoglio di property digitali) guidata da Aldo Reali aggiunge un importante tassello alla strategia di espansione del network televisivo, consolidando la leadership nel segmento delle TV areali. Aldo Reali e Marco Montrone Telenorba – riporta la nota stampa – è la prima televisione areale italiana per ascolto medio giornaliero, raggiungendo una platea di circa quattro milioni e mezzo di telespettatori in buona parte del sud Italia. Diretta da Antonio Azzalini, in passato alla guida dell’ intrattenimento Rai, Telenorba è una realtà televisiva sorprendente, da sempre fucina di artisti e professionisti apprezzati nell’ intero panorama nazionale, ma soprattutto il principale organo di informazione ed approfondimenti del territorio. Telenorba è dunque INFORMAZIONE, i suoi TG, diretti da Enzo Magistà, sono un punto di riferimento nazionale per tutto ciò che succede nel SUD Italia. Telenorba è anche INTRATTENIMENTO. Nell’ ultimo anno Azzalini ha riposizionato l’ emittente dandole una “cifra” personale contemporanea. Il palinsesto prevede molte novità rispetto al passato. Michele Cucuzza fa grandi interviste dentro Buon pomeriggio (ad inizio estate aveva realizzato quella a Silvio Berlusconi) trasmissione che, con la conduzione di Stefania Orlando e Mary De Gennaro, è punto di riferimento del pomeriggio televisivo dell’ emittente, Anna Falchi presenta un programma di cucina e Rita Dalla Chiesa conduce un format dedicato ai matrimoni. Telenorba è SPORT. Oltre alla seguitissima trasmissione “Bordo Campo” condotta da Barbara Ovieni e Mauro Pulpito, Telenorba trasmette ogni settimana in diretta ed in esclusiva le partite delle squadre di Puglia e Basilicata, partecipanti al Girone C del campionato di Serie C, 2017-2018. Telenorba è MUSICA grazie alle coproduzioni con Radionorba, l’ emittente radiofonica più ascoltata del Sud Italia. Infine, ma non per importanza, “Telenorba – racconta Aldo Reali, Amministratore Delegato Sport Network – con la sua qualità, la sua veste editoriale generalista e la sua capillarità sul territorio di riferimento, si integra perfettamente con i prodotti Sport Network ed offre ai nostri clienti nuove ed importanti opportunità di comunicazione. Siamo felici e orgogliosi che un editore importante come la famiglia Montrone abbia scelto come concessionaria Sport Network che si sta mettendo in evidenza nel panorama televisivo con l’ acquisizione di tv areali e nazionali nel digitale terrestre. Abbiamo quindi rafforzato la nostra posizione diventando un importante punto di riferimento per inserzionisti nazionali che manifestano esigenze di comunicazione sia in determinate aree geografiche che su scala nazionale. Telenorba è certamente una tv storica molto importante che rappresenteremo al meglio sul mercato forti dell’ impatto della penetrazione e credibilità del brand e delle sue audience”. “Il forte interesse manifestato nei confronti delle nostre reti da parte di una concessionaria solida ed al contempo in grande crescita come Sport Network rappresenta per noi senza dubbio un motivo di orgoglio”, sottolinea l’ avv. Marco Montrone, direttore generale del Gruppo Norba. “Abbiamo sempre posto al centro del nostro lavoro la qualità dell’ offerta editoriale e siamo felici di poter essere rappresentati sul mercato della pubblicità nazionale da una concessionaria che detiene in concessione solo mezzi di grande qualità, dalla carta stampata alla TV, e da una concessionaria all’ interno della quale al contempo già batte forte il cuore editoriale. Crediamo davvero possano esserci i migliori presupposti per lavorare in partnership per fare un ulteriore salto di qualità e rappresentare una opportunità per il mercato “.

Via libera dall’ assemblea Mediaset alle modifiche di statuto, che ‘blindano’ il Cda a favore di Fininvest. Contrari i fondi: dal cambio danni per società e minoranze

Prima Comunicazione

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Via libera dall’ assemblea di Mediaset ha approvata il cambio di statuto che permetterà al socio di maggioranza di avere una rappresentanza più forte in cda. La proposta è passata con il sì di Fininvest, il voto contrario della maggioranza dei fondi e l’ assenza di Vivendi, che detiene quasi il 30% del Biscione. La modifica riguarda nello specifico l’ articolo 17 dello statuto sulle regole di nomina del Cda che finora permettevano un’ ampia rappresentanza delle minoranze, dando invece proporzionalmente più spazio all’ azionista di controllo. La proposta approvata prevede un minimo di sette e un massimo di 15 consiglieri (oggi sono 17), la possibilità per il Cda di presentare una propria lista di candidati e la nomina del board attraverso un sistema a liste bloccate invece del sistema a quozienti. Di fatto le minoranze avranno meno consiglieri, ma la terza lista avrà sicuramente un rappresentante. Secondo quanto si apprende da una fonte presente all’ incontro, l’ 89,59% del capitale presente all’ assise si è espresso a favore della variazione del numero minimo e massimo di consiglieri e della possibilità del Board uscente di presentare una lista di candidati per il nuovo Cda, oltre alla modifica del meccanismo di elezione degli amministratori (da proporzionale puro a maggioritario). Contrario il 10,4% del capitale. Le altre due votazioni, su temi più tecnici, hanno fatto registrare rispettivamente il 99,93% e il 91,27% degli assensi. Pier Silvio Berlusconi (foto Olycom) Nel corso della riunione, Amber Capital, che in Mediaset detiene una quota superiore al 2,5%, avrebbe espresso la sua contrarietà alle modifiche statutarie “perché a nostro avviso hanno un impatto negativo sulla società stessa e sui diritti degli azionisti di minoranza”. Secondo il fondo attivista, rappresentato in assemblea da Artuto Albano, la presenza e il comportamento di Vivendi, “inaccettabile e contrario a qualsiasi logica di correttezza”, non possono diventare “la scusa per introdurre una poison pill mascherata che danneggia irrimediabilmente le prerogative degli azionisti di minoranza, riducendo il numero di amministratori che gli stessi potranno eleggere”. Amber inoltre ha ricordato la sua contrarietà anche all’ introduzione della facoltà per il Cda uscente di presentare una lista di candidati. Attualmente, sottolinea, le società che hanno questa previsione sono poco più di una decina e sono public company, a differenza di Mediaset. L’ attuale sistema di nomina del Cda per Amber è caratterizzato da trasparenza per quanto riguarda la “paternità” dei candidati proposti, mentre nel momento in cui a presentare una lista di candidati sarà il Cda uscente, “questa trasparenza e questa possibilità di accertare legami tra azionisti e tra azionisti e amministratori saranno drasticamente ridotte”. Dal punto di vista sostanziale poi “è probabile che nulla cambi, e che quindi sia lo stesso azionista di riferimento a scegliere i candidati che verrebbero presentati nella lista del cda”. Dell’ intervento critico si è avuto conto attraverso una nota, avendo Mediaset deciso di precludere l’ accesso all’ assemblea ai giornalisti. Spiegando all’ assisele motivazioni di questa scelta, il vice presidente e ad di Cologno, Pier Silvio Berlusconi, ha detto: “oggi non c’ erano argomenti che richiedessero una conferenza stampa e quindi abbiamo ritenuto che non fosse necessario far partecipare i giornalisti”. “La società”, ha ribadito, “è assolutamente trasparente e ha contatti quotidiani con la stampa”. – Il comunicato stampa Mediaset (pdf)

I tg regionali sono la spina dorsale dell’ informazione Rai, dice il dg Orfeo, sulla TgR che compie 38 anni. Il direttore della testata, Morgante: noi prima linea giornalistica per il servizio pubblico

Prima Comunicazione

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Compie oggi 38 anni la Tgr, la testata Giornalistica Regionale della Rai, che diede il via alle trasmissioni nel 1979 e che oggi produce ogni anno 8.500 ore di informazione televisiva e 6.200 ore di informazione radiofonica. “Con le sue 24 redazioni diffuse su tutto il territorio italiano è la spina dorsale dell’ informazione prodotta dal servizio pubblico”, ha detto il dg di Viale Mazzini Mario Orfeo. “L’ articolazione regionale dell’ offerta informativa è una ricchezza e si coniuga compiutamente con l’ informazione nazionale realizzata dalle nostre testate”, ha aggiunto. Mario Orfeo (foto Ansa) “In quasi quattro decenni l’ informazione di prossimità ha cambiato volto con un’ offerta al pubblico che comincia al mattino, con ‘Buongiorno Italia’ e ‘Buongiorno Regione’, e finisce intorno a mezzanotte con l’ ultima edizione del tg regionale”, ha commentato il direttore della testata Vincenzo Morgante. “Siamo la prima linea giornalistica della Rai nel Paese perché i nostri inviati sono immediatamente operativi quando accadono fatti gravi ed emergenze, pronti ad andare in diretta negli spazi regionali del servizio pubblico radiotelevisivo ma anche in tutti i tg e gr nazionali della Rai con una informazione tempestiva e di primissima mano”. “Per questo il nostro motto è Tgr, vicini al territorio, vicini a voi; lo stesso motto con cui diamo vita, per una settimana al mese, a specifiche campagne sociali che coinvolgono tutte le trasmissioni regionali”, ha ribadito ancora Morgante, ricordando come la testata non produca solo “tg, gr e le trasmissioni televisive del mattino, ma anche appuntamenti tv quotidiani e settimanali”. Vincenzo Morgante (foto Olycom) Nella settimana da Natale a Capodanno, segnala infatti una nota Rai, tutta l’ informazione Tgr in Italia si focalizzerà sui volontari e sulle loro storie, mentre il mese scorso si è occupata delle opere compiute e incompiute e spesso le sue campagne sociali affrontano i temi della legalità, della cultura civica e del rapporto fra istituzioni e cittadini. Proprio in questi giorni ricorrono anche i 25 anni di ‘Leonardo- il tg della scienza e dell’ ambiente’, un vero e proprio telegiornale, trasmesso dal lunedì al venerdì su Rai3 poco prima delle 15, che insieme alle notizie da tutto il mondo, propone notizie scientifiche e ambientali da tutte le regioni italiane, raccogliendo ogni giorno oltre un milione di spettatori. Nel panorama produttivo della Tgr rientrano altri programmi informativi in onda su Rai3, come ‘Petrarca’, in onda il sabato alle 13.00, ‘Mezzogiorno Italia’ (sabato 13.30) con il racconto di un sud intraprendente e innovativo; e ‘Il settimanale’ (sabato – 12.30). “In questi mesi la TGR sta varando appositi spazi dedicati all’ informazione di prossimità anche sul web e sui social, per offrire nuove piattaforme informative locali ai cittadini”, ha concluso Morgante.

Berlusconi blinda Mediaset più vicina la pace con Vivendi

La Repubblica
sara bennewitz aldo fontanarosa
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La Vivendi di Bolloré neanche si presenta all’ assemblea di Mediaset. È un’ assenza carica di significati, che permette al gruppo Berlusconi di blindare in scioltezza il consiglio di amministrazione contro l’ ingerenza di possibili minoranze. La mossa lascia intendere che ora è più vicina la pace tra Vivendi e Mediaset stessa. Anche se la maggioranza degli azionisti di Mediaset diversi da Fininvest – tra cui Amber (2,5%) e Blackrock ( circa l’ 1%) – hanno votato contro le modifiche dello statuto, la mozione dei Berlusconi è passata lo stesso. Se Fininvest, invece che votare la sua stessa proposta, avesse lasciato decidere il mercato, lo statuto non sarebbe cambiato. E invece nella primavera del 2018, l’ attuale consiglio che è in scadenza verrà rinnovato, e si ridurranno sia il numero dei consiglieri ( oggi pari a 17) – che in futuro dovranno oscillare tra un minimo di 7 e un massimo di 15 – sia il numero di quelli riservati alle minoranze, oggi pari al 60% del totale. Nel 2018, invece, il mercato potrà indicare tra due amministratori ( nel caso di un cda a 11) e tre ( con un consiglio tra 12 e 15), un quorum così ridotto da non poter influenzare alcuna decisione. Insieme a Fininvest ( 39,5%) ieri ha votato solo un 5% del capitale, di cui il 2,87% è in mano a Ennio Doris, e il resto ad amici piccoli investitori e manager fidati come Fedele Confalonieri (lo 0,03%), Giuliano Adreani e Gina Nieri. L’ assemblea ha inoltre approvato a maggioranza l’ introduzione di una lista del management, una pratica che di solito è utilizzata solo nelle public company come Prysmian. Invece nel caso delle tv di Cologno la lista dovrebbe essere promossa dall’ ad Pier Silvio Berlusconi, la cui famiglia possiede il 39,5% dell’ azienda. Chiuso con successo il cantiere della governance, ora la famiglia Berlusconi si potrà concentrare su quello delle alleanze, firmando da un parte la pace con Vivendi e dall’ altra un accordo con Telecom Italia sui contenuti. In proposito Telecom Italia – controllata da Vivendi – sta negoziando un accordo pluriennale per trasmettere i contenuti di Mediaset, che partirà dall’ estate 2018, e uno sul calcio che invece dovrebbe iniziare con il girone di ritorno della serie A, e quindi dal prossimo gennaio. Nell’ ambito della trattativa, Mediaset potrebbe anche rilevare una quota della joint venture tra Timvision (60%) e Canal+ (40%) riservandosi un diritto di rivenderla ( put) a Telecom. Ma per definire tutti gli accordi, ci vorrà ancora un po’ di tempo. Per questo gli avvocati di Mediaset e Vivendi hanno chiesto un nuovo rinvio dell’ udienza per la causa di risarcimento che è fissata per martedì 19 al Tribunale di Milano. Sempre il 19 dicembre, il nostro Garante per le Comunicazioni (l’ AgCom) discuterà due esposti che rappresentano un attacco fortissimo di Mediaset al concorrente Rai. In un primo esposto, Mediaset accusa il servizio pubblico tv di vendere i suoi spot a prezzi di saldo, con tariffe stracciate. Questa politica di dumping, a giudizio del Biscione rappresenta un grave danno ai concorrenti della Rai che può svendere gli spazi pubblicitari solo perché forte delle entrate da canone. Nel secondo esposto, Mediaset sostiene che Viale Mazzini dovrebbe rispettare sempre un affollamento pubblicitario pari al 4% settimanale. Le compensazioni della Rai – che tocca il 5 su Rai1 e si ferma al 3 su Rai2 – per il gruppo Berlusconi sono illecite.

Disney-Sky, anche in Italia la sfida tv

La Repubblica

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roma Gennaio del 2018 sarà un anno chiave, forse storico per la tv italiana. Uno dei giganti della Rete ( Amazon il principale indiziato) potrà comprare un pacchetto di partite della Serie A: poche, ma di grande lustro. E sempre a gennaio i manager di Sky Italia ( la preda) e i manager di Disney ( i predatori, i compratori) avvieranno i tavoli tecnici per unire i destini delle loro aziende. Gennaio del 2018 segnerà dunque l’ inizio della guerra totale tra le sigle storiche dell’ intrattenimento (come Sky e Disney, ora unite) e le nuove come Amazon o Netflix. Guerra che si giocherà sui contenuti e le offerte commerciali. Il 4 gennaio, la Lega Calcio e il consulente Infront presenteranno il bando per i diritti di trasmissione della Serie A. Un presidente di club tra i più influenti racconta che il bando offrirà anche un pacchetto di partite – non tante, ma di notevole richiamo – ai colossi di Internet. Alcune sfide chiave del nostro calcio saranno visibili, quindi, via web nei prossimi tre anni. Sarà un momento di svolta perché gli editori della Rete, per la prima volta cacceranno nella riserva che è sempre stata di Mediaset Premium, della Rai, soprattutto di Sky. E Sky non porgerà l’ altra guancia, soprattutto adesso che la pay- tv cambia padrone e finisce nella pancia della Walt Disney, insieme a gran parte dell’ impero Fox della famiglia Murdoch. I manager di Sky e Disney inizieranno a studiare il rilancio di Hulu, che è il catalogo di serie tv, cartoni animati e sport proprietà della Disney. La rotta di marcia? Hulu diventerà sempre di più l’ antagonista di Netflix e Amazon Prime Video, grazie alle sinergie tra le reti di Fox e di Disney. Ma sarebbe ingenuo pensare che Hulu sarà inarrivabile e straordinaria. Disney e Sky la faranno crescere il giusto, senza esagerare. Hulu dovrà contrastare Netflix, certo; e manterrà prezzi vantaggiosi ( oggi negli Usa costa 5,99 dollari per il primo anno, con un mese gratuito). Ma non dovrà trasformarsi in un Frankenstein fuori controllo. La nuova Hulu non potrà essere, in altre parole, un concorrente della consorella Sky. Non dovrà spingere gli abbonati di Sky ( che pagano tanto per vedere le serie tv oltre al calcio) a ripiegare felici sull’ offerta low cost di Hulu. Gli equilibri sono tutti da trovare. E le news? SkyTg24 non sembra a rischio perché Disney – proprietaria dell’ americana Abc – ha una storica consuetudine con il giornalismo. – a.fon. Risparmi da record Walt Disney calcola che l’ unione con Fox permetterà risparmi e sinergie per due miliardi di dollari.

Baldini + Castoldi pensa positivo. E riparte dal «più»

Corriere della Sera
di Ida Bozzi
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Un nuovo logo e l’ annuncio di un sostanziale pareggio di bilancio: netto cambio di passo per il marchio che fu Baldini & Castoldi e ora, accantonata la «&» commerciale, diventerà Baldini + Castoldi (anche abbreviato: B + C) e avrà come simbolo il segno «più». Intanto, il nuovo logo, già da gennaio: ideato dal designer e architetto Pierluigi Cerri, propone il cambiamento del carattere tipografico, che diventa un Bodoni, e l’ introduzione del «più», segno dell’ addizione e simbolo della positività, spiega Elisabetta Sgarbi, editore de La nave di Teseo che ha acquisito nel giugno 2017 Baldini & Castoldi. «Siamo “entrati” nel secondo semestre – spiega Sgarbi – e quest’ anno abbiamo già pubblicato titoli con grafica rivisitata da Cerri. Ma con il marchio si è fatto un lavoro diverso. Premessa: il logo de La nave di Teseo è costituito da due onde in cui alcuni vedono una nave e molti vedono un sorriso. Ebbene, anche se Cerri ha lavorato in modo autonomo, direi che ha elaborato qualcosa di molto vicino al sorriso della Nave: il segno “più” rappresenta un atteggiamento di positività che, nonostante tutte le difficoltà della vita, vorremmo avere sempre». Il segno positivo è un buon auspicio per il marchio, sottolinea Sgarbi: «Baldini + Castoldi chiude questo semestre in sostanziale pareggio, dopo il periodo complesso attraversato negli ultimi anni. I titoli pubblicati grazie all’ intenso lavoro di questi mesi da parte di tutti noi hanno dato risultati importanti e hanno invertito la rotta: mi riferisco all’ inedito di Giorgio Faletti, a Rinascimento di Vittorio Sgarbi e Giulio Tremonti, all’ inchiesta di Giulia Innocenzi sul rapporto tra industria farmaceutica, consulenze e vaccini, al memoir di Al Bano Carrisi dedicato alla mamma, a Mattia Torre, a Monaldi&Sorti. Solo per citarne alcuni». Positiva anche l’ annata de La nave di Teseo, tiene a precisare Elisabetta Sgarbi: «Non solo chiude in pareggio già al secondo anno di vita, ma raggiunge più o meno i ricavi dello scorso anno con il solo cartaceo, oltre 13 milioni di euro lordi di fatturato. Ho letto su quotidiani finanziari che non saremmo decollati, risponderei che abbiamo superato la fase del decollo e siamo pienamente in volo, o in mare, con le nostre tre navi, La nave di Teseo, Baldini e Oblomov». Quali saranno i primissimi titoli di B + C nel 2018? «Il nuovo romanzo di Patrick Fogli A chi appartiene la notte che – conclude l’ editrice – secondo noi, il direttore editoriale Alberto Rollo e il vicedirettore generale Luca Ussia in testa, consacra questo scrittore. E poi Scomparsi di Heylen Beck ( nom de plume per il bestseller Stuart Neville), thriller venduto in tutto il mondo. E in primavera due importanti rilanci: “Linus” e la Tartaruga, marchio storico di narrativa femminile».

Agcom: focus bilanci, editoria perde un mld di euro nel quinquennio ma nel 2016 i ricavi tornano in terreno positivo

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Nel quinquennio 2012-2016 i ricavi delle principali imprese televisive sono aumentati
di circa 220 milioni di euro, in particolare grazie alla ripresa registrata a partire dal
2015. Questo andamento è principalmente dovuto all’incremento degli introiti del
canone televisivo (+180 milioni di euro dal 2012 al 2016) e dei servizi televisivi a
pagamento (+70 milioni di euro), mentre gli introiti pubblicitari, seppure in crescita
nel 2015, su tutto l’arco temporale considerato si sono ridotti di 160 milioni di euro
rispetto al 2012. È quanto si legge nel Focus sui bilanci aziendali nel settore dei media
pubblicato oggi dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni nel quale vengono
illustrati, in maniera sintetica, le principali risultanze consolidate derivanti dall’analisi
dei bilanci delle principali imprese operanti nel mercato televisivo e dell’editoria,
quotidiana e periodica.
Relativamente al settore televisivo, gli indici reddituali mostrano, a partire dal 2013,
un trend negativo: la redditività lorda (ebitda) passa dal 24,9% dei ricavi nel 2013 al
18,3% nel 2016, mentre quella netta (ebit) passa +1,6% nel 2013 a -3,5% nel 2016.
Questa dinamica consente di affermare che, a livello di settore, le imprese mostrano
una certa capacità a generare reddito con le attività core anche se sulla loro gestione
gravano oneri diversi (tra cui le politiche di ammortamento e di accantonamenti vari)
tali da deprimerne i risultati finali. Inoltre, sul valore degli indici a livello di intero
settore, incide non poco la presenza tra i player di mercato dell’operatore designato
ad offrire il servizio pubblico, il cui modello di business si differenzia da quello degli
operatori che hanno natura commerciale. Relativamente stabile risulta essere il
ricorso ai mezzi propri per finanziare l’attività mentre in media, per ciascun anno
considerato, il patrimonio netto complessivo è stato circa il 32% delle passività.
Infine, a livello di comparto, con circa 22.000 addetti nel 2016, l’occupazione rimane
sostanzialmente stabile rispetto ai livelli osservati nel 2012.
Per quanto riguarda invece il settore dell’editoria, nel periodo osservato (2012-2016),
i ricavi complessivi si sono ridotti di quasi un miliardo di euro (-16,6%): in particolare,
la parte di ricavi ottenuti in Italia, pari a circa 4 miliardi di euro nel 2016, si è ridotta
del 18,3% (-900 milioni di euro). Tuttavia nel 2016, sia i ricavi complessivi sia quelli
domestici sono in crescita, rispettivamente del 7,1% e del 6%. Tale andamento è in
parte riconducibile all’aumento dei ricavi sui mercati esteri (+12,9%), e, riguardo al
mercato interno, ad una crescita degli introiti pubblicitari (+5%) che compensano
l’ulteriore calo dei ricavi provenienti dalla vendita di copie (-0,6%). Il margine
operativo lordo (ebitda), mediamente pari al 6,3% dei ricavi durante il periodo 2012-
2016, raggiunge il 9,2% nel 2016, mentre il margine operativo netto (ebit), con un
valore medio di periodo uguale a -4,3%, nel 2016 è tornato su valori positivi
(+1,5%). Se è vero che i margini lordi del comparto dell’editoria risultano più bassi
rispetto a quelli mostrati dal comparto televisivo, è altrettanto evidente una minore
incidenza, per il comparto dell’editoria, delle politiche di bilancio connesse agli
ammortamenti ovvero ad altri accantonamenti. Per quanto riguarda i livelli
occupazionali, gli effetti della crisi dell’editoria cartacea sono stati molto
considerevoli: tra il 2012 ed il 2016 le imprese considerate hanno ridotto gli organici
del 16,9% (-2.800 unità).

Rassegna Stampa del 17/12/2017

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Indice Articoli

Un magistrato e un editore: associazione per i giovani del centro antico

«Detassare la beneficenza per rilanciare il Terzo settore»

Google e Facebook sono troppo grandi?

Fusione Disney-Fox. A noi non resta che “Don Matteo”

Il flirt di Giggino con i grandi giornali: «Vuole usarli per arrivare al potere»

La direttiva Ue sul copyright si ispira all’ Italia

Donald Sassoon

L’ IMPEGNO DELL’ EDITORE

Io e Gomorra rivoluzione criminale

Un magistrato e un editore: associazione per i giovani del centro antico

Corriere del Mezzogiorno

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Nasce a Napoli, a Palazzo Marigliano, l’ Associazione Arti e Mestieri, nel cuore del centro storico, l’ Associazione Arti e Mestieri. Promossa dall’ imprenditore Rosario Bianco, patron di Rogiosi editore, e dal magistrato Catello Maresca, sostituto Procuratore della Repubblica Gruppo Antiterrorismo e Reati contro la Pubblica Amministrazione. Il nuovo organismo propone un progetto di educazione sostenibile e solidale, che si impegni nella valorizzazione delle risorse locali, culturali, artistiche e umane. Nella sede di Palazzo Marigliano, scelta non a caso nel cuore pulsante della città – a pochi metri da via San Gregorio Armeno, la strada dei presepi e dell’ arte partenopea per eccellenza, quella presepiale – , l’ Associazione Arti e Mestieri si muoverà in due direttrici principali: il recupero delle tradizioni manifatturiere partenopee e la formazione e avviamento al lavoro di giovani provenienti da realtà difficili e disagiate. I ragazzi potranno imparare un mestiere, o avviarsi a una forma artistica, scegliendo tra proposte variegate il percorso da seguire. L’ Associazione Arti e Mestieri verrà presentata al pubblico domani alle 18 a palazzo Marigliano Nell’ occasione verrà inaugurata la Mostra «Antichi Mestieri», allestita presso le sale della sede, che espone le preziose riproduzioni degli Antichi mestieri della collezione Bianco – Rogiosi editore, opere del maestro Marco Abbamondi. Oggi i fondatori dell’ Associazione Arti e Mestieri, Rosario Bianco e Catello Maresca, si recano a Lacco Ameno, sull’ isola d’ Ischia, per incontrare le famiglie dei terremotati, alle quali verranno donati in segno di speranza, in sintonia con il messaggio di positività e fiducia trasmesso dal Natale imminente, delle sculture raffiguranti la Natività.

«Detassare la beneficenza per rilanciare il Terzo settore»

Corriere della Sera
Paolo Foschini
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MILANO Detassare senza limiti la beneficenza. L’ editore del Corriere della Sera , Urbano Cairo, l’ ha rivendicata come una «tra le battaglie a cui il Corriere crede fortemente» e come presidente di Rcs Mediagroup l’ ha rilanciata ieri – 59° Giornata nazionale del cieco – nel ricevere la Medaglia d’ oro con cui l’ Istituto dei ciechi di Milano lo ha premiato per Buone notizie , il settimanale che da settembre viene distribuito gratuitamente ogni martedì con il quotidiano per raccontare le «cose che funzionano»: in particolare ma non solo, come ha sottolineato Cairo, sul fronte del Terzo settore. A consegnargli il riconoscimento è stato il presidente dell’ Istituto milanese, Rodolfo Masto, che in una mattinata dedicata anche alla memoria delle importanti conquiste dell’ Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti si è soffermato su «quello che a mio avviso – ha detto – deve essere il nostro prossimo obiettivo, intendo nostro come Unione dei ciechi ma più in generale del mondo che chiamiamo Terzo settore: la defiscalizzazione di quello che riceviamo rispetto al servizio che offriamo». E ha chiesto: «È giusto che l’ Istituto dei ciechi paghi un milione all’ anno di tasse a fronte di tutto quello che fa?». Proprio la detraibilità della beneficenza è l’ argomento a cui Buone notizie ha dedicato l’ inchiesta dell’ ultimo numero. E Urbano Cairo lo ha ripreso dicendo che «sarebbe veramente molto importante, ed è una battaglia che il Corriere sta facendo, che anche in Italia come accade in altri Paesi del mondo la beneficenza non fosse tassata e che si potesse detrarre senza limiti, perché tutto questo porterebbe sicuramente molta gente a farne di più verso coloro i quali, come diceva Rodolfo, svolgono servizi che senza questi enti graverebbero sulla collettività». Intanto a Verona anche l’ Unione cattolica stampa italiana ha assegnato al Corriere per il settimanale Buone Notizie il Premio speciale della Conferenza episcopale del Triveneto «Giornalisti e società. La professione giornalistica al servizio dell’ uomo». Con la seguente motivazione: «Il primo quotidiano italiano riconosce che il bene fa notizia e merita di essere raccontato perché la virtù è assai più contagiosa del vizio».

Google e Facebook sono troppo grandi?

Corriere della Sera
Giuditta Marvelli
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E se, nel futuro di Google, Facebook, Amazon & ci fosse uno spezzatino? La metafora culinaria accenna al fatto che per ricondurre a dimensioni accettabili l’ enorme potere accumulato dai nuovi monopolisti digitali, una strada potrebbe essere quella percorsa dagli Stati Uniti nel 1982, quando il gigante telefonico At&t venne «smembrato» dall’ Antitrust. Altri tempi, altre prove di forza. Ma i problemi, a quanto pare, tornano a riproporsi molto simili. Ne ragiona «L’ Economia», in edicola domani con il Corriere della Sera . «Nel 1982 si trattava di preservare il principio alla base del libero mercato, e cioè la possibilità di evitare posizioni dominanti, alla stessa maniera oggi si dovrebbe capire come meglio affrontare il potere raggiunto dai giganti del web», dice la lunga analisi che apre le 56 pagine del numero. Dalla spinosa vicenda delle tasse non pagate fino alle proteste per l’ eccessiva disinvoltura con cui si trattano i nostri dati – anche se in molti casi ci hanno semplificato parecchio la vita -, i segnali che l’ era dei big data richieda una svolta, anche politica e legislativa, ci sono tutti. Come andrà a finire? «L’ Economia» prova a disegnare gli scenari e a fare l’ appello delle idee in campo. La copertina del settimanale è dedicata a Chiara Ferragni, l’ influencer da 11,2 milioni di «seguaci» su Instagram, che per la prima volta concede una lunga intervista sui suoi progetti imprenditoriali. Una donna da 30 milioni di fatturato, che racconta come il blog da cui dava consigli di moda si sia trasformato in un gruppo articolato di cui è presidente e amministratore delegato. «Il core business è la talent agency che rappresenta me e mia sorella Valentina – dice Ferragni – assorbe il 40% dei costi e porta il 90% dei ricavi». E ancora: pubblico, privato, esportazioni sono le tre facce dell’ Italia che ci definiscono e rappresentano il nostro punto di forza e il nostro limite. Tra le storie aziendali c’ è il rilancio di Avio, i programmi italiani della nuvola di Microsoft, le partite aperte di Fininvest e la sfida dei piccoli editori indipendenti che hanno fatto grandi (relativamente) numeri. Mentre tra i personaggi brilla la sfida natalizia tra i due big boss di Lego e Sony. Due multinazionali che sono arrivate sull’ orlo del fallimento e poi si sono reinventate. Poi c’ è il ritratto di Bob Iger, il papà Disney 4.0 che comprerà un pezzo dell’ impero di Murdoch per fronteggiare Netflix. Infine il risparmio. Un regalo finanziario da mettere sotto l’ albero in tre idee. Come costruire un tesoretto, una pensione integrativa o un progetto per pagare gli studi. I conti e le indicazioni per utilizzare gli strumenti più adatti. Il barile a 66 dollari non si vedeva dal giugno 2015: farà riaccendere un faro sui titoli di Piazza Affari legati all’ energia? Il freddo, la ripresa e l’ incidente in Austria spingono in questa direzione. Se è vero le azioni del petrolio torneranno alla ribalta.

Fusione Disney-Fox. A noi non resta che “Don Matteo”

Il Fatto Quotidiano
Roberto Faenza
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Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur. Ricordate il grido di dolore del cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo per l’ assassinio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa? Lo stesso potremmo dire oggi: mentre i francesi di Vivendi litigano con gli italiani di Mediaset, il mondo della comunicazione viene espugnato. È successo che due giganti, Disney e Fox, si sono fusi per dominare il pianeta. La Fox dello squalo Rupert Murdoch conquista lo scettro di primo azionista della Disney, scalzando Laurene Powell, la vedova di Steve Jobs. La fusione manda in soffitta le ambizioni di chiunque altro voglia vendere news, sport e soprattutto cinema e fiction. I nostri media hanno dato il giusto peso alla notizia, ma temo non si siano resi conto di cosa significherà per gli spettatori italiani. Rai e Mediaset possono cominciare a tremare: se non si trasformeranno radicalmente la loro estinzione è prossima. Forse ha ragione il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda, quando afferma che per salvare la Rai andrebbe messa sul mercato, cioè privatizzata. Mediaset lo è già, ma non sarà l’ eventuale pacificazione con i francesi del mini-squalo bretone Vincent Bollorè a metterla al riparo dall’ assalto dell’ accoppiata Disney-Fox. La prima conquisterà il podio nella produzione di film ultraspettacolari, mentre la seconda con Sky fagociterà il resto, dalle news alle altre forme di intrattenimento. Tramite le reti Fox, la Disney potrà bussare alla porta dei numerosi milioni di abbonati Sky, mentre questa potrà mettere piede nella library più amata al mondo da adulti e bambini. Se questo è il panorama che ruolo potremo avere noi? Prendiamo il caso del cinema: il costo medio italiano si aggira attorno ai 3 milioni di euro. Il film medio americano è venti volte tanto. Il nostro mercato, salvo rare eccezioni, non va oltre Chiasso. Quello americano è il mondo. Con l’ accordo tra Disney e Fox il divario crescerà ancora, lasciando a noi le briciole. Ve lo immaginate il nostro Don Matteo targato Rai combattere contro i Game of Thrones di domani? E che dire delle serie Mediaset, sempre più ripetitive e stanche? Anche se Vivendi, Mediaset e Rai trovassero un accordo per fronteggiare il colosso d’ oltre oceano, la partita resterebbe impari. Anche perché, tanto per restare nel campo dell’ intrattenimento, il nostro cinema e le nostre fiction risentono di una soffocante subordinazione al potere politico. Né la nostra televisione privata e tantomeno quella pubblica sono riuscite a liberarsi da questo giogo mortificante. Lo spettatore italiano quando va al cinema o resta a guardare la tv nella maggioranza dei casi è costretto a sorbirsi commediole insulse e serie tv ispirate al buonismo più insopportabile. Non bastano i successi di Gomorra o del commissario Montalbano a fare primavera, perché il resto è zavorra, utile solo a tenere in piedi un’ industria composta da un pugno di appaltatori che, come li ha definiti il cinico Aurelio De Laurentiis, sono “più prenditori che imprenditori”. A vedere il cinepanettone che ha appena sfornato lui, fatto di volgari rimasugli delle annate precedenti, c’ è da chiedersi come definirebbe se stesso. Mettendosi insieme Disney e Fox hanno capito che l’ unione è la risposta vincente di fronte all’ offensiva del web e dello streaming. All’ ok Corral a sparare c’ erano Burt Lancaster e Kirk Douglas, qui l’ assalto arriva da gruppi che investono così tanto denaro che noi europei manco ci sogniamo. Apple ha sinora immesso in produzioni originali 500 milioni di dollari: li porterà a oltre 4 miliardi nei prossimi anni. Amazon, che mira a superare Netflix, spenderà circa 8 miliardi di dollari l’ anno per cinema e fiction. Se guardiamo ai nostri investimenti vien da piangere. Rai e Mediaset, che complessivamente nel 2014 investivano nella fiction circa 500 milioni di euro l’ anno, oggi invece di crescere sono scesi a meno di 300 milioni. Dunque che fare? Forse aveva ragione Furio Scarpelli, lo sceneggiatore dei tempi d’ oro della commedia all’ italiana insieme ad Age, quando affermava che a noi italiani per salvarci resta solo la genialità.

Il flirt di Giggino con i grandi giornali: «Vuole usarli per arrivare al potere»

Il Giornale
Domenico Di Sanzo
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Domenico Di Sanzo È la stampa, bellezza. Il M5s a guida Luigi Di Maio, tra un viaggio all’ estero, un inchino al Vaticano e un giretto nel Nord produttivo, ha scoperto anche il fascino delle rotative. Soprattutto di quei giornali che, secondo il candidato premier grillino, contano davvero. Il capo politico del M5s da tempo è impegnato in una strategia di accreditamento nei confronti dell’ establishment che passa, volente o nolente, attraverso un rapporto meno bellicoso con la cosiddetta «grande stampa». E il flirt è ricambiato. Tra novembre e dicembre Luigi Di Maio ha inanellato un bel tris di interviste. Il 7 novembre scorso, a margine del teatrino sul confronto televisivo con Matteo Renzi e alla vigilia della sua ultima missione negli Usa, Di Maio si concede al Corriere della Sera. E spiega: «La vera sfida ora è coinvolgere coloro che non vanno a votare in un progetto di partecipazione attiva. Non chiediamo loro di votarci, ma di farsi promotori di progetti per migliorare le proprie città e le proprie regioni». In assenza di notizie, questa frase, un po’ banale, diventa il titolo dell’ intervista pubblicata dal quotidiano di Via Solferino. Di Maio si rivela un grande esperto nella specialità del dribbling della domanda e sfodera la sua migliore grisaglia democristiana quando, nello stesso colloquio col Corriere, dice che non servono azioni clamorose di protesta per «mandare a casa i vecchi partiti». E un bel «vaffa» a quel burlone di Beppe Grillo che i giornalisti se li vuole «mangiare per poi vomitarli». I due, infatti, da sempre la pensano in modo molto diverso sul dossier «rapporti con la stampa». Un ex collaboratore di Di Maio al Giornale la racconta così: «Luigi mal sopportava l’ astio di Grillo nei confronti dei giornali, perché li considera, insieme alla Rai, uno strumento per arrivare al potere. Che è sempre stato il suo unico obiettivo». La doppietta del capo politico arriva il 29 novembre. Quando Di Maio sceglie di nuovo il Corrierone per strombazzare ai quattro venti: «Farò anche io le parlamentarie, correrò in Campania, e quando arriveremo al governo taglieremo 400 leggi». E precisa che lui e l’ ex fidanzata Silvia Virgulti sono «rimasti amici». Perché il nuovo grillismo di Di Maio vuole apparire «moderato» pure sotto le lenzuola. Passa poco più di una settimana e il candidato premier del Movimento si traveste da europeista. E ci tiene a farlo sapere attraverso l’ austera Stampa di Torino. È il 7 dicembre e il leader grillino nuovo di zecca dice: «L’ Europa può salvarci, è un veicolo per portare i popoli verso una qualità di vita e un benessere maggiore». E poi: «Vogliamo restare nell’ Ue e senza ultimatum». Ma non c’ è solo Di Maio: il 13 novembre il Corriere Economia intervista Davide Casaleggio con lo scopo di fargli spiegare «l’ intelligenza artificiale». Cioè proprio uno dei settori principali della Casaleggio Associati. E pensare che il padre Gianroberto Casaleggio nel 2014 profetizzava: «In Italia i giornali spariranno nel 2027». Ma il visionario non aveva vaticinato la trasformazione della sua creatura politica.

La direttiva Ue sul copyright si ispira all’ Italia

Il Sole 24 Ore
Valeria Falce
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La legge italiana sul diritto di autore è oggi più che mai un importante punto di riferimento nel processo europeo di modernizzazione delle regole a tutela dei contenuti digitali creativi. Nella bozza di direttiva sul copyright la Commissione europea proponeva, infatti, di introdurre all’ articolo 11 un nuovo diritto assoluto a favore degli editori di opere giornalistiche, che dunque avrebbero potuto decidere se autorizzare o vietare la riproduzione e comunicazione al pubblico dei contenuti digitali. Le esigenze alla base del nuovo diritto erano dichiarate e sono oggi confermate nei Considerando 31 e seguenti della bozza: agevolare la circolazione diritti e rafforzarne l’ effettività, promuovere un più maturo bilanciamento tra l’ interesse degli autori/editori e quello generale, a salvaguardia «della stampa libera e pluralista» e a garanzia del «giornalismo di qualità e l’ accesso dei cittadini all’ informazione», e in ultima analisi, consentire ad editori e autori di partecipare “ad armi pari” alla catena del valore e così fronteggiare i cambiamenti radicali innescati dall’ economia digitale. La scelta normativa del resto non era peregrina ma sembrava trovare conforto in alcuni autorevoli precedenti nazionali. Germania e Spagna hanno introdotto regole ispirate alla medesima finalità, assicurare cioè “la sostenibilità” del settore dei media e dell’ entertainment attraverso la compartecipazione alle nuove forme di sfruttamento promosse da aggregatori e operatori on line. Sennonché, l’ articolo 11 è stato accolto con favore per le intenzioni perseguite, vale a dire perché ispirato all’ esigenza di rilanciare il settore dell’ editoria tradizionale, scongiurando forme di free ridiing e di appropriazione indebita. È stato invece contestato per la tecnica giuridica prescelta. Nei sistemi tradizionali, e in Italia in primis, sono gli autori i titolari originari delle opere e non gli editori. Questi ultimi sfruttano i diritti economici sulle opere e godono di un diritto di secondo livello, derivativo, che in quanto tale presuppone ed è condizionato all’ esistenza del diritto dell’ autore sull’ opera creativa. D’ altra parte, per evitare forme di sfruttamento parassitario, sempre in Italia, i titoli degli articoli e gli estratti sono sì protetti ma non attraverso le regole autoriali, che presuppongono un certo gradiente di creatività e originalità, quanto piuttosto attraverso le regole della concorrenza sleale. La nuova posizione comune di Consiglio e Parlamento, annunciata negli scorsi giorni, sembra far tesoro dell’ impianto sistematico continentale, allineandosi in larga misura alla lettera e al rationale della legge italiana. Il nuovo articolo 11 non cambierà ragione ispiratrice, cambierà piuttosto la lettera della norma, introducendo una presunzione. Si presumerà insomma, sino a prova contraria, che l’ autore di un’ opera giornalistica abbia ceduto i propri diritti all’ editore e che dunque questi possa attivarsi per perseguire i comportamenti illeciti altrui. La scelta è del tutto condivisibile perché, oltre a conformarsi ai principi fondanti la disciplina autoriale, realizza le finalità che la norma si riprometteva di raggiungere, vale a dire facilitare la diffusione delle opere nel rispetto delle regole, rafforzare il ruolo degli editori, che hanno maggiore potere negoziale rispetto agli autori, e consentire agli uni e agli altri di partecipare al valore generato dalla circolazione on line dei contenuti autoriali. Certo, nel quadro che si va delineando, gli estratti delle opere digitali rimangono al di fuori dell’ area di protezione autoriale, a meno che non qualifichino in quanto tali opere dell’ ingegno (conclusione questa non impossibile, tenuto conto che la Corte di giustizia ha stabilito che 11 parole estratte da un’ opera più ampia possono essere meritevoli di tutela autoriale) e sempre che l’ opera originale dalla quale sono tratte non fosse riservata ad una cerchia ristretta di utilizzatori (vuoi in abbonamento vuoi attraverso password di accesso). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Donald Sassoon

La Repubblica

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di Antonio Gnoli, ritratto di Riccardo Mannelli Nel suo ottimo italiano dice che il tempo cancella un po’ per volta la vita ma lo storico tra i vari compiti ha anche quello di ridisegnarla. In fondo il lavoro di Donald Sassoon – che martedì sera riceverà il Premio Napoli Internazionale – lo si può collocare dentro questa esperienza che è insieme mentale e oggettiva. Come storico dice di essersi occupato di parecchie cose relative al secolo scorso: «Non è facile trovare una definizione che soddisfi interamente la domanda su cosa sia stato il Novecento. Un quadro plausibile fu credo quello che disegnò Eric Hobsbawm con l’ espressione “secolo breve”». Lei è stato allievo di Hobsbawm. Che ricordo ne conserva? «Il ricordo è eccellente, anche se in realtà non ho avuto un rapporto diretto del tipo allievo- maestro. Presi con lui a Londra il PhD, in pratica il vostro dottorato, ma senza una particolare frequentazione. Apprezzavo le sue opere e in seguito continuammo a sentirci e a vederci abbastanza spesso. Si parlava di politica e di storia ed ero colpito dalla sua tolleranza verso coloro che non la pensavano come lui. Ai suoi occhi bastava che fossero delle persone intelligenti». Ma la definizione di “secolo breve” la convince? «Le periodizzazioni hanno sempre un certo grado di arbitrarietà. Potrei risponderle che il Novecento è nato effettivamente nel 1914 come pensava Eric, ma anche nel 1870 con la guerra franco-prussiana. Potrei perfino aggiungere seguendo i libri di storia che tra il 1914 e il 1945 si esaurisce l’ egemonia mondiale dell’ Europa. E che nel secondo dopoguerra si assiste al tramonto degli imperi coloniali inglese e francese. Il bello dei cicli storici è che nascono e finiscono». E tutte queste date non la convincono? « Se smettessimo di essere eurocentrici e vedessimo le cose, che so, dal punto di vista della Cina, dovremmo raccontare una storia ben diversa. L’ impero cinese ha avuto una longevità sconosciuta agli altri imperi. Arriva fino ai primi del Novecento. Poi c’ è la fase del maoismo. Mao muore nel 1976. Ancora oggi il paese è sotto la guida di un partito che si dice comunista, ma che ha completamente cambiato il volto della Cina, sposando un’ economia che non ha niente a che vedere con i suoi principi ideologici». Ritiene che una contraddizione del genere sia a lungo sostenibile? «Non lo so, quello che posso dire è che l’ unico elemento che ha fatto da collante per tutto il secolo è stato il capitalismo. Nasce in Gran Bretagna nel Settecento, si espande notevolmente nell’ Ottocento e diviene mondiale dalla fine dello scorso secolo. Non ha avversari salvo forse sé stesso. Quando ero giovane ritenevo che delle forze alternative si sarebbero opposte e avrebbero potuto prevalere, ho l’ impressione di essermi sbagliato». Di quali anni sta parlando? « Della fine degli anni Sessanta. Si era entrati in un ciclo di pensiero e di convinzioni ideologiche che avevano posto al centro l’ analisi di Marx sul modo di produzione capitalistico». Viene spontaneo chiederle, visto che ci avviciniamo al cinquantenario, come giudica oggi il Sessantotto. «In quel periodo ero a Londra, le confesso che mi sarebbe piaciuto molto di più essere a Milano, dove avevo vissuto, o a Parigi, cioè in città politicamente molto più eccitanti. All’ epoca il Sessantotto sembrava l’ inizio di un cambiamento epocale. Da tempo è chiaro che non è stato così. Se si pensa ai grandi cambiamenti che sono avvenuti nel Novecento – la fine del comunismo sovietico, la crescita del fondamentalismo islamico, l’ affermarsi di potenze economiche come Cina e India – il Sessantotto non è poi stato così importante. Anche se una qualche propensione al cambiamento del costume glielo possiamo riconoscere». A cosa pensa? «Al femminismo, e al modo nuovo di intendere le convenzioni sociali: in particolare il ruolo della famiglia». La sua famiglia da dove viene? «Sono nato al Cairo, ma provengo da una famiglia ebrea di origini medio- orientali: Bagdad, poi India, da qui mio nonno emigrò ad Aleppo e infine al Cairo. Mio padre aveva un commercio import-export di cotone. In Egitto era una delle attività più floride. Dal Cairo i miei si trasferirono in Francia e poi in Italia. Ci stabilimmo a Milano. A diciassette anni decisi di continuare i miei studi in Inghilterra, prima in un college poi all’ università studiando economia. Infine maturai il passaggio alla storia». Favorito da cosa? «La mia prima laurea aveva come sfondo le relazioni internazionali, poi con il master negli Stati Uniti cominciai a occuparmi di scienze politiche. In America scoprii Louis Althusser e i testi di Antonio Gramsci. Quando tornai a Londra programmai un dottorato sul partito comunista italiano. Proposi la tesi a Hobsbawm e lui, che amava il Pci, ne fu entusiasta». Era un lavoro ideologico? «No, mi interessava analizzare le costrizioni con cui un partito come quello comunista doveva fare i conti. Era chiaro che se voleva sopravvivere in occidente non poteva prescindere da una buona dose di realismo politico che lo mettesse al riparo da qualsiasi illusione o tentazione rivoluzionaria. Sto parlando di lucidità e disincanto: due qualità che non sempre la sinistra ha avuto». Ritiene che questo ne spieghi i conflitti e le divisioni? « Fin dall’ inizio della sua storia la sinistra ha camminato divisa. Non è una novità di questi ultimi tempi. È una difficoltà che in questo momento non riguarda solo l’ Italia, ma l’ Europa tutta». Si è passati dall’ Europa sognata a quella attuale, più simile a un incubo. « Bisognerebbe tener presente che l’ Europa fu fatta, nel dopoguerra, diciamo meglio fu fondata, su delle basi costruite da partiti conservatori: Adenauer, Schuman, De Gasperi erano leader di partiti di destra, anche se moderata. La sinistra di allora era nettamente contraria all’ idea di un’ Europa unita. Oggi assistiamo al ribaltamento delle posizioni. La destra è diventata euroscettica, la sinistra – a parte qualche frangia – difende l’ europeismo». Si può spiegare l’ euroscetticismo come effetto di una globalizzazione pesante, forzata e sbagliata? «Non metterei le due cose sullo stesso piano. Gli euroscettici cavalcano la montante ostilità nei riguardi dell’ establishment. La rivolta contro le élite. Qualunque cosa esse propongano è sbagliato per definizione. La globalizzazione è un fenomeno che nasce molto prima. Recente, semmai, è il suo enorme sviluppo. In questa versione non si può parlare di globalizzazione senza il motore del capitalismo ».

L’ IMPEGNO DELL’ EDITORE

La Repubblica

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Accogliendo la richiesta dell’ assemblea di redazione di Repubblica, che ha sollecitato un chiarimento ai vertici del gruppo Gedi dopo l’ intervista dell’ ingegnere Carlo De Benedetti al Corriere della Sera, il presidente Marco De Benedetti ha inviato questa lettera, nella quale ribadisce quanto affermato davanti al Cdr mercoledì. «L’ intervista rilasciata da mio padre qualche giorno fa ha generato disorientamento, con riferimento alla posizione della Società nei confronti di Repubblica. Desidero ribadire quanto ho avuto modo di illustrare nella riunione di mercoledì scorso, e cioè: – Ho assunto la Presidenza del Gruppo a testimonianza del fatto che, insieme ai miei fratelli quali azionisti di riferimento, credo nel valore del giornale e del Gruppo e sono impegnato a lavorare per un futuro solido e vincente. – Abbiamo varato un’ importante riforma del giornale che rappresenta molto di più di un semplice restyling. Riflette la consapevolezza della necessità di dare risposte nuove che mettano al centro qualità e professionalità e la volontà di fare un giornale che vada incontro a quanto ci chiedono i nostri lettori, che sono e sempre saranno l’ unico nostro riferimento. – Determinati a mantenere la leadership nel digitale, abbiamo ampliato la nostra offerta con Rep. – D’ accordo con Mario Calabresi, abbiamo rafforzato la Direzione con la nomina di Tommaso Cerno a condirettore. Le opinioni espresse nell’ intervista non rappresentano né il pensiero degli azionisti, né quello del vertice della Società, che sono tutti determinati a proseguire sulla strada tracciata. Nell’ augurarvi buon lavoro, vi invio i miei migliori saluti». Il Cdr di Repubblica accoglie la lettera del presidente Marco De Benedetti come una pubblica e ferma dichiarazione di apprezzamento e condivisione assoluta del progetto di riforma del giornale. Ci auguriamo che il gruppo Gedi continui a sostenere con determinazione, e con i necessari investimenti, l’ impegno dei giornalisti di Repubblica per confermare il ruolo di primo piano del quotidiano nel panorama editoriale del nostro Paese. Nell’ interesse del giornale stesso, dei lettori e dell’ informazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco De Benedetti: l’ intervista di mio padre non rappresenta il pensiero degli azionisti né del vertice societario.

Io e Gomorra rivoluzione criminale

La Repubblica

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“Nessun filtro, nessuna censura: per raccontare un personaggio” dice Stefano Sollima, il regista del bestseller di Roberto Saviano “lo devi amare: non giudicare”. A costo di flirtare con il male? di Silvia Fumarola Le serie rinnovano la tradizione dei classici che al cinema non aveva più senso produrre. Ma, soprattutto, hanno preso il posto dei film ” di genere”, oggi sono il grande racconto popolare » . Da Romanzo criminale a Gomorra, Stefano Sollima ha innovato il linguaggio televisivo. Ha girato in America Soldado, sequel di Sicario, film da cinquanta milioni di euro con Benicio del Toro, sugli immigrati che cercano di passare la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Ironico, odia i moralisti che vorrebbero vedere il bene nelle serie tv e difende i personaggi estremi «che non vanno mai giudicati ». Sollima, le serie hanno cambiato il costume? « Il cinema e la televisione sono due esperienze diverse: vai in una sala per condividere. La serie è quella cosa che oggi segui sull’ iPad, in treno, sul maxi schermo della tua tv, seduto sul divano. È cambiato il costume ma è cambiato soprattutto il linguaggio: basta coi primi piani». Il cinema ha sofferto? «Si è serializzato: penso a Guerre stellari o The Avengers, scrivono il primo capitolo avendo in mente il secondo o il terzo. Il cinema oggi deve sgomitare per prendersi una fetta di pubblico. Prima di uscire i tuoi figli ti dicono: c’ è la serie su Sky, c’ è quell’ altra su Netflix. La tv non ucciderà il cinema come il cinema non ha ucciso il teatro, la competizione è sana, spinge a fare sempre meglio. Pensi a come si è alzata la sfida della creatività tra Amazon, Netflix e Hbo, a come sta facendo emergere i talenti nel mondo. E anche al cinema succede la stessa cosa». Ma incide meno delle serie tv, è come se avesse meno libertà. «Oggi il cinema deve creare l’ evento, ha senso il 3D, trasformare la visione di un film in un’ esperienza unica. Gli autori dovrebbero sorprendere gli spettatori. Devi offrire un’ idea per cui valga la pena uscire di casa, trovare parcheggio e pagare un biglietto». La tv non rassicura più. È un bene o un male? «È la grande rivoluzione. Grazie a Sky, Netflix, Amazon, si è potuto sperimentare. Il racconto è meno buonista, c’ è la rincorsa alla narrazione senza filtri e senza censura. Una sfida a farlo sempre più strano. Ho avuto tutta la libertà grazie a Sky e il pubblico può vedere le serie come vuole. Non esiste più l’ appuntamento perché sceglie come, dove e quando, ma anche il binge watching, l’ abbuffata, crea un vincolo esclusivo. Inizi ad amare un personaggio come se facesse parte della tua famiglia». Per Hanif Kureishi le serie sono il mezzo ideale per esplorare il personaggio “sotto pressione”. «Assolutamente sì, i personaggi hanno più sfaccettature. Mentre al cinema sei limitato, in tv puoi lavorare come fossero i protagonisti di un romanzo, hanno una complessità pari a quella delle persone vere». Li racconta senza giudicarli. Mai tentato di farlo? «Ci mancherebbe: per raccontare qualcuno non puoi giudicarlo, anzi non devi farlo. Se non l’ ami non lo racconti bene. Ogni essere umano è luci e ombre». Le critiche a “Gomorra” non sono mancate: Roberto Saviano ha dovuto personalmente rispondere ai magistrati. «Soprattutto in Italia la mancanza del bene fa paura. Lo trovo folle. È folle che intellettuali, politici e magistrati s’ interroghino su una serie e non sul fenomeno che l’ ha ispirata. Quello andrebbe preso molto sul serio». Però, a fare l’ avvocato del diavolo, gli spettatori lo prendono sul serio. «È gratificante che la gente dibatta. Mi piace essere provocatorio, va bene se fai pensare. L’ importante è fare cose non noiose, la noia e il moralismo uccidono». Quali sono le serie che hanno cambiato tutto? «Nella serialità moderna The Shield, The Wire, Breaking Bad. Ma anche Oz. La rivoluzione è partita quindici anni fa. The Wire è il modello di ispirazione più diretto per Gomorra. Cambiare i punti di vista, anzi rovesciarli, ti aiuta ad avere uno sguardo più aperto. Una volta citavi The Wire e ti guardavano: che è?». Ammetterà, tutte storie estreme. «Sì corrispondono al mio gusto. Seguivo queste serie su Hbo, quando nessuno degli intellettuali le vedeva. Ricordo certe conversazioni: ” Sai, ho visto una serie”. Ti sentivi rispondere: ” Non guardo la tv”. Oggi è nobilitante seguire le serie, anzi, si fa brutta figura se non conosci le novità». C’ è una vena polemica? «No, ironica. C’ è chi ci ha messo più tempo per capire le potenzialità». La sua rivoluzione è partita con “Romanzo criminale”. «Quando l’ ho girato avevo visto quello che si faceva nel mondo e mi sembrava allucinante che noi fossimo tanto indietro. Abbiamo portato la novità in un paese conservatore, a partire dalle facce. Per scegliere gli attori siamo andati a cercarli». Parla con passione, però ha lasciato la regia di “Gomorra”: perché? « La tv mi piace ma non quando si sviluppa a lungo, il mio contributo a Gomorra l’ ho dato, è stato anche un percorso umano, abbiamo creato un mondo. La mia creatura poteva camminare da sola, la terza serie è bellissima. Se avessi fatto per dieci stagioni Romanzo criminale, non avrei girato Gomorra. Se avessi continuato con Gomorra non mi sarei potuto dedicare a ZeroZeroZero dal libro di Roberto Saviano. Comincio a marzo, sto facendo i casting, è bello fare cose diverse». C’ è una serie che avrebbe voluto girare? «Quelle citate prima e Band of Brothers, storia di guerra kolossal, emozionante. Ma anche Black Mirror non è niente male, spregiudicata e intelligente». Non c’ è traccia di quelle in costume: “Downton Abbey” o “The Crown” «Il “period drama” non piace, non ce la faccio proprio. Non mi prende». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rassegna Stampa del 18/12/2017

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Indice Articoli

Piccoli editori i successi dei numeri primi

Facebook e google troppo grandi per sopportarli?

Papà disney arruolo Murdoch contro i big tech

Viva l’ Ing. giornalisticamente scorretto

«La nostra televisione conquista il mondo»

Il gruppo ha tre miliardi di telespettatori nel mondo e nel nostro Paese con 7 canali free è il terzo editore

Fake news, cresce l’ allarme Beffato un italiano su due

“Software e web salvano l’ editoria specializzata” Il settore vale 550 milioni

La carta stampata si vende sul web facendo leva su prezzi bassi e servizi

Piccoli editori i successi dei numeri primi

L’Economia del Corriere della Sera
di Francesca Gambarini e Maria Elena Zanini
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C’ è NN che si è fatta strada grazie a un nome e a un titolo: Kent Haruf e Le nostre anime di notte . Oppure Ponte 33, con le sue autrici iraniane e le copertine firmate da disegnatori persiani. Bao publishing ha puntato sulla graphic novel , e ha trovato sulla sua strada – incontro fortunato – Zerocalcare. O barra O , invece, ha scoperto la letteratura contemporanea del Sud Est asiatico. Altra è la storia de La Giuntina , che da 37 anni pubblica testi ebraici. Si dice piccoli e medi editori ma si legge in migliaia di modi: oltre 4.500 per la precisione (stime 2016). E i dati confermano che, anche per quest’ anno, il terzo consecutivo, i «concorrenti» dei big , Mondadori-Rizzoli e Gems sono agguerriti: vanno addirittura meglio della media del mercato. Lo dicono i dati di Aie (Associazione italiana editori) e Nielsen, presentati alla 16esima fiera della Piccola e media editoria «Più libri più liberi». Il mercato del libro di carta dei primi dieci mesi (senza la grande distribuzione organizzata, nella quale trovano meno spazio), i piccoli crescono del 3,3% in valore e dello 0,6% per numero di copie. I grandi scalano una marcia: + 2,7% in valore e + 0,4% per copie. Mentre sul fronte internazionale il 12,5% delle vendite dei diritti è stato coperto dai piccoli (+31,9%). Oggi questi piccoli valgono il 39% del mercato: sono quei marchi editoriali indipendenti con un venduto a prezzo di copertina sotto i 16milioni di euro, che pubblicano fino a cento titoli, anche se più della metà rimane sotto i dieci. Nel 2016, quasi il 50% degli intervistati da Aie dichiarava di aver superato la crisi e di aver migliorato i bilanci. «Il mercato editoriale si è ripreso da due anni e i numeri confermano un andamento positivo, anche se più lento rispetto ad altri settori – spiega Giovanni Peresson, dell’ ufficio studi dell’ Aie -. I piccoli, pur dotati di minore capacità finanziaria o capitalizzazione, in questi anni hanno aumentato la quota di mercato. Il problema, però, non è aprire una casa editrice: per farlo bastano da 10 a 50 mila euro. Il punto critico è l’ accesso alle librerie». Nell’ accezione più concreta del termine. «I piccoli non entrano con facilità nelle grandi catene, perché i buyer (chi individua nuovi titoli per le librerie, ndr ) dei macro gruppi cercano di accaparrarsi le novità- spiega Diego Guida, presidente del gruppo Piccoli editori di Aie – . E il meccanismo del conto deposito ci penalizza: i libri rimasti negli scatoloni o gli invenduti, dopo 90 giorni, sono resi: in sostanza si scommette su una vendita ipotetica». Che per non rimanere tale, ormai, ha bisogno di ingredienti in più. Di un piano editoriale disruptive rispetto ai concorrenti, come negli esempi citati. O di strategie che ribaltano i piani di business noti e collaudati. «Oggi le librerie hanno difficoltà a immobilizzare i titoli dei piccoli editori, che hanno rotazioni più basse – riflette Peresson -. Mentre i canali dell’ ecommerce hanno bisogno di una comunicazione specifica, e in case editrice si sono fatte spazio figure nuove». Ecco che la sfida è stata trasformarsi da classiche imprese editoriali a startup. Negli anni i piccoli hanno affiancato alla produzione di libri attività non specificatamente editoriali, ma che rientrano nel perimetro culturale in cui operano: « Iperborea organizza festival e corsi di lingue scandinave, e ha trovato in Ikea uno sponsor per l’ ultima fiera di Torino. In Piemonte c’ è anche Effatà , che edita volumi e organizza viaggi», elenca Peresson. Ed è sicuro Guida: «I nostri piccoli sono uno dei settori più innovativi dell’ editoria italiana, con una grande volontà di esplorare nuovi generi, nuove letterature internazionali e nuovi autori». E che non hanno certo smesso di sognare il «salto». Come Sellerio , che dopo il successo di Andrea Camilleri ha saputo scegliere i nomi giusti per crescere. O come E/O che, grazie alla trilogia dell’ Amica geniale di Elena Ferrante, ora può puntare su nuovi mercati, Stati Uniti in testa. La stampa digitale, poi, ha avuto un ruolo fondamentale. «Con un costo pagina di poco superiore alla tradizionale stampa offsett si fanno, in digitale, 500 copie – conta Peresson -. Così si raggiungono fino a 400 librerie e, se il libro va bene, si può anche ristampare, senza immobilizzo di capitale o costi di magazzino». Tra innovazione e specificità, i margini per fare (ancora) meglio ci sono. Ma il trend è destinato a durare? «Esistono reali possibilità di crescita, del resto è un settore dove è facile entrare o rientrare, come ci ricorda l’ esempio della milanese Sem (fondata da tre ex manager della Mondadori, ndr ) – conclude Peresson -. Non conosciamo però gli indici di mortalità delle aziende, perché non c’ è un meccanismo di cancellazione dall’ Isbn. Ma per far quadrare i numeri, alla fine, ciò che conta è avere un progetto. Perché la crisi ha fortificato e premiato chi è stato capace di farsi riconoscere».

Facebook e google troppo grandi per sopportarli?

L’Economia del Corriere della Sera
di Gustavo Ghidini e Daniele Manca
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Non si devono dormire sonni tranquilli a Seattle, Cupertino, Menlo Park e Mountain View. Il potere dei quattro dei big dell’ hi-tech Apple, Amazon, Facebook e Google, è evidente a chiunque. Ma mai come in queste settimane sembra stia montando da parte dei legislatori, come dei cittadini, una sorta di fastidio nei loro confronti. Multe pesanti in Europa, ingiunzioni da parte del Fisco per arretrati delle tasse, e generale insoddisfazione per il peso raggiunto nelle nostre vite, sono gli esempi più evidenti. Scott Galloway, docente di marketing alla New York University, dice senza mezzi termini che i quattro big andrebbero spezzettati, modello At&t nel 1982. Una mossa decisa dall’ Antitrust americana che resterà nella storia statunitense e di quella del capitalismo. Eh sì, perché così come nel 1982 si trattava di preservare il principio alla base del libero mercato, e cioè la possibilità di evitare posizioni dominanti che deprimessero la concorrenza, alla stessa maniera oggi si dovrebbe capire come meglio affrontare, nel diverso scenario «smaterializzato» del web globale, il potere raggiunto dai giganti del web. Per farlo, come ricordavamo nell’ articolo del 20 novembre su L’ Economia , non bastano pur utili «aggiustamenti», occorre ripensare in profondo il complesso dei fattori del «potere di mercato» contemporaneo. Un potere che dal mercato si proietta sulla società, incidendo su snodi essenziali della vita democratica, come la formazione dell’ opinione pubblica e non solo dei «consumatori». Galloway, oltre ad essere considerato uno tra i 50 migliori professori di Business in America, ha una radicata esperienza del mondo dell’ impresa. Ha fondato nove società, è stato in innumerevoli consigli d’ amministrazione a cominciare da quello del New York Times , ed è uno «Youtuber» affermato grazie alla sua rubrica settimanale Winner & Losers . Sul potere dei big dell’ hi-tech ha appena pubblicato un libro: «The Four, the Hidden Dna of Amazon, Apple, Facebook and Google», per la Penguin, che si può acquistare, ovviamente, su Amazon. Il potere delle quattro società è reso plasticamente dal fatto che nel giro di quattro anni sono passate ad avere un valore complessivo pari a quello del prodotto interno lordo russo e quest’ anno supereranno quello dell’ India. Per capirne l’ influenza più stretta sulla vita di ognuno di noi basti pensare che, in America, la scorsa primavera c’ erano più famiglie abbonate al servizio Prime di Amazon (52%) di quelle che andavano in Chiesa (51%) o di quelle che possedevano un’ arma (44%). È il risultato di un mercato che ha visto regolatori deboli e forse in ritardo come spesso accade, ma anche consumatori che si sono giovati di servizi a buon prezzo se non gratuiti. Effetti perversi del capitalismo? Come dice Galloway parafrasando Churchill sulla democrazia, «Il capitalismo è il peggiore dei sistemi economici eccetto per tutti gli altri che sono stati provati». Ma un capitalismo che è destinato a naufragare se rinunciasse ai principi base della difesa della concorrenza e del divieto di abuso di posizioni dominanti (compreso il rafforzamento di tali posizioni grazie ad abusi, come quelli sulla manipolazione dei dati di cui diremo tra un attimo). Probabilmente non basta, nell’ assetto giuridico dell’ economia di mercato, osservare il crescere del potere di alcune aziende per decretarne la «svestizione», nel lessico antitrust americano. È comunque evidente, però, l’ urgenza di identificare i criteri capaci di misurare effettivamente, a 360 gradi, il potere di mercato di questi come di altri colossi che verranno, e altresì di capire come e in quale direzione modificare le regole che garantiscono mercati competitivi. La recente vicenda dell’ asta alla quale Amazon ha chiamato le varie città americane, affinché si contendessero la seconda sede centrale del gruppo di Jeff Bezos, la dice lunga. Di fronte al fatto di poter ospitare 50 mila nuovi impiegati di Amazon, è partita la gara di chi offriva terreni gratis (la California) fino a una tassazione di favore (Chicago) che mette in crisi le stesse regole di una comunità allargata come quella degli Stati Uniti. È per questo che l’ individuazione dei criteri che rendono i big dell’ hi-tech potenti è molto più sottile di quanto una legge Antitrust americana vecchia di 150 anni e una europea (60 anni) di derivazione Usa possano fare. La ricerca di nuovi indici che possano aiutare nell’ individuazione del reale potere di mercato dei big dell’ hi-tech è forse lo scoglio maggiore. Steven Davidoff Solomon, professore a Berkeley, da tempo richiama l’ attenzione sullo strumento «lobbystico», che i web-oligarch usano (vedi da ultimo il pressing di Uber sul Senato messicano) per trasmettere i loro desiderata a parlamentari, governanti e legislatori (talora incoraggiati da generose «donazioni» ai partiti di riferimento). E ancora, sul controllo di mezzi di informazione: a parità di «quota» di mercato rilevante secondo gli indici tradizionali, il controllo di giornali e/o emittenti non dovrebbe essere percepito dal radar dell’ antitrust (Jeff Bezos ha rilevato il Washington Post permettendogli di sopravvivere)? Le partecipazioni in imprese e gruppi operanti in settori diversi, e relativi incroci di consigli di amministrazione, non dovrebbero essere opportunamente considerate come altri fattori di «evidenze circostanziali» di potere di mercato? Anche noi consumatori diamo (o finiamo per dare) un forte contributo alla creazione di posizioni dominanti di mercato delle imprese. Come nel caso della presunta gratuità di certe applicazioni, a fronte della quale si cedono informazioni costanti sui propri consumi; ma anche al carattere esperienziale dei servizi resi attraverso i nuovi media che necessitano, per il proprio sviluppo, del contributo del consumatore (mediante impacchettamento dei servizi e conseguente blocco). L’ assenza di transazioni economiche si coniuga evidentemente con la presenza di scambi di informazioni e di dati. In questa prospettiva, una questione cruciale (al di là di quella dell’ uso collusivo di tali scambi), si rivela la relazione tra i cosiddetti Big Data e la capacità di creare profili sempre più precisi degli utenti di una piattaforma. Si tratta di capire quanto questa capacità di Big Data contribuisca ad alimentare il potere di mercato di un’ impresa. E in base a che cosa misurare questa capacità? E come governarla nell’ interesse collettivo? In alcuni studi, come quello di Andrea Giannaccari in Mercato, concorrenza regole dell’ agosto 2017, si nota come la stessa definizione del concetto di Big Data non sia affatto semplice. Di Big Data si parla come una sorta di nuova moneta, come ha fatto anche Margaret Vestager nel suo celebre discorso del 2016 Competition in a big data world . Una condivisa qualificazione di essi viene ormai incentrata sulle cosidette «quattro V» : volume, velocità, varietà, valore. Ma non manca forse, all’ equazione, una « T» come trasparenza? Pensiamo soltanto per un momento quale dibattito si scatenerebbe se l’ enorme mole di dati che forniamo quotidianamente a Facebook, come a Google o Amazon, venisse immagazzinata da un organismo pubblico. Immediatamente si porrebbe un problema di penetrante controllo sulla raccolta e la gestione di quei dati. Si attiverebbe,in particolare, una pressante richiesta di trasparenza lungo tutta la filiera di utilizzo di quei dati: dall’ acquisizione all’ impasto (profilazione), e all’ uso dei dati e dei profili diretto o per cessione a terzi (quali? A che condizioni?). Richieste pressanti di trasparenza, dunque, nella logica sostanziale di un servizio pubblico universale: tanto più che, come accennato, «sulle piattaforme i dati sono oggetto di uno scambio economico, anche se il consumatore non ha consapevolezza al momento della cessione», come scrive Gabriella Muscolo in un libro in uscita intitolato proprio Informazione e Big Data tra innovazione e concorrenza . Quelle stesse esigenze sostanziali di servizio pubblico non possono essere disattese solo perché i gestori/controllori del traffico dei Big Data sono soggetti privati. Quale differenza può questo fare rispetto alla soddisfazione di interessi generali? La logica del servizio pubblico è «universale» rispetto non solo alla platea degli utenti, ma anche a quella dei fornitori. In questo senso – specie per la responsabilizzazione di tutte le imprese che trattano e gestiscono dati – suscita qualche speranza il regolamento europeo sulla data protection del 2016, che entrerà in vigore il prossimo 25 maggio. Speriamo regga alla prova di un’ attuazione non burocratica e farraginosa,che renderebbe impraticabili dal cittadino i diritti affermati sulla carta. Ma comunque, nemmeno questa misura è idonea a ricondurre a compatibilità concorrenziale il «potere di mercato» degli oligarchi della Rete. Il problema del controllo della loro «superdominanza» rimane dunque intero. E anzi, si è fatto più arduo. Avendo le grandi imprese modificato radicalmente i modelli di business e inventatone di nuovi, per la protezione della concorrenza diventa ancora più necessario aggiornare la cassetta degli attrezzi dell’ antitrust dotandola di nuovi strumenti come quelli che abbiamo descritti prima. Nemmeno Adam Smith pensava che il mercato medica se stesso. Quando il potere si fa gigantesco, chi lo detiene resiste a tutto, per dirla con Wilde, tranne che alla tentazione di abusarne. L’ aveva ben visto il geniale cinismo di Napoleone Bonaparte: «A che serve il potere se non se ne abusa?».

Papà disney arruolo Murdoch contro i big tech

L’Economia del Corriere della Sera
di Maria Teresa Cometto
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È la quinta volta che Bob Iger sposta in là la data del suo pensionamento. La prossima scadenza sarebbe non più il 2019, ma la fine del 2021, quando avrà 70 anni suonati. A chiedergli a gran voce di restare ancora a capo della Walt Disney Company – che lui guida già da 12 anni – sono i suoi azionisti. Fra i quali ora c’ è Rupert Murdoch con la sua famiglia, che la settimana scorsa ha accettato di vendergli per 60 miliardi di dollari il grosso delle attività di 21st Century Fox, fra cui gli studios televisivi e cinematografici, le tv via cavo FX e «National Geographic», una serie di canali regionali sportivi americani, il 39% della pay tv europea Sky e la tv Star India. L’ operazione comporta uno scambio di azioni per cui alla fine, secondo le stime dell’ agenzia finanziaria B loomberg , i Murdoch diventeranno proprietari del 5% di Disney. E si capisce l’ entusiasmo dei soci per Iger: da quando, nell’ ottobre 2005, lui è diventato ceo, le quotazioni a Wall Street del «regno magico» di Topolino sono cresciute del 350%, quasi il triplo della media della Borsa (indice S&P500) e della stessa Fox. La speranza degli investitori è che con Iger la Disney, arricchita dei contenuti di Fox, continui ad essere la società più profittevole al mondo nel business dei media e dell’ intrattenimento, riuscendo a risolvere i problemi «epocali» che ha di fronte: la crescente concorrenza non più dai rivali tradizionali – come Comcast, il gruppo che comprende la rete tv Nbc e gli studios Universal e DreamWorks -, ma dai giganti high-tech come Neflix e Amazon, che producono anche contenuti originali e li distribuiscono in streaming e come Google (YouTube) e Facebook, che incassano la grande maggioranza degli introiti pubblicitari digitali. Da tempo Iger ha ben presente il problema. A soffrirne di più infatti sono le reti tv di Disney – Abc ed Esp – che storicamente hanno generato la maggioranza del fatturato e dei profitti del gruppo, ma stanno perdendo quota: nel 2012 avevano prodotto due terzi dei profitti operativi, ora sono scese a meno del 47%. La causa: il fenomeno del cord cutting , il taglio del cavo, cioè la disdetta dell’ abbonamento alla tv, praticata da sempre più spettatori, soprattutto giovani, che preferiscono guardare film, telefim e altri show offerti in streaming da Neflix & co. «Lo scopo di questa operazione – ha spiegato Iger a proposito dell’ acquisto di Fox – è creare prodotti di qualità superiore per i consumatori di tutto il mondo e distribuirli in modi molto più innovativi ed efficaci». Nei suoi programmi c’ era già il lancio, l’ anno prossimo, di Espn plus, un servizio in streaming di programmi sportivi e quello di un servizio in streaming di contenuti per le famiglie nel 2019, quando scade l’ accordo per la loro distribuzione con Netflix. Con Fox Iger conquista anche il controllo di Hulu, un altro servizio Usa di video in streaming: secondo alcuni analisti potrebbe pensare di trasformare la stessa Sky in una «Hulu europea». La passione per la tv e lo show business, ma anche per l’ innovazione tecnologica, una lunga esperienza e una grande dedizione al lavoro: sono le qualità di Iger che possono aiutarlo a farcela. Dei suoi 66 anni, ben 43 li ha spesi in questo mondo. Da ragazzo sognava di diventare un giornalista tv. Per questo aveva scelto di studiare all’ Ithaca college – non lontano dalla sua città natale, New York -, la cui scuola di comunicazione è considerata al top per chi è interessato ai media e all’ entertainment. Da studente aveva debuttato sul piccolo schermo come conduttore di «Campus probe», uno show televisivo della sua università. Laureato nel 1973, l’ anno dopo è entrato nella rete tv Abc dove ha cominciato invece la sua carriera manageriale fino a diventare responsabile operativo della società che controllava la tv e che sarebbe stata comprata da Disney nel ’96. La sua scalata ai vertici è continuata fino a diventare nel 2000 responsabile operativo di tutta Disney, il numero due sotto il ceo e presidente Michael Eisner. E l’ ultimo salto, la nomina ad amministratore delegato, l’ ha fatto con l’ appoggio di Roy Disney, il nipote del fondatore Walt Disney, che aveva guidato una campagna contro Eisner criticando fra l’ altro la sua cattiva gestione dei rapporti con lo studio di animazione Pixar e con il suo padrone Steve Jobs. Una delle prime mosse di Iger come ceo era stata proprio ricucire i rapporti con Jobs: aveva capito che Pixar sarebbe stata una componente chiave della rivitalizzazione dei cartoni animati di Disney e Apple un partner importante per affermarsi nel nuovo mondo digitale. Così nell’ ottobre 2005 Disney fu la prima società a mettere le sue produzioni tv su iTunes, fruibili sull’ iPod e poi è stata fra le prime a sviluppare applicazioni per l’ iPhone e l’ iPad. L’ innovazione tecnologica è stata da subito uno dei tre punti del programma di Iger, insieme al rilancio dei contenuti creativi e all’ espansione internazionale del gruppo. E infatti Disney è la società dove contenuti e high-tech si sposano meglio, secondo il parere di protagonisti della Silicon valley come Sheryl Sandberg, la chief operating officer di Facebook e Jack Dorsey, co-fondatore di Twitter, entrambi membri del suo consiglio di amministrazione. Lo stesso Iger a sua volta è consigliere di Apple e si occupa in prima persona della parte tecnologica di Disney. Per arricchire i contenuti, prima di Fox Iger ha speso oltre 15 miliardi di dollari per comprare la stessa Pixar (2006), Marvel (2009) e Lucasfilm (2012), conquistando serie di film – come «Guerre stellari» – che garantiscono non solo ricchi incassi al botteghino ma generano anche attrazioni nei parchi Disneyland e merchandising. Per l’ espansione globale è stato importante acquisire Sky in Europa, Star in India e i canali internazionali di Fox attivi dall’ America latina all’ Africa. Topolino parla quindi sempre meno americano e sempre più le lingue di tutto il mondo. La sfida di Iger è mantenerlo anche ultra redditizio.

Viva l’ Ing. giornalisticamente scorretto

Il Fatto Quotidiano
Antonio Padellaro
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Una semplice domanda: a 84 anni, dopo aver costruito un impero finanziario e creato le basi di un impero editoriale (che a loro volta hanno portato ricchezza e prestigio alla tua famiglia) sarà permesso esprimere liberamente una propria opinione? Senza che tuo figlio, e la società che hai generato, ti scrivano contro in un gelido comunicato che una tua intervista “non rappresenta il pensiero degli azionisti né del vertice societario”? Non intendiamo qui entrare nelle dinamiche interne che hanno indotto Marco De Benedetti presidente del gruppo Gedi, editore di Repubblica , a censurare l’ intervista al Corriere della Sera del padre, Carlo De Benedetti. Là dove (oltre a dissentire orrore! sull’ istituto della condirezione), egli polemizzava con un’ altra vecchia colonna, il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, a proposito di un’ altra assai controversa e libera opinione (“tra Berlusconi e Di Maio scelgo il primo”). C’ interessa invece condividere il diritto alla schiettezza di un personaggio che non è certo l’ Arcangelo Gabriele ma che non è mai stato un tartufo, nel senso di chi pratica l’ ipocrisia sotto la maschera della devozione al politicamente corretto per non sbagliare mai. A costo di sbagliare e di sbagliarsi l’ Ingegnere nei suoi interventi pubblici cerca invece di non essere mai banale o scontato, alla luce di quella grammatica giornalistica che, riteniamo, egli pratichi più da lettore che da editore. Quella regola, ha detto ad Aldo Cazzullo nelle dichiarazioni fuori linea, secondo la quale: “Un giornale non è solo latte e miele; è carne e sangue. Può avere curve deve avere anche spigoli”. Sacrosanto aggiungiamo noi a cui piacciono da morire le pagine stampate fatte di carne e di sangue. Giornali provvisti di spigoli con cui spesso ci facciamo male. E che mai scambieremmo con le delizie latte e miele che abbiamo smesso di pretendere in età adulta. Viva dunque tutti coloro che “rappresentano” solo il loro libero pensiero, senza preoccuparsi se non coincide con quello di figli e azionisti e lettori. Lo scriviamo anche in ricordo di Claudio Rinaldi, grande direttore e grande uomo che dell’ Ingegnere aveva una profonda, divertita ammirazione.

«La nostra televisione conquista il mondo»

Il Messaggero
MARIA ELENA BARNABI
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l’ INTERVISTA Laura Carafoli ha 48 anni anni, bei capelli («sono fortunata: non ne ho uno bianco»), e tante cose da dire, che dice veloce veloce gesticolando molto. Il suo viso, invece, dice poco, ma sul suo biglietto da visita c’ è scritto: Chief Content Officer Discovery Networks Southern Europe – Italia, Spagna, Portogallo e Francia. Che poi vuol dire essere la responsabile dei contenuti di tutti i canali di Discovery (con 7 canali free, 7 pay, 2 servizi on demand, è ormai il terzo editore nazionale con un 7,2 per cento di ascolto medio) ed è conosciuta come nostra signora della factual tv. Avete presente il lancio di Real Time nel 2010 con tutte i programmi su sepolti in casa, malati imbarazzanti, boss delle cerimonie e compagnia bella? Ecco, dietro c’ è lei (e tutto il suo team). E sempre lei c’ è dietro al lancio di Nove, il canale generalista di Discovery, che in un anno ha fatto registrare più 40 per cento. Da Novara con furore, Carafoli ha una laurea in filosofia ed è sposata con Paolo, architetto-pallanuotista conosciuto all’ università. Senza figli, ha tre nipoti di 18, 16 e 13 anni, che segue sui social. Cresciuta in una tv locale, figlia di un pubblicitario, ha lavorato in Rai con Freccero, in Fox – dove ha lanciato Fox Crime – e poi a Discovery dal 2009. È nella sede milanese di Discovery Italia – 300 dipendenti, di cui la metà donne e il 40 per cento millennials – che la incontriamo. I suoi uffici sono pieni di ragazze, è una donna anche il suo presidente, Marinella Soldi, ma sul Nove, che è la vostra grande sfida come canale generalista, le vere star sono tutti maschi: Crozza, Cannavacciuolo, Saviano, Gomez «È vero. Ma tenga conto che Real Time è pieno di star donne, da sempre. Comunque ci stiamo pensando». Avete nuovi contratti in ballo? «Non posso dire niente. Per ora solo i nomi delle persone con le quali mi piacerebbe lavorare». Prego. «Virginia Raffaele: è brava e il suo nome reggerebbe sicuramente quello di Crozza. E poi Sabrina Ferilli: la conosco, la corteggio. Potrebbe fare qualsiasi cosa, ha una capacità di racconto della realtà molto profonda, potrebbe avere una chiave originale». E quindi? «Vedremo. Chi lo sa?». Un’ imprendibile? «Maria de Filippi, lunica grande star della tv italiana. Una divinità». Addirittura? «Quando l’ ho conosciuta, ho sentito fortissimo il suo carisma. Mi sono detta: Se lo merita tutto il suo successo. Noi già ci lavoriamo perché Real Time ha i casting e in futuro la striscia quotidiana di Amici, un programma che guardo da 12 anni e che non mi annoia mai». Cos’ altro guarda in tv? «Tutte le prime puntate di qualcosa. Mio marito adora L’ eredità: azzecca tutte le risposte della ghigliottina, io manco una. Lo guardiamo insieme, è uno dei nostri riti. Poi mi piacciono i film, il basket lo guardo sul nostro Eurosport Player. Le serie tv le vedo in modalità binge watching, cioè mi metto lì e mi sparo tutte le puntate, perché non ho tempo di aspettare». Guarda la tv on demand dei concorrenti? «Certo. Lo scorso weekend io e mio marito siamo riusciti a far arrivare un wi-fi decente in tutta la casa e abbiamo visto Alias Grace, una storia vera di una serva che ammazza il padrone, va in carcere e viene psicanalizzata. Inutile nascondersi: oggi da una parte c’ è l’ intrattenimento tradizionale che parla alla pancia delle persone, tipo Grande Fratello che fa il 26 per cento di ascolto. E poi c’ è quello superverticale dell’ on demand». Quanto durerà l’ intrattenimento tradizionale, come lo chiama lei? «Minimo per altri dieci anni, anche quindici. Ma prima o poi finirà, come probabilmente finiranno i giornali di carta. La cosa positiva per noi che lavoriamo in questo ambiente è che il mercato si è evoluto e allargato: tra grandi, medi e piccoli produttori, oggi c’ è lavoro per tantissime persone». In futuro niente più palinsesto ? «L’ appuntamento settimanale rimarrà, magari di approfondimento, ma non possiamo nasconderci: i settantenni del futuro siamo noi, che a 40-50 anni siamo sempre con il cellulare in mano. Io ultimamente sono pazza delle Instagram Stories, i filmati che durano 24 ore. Seguo le mie nipoti, i loro cantanti preferiti, da Ghali a Dark Polo Gang, ma anche le celebrities, le modelle, Fedez e Ferragni. Adoro Miley Cyrus, geniale» Non ha mai pensato di tradurre questi filmati in tv? «Non riesco a trovare il modo, ed è frustrante. Ma le Stories in fondo stanno bene dove sono, su Instagram. Figurarsi se i ragazzi le vogliono vedere con il telecomando in mano, quando le hanno già sul cellulare. Ma comunque tutti dobbiamo stare al passo. E infatti a dicembre il sito di Real Time diventerà una piattaforma di contenuti social molto vicina alle millennials». La cosa che più la inorgoglise della sua carriera? «L’ essere riuscita a fare quello che volevo: pensare la televisione. Io vengo dalla provinciale Novara, e questo dà una marcia in più: non ti fa mai dimenticare il Paese reale, e ti dà voglia di arrivare. E poi il fatto che il mio team sia considerato a livello internazionale fra i più creativi di Discovery: abbiamo fatto programmi come Undressed esportati in tutto il mondo. E da un’ idea presa dalla serie Le regole del delitto perfetto abbiamo cucito su Roberto Saviano Kings of Crime: il decreto Franceschini dovrebbe considerare anche questi programmi produzioni italiane. Ma soprattutto mi fa piacere essere l’ orgoglio delle mie nipoti. Essere brava ai loro occhi è molto di più che essere apprezzata da un marito, un amante, o un collega». Il tema della solidarietà tra donne è importante in questi giorni in cui si parla di molestie. Lei ne ha mai subite? «Sul lavoro mai. Ma da ragazzina a Novara, un domenica pomeriggio un ragazzo si fermò in auto a chiedermi informazioni, e quasi mi trascinò dentro. Riuscii a divincolarmi, piansi per due giorni, e da allora non andai più in giro da sola la domenica pomeriggio». Come si vede tra dieci anni? «Libera dall’ inferno quotidiano delle 9.50 con i dati auditel. Chi fa il mio lavoro non ha sabato né domeniche, non ha orari: in qualsiasi parte del mondo ti trovi, ti svegli alle dieci ora italiana e ti colleghi per vedere come sono andati i tuoi canali. Avendone 14, è raro che vadano bene tutti insieme. Il venerdì sera, però, abbiamo Fratelli di Crozza sul Nove, quindi la mattina dopo è di zucchero. Ma in futuro mi vedo a fare altro». Che cosa? «Bella domanda. Non lo so». Maria Elena Barnabi © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il gruppo ha tre miliardi di telespettatori nel mondo e nel nostro Paese con 7 canali free è il terzo editore

Il Messaggero

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IL NETWORK Conosciuto nel mondo come leader della factual tv (quella che racconta la realtà a 360 gradi) con i suoi 3 miliardi di telespettatori dichiarati, il gruppo Discovery è stato fondato da John Hendricks, ma è controllato attraverso la Liberty Media dal tycoon multimilionario americano John C. Malone, secondo Forbes al 174esimo posto nella classifica degli uomini più ricchi del mondo (padrone anche della Formula 1 e della squadra di baseball Atlanta Braves). Classe 1941, studi a Yale, è conosciuto con il soprannome di Cable Cowboy e di Darth Vader (affibbiatogli da Al Gore) per via delle sue operazioni con la tv via cavo negli anni 70 e 80. Filantropo, amante delle vacanze in camper, Malone è sostenitore delle politiche su tasse e immigrazione di Donald Trump e nemico giurato di Rupert Murdoch, con il quale ha ingaggiato ben più di una battaglia. In Italia il gruppo Discovery è presente da due decenni, e ad oggi è il terzo editore televisivo nazionale, con circa il 7% di share e 14 canali, 7 free e 7 pay, più l’ on demand. I canali free sono Nove, Real Time, DMAX, Giallo, Focus, K2 e Frisbee, mentre tra quelli pay ricordiamo Discovery Channel e Animal Planet che vanno su Sky, e Eurosport 1 e 2 che vanno su Mediaset e Sky. Nel 2015 il gruppo Discovery aveva acquistato i diritti per la trasmissione in Europa delle Olimpiadi per di 1,3 miliardi di dollari, ma recentemente è stato raggiunto un accordo con la Rai che trasmetterà 100 ore, mentre Eurosport trasmetterà l’ intero evento. La sede italiana di Discovery è anche il quartier generale della Regione Sud Europa (Italia, Spagna, Portogallo e Francia) ed è in capo alla manager italiana Marinella Soldi, che recentemente è stata nominata anche Chief Strategy Officer della Regione EMEA (Europa Medio Oriente e Africa). M. E. B. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Fake news, cresce l’ allarme Beffato un italiano su due

La Repubblica
ILVO DIAMANTI,
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segue dalla prima pagina ROMA Per prima la Russia. Tuttavia non avrebbero potuto condizionare gli orientamenti della società se non si fosse verificata, in pochi anni, una vera rivoluzione nelle pratiche e nei sistemi di informazione e di formazione dell’ Opinione pubblica. Infatti, per informarsi, dieci anni fa, il 30% degli italiani ( intervistati) utilizzava, ogni giorno, i quotidiani cartacei. Il 25% consultava internet. Oggi il rapporto si è rovesciato. In misura molto marcata. Il 63% si informa attraverso internet. Sempre più, anzi, soprattutto, attraverso lo smartphone. Il 58% di essi: è sempre connesso. Con il telefonino fra le mani. Dovunque. Solo il 17%, invece, si informa attraverso i giornali ” di carta”. Questo ” rovesciamento”, in effetti, si è consumato in un periodo molto breve. In particolare: negli ultimi anni. Il ricorso a internet, nel biennio 2014- 15, era già salito quasi al 50%. Pressoché il doppio rispetto ai quotidiani di carta, nel frattempo scesi al 24- 26%. Ma negli ultimi due anni il distacco si è accentuato ulteriormente. E oggi, nel 2017, è divenuto quasi un abisso: 63% su internet, 17% su carta. I giornali, cioè, continuano ad essere consultati. Ma in tempo reale, su internet. Gli altri media hanno tenuto le loro posizioni. La televisione: davanti a tutti gli altri. Consultata quotidianamente da oltre 8 italiani su 10. E quindi sempre importante, per ( in) formare l’ opinione pubblica. Poi la radio. Il medium che continua ad essere considerato più affidabile. Ma la rete ha occupato spazi sempre più ampi. In settori di popolazione sempre più estesi e trasversali. Fra i giovani e non solo. Utilizzando il traino dei Social Media. Destinati a divenire presto il crocevia di ogni comunicazione e di ogni informazione. ( Lo documenta, in modo efficace, un recente studio di Vittorio Meloni, pubblicato da Laterza: ” Il crepuscolo dei Media”). Così, le informazioni tendono a diffondersi e a venire diffuse in modo rapido. Anzi: im- mediato. Scavalcando mediazioni e media. Ma, di conseguenza, anche i controlli. Che vengono affidati agli stessi canali. La rete e social- media. Tutti, cioè, possono controllare tutti. E tutti, al tempo stesso, possono entrare nella rete. Introducendo e diffondendo informazioni. Immediate. Difficili da controllare. Anche perché, in rete, talora, anzi, spesso, la news, la novità, ha valore in sé. La verifica: verrà dopo. Perché domani è un altro giorno. Si vedrà. Così, oggi, metà degli italiani ammette di aver creduto ” vera” una notizia letta su internet, che poi si è rivelata ” falsa”. Ma solo il 22% afferma di non essere mai stato ” ingannato”. In particolare: coloro che in rete ci vanno in modo saltuario. E, per questo, sono meno esposti ai messaggi che vi circolano. Tuttavia, internet non è solo il luogo dell’ inganno, ma, per sua natura, anche della de- mistificazione. Dell’ auto- controllo. D’ altra parte, un italiano su tre ( 34%) considera Internet il canale dove l’ informazione circola ” più libera e indipendente”. Il 44% dichiara di avere fiducia, nella rete. Un dato in crescita di 7 punti, negli ultimi due anni, dopo un periodo di declino, successivo al 2013. Probabilmente dettato da giudizi e pregiudizi politici. Visto il collegamento immediato con il risultato del M5s alle elezioni politiche di quell’ anno. Gli elettori dei 5s, peraltro, sono fra quelli che ammettono, in maggior misura, di aver creduto nelle ” False notizie” che circolano in rete. Rilanciandole, a loro volta. Lo stesso si osserva tra i più giovani. Perché la confidenza con internet espone alle fake news. Ma, al tempo stesso, fornisce strumenti e competenze per farvi fronte. Prima degli altri. Così, se circa metà degli italiani sostiene di essere caduto nella trappola, per la precisione, nella ” rete” delle fake news, quasi altrettanti riconoscono di averle riconosciute – e demistificate – con lo stesso – e ” nello” stesso – mezzo. Cioè, in rete. Su internet. Il rischio maggiore, per questo, è che le voci infondate si riproducano con ” altri media”. In particolare, la tivù. Il cui pubblico ” esclusivo” è anche il meno attrezzato a riconoscerle. Comunque, a esercitare la ” sfiducia preventiva”. Per questo motivo, mentre ci avviciniamo alla campagna elettorale, e anzi ci siamo già entrati, è meglio ” diffidare”. Valutando con attenzione, quel che passa sulla rete. Ma anche in tv e sui media ” tradizionali”. I quali, tradizionalmente, rilanciano – e amplificano – i messaggi che promettono più audience. Falsi o veri, si vedrà. Più avanti. Al tempo stesso, a maggior ragione, c’ è bisogno di Osservatori che vigilino non solo sulla ” Par condicio”, ma sulla ” verità” delle news. Per evitare, oggi più che mai, di entrare in un clima d’ opinione e, dunque, in un clima elettorale, inquinato. Da false notizie, falsi sondaggi, false rappresentazioni. Fino a produrre una fake campaign © RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Software e web salvano l’ editoria specializzata” Il settore vale 550 milioni

La Stampa
CHIARA MERICO
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Passa dall’ innovazione il futuro dell’ editoria professionale in Italia: secondo una recente ricerca realizzata da Cerved e Databank, il digitale è la chiave per lo sviluppo di un settore che lo scorso anno nel nostro Paese ha realizzato un giro d’ affari di 550 milioni di euro. Si tratta di un mercato molto concentrato, in cui i primi quattro operatori detengono quasi il 60% delle quote. Al terzo posto si colloca la storica casa editrice Giuffrè, specializzata nelle aree giuridica e fiscale, che da sole coprono il 75% del totale del settore. E mentre tutti i supporti tradizionali e i contenuti offline stanno registrando un andamento negativo, le banche dati online, i servizi internet e i prodotti digitali sono cresciuti nel 2016 del 7,5% e ora rappresentano circa il 35% del mercato. «Il futuro dell’ editoria professionale è sempre più legato alla capacità di offrire strumenti di informazione e di lavoro innovativi, in grado di integrare i supporti tradizionali con la capacità di archiviazione e di ricerca, e con l’ interattività degli strumenti digitali», commenta Antonio Giuffrè, dal 2005 al timone dell’ omonima casa editrice. Giuffrè è editore di 17 portali tematici che trattano di fisco, diritto e lavoro, come IlFamiliarista.it, IlPenalista.it e Fiscopiù.it; la famiglia di software Cliens consente agli avvocati di accedere alla banca dati DeJure, che permette di consultare gli estremi di legge e le sentenze. «Già a inizio anni ’80 – sottolinea Giuffrè – avevamo realizzato la prima banca dati su cd rom e oggi contiamo su un’ offerta molto ampia, per permettere agli avvocati e ai professionisti fiscali e contabili di fare ricerche accurate e aggiornate e di poter gestire le loro pratiche in modo facile e veloce». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

La carta stampata si vende sul web facendo leva su prezzi bassi e servizi

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NEGLI USA IL MERCATO HA FATTO BOOM, PIÙ LENTO IN ITALIA. IL CASO DI PRINTERED CHE SI RIVOLGE A PMI, AGENZIE DI COMUNICAZIONE, RIVENDITORI DI ARTI GRAFICHE E SINGOLI Milano «N egli Stati Uniti il 50 per cento dei prodotti di carta si acquistano già oggi online. In Italia siamo al 10 per cento ma registriamo una crescita costante e le potenzialità offerte dal settore sono enormi ». Gianpiero Colonna è il responsabile marketing e comunicazione di Printered. Una start up con sede a Matera, in Basilicata, che ambisce a crescere offrendo un servizio efficiente attraverso il suo portale, nella convinzione che il mercato della carta stampata e della grafica siano cambiati in modo radicale in questi anni e si debba rispondere alle nuove esigenze del consumatore. Nata lo scorso luglio, Printered, ha un obiettivo ambizioso. «Nei prossimi anni vorremmo diventare uno dei cinque principali portali nazionali per il prodotto stampato », racconta Colonna. La start up si rivolge in modo particolare alle piccole e medie imprese, alle agenzie di comunicazione, agli stessi tipografi, ai rivenditori di arti grafiche, ma anche ai singoli clienti: «Già oggi la maggior parte del nostro business arriva dal mondo delle imprese». Il portale punta soprattutto sul servizio di assistenza continuo e poi sui prezzi competitivi. «Su qualche articolo, – afferma Colonna – grazie alla nostra organizzazione, siamo anche in grado di far pagare un 10 per cento in meno rispetto alla spesa media di mercato». La spedizione è offerta in modo gratuito. Così anche, lo storage online, grazie al quale ogni cliente ha uno spazio cloud dedicato all’ archiviazione dei suoi file, utile quando serve rimandare in stampa un documento su cui si è già lavorato. Sempre gratuita anche la verifica dei file di stampa da parte di un operatore esperto, in aggiunta a un controllo automatizzato che non sempre basta a stare tranquilli. «Se ci rendiamo conto, per esempio, che una certa foto, se stampata, uscirebbe sgranata, avvisiamo il proprietario del documento». Sulla strada di Printered da diversi anni si stanno muovendo tutte quelle realtà del settore dello stampato che, secondo dati Confartigianato del 2016, conta in Italia circa 18mila operatori tra tipografie, editori di riviste, di libri, aziende specializzate nella stampa serigrafica, che effettuano stampa digitale, imprese con attività focalizzata sulla stampa editoriale, legatorie. Soprattutto le tipografie tradizionali hanno dovuto affrontare non solo un cambio culturale, ma anche di struttura organizzativa, attuando un rinnovo delle professionalità. Anche in questo mondo di carta si cercano sempre più spesso figure legate alle nuove tecnologie. Tra il 2012 e il 2015, secondo una ricerca Censis, più della metà delle imprese grafiche (quasi il 55 per cento) ha sostituito vecchie professionalità con quelle nuove o ha aggiornato le competenze presenti in azienda nella sfera commerciale, in quella del marketing, della produzione e della ricerca e sviluppo. La digitalizzazione è un fattore sul quale concentrarsi proprio grazie a percorsi formativi mirati, in cui sono coinvolte un’ impresa su tre (il 29 per cento). Ogni realtà ha poi il suo approccio al mondo del digitale. Quello di Printered ricalca la visione degli artwork realizzati dal grafico e calligrafo Luca Barcellona che utilizzando i social media e gli strumenti del digitale, già da tempo raccoglie consensi portando la manualità di un’ arte antica, come la bella scrittura. Lui è diventato un po’ il testimonial di Printered, che vuole mantenere un approccio artigianale, fatto di qualità e relazione, ma senza rinunciare alla rapidità offerta dal mondo del web. (st.a.) © RIPRODUZIONE RISERVATA Negli Stati Uniti hanno fatto boom i servizi online di vendita e realizzazione di carta stampata e grafica. Il fenomeno è in crescita in Italia grazie anche alle startup.

Legge Equo compenso pubblicata in G.U. Ecco le novità

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La norma sull’equo compenso per i professionisti, all’interno del Collegato fiscale alla legge di Bilancio per il 2018, e’ stata pubblicata in Gazzetta ufficiale. Nella prima stesura del decreto fiscale riguardava solo gli avvocati ma successivamente e’ stato esteso dalla legge di conversione del decreto fiscale, a tutte le categorie di professionisti: da quelli iscritti ad un ordine professionale (avvocati, giornalisti, commercialisti, ingegneri, ad un collegio (geometri), o ad associazioni (infermieri), e trovera’ applicazione nei rapporti tra il lavoratore autonomo e l’azienda privata o pubblica. La nuova legge prevede numerose misure e introduce un principio-tutela per il quale i professionisti avranno un minimo salariale sotto il quale non si potra’ scendere, determinato proporzionalmente alla quantita’ e alla qualita’ del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Nel caso di giornalisti il testo disciplina il cosiddetto equo compenso dovuto in caso di prestazioni erogate da coloro che lavorano come free lance, i titolari di Partita Iva e i co.co.co. Di fatto, la normativa tende a garantire un compenso minimo a tutti i professionisti in modo da tutelare tutti i lavoratori che esercitano la professione con un riconoscimento economico “proporzionato” al lavoro svolto. La norma introduce clausole vessatorie che i professionisti possono richiedere di annullare – nel giro di due anni dalla firma del contratto – pur mantenendo la validita’ complessiva del rapporto di lavoro. Tra i punti che i professionisti possono impugnare ci sono l’anticipazione delle spese delle controversie a carico esclusivo del professionista, la dilatazione dei tempi di pagamento oltre 60 giorni dalla data di ricevimento della fattura, la possibilita’ di modificare il contratto unilateralmente da parte del committente, l’imposizione di una rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell’attivita’ professionale oggetto della convenzione.(inpgi)

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