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Mimmo Falco nuovo Presidente del Corecom Campania

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Già vicepresidente dell’ordine dei giornalisti della Campania, Falco è stato eletto con 36 voti (47 votanti) dal Consiglio regionale della Campania. Uomo dalla forte personalità, ma soprattutto giornalista a servizio della verità, Mimmo Falco è stato (e lo è ancora) una guida per moltissimi giovani che si affacciano alla professione. La sua elezione a Presidente del Corecom Campania darà sicuramente impulso positivo all’intero settore, soprattutto a quello dell’emittenza radiotelevisiva locale in grave crisi. Al neo presidente Mimmo Falco vanno i nostri più sentiti auguri di buon lavoro.


Tariffe a 28 giorni, stop dell’Agcom agli operatori. Multe salate in arrivo

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L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, relatore il Commissario
Francesco Posteraro, ha deciso di avviare procedimenti sanzionatori nei
confronti degli operatori telefonici Tim, Wind Tre, Vodafone e Fastweb per il
mancato rispetto delle disposizioni relative alla cadenza delle fatturazioni e dei
rinnovi delle offerte di comunicazioni elettroniche.
Al fine di garantire massima trasparenza e confrontabilità dei prezzi vigenti,
nonché il controllo dei consumi e della spesa garantendo un’unità standard
(mese) del periodo di riferimento delle rate sottostanti a contratti in abbonamento
per adesione, con la delibera 121/17/CONS l’Autorità aveva infatti stabilito nel
marzo scorso che per la telefonia fissa e per le offerte convergenti l’unità
temporale per la cadenza delle fatturazioni e del rinnovo delle offerte dovesse
avere come base il mese o suoi multipli. Al termine delle verifiche effettuate da
Agcom, è risultato che gli operatori menzionati non hanno ottemperato alla
delibera dell’Autorità.
Agcom sta inoltre valutando l’adozione di ulteriori iniziative, anche per evitare che
le condotte dei principali operatori di telecomunicazioni possano causare un
effetto di “trascinamento” verso altri settori, caratterizzati dalle stesse modalità di
fruizione dei servizi.

Rassegna Stampa del 15/09/2017

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Indice Articoli

Approvata la riforma dell’ Inpgi 2

“Noi siamo con Milena”: 145.000 firme

Un’ altra tv di destra?

Agcom promette sanzioni per la beffa delle bollette a 28 giorni

Chessidice

Pubblicità, i sette mesi a -1,2%

Tv: -3,4%. Discovery +9,3%, Mediaset -0,9%, La7 -1,1%, Sky -7,7%, Rai -10,6%

Web, meno news ma regge lo sport

Ecco la nuova casa del gruppo Le Monde. Sarà pronta nel 2019

Radio Bari Liberata, dalle teche riemerge una perla

DIRITTI TV SERIE A ALL’ ESTERO: LA LEGA SCOPRE LE OFFERTE

Intesa Fieg-Google sui media digitali

Nasce l’ accademia digitale per l’ editoria

Sviluppo digitale A Palermo il corso di Fieg e Google

La giustizia ferma di nuovo Poletti: le pensioni autonome non si toccano

Approvata la riforma dell’ Inpgi 2

Il Sole 24 Ore

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La gestione separata dell’ Inpgi, dopo vent’ anni dalla suo costituzione, si riforma. La proposta di riorganizzazione, che è stata approvata ieri e sarà inviata ai ministeri vigilanti per l’ approvazione, prevede: l’ aumento graduale del contributo soggettivo (oggi al 10 per cento) per consentire un aumento del 30% delle pensioni; l’ aumento del contributo integrativo dal 2% al 4%; l’ iscrizione gratuita alla Casagit per determinate fasce deboli di iscritti (circa 6mila); l’ introduzione della maternità a rischio, con il pagamento di un’ ulteriore mensilità dell’ indennità; la revisione dei criteri per l’ accesso all’ una tantum in luogo della pensione; l’ introduzione del trattamento di disoccupazione anche in favore dei giornalisti «co.co.co.».

“Noi siamo con Milena”: 145.000 firme

Il Fatto Quotidiano

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Il messaggio arriva forte e chiaro ai vertici della Rai: rivogliamo Milena Gabanelli nella tv pubblica. La petizione lanciata dal Fatto, a cui si può aderire su ilfattoquotidiano.it o su change.org, viaggia verso le 150.000 adesioni in soli cinque giorni e continua a raccogliere consensi. “Siccome noi cittadini siamo i veri proprietari della Rai – si legge nell’ appello a margine della petizione, firmato da Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio – vogliamo rompere questo muro di silenzio e di assuefazione, rivendicare il nostro diritto a un’ informazione pubblica libera e indipendente (soprattutto nell’ anno delle elezioni) e smascherare il giochino di chi tenta di ridurre questo ennesimo scandalo a normale routine burocratica, contrattuale o caratteriale”. Gabanelli al momento autosospesa dalla Rai, dopo aver rifiutato la condirezione di RaiNews. La stessa Gabanelli ha ringraziato, con una lettera sul Fatto, le migliaia di cittadini che le stanno mostrando la propria solidarietà, pur specificando di non sentirsi una martire. Il M5S ha chiesto di ascoltarla in commissione parlamentare di Vigilanza, ma il Pd si è opposto con la scusa che ora è una dipendente in aspettativa non retribuita.

Un’ altra tv di destra?

Il Foglio

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Milano. Il presidente americano Donald Trump continua a compiacere e illudere i suoi elettori, con i dialoghi bipartisan e le improvvise sterzate, ma intanto i trumpiani, anche gli ex che ormai sono molti, provano a organizzarsi: se non ci pensa il presidente a coccolare il suo elettorato, lo faremo noi. Da giorni non si fa che parlare della volontà di Steve Bannon, ex consigliere della Casa Bianca e custode in chief delle idee più radicali che ispirano il trumpismo, di creare una versione televisiva del suo Breitbart. Non gli basta Fox News? Non è che non basta, è che l’ emittente di proprietà di Rupert Murdoch è in una fase particolare della sua esistenza: stanno arrivando i giovani, i figli di Murdoch, che hanno già iniziato la riverniciatura con i rumorosi licenziamenti dei boss della tv accusati di molestie sessuali (uno, Bill O’ Real ly, si è fatto sentire due giorni fa con un’ inter vista battagliera in cui fa capire di avere anche lui nuovi progetti mediatici in testa). In più gli investitori nel gruppo di Murdoch sono sempre più agitati e insistenti: tra Brexit e Trump l’ instabilità è massima, e il nervosismo è veleno per i mercati. In Inghilterra poi il governo continua a dare pensieri a Murdoch, rallentando il suo deal con Sky News, e tra rivolte editoriali al Wall Street Journal e conti da far quadrare, Murdoch appare al momento un po’ distratto. Bannon sta parlando con altri due interlocutori: Christopher Ruddy, amico di lungo corso di Trump e ceo della Newsmax, e con il Sinclair Broadcast Group, che è il gruppo mediatico più chiacchierato dell’ anno soprattutto perché Michael Copps, il capo della commissione federale sulle comunicazioni nominato da Bush Jr., l’ ha definito “l’ azienda statunitense più pericolosa di cui non avete mai sentito parlare”. Sinclair, “gigante conservatore” , scrive il New York Times, ha un’ enorme presenza a livello locale, e se dovesse portare a termine l’ ultimo suo colpo, l’ acquisizione di Tribune Media, aggiungerebbe altri 42 cana.

Agcom promette sanzioni per la beffa delle bollette a 28 giorni

Il Manifesto
MASSIMO FRANCHI
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MASSIMO FRANCHI II L’ autorità per le garanzie nelle comunicazioni batte un colpo sulla trappola dei 28 giorni e dà speranza a milioni di consumatori italiani. L’ Agcom ha «avviato procedimenti sanzionatori» contro Tim, Wind Tre, Vodafone e Fastweb. Si tratta degli operatori telefonici che hanno già applicato il cosiddetto «contratto a quattro settimane», lo stratagemma con cui sono riuscite ad aumentare i ricavi senza aumentare le tariffe. Il taglio di quasi tre giorni al mese porta infatti ad avere non 12 ma 13 mensilità, una tredicesima al contrario che si abbatte sui consumatori. Con un aggravio medio misurato nell’ 8,6 per cento. A cui andavano aggiunti i costi (penali) dell’ eventuale disdetta (recesso) per i contratti dove esiste il vincolo di permanenza per un dato periodo e l’ incertezza del giorno del pagamento o del prelievo in caso di domiciliazione bancaria. COME RECITA il comunicato dell’ Agcom infatti «l’ Autorità aveva infatti stabilito nel mar zo scorso che per la telefonia fissa e per le offerte convergenti l’ unità temporale per la cadenza delle fatturazioni e del rinnovo delle offerte dovesse avere come base il mese o suoi multipli. Al termine delle verifiche effettuate da Agcom, è risultato che gli operatori menzionati non hanno ottemperato alla delibera dell’ Autorità». Nel comunicato stampa poi l’ Agcom mette già le mani avanti rispetto all’ altro grande attore che si appresta ad usare lo stesso metodo: la Sky di Murdoch che è piena di utili ma sta chiudendo (sempre che i giudici del Lavoro non la fermino) l’ intera sede romana. La pay tv ha già comunicato ai suoi 4,8 milioni che la fatturazione a 28 giorni partirà dal primo ottobre. «Agcom sta inoltre valutando l’ adozione di ulteriori iniziative, anche per evitare che le condotte dei principali operatori di telecomunicazioni possano causare un effetto di “trascinamento” verso altri settori, caratterizzati dalle stesse modalità di fruizione dei servizi». PER ORA SKY NON COMMENTA la delibera, forse puntanto alla vi cinanza con la scadenza del primo ottobre. La delibera dell’ Agcom arriva il giorno dopo la risposta del governo al Question time alla Camera dopo una interrogazione di Sinistra Italiana in cui il ministro per i rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro si era dichiarata contraria alle «quattro settimane» ipotizzando un «intervento normativo». dei consumatori però è che non si arrivi mai alle multe. Per non lasciar cadere il tema Federconsumatori annuncia «l’ invio di un esposto all’ Antitrust per avviare le opportune verifiche circa l’ ipotesi di cartello messa in atto dai principali operatori di telefonia nel nostro Paese». Soddisfazione per la decisione dell’ Agcom è stata espressa in modo unanime da tutte le forze politiche. QUALCHE PASSO AVANTI pare es serci anche sul tema delle cosiddette «attivazioni indesiderate»: il nostro telefono che sfrutta servizi a pagamento da noi non richiesti che fanno esplodere le bollette. Sempre l’ Agcom ieri nel Consiglio dell’ Autorità che ha iniziato a valutare le attività da intraprendere per dare seguito alle nuove disposizioni di legge sulla concorrenza che, tra le altre cose, prevedono l’ acquisizione del consenso espresso del cliente per l’ addebito dei costi dei servizi in abbonamento offerti da terzi. Tra le misure in fase di adozione, la più rilevante è certamente quella volta ad evitare il rischio di attivazioni indesiderate: la soluzione adottata si basa su un meccanismo di doppio click e su una corretta gestione della pagina informativa, nonché sulla tracciabilità delle azioni dell’ utente ottenuta grazie al controllo, a cura degli operatori di telefonia, dei due tasti che consentono di abbonarsi al servizio.

Chessidice

Italia Oggi

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Felsenthal nuovo direttore di Time Magazine. Time Magazine punta sul digitale e, per farlo, ha scelto Edward Felsenthal, attuale numero uno delle iniziative online, come nuovo direttore della testata statunitense, al posto di Nancy Gibbs, che resta direttore editoriale fino a fine 2017. A Chiara Bidoli le testate Infanzia di Rcs. Chiara Bidoli è il nuovo direttore delle testate dell’ area Infanzia di Rcs MediaGroup, che comprende i brand Io e il mio bambino, Insieme e quimamme.it. Il Premio Capri a Meotti. È Giulio Meotti, scrittore e giornalista de Il Foglio, il vincitore del Premio Capri San Michele 2017 – Sezione Attualità con l’ opera La fine dell’ Europa. Nuove moschee e chiese abbandonate.

Pubblicità, i sette mesi a -1,2%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude i primi sette mesi dell’ anno in calo dell’ 1,2% rispetto allo stesso periodo del 2016. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, l’ andamento registra una contrazione del 3,9%. Il singolo mese di luglio si attesta a -7,3% (-12,3% senza search e social). «Come avevamo previsto, il mese di luglio ha chiuso in flessione, per i motivi di dipendenza dagli eventi mediatici trainanti che, com’ è risaputo, si concentrano nei periodi estivi degli anni pari», ha spiegato Alberto Dal Sasso, tam e ais managing director di Nielsen. «Bisogna però aggiungere che il calo del singolo mese è stato più significativo di quanto potessimo aspettarci». Relativamente ai singoli mezzi, la tv chiude il periodo in calo del 3,4%, condizionata da un luglio particolarmente negativo (-17,6%). Ottimo invece l’ andamento della Go TV, che segna un +12% nei primi sette mesi dell’ anno e un +48,5% a luglio. «Inarrestabile trend di crescita della Go TV, che si avvicina ai 10 milioni di euro di investimento nei primi 7 mesi del 2017, confermandosi il media italiano con la performance di crescita più elevata», ha commentato Angelo Sajeva, presidente di Fcp-Assogotv e di Class Pubblicità. «La vivacità della Go TV poggia le basi su due pilastri molto solidi: da una parte un turnover chiaramente positivo con oltre cinquanta nuovi clienti di periodo, dall’ altra i clienti storici che rinnovano l’ investimento ampliando il periodo di on air a testimonianza del ruolo sempre più strategico che ha ormai raggiunto la Go TV, utilizzata sistematicamente in tutti i momenti di comunicazione dell’ anno con una pianificazione di almeno tre settimane. Straordinario risultato dei settori Farmaceutico/Sanitario, Distribuzione e Prodotti per la cura degli animali che diventano settori ragguardevoli con una crescita complessiva in quota di oltre quindici punti rispetto all’ omologo periodo del 2016; insieme agli Alimentari e al Turismo (settore che si conferma leader) i tre sopracitati settori superano il 50% del fatturato complessivo. Crescita a doppia cifra anche per i settori della Cura persona e Toiletries che stanno sperimentando con successo i contributi della Go TV sull’ awareness dei brand e sulla call to action. La Go TV si conferma quindi un media in grande salute che è riuscito a conquistare la fiducia di nuovi top client e anche di grandi multinazionali, realtà particolarmente rigorose nella selezione dei media e nella valutazione dei contributi sulle performance dei brand». L’ andamento della stampa continua a essere negativo: nel singolo mese, i quotidiani e i magazine perdono rispettivamente il 12,3% e l’ 8,1%, portando la raccolta nel periodo cumulato rispettivamente a -10,9% e -7,1%. Prosegue invece il buon periodo della radio che chiude i primi sette mesi con una crescita del 3,4%, seppur rallentata dalla performance negativa di luglio (-5,1%). Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in positivo a +6,6% (-1,9%, se si escludono il search e il social). Il transit ha visto un incremento degli investimenti dell’ 1,2%, mentre continua il trend negativo dell’ outdoor (-19,3%). La raccolta positiva nel mese di luglio per cinema e direct mail consente a questi due mezzi di colmare in parte il gap negativo registrato nei mesi scorsi, attestandosi rispettivamente a -8% e -0,7% nel periodo gennaio-luglio 2017. «I recenti dati di crescita della produzione industriale», ha concluso Dal Sasso, «confermano il trend di ripresa anche in vista del 2018: la discreta salute della nostra economia sembra confermata dai numeri che arrivano da più istituzioni. Il trend del mercato della comunicazione rimane in fase di recupero, seppur contenuta, nel medio periodo. Sarà importante vedere se settembre e la ripresa della stagione ci confermeranno le previsioni per la fine dell’ anno o se sarà necessaria una ricalibrazione. Non dimentichiamo che le elezioni politiche del 2018 influenzeranno il Sistema Paese già a partire dall’ autunno, impattando anche sul mercato della pubblicità». © Riproduzione riservata.

Tv: -3,4%. Discovery +9,3%, Mediaset -0,9%, La7 -1,1%, Sky -7,7%, Rai -10,6%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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L’ unico con un deciso sorriso stampato sul viso è Giuliano Cipriani, direttore generale di Discovery Media, la concessionaria pubblicitaria del gruppo televisivo che edita, tra gli altri, i canali in chiaro Nove, Real Time, Dmax, Focus e Giallo. Nei primi sette mesi del 2017, infatti, secondo le stime di mercato, Discovery Italia è il solo gruppo televisivo in Italia con una raccolta pubblicitaria in crescita, a quota 138,6 milioni di euro, con un bel +9,3% rispetto allo stesso periodo del 2016. Crescita che proseguirà anche a ritmi migliori, poiché lo stesso Cipriani ha di recente anticipato che nei primi otto mesi del 2017 Discovery Media è a +10%. Quanto al comparto tv italiano nel suo complesso, tra gennaio e luglio la raccolta si attesta a quota 2,195 miliardi di euro, in calo del 3,4% rispetto agli stessi mesi 2016. Un calo fisiologico, poiché ci si confronta con giugno e luglio 2016 in cui c’ erano i Campionati Europei di calcio, appuntamento che invece è mancato nel 2017. Proprio per questo risultano penalizzati i broadcaster che avevano i diritti tv di quelle partite: Rai è a 458,8 milioni, con un -10,6% rispetto al gennaio-luglio 2016, e Sky si ferma a 269,9 milioni di euro, -7,7%. La parte del leone sul mercato la fa sempre Mediaset con i suoi 1,236 miliardi di euro, in flessione dello 0,9%, mentre La7, che pur migliora il trend dei primi mesi dell’ anno, chiude comunque i sette mesi a quota 90,8 milioni di euro, -1,1%. All’ interno del mercato pubblicitario televisivo, Mediaset detiene una quota del 56,3%, seguita da Rai col 20,9%, Sky al 12,3%, Discovery 6,3% e La7 al 4,1%. Analizzando il singolo mese di luglio, la raccolta in tv cala del 17,6% rispetto a luglio 2016. Giù Rai (-38%) e Sky (-14,7%) a causa, come detto, del confronto con gli Europei 2016. In flessione Mediaset (-12%), mentre Discovery è a +9,1% e La7 a -1,2%. © Riproduzione riservata.

Web, meno news ma regge lo sport

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ informazione online a luglio ha registrato una flessione: -1,4% rispetto a giugno per i siti che appartengono alla categoria Current events and global news di Audiweb, -0,6% sullo stesso mese dell’ anno scorso. La categoria nella tabella in pagina elaborata da ItaliaOggi con i siti di informazione e della carta stampata, inoltre, mostra come 24 brand siano in terreno negativo e 15 in crescita. Questo movimento, però, è più che naturale: nel confronto con giugno conta la stagionalità e quindi l’ arrivo dell’ estate, così come avvenimenti come la finale della Champions, le amministrative e vari fatti di cronaca, fra cui attentati a Londra e Parigi che hanno pesato in quel mese. Nel confronto con il luglio 2016, invece, pesano gli Europei, ancora alcuni attentati, e così via. Ciò non toglie che pur in mancanza grandi competizioni calcistiche, luglio 2017 si è difeso sullo sport, probabilmente grazie a un calciomercato particolarmente acceso, oltre che per Mondiali di nuoto e Wimbledon. Detto questo, c’ è da registrare un altro fenomeno. A fronte di molti cali nell’ utenza diretta dei siti, i dati sulla navigazione all’ interno dell’ app di Facebook rilasciati sempre ieri da Audiweb mostrano molte crescite a luglio rispetto al mese prima. Con il bel tempo è normale attendersi una maggiore navigazione da cellulare e dal momento che su questo dispositivo è l’ applicazione del social a farla da padrona, gli articoli degli editori vengono spesso raggiunti in questo modo. Con l’ Audiweb 2.0, che ormai si attende da tempo, dovremmo però avere un quadro più preciso. La tabella in pagina riserva anche alcune sorprese sui singoli siti. Innanzitutto c’ è il TgCom24, che cresce dell’ 1,3% sul mese precedente e supera nell’ audience giornaliera organica, quella che non comprende utenti di terzi, il Corriere della Sera, sito con paywall in calo del 2,1%. TgCom è così secondo a 1,073 milioni di utenti unici mentre Repubblica resta primo con 1,263 milioni al giorno sebbene in calo del 14,8%. Proprio su questa testata la casa editrice precisa che i dati «risentono, come noto, della mancata rilevazione da parte della ricerca attuale del dato di browsing in app da Facebook, particolarmente rilevante per Repubblica» e che «il traffico mobile così come i consumi di Facebook durante l’ estate sono quelli prevalenti». Per verificare questo si possono vedere i dati in app browsing di Repubblica: sono cresciuti dell’ 11,2% a 6,66 milioni di utenti mensili, in controtendenza quindi con il dato web. Il Corriere sempre sul social è a +8,3% ma ben distante (3,4 milioni), mentre TgCom cresce del 2,4% a 2 milioni. Il primo della classifica della navigazione nell’ app di Facebook resta Fanpage: 7,5 milioni di utenti mensili (+5,9%) mentre nella rilevazione utenti unici giornalieri di Audiweb perde il 5% (l’ intera tabella in app browsing Facebook si può trovare sul sito www.italiaoggi.it/documenti). Tornando alla rilevazione Audiweb generale per giorno medio di luglio, altre crescite come detto arrivano dai siti sportivi: Gazzetta +1,5%, TuttoMercatoWeb +4,9%, Tuttosport +15%, Corriere dello Sport +29%, Calciomercato.com +1,2%. Non solo però. Segni positivi anche per Messaggero (+12,8%), Giornale (+9%), Libero (+19,2%), HuffPost (+2,9%), Gazzettino (+16%), Dagospia (+22,6%), Oggi (+14,2%), Corriere Adriatico (+43,3%), Lettera43 (+1,4%). Meno bene è andata per altre testate nazionali come Stampa (-6,3%), Sole (-5,3%), Fatto (-15%), Quotidiano.net (-12,9%). Così come non hanno brillato i siti della tv e della radio, tutti in calo tranne Mediaset Premium con un +2,7%. © Riproduzione riservata.

Ecco la nuova casa del gruppo Le Monde. Sarà pronta nel 2019

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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È più bello l’ attuale palazzo di Le Monde, sul boulevard Auguste Blanqui, nel 13° arrondissement (vedi foto), disegnato nel 2004 da uno dei più grandi architetti contemporanei, Christian de Portzamparc, l’ unico francese insignito con il premio Pritzker, il Nobel dell’ architettura, o il nuovo che sorgerà qualche chilometro più in là, vicino alla stazione ferroviaria di Austerlitz, sempre nel 13°, disegnato dagli architetti dello studio norvegese Snøhetta, uno dei più importanti al mondo, con una lunghissimo portafoglio di realizzazioni, da Oslo a Dakar? In ogni caso giornalisti e dipendenti non potranno scegliere. Tra due anni, nel 2019, quando il palazzo sarà consegnato dall’ impresa di costruzioni Redman alla società Le Monde Libre, di proprietà dei due editori del giornale, Xavier Niel e Mahieu Pigasse (il terzo, Pierre Bergè, è scomparso la settimana scorsa e i due hanno rilevato la sua quota), dovranno trasferirsi nei nuovi uffici che ospiteranno tutte le testate del gruppo: non solo il quotidiano, ma anche i settimanali L’ Obs, Télérama e Courrier International, le redazioni internet di Huffigton Post e Rue 89, oltre alla concessionaria pubblicitaria M Publicité e all’ amministrazione. Solo Le Monde Diplomatique resterà dov’ è, nel suo palazzetto di proprietà, sempre nel 13°. Il nuovo palazzo (vedere foto) disegnato dai norvegesi, che hanno vinto un contest internazionale a cui hanno partecipato sei studi d’ architettura di tutto il mondo, con i suoi sette piani e 23 mila metri quadrati di superficie, è un concentrato di nuove tecnologie edilizie. Realizzato in acciaio (4.200 tonnellate di strutture sono già in lavorazione nelle acciaierie della Mosella) e in vetro, è stato concepito come un enorme ponte sospeso sulle rotaie della Gare d’ Austerlitz destinate ai futuri collegamenti del Tgv (per fare un paragone come la nuova sede della Bnl a Roma sulla stazione dell’ Alta Velocità alla stazione Tiburtina). «Prima abbiamo pensato a due torri, poi c’ è venuta l’ idea di collegarle e così è nato questo edificio-ponte», dice uno dei due fondatori della società costruttrice, Mathias Navarro, avvocato esperto di diritto urbanistico e quindi passato direttamente al business immobiliare insieme con il socio Nicolas Ponson, ingegnere, per vent’ anni responsabile di cantiere da Bouygues. Il nuovo palazzo di Le Monde costerà 43 milioni di euro, finanziati interamente dalla società di Niel e Pigasse che, da abilissimi imprenditori quali sono, anni fa avevano rilevato il terreno dalle ferrovie francesi a un prezzo che oggi consente quelle plusvalenze immobiliari in grado di finanziare, tramite il circuito bancario e le operazioni di leasing, un investimento così rilevante. Il più soddisfatto, comunque, è il sindaco del 13° arrondissement, Jêrome Coumet, socialista, che ha inviato a tutti i residenti del quartiere un tweet entusiasta: «Que beau symbol: le groupe Le Monde va construire un immeuble dans le 13°», che bella notizia, il gruppo Le Monde costruirà la sua nuova sede nel nostro quartiere. Monsieur Coumet non ha dubbi: rielezione assicurata nel 2019. © Riproduzione riservata.

Radio Bari Liberata, dalle teche riemerge una perla

Il Venerdì di Repubblica

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E’ solo grazie alla rete se un progetto come quello di Radio Techetè riesce a proporre e valorizzare le cose migliori della radio italiana dal primo dopoguerra a oggi. Prevale anzi domina materiale sonoro parlato, e la musica, quando c’è, si presenta solo come un flusso leggero, di pura compagnia. Il target di riferimento è strettamente legato agli appassionati di una radiofonia senza età, non a caso allo sterminato serbatoio di Radio Techetè si accede anche attraverso i social. I temi principali sono il varietà, lo sport, le fiction, il teatro, il meglio dell’intrattenimento prodotto da Radio Rai, tra Alto gradimento, Gran varietà, i momenti alti dello sport raccontato dai radiocronisti del Gr. Di recente allestimento è Qui Radio Bari liberata, costruito con i contenuti originali della prima radio libera d’Europa, che riprese le trasmissioni all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, sottratta al controllo del regime di allora, quando artisti e giornalisti fuggirono dalla sede Eiar di Roma, ancora occupata da fascisti e nazisti e, anche a rischio della propria vita, raggiunsero Bari per lavorare liberi da censure. Questa nuova preziosa perla, tutta da ascoltare, la dobbiamo alla sede regionale Rai della Puglia, che ha recuperato e digitalizzato le reggistrazioni originali del 1943 e 1944.

DIRITTI TV SERIE A ALL’ ESTERO: LA LEGA SCOPRE LE OFFERTE

La Repubblica

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La Serie A scoprirà oggi il proprio valore sul mercato internazionale. Stasera in Lega saranno aperte le offerte per i diritti esteri triennio ’18-’21. Obiettivo: 300 milioni (contro i 197 del ’15-’18). Spettatori interessati, Sky e Mediaset che stanno preparando le loro offerte per l’ asta domestica.

Intesa Fieg-Google sui media digitali

Il Piccolo

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Il programma del Digital Lab FIEG, progetto di formazione attivo nel contesto dell’ accordo triennale tra Fieg e Google, avviato per favorire il processo di trasformazione digitale della stampa italiana, si arricchisce di nuove attività. Al via il prossimo 20 settembre la Digital Transformation Academy, una iniziativa in collaborazione con Talent Garden. L’ iniziativa – si legge in una nota – prevede tre giornate di formazione nelle città di Brescia (20 settembre), Roma (5 ottobre) e Palermo (17 ottobre), e una maratona di 12 ore nella sede torinese di Talent Garden, durante la quale tutti i partecipanti potranno mettersi alla prova nella creazione di soluzioni digitali innovative applicabili al settore dell’ editoria. Sono 150 i professionisti dell’ editoria coinvolti in questo percorso di formazione. La prima fase di formazione, “Envisioning Academy”, vedrà alternarsi lezioni frontali, brainstorming e workshop per sviluppare abilità di pensiero laterale e di utilizzo della tecnologia nei diversi settori dell’ editoria.

Nasce l’ accademia digitale per l’ editoria

Gazzetta di Parma

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II Il programma del Digital Lab@Fieg, progetto di formazione attivo nel contesto dell’ accordo triennale tra Fieg e Google, avviato per favorire il processo di trasformazione digitale della stampa italiana, si arricchisce di nuove attività. Al via il prossimo 20 settembre la Digital Transformation Academy, una iniziativa in collaborazione con Talent Garden. L’ iniziativa prevede 3 giornate di formazione nelle città di Brescia (20 settembre), Roma (5 ottobre) e Palermo (17 ottobre), e una maratona di 12 ore nella sede torinese di Talent Garden, durante la quale tutti i partecipanti potranno mettersi alla prova nella creazione di soluzioni digitali innovative applicabili al settore dell’ editoria. Sono 150 i professionisti dell’ editoria coinvolti in questo percorso di formazione. La prima fase di formazione, «Envisioning Academy», vedrà alternarsi lezioni frontali, brainstorming e workshop per sviluppare abilità di pensiero laterale e di utilizzo della tecnologia all’ interno dei diversi settori dell’ editoria e sarà affidata alla guida di alcuni professionisti del settore. Il percorso si chiuderà nel Campus di Talent Garden Fondazione Agnelli con una sfida che metterà in competizione giornalisti, marketing manager ed esperti di digitale nella produzione di progetti innovativi per la fruizione di informazione attraverso i nuovi strumenti del digitale. r.eco.

Sviluppo digitale A Palermo il corso di Fieg e Google

Giornale di Sicilia

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OOO Parte il programma del Digital Lab Fieg, progetto di formazione attivo nel contesto dell’ accordo triennale tra Fieg e Google, avviato per favorire il processo di trasformazione digitale della stampa italiana. Al via dal 20 settembre la Digital Transformation Academy, iniziativa in collaborazione con Talent Garden. L’ iniziativa prevede 3 giornate di formazione a Brescia (20 settembre), Roma (5 ottobre) e Palermo (17 ottobre).

La giustizia ferma di nuovo Poletti: le pensioni autonome non si toccano

La Verità
CHIARA MERICO
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L’ indirizzo appare uniforme, in base a diversi pronunciamenti di Consulta e Cassazione: l’ Inpgi, la cassa previdenziale dei giornalisti italiani, non avrebbe avuto i poteri necessari per poter approvare il prelievo forzoso (o contributo di solidarietà) che viene applicato da alcuni mesi sulle pensioni più alte. E il governo, che all’ epoca approvò la misura con l’ assenso del ministero del Lavoro – quello dell’ Economia, invece, a quanto risulta si smarcò – ha quindi avallato un provvedimento che secondo gli orientamenti della giurisprudenza non sarebbe conforme alla legge.la deliberaLa delibera sul prelievo forzoso, approvata insieme alla riforma dell’ istituto varata il 28 settembre dell’ anno scorso, prevede appunto l’ applicazione di una trattenuta, in via temporanea e per la durata di tre anni, a tutti i trattamenti di pensione erogati dall’ Inpgi con importo pari o superiore a 38.000 euro lordi annui, con percentuali crescenti in base alle diverse fasce reddituali. Lo scorso 21 febbraio è arrivato il sì del ministero del Lavoro guidato da Giuliano Poletti a una misura che dovrebbe costituire «un’ efficace attuazione del principio di equità intergenerazionale posto alla base dei sistemi previdenziali». Non la pensano così i giornalisti interessati, che un anno fa, nell’ ottobre del 2016, avevano raccolto oltre 1.100 firme in calce a un appello indirizzato ai ministri Poletti e Pier Carlo Padoan (titolare delle Finanze), numeri uno dei ministeri vigilanti, ai quali chiedevano di non dare il via libera alla delibera Inpgi sul prelievo forzoso. Non è servito: il ministero del Lavoro ha appunto concesso il suo assenso e così dal mese di maggio, con gli arretrati versati a partire da marzo, i giornalisti pensionati si vedono decurtare dal cedolino una media di 1.000 euro lordi all’ anno. Per cercare di ottenere ragione, alcuni cronisti si sono rivolti con due ricorsi separati al Tar del Lazio, chiedendo che il tribunale dichiari l’ illegittimità della delibera Inpgi. Uno dei ricorsi è stato presentato l’ 8 maggio 2017 dagli avvocati Alfonso Amoroso e Carlo Guglielmi, a nome dei pensionati Demetrio De Stefano, Liliana Madeo e Salvatore Rotondo; il secondo è stato poi depositato dagli avvocati Vincenzo Greco e Umberto Ilardo a nome dell’ editorialista della Stampa Marcello Sorgi e altri dieci colleghi.Il punto che i giornalisti ricorrenti contestano non è tanto il valore dei provvedimenti di solidarietà, quanto la possibilità che un consiglio di amministrazione – come appunto quello dell’ Inpgi – possa sostituirsi al Parlamento approvando un provvedimento che di fatto taglia le pensioni, e introducendo quindi un precedente, a detta degli interessati, «inaccettabile e pericoloso».E diverse sentenze andrebbero a sostegno di questa tesi. Un’ ampia analisi in merito è disponibile sul blog di Franco Abruzzo, giornalista e presidente dell’ Unpit (Unione nazionale pensionati per l’ Italia), che cita ad esempio, tra le più recenti, la sentenza numero 7.516/2017 e l’ ordinanza numero 7.568/2017 con le quali la sesta sezione civile della Corte di Cassazione ha censurato i prelievi sulle pensioni deliberati sia dalla Cassa dottori commercialisti sia dalla Cassa Ragionieri. I provvedimenti, scrivono i supremi giudici, violano l’ articolo 23 della Costituzione secondo il quale «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge», in nome dello storico principio delle democrazie liberali «No taxation without representation» (niente tasse senza rappresentanza). La trattenuta, quindi, non può essere introdotta con un atto amministrativo, come ha fatto anche l’ Inpgi. Questo perché il prelievo forzoso, come ha specificato la Corte costituzionale con la sentenza numero 173/2016, ha natura di prestazione patrimoniale e quindi rientra nelle fattispecie previste dall’ articolo 23 della Costituzione.le illegittimità Non solo: anche altre due sentenze (la numero 6.702 e la 12.338 del 2016) della sezione Lavoro della Cassazione rafforzano la linea di quanti sostengono l’ illegittimità dei prelievi. In particolare, nella sentenza 12.338 i supremi giudici ribadiscono il principio secondo cui «una volta maturato il diritto alla pensione d’ anzianità, l’ ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’ importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poiché ciò lederebbe l’ affidamento del pensionato, tutelato dall’ articolo 3 della Costituzione (quello in base al quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ndr), nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo». Si attende ora il pronunciamento del Tar del Lazio sulla questione di merito dei ricorsi. Lo scorso 10 luglio si è svolta l’ udienza per l’ esame della richiesta di sospensione cautelare del provvedimento con cui i ministeri hanno approvato il prelievo forzoso. Al fianco dell’ Inpgi si sono costituiti in giudizio sia il ministero del Lavoro sia l’ Adepp, l’ associazione che rappresenta le casse e gli enti di previdenza privati. La decisione sulla questione di merito è stata rinviata al prossimo 20 febbraio e secondo alcuni osservatori i ricorrenti avrebbero buone speranze di vedere accolte le loro istanze.

Editoria, torna oggi in edicola il quotidiano “Il Romanista”.

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Dopo oltre tre anni dalla sua chiusura, “Il Romanista”, l’unico quotidiano al mondo dedicato a una squadra di calcio, torna in edicola.  La direzione del giornale, che – si sottolinea in una nota – non beneficerà dei contributi pubblici all’editoria, è stata affidata a Tonino Cagnucci, storica firma del quotidiano, che ha voluto nella sua squadra nomi noti della vecchia testata e giornalisti autorevoli nel campo dello sport, della politica, dell’economia, della cronaca e dell’attualità. L’operazione editoriale è stata realizzata, attraverso l’acquisto del marchio e dell’archivio storico del quotidiano “Il Romanista”, dalla società Iniziative Editoriali (che già dal 2015 cura la raccolta pubblicitaria del quotidiano “Editoriale Oggi”), assistita dall’avvocato Valerio Tallini. Iniziative Editoriali, che curerà in esclusiva la raccolta pubblicitaria anche de “Il Romanista”, ha poi affittato la testata a una nuova cooperativa (presieduta dal commercialista romano Marco Pochetti), che si occuperà dell’edizione del quotidiano cartaceo e del sito web.
L’edizione cartacea dell’unico quotidiano dedicato ad una squadra di calcio sarà disponibile nelle edicole della Regione ed in versione digitale. Per i lettori più affezionati, ci sarà ovviamente la possibilità di sottoscrivere un abbonamento per non perdere neanche un numero de Il Romanista. Dal 15 settembre sarà disponibile la versione sfogliabile digitale per pc/desktop, quella mobile per Android/Ios invece sarà disponibile entro il 30 novembre 2017: i lettori che avranno già sottoscritto l’abbonamento, a partire da questa data potranno consultare automaticamente il giornale anche da tablet, smartphone e app. L’abbonamento al giornale cartaceo sarà disponibile a partire dal 1° ottobre secondo modalità che saranno comunicate successivamente.

Attivazione di servizi telefonici indesiderati. Arrivano maggiori tutele dall’Agcom

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Approfondire l’impatto della recente legge sulla concorrenza per assicurare agli
utenti una maggiore tutela. Questo quanto emerso dal Consiglio dell’Autorità che
ha iniziato a valutare le attività da intraprendere – per quanto di sua competenza
al fine di dare seguito alle nuove disposizioni di legge che, tra le altre cose,
prevedono l’acquisizione del consenso espresso del cliente per l’addebito dei
costi dei servizi in abbonamento offerti da terzi.
A tale riguardo, nell’ambito del procedimento sulla cd “Bolletta 2.0”, l’Autorità già
a luglio aveva affrontato l’argomento, inducendo gli operatori ad adottare un
meccanismo di gestione più corretto degli abbonamenti ai servizi premium e
avviando una fase di sperimentazione e monitoraggio. Tra le misure in fase di
adozione, assume particolare rilievo quella volta ad evitare il rischio di attivazioni
indesiderate: la soluzione adottata si basa su un meccanismo di doppio click e
su una corretta gestione della pagina informativa, nonché sulla tracciabilità delle
azioni dell’utente ottenuta grazie al controllo, a cura degli operatori di telefonia,
dei due tasti che consentono di abbonarsi al servizio.

Circolare n. 31 del 15/09/2017 – Regione Veneto. Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per il referendum consultivo regionale convocato in data 22 ottobre 2017.

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Nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 52 del 26 maggio 2017, è stato pubblicato il Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 50 del 24 aprile 2017 «Indizione del referendum consultivo di cui alla legge regionale 19 giugno 2014, n. 15 ”Referendum consultivo sull’autonomia del Veneto”», con il quale il Presidente della Giunta regionale ha indetto un referendum consultivo regionale, convocando i relativi comizi per il giorno di domenica 22 ottobre 2017.

L’attività di comunicazione politica e istituzionale durante la campagna referendaria è soggetta alle disposizioni della legge 22 febbraio 2000, n. 28 “Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica”, alle disposizioni del Codice di autoregolamentazione in materia di attuazione del principio del pluralismo, emanato dal Ministero delle Comunicazioni con proprio decreto in data 8 aprile 2004 e alle disposizioni regolamentari e attuative emanate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) con delibera n. 89/14/CONS del 24 febbraio 2014, applicabile con riferimento alle campagne per i referendum consultivi, propositivi e abrogativi indetti in ambito locale su materia di esclusiva pertinenza locale.

Emittenti radiotelevisive locali

Le emittenti radiofoniche e televisive locali possono trasmettere messaggi politici autogestiti a pagamento, assicurando condizioni economiche uniformi a tutti i soggetti politici e dando notizia del loro intendimento mediante un avviso (v. Allegato 1 come esempio) da trasmettere, almeno una volta al giorno, nella fascia oraria di maggiore ascolto, per tre giorni consecutivi. Nell’avviso si informa che presso la propria sede, della quale viene indicato l’indirizzo, il numero telefonico e di fax, è depositato un documento (v. Allegato 2 come esempio), consultabile su richiesta da chiunque ne abbia interesse, concernente:

– le condizioni temporali di prenotazione degli spazi con l’indicazione del termine ultimo entro il quale gli spazi medesimi possono essere prenotati;

– le modalità di prenotazione degli spazi;

– le tariffe per l’accesso a tali spazi quali autonomamente determinate da ogni singola emittente radiofonica e televisiva locale;

– ogni eventuale ulteriore circostanza od elemento tecnico rilevante per la fruizione degli spazi.

La prima messa in onda del suddetto avviso costituisce condizione essenziale per la diffusione dei messaggi referendari autogestiti a pagamento in periodo referendario. Ciascuna emittente radiofonica e televisiva locale deve tenere conto delle prenotazioni degli spazi da parte dei soggetti politici in base alla loro progressione temporale. Inoltre, ai richiedenti gli spazi devono essere riconosciute le condizioni di miglior favore praticate ad uno di essi per gli spazi acquistati. Ciascuna emittente è tenuta a praticare una tariffa massima non superiore al 70% del listino di pubblicità tabellare. I soggetti politici interessati possono richiedere di verificare in modo documentale i listini tabellari in relazione ai quali sono state determinate le condizioni praticate per l’accesso agli spazi per i messaggi. Nel caso di diffusione di spazi per i messaggi differenziati per diverse aree territoriali dovranno essere indicate anche le tariffe praticate per ogni area territoriale. Per le emittenti televisive, i messaggi devono recare in sovrimpressione per tutta la loro durata la dicitura “Messaggio referendario a pagamento“, con l’indicazione del soggetto politico committente. Le emittenti radiofoniche e televisive locali che effettuano trasmissioni in contemporanea con una copertura complessiva coincidente con quella legislativamente prevista per un’emittente nazionale sono disciplinate dalle norme previste per le emittenti locali esclusivamente per le ore di trasmissione non in contemporanea.

In relazione ai programmi di informazione, essi sono disciplinati dal Decreto del Ministero delle Comunicazioni 8 aprile 2004. In particolare, le emittenti radiotelevisive locali devono garantire il pluralismo e la parità di trattamento, l’obiettività, la correttezza, la completezza, la lealtà, l’imparzialità, l’equità e la pluralità dei punti di vista; a tal fine, quando vengono trattate questioni relative alla consultazione elettorale, deve essere assicurato l’equilibrio tra i soggetti politici secondo quanto previsto dal codice di autoregolamentazione. Resta il divieto di fornire, anche in forma indiretta, indicazioni o preferenze di voto relative al referendum in qualunque trasmissione radiotelevisiva diversa da quelle di comunicazione politica e dai messaggi politici autogestiti.

CIRCUITI DI EMITTENTI RADIOTELEVISIVE LOCALI

Ai fini della presente normativa, le trasmissioni in contemporanea da parte di emittenti locali che operano in circuiti nazionali comunque denominati sono considerate come trasmissioni in ambito nazionale; il consorzio costituito per la gestione del circuito o, in difetto, le singole emittenti che fanno parte del circuito, sono tenuti al rispetto delle disposizioni previste per le emittenti nazionali. Rimangono ferme per ogni emittente del circuito, per il tempo di trasmissione autonoma, le disposizioni previste per le emittenti locali. Ogni emittente risponde direttamente delle violazioni realizzatesi nell’ambito delle trasmissioni in contemporanea.

STAMPA QUOTIDIANA E PERIODICA

Gli editori di quotidiani e periodici che intendano diffondere, a qualsiasi titolo, messaggi politici elettorali, sono tenuti a dare notizia dell’offerta dei relativi spazi attraverso un apposito comunicato preventivo (v. Allegato A come esempio) da pubblicare sulla testata stessa. Ove, in ragione della periodicità della testata, non sia stato possibile pubblicare sulla stessa, nel termine predetto, il comunicato preventivo, la diffusione dei messaggi non potrà avere inizio che dal numero successivo a quello recante la pubblicazione del comunicato sulla testata, salvo che il comunicato sia stato pubblicato su altra testata, quotidiana o periodica, di analoga diffusione.

La pubblicazione del comunicato preventivo costituisce condizione per la diffusione dei messaggi politici elettorali. In caso di mancato rispetto del termine stabilito, la diffusione dei messaggi può avere inizio dal secondo giorno successivo alla data di pubblicazione del comunicato stesso.

Il comunicato preventivo deve essere pubblicato in modo da essere ben evidenziato sia per collocazione che per modalità grafiche, e deve precisare:

a) le condizioni generali dell’accesso;
b) l’indirizzo ed il numero di telefono della redazione della testata presso cui è depositato il documento analitico, consultabile su richiesta. Quindi, anche laddove vi sia una concessionaria di pubblicità esterna, l’obbligo di redazione e conservazione del documento analitico ricade a carico dell’editore, fermo rimanendo, chiaramente, la facoltà di concordare tra le parti le politiche commerciali in tema di comunicazione elettorale nel rispetto della normativa.

Il documento analitico (v. Allegato B come esempio) deve contenere:

  • le condizioni temporali di prenotazione degli spazi con puntuale indicazione del termine ultimo, rapportato ad ogni singolo giorno di pubblicazione entro il quale gli spazi medesimi possono essere prenotati;
  •  le tariffe per l’accesso a tali spazi, nonché le eventuali condizioni di gratuità;
  • ogni eventuale ulteriore circostanza od elemento tecnico rilevante per la fruizione degli spazi medesimi; in particolare, la definizione del criterio di accettazione delle prenotazioni in base alla loro progressione temporale.

Ogni editore è tenuto a fare verificare in modo documentale, su richiesta dei soggetti politici interessati, le condizioni praticate per l’accesso agli spazi in questione, nonché i listini in relazione ai quali ha determinato le tariffe per gli spazi medesimi.

I messaggi politici elettorali devono essere pubblicati in appositi spazi debitamente evidenziati, con modalità uniformi e recare la dicitura “messaggio referendario” con l’indicazione del soggetto politico committente.

Sono ammesse soltanto le seguenti forme di messaggio politico elettorale:

a) annunci di dibattiti, tavole rotonde, conferenze, discorsi;

b) pubblicazioni destinate alla presentazione dei programmi delle liste, dei gruppi di candidati e dei candidati;

c) pubblicazioni di confronto tra i promotori del si e del no.

La disciplina in oggetto non si applica agli organi ufficiali di stampa dei partiti e movimenti politici e alle stampe elettorali dei soggetti politici interessati al referendum. Si considera organo ufficiale di partito o movimento politico il giornale quotidiano o periodico che risulti registrato come tale, ovvero che rechi indicazione in tale senso nella testata, ovvero che risulti indicato come tale nello statuto o altro atto ufficiale del partito o del movimento politico.

Inoltre, è previsto come adempimento obbligatorio che i partiti, le forze politiche, le coalizioni e le liste comunichino, contestualmente all’apertura della campagna elettorale, all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ogni indicazione necessaria a qualificare gli organi ufficiali di stampa dei partiti e dei movimenti politici.

TESTATE TELEMATICHE

Pur non essendoci specifica disciplina in tema di par condicio per le testate telematiche, le testate giornalistiche online sono equiparate a quelle cartacee. Un’ulteriore conferma arriva dall’autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che, dietro nostra esplicita richiesta, si è espressa sulla questione. La disciplina in vigore, in attuazione della legge 28/2000, è riferita espressamente al settore dei  quotidiani e dei periodici a stampa nonché al settore radiotelevisivo. E nessuna modifica o integrazione inerente l’editoria elettronica. Oggi, in virtù di quanto espresso dall’Agcom, le testate telematiche iscritte al tribunale o al Roc debbono rispettare tutti gli obblighi e gli adempimenti richiesti. Va pertanto pubblicato sul sito internet della testata il Comunicato preventivo e i relativi messaggi referendari vanno inseriti con la dicitura “messaggio referendario” con l’indicazione del soggetto politico committente.

Allegato 1 – Comunicato Preventivo tv locali referendum 22 ottobre 2017.doc (1)

Allegato 2 – Documento analitico Tv locali – referendum veneto 22 ottobre 2017.doc (1)

Allegato A – COMUNICATO PREVENTIVO – Stampa-referendum veneto 22 ottobre 2017.docx

Allegato B – documento analitico referendum veneto 22 ottobre 2017- periodici e quotidiani.docx

Futuro dei giornali. De Benedetti apre a Google e Facebook

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“Meno copie, meno lettori, più ricchezza di contenuti. Meno notizie e più analisi”. È questo il futuro dei giornali, secondo l’editore Carlo De Benedetti, che ha parlato al ‘Cortile di Francesco’ ad Assisi sul tema dell’evoluzione del giornalismo. “I giornali sono in crisi in tutto il mondo occidentale, ma io sono ottimista e credo che continueranno a esistere, a patto che si capisca che è inutile pensare di continuare a fare il mestiere così come è stato finora”. Il vecchio quotidiano cartaceo, secondo De Benedetti, dovrà dunque saper rispondere al mondo digitale in cui la notizia è diventata istantanea, offrendo ai lettori non i fatti ma gli approfondimenti degli stessi, le connessioni e le loro conseguenze. Per questo i quotidiani del futuro “saranno oggetti più preziosi di quelli che conosciamo oggi: saranno venduti a un numero minore di lettori, costeranno più cari e saranno luoghi di riflessione. Il compito di questo cambiamento sarà innanzitutto degli editori, che decidono che tipo di forza lavoro debba avere una redazione, dei giornalisti, ma anche dei lettori, che devono cambiare e poter apprezzare la qualità del commento”. Per De Benedetti, “i social media devono contribuire a mantenere un pilastro della democrazia come i giornali”. “Non vogliamo sussidi dallo Stato, non ne abbiamo mai avuti perché se c’è sovvenzione è poi legittimata una richiesta, ma occorre che i soggetti che partecipano al mondo dell’informazione – come i siti, i motori di ricerca e i social media – a cui diamo enorme contributo come giornali, partecipino all’aumento dei costi che l’aumento della qualità dei giornali comporterà. Ne ho parlato con il nostro primo ministro che è d’accordo: è una cosa che andrebbe fatta a livello europeo, ma l’Italia può iniziare”. Non è giusto – ha aggiunto De Benedetti – che Google e Facebook prelevino il nostro lavoro gratuitamente e se ne approprino per avere guadagni pubblicitari; il prodotto può essere buono o meno buono, ma a noi costa produrlo ed è bene che chi se ne serve, partecipi ai suoi costi”. De Benedetti ha poi sottolineato che per i motori di ricerca le news sono fondamentali: “Io non penso che Google difenda la democrazia, non è il suo mondo, però siamo noi a dare le informazioni. Siamo davanti a una svolta, avvenuta con la digitalizzazione del mondo e delle informazioni”. (Ansa)

Rassegna Stampa del 16/09/2017

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Indice Articoli

Vigilanza Rai: il Pd (isolato) vuol fare melina su Gabanelli

“Milena deve fare la sua battaglia. Per i cittadini”

MFFashion celebra i 150 anni della Galleria di Milano con un magazine speciale

Con il Super Panel Auditel Telelombardia cresce del 42%

Tv, bagarre dietro Rai e Mediaset

Chessidice in viale dell’ Editoria

Gli editori vendono anche rossetti

Mondadori aveva capito per prima il giornale buono. Ma ebbe paura

Ora l’ informazione si accorge che la verità fa male

Classifica e trend dei siti di news più seguiti nel mese di luglio per audience complessiva, aggregazioni (TAL) e traffico mobile in-app su Facebook – TABELLA

Colpire la stampa per fermare il dissenso

In India è caccia ai giornalisti La violenza dell’ estremismo indù

De Benedetti e i social media “Chi usa le news paghi i costi”

Vigilanza Rai: il Pd (isolato) vuol fare melina su Gabanelli

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Convocare di nuovo Mario Orfeo e Monica Maggioni in commissione di Vigilanza. Così da schivare l’ audizione di Milena Gabanelli. Questo è l’ escamotage pensato dal Pd per evitare di ascoltare la giornalista in Parlamento, un’ audizione che potrebbe mettere in imbarazzo il dg della Rai e il Cda di Viale Mazzini. E infatti sarebbero proprio i vertici della tv di Stato ad aver fatto arrivare in Parlamento il suggerimento a soprassedere: meglio evitare di portare in una sede istituzionale un caso che sta imbarazzando non poco mamma Rai ed è diventato il primo vero problema per il nuovo direttore generale. La proposta di ascoltare Gabanelli è stata lanciata mercoledì scorso dalla deputata grillina Dalila Nesci, ma è stata respinta al mittente dai dem Vinicio Peluffo e Michele Anzaldi. Il problema, però, è che su questo tema il Pd è isolato: tutte le altre forze politiche presenti in Vigilanza, infatti, chi più e chi meno, sono favorevoli all’ audizione. Quindi, se si dovesse arrivare a un voto, il partito di Matteo Renzi potrebbe trovarsi in minoranza. Anche se poi, sulle convocazioni in commissione, al voto non si arriva quasi mai e si trova un accordo prima. A lanciare la proposta, dicevamo, è stato l’ M5S . “Dopo tutte le polemiche e la decisione di Gabanelli di autosospendersi dalla Rai, oltretutto con un duro atto d’ accusa verso i vertici, pensiamo sia doveroso affrontare la questione in Vigilanza, ascoltando la parte in causa”, fanno sapere dal movimento grillino. Alla richiesta, però, il Pd oppone un secco rifiuto. “In commissione non si affrontano casi singoli, altrimenti in passato avremmo dovuto ascoltare i vari Giannini, Giletti, Perego Si creerebbe un pericoloso precedente. Inoltre l’ audizione rischierebbe di metterebbe in imbarazzo la stessa Gabanelli perché la esporrebbe a ogni genere di attacco o critica”, osserva Anzaldi. Secondo cui “l’ unico modo che la Vigilanza ha per affrontare il caso alla luce delle ultime novità (l’ auto sospensione della giornalista, ndr) è quello di riconvocare i vertici: il dg Orfeo e la presidente Maggioni”. Il problema è che però, così, si ascolterebbe solo la metà della storia. “In Vigilanza in questi anni si è convocato di tutto e di più. Inoltre Gabanelli non è giornalista o conduttrice semplice, ma è vice direttore di testata (Rainews, ndr). Quindi i motivi di opposizione del Pd non stanno in piedi”, osserva Maurizio Lupi di Ap. Su questa linea ci sono un po’ tutti. “Io non stravedo per la giornalista, ma sono favorevole alla convocazione: è sempre meglio ascoltare le questioni direttamente dagli interessati”, afferma il leghista Jonny Crosio. “Gabanelli è l’ ultima vittima del controllo renziano sulla Rai. Penso che sia dovere della Vigilanza ascoltare perché una professionista seria e capace come lei abbia deciso di mettersi in aspettativa”, sostiene Fabio Rampelli di Fdi. Anche Pino Pisicchio, in rappresentanza del gruppo misto (terzo “partito” per numeri a Montecitorio), è d’ accordo. “Il caso ha suscitato un tale clamore che mi sembra utile sentire tutte le parti in causa”, dice il deputato pugliese. E Forza Italia? Renato Brunetta è un po’ recalcitrante, ma favorevole. “A patto però che, oltre a lei, vengano convocati tutti gli altri giornalisti e conduttori messi da parte, a partire da Nicola Porro”, osserva il capogruppo forzista alla Camera. Che aggiunge: “Io nutro forti dubbi sulla serietà deontologica della signora Gabanelli. Ma non c’ è dubbio che sul caso del progetto web abbia subìto una scorrettezza. La si convochi, ma senza farne una Giovanna d’ Arco”, aggiunge Brunetta. La questione verrà riproposta in Vigilanza mercoledì prossimo. Sara interessante vedere se il Pd continuerà a fare muro oppure se cederà alle pressioni della altre forze politiche. Con buona pace di Viale Mazzini.

“Milena deve fare la sua battaglia. Per i cittadini”

Il Fatto Quotidiano
Gia. Ros.
link

Milena Gabanelli si è auto sospesa dalla Rai perché il suo progetto di nuovo sito web è stato depotenziato. Prima di lei altri personaggi hanno dovuto combattere contro l’ ostracismo di Viale Mazzini. Una di loro è Sabina Guzzanti che, nel 2003, si è vista chiudere un programma, Raiot, perché ritenuto scomodo. Sabina Guzzanti, vede differenze tra le censure di allora e i comportamenti di oggi? Quando nel 2001 sono cominciate le censure in Rai, l’ opinione pubblica reagiva con forza. Il Paese pullulava di iniziative in difesa della libertà d’ espressione. Allo stesso tempo tra gli addetti ai lavori, sui giornali e in televisione, l’ atteggiamento era quello di minimizzare. Finché, com’ era prevedibile, dopo aver fatto sparire gli elementi vistosamente scomodi, hanno fatto fuori anche quelli mediamente scomodi, poi quelli che magari avrebbero potuto diventare scomodi. Cosa pensa del caso Gabanelli? Gabanelli è una giornalista che stimo e a cui sono grata per l’ ottimo lavoro. Se posso avanzare una critica, mi sembra che anche lei si possa annoverare tra quelli convinti di aver potuto lavorare in tv grazie a doti di equilibrio. Report ha sempre trattato con competenza e coraggio temi legati alle inefficienze, limitando al minimo argomenti più direttamente politici. Io credo invece nella necessità di una critica più radicale, anche su mafia e politica. Ora la Rai giustifica la marginalizzazione della Gabanelli sul piano del risparmio, per la questione della nuova testata informativa online. Il problema non sono i conti, ma il ruolo della cultura e dell’ informazione in tv. Esiste un modo per allontanare la politica dalla Rai? Nel 2005 giravo in piazza San Giovanni per raccogliere le firme per una legge popolare per liberare la Rai dal controllo politico dopo la brutale chiusura del mio programma. Pensavo che al concertone del Primo maggio avrebbero firmato tutti e invece no, avevano paura. Molti giornalisti famosi rispondevano: ‘Ho già dato’. Veltroni si dimostrò sensibilissimo e poi scomparve. Questa stessa frustrazione devono averla sentita tanti, prima e dopo di me, e continuerà così finché non accadrà qualcosa che provochi una rivoluzione culturale in questo Paese. Vede delle differenze tra la Rai berlusconiana e la Rai renziana? La Rai renziana è più triste di quella berlusconiana, così come quella berlusconiana era più triste di quella democristiana. Dobbiamo rimpiangere Berlusconi? È come dire “si stava meglio quando c’ era Bin Laden” perché l’ Isis è più spaventoso di al Qaeda. Vuole dare un consiglio a Milena? Le direi di dare battaglia, ma che sia una battaglia politica, che difenda non solo i diritti dei giornalisti, ma il diritto dei cittadini a partecipare, a ricevere stimoli, a essere trattati da esseri umani non da polli in batteria. Che stagione sta vivendo la tv pubblica? Come giudica la sua offerta televisiva? Mi piacciono Iacona, Blob, Report. Ma l’ offerta per l’ intrattenimento è tarata su persone obbligate a stare a casa, come gli anziani. Contano su un pubblico prigioniero. Per cambiare ci vuole un’ idea condivisa su cosa vorremmo fosse la società e la cultura. I discorsi sugli sprechi, sui bilanci, ma arrivo a dire anche sulla legalità, non sono utili a trovare una via d’ uscita.

MFFashion celebra i 150 anni della Galleria di Milano con un magazine speciale

Italia Oggi

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Un magazine speciale per un’ occasione ancora più speciale. MFFashion, il primo e unico quotidiano dedicato alla moda e al lusso, dedica un’ edizione speciale ai 150 anni della Galleria di Milano, alla sua storia e alle tante espressioni di cultura, tra arte e moda, che qui hanno avuto modo di nascere, svilupparsi e trovare la loro piena realizzazione. MFFashion speciale 150° Galleria è un’ edizione da collezione realizzata in italiano, inglese e cinese, arricchita dai contributi esclusivi in prima persona del sindaco di Milano Giuseppe Sala; di Cristina Tajani, assessore a politiche del lavoro e attività produttive; di Miuccia Prada, il cui nonno aprì proprio in Galleria nel 1913 la sua boutique; di Carlo Cracco, lo chef che ha curato il menù della cena del 13 settembre e che entro la fine dell’ anno aprirà in Galleria il suo nuovo atteso ristorante; di Italo Rota, l’ architetto che ha firmato l’ allestimento del Museo del Novecento. MFFashion speciale 150° Galleria è l’ omaggio di Class Editori alla storia della Galleria, alla sua unicità ammirata nel mondo e ai 900 ospiti della stupenda cena di gala del 13 settembre. Si avvale inoltre di una distribuzione su misura: fino a domenica 17 consegnato gratuitamente a tutti coloro che passeggeranno in Galleria e il 19 settembre in allegato al quotidiano MF in tutte le edicole di Roma. Sarà inoltre disponibile presso hotel e book shop e in occasione delle più importanti sfilate della imminente Fashion Week milanese. Class Editori ha saputo cogliere l’ occasione di celebrare un luogo storico per la città di Milano, realizzando una pubblicazione in grado di trasformare l’ avvenimento in una prestigiosa vetrina per le aziende e un’ opportunità unica di comunicazione. Circa 40 brand hanno aderito a MFFashion speciale 150° Galleria, con oltre 45 pagine pubblicitarie rappresentative di tutti i maggiori settori: dalla moda al design, dalla cura persona ai gioielli, passando per la finanza e i top brand dell’ orologeria. Un’ iniziativa speciale che ha ricevuto un grande apprezzamento anche grazie alla distribuzione su misura e al formato spettacolare del magazine, che si distingue sia per le grandi dimensioni che per la preziosa carta patinata.

Con il Super Panel Auditel Telelombardia cresce del 42%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dal 30 luglio i dati Auditel vengono rilevati su un campione triplicato rispetto al passato, e composto da 16 mila famiglie, che corrispondono a 41 mila individui. Un panel del genere consente di intercettare meglio i fenomeni più piccoli: ha per esempio ridotto di molto i canali di Sky con ascolti pari a zero (era un errore statistico), e ha rivalutato le audience delle tv locali. Da quando è partito il Super Panel Auditel, infatti, gli ascolti di Telelombardia sono cresciuti del 42% rispetto allo stesso periodo del 2016, quelli di Antennatre del 21%. E, restando al gruppo televisivo Mediapason, il canale nazionale Top calcio 24 negli ultimi 12 mesi è la seconda tv sportiva in Italia, dietro Rai Sport, con un incremento di audience del 31%. Le tv del gruppo Mediapason, in prima serata, raccolgono ascolti complessivi pari allo 0,75% di share nazionale.

Tv, bagarre dietro Rai e Mediaset

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Rai, coi suoi problemi, e Mediaset, che mostra qualche ruga, rimangono comunque gruppi televisivi irraggiungibili per audience e quota di mercato pubblicitario. Dietro di loro, però, la bagarre non è mai stata così affollata. Perché a contendersi il restante 20-25% di fetta di investimenti pubblicitari che vanno in tv (ovvero, una quota di circa 900 milioni di euro secondo le stime Nielsen che comunque sovrastimano i reali fatturati) adesso ci sono tanti soggetti con forze più o meno equivalenti. E questa è una vera novità, che apre scenari inesplorati: c’ è ovviamente Sky, che pur non avendo come principale mission quella della raccolta pubblicitaria (è una pay tv), si è comunque buttata a capofitto pure nella tv in chiaro. La quota di mercato advertising televisivo del broadcaster guidato da Andrea Zappia è pari al 12,3%, di cui circa un quarto arriva già da Tv8 e Cielo (oltre 100 milioni di euro). Al tavolo dei grandi si siede ormai da un paio di anni anche Discovery (Nove, Real Time, Dmax ecc.) con una fetta di mercato pubblicitario televisivo del 6,3%, davanti a La7, che vede insidiato il suo 4,1% dal pressing del gruppo Viacom Italia (Paramount channel, Vh1 e, in arrivo, Spike), il quale sta tornando prepotentemente a investire nella tv in chiaro (alleanze pure con Sony, De Agostini e Scripps) e che, attraverso la sua concessionaria Vimn advertising, vale già oltre 5% di share di ascolti tv sulle 24 ore. Giudicando le audience sul target individui, La7 appare molto solida, ed è ripartita in settembre restando stabilmente al 4% di share in prima serata, con una costanza di risultati che gli altri canali si sognano. Peraltro, alla fine delle presentazioni di tutti i palinsesti dei big della tv, va pure rilevato che La7 è anche quella che propone le principali novità (ne aveva effettivamente bisogno) rispetto alla passata stagione, con l’ ingaggio del nuovo direttore, Andrea Salerno, e poi di Massimo Giletti, Corrado Guzzanti, Diego Bianchi e la banda di Gazebo, Gene Gnocchi, Makkox, Andrea Purgatori e, addirittura, Nanni Moretti. Il problema è però che il mercato pubblicitario e i centri media non cercano tanto il target individui (ovvero, dai 4 anni in su) ma il segmento di pubblico 25-54 anni, che non è esattamente quello nel quale La7 brilla. Lo dimostrano pure gli ascolti del nuovo preserale a cura di Makkox, disegnatore bravissimo che usa un linguaggio giovane, molto social, e che, come al solito, il pubblico di La7 sta già respingendo: 1% di share lunedì e martedì scorso, per poi scendere allo 0,8 e 0,7% mercoledì e giovedì. È quel segmento dei cosiddetti «giovani adulti» che bisogna riuscire a ingaggiare. E con Moretti e co., su quel fronte specifico, non si va molto lontani. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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De Benedetti: motori di ricerca partecipino ai costi dell’ editoria. «Non è giusto che Google e Facebook prelevino il nostro lavoro gratuitamente e se ne approprino per avere guadagni pubblicitari», lo ha detto Carlo De Benedetti, editore del gruppo Gedi, ad Assisi in un incontro sul futuro del giornalismo. Per De Benedetti «occorre che i soggetti che partecipano al mondo dell’ informazione a cui diamo enorme contributo come giornali, partecipino all’ aumento dei costi che l’ aumento della qualità dei giornali comporterà». Visibilia +50% in Borsa in due giorni, nuovi versamenti dalla holding. La società è stata alla ribalta della Borsa grazie ai versamenti da parte della holding in attesa dell’ aumento di capitale: 30 mila euro e in precedenza 400 mila. Progresso del 22,16% ieri, a 0,2321 euro, e del +26% giovedì. Andrea Scarpa alla cultura del Messaggero. Dal 10 ottobre il giornalista e autore tv Andrea Scarpa sarà a capo della sezione Metro Cultura e Spettacoli in sostituzione di Malcom Pagani approdato a Vanity Fair.

Gli editori vendono anche rossetti

Italia Oggi
MARCO LIVI
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La vendita di prodotti o servizi accanto all’ attività editoriale. Alcune gruppi lo stanno già facendo: Axel Springer in Europa ha una fiorente attività di annunci online a pagamento che ormai garantisce una parte considerevole degli introiti. Ma è soprattutto negli Usa che gli esperimenti continuano. Capofila è un sito fuori dagli schemi come BuzzFeed, che a breve dovrebbe annunciare il lancio di un prodotto in una grande catena retail. Anche il New York Times, seppure in una modalità diversa rispetto a BuzzFeed, ha i suoi ricavi dall’ e-commerce, non vendendo direttamente ma attraverso il meccanismo dell’ affiliazione. Il nuovo prodotto di BuzzFeed non è stato ancora rivelato. Quello che si sa è che Ben Kaufman, capo di BuzzFeed Product Labs, ha lavorato con il suo team creativo e con i responsabili del retailer partner che potrebbe essere Target oppure Walmart. Lo studio del prodotto è durato una settimana: Kaufman ha voluto sapere quali sono le referenze che funzionano di più nel supermercato e quali invece quelle sulle quali non si vede un’ innovazione da tempo. Da quel punto i due team sono partiti per ideare il nuovo prodotto che sarà negli scaffali entro la fine dell’ anno con la marca privata del retailer e probabilmente anche con un logo di BuzzFeed che per il resto penserà a promuoverlo online. Ma qual è esattamente il ruolo di Kaufman e dei suoi? La divisione di e-commerce non produce direttamente, ma utilizza una ventina di fornitori e ha esternalizzato magazzino e consegne. Tutto molto snello, insomma, tranne il customer care che viene ancora gestito all’ interno. La particolarità però è come vengono ideati i prodotti. Il BuzzFeed Product Labs usa infatti i dati provenienti dai social network, soprattutto Facebook, per capire cosa potrebbe avere successo nelle vendite e poi fa produrre da terzi le idee raccolte. Generalmente mette i prodotti in vendita sui suoi siti di e-commerce, finora sette, ma ha iniziato anche utilizzare altri retailer. Per esempio il sito Sephora, dove viene venduto un rossetto per giovanissime inserito in un fidget spinner, la trottola che si fa ruotare fra le dita. Diverso il discorso per il New York Times che non vende direttamente prodotti ma che guadagna attraverso le affiliazioni, ovvero ottiene una percentuale su quanto gli utenti acquistano passando per i link che pubblica nei propri siti di recensioni e consigli, The Wirecutter e The Sweethome. Secondo la casa editrice si tratta di un differente modo di servire il lettore, perché per mantenere la credibilità le recensioni devono essere affidabili altrimenti non si genererebbe fiducia e non si moltiplicherebbero gli acquisti. Il meccanismo non è nuovo. Sono molti i siti di test che guadagnano attraverso le affiliazioni (per esempio con Amazon, ma non solo), ed è normale che col tempo gli utenti riconoscano quelli in grado di fare prove dei prodotti che realmente possano essere chiamate tali. © Riproduzione riservata.

Mondadori aveva capito per prima il giornale buono. Ma ebbe paura

Italia Oggi
GIUSEPPE CORSENTINO
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A volte ritornano. Non solo i mostri e cattivissimi del primo libro (1978) di Stephen King o i criminali del film di Tom McLoughin del 1991. A volte ritornano anche le buone idee e magari, ad anni di distanza, funzionano. Non lo sa (quasi) nessuno nel piccolo mondo dell’ editoria italiana, ma il nuovo settimanale del Corriere della Sera (esce martedì prossimo, 19 settembre, diretto da Elisabetta Soglio), dedicato alla «buona economia», all’ economia sociale, al terzo settore, alle aziende che destinano parte degli utili a progetti e iniziative solidali, insomma il giornale del cosiddetto Philanthrocapitalism (dal titolo del fortunatissimo libro di Matt Bishop, giornalista, corrispondente dell’ Economist dagli Usa, uscito nel lontano 2009), e per questo chiamato, appunto, Buone Notizie con il sottotitolo «L’ impresa del bene»; ecco questo giornale, che l’ editore Urbano Cairo, un vero rabdomante capace di intercettare qualsiasi novità si muova nella società, ha voluto a tutti i costi, è un «replay». Un «a volte ritornano». Più esattamente, il ritorno di una buona idea che, nell’ inverno del 2010, era spuntata, coltivata e avviata timidamente alla Mondadori di Segrate, dentro la redazione del settimanale Economy (allora diretto da Sergio Luciano) e, infine, abbandonata per «assoluta mancanza di risorse pubblicitarie» che fu, all’ epoca, la sentenza definitiva di Edoardo Giliberti, il gran capo di Mondadori Pubblicità, scomparso tragicamente qualche anno dopo. A questo punto, contravvenendo alle regole auree del giornalismo insegnate da un maestro come Lamberto Sechi a Panorama («Un giornalista usa il pronome io solo quando sbarca sulla Luna»), per essere trasparente con i lettori di ItaliaOggi, sono costretto a parlare in prima persona. Perché quel giornale, un mensile che si doveva chiamare Good Economy con il sottotitolo «Il primo magazine dell’ economia sociale di mercato»; che doveva essere allegato a Economy per poi provare a stare da solo sul mercato (magari con il sostegno di un panel di aziende «buone», come Vodafone, tanto per fare un nome); che aveva un comitato scientifico guidato da Stefano Zamagni, l’ unico economista italiano che ha studiato e sa che cosa sia il terzo settore (un universo economico in cui operano 235 mila realtà senza scopo di lucro e più di 7 mila aziende che fanno una decina di miliardi di fatturato), lo stesso Zamagni che ha «benedetto» le «Buone Notizie» del Corriere; ecco, quel giornale l’ ho pensato, immaginato e progettato io, allora advertising editor di Economy, fino ad arrivare alla realizzazione di un primo numero zero (qui accanto vedete alcune copertine). Era il 2010, un anno particolare. Bruxelles l’ aveva proclamato «Anno europeo per la lotta alla povertà e all’ esclusione sociale». Per questo lo strillo di copertina era «Basta povertà» e per questo il primo editoriale di Zamagni (sempre lui!) lanciava l’ idea di una «Borsa sociale» in cui quotare le imprese «buone» del terzo settore. Per mesi il progetto Good Economy aveva appassionato, oltre al direttore Luciano, anche il direttore generale periodici Gianni Vallardi (ora socio di Nini Briglia, anche lui ex d.g. della Mondadori, nella DB Information, un’ azienda editoriale che fa stampa tecnica, il Giornale dell’ idraulico e altre testate così). Per un periodo in redazione i colleghi mi hanno chiamato, scherzando, «Good Pippo». Poi lo stop. E sapete perché? Perché Mondadori Pubblicità, a un certo punto, fece sapere che su una testata del genere, completamente diversa dal portafoglio della casa editrice, non era in grado di garantire la raccolta minima necessaria. Un atto di resa, onesto, che fece saltare tutto. Forse, se alla Mondadori ci fosse stato un tipo come Cairo sarebbe andato diversamente e Good Economy sarebbe arrivato in edicola. Chissà.

Ora l’ informazione si accorge che la verità fa male

Libero

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VITTORIO FELTRI Credo di potermi definire amico di Francesco Merlo, editorialista della Repubblica, col quale per alcuni anni lavorai al Corriere della Sera. Il quale ieri ha scritto un articolo sofferto per deplorare il giornalismo-verità aduso a raccontare i fatti di cronaca con la crudezza con cui sono stati compiuti, non trascurando dettagli scabrosi. Egli condanna i colleghi accusandoli di compiacersi nel descrivere gli scempi commessi da stupratori e assassini. A Merlo, scrittore raffinato, non mancano gli argomenti per trafiggere la categoria cui, come lui, appartengo. Però mi stupisco della sua tardiva consapevolezza del problema che tratta con ardore e disgusto. Narrare le schifezze che contraddistinguono i comportamenti orrendi dell’ umanità offende spesso i buoni sentimenti dei lettori, ma bisogna decidere se essi hanno il diritto di sapere oppure se noi pennaioli abbiamo il potere di occultare, addolcire, omettere. Il quotidiano al quale Francesco collabora si è distinto in un recente passato per la tigna con cui ha riferito delle porcherie avvenute nelle istituzioni del Paese e dintorni. Ricordiamo le prodezze della signora D’ Addario, della signora Minetti, delle varie olgettine, che la Repubblica ha ricostruito sulle proprie pagine con scrupolo notarile. Tutte costoro sono state cordialmente sputtanate allo scopo di incrementare le vendite. O per sport? La reputazione italiana andò a farsi benedire con quella di Berlusconi. Fu una bella operazione? Non mi pare. Opportunamente Merlo ricorda i grandi inviati del Corriere della Sera, che si dedicarono a fatti di nera, per esempio quello di Rina Fort che massacrò una famiglia a Milano nell’ immediato dopoguerra. Mi sono riletto in proposito i pezzi del grande Dino Buzzati, che avrebbe meritato il Nobel se non fosse stato contrastato dalla sinistra perché non apparteneva alla consorteria, e ho scoperto che non trascurò di narrare i particolari della strage, insistendo sul bimbo soppresso mentre era seduto sul seggiolone e mangiava la pappa. Questo dimostra che il giornalismo di un tempo, oggi osannato e rimpianto, non era molto diverso, se si esclude la qualità della prosa, rispetto a quello odierno. Caro Merlo, non diciamo cose inesatte. Buzzati nell’ arte di spaccare il capello (specialmente se sporco) era un maestro. I suoi resoconti sui peggiori crimini e sciagure sono passati alla storia e non alla barzelletta. Non voglio dilungarmi, ma hai seguito sulla Repubblica ed altre pubblicazioni chic (si fa per dire) la vicenda dolorosa di Bossetti, all’ ergastolo per l’ uccisione di Yara? Costui ha appreso di avere una mamma leggerotta, e quindi di essere figlio non di suo padre anagrafico, direttamente dai quotidiani. Nessuno tranne me ha protestato. Sempre dai giornali Bossetti ha saputo che sua moglie gli ha messo le corna quando lui era già in carcere. Bello? Cosicché i bambini del galeotto, ancora via stampa, sono stati informati di essere eredi di un omicida e di una fedifraga, nonché nipoti di un cornuto e di una nonna infedele. Potrei vergare la storia di mille altre persone maltrattate (caso Tortora) dal tuo e da altri giornali organi di informazione, tuttavia, non si sono mai sognati di scusarsi. Adesso arrivi tu a deplorare coloro che hanno stilato articoli sugli ultimi stupri e delitti vari. Non ti sembra di essere lento e troppo critico nei confronti di colleghi che fanno il loro dovere nel porgere ai lettori quanto scoperto nello spulciare le carte processuali? E che dire delle intercettazioni abusive, se non rubate, relative a episodi riguardanti gente più o meno importante, divulgate urbi et orbi dal tuo foglio autorevole, ma non immune dagli stessi difetti che rilevi in altre pubblicazioni che non ti piacciono? Non è un peccato spiattellare la verità, lo è ometterla. riproduzione riservata CRISTIANA LODI a pagina 9.

Classifica e trend dei siti di news più seguiti nel mese di luglio per audience complessiva, aggregazioni (TAL) e traffico mobile in-app su Facebook – TABELLA

Prima Comunicazione
CLAUDIO CAZZOLA
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Posizioni invariate rispetto al mese precedente in cima alla classifica dell’ informazione online stilata da Prima sulla base delle rilevazioni di Audiweb Database di luglio. Ai primi cinque posti si confermano Repubblica, TgCom24, Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport e Citynews, esattamente come in giugno. Il Messaggero guadagna due posizioni e sale al sesto posto, superando La Stampa (settima). Anche TuttoMercatoWeb fa un salto doppio e arriva in ottava posizione. Nono si conferma Tiscali. Donna Moderna scende dal settimo al decimo posto, mentre Ansa, Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano mantengono le tre posizioni successive. Più avanti in classifica, balzi notevoli rispetto al mese precedente hanno fatto il Corriere dello Sport, che guadagna ben nove posizioni (dalla 32esima alla 23esima), il quotidiano Libero che ne guadagna sei (dal 27esimo al 21esimo posto) e l’ HuffPost che sale di tre posti alla 24esima posizione. Scendono invece diversi gradini Leggo, Rainews, Blogo e altri. Ancora più accentuate, com’ è ovvio, le differenze rispetto a un anno fa (vedi la quarta colonna della tabella). Ci sono siti che guadagnano decine di punti percentuali nell’ audience complessiva, ad esempio TgCom24 (+32%), Donna Moderna (+23%), Libero (+37%), Il Gazzettino (+26%), e siti che ne perdono altrettanti, se non di più, come l’ Ansa (-32%), Nanopress (-38%), i quotidiani del Gruppo Espresso (-40%, ma nel corso dell’ anno sono state cedute cinque testate), Pianeta Donna (-70%), che ha passato parte della sua audience a Donna Moderna. Sono diversi i fattori che spiegano variazioni così forti da un mese all’ altro e da un anno all’ altro. Importante è ovviamente la capacità dei siti di proporre contenuti ricchi e aggiornati e di attirare l’ interesse dei lettori sia alimentando il dibattito sui social media sia indicizzando bene le pagine sui motori di ricerca. Ma ci sono anche elementi esterni che influiscono sui risultati. Nel caso dei giornali online contano molto i fatti avvenuti nel mese oggetto della rilevazione e nei mesi con cui si fa il confronto. In giugno, ad esempio, ci sono state le elezioni amministrative in un migliaio di comuni italiani; l’ attentato a Londra il 3 giugno e l’ incendio della Grenfell Tower a metà mese; un altro attentato sugli Champes Elisee a Parigi; la finale della Champions League e gli incidenti in piazza San Carlo a Torino durante la proiezione della partita Juventus Real Madrid. In luglio, invece, non ci sono stati eventi così clamorosi e questo spiega il calo abbastanza generalizzato dei siti di informazione rilevato da Audiweb. Analogo discorso si può fare a proposito del confronto con l’ anno precedente. Nel luglio 2016 c’ erano stati l’ attentato di Nizza e il tentativo di colpo di stato in Turchia; la Brexit teneva sempre banco sui giornali e, per quanto riguarda lo sport, il 10 luglio di un anno fa si concludevano gli Europei di calcio. Ci sono però altri due fattori da tenere in considerazione: le TAL (traffic assigment letter), vale a dire i contratti commerciali stipulati da alcuni editori per cui l’ audience di un sito viene attribuita a un altro sito, e il traffico in-app su Facebook, vale a dire la lettura degli articoli direttamente sul social network attraverso device mobili; questo traffico è in forte crescita ma non è rilevato da Audiweb Database (lo sarà dal prossimo anno). Audiweb propone una survey specifica sul tema , effettuata però con una diversa metodologia e quindi non confrontabile con la rilevazione campionaria. L’ ultima colonna della tabella dà conto appunto dei risultati di questa survey, mentre le due colonne precedenti mettono in evidenza il fenomeno delle aggregazioni (TAL). Per diversi giornali online il traffico in-app su Facebook è rilevantissimo e dimostra la capacità di queste testate di generare interesse e condivisioni sul social network. Il record spetta a Fanpage, con i suoi 7 milioni e mezzo di utenti unici in luglio, seguito da Repubblica (6,6 milioni) e dall’ HuffPost (3,6 milioni ); quarto il Messaggero (3,5 milioni), quinto il Fatto Quotidiano (3,5 milioni), sesto il Corriere della Sera (3,4 milioni), settima La Stampa (2,7 milioni), ottavi i quotidiani locali del Gruppo Espresso (2,6 milioni), nono Il Mattino (2,5 milioni), decimo TgCom24 (2 milioni). C’ è da notare a questo proposito che durante i mesi estivi il traffico mobile e i consumi di Facebook aumentano notevolmente a scapito del traffico da pc. Ma l’ elemento che influisce di più nelle variazioni di audience è il cambiamento del perimetro dei brand, cioè degli elementi che lo compongono: canali, aggregazioni, siti, eccetera. Le TAL sono un fenomeno rilevante anche se il loro peso tende a calare (ne parliamo più approfonditamente sul numero di settembre di Prima, in edicola dalla prossima settimana). Dopo Repubblica, che in giugno ha cessato la sua ultima TAL con Tom’ s Hardware, anche il gruppo Triboo (Leonardo, DireDonna, Motori.it, Html.it, eccetera) ha deciso di rinunciare gradualmente a questa formula, finora utilizzata molto intensamente. Per i grandi gruppi editoriali oltre agli accordi con siti terzi sono importanti anche gli spostamenti di traffico all’ interno del gruppo, come dimostra il caso di TgCom24. In luglio l’ audience complessiva del giornale online di Mediaset è cresciuta del 32% rispetto a un anno fa, passando da 871mila a 1 milione 149mila utenti unici nel giorno medio. Il dato del mese comprende però anche i 543mila utenti unici di Sportmediaset, che prima era considerato un brand a sé nelle rilevazioni di Audiweb, e i 24mila della TAL Nonsprecare, il sito per uno stile di vita senza sprechi di Antonio Galdo, che prima era una TAL di PianetaDonna (Mondadori). D’ altro canto nel luglio 2016 il traffico di TgCom24 comprendeva anche quello di Panorama.it, ora considerato un brand autonomo (21mila utenti unici). Infine, un grosso peso nell’ audience complessiva di Tgcom24 ha Meteo.it, passato da 230mila a 270mila utenti unici nell’ ultimo anno (+15%). Claudio Cazzola cazzola@primaonline.it.

Colpire la stampa per fermare il dissenso

La Stampa
NANDINI SUNDAR* SIDDHARTH VARADARAJAN**
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S parando alla nota giornalista e attivista per i diritti umani Gauri Lankesh, i suoi assassini hanno raggiunto due obiettivi: in primo luogo, intimidire il sempre più ristretto gruppo di giornalisti che osa attaccare i ricchi e i potenti, e in secondo luogo spaventare il cerchio altrettanto ristretto di noti dissidenti e critici dell’ integralismo induista. Secondo i dati raccolti dal Cpj (Committee to Protect Journalists) dal 1992, in India sono stati uccisi a causa del loro lavoro 41 giornalisti, che, per la maggior parte, si occupavano di politica o di casi di corruzione. Nel caso di altri 30 giornalisti uccisi in questo periodo, il motivo è ancora ignoto. Essere un giornalista coscienzioso in India talvolta è rischioso, non solo per i reporter, ma anche per i proprietari. Storicamente i media indiani dipendono fortemente dal potere centrale per la stampa e la pubblicità, e a questo si deve aggiungere la paura di azioni punitive da parte di un governo intollerante a qualunque critica e noto per monitorare attentamente i media. Recentemente, l’ intervento del Central Bureau of Investigation contro i finanziatori di uno dei più antichi e indipendenti canali televisivi, la NdTv, dichiaratamente per indagare su degli illeciti finanziari, ha unito i giornalisti nella protesta. Ma la maggioranza dei grandi editori – che tendono a essere avversi al rischio – ha recepito il messaggio: non smuovere le acque se non vuoi avere guai. Questo più ampio contesto di politica economica è quello contro cui si è battuta una piccola pubblicazione indipendente come Gauri Lankesh Patrike – il tabloid pubblicato da Gauri Lankesh, che aveva ripreso la testata del giornale che suo padre, P. Lankesh, aveva diretto per 20 anni prima della morte, nel 2000. Niente pubblicità, solo abbonamenti. Il giornale parlava di corruzione, metteva in luce i problemi dei poveri ed era una voce di razionalità e resistenza in una terra di tensioni etniche, mazzette, e violenze di vario genere. L’ omicidio di Gauri è stato paragonato, tra gli altri, a quello della giornalista russa Anna Politkovskaja e a quello dell’ attivista pakistana per i diritti umani Sabeen Mahmud, donne conosciute per la vitalità del loro lavoro e la qualità della loro sfida. Ma in termini politici, il commando che l’ ha aspettata di notte davanti alla porta di casa – un uomo indossava un casco per evitare di essere identificato dalle telecamere a circuito chiuso – sembra appartenere allo stesso gruppo che in una serie di omicidi mirati negli ultimi tre anni ha ucciso lo studioso M.M. Kalburgi, il razionalista Narendra Dabholkar e il comunista Govind Pansare. Oltre alle analogie per l’ arma utilizzata e le modalità dell’ omicidio, ciò che univa le quattro vittime era il loro attacco frontale alla pretesa dell’ hindutva, l’ estremismo induista, di rappresentare la totalità dei fedeli. La polizia ha arrestato e incriminato due persone appartenenti a un’ organizzazione militante indù di Goa, Sanatan Sanstha. Sia Gauri che Kalburgi aderivano al Lingayat, un movimento anti-caste che si è allontanato dall’ induismo e il cui tentativo di dichiararsi religione separata non è andato a genio alla destra induista, intenzionata a imporre una sola identità legittima. La Rrs, Rashtriya Swayamsevak Sangh (Associazione nazionale dei volontari) – matrice ideologica del BJp, il partito al governo – ha generato un mondo nebuloso e in rapida espansione di organizzazioni scioviniste indù, e molti dei loro sostenitori hanno considerato la morte di Lankesh come una vittoria personale. Descrivendola sui social media come una «rossa», «una cagna», una «maoista» che «meritava la morte», gli attivisti di destra hanno gioito del suo omicidio, prendendosela anche con un ministro del Bjp che protestava debolmente contro la loro inopportuna allegria. In un momento in cui tutti gli altri erano sconvolti, celebrare così una morte è un segreto di Pulcinella. Il sistema è lo stesso per tutti gli squadroni di morte – l’ obiettivo è quello di dare alla morte una terribile firma pubblica, conservando una condanna di facciata. Il linciaggio di uomini sospettati di macellare le mucche o di mangiare carne di manzo, le restrizioni alla libertà accademica, i film censurati, le false accuse di sedizione contro gli studenti si sommano al rallentamento dell’ economia causato da evidenti errori di gestione. L’ assassinio di Gauri Lankesh è un ulteriore indizio del cupo futuro che attende l’ India. *Professore di Sociologia all’ Università di Delhi **Direttore e fondatore di The Wire (www.thewire.in) BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

In India è caccia ai giornalisti La violenza dell’ estremismo indù

La Stampa
CARLO PIZZATI
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D onna. Indipendente. Giornalista. Progressista. Razionalista. Undici giorni fa, Gauri Lankesh torna a casa dal lavoro, la redazione della rivista ereditata dal padre. Apre il cancello della villetta in periferia di Bangalore, e vede un uomo in motorino, camicia bianca, casco nero. Ha una calibro 7.65 mm. Spara quattro colpi. Tre le fanno scoppiare il cuore e i polmoni. Il quarto colpisce il muro rosso della casa, dove c’ è ancora il segno, cerchiato con un gessetto. Sono quelle cinque caratteristiche di questa intellettuale, che anche nell’ aspetto ricorda una versione indiana della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa 11 anni fa a Mosca, a decretarne la morte, secondo quanto emerge da un’ inchiesta pasticciona, come spesso accade qui, nonostante la collaborazione di due detective arrivati apposta da Scotland Yard. Una giornalista di sinistra di 55 anni, libera, capace di dire la propria opinione e di criticare apertamente gli estremisti indù del partito di governo, il Bjp, e anche i burattinai religiosi più potenti del Paese, gli estremisti delle Rss responsabili di un clima di odio. Ciò che inquieta ancor di più non è solo il fatto che la pistola usata per ucciderla sia lo stesso modello utilizzato negli omicidi di altri tre professori e accademici laici che osavano criticare l’ estremismo indù, ma anche la paura che s’ è creata in India tra chi lavora nell’ informazione e la cultura. A farne subito le spese è infatti un direttore di talento di un importante quotidiano, Bobby Ghosh, che è stato «accompagnato allo scivolo», come si dice, cioè rispedito a New York. Naturalmente la motivazione non è ufficiale, ma coincidenze e fonti raccontano un clima di intimidazione che arriva fino a una telefonata del premier Modi. Di quale colpa è responsabile il direttore dell’«Hindustan Times»? D’ aver pubblicato un editoriale in cui lo storico Ramachandra Guha ha indicato «l’ insorgenza dell’ Hindutva politica» come responsabile dell’ omicidio di Gauri Lankesh. L’ Hindutva è il progetto del Bjp di «induizzare» una repubblica che secondo la Costituzione è socialista, laica e dedita alla libertà, fraternità, eguaglianza e giustizia. Uno Stato dove vige il rispetto di tutte le religioni, non solo del fondamentalismo indù. E cos’ ha scritto di così grave lo storico Guha? Quello che è evidente leggendo i giornali e i social network di questi ultimi quattro giorni, ovvero che «la morte della Lankesh è stata vissuta con dolore dagli indiani normali e per bene, ma è stata grottescamente celebrata dalla destra politica». Tra questi, anche un auto-proclamato fondamentalista indù seguito su Twitter da Modi in persona. Guha ha aggiunto che la giornalista è stata assassinata solo sei mesi dopo aver scritto che la sua città, Bangalore, sta cadendo nella rete dell’ odio e che le donne non possono più circolare liberamente «nei luoghi pubblici, senza temere che bulli, fanatici fondamentalisti e decerebrati uomini di potere si mettano a dire che è l’ abbigliamento femminile la causa primaria delle molestie sessuali, e non piuttosto le sozzerie di cui son piene le teste di uomini malati». Così il Bjp ha fatto causa allo storico Guha per aver collegato il partito all’ omicidio prima che si sia fatta chiarezza sulle responsabilità. E, a quanto rivelato da una fonte interna dello stesso «Hindustan Times», il premier Modi in persona ha telefonato all’ editore del giornale facendo una sfuriata tale che il risultato è stata una lettera firmata dalla presidente del gruppo editoriale, Shobhana Bhartia, in cui ringraziava Bobby Ghosh per l’ ottimo lavoro fatto negli ultimi 14 mesi, ma spiegava che «per ragioni personali» sarebbe rientrato subito a New York. E tutti sanno cosa significano le «ragioni personali» in questi casi, considerata anche la coincidenza che la causa a Guha è stata annunciata lo stesso giorno della dipartita del direttore. A poco sono servite le mobilitazioni di manifestazioni organizzate nelle grandi metropoli per protestare contro l’ omicidio. Sono i conti che prima o poi si dovevano fare, in un crescendo di minacce alla libertà di parola e in un clima di omicidi che accadono in parallelo a promesse di una nuova India che va ad alta velocità, almeno nei progetti ferroviari consegnati ieri di persona dal premier giapponese Shinzo Abe, fotografato sorridente e vestito all’ indiana accanto a Modi. Un futuro di velocità e nuove tecnologie, accanto a un passato immaginario basato su un’ intolleranza omicida, anti-musulmana, anti-femminista e anti-laica che non dovrebbe appartenere alla storia della repubblica indiana. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

De Benedetti e i social media “Chi usa le news paghi i costi”

La Repubblica
CARLO DE BENEDETTI
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ROMA. «Ai giornali non servono sussidi ma chi partecipa al mondo dell’ informazione, cui i giornali danno un enorme contributo, deve contribuire all’ aumento inevitabile dei costi». Lo ha affermato Carlo De Benedetti durante un incontro sul futuro del giornalismo organizzato dal “Cortile di Francesco” ad Assisi. Diminuire le copie e aumentare la qualità di un giornale, ha spiegato il presidente onorario del gruppo Gedi, si traduce in minore pubblicità e in maggiori costi. Per De Benedetti è arrivato il momento di un confronto «tra chi produce informazione e chi ne beneficia». Riferendosi a social network e motori di ricerca ha detto: «A noi costa produrre informazione, chi se ne appropria non può farci i soldi e basta», ma deve «partecipare ai costi per mantenere vivi i giornali, pilastri della democrazia». ©RIPRODUZIONE RISERVATA EDITORE Carlo De Benedetti presidente onorario di Gedi.


Rassegna Stampa del 17/09/2017

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Indice Articoli

Non più solo Papa e Chiesa, la tv dei vescovi si apre alla politica

Il governo prepara l’ addio all’ esclusiva della Siae

Le “fughe di notizie” non sono tutte uguali

Non più solo Papa e Chiesa, la tv dei vescovi si apre alla politica

Il Giornale
Serena Sartini
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Roma Tv 2000, la televisione dei vescovi, cambia pelle. Già da qualche anno, l’ emittente che fa capo alla Conferenza episcopale italiana ha subìto una vera e propria rivoluzione: non più chiusa all’ informazione ecclesiale, ma aperta alle questioni sociali, economiche e politiche dei giorni d’ oggi. Un cambiamento di mentalità partito con i due direttori nominati all’ indomani dell’ elezione di Papa Francesco, dopo l’ improvviso licenziamento di Dino Boffo. Paolo Ruffini, direttore di rete, e Lucio Brunelli, direttore dell’ informazione. L’ ultimo caso simbolo di un cambiamento editoriale è l’ intervista realizzata da Tg2000 al ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, sul tema dello ius soli. Una intervista che è stata ripresa dai principali quotidiani italiani, sintomo che la tv dei vescovi «fa notizia». «Il rinvio del Senato sullo ius soli è certamente un atto di paura grave», ha sottolineato il ministro. Non solo Papa e Chiesa, dunque. «Facciamo i giornalisti, stiamo sulla notizia, e sugli argomenti più caldi dell’ agenda del Paese», fanno notare dall’ emittente di via Aurelia. «Nessuna linea politica, nessuna intenzione di orientare il nostro pubblico», riferiscono, sottolineando che la scelta degli ospiti è trasversale. Prova ne è una intervista a Ingrid Betancourt, la politica colombiana, tenuta prigioniera per sei anni dalle Farc. Fondatrice del partito di centrosinistra, ha sostenuto campagne sui preservativi e su temi etici in controtendenza rispetto alla chiesa. Ma ciò non ha impedito alla tv dei vescovi di ospitare la donna a conclusione della visita di Papa Francesco in Colombia. Proprio all’ emittente della Cei ha raccontato la sua conversione e l’ esperienza del perdono. Due giorni fa l’ intervista a Delrio. Certamente il tema dei migranti è un tema di particolare attenzione da parte della televisione dei vescovi, argomento a cui tiene molto anche Papa Francesco. «Considero normale per un tg che si occupa delle notizie del giorno ha detto al Giornale Lucio Brunelli – intervistare anche esponenti politici o cariche istituzionali. Questo ovviamente non significa condividere ogni loro parola o sposare la linea politica dell’ intervistato. Ma aiutare il pubblico a farsi una idea più chiara e motivata delle diverse posizioni su materie importanti. Certo abbiamo il nostro sguardo sulla realtà, e i nostri principi mi sembrano chiari su questioni che riguardano il bene comune. Il tg di Tv2000 si è sempre caratterizzato per un approccio di servizio. Non amiamo i pastoni e la politica di palazzo ha uno spazio ridotto rispetto ad altri telegiornali. Dico spesso sorridendo, ma non è solo una battuta, che abbiamo l’ editore più libero che si possa avere». Tra le ultime interviste anche il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, quello della Difesa, Roberta Pinotti, l’ ex premier Romano Prodi, il deputato del M5s e presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico, la sindaca di Roma, Virginia Raggi. Paolo Ruffini, ex direttore di Rai3 e successivamente al comando di La7, nipote del cardinale Ernesto Ruffini (che fu arcivescovo di Palermo), ha studiato all’ Istituto dei gesuiti Massimiliano Massimo a Roma. Da sempre legato alle tematiche religiose. Ancora più addentro ai temi vaticani è Lucio Brunelli, ex vaticanista del Tg2, amico intimo di Papa Bergoglio, già prima della sua elezione. Inizia la sua carriera giornalistica nel mensile cattolico 30 Giorni di Giulio Andreotti, vicino a Comunione e Liberazione. Fu proprio lui a svelare i voti segreti del Conclave del 2005 che vide eletto Joseph Ratzinger e da cui emerse che il contendente del Papa tedesco era il gesuita Bergoglio, eletto poi otto anni dopo.

Il governo prepara l’ addio all’ esclusiva della Siae

Il Sole 24 Ore
Andrea BionFrancesco Prisco
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L’ esclusiva Siae ha i giorni contati. Dall’ 1 gennaio 2018 in Italia potranno nascere nuove agenzie di collecting del diritto d’ autore, purché risultino enti non a scopo di lucro. E in più l’ attività di intermediazione si aprirà agli organismi di gestione collettiva (Ogc) degli altri Stati membri della Ue, mentre le entità di gestione indipendente (Egi) come la Soundreef potranno continuare a operare su suolo nazionale, a patto che stringano precisi accordi con una Ogc o, addirittura, si associno a essa. Una piccola grande rivoluzione è alle porte nel campo del diritto d’ autore. Il ministero dei Beni culturali inserirà in legge di bilancio una proposta di modifica del decreto legislativo 15 marzo 2017 n. 35 che recepisce la direttiva Barnier e, insieme, dell’ articolo 180 della legge 633 del 22 aprile 1941, ossia quello in cui sta scritto che «l’ attività di intermediario è riservata in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori». Il tema è legato al recepimento della Direttiva 2014/26/Ue sulla liberalizzazione del diritto d’ autore. Un recepimento a lungo atteso e dibattuto in Parlamento e sui giornali, quest’ anno arrivato e subito oggetto di una delicata trattativa tra Roma e Bruxelles, avendo quest’ ultima chiesto modifiche alla prima impostazione che, attraverso il Dlgs 35, aveva inteso dare il ministro Dario Franceschini. L’ Italia – occorre ricordarlo – a marzo aveva recepito la Barnier conservando l’ esclusiva Siae su suolo nazionale ma offrendo agli aventi diritto la possibilità di affidare la gestione a collecting society di altri Stati membri. Uno sforzo non ancora sufficiente, secondo la Direzione generale sul digitale della Commissione europea che già alla vigilia del Dlgs (8 febbraio) scriveva all’ Italia ponendo sul tavolo una serie di osservazioni. Il negoziato con Bruxelles si è sbloccato lo scorso 5 settembre, quando Franceschini al Festival del cinema di Venezia ha incontrato la commissaria europea per l’ economia digitale Mariya Gabriel, sottoponendole una revisione completa della disciplina italiana: «Le società di collecting – recita la nota Mibact diffusa dopo l’ incontro – devono essere senza scopo di lucro e/o controllate dai propri associati autori ed editori; non devono operare alcuna discriminazione nei confronti dei titolari di diritti, sia gestiti direttamente che attraverso accordi di rappresentanza; devono pubblicare bilancio d’ esercizio, relazione di trasparenza, condizioni di adesione e tariffe; devono essere in grado di concedere licenze multiterritoriali, ovvero strumento di one stop shop di offerta legale di contenuti. Gli organismi di gestione collettiva devono quindi fondarsi e operare sulla base di criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori». Detto questo, rientra fra le possibilità, per esempio, anche quella di avere organismi, non a scopo di lucro, espressione di autori ed editori di un determinato genere. Anche Ogc di altri Stati Ue – le più attrezzate sono la francese Sacem e la tedesca Gema – potrebbero teoricamente candidarsi a fare da intermediari in Italia. Le Egi, dal canto loro, per operare su suolo nazionale dovranno stringere accordi con Ogc oppure associarsi a esse. Vale per Soundreef, ma anche per i giganti d’ Oltreoceano come la potentissima Sesac, controllata dal fondo Blackstone. Con l’ Italia del diritto d’ autore che, da monopolio, diventerebbe riserva di caccia.

Le “fughe di notizie” non sono tutte uguali

Il Fatto Quotidiano
Fq
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Quando Marco Lillo ha pubblicato la telefonata di Matteo Renzi con il padre nel suo libro Di Padre in figlio (Paper First), non è passato molto tempo prima che la Procura di Napoli disponesse la perquisizione negli uffici del Fatto e nelle abitazioni del suo vicedirettore. Non è erto l’ unica notizia segreta finita sui giornali nella vicenda Consip. Il Fatto ha pubblicato (e continuerà a pubblicare) notizie coperte da segreto, come fanno tutti i giornali del mondo. Ma pare che esistano rivelazioni di segreti più fastidiose di altre. Non risulta – e meno male – che sia stato aperto un fascicolo dopo che i principali quotidiani (Corriere, Repubblica e Messaggero) hanno pubblicato il contenuto dell’ audizione top secret del procuratore di Modena Lucia Musti davanti alla prima commissione del Csm. La Musti ha raccontato che il maggiore Gianpaolo Scafarto (indagatoper falso e rivelazione di segreto) le aveva annunciato che “scoppierà un casino. Arriviamo a Renzi”. Quell’ audizione è stata trasmessa dal Csm alla Procura di Roma: nei giorni di questo passaggio le parole del pm modenese sono finite sui giornali, come spesso avviene quando gli atti sono in due uffici diversi. È andata differentemente per Marco Lillo che invece – dopo lo scoop del dicembre 2016 sull’ inchiesta in cui era coinvolto anche il ministro Luca Lotti assieme ai vertici dell’ Arma dei carabinieri – è subito finito nel registro degli indagati. A Lillo non era stato notificato alcun atto dalla Procura di Roma quando l’ Ansa alle 11.51 del 18 maggio scorso batté una precisazione, che parve violare il segreto sul registro: “Nessuna iscrizione del giornalista Lillo per violazione del segreto d’ ufficio. Lo si apprende dalla Procura di Roma. Per violazione del segreto d’ ufficio piazzale Clodio procede contro ignoti. Riserbo, invece, degli inquirenti sull’ iscrizione del giornalista per l’ altra ipotesi di reato configurata: pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”. Altre”fughe di notizie” nell’ indagine Consip hanno interessato poco gli inquirenti. Il verbale del dicembre 2016 di Luigi Marroni, ex ad di Consip, per esempio, è stato pubblicato il pomeriggio del 2 marzo sul sito dell’ Espresso. Il giorno dopo, il 3 marzo, è stata Repubblica a riportare per prima parti dell’ informativa del 9 gennaio, quella consegnata alla Procura di Napoli che poi i pm di Roma scopriranno essere stata manomessa in alcune delle sue parti da Scafarto. Repubblica titolava: “L’ ombra dei servizi nella rete di Romeo”, mentre nella cronaca di Napoli puntava su “Romeo, quell’ incontro con gli 007”, scrivendo appunto della presenza dei Servizi segreti nell’ inchiesta. Solo nei giorni successivi anche Il Fatto – che come gli altri giornali non poteva immaginare i falsi – dava conto dell’ informativa. Anche la notizia del pm di Napoli Henry John Woodcock indagato per rivelazione di segreto d’ ufficio insieme alla conduttrice di Chi l’ ha visto? Federica Sciarelli era stata pubblicata sul corriere.it il 26 giugno scorso. Woodcock è accusato di aver riferito notizie dell’ inchiesta Consip a Lillo, che ha sempre smentito la circostanza. In quel caso l’ ipotesi di rivelazione di segreto era già stata notificata nell’ invito a comparire al magistrato napoletano, quindi non era più segreta. Ma non è accaduto lo stesso per il secondo reato contestato: il falso, che nell’ invito a comparire non c’ era. La seconda accusa è stata contestata dai pm al collega napoletano solo nel corso dell’ interrogatorio. Un atto dovuto, si dice oggi. E non certo pubblico. Che però ieri è finito su alcuni giornali, a due giorni dalle audizioni decisive al Csm sul destino di Woodcock. Notizia fuggita dalla Procura? Dal Csm? Dagli avvocati del pm? Le fonti dei nostri colleghi sono segrete. Come le nostre.

Rassegna Stampa del 18/09/2017

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Indice Articoli

Imprese e professionisti, spot e inserzioni guadagnano appeal

Arriva nuova linfa per l’ editoria

La Rai oscura gli spot sul referendum autonomista

Previsioni del tempo spa: a piovere sono gli utili

Amazon, Google e Facebook il capitalismo e la Rete Padrona

Chi si rivede, linkedin nel segno di milano

Inpgi, circolare 1° settembre 2017, n. 5

IL LIBRO? SI ASCOLTA L’ EBOOK? SUPERATO

Imprese e professionisti, spot e inserzioni guadagnano appeal

Italia Oggi Sette
PAGINE A CURA DI BRUNO PAGAMICI
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Crediti d’ imposta fino al 90% della spesa per imprese e professionisti che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche. A partire dal 2018 il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale introdotta dalla manovra correttiva 2017 dei conti pubblici (dl 50/2017, art. 57-bis), concedibile ai soggetti beneficiari solo se il valore degli investimenti effettuati supera dell’ 1% il valore degli analoghi investimenti sostenuti nell’ anno precedente, sugli stessi mezzi di informazione. Per rendere concretamente operativo il bonus fiscale, sarà necessario attendere le relative disposizioni di attuazione, la cui emanazione è affidata a un futuro Dpcm da adottare, nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di stato, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, e cioè entro il 22 ottobre 2017. Poiché il credito d’ imposta opera in compensazione in dichiarazione dei redditi, il Dpcm per l’ attuazione della normativa dovrà necessariamente essere emanato prima della scadenza per la presentazione annuale del dichiarativo (invio entro il 31 ottobre). Con tale decreto dovranno essere definiti: le tipologie di investimento che danno diritto al beneficio; i casi di esclusione; le procedure di riconoscimento, concessione e utilizzo del credito; la documentazione richiesta, nonché il sistema dei controlli volti ad assicurare il rispetto dei limiti previsti dalla legge. In attesa del decreto di attuazione, sembra probabile l’ esclusione dal bonus degli investimenti pubblicitari effettuati sul web. Il credito d’ imposta. Il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale istituita dalla manovra correttiva 2017 (dl 50/2017, art. 57-bis), in ottemperanza agli obiettivi prefissati con la legge delega 198/2016 circa l’ introduzione di nuovi benefici fiscali per gli «investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici nonché sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali» mediante il riconoscimento di «un particolare beneficio agli inserzionisti di micro, piccola o media dimensione e alle startup innovative». Il legislatore ha previsto la possibilità per lavoratori autonomi, professionisti e imprese di poter fruire di un nuovo credito d’ imposta per gli investimenti incrementali in pubblicità. Il bonus fiscale opera sotto forma di credito d’ imposta e pertanto a partire dal 2018, i professionisti, lavoratori autonomi e le imprese di qualsiasi natura giuridica, potranno beneficiare del credito d’ imposta in compensazione con la dichiarazione dei redditi (l’ importo del bonus andrà inserito nel quadro RU). L’ obiettivo del legislatore è duplice: da un lato, spingere imprese e lavoratori autonomi a utilizzare gli strumenti pubblicitari per sostenere lo sviluppo e la crescita della propria attività e, dall’ altro, sostenere, convogliando risorse finanziare il comparto dell’ editoria e dell’ emittenza radiofonica e televisiva locale come riconosciuto dall’ art. 2, comma 2, legge n.198/2016. Il beneficio sarà attribuito nel 2018 con riferimento agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del dl 50/2017, ossia dal 24 giugno 2017. Beneficiari e misure agevolative. Dalla lettura dell’ art. 57-bis della manovra correttiva 2017, il bonus pubblicità ossia il credito d’ imposta pari al 75 o al 90% che spetta ai contribuenti in caso di investimenti in campagne pubblicitarie aventi un importo maggiore di almeno l’ 1% rispetto a quanto investito per lo stesso settore nell’ anno precedente, spetta ai seguenti beneficiari: – lavoratori autonomi, ivi compresi i professionisti (sia iscritti che non iscritti ad albi, ruoli o collegi); – imprese: di qualsiasi natura giuridica. La formulazione è dunque alquanto ampia e sembra includere in modo onnicomprensivo nel perimetro di riferimento dell’ agevolazione tanto le imprese (a prescindere dalla loro forma giuridica) quanto i lavoratori autonomi (in particolar modo i professionisti). I requisiti del bonus pubblicità verranno tuttavia ufficializzati con il decreto attuativo. Gli investimenti agevolabili. Il riconoscimento del credito d’ imposta è connesso agli investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Tali aspetti dovranno essere confermati con il decreto attuativo e l’ estensione del bonus pubblicità anche alle campagne promozionali sul web probabilmente non verrà attuata. Uno dei più importanti requisiti richiesti per beneficiare del bonus pubblicità è quello di effettuare gli investimenti in misura maggiore rispetto all’ anno precedente, per cui se nel 2017 si è investito 10 mila euro, per beneficiare del bonus occorre che nel 2018 venga speso almeno l’ 1% in più rispetto ai 10 mila dell’ anno prima, per cui almeno 10.100 euro. Ovviamente le aliquote del 75 o del 90% si applicano sul valore incrementale, cioè su 100. In ogni caso, pertanto sarà prima necessario verificare che l’ ammontare degli investimenti pubblicitari realizzati in un determinato anno sia superiore, almeno dell’ 1%, a quello degli investimenti effettuati nell’ anno precedente. Quindi, se si considera il 2018, per beneficiare del bonus pubblicità occorre che: – nell’ anno precedente alla domanda del bonus, si siano effettuati investimenti pubblicitari; – che tali investimenti, nel 2018, nell’ anno di interesse, siano maggiori di almeno l’ 1% rispetto al 2017; – che l’ investimento in campagne pubblicitarie avvenga su: quotidiani e periodici; emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Pmi e start up innovative. Nel caso in cui l’ investimento pubblicitario sia da parte di micro imprese, piccole e medie imprese e start up innovative, il credito d’ imposta è elevato al 90% rispetto al 75% previsto per le altre categorie. Il bonus è fruibile solo sotto forma di credito d’ imposta in compensazione tramite modello F24 previa relativa domanda al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Il decreto attuativo del presidente del consiglio fisserà i dettagli operativi del bonus: le regole, i requisiti, le modalità con cui presentare la domanda, i contribuenti beneficiari del bonus fiscale per gli investimenti pubblicitari e per quale tipologia di strumento editoriale spetterà il nuovo credito d’ imposta fino al 90%. Le modalità di calcolo. Dovrà essere chiarito dal decreto attuativo se il calcolo deve essere effettuato per massa, ovvero distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari (quest’ ultima tesi sembra la più probabile). A tale fine, per gli investimenti effettuati nel primo periodo d’ imposta (e cioè dal 24 giugno 2017 al 31 dicembre 2017), appare logico ritenere che il parametro storico da porre a raffronto (le spese di analoga natura sostenute nel 2016) sia corrispondentemente ragguagliato al periodo 24 giugno 2016-31 dicembre 2016. Il punto dovrà essere tuttavia confermato dal decreto attuativo. Pertanto, se si ipotizza che nell’ anno 2017 non sia stato effettuato nessun investimento pubblicitario, nel 2018 sarà incentivabile l’ intera spesa in pubblicità. La decorrenza. L’ agevolazione, che scatta dal 2018, riguarderà, salvo contraria previsione del decreto di attuazione, gli investimenti effettuati dal 24 giugno 2017. Per stabilire il momento di effettuazione degli investimenti appare ragionevole l’ applicazione dell’ art. 109, comma 2, lett. b) del Tuir, che stabilisce che le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data in cui le prestazioni sono ultimate. © Riproduzione riservata.

Arriva nuova linfa per l’ editoria

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Oltre al bonus pubblicità, che è stato introdotto dal legislatore anche per cercare una soluzione alternativa agli incentivi statali per la ripresa dell’ editoria, al sostegno a favore del comparto si aggiungono i finanziamenti che potranno essere concessi alle imprese editrici di nuova costituzione per promuovere progetti d’ impresa innovativi. In materia di investimenti pubblicitari per imprese e professionisti le novità quindi non mancano. Per quest’ ultima categoria, occorrerà valutare caso per caso l’ opportunità di accedere al bonus pubblicità. A meno di soluzioni completamente dirimenti da parte del decreto di attuazione (che dovrà essere emanato entro il prossimo 22 ottobre), i professionisti, specie se iscritti ad albi, ruoli, ecc. dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa disciplinate dai rispettivi ordini professionali. Sempre dal decreto di attuazione è particolarmente attesa l’ indicazione che dovrà essere fornita relativamente all’ agevolabilità degli investimenti pubblicitari sul web. Agevolazioni a favore dell’ editoria. Gli incentivi fiscali per gli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani, periodici ed emittenti televisive e radiofoniche locali, previsti dalla legge editoria n. 198/2016, sono stati introdotti con l’ art. 57-bis della manovra correttiva, insieme a misure di sostegno alle imprese editoriali di nuova costituzione. In particolare il disposto prevede, oltre alla concessione di incentivi fiscali, anche misure di sostegno in favore delle imprese editoriali di nuova costituzione. Il comma 2 dell’ art. 57-bis fa riferimento all’ emanazione di bando annuale per l’ assegnazione di finanziamenti alle neo imprese editrici con decreto del capo del dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Ciò, al fine di «favorire la realizzazione di progetti innovativi, anche con lo scopo di rimuovere stili di comunicazione sessisti e lesivi dell’ identità femminile, e idonei a promuovere la più ampia fruibilità di contenuti informativi multimediali e la maggiore diffusione dell’ uso delle tecnologie digitali». I finanziamenti saranno concessi nel limite massimo di spesa stabilito annualmente con il Dpcm che definirà la ripartizione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione assegnate alla Presidenza del consiglio dei ministri tra i diversi interventi di competenza (art. 1, comma 6, della legge 198/2016). Anche in questo caso il limite massimo di spesa per il finanziamento della misura verrà stabilito annualmente con apposito Dpcm. Sono invece già fissati i tetti di spesa per finanziare i prepensionamenti dei giornalisti delle aziende editoriali in crisi, con età anagrafica di 58 anni per le donne e di 60 per gli uomini, che abbiano maturato almeno 25 anni di contributi: si tratta in tutto di 45 milioni di euro, distribuiti tra il 2017 e il 2021. Il caso dei professionisti. Il Dpcm di attuazione del bonus fiscale, che dovrà essere approvato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, per i professionisti potrebbe tuttavia presentare, per la piena titolarità del diritto, dei vincoli in più, anche se la riforma degli ordinamenti professionali (attuata con il dpr 137/2012) ha previsto che «è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente a oggetto ‘«’attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni» (art. 4, comma 1). In ogni caso, per maggiori informazioni ed eventuali conferme, occorrerà attendere il decreto attuativo. Professionisti con albo. Per quanto riguarda i professionisti con albo, in particolare, dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa stabilite dal dpr n. 137 del 7 agosto 2012, con il quale viene autorizzata la pubblicità informativa che non sia ingannevole, equivoca o denigratoria su: – attività delle professioni regolamentate; – specializzazioni e titoli posseduti; – struttura del proprio studio; – compensi richiesti per le prestazioni professionali. L’ inerenza delle spese pubblicitarie. In merito alle categorie professionali, è opportuno valutare un ulteriore aspetto. Perché le spese di pubblicità sostenute possano essere portate in deduzione è necessario che esse rispondano al principio di inerenza. Tuttavia, secondo una interessante interpretazione della Ctp di Lucca (sentenza n. 722/2015), i costi pubblicitari sostenuti dal contribuente si considerano sempre inerenti, a meno che non siano state evidentemente eluse delle norme tributarie. Secondo quanto previsto dal decreto attuativo del dm 19 ottobre 2008, all’ art. 1, comma 1, si considerano inerenti le spese effettivamente sostenute e documentate riferibili a erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’ obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’ impresa. Aspetti contabili. Poiché l’ art. 57-bis prevede che la concessione del credito d’ imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’ agevolazione con la normativa europea degli aiuti di stato. Peraltro, si ritiene che sussista tale compatibilità, poiché, quanto ai beneficiari, si tratta di misura agevolativa a carattere generale. Quanto al trattamento contabile, il principio Oic 24, i costi di pubblicità possono rientrare tra i costi capitalizzati nella voce BI1 «Costi di impianto e di ampliamento» dello stato patrimoniale se rispettano i requisiti previsti dai paragrafi 41-43 dello stesso Oic 24 ovvero: – i costi siano sostenuti in modo non ricorrente; – esista un rapporto causa-effetto tra i costi in questione e il beneficio (futura utilità) che dagli stessi la società si attende. Qualora invece non soddisfino i suddetti requisiti, tali costi devono essere spesati nella voce B7 del conto economico, come previsto dall’ Oic 12. Digitale agevolato? Il governo ritiene di dover escludere i giornali editi sul web perché non espressamente citati dalla recente legge che elenca i soggetti autorizzati a raccogliere pubblicità. Sarà tuttavia il decreto di attuazione a sciogliere alcuni dei dubbi relativi al testo approvato che fa riferimento alla pubblicità su «stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali«. La ratio della norma è che non sono agevolati gli investimenti pubblicitari su web o mobile che non siano su testate giornalistiche, mentre rientra nel credito d’ imposta tutta la pubblicità effettuata su tv e radio. C’ è in particolare un dubbio da chiarire legato alle testate online, perché la legge, quando si riferisce alle televisioni e alle radio, specifica che possano essere analogiche o digitali, comprendendo le web tv, mentre riferendosi alla stampa quotidiana e periodica non riporta ulteriori indicazioni. Altro punto che necessiterà di chiarimenti in sede di decreto attuativo: la spesa incrementale rispetto agli investimenti sullo stesso mezzo riguardano l’ intera categoria (tv, radio ecc.) oppure si distingue tra quotidiano e periodico o, ancora, tra cartacei e telematici? E ancora: come si considerano ad esempio le agenzie di stampa? Entrata in vigore. Secondo quanto stabilito durante l’ iter parlamentare, «il credito d’ imposta si attribuisce, nel 2018, relativamente agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge» e cioè dal 24 giugno 2017, essendo la legge 96/2017 pubblicata sul supplemento ordinario 95 della Gazzetta Ufficiale 144 del 23 giugno 2017. Si ritiene quindi che l’ agevolazione sia immediatamente operativa, poiché assumono rilevanza le spese in campagne pubblicitarie sostenute a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (24 giugno 2017). Sul punto interverranno comunque i chiarimenti da parte del decreto attuativo e dell’ Agenzia delle entrate. © Riproduzione riservata.

La Rai oscura gli spot sul referendum autonomista

Libero

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STEFANO BRUNO GALLI Il referendum per l’ autonomia della Lombardia e del Veneto si avvicina e la Rai lo oscura. Mancano ormai cinque settimane alla consultazione popolare e la tivù di Stato nega lo spazio informativo pubblico a 15 milioni di cittadini. Che pagano le tasse e anche il canone Rai. Lo si evince da una lettera che il presidente della Commissione parlamentare di vigilanza, il grillino Roberto Fico, ha scritto – pochi giorni fa, il 13 settembre – al direttore generale della Rai, Mario Orfeo. La lettera si configura come un vero e proprio insulto alla Lombardia e al Veneto. «Faccio riferimento», scrive Fico, «ai due distinti referendum regionali consultivi indetti per il prossimo 22 ottobre dalle Regioni Lombardia e Veneto per conoscere il parere degli elettori di ciascuna regione circa la richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia al proprio ente territoriale, secondo le prescrizioni di cui all’ articolo 116, comma 3, della Costituzione». E prosegue: «A tale riguardo, La informo che la Commissione non approverà una specifica delibera per disciplinarne la campagna informativa in considerazione del numero di cittadini interessati dalla consultazione». Non occorre essere dei filologi né degli esegeti del pensiero fichiano per capire il senso di queste frasi: il referendum coinvolge solo due “piccole” regioni. Non occorre dunque disciplinare gli spazi televisivi pubblici delle sedi locali per illustrare ai cittadini lombardi e veneti il contenuto della consultazione e le differenti posizioni in campo. Questo è un vero e proprio affronto, uno schiaffo in faccia alla Lombardia e al Veneto che, insieme, rappresentano il 25% – un quarto – della popolazione italiana. Quindici milioni di abitanti complessivi, quasi come i Paesi Bassi – decimo Stato europeo per densità di popolazione – e davanti a Grecia e Portogallo, Belgio e Repubblica Ceca, Ungheria e Svezia, Austria e Svizzera, Danimarca e Finlandia, Norvegia e Irlanda. E l’ elenco potrebbe continuare. Non solo, ma Lombardia e Veneto garantiscono – per effetto dei loro sistemi economici e produttivi, della loro capacità tributaria e di un’ evasione assai contenuta – il 32% del Pil nazionale e hanno un residuo fiscale di oltre 75 miliardi di euro, vale a dire l’ importo di tre leggi di stabilità. L’ ultima, infatti, era di 27 miliardi di euro. Fico lo sa benissimo eppure interpreta alla perfezione la mentalità dominante in seno agli apparati politici, burocratici e amministrativi dello Stato centrale. Che sottovalutano e danno per scontato il contributo di Lombardia e Veneto – con le loro performance, che sono più elevate di quelle germaniche, per esempio – alla crescita e allo sviluppo del Paese. E non meritano il palcoscenico televisivo per illustrare il senso e i contenuti della sfida autonomista. Ma vi è di più. Al Pirellone e a Palazzo Ferro-Fini, i grillini lombardi e veneti hanno sostenuto e votato la proposta di referendum per l’ autonomia delle rispettive regioni. Lo hanno spesso rivendicato sui loro blog, garantendo il massimo impegno nella campagna referendaria. Dopo l’ iniziale avversione di qualche anno fa, i grillini si sono presto convertiti alla comunicazione televisiva, partecipando a tutti i dibattiti politici. Anche a quelli organizzati dalla tivù di Stato. Di fronte ai microfoni del tg regionale non scappano più. Anzi, vanno a cercarli. E allora, cosa dicono di fronte alla vergognosa lettera di Roberto Fico, che è un loro compagno di partito? Una lettera che svillaneggia Lombardia e Veneto. E soprattutto nega il diritto a essere informati da parte di un quarto dei cittadini di questo Paese, incidendo severamente sulla qualità della democrazia praticata. Perché tra democrazia e comunicazione – quando è equilibrata e imparziale, beninteso – insiste un rapporto di natura diretta. Anche per queste ragioni al referendum per l’ autonomia della Lombardia e del Veneto bisogna recarsi alle urne e votare un bel «sì». Per ribadire le ragioni di un rendimento istituzionale che non ha eguali. E che alimenta un’ ansia di autonomia politica e amministrativa che non può più essere ignorata. riproduzione riservata.

Previsioni del tempo spa: a piovere sono gli utili

Affari & Finanza
Ettore Livini
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Milano T empo attuale: sereno, come sempre da qualche anno a questa parte. Previsioni a medio termine: situazione in ulteriore miglioramento. L’ estate più calda degli ultimi anni e le tragiche alluvioni pre-autunnali non hanno cambiato nulla, anzi: il barometro per i guru del meteo tricolore – complici proprio gli estremi atmosferici – resta sul bello fisso. E l’ unica cosa che piove dalle loro parti sono i profitti. L’ era in cui il colonnello Bernacca e il suo sobrio (ma precisissimo) bollettino serale sulla Rai erano l’ unica fonte d’ informazione degli italiani sui capricci del tempo è ormai preistoria. La tecnologia ha fatto passi da gigante. Un tocco sullo smartphone ci aggiorna ogni secondo su temperatura, precipitazioni e tasso d’ umidità in ogni angolo del pianeta. E chi ha saputo cavalcare la rivoluzione che ha trasformato i siti sul tempo in miniere d’ oro, ha fatto Bingo. I numeri parlano da soli: Ilmeteo. it, leader incontrastato del mercato domestico, ha un seguito di fan da squadra di calcio di Serie A e una redditività da gioiellino hi-tech. La sua app è di gran lunga la più scaricata (14 milioni di volte) sui cellulari e i tablet italiani. I suoi “amici” su Facebook sono oltre 3,4 milioni e ogni mese 7,8 milioni di utenti visitano il suo sito per sapere se il giorno dopo pioverà o splenderà il sole. Il traffico, sul web, è denaro. E il business dell’ azienda padovana è decollato: sei anni fa il suo giro d’ affari garantito era fermo a 2 milioni, nel 2016 è arrivato a quota 13,7. La struttura snella dell’ azienda guidata e controllata da Antonio Sanò – una decina di persone che elaborano con i modelli dell’ Università di Belgrado i dati pubblici forniti dall’ osservatorio di Reading in Gran Bretagna – ha consentito di gonfiare anche l’ utile, balzato dai 37mila euro del 2010 ai 6 milioni dell’ ultimo bilancio. I puristi della meteorologia vecchio stile storcono un po’ il naso di fronte ai bollettini diventati un po’ show, dove anticicloni e perturbazioni vengono ribattezzati con nomi acchiappa-clic (da Caronte a Lucifero, da Scipione a Minosse ) e le ondate di caldo tropicale e le bombe d’ acqua sono di casa. Il meteo in versione social e 2.0 però – abbinato evidentemente a una correttezza delle previsioni che fidelizza i clienti – funziona. E il parterre dei suoi protagonisti continua a crescere. La new entry più rampante e aggressiva sul mercato, per dire, è Mediaset che nel 2012 – fiutato l’ affare – ha rilevato i 12 laureati in fisica per l’ atmosfera del Centro Epson Meteo e la Moi, loro società. Lanciandosi in proprio nella danza dorata delle isobare. «Ogni giorno facciamo 25 bollettini per i Tg e 50 per le nostre radio – dice Andrea Delogu, vicedirettore informazione del Biscione e uno dei registi di questi progetto – Un lavoro serio, fatto con professionisti come ha dimostrato l’ informazione di servizio garantita in occasione dell’ alluvione di Livorno». Cifre precise non ce ne sono. Ma il brand Meteo.it sviluppato a Cologno raggiunge 8 milioni di persone al giorno in tv mentre il sito ha 2 milioni di visite ogni 24 ore e «generiamo un utile pari al 30% circa dei ricavi». Le notizie sul tempo del resto piacciono. Una prova? «Nelle interruzioni pubblicitarie o dei Tg sono praticamente le uniche che fanno salire gli ascolti invece che farli scivolare». E il know-how di Cologno sta arricchendo il servizio con chatbox e altre innovazioni destinate a far crescere ulteriormente marchio e redditività. Il tempo è sul bello fisso anche per 3Bmeteo, terzo grande protagonista del settore. Il fatturato della società bergamasca è cresciuto del 30% a 3,6 milioni nel 2016 con i profitti raddoppiati a 800mila euro. E anche uno dei nomi storici delle previsioni nazionali come il Colonnello Mario Giuliacci – dopo aver lanciato il centro Epson Meteo – si è messo in proprio e ha messo la sua competenza e quella dei suoi collaboratori («Tutti laureati in fisica dell’ atmosfera, perché in giro c’ è anche molta informazione sul tempo poco professionale») al servizio delle neo-fondata MeteoGiuliacci, che si prepara a ritagliarsi una sua fetta di mercato. Quanto durerà il Bengodi? Se l’ esperienza dei big americani vale qualcosa, l’ era d’ oro dei big del meteo tricolore ha ancora ampi margini di crescita. Può darsi che l’ informazione su misura per radio, tv e web sia un mercato oramai abbastanza saturo. Oltre tv e tablet c’ è però un numero sempre più ampio di settori industriali le cui fortune sono legate in qualche modo al tempo e che hanno bisogno come il pane di informazioni professionali: l’ agricoltura, le fonti rinnovabili, ma pure chi produce gelati o birra o i big dell’ abbigliamento che devono decidere quando cambiare la stagione. The Weather Channel, il network Usa che edita pure wheather.com – il 38esimo sito più cliccato degli Stati Uniti e il 240esimo al mondo- è stata rilevata non a caso dall’ Ibm proprio per sviluppare questo business di consulenza. Anche Accuweather, il numero due del comparto, ha diversificato con decisione su queste attività collaterali. Un mercato, dicono gli analisti che potrebbe valere 2 miliardi già nel 2020. Difficile che il barometro del Meteo Spa, con questi chiari di luna, si scosti dal bel tempo fisso. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Amazon, Google e Facebook il capitalismo e la Rete Padrona

Affari & Finanza
Federico Rampini
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New York L’ ultimo scandalo viene da Londra. La capitale britannica pratica quella moderna pirateria che consiste nell’ attirare multinazionali offrendo condizioni fiscali di favore, come un paradiso offshore. La tentazione di proseguire c’ è con Brexit. Ma perfino Londra si scandalizza di fronte ad Amazon che avrebbe “coperto” l’ elusione fiscale di una miriade di aziende che fanno compravendite online in Gran Bretagna usando quella piattaforma digitale. B ella scoperta. L’ Unione europea da tempo sta cercando di contrastare un comportamento che sottrae gettito e impoverisce tutti: dalle ultime stime di Bruxelles, Google e Facebook da sole avrebbero sottratto ai paesi dell’ Unione europea almeno 5,4 miliardi di tasse. Il sistema è noto, i Padroni della Rete giostrano virtualmente come abili giocolieri sulle cifre di fatturati e utili, li fanno sparire dai paesi ad alta tassazione e riapparire nelle filiali di paesi esentasse o quasi (Irlanda). Ma la pirateria fiscale non è l’ unico problema. È l’ intero modello di business dei giganti digitali ad avere una caratura etica quantomeno dubbia. I loro fondatori e padroni amano presentarsi come dei progressisti, alla nascita delle loro aziende vollero prometterci un mondo migliore: vuoi per l’ accesso universale e gratuito alla conoscenza (Google), vuoi per la facilità di socializzare tra noi (Facebook), vuoi per la semplicità del consumo online (Amazon, eBay, Uber, Airbnb e tanti altri). Il loro successo è innegabile, tra gli esempi recenti c’ è l’ attenzione mondiale per il lancio dell’ i-Phone X, ennesima meraviglia tecnologica dell’ universo Apple; o la marcia trionfale di Amazon nella distribuzione alimentare con Whole Foods. Ma è un mondo migliore?… Il modello aziendale In realtà il modello aziendale della Silicon Valley è perfino più spietato e ineguale rispetto al capitalismo tradizionale. Un esempio concreto lo illustra un reportage del New York Times , pubblicato il 3 settembre 2017, che mette a confronto due lavoratrici con mansioni iniziali identiche, due storie parallele in due epoche e mondi diversi. La prima si chiama Gail Evans, 35 anni fa era una donna delle pulizie negli uffici della Kodak (a Rochester nello Stato di New York). La seconda, Marta Ramos, fa lo stesso lavoro oggi negli uffici di Apple a Cupertino, uno dei “santuari” della Silicon Valley. I loro due salari sono pressoché identici, se si guarda al potere d’ acquisto. La ricchissima Apple, che è la società numero uno al mondo per valore di Borsa, non ha fatto progredire di un centesimo in 35 anni la condizione degli addetti alle pulizie. Ma c’ è di peggio. Ecco cosa rivelano le due storie parallele raccontate dal New York Times: “La Signora Evans era una dipendente della Kodak a tempo pieno. Aveva diritto a più di quattro settimane di vacanze retribuite all’ anno, il rimborso parziale della retta universitaria per seguire un college part-time. E quando l’ ufficio che lei puliva venne chiuso, l’ azienda le trovò un altro lavoro nel reparto dove venivano tagliate le pellicole fotografiche. La Signora Ramos è dipendente di una ditta esterna a cui Apple appalta le pulizie. Non ha avuto una vacanza da anni, perché non verrebbe retribuita. Seguire un corso è fuori dalla sua portata. Non c’ è la minima possibilità di essere trasferita in un altro lavoro alla Apple”. La storia si conclude con un happy ending per Gail Evans: iniziò come donna delle pulizie, ma grazie al corso d’ informatica che seguì al college serale cambiò mestiere, oggi è manager di una piccola azienda. L’ American Dream era più verosimile 35 anni fa col vecchio capitalismo della Kodak. Il destino dei lavoratori meno qualificati non interessa Apple neppure se li ha dentro il suo quartier generale. Li ha espulsi dal suo orizzonte, con una parola – “outsourcing” – di cui tutti conosciamo il significato. Nel momento in cui miriadi di funzioni vengono affidate in appalto e subappalto a ditte esterne, l’ azienda-madre si disinteressa del trattamento di quei lavoratori. Non la riguardano. Non è colpa sua se vengono sfruttati e sottopagati. Il fondatore di Apple, Steve Jobs, diede il cattivo esempio personalmente: si rifiutò sempre di andare a visitare gli stabilimenti della Foxxcon a Shenzhen, come gli chiedevano diverse associazioni umanitarie. Le condizioni di lavoro e di vita degli operai cinesi che assemblavano l’ iPhone non lo riguardavano. Tanto non erano dipendenti suoi, ma di un’ azienda taiwanese con fabbriche in Cina. Diseguaglianze e utopie Non solo le diseguaglianze abnormi all’ interno della Silicon Valley californiana, ma l’ intera Utopia di una società globale resa migliore da Internet, viene smontata in modo implacabile dallo storico dell’ economia Niall Ferguson. Reso celebre dai suoi studi sull’ impero britannico e sulle crisi finanziarie, Ferguson insegna all’ università di Harvard ma è anche ricercatore presso la Hoover Institution di Stanford, nel cuore della Silicon Valley, a poche miglia dai quartieri generali di Apple, Facebook, Google. Sta lavorando a un libro che ricostruirà la storia di tutti i “network di potere” dalla massoneria a Facebook. Da questo saggio ancora in fieri ha anticipato, sulla rivista Foreign Affairs, una requisitoria contro “la falsa profezia dell’ iperconnessione”. Prende di mira il buonismo interessato di Zuckerberg, citando i proclami messianici del fondatore di Facebook che sostiene di voler connettere il mondo nell’ interesse di tutti. Lo speech di Zuckerberg In un celebre discorso alla cerimonia di consegna dei diplomi di laurea dell’ università di Harvard nel maggio 2017, Zuckerberg ha detto di voler contribuire ad affrontare le grandi sfide del nostro tempo, tra cui «l’ automazione che elimina milioni di posti di lavoro, l’ ascesa di autoritarismi e nazionalismi». Ferguson obietta: «Ha dimenticato di menzionare che la sua azienda e le consorelle della Silicon Valley hanno peggiorato tutti questi problemi. Nessuno più dei giganti tecnologici californiani sta sforzandosi di eliminare posti di lavoro umani. Nessun individuo incarna la spettacolare concentrazione di ricchezza al vertice dello 0,01% più dei padroni della Silicon Valley. E nessun’ altra azienda ha contribuito più di Facebook ad aiutare i populisti nelle vittorie elettorali del 2016, sia pure involontariamente. Senza la massa di dati che Facebook ha sui suoi utenti le campagne a basso costo di Brexit e Trump non avrebbero vinto. E il social media ha contribuito suo malgrado all’ epidemia di falsità, fake news». L’ illusione open-source Ripercorrendo la storia di Internet, Ferguson ricorda che anche in un’ epoca relativamente recente – l’ anno 2001 – esistevano utopisti come il creatore di software Eric Raymond che teorizzava la vittoria del movimento “open-source”, cioè quello che promuove la gratuità dei programmi informatici. «Il sogno open-source – scrive Ferguson – è morto con l’ ascesa di monopoli e duopoli che hanno ostacolato i controlli pubblici. Apple e Microsoft hanno imposto una sorta di duopolio nel software. Amazon, che era partita dalla vendita dei libri, è ormai dominante in tutto il commercio online. Google ha un semi- monopolio nel motore di ricerca. E Facebook ovviamente ha vinto la gara per il dominio dei social media». Lo storico britannico sostiene che l’ impatto globale di Internet è paragonabile a quello che ebbe l’ invenzione della stampa da parte di Gutenberg nell’ Europa del XVI secolo. «Ma le conseguenze sulla distribuzione della ricchezza e dei redditi sono molto diverse. L’ invenzione della tipografia non creò alcun miliardario e Johannes Gutenberg nel 1456 fece bancarotta». Alla diagnosi spietata di Ferguson vanno aggiunte due osservazioni. Primo, bisogna smontare il mito secondo cui Apple, Google, Facebook, Amazon e compagnia devono tutto il loro successo al fatto che sono dei campioni dell’ innovazione. In realtà hanno innovato molto, ma una volta costruito un oligopolio erigono robuste barriere che scoraggiano altri innovatori potenziali. Guerra di brevetti È la logica della “guerra dei brevetti” con cui si accaparrano migliaia di licenze e copyright come una sorta di “deterrente nucleare” che intimidisce le piccole startup qualora vogliano invadere i loro mestieri. La seconda osservazione è la conseguenza della prima. Ormai i veri ricchi nella Silicon Valley non sono gli inventori. Gli ingegneri sono pagati bene, certo, ma le grandi ricchezze si creano con la finanza, al momento della quotazione in Borsa, nel connubio con Wall Street. Dietro i capitalisti si arricchiscono gli avvocati, i mega-studi legali; e i lobbisti che difendono i privilegi dei Padroni della Rete a Washington o a Bruxelles. Tutta gente che con l’ innovazione non ha nulla a che vedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA La sede di Amazon a Seattle appena inaugurata: costo, 5 miliardi di dollari.

Chi si rivede, linkedin nel segno di milano

L’Economia del Corriere della Sera
Chiara Sottocorona
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La sintesi? «Facebook è il barbecue nel giardino, LinkedIn l’ ufficio: puoi avere dei contatti in comune sui due network, ma il contesto è diverso. Non diresti mai le stesse cose al bar il sabato o al lavoro il martedì, pur parlando con lo stesso amico». Reid Hoffman, 50 anni, indica le differenze, senza rivalità, tra LinkedIn e Facebook. Nato nella Silicon Valley, laureato a Stanford in Neuroscienze e a Oxford in Filosofia, è l’ ideatore del «serious network», come viene chiamato LinkedIn, che presiede: l’ ha fondato con quattro amici e lanciato nel 2003, dopo la vendita a eBay di PayPal di cui era vicepresidente e azionista. Da marzo è nel consiglio d’ amministrazione di Microsoft (oltre che di Zynga, Mozilla e partner della società di venture capital Greylock). Da fine 2016 infatti LinkedIn è di Microsoft, che l’ ha pagato 26 miliardi di dollari, molto più di Nokia. Satya Nadella, l’ amministratore delegato del gruppo, vi ha visto un forte potenziale. Il social dei professionisti oggi conta 500 milioni di aderenti in 200 Paesi. È diventato nel mondo del business un «must», un luogo dove non si può mancare. E al fatturato di Microsoft del secondo trimestre ha contribuito per 1,1 miliardi di dollari. In Italia sono 10 milioni gli iscritti attivi. «E il ritmo di crescita è di due nuovi al secondo – dice Marcello Albergoni, capo di LinkedIn Italia -. Milano è la quinta città più connessa al mondo nel network e l’ area milanese conta oltre 10 mila offerte di lavoro. Il nostro obiettivo è dare alle persone l’ opportunità di trovare il migliore lavoro, ma anche gli strumenti per cambiarlo quando vogliono». Negli ultimi 12 mesi, 50 mila iscritti a LinkedIn hanno cambiato lavoro nell’ area di Milano. E la metà dei professionisti italiani (49%) sta seguendo sul social le aziende per essere aggiornato sulle offerte in arrivo, dice l’ azienda. Basta attivare sul Mobile la funzione «Jobs» e indicare professione e funzioni ricercate. «Per ogni candidato è importante essere presente sul social, avere un profilo bene impostato, con foto e capacità evidenziate. Conta poi partecipare a gruppi di discussione o pubblicare articoli», dice Albergoni. Da primavera è disponibile anche in Italia la piattaforma Publishing di LinkedIn (oltre 100 mila articoli alla settimana) che permette di pubblicare testi, incorporando foto e grafici. E da fine mese si potranno caricare anche i video direttamente dal telefonino. Altra novità è l’ integrazione con i software di Microsoft: da Office o Outlook si possono verificare i profili LinkedIn delle persone con cui si entra in contatto. Il network che mette in relazione i professionisti del mondo è un immenso serbatoio di dati, che con la nuova strategia vengono trasformati in servizi alle imprese. C’ è l’ offerta corporate «Talent solution», per la rapida ricerca dei talenti giusti; la «Marketing solution», per inserire pubblicità di prodotti o servizi; la «Sales» per creare un portafoglio di nuovi contatti business.Tra le più usate dalle aziende è la «Learning solution»: un’ offerta di 10 mila corsi online (in abbonamento). Ma LinkedIn propone anche gli «Economic Graph» per aree geografiche e ricerche annuali sulle tendenze del mercato del lavoro. L’ ultima sull’ Italia, diffusa a fine luglio, rivela un incremento dell’ occupazione in Tecnologia e software. Ma anche un chiaro spostamento dalle grandi aziende alle piccole o al lavoro in proprio. A crescere di più sono le società individuali e la più desiderata è la funzione d’ imprenditore. «I Millennial dimostrano di essere indipendenti, di voler decidere dove e come lavorare – dice Albergoni -. Chi guarda all’ estero sceglie la Gran Bretagna, seguita da Stati Uniti e Germania».

Inpgi, circolare 1° settembre 2017, n. 5

Il Sole 24 Ore
Arturo RossiMonica Vicario
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Versamento contributi minimi. Il 30 settembre 2017 scadrà il termine per il pagamento dei contributi minimi per l’anno 2017. Sono tenuti al versamento del contributo minimo annuale tutti i giornalisti iscritti alla Gestione separata che nel corso dell’anno 2017 abbiano svolto attività giornalistica in forma autonoma. In base al vigente Regolamento della Gestione separata Inpgi (articolo 3), per i giornalisti con un’anzianità di iscrizione all’Ordine professionale fino a cinque anni, il contributo minimo è ridotto al 50 per cento. L’anzianità dev’essere valutata al 30 settembre 2017, prendendo a riferimento la data di iscrizione all’Albo professionale (elenco professionisti, registro praticanti e/o elenco pubblicisti). Per l’anno 2017 potranno quindi versare il contributo minimo in misura ridotta gli assicurati che risultino iscritti all’Ordine con decorrenza successiva al 30 settembre 2012. Gli importi dovuti per l’anno 2017 sono: contributo minimo ordinario (278,42 euro); contributo minimo ridotto per giornalisti con meno di cinque anni di anzianità professionale (153,21 euro); contributo minimo ridotto per i giornalisti titolari di trattamento pensionistico diretto (174,08 euro).

IL LIBRO? SI ASCOLTA L’ EBOOK? SUPERATO

L’Economia del Corriere della Sera
STEFANO MAURI
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La crisi dell’ editoria libraria? «L’ abbiamo superata», dice Stefano Mauri, cavaliere del lavoro, co-amministratore delegato e vicepresidente di Messaggerie Italiane, presidente della controllata Gems: cioè il Gruppo Editoriale Mauri Spagnol con 13 case editrici e 16 marchi, da Guanda a Garzanti, dal Corbaccio alla Salani di Harry Potter. Gli ebook «non cresceranno» perché «la gente ama la carta», sostiene l’ editore. Che, piuttosto, sta lavorando agli audiolibri con Audible.it, società di Amazon. «Fenomeno positivo, modello Spotify», dice. Il primo settembre è partito il programma di produzione: nuovi titoli, da scaricare dal cellulare con un’ app. Del maghetto Harry, Mauri ha poco. Ma un po’ di magia l’ ha usata: i marchi editoriali in portafoglio sono stati risanati. L’ audiolibro ora è la nuova frontiera? «Sì, perché estende il tempo in cui usufruire di un testo: in treno, in auto. È il tempo in cui prima potevi solo sentire musica. In Scandinavia il mercato vale tre volte l’ ebook, negli Usa è raddoppiato dal 2012 a 643 milioni di dollari». E in Italia? «Può arrivare dal 3 al 14% del mercato sul lungo periodo. Prima era laborioso, bisognava avere i dischi. Ora basta un’ app sul cellulare. È una nicchia in più. Vendite aggiuntive». Qual è il vostro progetto? « Noi forniamo i titoli ad Audible, che ci paga in base al tempo d’ ascolto. L’ utente spende 9,99 euro al mese. Editore Salani, responsabile Alessandro Magno, capo del digitale in Gems. Stiamo rilasciando i titoli già pronti come Fai bei sogni di Gramellini e producendone nuovi». Ma gli italiani che leggono sono sempre meno. Sei su dieci non toccano un libro, dice l’ Istat. «Parte del calo della lettura è dovuto a un fatto semplice: in certi momenti della giornata che erano esclusivi della carta stampata, come i viaggi in treno o a letto la sera, è possibile con un tablet o uno smartphone fare ogni cosa, guardare film, andare sui social. L’ audiolibro recupera questo spazio». Perché l’ ebook non ha funzionato in Italia? «In effetti, non è più in crescita da un anno. Perché la gente ama la carta, anche se l’ ebook è comodo quando si viaggia. Oggi vale circa il 5% del mercato contro l’ 8% della Germania. Nell’ Europa continentale ha funzionato meno che in Gran Bretagna e Stati Uniti, perché qui i prezzi sono rimasti la metà di quelli dei libri fisici, mentre là erano un quarto. È stato l’ ecommerce, quindi Amazon, a decidere il prezzo. Finita quella fase, l’ anno scorso, dopo il periodo di rispetto di 18 mesi imposto dall’ Antitrust americano (dopo la condanna ad Apple con multa di 450 milioni di dollari per il cartello sugli ebook, ndr ), gli editori sono tornati a poter fare un prezzo equo. La quota degli ebook negli Usa difatti è scesa dal 30% al 20%. E la carta è risalita». Quali sono i lettori in crescita? «Le young adult, le giovani donne della generazione Harry Potter che dieci-15 anni fa hanno assaggiato il frutto proibito di un buon romanzo e letto un libro più lungo della Récherche. Amano Anna Todd, Jamie McGuire, autrici che portano le adolescenti in libreria». Come va il mercato dei libri? « Dopo la scorpacciata di digitale, in molti Paesi crescono i libri di carta. Secondo le nostre rilevazioni, in Italia il mercato è cresciuto del 3%, a valore, nei primi otto mesi 2017 rispetto allo stesso periodo 2016. A volumi quasi pari». Sono aumentati i prezzi, quindi? Dal settembre 2011 c’ è la legge che blocca gli sconti in libreria sopra il 15%. «È una norma in vigore in tutta l’ Europa continentale. In realtà l’ effetto è stato di far calare i prezzi immediatamente di vari punti percentuali. Sono ricresciuti solo di recente, ma non ancora tornati ai livelli del 2011. Il libro ha seguito il Pil, comunque. E questa crescita nasconde un profondo cambiamento. Cala il mercato da 5 mila best seller dei supermercati, sale l’ ecommerce da un milione di titoli in italiano. Chi vendeva 100 mila copie ora ne vende 50 mila, chi ne vendeva una ora ne vende due. Il nostro gruppo – che ha due componenti, quella editoriale che cerca i best seller e quella distributiva con decine di migliaia di titoli per 600 editori indipendenti – cresce dell’ 8%. Dal 2002 al 2015 le case editrici che ci sono state affidate o abbiamo acquisito per risanarle sono passate da 3 milioni di perdita a 6 milioni di utile. Dal 1992, quando sono diventato direttore generale, non abbiamo più chiesto aumenti di capitale ai nostri azionisti e distribuiamo dividendi con la casa editrice». Siete il secondo gruppo librario italiano, avete i conti in ordine. Magico effetto Harry Potter? Che 2017 prevedete? «Harry Potter ha portato circa 7,5 milioni di ricavi sugli 87,6 milioni di Gems. Ma è un fatturato che si aggiunge, non sostitutivo. Quest’ anno, poiché non c’ è Harry Potter, l’ ambizione è di chiudere con 80 milioni di ricavi, come nel 2015, e con un margine lordo sui 14,5 milioni (da 19, ndr. ). Niente debiti. In Messaggerie sono tre anni che riduciamo il debito, da quando siamo responsabili del gruppo io e mio cugino Alberto Ottieri: lui più concentrato sulla distribuzione, io sull’ editoria». Voi come avete affrontato la crisi? «Nella casa editrice non abbiamo licenziato. Eravamo 140 prima della crisi del 2011 e ora siamo 160. E quando è arrivata la legge Fornero abbiamo assunto i giovani, per il mondo digitale. Poi abbiamo ridotto i compensi ai top manager del 20-30% e una parte della loro retribuzione fissa è diventata variabile, per risanare le case editrici. Occorre trovare equilibrio tra il fervore creativo e le necessità economiche. Spesso si erano trascurati gli obiettivi economici necessari alla sopravvivenza e la comunicazione interna ed esterna. Poi, abbiamo fatto sempre lo stesso lavoro: molto scouting, ricerca rapida e competente di quanto più appetibile sul mercato internazionale, marketing per far capire le nostre proposte a librai e lettori. In generale, le case editrici italiane hanno affrontato e superato la crisi. Anche se il pericolo non è scampato, viste le nuove distrazioni digitali di massa». Però avete chiuso sette librerie. «Cedute, non chiuse. Per la parte distributiva è diverso, si è dovuto per forza ristrutturare. Poi abbiamo fatto l’ operazione con Feltrinelli, rilevando il loro distributore Pde e diventando soci. È passato un anno. Senza traumi per i clienti. Negli anni di crisi ognuno si è concentrato sul core business e così pure noi». È davvero il momento della pacificazione fra gli editori, dopo la contesa Milano-Torino fra Salone e Tempo di libri? «Nell’ ultimo anno c’ è stata molta incomprensione. Bisogna ricomporre i dissidi fra grandi e piccoli, fra editori e istituzioni. La nomina di Ricardo Franco Levi alla presidenza Aie aiuterà. Ma serve anche un piano del governo per promuovere la lettura. In Germania, Francia, Spagna investono da decenni, da noi no. Ci sono le elezioni in arrivo, ma lavoriamo a un’ ipotesi di defiscalizzazione per l’ acquisto di libri. Se l’ Italia vuole crescere, deve crescere anche la cultura del Paese europeo con meno laureati».

Circolare n. 32 del 18/09/2017 – Legge riforma editoria – Decreto legislativo di ridefinizione della disciplina dei contributi diretti: adozione DPCM per la definizione delle modalità di concessione dei contributi diretti

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Come avevamo anticipato nella nostra circolare del 30/2017 il decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70, demandava ad un successivo DPCM che è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 16.09.2017,n.217, le modalità di presentazione delle domande di contributi.

Le norme contenute nel decreto si applicano alle cooperative giornalistiche editrici di quotidiani e periodici, alle imprese editrici di quotidiani e periodici la cui maggioranza sia detenuta da enti senza scopi lucro (cooperative, fondazioni ed enti morali) ed alle imprese editrici di giornali espressione di minoranze linguistiche. Per le imprese editrici di quotidiani editi o diffusi all’estero, per le associazioni dei consumatori e per i giornali per le persone afflitte da disabilità visiva le nuove disposizioni verranno emanate con successivi decreti.

L’articolo 3 del DPCM chiarisce che le nuove modalità di trasmissione della documentazione entrano in vigore con riferimento ai contributi relativi all’esercizio 2018, anno di entrata in vigore della nuova disciplina.

Il DPCM conferma che il termine per la presentazione della domanda è, a titolo perentorio, quello del 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi.

Per accedere, invece, all’anticipo previsto dal comma 2 dell’articolo 11 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70, è necessario unitamente alla domanda presentare, entro la stessa scadenza del 31 gennaio, anche tutta la documentazione ulteriore (ad esclusione del bilancio e dei documenti che dovranno essere oggetto di revisione, ossia il prospetto dei costi e quello della diffusione). La documentazione richiesta viene puntualmente ricostruita nel DPCM stesso. Per ragioni di sinteticità evitiamo di proporre ai lettori l’elenco della documentazione richiesta che, di fatto, è simile a quella già prodotta per le scorse annualità, fatta eccezione per le ulteriori informazioni derivanti dall’entrata in vigore della nuova disciplina.

Viene, infine, confermato che il termine per la chiusura del procedimento amministrativo è fissato al 28 febbraio dell’anno successivo a quello di presentazione della domanda.

Come sempre, sarà nostra cura tenerVi aggiornati sulla pubblicazione del DPCM in Gazzetta Ufficiale e sulle ulteriori novità.

Privacy, Avvocati e crediti formativi: ok al riconoscimento via webcam

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Via libera del Garante privacy ad un sistema informatico che consente di verificare l’effettiva corrispondenza tra l’identità degli avvocati iscritti a corsi di formazione professionali, erogati in streaming, a quella delle persone effettivamente connesse [doc. web n. 6826368]. Il sistema, sottoposto a verifica preliminare dell’Autorità, è finalizzato a evitare che alcuni partecipanti pongano in essere comportamenti sleali per farsi attribuire crediti formativi simulando la partecipazione ai corsi a distanza. Secondo quanto dichiarato dalla società il controllo dell’identità avverrà acquisendo, a intervalli casuali durante lo svolgimento del corso, la fotografia dei partecipanti  collegati in diretta streaming, mediante la webcam del pc di ciascun professionista. Al termine dell’evento le immagini acquisite verranno inserite nelle schede personali insieme al diagramma di connessione. Successivamente un operatore confronterà le fotografie con quelle dei documenti di identità raccolti in fase di iscrizione, mediante un’operazione che non comporta alcun trattamento biometrico, non essendo prevista la verifica automatizzata di immagini digitali. Il Garante ha richiamato a tale proposito la definizione di riconoscimento facciale elaborata dal Gruppo Art. 29 secondo cui “il riconoscimento facciale è il trattamento automatizzato di immagini digitali contenenti i volti degli individui allo scopo di identificarli, verificarne l’identità o categorizzarli”. L’Autorità ha ritenuto lecito il trattamento dei dati personali che dovrà  essere oggetto di una specifica e articolata informativa  che consenta agli interessati l’esercizio dei diritti, espliciti le finalità e le modalità del trattamento, descriva le caratteristiche tecniche del sistema ed evidenzi i tempi di conservazione dei dati personali. Il Garante ha prescritto inoltre alla società di raccogliere dagli interessati uno specifico consenso informato al trattamento delle immagini e di configurare il sistema in modo da trattare i dati nel rispetto dei principi di proporzionalità, necessità e correttezza. La società dovrà consentire l’accesso ai dati personali acquisiti solo a soggetti adeguatamente formati, designati “responsabili” e “incaricati” del trattamento, e dovrà adottare idonee misure di sicurezza a tutela della privacy degli interessati.

Contributi editoria, ecco le modalità per l’erogazione degli aiuti alle imprese editoriali

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Stabiliti i contributi per il settore dell’editoria. Due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, entrambi pubblicati in Gazzetta Ufficiale, definiscono le modalità per la concessione dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, nonché le modalità per la concessione dei finanziamenti a sostegno dell’editoria speciale periodica per non vedenti e ipovedenti e a tutela dei consumatori e degli utenti.

Con due decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 217 del 16 settembre 2017, sono stabiliti i contributi nel settore dell’editoria.

Le norme contenute nel decreto si applicano alle cooperative giornalistiche editrici di quotidiani e periodici, alle imprese editrici di quotidiani e periodici la cui maggioranza sia detenuta da enti senza scopi lucro (cooperative, fondazioni ed enti morali) ed alle imprese editrici di giornali espressione di minoranze linguistiche. Per le imprese editrici di quotidiani editi o diffusi all’estero, per le associazioni dei consumatori e per i giornali per le persone afflitte da disabilità visiva le nuove disposizioni verranno emanate con successivi decreti.

L’articolo 3 del DPCM chiarisce che le nuove modalità di trasmissione della documentazione entrano in vigore con riferimento ai contributi relativi all’esercizio 2018, anno di entrata in vigore della nuova disciplina.

Il DPCM conferma che il termine per la presentazione della domanda è, a titolo perentorio, quello del 31 gennaio dell’anno successivo a quello di riferimento dei contributi.

Per accedere, invece, all’anticipo previsto dal comma 2 dell’articolo 11 del decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70, è necessario unitamente alla domanda presentare, entro la stessa scadenza del 31 gennaio, anche tutta la documentazione ulteriore (ad esclusione del bilancio e dei documenti che dovranno essere oggetto di revisione, ossia il prospetto dei costi e quello della diffusione). La documentazione richiesta viene puntualmente ricostruita nel DPCM stesso. Per ragioni di sinteticità evitiamo di proporre ai lettori l’elenco della documentazione richiesta che, di fatto, è simile a quella già prodotta per le scorse annualità, fatta eccezione per le ulteriori informazioni derivanti dall’entrata in vigore della nuova disciplina.

Viene, infine, confermato che il termine per la chiusura del procedimento amministrativo è fissato al 28 febbraio dell’anno successivo a quello di presentazione della domanda.

Rassegna Stampa del 19/09/2017

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Indice Articoli

Più appeal per spot e inserzioni

Le altre misure per il settore

Caltagirone, meno Generali e addio all’ opa sulla Editore

Caltagirone, fallisce la fuga dalla Borsa “Prezzo troppo basso”

Caltagirone Editore

Caltagirone Editore, Opa priva di efficacia le adesioni si fermano al 71,13% del capitale

Rolling Stone a fine corsaIn vendita la Bibbia del Rock

Anche a metà settembre va in onda la televisione delle repliche

Caltagirone Editore, inefficace l’ opa per il delisting

Caso Farina, sotto la lente tutte le testate cedute

Chessidice

Rolling Stone in vendita

Cairo lancerà «Solferino 26» casa editrice anti Mondadori

«Rolling Stone» Usa finirà in vendita

Opa Chiara Finanziaria priva di efficacia

Addio Tv

Una nuova sfida hi-tech e quella scatola tornerà magica

Il declino del pensiero rock Rolling Stone è in vendita

Comunicato dell’ assemblea dei giornalisti

Più appeal per spot e inserzioni

MF
BRUNO PAGAMICI
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Crediti d’ imposta fino al 90% della spesa per imprese e professionisti che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche. A partire dal 2018 il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale introdotta dalla manovra correttiva 2017 dei conti pubblici (dl 50/2017, art. 57-bis), concedibile ai soggetti beneficiari solo se il valore degli investimenti effettuati supera dell’ 1% il valore degli analoghi investimenti sostenuti nell’ anno precedente, sugli stessi mezzi di informazione. Per rendere concretamente operativo il bonus fiscale, sarà necessario attendere le relative disposizioni di attuazione, la cui emanazione è affidata a un futuro Dpcm da adottare, nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di stato, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, e cioè entro il 22 ottobre 2017. Poiché il credito d’ imposta opera in compensazione in dichiarazione dei redditi, il Dpcm per l’ attuazione della normativa dovrà necessariamente essere emanato prima della scadenza per la presentazione annuale del dichiarativo (invio entro il 31 ottobre). Con tale decreto dovranno essere definiti: le tipologie di investimento che danno diritto al beneficio; i casi di esclusione; le procedure di riconoscimento, concessione e utilizzo del credito; la documentazione richiesta, nonché il sistema dei controlli volti ad assicurare il rispetto dei limiti previsti dalla legge. In attesa del decreto di attuazione, sembra probabile l’ esclusione dal bonus degli investimenti pubblicitari effettuati sul web. Il credito d’ imposta. Il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale istituita dalla manovra correttiva 2017 (dl 50/2017, art. 57-bis), in ottemperanza agli obiettivi prefissati con la legge delega 198/2016 circa l’ introduzione di nuovi benefici fiscali per gli «investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici nonché sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali» mediante il riconoscimento di «un particolare beneficio agli inserzionisti di micro, piccola o media dimensione e alle startup innovative». Il legislatore ha previsto la possibilità per lavoratori autonomi, professionisti e imprese di poter fruire di un nuovo credito d’ imposta per gli investimenti incrementali in pubblicità. Il bonus fiscale opera sotto forma di credito d’ imposta e pertanto a partire dal 2018, i professionisti, lavoratori autonomi e le imprese di qualsiasi natura giuridica, potranno beneficiare del credito d’ imposta in compensazione con la dichiarazione dei redditi (l’ importo del bonus andrà inserito nel quadro RU). L’ obiettivo del legislatore è duplice: da un lato, spingere imprese e lavoratori autonomi a utilizzare gli strumenti pubblicitari per sostenere lo sviluppo e la crescita della propria attività e, dall’ altro, sostenere, convogliando risorse finanziare il comparto dell’ editoria e dell’ emittenza radiofonica e televisiva locale come riconosciuto dall’ art. 2, comma 2, legge n.198/2016. Il beneficio sarà attribuito nel 2018 con riferimento agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del dl 50/2017, ossia dal 24 giugno 2017. Beneficiari e misure agevolative. Dalla lettura dell’ art. 57-bis della manovra correttiva 2017, il bonus pubblicità ossia il credito d’ imposta pari al 75 o al 90% che spetta ai contribuenti in caso di investimenti in campagne pubblicitarie aventi un importo maggiore di almeno l’ 1% rispetto a quanto investito per lo stesso settore nell’ anno precedente, spetta ai seguenti beneficiari: – lavoratori autonomi, ivi compresi i professionisti (sia iscritti che non iscritti ad albi, ruoli o collegi); – imprese: di qualsiasi natura giuridica. I requisiti del bonus pubblicità verranno tuttavia ufficializzati con il decreto attuativo. Gli investimenti agevolabili. Il riconoscimento del credito d’ imposta è connesso agli investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Tali aspetti dovranno essere confermati con il decreto attuativo e l’ estensione del bonus pubblicità anche alle campagne promozionali sul web probabilmente non verrà attuata. Uno dei più importanti requisiti richiesti per beneficiare del bonus pubblicità è quello di effettuare gli investimenti in misura maggiore rispetto all’ anno precedente, per cui se nel 2017 si è investito 10 mila euro, per beneficiare del bonus occorre che nel 2018 venga speso almeno l’ 1% in più rispetto ai 10 mila dell’ anno prima, per cui almeno 10.100 euro. Ovviamente le aliquote del 75 o del 90% si applicano sul valore incrementale, cioè su 100. In ogni caso, pertanto sarà prima necessario verificare che l’ ammontare degli investimenti pubblicitari realizzati in un determinato anno sia superiore, almeno dell’ 1%, a quello degli investimenti effettuati nell’ anno precedente. Quindi, se si considera il 2018, per beneficiare del bonus pubblicità occorre che: – nell’ anno precedente alla domanda del bonus, si siano effettuati investimenti pubblicitari; – che tali investimenti, nel 2018, nell’ anno di interesse, siano maggiori di almeno l’ 1% rispetto al 2017; – che l’ investimento in campagne pubblicitarie avvenga su: quotidiani e periodici; emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Pmi e startup innovative. Nel caso in cui l’ investimento pubblicitario sia da parte di micro imprese, piccole e medie imprese e startup innovative, il credito d’ imposta è elevato al 90% rispetto al 75% previsto per le altre categorie. Il bonus è fruibile solo sotto forma di credito d’ imposta in compensazione tramite modello F24 previa relativa domanda al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Il decreto attuativo del presidente del consiglio fisserà i dettagli operativi del bonus: le regole, i requisiti, le modalità con cui presentare la domanda, i contribuenti beneficiari del bonus fiscale per gli investimenti pubblicitari e per quale tipologia di strumento editoriale spetterà il nuovo credito d’ imposta fino al 90%. Le modalità di calcolo. Dovrà essere chiarito dal decreto attuativo se il calcolo deve essere effettuato per massa, ovvero distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari (quest’ ultima tesi sembra la più probabile). A tale fine, per gli investimenti effettuati nel primo periodo d’ imposta (e cioè dal 24 giugno 2017 al 31 dicembre 2017), appare logico ritenere che il parametro storico da porre a raffronto (le spese di analoga natura sostenute nel 2016) sia corrispondentemente ragguagliato al periodo 24 giugno 2016-31 dicembre 2016. Il punto dovrà essere tuttavia confermato dal decreto attuativo. Pertanto, se si ipotizza che nell’ anno 2017 non sia stato effettuato nessun investimento pubblicitario, nel 2018 sarà incentivabile l’ intera spesa in pubblicità. La decorrenza. L’ agevolazione, che scatta dal 2018, riguarderà, salvo contraria previsione del decreto di attuazione, gli investimenti effettuati dal 24 giugno 2017. Per stabilire il momento di effettuazione degli investimenti appare ragionevole l’ applicazione dell’ art. 109, comma 2, lett. b) del Tuir, che stabilisce che le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data in cui le prestazioni sono ultimate. (riproduzione riservata)

Le altre misure per il settore

MF
BRUNO PAGAMICI
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Oltre al bonus pubblicità, che è stato introdotto dal legislatore anche per cercare una soluzione alternativa agli incentivi statali per la ripresa dell’ editoria, al sostegno a favore del comparto si aggiungono i finanziamenti che potranno essere concessi alle imprese editrici di nuova costituzione per promuovere progetti d’ impresa innovativi. In materia di investimenti pubblicitari per imprese e professionisti le novità quindi non mancano. Per quest’ ultima categoria, occorrerà valutare caso per caso l’ opportunità di accedere al bonus pubblicità. A meno di soluzioni completamente dirimenti da parte del decreto di attuazione (che dovrà essere emanato entro il prossimo 22 ottobre), i professionisti, specie se iscritti ad albi, ruoli ecc. dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa disciplinate dai rispettivi ordini professionali. Sempre dal decreto di attuazione è particolarmente attesa l’ indicazione che dovrà essere fornita relativamente all’ agevolabilità degli investimenti pubblicitari sul web. Agevolazioni a favore dell’ editoria. Gli incentivi fiscali per gli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani, periodici ed emittenti televisive e radiofoniche locali, previsti dalla legge editoria n. 198/2016, sono stati introdotti con l’ art. 57-bis della manovra correttiva, assieme a misure di sostegno alle imprese editoriali di nuova costituzione. In particolare il disposto prevede, oltre alla concessione di incentivi fiscali, anche misure di sostegno in favore delle imprese editoriali di nuova costituzione. Il comma 2 dell’ art. 57-bis fa riferimento all’ emanazione di bando annuale per l’ assegnazione di finanziamenti alle neo imprese editrici con decreto del capo del dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Ciò, al fine di «favorire la realizzazione di progetti innovativi, anche con lo scopo di rimuovere stili di comunicazione sessisti e lesivi dell’ identità femminile, e idonei a promuovere la più ampia fruibilità di contenuti informativi multimediali e la maggiore diffusione dell’ uso delle tecnologie digitali». I finanziamenti saranno concessi nel limite massimo di spesa stabilito annualmente con il Dpcm che definirà la ripartizione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione assegnate alla Presidenza del consiglio dei ministri tra i diversi interventi di competenza (art. 1, comma 6, della legge 198/2016). Anche in questo caso il limite massimo di spesa per il finanziamento della misura verrà stabilito annualmente con apposito Dpcm. Sono invece già fissati i tetti di spesa per finanziare i prepensionamenti dei giornalisti delle aziende editoriali in crisi, con età anagrafica di 58 anni per le donne e di 60 per gli uomini, che abbiano maturato almeno 25 anni di contributi: si tratta in tutto di 45 milioni di euro, distribuiti tra il 2017 e il 2021. Il caso dei professionisti. Il Dpcm di attuazione del bonus fiscale, che dovrà essere approvato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, per i professionisti potrebbe tuttavia presentare, per la piena titolarità del diritto, dei vincoli in più, anche se la riforma degli ordinamenti professionali (attuata con il dpr 137/2012) ha previsto che «è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente a oggetto «l’ attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni» (art. 4, comma 1). In ogni caso, per maggiori informazioni ed eventuali conferme, occorrerà attendere il decreto attuativo. Professionisti con albo. Per quanto riguarda i professionisti con albo, in particolare, dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa stabilite dal dpr n. 137 del 7 agosto 2012, con il quale viene autorizzata la pubblicità informativa che non sia ingannevole, equivoca o denigratoria su: – attività delle professioni regolamentate; – specializzazioni e titoli posseduti; – struttura del proprio studio; – compensi richiesti per le prestazioni professionali. L’ inerenza delle spese pubblicitarie. In merito alle categorie professionali, è opportuno valutare un ulteriore aspetto. Perché le spese di pubblicità sostenute possano essere portate in deduzione è necessario che esse rispondano al principio di inerenza. Tuttavia, secondo una interessante interpretazione della Ctp di Lucca (sentenza n. 722/2015), i costi pubblicitari sostenuti dal contribuente si considerano sempre inerenti, a meno che non siano state evidentemente eluse delle norme tributarie. Secondo quanto previsto dal decreto attuativo del dm 19 ottobre 2008, all’ art. 1, comma 1, si considerano inerenti alle spese effettivamente sostenute e documentate riferibili a erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’ obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’ impresa. Aspetti contabili. Poiché l’ art. 57-bis prevede che la concessione del credito d’ imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’ agevolazione con la normativa europea degli aiuti di stato. Peraltro, si ritiene che sussista tale compatibilità, poiché, quanto ai beneficiari, si tratta di misura agevolativa a carattere generale. Quanto al trattamento contabile, il principio Oic 24, i costi di pubblicità possono rientrare tra i costi capitalizzati nella voce BI1 «Costi di impianto e di ampliamento» dello stato patrimoniale se rispettano i requisiti previsti dai paragrafi 41-43 dello stesso Oic 24 ovvero: – i costi siano sostenuti in modo non ricorrente; – esista un rapporto causa-effetto tra i costi in questione e il beneficio (futura utilità) che dagli stessi la società si attende. Qualora invece non soddisfino i suddetti requisiti, tali costi devono essere spesati nella voce B7 del conto economico, come previsto dall’ Oic 12. Digitale agevolato? Il governo ritiene di dover escludere i giornali editi sul web perché non espressamente citati dalla recente legge che elenca i soggetti autorizzati a raccogliere pubblicità. Sarà tuttavia il decreto di attuazione a sciogliere alcuni dei dubbi relativi al testo approvato che fa riferimento alla pubblicità su «stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali». La ratio della norma è che non sono agevolati gli investimenti pubblicitari su web o mobile che non siano su testate giornalistiche, mentre rientra nel credito d’ imposta tutta la pubblicità effettuata su tv e radio. C’ è in particolare un dubbio da chiarire legato alle testate online, perché la legge, quando si riferisce alle televisioni e alle radio, specifica che possano essere analogiche o digitali, comprendendo le web tv, mentre riferendosi alla stampa quotidiana e periodica non riporta ulteriori indicazioni. Altro punto che necessiterà di chiarimenti in sede di decreto attuativo: la spesa incrementale rispetto agli investimenti sullo stesso mezzo riguardano l’ intera categoria (tv, radio ecc.) oppure si distingue tra quotidiano e periodico o, ancora, tra cartacei e telematici? E ancora: come si considerano ad esempio le agenzie di stampa? Entrata in vigore. Secondo quanto stabilito durante l’ iter parlamentare, «il credito d’ imposta si attribuisce, nel 2018, relativamente agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge» e cioè dal 24 giugno 2017, essendo la legge 96/2017 pubblicata sul supplemento ordinario 95 della Gazzetta Ufficiale 144 del 23 giugno 2017. Si ritiene quindi che l’ agevolazione sia immediatamente operativa, poiché assumono rilevanza le spese in campagne pubblicitarie sostenute a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (24 giugno 2017). Sul punto interverranno comunque i chiarimenti da parte del decreto attuativo e dell’ Agenzia delle entrate. (riproduzione riservata)

Caltagirone, meno Generali e addio all’ opa sulla Editore

MF
PAOLA VALENTINI
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Proprio mentre prende atto del fallimento dell’ opa sul 27% di Caltagirone Editore lanciata dalla stessa famiglia di immobiliaristi (ieri il comunicato ufficiale di rinuncia), riprende il trading di Francesco Gaetano Caltagirone sui titoli Generali. Dalle comunicazioni di internal dealing si apprende che l’ imprenditore romano ha venduto 1 milione di azioni Generali a seguito dell’ esercizio di diritti di opzione call a scadenza. Le azioni rappresentano lo 0,064% del capitale di Generali, di cui lo stesso Caltagirone è vicepresidente vicario non esecutivo. L’ operazione è avvenuta venerdì scorso ed è stata realizzata in due tranche da Fincal, una delle holding dell’ imprenditore. La prima ha avuto per oggetto 500 mila azioni cedute al prezzo unitario di 13 euro per un totale di 6,5 milioni; la seconda, relativa a un pacchetto di pari quantità, è stata messa sul mercato a 13,5 euro per azione per un controvalore di 6,75 milioni. L’ incasso totale è stato quindi di 13,25 milioni. Con questa cessione Caltagirone scende dal 3,62% al 3,55% del capitale delle Generali. Come risulta dal sito del gruppo triestino (aggiornato al 15 settembre), l’ editore-immobiliarista è sul podio dei maggiori azionisti della compagnia assieme a Delfin (la holding di Leonardo Del Vecchio) che ha il 3,16% e Mediobanca, primo socio con il 13,03%. Partito da una quota di poco superiore al 2%, da inizio 2016 Caltagirone è via via salito fino a diventare secondo azionista approfittando delle depresse quotazioni del titolo (a metà 2016 era sceso sotto i 10 euro). Lo scorso aprile era arrivato a detenere oltre il 3,6% del Leone. Sul fronte borsistico, infine, c’ è da segnalare che ieri a Piazza Affari il titolo Generali ha terminato le contrattazioni in rialzo dell’ 1,24% a 15,51 euro per azione. (riproduzione riservata)

Caltagirone, fallisce la fuga dalla Borsa “Prezzo troppo basso”

Il Fatto Quotidiano

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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Le adesioni sono state pari a 96.810 azioni, lo 0,28% dei titoli oggetto dell’ offerta. L’ Opa è quindi fallita. Lo scorso mese il gruppo che fa capo all’ imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone aveva annunciato l’ intenzione di togliere dal listino di Borsa la Caltagirone editore (23.400 soci) lanciando un’ Offerta pubblica d’ acquisto (Opa) sulla quota che ancora non controlla della società che edita diversi quotidiani, tra cui Il Messaggero. Caltagirone ne ha il 65% e aveva offerto un euro per azione ai soci di minoranza. Un prezzo che valuta la società 125 milioni. Problema: solo contando liquidità e patrimonio netto vale 3,8 euro ad azione. Nei giorni scorsi, Caltagirone ha così alzato il prezzo a 1,22 euro. Alcuni fondi, tra cui Amber, hanno raccolto una quota superiore al 10% e così sono riusciti a bloccare l’ Opa (serviva almeno l’ 80%). Stando ai nuovi consiglieri nominati nel cda (in alcuni casi esperti di acquisizione) sembra che l’ intenzione di Caltagirone era di vendere la parte editoriale una volta ritirata la società dalla Borsa. Ma il piano è naufragato.

Caltagirone Editore

Il Mattino

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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Sono state portate in adesione – si legge in una nota – 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ offerta. Alla luce dei risultati provvisori dell’ offerta – sottolinea la nota – non risulta avverata la condizione sulla soglia in quanto, ad esito del nuovo periodo di adesione, l’ offerente deterrebbe una partecipazione complessiva – tenuto conto della partecipazione direttamente o indirettamente detenuta dall’ offerente e dai soggetti in concerto – pari al 71,134% della totalità delle azioni emesse dall’ emittente. Tutto ciò premesso, l’ offerente comunica di non avvalersi della facoltà di rinunciare alla condizione sulla soglia e che, pertanto, l’ offerta è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto – conclude la nota – le azioni portate in adesione all’ offerta saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico entro domani (oggi per chi legge, ndr).

Caltagirone Editore, Opa priva di efficacia le adesioni si fermano al 71,13% del capitale

Il Sole 24 Ore
R.Fi
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Non va in porto l’ offerta promossa da Chiara Finanziaria su Caltagirone Editore nonostante il prezzo più rotondo. Secondo i primi dati preliminari ieri, a chiusura dell’ Opa, risultavano consegnate complessivamente 96.810 azioni, pari allo 0,286% delle azioni oggetto dell’ offerta e allo 0,077% del capitale sociale per un controvalore di 118.108,20 euro. Alla luce dei numeri provvisori non si è dunque avverata la condizione sulla soglia, e secondo quanto si legge in un comunicato diffuso dall’ emittente l’ offerta «è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto, le azioni portate in adesione saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico». L’ offerta era stata lanciata a 1 euro per azione, poi incrementata a 1,22 euro, su 33,8 milioni di azioni con l’ obiettivo di promuovere il successivo delisting della società. Tuttavia, considerate le azioni detenute direttamente e indirettamente dall’ emittente più quelle in mano ai soggetti di concerto, è stata raggiunta la quota del 71,134% del capitale. Una percentuale, dunque, distante dall’ obiettivo prefissato. Di qui la decisione di non raccogliere anche i titoli ricevuti. Va detto che il mercato già scontava il risultato negativo dell’ Opa. Il titolo, infatti, anche ieri ha chiuso leggermente al di sopra del prezzo dell’ offerta archiviando la seduta in progresso del 2,8% a 1,286 euro. L’ 8 giugno scorso, prima dell’ annuncio dell’ Opa, il titolo viaggiava a 0,84 euro ma dal 5 luglio successivo le quotazioni non sono mai scese sotto 1,20 euro e il 4 settembre sono arrivate a toccare anche 1,5 euro. Complice, tra l’ altro, l’ ingresso in forze del fondo Amber che, secondo gli aggiornamenti Consob, ora possiede il 5,515% del capitale. La famiglia Benetton, invece, che deteneva il 2,2% circa, ha ceduto la quota sul mercato. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rolling Stone a fine corsaIn vendita la Bibbia del Rock

Corriere della Sera
Massimo Gaggi
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NEW YORK Nel 1967 Jann Wenner, un ventenne newyorchese che aveva attraversato l’ America per andare all’ università in California, studente fuoricorso di quella di Berkeley, attivista del «Free Speech Movement» negli anni d’ oro della cultura hippy, si fece prestare 7.500 dollari dalla sua famiglia e dai parenti della fidanzata. Con quei soldi iniziò a San Francisco, insieme al critico musicale Ralph Gleason, l’ avventura di Rolling Stone : la rivista che sarebbe diventata la voce principale della controcultura californiana degli anni Sessanta e Settanta. E poi, dopo il trasferimento della redazione dalla West Coast a New York, la bibbia della musica rock e punk e della «pop culture» mondiale. Ieri, a mezzo secolo esatto dall’ inizio di questa entusiasmante cavalcata, Jann e il figlio Gus hanno gettato la spugna: Rolling Stone è in vendita. La crisi dell’ editoria – meno ricavi dalle vendite e forte calo degli introiti pubblicitari – è arrivata anche qui. In più il magazine paga un brutto incidente del 2014 dal quale non si è mai pienamente ripreso: Rolling Stone denunciò un caso di stupro collettivo nel campus della University of Virginia, ma il caso si rivelò una montatura. Ritiro dell’ articolo, denunce, processi, patteggiamenti: la vicenda ha avuto un costo elevato per la rivista sul piano economico (condannata a pagare un indennizzo di 3 milioni di dollari), ma, soprattutto, in termini di perdita di credibilità. Tramonto triste e doloroso di un organo di stampa che ha inciso profondamente sulla cultura e anche sul dibattuto politico valorizzando scrittori come Tom Wolfe e Hunter Thompson e che ha lanciato, ad esempio, la fotografa Annie Leibovitz, scoperta quando era una studentessa ventenne dell’ Art Institute di San Francisco. E che, tra tante rockstar, ha avuto il coraggio di mettere in copertina anche papa Francesco: abiti candidi ma icona di uno straordinario cambiamento. Tramonto, ma non fine della storia: nonostante le difficoltà, Rolling Stone diffonde ancora un milione e mezzo di copie pagate e, tra giornale di carta e piattaforme digitali, raggiunge un bacino di 60 milioni di americani. Stanco e consapevole dei suoi limiti nella gestione delle nuove tecnologie, Jann si è affidato alle banche per la ricerca di imprenditori giovani che, oltre a essere disposti a mettere sul piatto parecchi soldi per il controllo di Rolling Stone , abbiano anche la capacità di sfruttare pienamente le potenzialità di queste piattaforme digitali. L’ editore non vorrebbe uscire di scena: lui e il figlio Gus, oggi direttore generale del gruppo editoriale, sperano di poter restare in azienda come manager, ma si rendono conto che ciò dipenderà dalla volontà del compratore. Che potrà rilevare solo il 51 per cento del capitale dell’ azienda, visto che il restante 49 per cento era già stato ceduto l’ anno scorso a BandLab Technologies, una società di Singapore. Per far fronte alle difficoltà dell’ azienda, la famiglia Wenner aveva già venduto US Weekly e Men’ s Journal , gli altri giornali di un gruppo nel quale, ora, oltre al magazine, rimane solo Glixel, un sito di videogiochi. C’ è, quindi, da chiedersi cosa resterà, dopo questo ulteriore colpo di scena, di un rivista celebre per le sue copertine (come quella del 1981, l’ immagine ripresa dalla Leibovitz di John Lennon nudo, in posizione fetale, tra le braccia di Yoko Ono), per i ritratti (come quello sugli aspetti meno noti di Steve Jobs), ma anche per articoli che hanno avuto un’ influenza politica rilevante. Anche in anni recenti. Celebre quello del 2009 nel quale Matt Taibbi, dopo il crollo di Wall Street, descrisse Goldman Sachs, fin lì la banca d’ affari più autorevole e riverita dei Pianeta, come una piovra. O l’ intervista del 2010 a Stanley McChrystal, zeppa di critiche all’ allora vicepresidente Joe Biden, dopo la pubblicazione della quale il generale fu costretto a dimettersi dal comando delle forze degli Usa e dei suoi alleati impegnate in Afghanistan e ad accettare il prepensionamento.

Anche a metà settembre va in onda la televisione delle repliche

Italia Oggi
ANDREA MONTANARI
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Ok, la domenica sera, all’ ora di cena, è dedicata tipicamente allo sport, quasi sempre il calcio. Almeno televisivamente parlando. Magari con una bella pizza e una birra ghiacciata, modello Fantozzi. Quindi di solito si tende a non proporre sul piccolo schermo dei gran capolavori o eventi live di rilievo. Va in onda insomma il ricordo, il passato, la replica infinita. Anche in una serata, come quella di domenica 17, nella quale Sky Sport e Mediaset Premium mandavano in onda un match non certo di cartello, il posticipo Genoa-Lazio e su SkySport2 andava in scena la finale dell’ Eurobasket, partita avvincente ma per pochi intimi come spesso accade per il basket che ha visto trionfare la Slovenia. Ecco fatte queste debite premesse le tv generaliste non hanno certo dato il meglio della loro offerta. Basti dire che a trionfare è stata, come sovente accade in prime time, Rai1 con la replica dell’ ultima puntata della 3° stagione (è in arrivo la 5° stagione) di Un passo dal cielo con uno share del 14,78%. A contendere la vittoria a Terence Hill ci hanno provato Alessandro Siani e Claudio Bisio con la replica (una delle tante) del loro Benvenuti al Nord, anno 2012 (e sequel di Benvenuti al Sud) che però si sono fermati al 12,78%. Di déjà vu in déjà vu ecco spuntare su Italia1 la pellicola della serie X-Men: X-Men conflitto finale, del 2006, ha registrato un dignitoso 5,69%. Più «anziano» (anno 2002) ancora l’ ironico e irriverente Prova a prendermi della coppia dorata di Hollywood, Leonardo DiCaprio e Tom Hanks trasmesso da Rete4 che ha incassato il 5% di share. Per non farsi perdere nulla anche Tv8 (gruppo Sky) ha riproposto la replica di Masterchef 6. Evidentemente molte donne ieri sera erano in possesso del telecomando visto che l’ ascolto medio è stato del 4,6%. Ancora più retrò la scelta di La7 (non nuova a film degli anni 50-60-70) che ha trasmesso Indovina chi viene a cena? (festeggia i 50 anni essendo del 1967, auguri) che ha registrato un modesto 2,95%, sotto la media della rete di Urbano Cairo in prima serata (3,35%). In totale, questa offerta televisiva che sa tanto di passato e vecchio ha comunque catturato più del 45% dei telespettatori italiani e ha rubato spazio a un prodotto originale e dal taglio prettamente culturale come il film-documentario trasmesso da Rai3 e dedicato alla figura del cantante e artista napoletano Pino Daniele, scomparso nel gennaio di due anni fa che ha incassato solo il 4,9%, di poco sotto la media di rete in prime time (6,03%). Peggiore, in questo senso, è stata la scelta del terzo canale di stato di trasmettere in seconda serata lo spettacolo Sanghenapule portato in scena al Piccolo Teatro di Milano da Roberto Saviano e Mimmo Borrelli che ha tenuto incollati, si fa per dire, davanti al piccolo schermo solamente 330 mila spettatori per un modestissimo 1,91% di share (la media di Rai3 in seconda serata sfiora solitamente il 5%).

Caltagirone Editore, inefficace l’ opa per il delisting

Italia Oggi

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Non è andata a buon fine l’ offerta totalitaria finalizzata al delisting della Caltagirone Editore. A ieri, infatti, con il nuovo periodo di adesione all’ offerta pubblica di acquisto sono state portate 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ opa e allo 0,077% del capitale sociale dell’ emittente, per un controvalore di 118.108 euro. In base ai risultati provvisori, quindi, Chiara Finanziaria sarebbe arrivata a poco più del 71% delle azioni e così «non risulta avverata la condizione sulla soglia» e l’ offerta «è da considerarsi priva di efficacia». L’ 8 settembre Chiara Finanziaria aveva alzato il prezzo dell’ opa da 1 euro a 1,22 euro e il periodo di adesione è stato prorogato al 18 settembre. L’ offerta pubblica di acquisito riguardava tutte le azioni (32,7% il flottante) tranne quelle detenute anche indirettamente da Caltagirone (il 60,7%), quelle dei familiari (4,6%) e le azioni proprie (1,8%).

Caso Farina, sotto la lente tutte le testate cedute

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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L’ arresto negli scorsi giorni di Vittorio Farina, uno dei principali stampatori italiani, con l’ accusa di bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della Ilte, potrebbe avere una serie di risvolti anche in relazione al mercato dei periodici. Infatti Farina, attraverso la sua Dprint, nel corso degli anni aveva creato un polo editoriale di un certo peso, rilevando, in particolare, tutte le testate della ex Guido Veneziani editore, poi a sua volta fallita. Nel 2017, tuttavia, nel giro di qualche mese la Dprint si è liberata di tutte le sue più importanti testate: attorno a febbraio ha ceduto Stop, Miracoli, Top, Confessioni e Confessioni oro alla Periodici italiani srl di Fabio Caso, e poi In Famiglia alla Gmp Periodici di Giuseppe Pilera, e, infine, il polo di Vero al fratello Mario Farina. Tutte cessioni di ramo di azienda che adesso verranno analizzate dagli inquirenti per verificarne l’ adeguatezza o meno. Di certo i giornalisti che lavorano in queste testate fanno fatica a trovare pace, dopo gli anni di caos prima sotto Veneziani, poi con Farina, e, adesso, sotto Caso, che, a singhiozzo, porta in edicola i vari periodici. Quanto, però, alla vicenda dell’ acquisto delle testate da Dprint, Caso si dice «tranquillo. Sono vicende scollegate, lontane nel tempo, con soggetti diversi. Mi spiace per Vittorio Farina e sono sicuro ne uscirà a testa alta. Io ho pagato il ramo di azienda acquistato da Dprint, ho finito di pagarlo lo scorso giugno e sono sereno. Se poi il tribunale riterrà di richiamare il ramo di azienda sotto la Dprint, dovrà ripagarmi quanto versato e pure i danni». © Riproduzione riservata.

Chessidice

Italia Oggi

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Corriere della Sera Torino, La Rocca direttore. L’ editore Rcs Urbano Cairo ha formalizzato la scelta per la direzione della nuova edizione torinese del Corriere della Sera: si tratta di Umberto La Rocca, ex direttore del quotidiano ligure Secolo XIX e con un passato a Messaggero e Stampa (vedere ItaliaOggi del 12/8/2017). La selezione dei giornalisti è già iniziata e si punta a una redazione di circa 12 persone, provenienti anche da altre edizioni locali del Corriere della Sera. Il debutto del Corsera Torino è atteso per fine ottobre-inizio novembre ma non è escluso che l’ operazione slitti più in avanti. Rcs, il prossimo Giro d’ Italia partirà da Gerusalemme. Nel 2018, per la prima volta, la competizione su due ruote partirà fuori dai confini europei. L’ edizione 101 del Giro d’ Italia è in programma dal 4 al 27 maggio prossimo e seguirà tre tappe sul territorio israeliano. La partenza è anche l’ occasione per ricordare il campione italiano Gino Bartali, insignito come «Giusto fra le Nazioni». Murdoch jr perde in tribunale con Cbs su Ten Network. L’ imprenditore dei media Bruce Gordon e Lachlan Murdoch, figlio del magnate Rupert Murdoch, hanno perso la causa legale intentata per impedire all’ emittente Cbs di acquisire l’ australiana Ten Network Holdings, che versa in stato di insolvenza. Gordon e Murdoch hanno contestato la possibile acquisizione da 201,1 milioni di dollari australiani (134 mln di euro) di Ten Network da parte di Cbs, sostenendo che la loro offerta non è stata opportunamente considerata dai consulenti di KordaMentha, specializzati in casi di insolvenza, che si sono invece pronunciati a favore della proposta dell’ emittente. Venerdì scorso i due imprenditori hanno lanciato una nuova offerta per Ten Network, dopo che il Parlamento australiano ha approvato una legge che rende più facile acquisire quote di controllo nel settore dei media. I creditori valuteranno ora varie opzioni, inclusa la vendita di Ten Network a Cbs, ma potrebbero anche prendere in considerazione l’ ultima offerta di Gordon e Murdoch.

Rolling Stone in vendita

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Alla vigilia dei suoi 50 anni finisce un’ era per Rolling Stone, la rivista americana considerata la bibbia della musica che ha raccontato anche la politica americana dal 1967 a oggi. L’ editore Jann Simon Wenner, che l’ aveva fondata nel 1967 assieme al critico Ralph Gleason, ha infatti deciso di mettere in vendita la quota di controllo, dopo che già lo scorso anno aveva ceduto il 49% a una società di Singapore, la BandLab Technologies. L’ operazione è appena all’ inizio: alcune banche d’ affari si stanno occupando di sondare possibili compratori, e non si sa nemmeno quale sia la richiesta. Il problema per Rolling Stone è quello della carta stampata tradizionale, ovvero il calo delle vendite e della pubblicità, che non risparmia nemmeno giornali storici come questo. La Wenner Media, presieduta dal fondatore e guidata da suo figlio, il 27enne Gus Wenner, ha negli ultimi tempi ceduto quasi tutti i suoi asset: il settimanale Us Weekly e Men’ s Journal. Evidentemente il sacrificio non è bastato e anche Rolling Stone ora ha bisogno di un appoggio finanziario forte. I due Wenner hanno già espresso il desiderio di continuare a lavorare per la rivista, ma tutto dipenderà dagli acquirenti. Che per Wenner padre sia un grosso sacrificio è risaputo nel settore: ha fondato Rolling Stone quando aveva 21 anni e nonostante successivamente abbia lanciato altre avventure editoriali, è stata quella la testata a cui aveva dedicato la vita. Nel tempo, però, il magazine ha perso la forza che ha sempre avuto nelle generazioni che si sono succedute dal 9 novembre del ’67, il giorno della prima uscita, in poi. È dagli anni 90 che è cominciato il declino di lettori. Tre anni fa un colpo alla forte tradizione giornalistica della testata: la storia di uno stupro di gruppo nell’ Università della Virginia, poi rivelatasi una bufala e per la quale l’ editore ha dovuto sborsare 3 milioni di dollari di risarcimento. Ora non si sa chi prenderà il posto di Wenner nell’ azionariato. La presenza di una quota di minoranza della BandLab, una sorta di community in cui musicisti e fan creano musica e interagiscono tra loro, non rende facile l’ ingresso di un grande gruppo. Uno dei canditati, però, potrebbe essere American Media, la società che ha già acquisito Us Weekly e Men’ s Journal. Rolling Stone ha anche una quindicina di edizioni internazionali, compresa quella italiana, attualmente edita da Luciano Bernardini De Pace su licenza della casa madre americana. Nel primo numero Wenner spiegò come mai scelse questo nome: «Probabilmente vi state chiedendo cosa stiamo cercando di fare. È difficile da dire: una sorta di rivista e una sorta di quotidiano. Il suo nome è Rolling Stone che proviene da un vecchio detto: «una pietra che rotola non raccoglie muschio». Muddy Waters ha usato questo nome in una canzone che ha scritto. I Rolling Stones hanno preso il loro nome dalla canzone di Muddy. Like a Rolling Stone è stato il titolo del primo titolo rock di Bob Dylan. Abbiamo lanciato una nuova pubblicazione che riflette i cambiamenti nel rock and roll e i cambiamenti legati al rock and roll».

Cairo lancerà «Solferino 26» casa editrice anti Mondadori

Libero

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PAOLO BIANCHI Novità nel Magico mondo dell’ editoria libraria. Le nostre fonti la chiamano “Solferino 26”. Aperta la discussione sul nome, ma è certo che Urbano Cairo, probabilmente l’ editore più dinamico d’ Italia, vara un nuovo bastimento da far galleggiare sulle acque infide (e a volte stagnanti) di un settore affollatissimo e dove le battaglie navali sono quotidiane. E comunque, riorganizza la propria flotta. Nel gruppo, che fa capo alla società madre Cairo Communication, da un decennio c’ è posto anche per i libri, con un catalogo partito con titoli commerciali, sia di narrativa italiana e straniera, sia di saggistica, e poi ampliatosi anche a proposte più letterarie e di ricerca. Vendite da alta classifica per l’ annuale oroscopo di Paolo Fox, per dire, ma anche una bella selezione di autori italiani e stranieri. Senza contare i cataloghi d’ arte e i libri illustrati, per esempio l’ annuale Catalogo dell’ Arte Moderna, un classico, prodotto sotto il marchio dell’ Editoriale Giorgio Mondadori. IL MARCHIO Già. Perché qui sta un punto. L’ attenzione che Cairo ha sempre dedicato ai nomi, ai brand. Per esempio, quando acquisì l’ Editoriale Giorgio Mondadori nel 1999, mantenne marchi e loghi che, nell’ ambito delle riviste illustrate di settore (Airone, Bell’ Italia, Bell’ Europa, Arte, eccetera) offrivano una garanzia per i lettori. Non cedette insomma alla vanità di etichettare ogni cosa col proprio nome, sapendo che ne avrebbe avuto vantaggio dal punto di vista del marketing. Su una dozzina di altri periodici di taglio popolare lanciati in seguito (come Di Più, Diva e Donna e Giallo) è finito invece il marchio Cairoeditore con il logo a forma di occhio, un occhio che non perde mai di vista il business. Ma il 2016 è stato l’ anno del colpo grosso, dell’ acquisizione di Rcs Mediagroup, e quindi del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport, e di una serie di periodici come Oggi e Amica, tanto per dirne un paio. La sezioni libri invece era passata a Mondadori (costituendo quella che in gergo si chiama oggi “Mondazzoli”). La nuova imbarcazione (proseguendo nella metafora navale) servirà a consolidare la presenza nel settore libri, probabilmente caratterizzando meglio i settori, aumentando la produzione, intensificando la distribuzione e sfruttando le possibilità offerte dalle cosiddette sinergie nel nuovo assetto proprietario. Che cosa stia succedendo di preciso ancora non lo sappiamo, perché progetti e modalità esecutive sono in corso, ma ieri l’ editore era presente a una riunione decisiva. Una quaestio aperta è il nome della nuova entità, che in un primo tempo doveva chiamarsi “Solferino 26”, a richiamare l’ indirizzo milanese del Corsera. Senonché, già all’ interno della casa editrice è partito qualche muso lungo. Avrebbe senso chiamare un settore librario con un nome che ricorda un quotidiano, sia pure un quotidiano prestigioso, dunque un altro genere di carta stampata, perché un conto sono i giornali e un conto sono i libri? Oltretutto, anche dal punto di vista commerciale l’ idea ad alcuni non piace. A parte il fatto che l’ indirizzo del Corriere comprende anche il civico 28, e considerato che a ben pochi fra i lettori italiani, anche i più colti, un tale recapito potrebbe far scattare interessanti associazioni di idee, ancora non si capisce che fine farebbe invece il marchio “Cairo” che appare da dieci anni sulle copertine dei libri e che è stato senza dubbio un investimento, ormai riconosciuto da lettori e librai. LA SEDE C’ è poi il fatto, solo apparentemente secondario, che un nome del genere porti come si suol dire sfiga, dato che la storica sede del Corrierone è stata venduta quattro anni fa (è tutto in affitto a due milioni all’ anno), tanto che perfino la Gazzetta dello Sport ha già traslocato da un pezzo dal salotto buono di Brera alla meno eccitante periferia di via Rizzoli (metrò Crescenzago), a pochi metri da quello che fu l’ ingresso principale della casa editrice ai bei tempi, e dove ora giace come una reliquia dimenticata il busto impolverato del fondatore Angelo Rizzoli. C’ è anche la questione della disponibilità del marchio Rcs, che creerebbe però qualche confusione con Rcs Libri, cioè con il marchio librario Rizzoli, come si è detto oggi di proprietà della berlusconiana Mondadori. In pratica, ancora una volta – stavolta sui libri – Cairo si pone in contrapposizione diretta con Berlusconi. Ma nomi a parte, e mentre ciascuno si preoccupa di inopportune intrusioni dei nuovi colleghi, ci sarà da divertirsi a vedere come Cairo, il resuscitatore di aziende decotte, si giocherà la partita, anzi la naumachia, del fare e diffondere libri. riproduzione riservata Urbano Cairo è presidente di Cairo Communication, di RCS MediaGroup (di cui è anche amministratore delegato) e del Torino FC \

«Rolling Stone» Usa finirà in vendita

Il Giornale

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La mitica rivista americana «Rolling Stone» finirà in vendita. Dal 1967, quando fu fondata da Jann Wenner con 7.500 dollari in prestito, racconta il mondo del rock; ma oggi è in difficoltà, anche per alcuni passi falsi della proprietà (e una grossa causa persa). Così Wenner, a 71 anni (spinto dal figlio Gus, a capo di Wenner media), ha dichiarato che lasciare «è semplicemente la cosa intelligente da fare». Spera di trovare qualcuno che capisca la filosofia del magazine e abbia «tanti soldi». Fra i possibili candidati, American Media Inc.

Opa Chiara Finanziaria priva di efficacia

Il Messaggero

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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Sono state portate in adesione – si legge in una nota – 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ offerta. Alla luce dei risultati provvisori dell’ offerta – sottolinea la nota – non risulta avverata la condizione sulla soglia in quanto, ad esito del nuovo periodo di adesione, l’ offerente deterrebbe una partecipazione complessiva – tenuto conto della partecipazione direttamente o indirettamente detenuta dall’ offerente e dai soggetti in concerto – pari al 71,134% della totalità delle azioni emesse dall’ emittente. Tutto ciò premesso, l’ offerente comunica di non avvalersi della facoltà di rinunciare alla condizione sulla soglia e che, pertanto, l’ offerta è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto – conclude la nota – le azioni portate in adesione all’ offerta saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico entro domani (oggi per chi legge, ndr).

Addio Tv

La Repubblica
CRISTINA NADOTTI
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ROMA. Quasi il 10 per cento in meno di apparecchi televisivi venduti tra gennaio e luglio 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non è il clamoroso – 46 per cento registrato dallo stesso istituto di ricerca, GfK, e per lo stesso periodo in Francia, ma è un dato significativo. Lo è soprattutto se si guarda l’ andamento delle vendite dell’ elettrodomestico per eccellenza su più anni: la tendenza al calo è costante e ha fatto registrare un -12,2 per cento nel 2015, poi un piccolo aumento nel 2016 (+3,7). La risalita è però coincisa con il campionato europeo di calcio, da sempre capace di far anelare a schermi più tecnologici. La corsa all’ ultimo modello argina la deriva del mercato: si comprano meno tv, ma spendendo di più. Il prezzo medio per apparecchio acquistato è cresciuto infatti dai 364 euro del 2015 ai 370 del 2016, fino ai 387 del 2017, con gli acquirenti alla caccia della risoluzione superiore dei tv 4K, la tecnologia che ha reso obsoleto il full HD. Tutto questo non basta comunque a sostenere il volume d’ affari, calato, come per le vendite, in maniera pressoché costante (-11,4 per cento nel 2015, poi un piccolo rialzo, +5,6 nel 2016 e -5,8 del 2017). La crisi dei televisori non è però crisi della tv. Soprattutto i millennial sono sempre incollati a uno schermo, che spesso non è quello dell’ apparecchio tv. «Il crollo delle vendite è l’ effetto di quella che da anni chiamiamo la televisione in qualunque momento e ovunque », spiega Romana Andò, sociologa della comunicazione alla Sapienza e coordinatrice con Alberto Marinelli dell’ Osservatorio Socialtv. «La moltiplicazione degli apparecchi di accesso e degli operatori dei servizi fa sì che oggi si consumino più contenuti – dice l’ esperta – ma non soltanto negli spazi domestici tradizionali e nei tempi canonici della visione». E se all’ inizio queste nuove pratiche di consumo si traducevano nello scaricare in modo più o meno legale film e serie da internet, ora ci sono i grandi servizi di streaming ad aiutare coloro che Andò chiama «i fan dei contenuti tv». «Le pratiche del pubblico più attivo – sottolinea – hanno di fatto anticipato le strategie poi attuate dai maggiori distributori, che stanno trasformando un fenomeno di nicchia in pratiche diffuse. Penso al caso dell’ ultima stagione di serie di successo che Sky ha dovuto mettere in onda in contemporanea mondiale, per evitare lo streaming pirata ». Netflix invece gioca ad anticipare l’ attesa dei fan, a promuovere modalità di fruizione immersive ( binge watching) e realmente costruite sulle esigenze del pubblico». Nel bene e nel male l’ apparecchio tv è stato il focolare moderno, il totem intorno al quale anche le famiglie con orari più disparati e interessi diversi riuscivano a riunirsi, magari per tifare la Nazionale. E ora? «Lo schermo televisivo non ha perso questa funzione – conclude Andò – sebbene oggi coesistano esperienze di visione assai diversificate rispetto ai tempi, ai luoghi e ai rituali di consumo. L’ apparecchio tv tradizionale continua a mantenere il primato tra gli schermi con cui consumare contenuti televisivi: secondo i dati dell’ Osservatorio sul 2016, il 74 per cento del campione usa sempre o spesso la tv principale dell’ abitazione, soprattutto per tempi di visione che superano l’ ora. Non va sottovalutata, infine, la presenza di schermi che garantiscono una condivisione più elettiva, con parenti, amici, compagni o persino sconosciuti ai quali, però, ci unisce la passione per un determinato contenuto. Ricreando così un focolare attorno al quale trovarsi non necessariamente in presenza, ma altrettanto coinvolgente». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Vince il consumo possibile ovunque e in qualsiasi momento specie tra gli under 35 Reggono solo i modelli più avanzati ad altissima risoluzione, spinti dagli eventi sportivi.

Una nuova sfida hi-tech e quella scatola tornerà magica

La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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L’ ipotesi è: hanno ragione tutti. Succede, ogni tanto: succede che un pezzo di motivazione stia in piedi come un altro pezzo e così via. L’ oggetto televisore troneggiante in salotto è ai limiti dell’ obsoleto, inoltre più o meno hanno già inventato tutto (e il passaggio finale è stata una buona alta definizione media per i modelli nuovi). Succede che Netflix o Amazon Prime siano cose anche e soprattutto da schermo di computer, magari in visione solitaria, succede che anche l’ oggetto ex-misterioso smart-tv sia ormai parte del paesaggio e non emozioni più di tanto (peraltro si ha lo stesso risultato con un vecchio plasma e una chiavetta da trenta euro). Succede che qualcosa non abbia funzionato: per esempio la diffusione del 3D, crollata ai minimi termini in attesa che inventino davvero quello senza occhialini – ma potrebbe volerci di meno a scoprire come sterminare le zanzare per sempre. E mettiamoci anche la crisi e il costo e la concorrenza spietata degli smartphone – è più appagante un Super Ultra Oled 4K chiuso in casa o quell’ aggeggio da 1350 euro che sta arrivando e che si può mostrare a chiunque e ovunque? Insomma è tutto vero, fa fede anche la drastica diminuzione accanto ai cassonetti di quegli scatoloni giganteschi e piatti sotto Natale e vedremo come andrà l’ anno prossimo per i Mondiali di calcio (piccolo problema: bisogna ancora qualificarsi e non è come dirlo). Intanto, altri vaghi segnali contrari: arriva la nuova Gomorra e che cosa decidono quelli di Sky? L’ esordio lo puoi andare a vedere al cinema. Ma il senso rimane quello delle pluri-motivazioni, in attesa che qualcuno venga a spiegarci che arriva davvero un nuovo modello di tv da sogno e inconcepibile finora: oppure (e buonanotte) che quelli sotto i 20 anni decidano che esiste una cosa chiamata tv da guardare sul televisore, e non le mille frattaglie scelte con cui ingozzarsi anche e soprattutto sullo smartphone alla fermata della metro. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Il declino del pensiero rock Rolling Stone è in vendita

La Repubblica
GINO CASTALDO
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C’ È ANCORA chi definisce Rolling Stone la Bibbia della controcultura, ma ovviamente così non è più, da molti anni. Secondo alcuni fin dal 1976 quando l’ editore decise di spostare baracca e burattini da San Francisco, dove la rivista era nata nel 1967, nel pieno dell’ estate dell’ amore, a New York. Ora il prestigioso marchio è in vendita, e del resto, come ha sottolineato l’ editore Jann Warren, settantunenne, fin dall’ inizio a capo dell’ azienda, che inaugurò grazie a un prestito di 7500 dollari, per l’ editoria indipendente i tempi sono diventati troppo duri, praticamente impossibili. Cambiare è inevitabile. Ma di cambiamenti, come si diceva, la rivista ne ha fatti molti, a cominciare dallo spostamento a New York, aprendo poi progressivamente argomenti e copertine fino a prestare più attenzione a volte alle star del cinema che non ai grandi eroi della musica antagonista. Per altri il vero giorno X è quello di fine anni Novanta quando in copertina apparve in posa sexy la allora diciassettenne Britney Spear. Certo, erano finiti i tempi dell’ avventuroso giornalismo musicale e politico che aveva lanciato il sedicenne Cameron Crowe o il genio estremo Lester Bangs, per non parlare del più folle di tutti, l’ eroe del giornalismo gonzo Hunter S. Thompson, ma è anche vero che a cambiare non è stata la rivista, ovviamente, ma prima di tutto la realtà, la qualità e le ambizioni dell’ universo musicale. A mancare erano le stesse basi della controcultura all’ interno della quale era nato l’ ambizioso progetto della rivista, pensata per essere un testimone vigile e critico dell’ establishment, soprattutto attraverso la musica, ma anche nell’ affrontare direttamente temi politici di interesse collettivo. A rigor di termini, la rivista Rolling Stone decise di chiamarsi così seguendo quel medesimo e celeberrimo verso di Muddy Waters, “I’ m a rolling stone”, da cui avevano tratto il nome gli allora perversi Rolling Stones. Ma è anche vero che nel 1967, quando nacque la rivista, i Rolling Stones c’ erano già da un pezzo, e non è detto che anche la loro torbida aura non abbia ispirato la testata. Per non dire che già due anni prima, a rafforzare ancora di più il concetto, era uscito il pezzo definitivo, Like a rolling stone, col qale Bob Dylan aveva definitivamente messo le sue impronte digitali sulla storia del rock. Solo per dire che difficilmente si poteva trovare ai tempi un nome più efficace. La pietra che rotola ha continuato a espandersi. Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila ha creato numerose edizioni locali, tra cui, dal 2003, quella italiana, e ha cercato di preservarsi, se non come Bibbia di una controcultura che non esisteva più, come una rivista autorevole, e per questo dal 2004 ha iniziato a pubblicare liste e classifiche delle più importanti vicende della storia del rock, copertine, dischi, concerti, arrivando per la copertina del numero 1000 a immaginare una rilettura ad hoc della celebre cover di Sgt. Pepper, con effetto 3D. I tempi stanno cambiando, the times they are changin titolarono quando nel 2014 misero in copertina Papa Francesco, ma ora il cambiamento, forse definitivo, riguarda anche il destino della celebre testata. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Sono cambiate la realtà e le ambizioni del mondo musicale Negli ultimi anni aveva cercato di mantenere autorevolezza LE COPERTINE Alcune delle prime pagine più significative di “Rolling Stone”

Comunicato dell’ assemblea dei giornalisti

Corriere di Bologna

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Nonostante le ripetute e molteplici sollecitazioni, spesso ignorate dall’ azienda, da parecchi mesi ormai l’ assemblea di redazione del Corriere di Bologna attende che si faccia chiarezza sul destino di tre colleghi (Marco Madonia, Pierpaolo Velonà e Andrea Rinaldi) legati da altrettanti contratti a termine a questa redazione. Oggi, a meno di due settimane dalla scadenza del contratto di Rinaldi (coordinatore del dorso Corriere Imprese fin dal suo primo giorno in edicola), nulla è stato chiarito né sul rinnovo del contratto al collega, né sul destino della stessa testata. Allo stesso modo il futuro dei colleghi Madonia e Velonà, legati a due contratti di sostituzione di colleghi oggi in forza alla redazione del Corriere della Sera , resta in sospeso nonostante i loro contratti scadano il mese prossimo. Dopo mesi in cui l’ azienda ha rifiutato di fornire elementi di chiarezza o aprire una qualsivoglia trattativa, ci troviamo di fronte a due appuntamenti (un incontro a Roma nella sede della Fieg sulle nuove iniziative editoriali di Rcs e un altro a Bologna tra il cdr e i rappresentanti dell’ azienda) che arrivano a ridosso di scadenze che chiediamo di affrontare dalla scorsa primavera, comprimendo così al minimo ogni spazio di confronto. Ci auguriamo che in quelle sedi l’ azienda dimostri di tenere al lavoro e al profilo professionale di questi colleghi tanto quanto questa redazione, pronta a difendere e tutelare i colleghi e il loro contributo al giornale con tutti i mezzi a propria disposizione.

Agcom, avviata consultazione pubblica su regolamentazione del rilascio delle licenze per servizi postali

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Una maggiore tutela del consumatore anche in materia di servizi postali. Questo quanto stabilito dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha intrapreso le attività necessarie per dare attuazione alle numerose innovazioni normative introdotte dalla Legge
annuale per il mercato e la concorrenza.
Tra queste misure le modalità di esercizio del diritto di recesso, i cui costi per il consumatore debbono essere noti a priori e comunque valutati dall’Autorità che ne verifica la giustificazione economica, oppure l’acquisizione dell’espresso e documentato consenso dell’utente nel caso di fornitura di servizi in abbonamento.
Proprio per dar seguito a quanto previsto dalle nuove diposizioni di egge, che modificano diversi aspetti del cosiddetto Decreto Bersani bis e del Codice delle Comunicazioni elettroniche, è stato deciso di avviare quanto prima un confronto con gli operatori così da assicurare che l’implementazione delle nuove norme sia efficace ed effettiva.
Un solerte intervento è stato richiesto, in particolare, dalle misure riferite al settore postale. Agcom, nel pieno rispetto della stringente tempistica indicata dalla legge sulla concorrenza, ha approvato – relatore il Commissario Francesco Posteraro – un documento di consultazione, aperto alle osservazioni degli interessati, sulla regolamentazione del rilascio delle licenze nel settore postale, che la legge sulla concorrenza ha liberalizzato eliminando l’area di esclusiva
precedentemente riconosciuta a Poste Italiane (notificazioni attraverso il servizio postale degli atti giudiziari e delle violazioni del codice della strada).
Nel documento sono esposti gli orientamenti che l’Autorità intende seguire nella regolamentazione. Per assicurare la massima correttezza nello svolgimento dell’attività di notificazione sono previsti requisiti ed obblighi rigorosi per gli operatori che vorranno svolgere il servizio. Viene poi proposta la diversificazione delle licenze in base all’ambito territoriale servito (regionale e nazionale) e la digitalizzazione di alcune fasi della notificazione a mezzo posta, in particolare quella del recapito dell’avviso di ricevimento che molto spesso ha dato luogo a disservizi.


Rassegna Stampa del 20/09/2017

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Indice Articoli

Tempi stretti per il bonus pubblicità

Tv, fronte comune sulle «quote»

Editori tv a Franceschini: no all’ obbligo di più investimenti

Eurosport all’ attacco sulla pay tv

Chessidice

Il garante Ue: serve chiarezza ma prevarrà il buonsenso

Pubblicità online e l’ ostacolo Ue

Vittorio Farina si dimette da presidente e ad di Netweek

Telefonini e Sky, la grande truffa ha fatto 13

Le tv protestano contro il governo: quote insostenibili sugli audiovisivi

Tutti uniti contro il decreto Franceschini.

Il Gazzettino di Venezia festeggia i suoi 130 anni

I network tv scrivono a Franceschini: no a quote di produzioni Ue e italiane

Più prodotti italiani nei nostri palinsesti Ma le tv protestano “Sono fuori mercato”

Rcs cerca l’ accordo con Gems-Feltrinelli per i libri

Anche il Fatto Quotidiano, filo pentastellato, prende le distanze dalle primarie M5s dicendo che esse sono delle primarie farsa

Il direttore del Tempo indagato per avere chiesto un’ intervista

Grillo insulta i giornalisti e prepara le nuove purghe

Tempi stretti per il bonus pubblicità

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Siamo agli sgoccioli. È atteso in tempi brevi, ben prima del 22 ottobre che invece è il termine previsto, il Dpcm con cui si darà completa attuazione all’ avvio del credito d’ imposta al 75% (90% se a investire sono piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative) per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, sulle emittenti Tv e radio locali. È questione di giorni dunque, a quanto risulta al Sole 24 Ore, la pubblicazione dell’ atto che darà concreto avvio al “bonus pubblicità”, l’ agevolazione introdotta dalla manovra correttiva 2017 e prevista per soggetti i cui investimenti supereranno nel periodo interessato dell’ 1% il valore degli investimenti, di analoga natura, effettuati nell’ anno precedente. Un’ operazione, questa, fortemente richiesta dalla Fieg al Tavolo editoria in ottemperanza, peraltro, di quanto previsto nella legge 198/2016. Accanto a questa misura la manovra correttiva ha poi partorito un ulteriore intervento a favore del settore, con misure di sostegno alle imprese editrici di nuova costituzione, attraverso la previsione di bandi annuali della presidenza del Consiglio per l’ assegnazione di finanziamenti per la realizzazione di progetti innovativi. Quella del credito d’ imposta per la parte incrementale degli investimenti in pubblicità è una misura che il settore dell’ editoria attende con molto interesse. I numeri del resto continuano a posizionare il barometro sul maltempo. E grandi spiragli non se ne vedono. Il “Rapporto sull’ industria italiana dei quotidiani” – ricerca realizzata ogni anno dall’ Asig (Stampatori) e dall’ Osservatorio tecnico “Carlo Lombardi” e presentato ieri a Bologna nel corso di Ediland Meeting 2017, organizzato insieme con Fieg – ne dà una chiara testimonianza. Il biennio 2015-2016 si è chiuso con un calo complessivo della diffusione dei quotidiani di poco inferiore al 20% con flessione accentuata nell’ ultimo anno (-11,5% contro il -9% del 2015). Il Rapporto segnala poi che «i primi mesi del 2017 non sembrano discostarsi da questo trend». Non va meglio la raccolta pubblicitaria con un mercato che, se a livello generale si mostra in ripresa, ha dall’ altra parte nella stampa cartacea un punto sul quale intervenire, visto che fra 2010 e 2017 il calo degli investimenti pubblicitari sul mezzo è stato di oltre il 50% «a un ritmo doppio rispetto al mercato», si legge sempre nel Rapporto. «La profonda crisi che attraversa l’ editoria impone cambiamenti importanti», ha commentato il direttore generale della Fieg, Fabrizio Carotti. «Bisogna prendere atto che gli economics si sono stabilizzati, purtroppo, al livello più basso delle previsioni», ha aggiunto dal canto suo Gianni Paolucci, presidente Asig. Non che sia tutto da buttare. Secondo Audipress un quotidiano negli ultimi tre mesi è andato nelle mani del 70% degli italiani sopra i 14 anni (il 33% lo legge tutti i giorni). E anche la “reputazione” e il ritorno in tal senso degli investimenti su carta stampata rappresentano elementi di favore. Il credito di imposta sulla pubblicità incrementale è comunque atteso come misura necessaria per una ripresa degli investimenti nel settore. L’ anticipo dei tempi rispetto al 22 ottobre è legato alla volontà del Governo (il dossier è seguito in particolare dal ministro Luca Lotti) di facilitare le pianificazioni pubblicitarie delle aziende. All’ interno del decreto, peraltro, dovrebbe essere messo nero su bianco che il credito d’ imposta varrà a partire già dal secondo semestre di quest’ anno. Sarà così sancito fuori da ogni dubbio un timing che la legge comunque contiene in sè, visto che le misure previste dalla manovra della scorsa estate sono entrate in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. In questo modo, con una pubblicazione in tempi rapidi per come è attesa, gli ultimi mesi dell’ anno potrebbero vedere uno sprint di investimenti in pubblicità sui quali, quindi, si andranno ad applicare crediti di imposta del 75 o del 90% sul valore incrementale. Importante sarà avere anche la parola definitiva del Dpcm sulla base alla quale applicare il calcolo del valore incrementale. Vale a dire: è da considerare l’ intero novero di investimenti messi in campo dal soggetto che vuole avvalersi dei crediti d’ imposta o l’ incremento va calcolato sui singoli mezzi: stampa da una parte e Tv e radio locali dall’ altra? Il Dpcm in arrivo, a quanto risulta al Sole 24 Ore, dovrebbe mettere in chiaro la validità della distinzione per mezzi. Saranno esclusi gli investimenti sul web. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tv, fronte comune sulle «quote»

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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I principali gruppi televisivi italiani si sono uniti e hanno scritto direttamente al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, per dire un secco «no» al decreto legislativo di modifica delle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti. Il decreto legislativo di modifica dell’ articolo 44 del Tusmar sta per approdare in Consiglio dei ministri. Il timore dei broadcaster è che ciò accada nel Cdm di domani anche se, a quanto risulta al Sole 24 Ore, in Consiglio dei ministri il decreto sarebbe previsto fra un paio di settimane. Il condizionale diventa però d’ obbligo in particolar modo ora, perché sarà necessario verificare la risposta del Mibact a una iniziativa forte e presa all’ unisono dai nove maggiori broadcaster del panorama nazionale: Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini. Un fronte comune per protestare contro una bozza di decreto nella quale l’ obbligo di investire in opere europee di produttori indipendenti salirebbe dal 10% attuale del fatturato al 15% nel 2018 e al 20% entro il 2019 per le tv commerciali, mentre per la Rai gli obblighi di investimento passerebbero dal 15% attuale al 20% nel 2018 per raddoppiare al 30% entro il 2019. Le bozze del decreto, si legge nella lettera inviata dai broadcaster, «contengono previsioni particolarmente critiche e non sostenibili» tali da determinare «impatti negativi a livello economico ed editoriale per tutto il sistema radiotelevisivo». Si tratta di «maggiori e insostenibili obblighi in tema di investimenti e programmazione» con un aumento «insostenibile» dai circa 750 milioni totali del 2015 a circa 1,2-1,3 miliardi a regime nel 2019. Valutazioni, tiene a ribadire l’ industria televisiva, che arrivano da un settore teso «a offrire sempre nuove opportunità di sviluppo al mercato della produzione indipendente (solo negli ultimi 10 anni gli investimenti dei broadcaster nel settore della produzione indipendente sono stati pari a circa 10 miliardi di euro)» e in cui lavorano «circa 22mila persone con occupazione indiretta di 90mila persone». Sottolineando dunque «il totale fallimento del tavolo di lavoro» che aveva l’ obiettivo di formulare proposte per aggiornare il quadro normativo italiano, la richiesta è di riaprire le discussioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Editori tv a Franceschini: no all’ obbligo di più investimenti

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Rai, Mediaset, La7 e ancora Sky, Discovery, Viacom, Fox, Walt Disney e De Agostini: tutti i principali gruppi televisivi presenti in Italia si stanno muovendo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, contro la modifica dell’ articolo 44 del Tusmar (Testo unico servizi media audiovisivi radiofonici), promossa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini in vista del consiglio dei ministri di domani. L’ articolo 44 riguarda lo sviluppo e la diffusione della produzione audiovisiva europea ma la sua modifica porta, secondo gli editori tv, ad aumentare gli obblighi di programmazione e quelli d’ investimento con un sistema complicato di quote e sottoquote, tra produzioni indipendenti e opere italiane. Tanto più che la nuova regolamentazione, sempre secondo il giudizio dei broadcaster espresso in una lettera al ministro, non tiene conto delle conseguenze economiche per il settore. Impatto che, invece, può essere quantificato in un aumento della spesa in contenuti per oltre 500 mln di euro, portando gli investimenti complessivi a quota 1,2-1,3 mld nel 2019. Negli ultimi 10 anni il comparto ha sostenuto con una spesa di 10 mld le produzioni indipendenti, che ora rischiano di essere colpite da norme non sostenibili per il sistema. Infine, la preoccupazione degli editori tv si concentra su maggiori sanzioni, minori deroghe e possibili vantaggi impliciti per colossi del web e over-the-top (ott).

Eurosport all’ attacco sulla pay tv

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Eurosport Italia entra a gamba tesa nel mercato della pay tv nazionale con una offerta commerciale di quelle che potrebbero solleticare molti sportivi italiani: fino al prossimo 31 ottobre, infatti, è valida la promozione che consente a chiunque di abbonarsi a tutta l’ offerta di Eurosport Player, ovvero lo streaming a pagamento di Eurosport, al prezzo di 29,99 euro complessivi per 12 mesi. Cioè 30 euro all’ anno (non al mese, all’ anno) per vedere in esclusiva tutte le partite del campionato italiano di basket, dell’ Eurolega, i tornei di tennis del grande Slam (escluso Wimbledon) con collegamento multiplo su numerosi campi, i grandi giri e le classiche di ciclismo, i più importanti meeting di atletica leggera e di nuoto, tutti gli sport invernali, culminando con le Olimpiadi di Pyeongchang (Corea del Sud) dall’ 8 al 25 febbraio 2018, e gli sport motoristici, con la 24 Ore di Le Mans e la Superbike. Insomma, gli sportivi che non amano particolarmente il calcio potrebbero trovare molto interessante questa opzione, certamente più conveniente rispetto a quelle di Mediaset Premium o di Sky. Piattaforme sulle quali, peraltro, si vedono anche i canali di Eurosport. Con l’ acquisizione dei diritti pay del campionato di basket e di quelli free e pay dell’ Eurolega, Eurosport Italia fa un passo in avanti nella localizzazione della sua offerta. Ha versato alla Lega basket Serie A circa 6 milioni di euro per il triennio 2017-2020, con l’ esclusiva del campionato sia per l’ Italia (prima era di Sky, e versava alla Lega Serie A circa un milione di euro all’ anno), sia per l’ estero (per il biennio 2018-2020, prima i diritti erano di Mp Silva), e si prepara, per la prima volta in maniera organica, a trasmettere un prodotto destinato prevalentemente al pubblico italiano (non a quello paneuropeo), con un pre e post gara in studio, commentatori con un volto (e non solo in voce), e programmi settimanali studiati ad hoc per valorizzare il basket tricolore. Come spiega Luigi Ecuba, senior director Sports di Discovery Italia (gruppo che controlla Eurosport), «per la prima volta ci sarà tutto il campionato di basket in diretta, in Hd, su più piattaforme». Per uno sforzo produttivo «enorme», aggiunge Alessandro Araimo, executive vice president general manager Discovery Italia, «che porterà Eurosport a essere la casa del basket, con partite su Eurosport 2, e con Eurosport player che mostrerà tutti i match, sia live, sia on demand, e pure contenuti integrativi. Il basket deve tornare a essere popolare in Italia». Si inizia il 23 settembre, con la Supercoppa di Lega da Forlì, con una squadra di commentatori di alto livello (e in parte scippata a Sky) che vedrà tre grandi ex assi del basket come Carlton Myers, Andrea Meneghin, Hugo Sconochini affiancare le voci di Andrea Solaini, Nicolò Trigari e Luca Gregorio. © Riproduzione riservata.

Chessidice

Italia Oggi

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Il Gazzettino festeggia 130 anni con Mattarella. Venerdì lo storico quotidiano del Nordest, compie 130 anni e per l’ occasione festeggerà a Palazzo Ducale a Venezia, alla presenza, fra gli altri, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. All’ evento sarà presentato il restyling del quotidiano che sarà in edicola da sabato 23 settembre. Marie Claire #Likes in edicola. In occasione della Fashion Week milanese, Marie Claire #Likes torna in edicola con un numero dedicato ai mondi che stanno subendo grandi metamorfosi: la moda, l’ arte, l’ editoria, il design, la sostenibilità e la comunicazione. Il servizio moda, col fotografo Fabrizio Ferri, è anche protagonista della mostra «Change» a Milano, in via della Spiga, dal 18 al 26 settembre.

Il garante Ue: serve chiarezza ma prevarrà il buonsenso

Italia Oggi

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Domanda. Giovanni Buttarelli, Garante europeo della protezione dei dati, le associazioni di editori e operatori Internet sono in allarme: le nuove norme potrebbero danneggiare il settore… Risposta. Ogni volta che c’ è una nuova iniziativa di questo tipo si genera panico non sempre giustificato. Abbiamo incontrato più volte le associazioni e fornito rassicurazioni. Alcuni dei punti dal loro rappresentati riguardano tutti i siti web che fanno pubblicità e quindi necessitano di una soluzione globale che in parte dipenderà dalla discussione del regolamento ePrivacy che deve essere ancora definito. Ci sono una novantina di emendamenti. Allo stato attuale c’ è grande continuità e su temi importanti come la profilazione e i cookies non stravolgimenti rispetto al presente. D. Sarà preservato il sistema attuale? R. Con il sistema attuale l’ utente spesso dà il consenso senza leggere. Dobbiamo fornire strumenti adeguati per fare scelte consapevoli. E deve essere chiaro tutto, compreso sapere se il consenso riguarda solo quel sito o quella sessione o si estende anche a siti terzi. È giusto ricevere pubblicità di prodotti che ho cercato su altri siti e in altre sessioni quando visito un quotidiano per leggerne le notizie? Da una disciplina ragionevole il settore ha da guadagnare rispetto al comportamento dei giganti mondiali e la novità è che questi principi si applicheranno a chiunque anche se non stabilito nel territorio Ue. D. Pensa che la proposta ePrivacy andrà in porto nei tempi previsti? R. C’ è un lieve ritardo ma non è detto che non possa essere colmato. Attenzione però, la presenza di questo secondo pezzo va a favore degli operatori che conosceranno da subito le norme che li riguardano. Vorrei dare un messaggio incoraggiante: nello sviluppo e applicazione di queste norme prevarrà il buon senso. Vogliamo deburocratizzare ed evitare formalismi. Oggi c’ è troppo formalismo e per giunta il sistema è fariseo: l’ utente accetta ma nessuno poi effettivamente va a verificare cosa accade e il comportamento degli operatori non sempre è omogeneo.

Pubblicità online e l’ ostacolo Ue

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Il mondo dell’ editoria e dell’ advertising online è in grande fermento. Fra poco meno di 10 mesi, il 25 maggio del prossimo anno, entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, il General data protection regulation (2016/679). Ma il problema è che in quella stessa data la Commissione europea vorrebbe varare un altro regolamento, quello sull’ ePrivacy che tradurrà in pratica per l’ online i principi del Gdpr basati sull’ opt in, ovvero sull’ obbligo di richiedere preventivamente agli utenti il consenso per il tracciamento del loro comportamento online ai fini della pubblicità personalizzata. L’ allarme è stato lanciato tra gli altri dal presidente di Iab Italia, Carlo Noseda: «le nuove regolamentazioni mettono a rischio la salute della pubblicità digitale e quella dell’ intero settore dei media con un risvolto nettamente negativo sull’ indotto, sull’ occupazione e, di conseguenza, sull’ intera economia digitale». Gli editori italiani di siti web hanno già da tempo un sistema con cui chiedono il consenso agli utenti per l’ utilizzo di cookies. È infatti del 2014 il provvedimento del Garante della privacy a cui sono seguite linee guida l’ anno successivo. Eppure qualcosa potrebbe cambiare anche qui. «In Italia ora vige la possibilità di usare il cosiddetto soft opt-in», spiega il direttore generale di Iab Italia Daniele Sesini, «cioè l’ utente può prestare il suo consenso anche solo con lo scroll della pagina web. Se non modificata, la proposta di regolamento ePrivacy prevedrà al contrario che tutte le interazioni tra il fornitore di un servizio online e un dispositivo dell’ utente che comportino la memorizzazione e elaborazione di dati (praticamente tutte le attività su Internet) dovranno essere soggette al consenso espresso, per esempio tramite banner». C’ è poi un’ altra questione. La proposta permette che il consenso possa essere dato anche attraverso le impostazioni del browser, il programma usato per navigare. Questo significa che l’ utente può decidere a priori di bloccare (o accettare) i cookies che determinano la profilazione. Una scelta, in questo caso, che non sarebbe presa di volta in volta con minore chance di cambiare idea al momento. Vedremo cosa riusciranno a ottenere le attività di lobbying delle associazioni degli operatori, Iab in testa. Per ora la proposta ha ricevuto una novantina di emendamenti e tutto potrebbe cambiare. «Il solo Gdpr modifica la privacy in generale», chiarisce Laura Liguori, avvocato dello studio Portolano Cavallo. «Ma comunque resta in piedi la normativa cookies che attualmente viene dalla direttiva ePrivacy del 2009 che aveva modificato la precedente del 2002. L’ attuale modo per raccogliere il consenso per i cookies è spesso un consenso implicito, non è né espresso né tantomeno esplicito. Quando l’ attuale normativa fu approvata a livello europeo si voleva superare l’ allora vigente sistema dell’ opt-out ma di fatto dopo vari confronti si fini per accettare una soluzione ibrida come quella attuale». Di buono c’ è che il Gdpr prevede che non siano soltanto le aziende europee a doversi adeguare, ma qualsiasi altra azienda che offra i suoi servizi in Europa, compresi i big del web. C’ è chi sostiene che comunque vada per i siti premium con contenuti di qualità non sarà un problema. Intanto otterrebbero il consenso esplicito facilmente dai propri visitatori fedeli e in secondo luogo, anche se non avessero pubblicità personalizzata, comunque offrirebbero agli inserzionisti utenti pregiati. «È vero che se voglio fare una campagna autorevole decido di pianificare sul giornale online più autorevole», commenta Sesini. «Ma questi giornali hanno una quantità di traffico enorme, come faccio a usare le inserzioni in maniera più attenta? Non è la stessa cosa pubblicizzare una Bmw Serie 7 o un’ utilitaria. Probabilmente ho bisogno di contattare target molto diversi. Se non ho i dati dell’ utente come faccio a capire se erogare una o l’ altra pubblicità? Inoltre i cookies, che nulla dicono di chi sta dietro lo schermo, sono demonizzati spesso senza motivo e per contro sono molto utili per una buona esperienza dell’ utente». © Riproduzione riservata.

Vittorio Farina si dimette da presidente e ad di Netweek

Prima Comunicazione

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Il consiglio di amministrazione di Netweek è stato informato oggi sulle dimissioni irrevocabili di Vittorio Farina dai ruoli di presidente e amministratore della società. Lo annuncia una nota. Il 14 settembre si era appreso che Vittorio Farina è stato arrestato per il presunto reato di bancarotta fraudolenta nel fallimento della Ilte , l’ Industria Libraria Tipografica Editrice che un tempo stampava numerosi quotidiani e le Pagine Gialle. Il cda di Netweek, spiega ora la nota della società, preso atto delle dimissioni di Farina e ribadendo la continuità della gestione così come definita nel board dell’ 11 settembre, ha convocato un cda straordinario per venerdì 22 settembre, per la nomina di un nuovo presidente e la cooptazione di un nuovo amministratore. La società, si aggiunge, ribadisce che i soci di DHolding srl, società che esercita il controllo su Netweek sono i seguenti: Mario Farina 89,5%; Vittorio Farina, direttamente e tramite controllate, 7,3%; Domani srl, società controllata dai figli di Vittorio Farina, 3,2%.

Telefonini e Sky, la grande truffa ha fatto 13

Il Manifesto

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Negli scritti e nei convegni si sprecano le parole, con qualche ridondanza: capitalismo cognitivo, capitalismo digitale. Insomma, la nuova età, dopo il lungo ciclo manifatturiero e fordista. A questo si allude quando ci si riferisce ai gestori della telefonia, oppure alle televisioni satellitari post-generaliste. Quante illusioni, che reto rica. La verità ce la racconta con realismo l’ episodio – volgare e incredibile – della fatturazione delle bollette telefoniche ogni 28 giorni sia sul mobile sia sul fisso, invece che una volta al mese. Tradotto per i cittadini utenti e consumatori: un aggravio di un 8,3% sul dovuto richiesto in gran silenzio da Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb. E a ottobre seguirà la stessa strada Sky, che almeno ha avvisato in agosto gli abbonati pur senza il battage che accompagna le consuete campagne pubblicitarie. In un suk trasparenza e affidabilità sono decisamente maggiori. Che vergogna, cari signori che insegnate al mondo cos’ è il futuro tecnologico e dove sta la modernità. La storia è nota e si trascina da diverse settimane ma se non si blocca rischia di diventare un cattivo precedente anche per le altre utility, dal gas all’ elettricità. È vero che (diamone atto) l’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è mossa, fin dal marzo scorso, con la delibera n.121/17/Cons «Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’ offerta dei servizi di comunicazione elettronica». Tuttavia, i padroni delle nuvole hanno fatto finta di niente, pur essendo abbondantemente passati i novanta giorni previsti per il ritorno alla cadenza mensile. Salvo i soliti ricorsi alla giustizia amministrativa, oggetto di critica odi desiderio ad ore alterne. L’ Agcom, per fortuna, ha annunciato appositi provvedimenti sanzionatori, che speriamo siano forti e imminenti. Tuttavia, c’ è qualcosa che non quadra. La scelta di passare da dodici a tredici bollette annuali è avvenuta contestualmente da parte delle diverse aziende, configurandosi così un classico cartello nella logica del trust. Che fa, dunque, l’ Autorità per la concorrenza, cui spetterebbe una funzione di traino? È curioso che il governo abbia ipotizzato una segnalazione all’ Autorità medesima, quando sarebbe stato corretto il contrario. Come pure è significativo (e persino bizzarro) che si stia immaginando di infilare nella prossima legge di stabilità una specifica norma sullo scadenzario dei pagamenti. In fondo, le autorità indipendenti furono immaginate nell’ ordinamento proprio per evitare un eccessivo ricorso alla legislazione primaria, valorizzando piuttosto atti e regolamenti veloci. Siamo di fronte, dunque, a un caso davvero emblematico, che ci illumina sul deficit etico del capitalismo digitale italiano e sull’ arretratezza delle culture antitrust. Speriamo che l’ incubo si concluda presto e che si ascoltino le associazioni dei consumatori, cui è ben difficile dare torto. C’ è materia, infatti, per una class action, per sanare un’ ingiustizia che investe milioni di persone. È augurabile che non ce ne sia bisogno. Ma, se davanti a un simile caso di scuola, le autorità competenti non riescono ad avere la meglio, c’ è da dubitare che possano svolgere il loro ruolo sui vari fenomeni distorsivi del sistema. PS. A fine ottobre scadono i termini per la stesura del testo del contratto di servizio della Rai, cui dovrà apporre – dopo discussione e approfondimenti – il sigillo la commissione parlamentare di vigilanza. Che ne è? Il silenzio è d’ oro o non c’ è ancora nulla?

Le tv protestano contro il governo: quote insostenibili sugli audiovisivi

Corriere della Sera

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Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Disney, De Agostini. Sono queste le nove emittenti televisive che hanno inviato una lettera al ministro Dario Franceschini per protestare contro il decreto del governo che «di fatto quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». Le televisioni, inoltre, spiegano di aver preso visione del testo «per caso e solo di recente», mentre si prevede che il provvedimento possa arrivare già domani in Consiglio dei ministri. Ambienti vicini al ministero sostengono invece che il governo avrebbe garantito alle aziende la massima partecipazione e ritiene di aver intrapreso la giusta strada per favorire la crescita della produzione cinematografica e televisiva nazionale. Nelle bozze di decreto circolate, è previsto un aumento della percentuale sul fatturato dal 10% al 15% nel 2018, fino ad arrivare al 20% entro il 2019. La Rai dall’ attuale 15% salirebbe al 20% per raddoppiare al 30% entro il 2019. Non è escluso, però, che nel testo finale le percentuali vengano in parte modificate per venire incontro alle emittenti. Per il momento, nella lettera congiunta le tv parlano di «un aumento insostenibile per il settore: dai 750 milioni di euro complessivi di investimento sugli introiti netti annui delle emittenti si arriverebbe a circa 1,2/1,3 miliardi nel 2019. Il decreto prevede maggiori e irragionevoli obblighi in capo ai broadcaster, con un sistema di quote e sottoquote assolutamente inattuabile, molto più complesso e articolato rispetto a quello attuale». Le nove aziende sottolineano inoltre come queste misure limitino fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori, ponendo anche l’ accento sulle sanzioni ritenute «smisurate e sproporzionate». (r.s.)

Tutti uniti contro il decreto Franceschini.

Il Giornale

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Tutti uniti contro il decreto Franceschini. Il ministro della cultura Dario è riuscito, suo malgrado, a «produrre» una unità di intenti da parte delle imprese televisive nazionali. I maggiori player del settore, ossia Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini non vogliono l’ approvazione di questo decreto che, di fatto, quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane del cinema cosiddetto indipendente. Un provvedimento che, secondo le aziende interessate, sarebbe insostenibile per i bilanci aziendali e che oltretutto rischiava di passare all’ insaputa dei diretti interessati che hanno preso visione del provvedimento per caso e solo di recente, mentre si prevede che possa arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri già forse domani, 21 settembre. Il decreto prevede maggiori oneri in capo ai broadcaster che sono comunque già obbligati a finanziare, con una quota del 10% rispetto al fatturato totale, i cosiddetti produttori indipendenti. Nella lettera gli operatori sottolineano che queste misure limitano fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori e prevedono un aumento «oggettivamente insostenibile» per il settore che in dieci anni ha finanziato le produzioni indipendenti con circa 10 miliardi di euro. Oggi la quota destinata a questi ultimi è pari a circa 750 milioni di euro complessivi di investimento (dato 2015) sugli introiti netti annui delle emittenti. Mentre il provvedimento prevede di raddoppiare la quota al 20% arrivando così, entro il 2019, a 1,2-1,3 miliardi con un incremento di oltre 500 milioni. Si prevede anche un innalzamento delle quote di programmazione che salgono anche oltre alla soglia prevista dalla normativa europea. Inoltre viene introdotto anche l’ obbligo di rispettare queste ultime su base giornaliera e in determinate fasce orarie limitando così l’ autonomia dei broadcaster. E per gli inadempienti si prevedono sanzioni elevate. Le aziende coinvolte nel provvedimento hanno sottolineato che il governo non ha svolto alcuna analisi economica per stimare l’ impatto di queste nuove regole nel mercato radiotelevisivo, sia con riferimento agli investimenti effettuati negli ultimi anni sia sugli effetti economici futuri sul sistema. Il decreto sembra infatti riproporre una serie di disposizioni previste nella normativa francese, senza considerare però che il mercato audiovisivo d’ oltralpe è diverso da quello italiano e che, di recente, la stessa Corte dei Conti francese ha preso atto del mancato rilancio dell’ audiovisivo francese a livello internazionale a causa di un quadro normativo troppo rigido. Le imprese televisive nazionali evidenziano infine al governo il loro disappunto per non aver raccolto nessun elemento di quanto emerso nel corso dei quasi tre anni di lavoro del tavolo tra emittenti e produttori, organizzato peraltro su iniziativa dello stesso ministro Franceschini e del sottosegretario Antonello Giacomelli. MC.

Il Gazzettino di Venezia festeggia i suoi 130 anni

Il Messaggero

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L’ EVENTO ROMA Venerdì 22 settembre Il Gazzettino di Venezia festeggerà 130 anni di vita. L’ evento verrà ospitato a Palazzo Ducale alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del presidente della Regione, Luca Zaia, del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Il presidente del Gazzettino, Azzurra Caltagirone, e il direttore del giornale Roberto Papetti, insieme a esponenti del mondo economico e culturale del territorio, discuteranno dell’ importanza, sia dal punto di vista sociale che culturale, che il quotidiano ha avuto e continua ad avere nel territorio. L’ evento sarà anche l’ occasione per presentare il restyling del quotidiano – che nella nuova veste sarà in edicola già da sabato 23 – reso possibile grazie a un importante investimento effettuato dal Gruppo Caltagirone Editore per l’ acquisto di una nuova rotativa che consentirà di stampare un giornale in full color a una velocità di 80.000 copie l’ ora. Nella prima parte dell’ evento, che avrà inizio alle 17.30, Ilvo Diamanti e Romano Prodi tratteranno il tema della crisi attraverso un dialogo sul nord-est. Nella seconda parte, Arrigo Cipriani, Carlo Nordio, Federica Pellegrini e il direttore Papetti dibatteranno sulla storia de Il Gazzettino e sul suo legame con il territorio. Nel corso della serata verrà inoltre proiettato un estratto del documentario «Storia de Il Gazzettino», prodotto da Rai Storia, con immagini inedite tratte dalle teche Rai e riprese della nuova rotativa. All’ interno della manifestazione sarà inoltre possibile ammirare, nella Loggia Foscara, l’ esposizione «Il Gazzettino, l’ arte e gli artisti».

I network tv scrivono a Franceschini: no a quote di produzioni Ue e italiane

Il Messaggero
MARCO MOLENDINI
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IL CASO Stavolta i network televisivi sono tutti d’ accordo, pubblici, privati, satellitari, terrestri. Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini se la sono presa, per mezzo di una lettera inviata a Franceschini, con l’ iniziativa del governo che, nel consiglio dei ministri di domani, si potrebbe trasformare in un decreto che, dicono, «quasi raddoppierebbe gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». IL TESTO UNICO La protesta si riferisce al progetto di revisione dell’ articolo 44 del Tusmar (il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) che, in pratica, aumenterebbe la quota di investimento obbligatorio verso opere europee e italiane sul fatturato dei network commerciali dal 10 attuale al 15 per cento nel 2018 e al 20 entro il 2019. Per la Rai dall’ attuale 15 si salirebbe al 20 e al 30 entro il 2019. Il decreto prevede anche una stretta protezionistica con un vincolo del 60 per cento di opere europee e italiane. Le emittenti pubbliche e private (che sostengono di aver preso visione del provvedimento «per caso e solo di recente») considerano il progetto «irragionevole», con un sistema di quote e sottoquote che viene definito «inattuabile, molto più complesso e articolato rispetto a quello attuale» col rischio di limitare «fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori e un aumento oggettivamente insostenibile per il settore» (gli editori televisivi hanno investito 10 miliardi di euro nella produzione indipendente negli ultimi 10 anni). In pratica si passerebbe dai circa 750 milioni di euro complessivi del 2015 a circa 1,2/1,3 miliardi nel 2019, con un incremento di oltre 500 milioni. LE SANZIONI La lettera di protesta fa riferimento anche alle sanzioni che sarebbero «sanzioni smisurate e sproporzionate rispetto ad ogni altra tipologia di violazione». Secondo le emittenti firmatarie il decreto ripropone una serie di disposizioni già previste nella normativa francese, senza considerare che il mercato audiovisivo d’ oltralpe è profondamente diverso da quello italiano e che, di recente, la stessa Corte dei Conti francese ha preso atto del mancato rilancio dell’ audiovisivo francese a livello internazionale a causa proprio di un quadro normativo troppo rigido. Le imprese televisive nazionali evidenziano, infine, il loro disappunto perché il governo non ha raccolto nessun elemento da quanto è emerso nel corso dei quasi tre anni di lavoro tra emittenti e produttori, in un tavolo organizzato su iniziativa dello stesso ministro Franceschini e del sottosegretario Antonello Giacomelli. Marco Molendini © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Più prodotti italiani nei nostri palinsesti Ma le tv protestano “Sono fuori mercato”

La Repubblica
MAURO FAVALE
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ROMA. Con il doppio degli spettatori e il quadruplo degli investimenti per il cinema, la Francia, rispetto all’ Italia, è decisamente un altro pianeta. Ma è proprio alla legislazione francese che si ispira il decreto a cui sta lavorando il governo che raddoppia le quote obbligatorie d’ investimenti in opere italiane ed europee riservate alle emittenti televisive. Venerdì, la riforma dell’ articolo 44 del Testo unico della radiotelevisione (il cosiddetto Tusmar) preparata dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini arriverà in consiglio dei ministri mentre è in corso un braccio di ferro con i broadcaster. È di ieri la dura lettera di protesta firmata da Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney e De Agostini che criticano il sistema delle quote che, scrivono, «di fatto quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». In pratica, da un punto di vista di programmazione, se ora al cinema italiano ed europeo viene di solito riservata la seconda serata inoltrata, con la riforma le tv avrebbero l’ obbligo di anticipare alla prima serata una quota maggiore di film e serie nostrane. Il timore dei broadcaster è una fuga di spettatori su piattaforme alternative. Ma a preoccupare maggiormente è l’ aumento degli investimenti: le emittenti commerciali finora sono vincolate a investire il 10% del fatturato annuale alla produzione, al finanziamento e all’ acquisto di opere italiane ed europee. Con la modifica, invece, questa quota salirebbe al 15% nel 2018 e al 20% nel 2019. Diverso il discorso per la Rai, già al 15%, che passerebbe al 20 e poi al 30% in due anni. «Un aumento insostenibile per il settore – scrivono i broadcaster nella loro lettera – dai circa 750 milioni di euro complessivi sugli introiti netti annui delle emittenti si arriverebbe a circa 1,2-1,3 miliardi a regime nel 2019, con un incremento di oltre 500 milioni». Troppo, dicono le tv, specie in presenza di un mercato cinematografico e un pubblico più orientato alle mega produzioni targate Usa. Nel mirino finisce anche il sistema delle sanzioni per chi non rispetta le quote: addirittura «maggiori che per la violazione della tutela dei minori», scrivono ancora le tv. Inoltre, la riforma «inciderebbe sulle scelte editoriali e commerciali dei broadcaster» che in ogni caso, negli ultimi 10 anni, hanno investito oltre 10 miliardi di euro nella produzione indipendente in Italia. Franceschini, però, tira dritto: respinge al mittente le accuse di aver costruito un decreto senza consultare le tv («Ai tavoli sono stati coinvolti per tempo tutti gli attori della partita», dicono dal ministero) e venerdì porterà il decreto in consiglio dei ministri, forse con qualche ritocco al ribasso delle quote per non inasprire il conflitto. «L’ obiettivo è fare passi avanti verso il sistema francese », è il ragionamento del ministro: lì, gli spettatori al cinema sono in crescita costante e l’ industria dell’ audiovisivo è in espansione. «Ma quel sistema – contestano le tv – è frutto di una visione politica dell’ industria nazionale che si è sviluppata lungo decenni ». Lo scontro, insomma, prosegue. Venerdì il prossimo round. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Lettera a Franceschini di Rai, Mediaset, Sky, La 7, Discovery, Viacom, Fox Disney e De Agostini La terza stagione di “Gomorra” prodotta da Sky Atlantic, Cattleya e Fandango in collaborazione con Beta Film FOTO: ©ANSA Il ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini.

Rcs cerca l’ accordo con Gems-Feltrinelli per i libri

MF
ANDREA MONTANARI
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I libri allegati al Corriere della Sera per anni hanno sostenuto i conti di Rcs Mediagroup. Una soluzione che ora Urbano Cairo vuole tornare a sperimentare, anche se il business librario è sempre stato marginale per la Cairo Communication. A un anno e mezzo dal closing della cessione di Rcs Libri alla Mondadori (operazione definita nell’ ottobre 2015), il numero 1 della casa editrice di via Rizzoli è pronto a rilanciare la sfida. Così, come rivelato ieri da Libero, sta per definire il lancio dell’ attività di pubblicazione dei libri. Il brand sarà Solferino per rafforzare l’ unione con il quotidiano diretto da Luciano Fontana. Rcs avrà la possibilità di portare sul mercato fino a 100 titoli all’ anno: si tratta di un numero rilevante, visto che la sola Feltrinelli, per fare un esempio, propone circa 250 novità su base annua. Cairo dovrà trovare un distributore e, vista la composizione del mercato, è plausibile che cerchi un accordo con il polo Mauri Spagnol-Feltrinelli, vero competitor di Mondadori. Ma c’ è chi non esclude che Rcs possa comprare La nave di Teseo (ha rilevato la Baldini&Castoldi), la casa editrice promossa da Elisabetta Sgarbi (ex Bompiani) e partecipata dagli eredi di Umberto Eco, da Piergaetano Marchetti (già presidente di Rcs), Giacaranda Caracciolo Falck, azionista del gruppo Gedi (Repubblica-Stampa), Furio Colombo, Natalia Aspesi e il banchiere Guido Maria Brera. Ovviamente, a firmare i libri saranno principalmente i giornalisti del CorSera a esclusione di Massimo Gramellini (Longanesi), forse gli ex direttori Ferruccio de Bortoli e Paolo Mieli e magari autori de La nave di Teseo. Irraggiungibile invece Roberto Saviano: la Feltrinelli non lo molla. (riproduzione riservata)

Anche il Fatto Quotidiano, filo pentastellato, prende le distanze dalle primarie M5s dicendo che esse sono delle primarie farsa

Italia Oggi
SIMONA SOTGIU
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Molte critiche, pochi elogi, tante perplessità. Il Fatto Quotidiano, giornale di certo non lontano dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, non risparmia rilievi alle primarie per la premiership organizzate dai Pentastellati: otto nomi, ma solo uno di spicco, quello di Luigi Di Maio. Sul metodo delle primarie, nella quarta pagina del quotidiano diretto da Marco Travaglio si sono espressi giornalisti e intellettuali più o meno vicini al Movimento. Ecco che cosa hanno scritto. Le primare farsa – L’ aveva già detto qualche giorno fa, e lo ribadisce anche oggi. Per il direttore del fattoquotidiano.it Peter Gomez queste primarie sono una farsa: «Se si fanno le primarie si deve dare a tutti i candidati la possibilità di farsi conoscere e a tutti gli elettori il tempo necessario per maturare un voto consapevole», scrive Gomez. «Aprire alle candidature un giorno prima delle votazioni, come adesso, mantiene la forma dello strumento democratico, ma non la sostanza». Gomez lascia ancora una finestra aperta al dubbio: «Vedremo in futuro se quanto accade ora è solo un errore di gioventù dei 5S, o un brutto passo verso una deriva plebiscitaria che poco c’ entra con la democrazia partecipativa». Un altro partito del leader – Storicamente vicino al Movimento 5 Stelle, questa volta il professore di Storia contemporanea alla Cattolica di Milano Aldo Giannuli prende le distanze. «Io ho avuto molta simpatia per i 5Stelle quando erano il Movimento del “uno vale uno”. E adesso che fanno? Eleggono un capo? Grillo e Casaleggio non hanno mai usato quell’ espressione, definendosi sempre i “garanti”. Adesso rischia di diventare un altro partito del leader, come Forza Italia, Lega e Pd». Il prof Giannuli si lascia poi andare a una previsione: «Ho paura che prenderanno una batosta memorabile già in Sicilia. Mi dispiace molto per chi continua a sperare che il Movimento svolga per i cittadini quel ruolo che aveva promesso di svolgere». Un inutile teatrino – Neanche il fondatore del Fatto Quotidiano ed ex direttore del giornale ora guidato da Marco Travaglio, Antonio Padellaro, lesina critiche alla messa in scena delle primarie a 5 Stelle. «Se Grillo avesse detto subito: “Luigi Di Maio è il più adatto, punto e basta”, si sarebbe evitato il teatrino imbarazzante delle finte primarie e della ricerca affannosa di qualche antagonista di ripiego, che da settimane consente ai vari capataz del Partito democratico di mettere alla berlina la “finta democrazia” dei 5 Stelle». Una messa in scena di cui si sarebbe potuto fare a meno. I numeri contano – Posto il risultato ormai scontato della competizione, a contare saranno i numeri. Lo sostiene il politologo Gianfranco Pasquino ospitato nella quarta pagina del Fatto di oggi. «La mancanza di un competitor significa qualcosa. Che Di Maio sia imbattibile non lo credo; che abbia idee che rappresentano tutto il Movimento mi pare improbabile; che sia un po’ troppo vicino a Grillo e a Casaleggio è un problema». E se la mancata presentazione di un candidato (davvero) alternativo è un’ occasione persa per l’ espressione de dissenso, a mostrarne le dimensioni sarà probabilmente il numero dei votanti su Rousseau. I partiti tradizionali sono peggio – Dopo una schiera di critiche a modalità, regole, sostanza delle primarie a 5 Stelle, a chiedersi «dove sarebbe la mancanza di democrazia rispetto ai partiti tradizionali?» è Daniela Ranieri, giornalista del Fatto. «Si deve spiegare dove sta scritto che chi vince le primarie da segretario sia automaticamente il candidato premier», argomenta Ranieri. «È una cosa che ha deciso il Pd. Tanto è vero che c’ è chi pensa di derogare a questa regola “democratica” e candidare Gentiloni. E che Letta è stato abbattuto da Renzi con un voto in direzione. Così come Forza Italia “candida” B. e non interpella certo la base. Non si capisce perché il M5S, che non ha un segretario, deve provare il suo indice di democraticità costringendo Fico e Di Battista a correre contro Di Maio». Nessuno stupore – A chiudere la serie di commenti raccolti sulla quarta pagina del Fatto è Andrea Scanzi, secondo cui la democrazia interna nel Movimento 5 Stelle non c’ è mai stata e per i suoi elettori pare non essere un problema. «La corsa solitaria di Di Maio fa un po’ ridere, e di sicuro il Pd con le primarie è più democratico, ma chi si stupisce vive su Marte». Il nome di Di Maio, spiega la firma del Fatto, «è sempre stato l’ unico nome spendibile. «”Uno vale uno”», scrive Scanzi, «ma Grillo e Casaleggio valgono mille. Ed è forse l’ unica maniera per tenere attaccata una forza così atipica». Formiche.net.

Il direttore del Tempo indagato per avere chiesto un’ intervista

Libero

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VITTORIO FELTRI Gian Marco Chiocci, direttore del Tempo di Roma, è vittima di una proditoria richiesta di rinvio a giudizio perché – dicono i soliti magistrati – avrebbe fornito indiscrezioni a Carminati, il cecato di Mafia capitale, circa le indagini a suo carico. Non conosco i dettagli della vicenda, ma è la prima volta che un giornalista viene perseguito per aver dato delle notizie anziché averle trovate o ricevute. Già questo mi sembra paradossale. Come si fa a processare un direttore per un reato che non c’ è? Da quando in qua il capo di un quotidiano invece di pubblicare informazioni ne dà a qualche balordo? Siamo di fronte a un fatto eccezionale meritevole di approfondimento. A me risulta che Chiocci, giustamente, volendo fare il proprio mestiere non facile, avesse chiesto una intervista a Carminati. Cosa legittima. Ma costui gliela avrebbe rifiutata. Altra cosa legittima. Niente di più. Il direttore di un quotidiano non è in grado di aiutare un delinquente, al massimo può cercare di strappargli qualche ammissione di colpevolezza. Quindi non capisco per che motivo debba essere messo alla sbarra con una accusa tanto improbabile. Vabbè, sorvoliamo. Però non completamente. Coinvolgere un redattore di vaglia in una vicenda giudiziaria complicata come quella romana a nostro parere è un atto grave e probabilmente arbitrario. Protestiamo. E alziamo la voce per difenderlo pur sapendo che il nostro esercizio può solo danneggiarlo. Conosco Chiocci da oltre venti anni. Fui io ad assumerlo al Giornale su segnalazione del padre, Francobaldo, inviato fuoriclasse dalla scrittura di alto livello. Era un ragazzo o poco più e si era distinto come cronista di razza al Tempo. Lo inserii nel mio organico romano con l’ intento di sperimentarne le capacità. Nel giro di pochi mesi ebbi la conferma della sua abilità come cacciatore di scoop. Non sbagliò un colpo e mi convinsi che fosse degno di entrare definitivamente nella squadra magnifica del Giornale di quei tempi memorabili, quando il foglio fondato da Montanelli era in crescita irresistibile. Da allora in poi Gian Marco crebbe velocemente e divenne un uomo di punta della redazione. Un autentico segugio dotato di fiuto raro che gli consentì di svettare nel grigio panorama dei reporter. Trascorsero anni e anni durante i quali Chiocci consolidò la sua professionalità, imponendosi quale miglior fico del bigoncio giornalistico nazionale. Al punto che alcuni anni orsono egli è stato scelto per dirigere il Tempo, testata storica fondata nella Capitale dal mitico Angiolillo. Questo dovrebbe bastare a garanzia della onestà dell’ uomo di cui parliamo. Invece i Pm di Roma lo hanno incastrato, considerandolo un complice di Carminati, e intendono sottoporlo a procedimento giudiziario. Il che non solo ci addolora ma ci indigna. Chiocci è una persona perbene oltre che un ottimo scrivano. Lasciatelo stare per favore. Il suo lavoro è utile a tutti, specialmente ai lettori. Dargli addosso è un’ operazione vergognosa, ovviamente ingiusta. riproduzione riservata.

Grillo insulta i giornalisti e prepara le nuove purghe

Il Tempo

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Il clima non è proprio quello che dovrebbe precedere una festa. E così il nervosismo si traduce nell’ ormai abituale scarica di insulti contro i giornalisti. «Vi mangerei tutti solo per il gusto di vomitarvi» sbraita Beppe Grillo nei confronti dei cronisti che lo attendono all’ uscita dell’ hotel Forum di Roma. Un’ uscita a cui ha replicato a stretto giro la Federazione Nazionale della Stampa: «Grillo provoca nausea anche a digiuno». Le ragioni di tanta tensione sono molteplici. In Sicilia il tribunale di Palermo ha confermato la scelta cautelativa di annullare le Regionarie che avevano incoronato il candidato governa tore Giancarlo Cancelleri. E come se non bastasse i sondaggi sembrano allontanare sempre di più quella vittoria che, nelle intenzioni del MoVimento 5 Stelle, avrebbe dovuto rappresentare il volano per il successivo trionfo a livello nazionale. E, proprio a questo proposito, anche la querelle sorta intorno alle primarie per il candidato premier – con Luigi Di Maio unico big in corsa e gli ortodossi sul piede di guerra – non fa che alimentare un clima da guerra. Il rischio è che la vittoria annunciata del vicepresidente della Camera sia battezzata da un numero di votanti troppo esiguo e quindi delegittimata fin dall’ inizio Così, la «Rimini a 5 Stelle» prevista nel week end, che nelle intenzioni dei vertici sarebbe dovuta essere l’ occasione per far partire l’ operazione Palazzo Chigi, rischia di trasformarsi nel deflagratore di tutte le tensioni interne nel MoVimento. Il caso Sicilia, si diceva. Per molti, la decisione del giudice di annullare le Regionarie rischia di gettare nel caos il MoVimento. Dal blog di Grillo provano a ridimensionare tutto: «Giancarlo Cancelleri era, è e sarà il candidato presidente del Movimento cinque stelle. #SceglieteIlFuturo». Lo stesso Cancelleri, che ha annunciato ricorso, ha escluso che si possa votare di nuovo on line: «Siamo fuori tempo massimo. La scadenza per presentare il simbolo è questo sabato 23 settembre e dobbiamo inoltre raccogliere 3.600 firme per la presentazione della lista. Per questo motivo il Movimento 5 Stelle sarà presente alle regionali siciliane del 5 novembre con il sottoscritto, Giancarlo Cancelleri, candidato alla Presidenza della Regione e con la lista, a me collegata, votata dagli iscritti il 4 luglio 2017». Al contrario secondo Marco Giulivi, l’ uomo che con il suo ricorso ha fatto saltare il meccanismo, non c’ è alternativa alla ripetizione, a meno di non volere sconfessare «i valori di onestà del M5S». Anche su Facebook e Twitter scatta la reazione di attivisti e simpatizzanti, tanto da indurre il Pd palermitano a parlare di «indegna caciara social contro il Tribunale». E dai Dem anche un quesito per gli elettori: «Affidereste le chiavi della Regione siciliana a chi non è nemmeno in grado di organizzare, senza violare le proprie regole interne, una votazione online?». Intanto, Grillo avrebbe fatto recapitare un messaggio molto chiaro agli ortodossi: «Se qualcuno proverà ad alzare la cresta, gliela faremo abbassare». D’ ora in poi, si ragiona dalle parti di Milano, le proteste di chi si oppone al nuovo corso- che porterà alla nomina di un candidato premier investito di tutti i poteri del capo politico – non saranno più tollerate. Il riferimento è ai mugugni dell’ ala ortodossa, guidata da Roberto Fico, che ancora fatica a digerire la scelta dei vertici di equiparare il candidato alla Presidenza del Consiglio a «capo della forza politica». Una svolta obbligata dalla legge elettorale attualmente in vigore ma voluta anche da Grillo, il quale a Italia 5 Stelle spiegherà le ragioni della sua «exit strategy» prima di consegnare le chiavi del Movimento a Luigi Di Maio. Le posizioni del leader M5S e di Fico restano distanti: il parlamentare campano continua ata cere dopo aver esternato il proprio dissenso sulla svolta al vertice nel corso di un colloquio telefonico avuto con Grillo. E a questo punto si aprono anche interrogativi sul futuro degli esponenti più in vista dell’ ala ortodossa, che hanno pur sempre una presa sull’ elettorato grillino. C’ è chi ritiene che il silenzio di Fico preluda un suo allontanamento dal MoVimento. Se ne saprà di più proprio a Rimini. Inzialmente, non era previsto alcun intervento del presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Ora, invece, Fico è stato inserito in cartellone per venerdì. Le sue parole sono attese dai vertici con grande preoccupazione.

Diritto d’autore, la direttiva Bernier porrà fine al monopolio Siae

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Il ministero dei Beni culturali inserirà in legge di bilancio una proposta di modifica del decreto legislativo 15 marzo 2017 n. 35 che recepisce la direttiva Barnier e, insieme, dell’articolo 180 della legge 633 del 22 aprile 1941, ossia quello in cui sta scritto che «l’attività di intermediario è riservata in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori». Il tema è legato al recepimento della Direttiva 2014/26/Ue sulla liberalizzazione del diritto d’autore. Un recepimento a lungo atteso e dibattuto in Parlamento e sui giornali, quest’anno arrivato e subito oggetto di una delicata trattativa tra Roma e Bruxelles, avendo quest’ultima chiesto modifiche alla prima impostazione che, attraverso il Dlgs 35, aveva inteso dare il ministro Dario Franceschini.
La Siae, non ha nessuna intenzione di mollare la presa sul monopolio in cui opera, e anzi punta a diventare “uno dei grandi player nelle aggregazioni, europee ed extra europee,” che si stanno formando tra le società di raccolta dei diritti d’autore. È quanto emerso chiaramente dall’audizione di Filippo Sugar, presidente della Società italiana autori ed editori, davanti alla commissione Cultura di Montecitorio. Per Sugar, “fuori dall’Italia il futuro è l’aggregazione”, “sia tra grandi poli che con le piccole società che danno da gestire il loro diritti a società più grandi, perché non riescono a essere competitive sotto la pressione della globalizzazione”. In questo scenario, il presidente della società si dà l’obbiettivo di essere “tra i protagonisti del mercato internazionale”. Target al quale si sta lavorando, ha indicato Sugar, riferendo di “discussioni aperte con la nuova società greca” omologa della Siae, di dialoghi “a Bruxelles con molti editori indipendenti non italiani, che vorrebbero affidare alla Siae i diritti di gestione dell’online”, e di trattative con “una delle tre grandi multinazionali” del settore che vorrebbe “affidare alcuni dei diritti dell’online” alla società italiana.

Di seguito il link da cui è possibile scaricare la registrazione dell’audizione del Presidente Filippo Sugar alla Camera http://webtv.camera.it/evento/11801

 

Rassegna Stampa del 21/09/2017

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Indice Articoli

Mediaset prova a strappare i Mondiali a Viale Mazzini

Mibact al lavoro sul decreto quote

Per Il Gazzettino via al restyling

chessidice

Metro stadio punta su nuove città

Rapporto Asig-Fieg, diffusioni quotidiani a -20%

Santanchè vende Novella 2000 e Visto

Quotidiani, il punto di equilibrio

Crolla la diffusione dei quotidiani in Italia: meno 20% in due anni. E le copie digitali seguono la stessa parabola della carta stampata (-19%). Lieve ripresa della pubblicità (+1,7%). I dati del rapporto Asig-Fieg (INFOGRAFICHE)

Mondiali, Mediaset sfida la Rai

Mediaset sfida la Rai per i diritti tv in chiaro dei Mondiali ’18 e ’22Presentata un’ offerta

Mediaset scende in campo per i Mondiali Obiettivo i diritti di Russia 2018 e Qatar 2022

«La Verità» compie un anno Belpietro: 2017 in utile

«Pochi abbonati e vendite in calo» La diocesi chiude il suo giornale

Google e Fieg, al GdB il futuro dell’ editoria

Mediaset prova a strappare i Mondiali a Viale Mazzini

Il Fatto Quotidiano

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Dopo aver perso l’ esclusiva per la Champions League (ritornata a Sky), secondo quanto scrive Repubblica.it, Mediaset ha presentato un’ offerta per la trasmissione dei mondiali di calcio di Russia (2018) e Qatar (2020). Da sempre, la Nazionale va in onda su Rai1 e il servizio pubblico offre le fasi finali e alcune partite di girone agli abbonati, ma stavolta Viale Mazzini deve vedersela col Biscione. Per Brasile ’14, la Rai ha speso circa 180 milioni di euro. Il costo è molto più contenuto per la trasmissione sulla pay tv, che l’ altra volta è andata in esclusiva a Sky. Fallita l’ impresa di contendere abbonati proprio al gruppo di Murdoch e di migliorare i conti di Premium e fallita la cessione della stessa emittente a Vivendi perché i francesi si sono sfilati dall’ accordo, alla famiglia Berlusconi non resta che puntare ancora sulla televisione generalista, sui canali in chiaro e dunque il mondiale sarebbe un’ occasione per fare ascolti straordinari per almeno un mese e mezzo. Ovviamente, Viale Mazzini deve confermare a tutti i costi l’ evento sportivo più importante che ha ancora in palinsesto. Ormai l’ unico rimasto.

Mibact al lavoro sul decreto quote

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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La lettera dei gruppi televisivi al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, per protestare contro il decreto legislativo di modifica delle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti (si veda Il Sole 24 Ore di ieri) , un effetto immediato lo ha sortito. Ieri nel pomeriggio, infatti, c’ è stata una riunione tecnica fra gli uffici dei gruppi televisivi e i tecnici di Mibact, Mise e presidenza del Consiglio. Sono stati esaminati vari aspetti del decreto legislativo che, in applicazione della legge Franceschini su cinema e audiovisivo, è chiamato a modificare l’ articolo 44 del Tusmar. Insieme c’ è anche la modifica dell’ articolo 2, con la definizione di produttore indipendente secondo la quale, per esser qualificati così, le società di produzione non devono essere collegate o controllate da media nazionali. Tutto sommato questa parte non è in discussione. Diverso il discorso sull’ articolo 44. Il provvedimento è all’ ordine del giorno del preconsiglio dei ministri di oggi. Si vedrà se proseguirà nel Cdm di domani. Di certo la protesta dei broadcaster è stata rumorosa, puntando l’ indice contro l’ innalzamento delle quote di produzione, per le tv commerciali come per la Rai ritenute causa di un aggravio di almeno 500 milioni, ma anche contro l’ abbandono «di un percorso di lavoro strutturato e condiviso». Appunto, quest’ ultimo, che ha generato non poco fastidio in ambito ministeriale. Pieno sostegno all’ operato del Mibact arriva invece dai produttori. «Siamo favorevoli allo spirito dell’ iniziativa del ministro Franceschini che riporta al centro del dibattito il tema della qualità dei contenuti italiani ed europei e dei contenuti indipendenti che, non bisognsa dimenticare, forniscono il prodotto premium», commenta al Sole 24 Ore Giancarlo Leone, presidente Apt. Anche gli operatori avrebbero avanzato proposte migliorative dal loro punto di vista. Innanzitutto sul fronte sanzioni, che il decreto alza fino a 2,5 milioni. Per i produttori sarebbe invece opportuno che i broadcaster ottemperassero l’ anno successivo agli obblighi non rispettati con l’ aggiunta di una sanzione. Le quote obbligatorie, ma questa è una richiesta delle tv, devono prendere in considerazione il genere intrattenimento nelle sue declinazioni, che dalle bozze appare totalmente residuale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Per Il Gazzettino via al restyling

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Sono 11 anni che Roberto Papetti dirige Il Gazzettino, quotidiano da 7 edizioni – Venezia Mestre; Treviso; Padova; Belluno; Rovigo; Pordenone e Udine – della galassia Caltagirone. «Siamo leader nell’ edizione di Venezia-Mestre, Treviso e Rovigo. In altre province ce la giochiamo con quotidiani Finegil», spiega al Sole 24 Ore Papetti. Certo è che Il Gazzettino rappresenta una voce di primo piano nell’ informazione del Nord Est. Una voce che sul territorio si fa sentire da 130 anni. Domani si terranno i festeggiamenti, con una cerimonia al Palazzo Ducale di Venezia alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nel corso della serata sarà proiettato un estratto del documentario «Storia de Il Gazzettino», prodotto da Rai Storia. Immagini storiche che si alterneranno a riprese della nuova rotativa: elemento che segna il passaggio a una nuova fase per il quotidiano che , fra carta e digitale, a luglio aveva una diffusione giornaliera di 60.865 copie (fonte Ads). Sabato 23 sarà in edicola la nuova edizione in formato Berliner, come Il Messaggero. Un’ innovazione legata all’ acquisto di nuove rotative dalla multinazionale tedesca Kba.«Otto anni fa – spiega Papetti – c’ è stato il nostro primo forte passaggio evolutivo, con il tabloid». Il nuovo formato sarà accompagnato dall’ introduzione, come già sul Messaggero, di “Macro”, sezione di stacco prima della parte più soft del giornale. Intervento deciso anche sulla grafica, «che sarà moderna, essenziale, curata dallo Studio Juan intervenuto in passato nel restyling del Sole 24 Ore». Sul versante squisitamente redazionale il cambiamento più evidente sarà «la possibilità di avere pagine intere dal Messaggero». Insomma, un salto di qualità su sinergie già esistenti: «Il Messaggero è un quotidiano leader sulla politica. Avere sinergie di questo tipo rappresenta un plus». Nessun problema sugli organici (un’ ottantina i giornalisti articolo 1), dice Papetti, «visto che da poco è stato firmato un accordo sindacale». Piuttosto sarà un modo di fare squadra in un contesto «molto caratterizzato. La nostra forza dovrà essere sempre l’ informazione locale con un giornale che vuole essere “di vicinanza”, capace di raccontare le singole comunità». Tutto questo «in un Nord Est che in questi anni è cambiato. Le disparità economiche sono sempre più forti e lo dimostrano le richieste dei Comuni, di cambiare regione. Il Nord Est come concetto di area allargata è molto cambiato». Il Gazzettino che spegne 130 candeline dovrà farci i conti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

chessidice

Italia Oggi

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Da Mediaset offerta per diritti tv dei Mondiali di Russia e Qatar. Mediaset avrebbe presentato un’ offerta per i diritti tv in chiaro per i Mondiali di calcio in Russia il prossimo anno e per quelli in Qatar nel 2022. A riferirlo sono state ieri fonti finanziarie non confermate da Mediaset. La presentazione dell’ offerta era prevista entro il 12 settembre. Al momento non ci sono indicazioni sulla cifra. All’ asta partecipa anche la Rai. Boni direttore di Cavallo Magazine. Beppe Boni torna alla guida di Cavallo Magazine, storica testata nel mondo dell’ equitazione e dell’ ippica edita da Poligrafici Editoriale, che aveva diretto dal 2009 al 2011. Boni continuerà a ricoprire il ruolo di vicedirettore de il Resto del Carlino e ilrestodelcarlino.it. Gli sportivi protagonisti di Alpha. Saranno il rugbista Martin Castrogiovanni, l’ ex calciatore Gennaro Gattuso, Gianni e Marco Maddaloni, rispettivamente maestro e campione di judo, i primi sportivi che si racconteranno su Alpha, il nuovo canale De Agostini Editore dedicato al pubblico maschile, in onda dal 1° ottobre sull’ lcn 59.

Metro stadio punta su nuove città

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Effe editore lancia con Metro Week un progetto pilota a Napoli per parlare di cultura, spettacoli, appuntamenti e cronaca della città partenopea. Metro stadio studia lo sbarco a Milano, Bari, Udine e Pescara per raccontare le gesta delle squadre locali di calcio e basket così come fa già a Firenze e Genova. Ma poi ci sono i settimanali Vero, Vero tv e i mensili Vero cucina, Vero salute, Home! e Rakam, in affitto dalla D.Print, che hanno aumentato diffusione e il numero di pagine per offrire al pubblico più contenuti. E ancora e soprattutto c’ è la rete di testate locali Netweek (ex DMail) che comprende 62 giornali con 250 mila copie all’ attivo, incluse le recenti acquisizione dell’ Eco di Biella, del Corriere di Novara e le ultime 5 aperture in Veneto. Insomma, un articolato polo editoriale di magazine che resiste alle difficoltà della stampa periodica e rilancia presidiando nuove piazze o creando prodotti mentre altri gruppi fermano le pubblicazioni o mettono in vendita le testate. Ai magazine si aggiunge poi il quotidiano gratuito Metro, che presidia le città di Milano, Roma e Torino, tra gli ultimi free press che sopravvivono in Italia. Al vertice di questo conglomerato c’ è la famiglia di Mario Farina, stampatore ed editore affiancato oggi dai figli Marco e Gianluca Farina. Infatti, Mario Farina controlla Litosud, società specializzata nella stampa di quotidiani, e attraverso quest’ ultima controlla Nme (che pubblica il quotidiano Metro) mentre dallo scorso dicembre è entrata a far parte del gruppo anche Netweek attraverso DHolding, controllata da Litosud. Ma, assicurando il passaggio generazionale (tema spesso delicato in Italia), è ai figli Marco e Gianluca che è stato affidato (con quote paritetiche) il 100% di Effe editore che pubblica i magazine Metro, ha preso in affitto le testate Vero, Home! e Rakam e ancora manda in stampa il trisettimanale Lottocorriere, il mensile Sky Life (inviato a tutti gli abbonati tricolore della piattaforma satellitare), realizza la newsletter digitale Sky evening news e il mensile digitale Sky magazine Business&Bar. Secondo Marco Farina, «quando siamo partiti io e mio fratello Gianluca, nel 2012, la Effe Editore editava solamente testate nel campo del gaming, nello specifico nel gioco del lotto. In pochi anni abbiamo allargato il perimetro della società sottoscrivendo importanti contratti per la realizzazione in service di prodotti editoriali (tra gli altri Sky) e conseguendo sempre ricavi crescenti e bilanci in utile» mentre, prosegue Marco Farina, «nell’ estate del 2016, abbiamo acquistato alcune testate poco valorizzate o addirittura non editate da tempo all’ interno del perimetro Metro (come Metro stadio, Metro summer e Metro week). Le abbiamo acquistate dalla Nme che, dopo avere espletato tutti gli obblighi di legge in termini di comunicazione alla Fnsi e al cdr, ha venduto alla Effe editore. Dopo un anno di gestione, grazie alle competenze di bravi manager e giornalisti giovani e capaci, siamo riusciti a creare un network riconosciuto sul territorio». A raccontare la storia e la tradizione editoriale di famiglia è Mario Farina: «Da genitore è un orgoglio vedere i propri figli impegnati con successo nelle società di famiglia e animati dallo spirito imprenditoriale ereditato da mio padre, che negli anni ’60 partì con una legatrice nel garage di casa e che con anni di sacrifici e intuizioni è riuscito a scrivere la sua e la nostra storia di successo». Della famiglia, però, fa parte anche Vittorio Farina, fratello di Mario, di recente sottoposto a custodia cautelare con l’ accusa di bancarotta fraudolenta della Ilte di Moncalieri, che stampava tra l’ altro le Pagine Gialle. «Sono profondamente dispiaciuto per quanto gli sta capitando, Vittorio è un imprenditore di indiscusse capacità», ha concluso Mario Farina. «Purtroppo la crisi del mondo della stampa ha colpito Ilte ma sono convinto che avrà modo di chiarire la sua posizione nel più breve tempo possibile. In questo momento, a preoccuparmi sono principalmente le condizioni di salute di mio fratello. Le nostre strade imprenditoriali si sono separate da circa un ventennio. Anche in DHolding, dove avevamo iniziato il processo di ristrutturazione di Netweek insieme, ma già da inizio anno Vittorio aveva manifestato il desiderio di uscire».

Rapporto Asig-Fieg, diffusioni quotidiani a -20%

Italia Oggi

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Il biennio 2015-2016 si chiude con un calo complessivo della diffusione dei quotidiani inferiore al 20%. A inizio 2015 la diffusione media giornaliera era di poco superiore ai 3 milioni di copie mentre a dicembre 2016 è scesa sotto i 2,5 milioni di copie. Sono questi i trend principali secondo il Rapporto 2017 sull’ industria dei quotidiani in Italia, presentato ieri a Bologna durante Ediland Meeting 2017 – Sfide per l’ industria dell’ editoria e della stampa, conferenza per l’ industria editoriale e della stampa promossa da Asig (Associazione stampatori italiana giornali) e Fieg (Federazione editori italiana giornali, presieduta da Maurizio Costa), insieme con l’ Osservatorio tecnico Carlo Lombardi per i quotidiani e le agenzie di informazione. Tra le sfide industriali individuate durante la giornata conclusiva ci sono le opportunità e i rischi del business digitale, la razionalizzazione della filiera della distribuzione e dei processi produttivi e ancora i nuovi scenari delle relazioni industriali. In particolare, durante la tavola rotonda coordinata dal presidente Asig Gianni Paolucci, l’ attenzione si è concentrata su prodotti, servizi e nuove soluzioni per l’ ottimizzazione del processo di produzione dei giornali quotidiani. Invece Francesco Cipriani, responsabile dell’ Area lavoro e welfare Fieg, ha spiegato le novità e alcuni degli effetti pratici della nuova legge dell’ editoria e dei successivi decreti attuativi, sottolineando come la riforma degli ammortizzatori sociali dimostri che gli strumenti a disposizione per gestire gli stati di crisi diventano sempre meno favorevoli. Questo impone al settore dell’ editoria, sempre secondo le conclusioni dell’ incontro, di trovare al proprio interno gli strumenti per rendere più competitive le aziende e, da questo punto di vista, il contratto nazionale di lavoro poligrafico è lo strumento principale di autoregolamentazione auspicando che si arrivi in tempi brevi al suo rinnovo.

Santanchè vende Novella 2000 e Visto

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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A.A.A. editori cercansi per Novella 2000 e Visto. L’ editore Daniela Santanchè mette sul mercato i due settimanali ex Rcs che ha comprato nel novembre 2015 dalla Prs di Alfredo Bernardini de Pace. Alle due testate si sono già interessati alcuni editori, secondo quando risulta a ItaliaOggi, tra cui Angelo Aleksic (che pubblica periodici come Eva Tremila e Vip), Marco Verna (con la rivista Adesso) e Fabio Caso (che ha portato in edicola Stop, Top, Confessioni e Miracoli). Peccato che con nessuno di questi pretendenti Santanchè abbia trovato un’ intesa, anzi le trattative non sono andate molto avanti, senza neanche affrontare il nodo spesso principale del costo del lavoro. Infatti sul tavolo dell’ imprenditrice, specializzata col suo gruppo Visibilia nella raccolta pubblicitaria per editori terzi, c’ è anche un’ altra ipotesi: quella di spostare internamente al gruppo le due testate dalla società Visibilia Magazine (oggi in liquidazione) a quella quotata Visibilia Editore (che già edita Ciak, Pc Professionale e VilleGiardini). Passaggio di ramo d’ azienda, però, che non contempla lo spostamento dei giornalisti di Novella 2000 e Visto (14 circa, compresi gli impiegati), al momento impegnati a smaltire obbligatoriamente le ferie dopo un ultimo periodo di cassa integrazione e in attesa dell’ annunciato licenziamento di tutto l’ organico a metà ottobre. Quindi, nonostante le trattative in atto con giornalisti e sindacato, l’ imprenditrice e politica di centrodestra sembra avere in mente tutt’ altra strategia, nata già con l’ intenzione iniziale di non cedere i due settimanali ma di trovare nuovi soci che abbiano risorse a disposizione (vedere ItaliaOggi del 10/8/2017). Del resto le testate dei giornali, in caso di crisi delle pubblicazioni, restano gli ultimi asset di valore da detenere in portafoglio e, in particolare per chi si occupa di raccolta pubblicitaria, possono sempre servire come contenitori per distribuire le inserzioni. Al momento Novella 2000 e Visto continuano a uscire in edicola, affidandosi a service esterni.

Quotidiani, il punto di equilibrio

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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C’ è una previsione nell’ annuale Entertainment & Media Outlook in Italy di PwC che potrebbe rincuorare gli editori di carta stampata italiani. Quella secondo cui il declino dei ricavi dei quotidiani è destinato a diminuire nei prossimi cinque anni, fino ad arrivare quasi ad annullarsi nel 2021. Nella tabella in pagina si ha la media annuale del 2017-2021, -1,1%, ma nel concreto il report che analizza l’ intero settore dei media e dell’ intrattenimento sostiene che quest’ anno il calo dei ricavi dei quotidiani sarà del 2%, il prossimo dell’ 1,4%, poi dell’ 1%, dello 0,7% e finalmente dello 0,3% nel 2021. In totale 1,825 miliardi nel 2017, 1,764 miliardi fra cinque anni. Il team di Andrea Samaja e Maria Teresa Capobianco, che in PwC si occupa di consulenza su questo settore, è convinto che ci sarà un riequilibrio grazie al digitale, per pubblicità e ricavi diffusionali, e a un incremento dei prezzi di copertina. Ora, si tratta comunque di affrontare ancora perdite e cinque anni non sono pochi, per questo PwC parla di un settore ridimensionato. Però, se avverata, questa stima sarebbe comunque il segnale di un equilibrio che a oggi nessuno ha in tasca. Per i magazine si prevede ugualmente una diminuzione del calo dei ricavi, ma al 2021 si arriverà soltanto a un -1% dal -1,6% di quest’ anno. Quotidiani e magazine fanno parte dei 17 segmenti analizzati da PwC nel suo studio, che prevede che il mercato totale dell’ entertainment & media italiano passi dai 31,5 miliardi di euro del 2016 ai 38,1 miliardi del 2021, crescendo a un tasso medio annuo del 3,9%. Sarà la spesa degli utenti finali, compresa quella per l’ accesso a internet, a fare la parte maggiore in questo incremento, ma anche i ricavi pubblicitari totali continueranno nella propria ripresa con tassi simili per quest’ anno e il prossimo (+3,7%) e con un successivo calo fino al 2021 (+1,9%). Le posizioni e i trend sono quelli conosciuti: tv e internet (nella tabella c’ è anche la spesa per l’ accesso a internet) sono i segmenti a più alto valore. I soli ricavi tv da pubblicità (3,265 mld nel 2016) saranno ancora per un po’ superiori all’ advertising online (2,356 mld) ma il divario andrà via via diminuendo perché i primi cresceranno a un tasso annuale del 3,8% mentre l’ internet advertising trainato dal mobile sarà a +6,2%. A proposito del mobile, già quest’ anno secondo PwC il traffico dati su questi dispositivi supererà quello da device fissi, ma nonostante ciò la spesa pubblicitaria su Internet nel 2016 è derivata per due terzi ancora dal fisso. Dagli 809 milioni dello scorso anno, però, il mobile advertising crescerà fino agli 1,6 miliardi del 2021, ovvero dal 34,3% del mercato pubblicitario al 51,8% In ambito audiovisivo, il segmento internet video (video on demand nelle sue varie forme) si prepara a superare nel 2019 l’ home video, mentre la musica digitale (+15,6% all’ anno fino al 2021, 102 milioni nel 2017) sta superando i supporti fisici (-14,7%) già quest’ anno grazie alla crescita dello streaming. © Riproduzione riservata.

Crolla la diffusione dei quotidiani in Italia: meno 20% in due anni. E le copie digitali seguono la stessa parabola della carta stampata (-19%). Lieve ripresa della pubblicità (+1,7%). I dati del rapporto Asig-Fieg (INFOGRAFICHE)

Prima Comunicazione

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Il biennio 2015-2016 si chiude con un calo complessivo della diffusione dei quotidiani di poco inferiore al 20%. A inizio 2015, infatti, la diffusione media giornaliera era di poco superiore ai tre milioni di copie, a dicembre 2016 è scesa sotto i due milioni e mezzo di copie. È quanto emerge dal Rapporto 2017 sull’ industria dei quotidiani in Italia presentato a Bologna nell’ ambito di Ediland Meeting 2017 – Sfide per l’ industria dell’ editoria e della stampa , la conferenza per l’ industria editoriale e della stampa promossa da Asig, Fieg e Osservatorio Tecnico Carlo Lombardi per i quotidiani e le agenzie di informazione. Il calo nella diffusione dei quotidiani si è accentuato nell’ ultimo anno: -9% nel 2015, -11,5% nel 2016. I primi mesi del 2017 non sembrano discostarsi da questo trend: a maggio 2017 – ultimi dati disponibili – la diffusione è risultata inferiore del 3% rispetto a dicembre 2016 e dell’ 11% rispetto all’ aprile 2016. Negli ultimi dieci anni la diffusione complessiva si è dimezzata passando da 5,4 a 2,6 milioni di copie giornaliere al netto della free press. Anche la diffusione delle copie digitali nel biennio 2015-2016 ha subito la stessa parabola delle copie cartacee: -19% complessivo, ma con un calo nel 2016 molto più accentuato (-16,5%) rispetto al 2015 (-3%). Tuttavia, precisa una nota, il dato complessivo potrebbe essere sottostimato per quanto riguarda le cosiddette “copie digitali multiple”, ovvero quegli abbonamenti in blocco acquistati da grandi società che li girano ai propri dipendenti. Per quanto riguarda la diffusione digitale, il Rapporto sottolinea poi come a inizio 2017 il Consiglio di amministrazione di Ads, la società che certifica le diffusioni di quotidiani e periodici, ha approvato un nuovo regolamento per la certificazione delle copie digitali, orientato alla centralità dell’ utente finale e alla sua esplicita volontà di fruizione. Sul fronte della pubblicità si assiste a una leggera ripresa. Dopo quattro anni di arretramento, il 2016 ha visto un incremento, anche se modesto (+1,7%) del mercato pubblicitario nel nostro Paese. Si è comunque ancora lontani dai valori del 2010, anno in cui il mercato valeva ancora 8,6 miliardi di euro, ed ancora più lontani dal 2008, ultimo anno prima della crisi, quando il fatturato complessivo della pubblicità italiana sfiorò i 10 miliardi di euro. Leggi o scarica il Rapporto 2017 sull’ industria dei quotidiani in Italia.

Mondiali, Mediaset sfida la Rai

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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L’ entrata è di quelle a gamba tesa. Mediaset serve uno dei più classici colpi di scena nella pièce legata ai diritti sportivi, puntando a un bersaglio grosso che da sempre è appannaggio della Rai. Cologno tenta dunque l’ assalto e proverà a portare a casa i diritti tv per i prossimi due Mondiali di calcio. A quanto anticipato ieri da Radiocor plus, il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi ha presentato una proposta alla Fifa relativa ai diritti audiovisivi delle edizioni 2018 in Russia e del 2022 in Qatar. La procedura è stata aperta a fine agosto dalla Federazione, con Mp&Silva nel ruolo di advisor, che aveva invitato i potenziali acquirenti a farsi avanti entro il 12 settembre. L’ aggiudicazione è “full rights”: in chiaro e pay. Ora si va avanti a trattativa privata con assegnazione a ottobre. La sfida lanciata da Mediaset (pur senza alcuna conferma ufficiale) arriva nel mezzo di una situazione che è senz’ altro di affanno per il gruppo sul versante dei diritti sportivi con la Champions League che dalla prossima stagione tornerà a Sky. Alla presidenza di Mediaset Premium nel frattempo è però approdato Adriano Galliani e la nomina è sicuramente da leggere come una scelta d’ attacco trattandosi di figura di grande esperienza nel mondo dello sport e dei diritti tv. È altrettanto vero tuttavia che Premium viene da un biennio di contesa con Vivendi (che prima ha acquistato per poi ripudiare la piattaforma), non ha ancora visibilità sui diritti della Serie A per il 2018-2021 (l’ asta deve ripartire dopo il flop di giugno) e gli abbonati, al netto delle tessere pre-pagate e di bar e alberghi, sarebbero scesi sotto quota 1,6 milioni in questo avvio di stagione. C’ è comunque da star certi che l’ acuto di Mediaset non sia passato inascoltato. E a molte orecchie. A quelle della Rai innanzitutto. Il direttore generale Mario Orfeo, alla guida di Viale Mazzini da giugno, è in trattativa per i diritti in chiaro delle Olimpiadi, oltre che per i Mondiali di calcio. I Giochi olimpici sono esclusiva Discovery, che controlla Eurosport, fino al 2024. Le Olimpiadi invernali in Corea del Sud sono alle porte e ancora la trattativa non si è sbloccata. Nelle dichiarazioni ufficiali è come se non fosse contemplata in casa Rai la possibilità di non trasmettere i prossimi Giochi e va anche sottolineato che manca davvero poco al The End. Detto questo, occorre considerare che Discovery, oltre a controllare Eurosport, edita anche il canale in chiaro Nove. R questo, senza una chiusura ufficiale, rappresenta uno spauracchio non da poco. In qualche modo nella partita rientra anche Sky. Il ticket Rai-Sky va avanti già da qualche edizione. La media company di casa Murdoch ha acquisito i diritti del 2006. Poi la Rai per 350 milioni si è aggiudicata i due successivi mondiali ma uno switch di diritti con scambi (le Olimpiadi erano un’ esclusiva Sky) e accordi economici oltre che sul versante pubblicitario hanno garantito la trasmissione degli eventi sia su entrambe le tv. Gli ultimi Mondiali del 2014 hanno portato nelle casse delle concessionarie di Rai e Sky rispettivamente sui 70e 40 milioni. Nel caso in cui Mediaset riuscisse ad aggiudicarsi le due prossime competizioni, sarebbe difficile immaginare a priori un accordo con Sky. Anche perché sul pay c’ è Premium. A ogni modo la partita chiave si gioca sulla tv in chiaro. È lì che per Mediaset i Mondiali possono rappresentare una chiave di volta. Senz’ altro occorrerà vedere il prezzo d’ aggiudicazione. Le indiscrezioni parlano di un’ offerta “molto aggressiva” da parte di Cologno, ma anche della volontà della Rai di portarsi a casa i diritti per una cifra inferiore rispetto ai 350 milioni per due edizioni sborsati nella precedente tornata. Certo è che con i Mondiali la crescita dell’ audience delle reti in chiaro di Mediaset rappresenta un boccone ghiotto, considerando anche l’ impatto pubblicitario. Con il 29,5% di share nel giorno medio in estate (Studio Frasi su dati Auditel) Mediaset – che ora ha un polo radiofonico di tutto rispetto – detiene il 56% del mercato degli spot in tv. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset sfida la Rai per i diritti tv in chiaro dei Mondiali ’18 e ’22Presentata un’ offerta

Corriere della Sera

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(m.col.) Il Biscione prova ad aggiudicarsi i Mondiali. Mediaset per la prima volta ha presentato un’ offerta alla Fifa per strappare alla Rai, la storica detentrice, i diritti tv in chiaro dei campionati del Mondo del 2018 in Russia e del 2022 in Qatar. Il termine entro cui inviare le proposte a Mp&Silva, advisor della Federazione internazionale (nonché della Lega di A per i diritti tv per l’ estero dell’ attuale triennio) era il 12 settembre. La tv della galassia berlusconiana (che ufficialmente non conferma) non è l’ unica a essere in corsa: ovviamente hanno presentato offerte anche la tv di Stato (che per l’ ultima edizione ha speso intorno ai 170 milioni) e Sky, interessata ad aggiudicarsi le licenze per trasmettere a pagamento la manifestazione. In teoria l’ assegnazione è prevista per il mese di ottobre: difficile però che la scadenza sia rispettata con la qualificazione della Nazionale italiana ancora in bilico e appesa all’ esito dei playoff in programma a metà novembre. Ovvio perciò aspettarsi un rinvio dei negoziati a quando la situazione dell’ Italia di Ventura (straordinario volano per introiti pubblicitari) sia definita. Per Mediaset, dopo il mancato rinnovo dei diritti a trasmettere la Champions nel triennio 2018-2021, si tratterebbe di una novità assoluta visto che l’ evento non è mai stato coperto dalla tv berlusconiana. In attesa di comprendere le mosse sul prossimo bando dei diritti tv nazionali della A.

Mediaset scende in campo per i Mondiali Obiettivo i diritti di Russia 2018 e Qatar 2022

Il Giornale
Maddalena Camera
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Maddalena Camera Per la prima volta Mediaset sarebbe pronta a scendere in campo per trasmettere le prossime edizioni dei Mondiali di calcio. Il condizionale è d’ obbligo in quanto il Biscione non ha confermato l’ indiscrezione rilanciata dall’ agenzia Radiocor. Il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi si sarebbe dunque fatto avanti con una proposta alla Fifa per ottenere i diritti audiovisivi delle edizioni del prossimo Campionato di calcio del 2018 in Russia, quello a cui l’ Italia non ha ancora la certezza della qualificazione, e del 2022 in Qatar. La procedura è stata aperta a fine agosto dalla Federazione internazionale del calcio, assistita da Mp&Silva nel ruolo di advisor commerciale, che aveva invitato i potenziali acquirenti a farsi avanti entro lo scorso 12 settembre: l’ aggiudicazione riguarda le licenze per trasmettere i Mondali in chiaro (le più appetibili per ascolti e investitori pubblicitari) e a pagamento sul territorio italiano. Oltre a Mediaset, ai nastri di partenza c’ è ovviamente la Rai, ma la contesa vede coinvolto anche qualche altro broadcaster. L’ assegnazione è attesa non prima del mese di ottobre. Per il Biscione, come già detto, si tratterebbe di una novità assoluta visto che l’ evento, normalmente appannaggio della tv pubblica, non è mai stato trasmesso dai canali Mediaset. Il Campionato mondiale di calcio è infatti un happening collettivo per gli italiani, a patto che la nazionale sia qualificata e quindi è sempre stata appannaggio della tv pubblica. Solo alcune edizioni più recenti, in particolare dal 2006, hanno visto impegnata anche Sky attraverso i suoi canali satellitari per la parte di pay-tv. Mediaset tornerebbe dunque a puntare sul calcio, anche se l’ incognita resta sempre la partecipazione alla gara che assegnerà quelli per il campionato di calcio italiano di serie A per il triennio 2018-2021. La Lega di Serie A infatti, ritenendo che le offerte presentate a giugno non rappresentavano il valore del calcio italiano, aveva deciso di annullare la gara non assegnando i diritti tv a nessuno dei concorrenti. In autunno dovrebbe dunque partire un nuovo bando che avrà comunque come valore di partenza quello indicato da quello di giugno, ossia un miliardo di euro. Il gruppo di Cologno Monzese parteciperà alla gara ma ha già annunciato l’ intenzione di contenere i costi. Al momento Rai ha in mano i diritti delle partite di calcio della nazionale pagati circa 25 milioni di euro e anche quelli della Coppa Italia e della Supercoppa italiana fino al 2018. Un altro colpo grosso sul fronte dei diritti televisivi l’ ha fatto Discovery, che trasmette ora anche in Italia in chiaro sul canale 9 del digitale terrestre. Il gigante Usa si è infatti aggiudicato per 1,3 miliardi di dollari i diritti televisivi per le Olimpiadi per l’ Europa per i prossimi 4 anni.

«La Verità» compie un anno Belpietro: 2017 in utile

Corriere della Sera
Franco Stefanoni
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Circa 25 mila copie giornaliere di venduto, 7 milioni di ricavi totali di cui uno di pubblicità, dieci giornalisti in redazione, appena una decina di querele, nonostante i toni vivaci del giornale. È il quadro fornito da Maurizio Belpietro del suo La Verità , fondato dopo il divorzio dalla direzione di Libero , che ieri ha festeggiato un anno di vita. «È un mercato difficile», commenta Belpietro, «nel 2017, però, chiuderemo con un utile». Per il direttore: «Oggi rappresentiamo una comunità di gente che non si accontenta delle solite notizie. E non si pensi a sprovveduti: sono professori, professionisti, imprenditori». Alcuni di questi hanno anche diviso il capitale sociale con Belpietro. Lui oggi ha il 56%, l’ ad Enrico Scio il 12%, circa lo stesso Ferruccio Cristiano Invernizzi e Nicola Benedetto, poi ci sono i giornalisti Mario Giordano con il 3% e Stefano Lorenzetto con il 6%. Fino alla scorsa primavera c’ era anche la fondazione Magna Carta di Gaetano Quagliariello, ma la polemica a essa legata per un finanziamento da parte di Alfredo Romeo, arrestato nell’ inchiesta Consip, aveva portato a un nuovo assetto.

«Pochi abbonati e vendite in calo» La diocesi chiude il suo giornale

Corriere della Sera
Gilberto Bazoli
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Cremona Alla fine del 2016 la festa per il centenario dalla nascita, alla fine del 2017 la resa. La crisi dell’ editoria non risparmia le pubblicazioni religiose e costringe La Vita Cattolica , il settimanale della diocesi di Cremona, a sospendere definitivamente, da dicembre, le pubblicazioni. Il «congedo», come lo chiamano in Curia, era nell’ aria da qualche tempo ed è stata annunciato ufficialmente ieri in una conferenza stampa. Sono trascorsi 101 anni dall’ uscita, il 23 dicembre 1916, del mensile La Voce dei Giovani , su iniziativa dei giovani di Azione Cattolica. Nel gennaio 1923, visto che il foglio, trasformatosi presto in quindicinale, era letto anche dagli adulti, venne cambiato il titolo: semplicemente La Voce . Altro e ultimo ritocco nel gennaio 1926 con il debutto della Vita Cattolica . Tre testate diversi, ma un’ unica storia di servizio alla comunità ecclesiale. Il giornale si è conquistato un suo spazio anche sul versante dell’ informazione politica e amministrativa. Il colpo più recente il numero speciale in occasione della visita di papa Francesco, il 20 giugno scorso, a Bozzolo, sulla tomba di don Primo Mazzolari, il parroco scomodo riabilitato da Bergoglio. Ora lo stop. Non un fatto isolato, ma un capitolo del piano di riorganizzazione generale della diocesi che passa anche attraverso tagli nel bilancio. «I dati degli abbonamenti e delle vendite, in costante calo da più di un decennio e al minimo storico, e la velocità con cui le persone oggi accedono alle notizie in tempo reale indicano come gli obiettivi per cui è stato pensato il settimanale non siano più raggiunti da questo strumento nell’ attuale contesto», annota, in una lettera ai sacerdoti il vescovo, Antonio Napolioni. Quella presa «non è stata una decisione a cuor leggero, anche per l’ innegabile legame affettivo creatosi nei decenni», scrive ancora il vescovo, continuando: «Ora più che mai sono a tutti richiesti moderazione, realismo e lungimiranza». «Siamo arrivati a sciogliere la società dopo lunghe e attente analisi della situazione. Il percorso era diventato insostenibile e la società stata quindi messa in liquidazione», dice Enrica Ferraroni, direttrice della Nec (Nuove editrice cremonese) che pubblica il periodico. «Nel mondo moderno dell’ informazione i ritmi di un settimanale sono decisamente obsoleti», le fa eco monsignor Attilio Cibolini, direttore responsabile del giornale e successore del direttore storico: monsignor Vincenzo Rini, alla guida della redazione per 31 anni e 7 mesi ininterrottamente, dal giugno 1985 al dicembre 2016. La fine delle pubblicazioni fa discutere. «Il ruolo del settimanale è stato raccordare tutte le forze cattoliche presenti nella nostra diocesi, che ha importanti propaggini nelle province di Mantova, Bergamo e Milano – commenta Walter Montini, lo storico che in occasione del centenario ha tenuto una relazione sul secondo mezzo secolo del foglio -. Tale ruolo si è un po’ annacquato nel tempo, ma queste pagine sono rimaste un momento di confronto. Chiuderle è un errore, vanno ripensate». La diocesi cremonese dice addio a Vita Cattolica ma non alla comunicazione. «La Chiesa vuole sempre più mettersi in dialogo con il territorio», sottolinea il vicario generale, don Gianpaolo Maccagni. Rientra in questa politica il potenziamento del portale diocesano, che avrà una sezione diversa da quella istituzionale. E I giornalisti e il personale della carta? La promessa è che saranno ricollocati.

Google e Fieg, al GdB il futuro dell’ editoria

Giornale di Brescia

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Ieri la Sala Libretti del GdB ha ospitato il primo appuntamento della Digital Transformation Academy, un progetto di formazione per gli editori, patrocinato dalla Federazione Italiana Editori Giornali e da Google, in collaborazione con Talent Garden. Professionisti del digitale e giornalisti, arrivati da tutto il Nord, hanno preso parte alla giornata di formazione e confronto sul futuro della professione, con lezioni frontali tenute da esperti di marketing e comunicazione. I partecipanti hanno poi dato vita a un laboratorio di sviluppo di nuovi modelli di business.

Rassegna Stampa del 22/09/2017

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Indice Articoli

Cinque governatori nell’ Osservatorio Giovani-Editori

Un supercomitato dei governatori per l’ educazione finanziaria europea

Osservatorio Giovani-Editori entrano cinque governatori

chessidice in viale dell’ editoria

Lux Vide, i ricavi crescono a 65 mln

Mediaset al rilancio sulla fiction

Il Gazzettino si fa più grande

In Francia i cellulari non prendono (o prendono male) in quasi metà del territorio nazionale. Sbugiardati gli operatori

Un murale peri 25 anni di Cartoon Network

Nasce terzo big dell’ editoria francese

Giornali snelli e specializzati

Cinque governatori nell’ Osservatorio Giovani-Editori

Il Sole 24 Ore

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I governatori di cinque banche centrali dell’ Eurozona saranno i primi componenti effettivi dell’ international advisory board dell’ Osservatorio permanente Giovani-Editori, organo appena costituito per sovrintendere all’ alfabetizzazione economico-finanziaria dei giovani, una «sfida strategica» che si affianca a quella storica sulla media literacy. Si tratta, spiega lo stesso Osservatorio, di Klaas Knot, presidente della Nederlandsche Bank, Luis M. Linde, governatore di Banco de Espana, Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banque de France, Ignazio Visco, governatore della Banca d’ Italia e Jens Weidmann, presidente della Deutsche Bundesbank. I governatori, si spiega in una nota, hanno «formalmente accettato l’ invito del presidente dell’ Osservatorio permanente Giovani-Editori Andrea Ceccherini, entrando in prima persona a far parte del board che avrà tra i suoi compiti quello di tracciare il quadro di riferimento del sistema di valori di matrice europeista ai quali l’ Osservatorio conformerà i propri progetti, di eseguire l’ alta sorveglianza dell’ attuazione dei progetti in coerenza con il sistema di valori dato, nonché di definire le eventuali linee guida del processo di internazionalizzazione dei progetti».

Un supercomitato dei governatori per l’ educazione finanziaria europea

Corriere della Sera
AlessioRib
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Di solito si incontrano a Francoforte, in Germania, nelle stanze della Banca centrale europea, per decidere le sorti economiche dell’ Unione. Adesso, lo faranno anche in Italia, a Firenze, nella sede dell’ Osservatorio permanente giovani-editori (Opge), presieduto da Andrea Ceccherini. Klaas Knot (presidente della Nederlandsche Bank), Luis Maria Linde (governatore del Banco de España), Francois Villeroy de Galhau (governatore della Banque de France), Ignazio Visco (governatore della Banca d’ Italia) e Jens Weidmann (presidente della Deutsche Bundesbank) hanno accettato di far parte del board la cui missione è quella di sovrintendere una delle due sfide dell’ Opge: l’ alfabetizzazione economico-finanziaria dei giovani che si affianca a quella storica del «Quotidiano in classe». I cinque economisti, in particolare, dovranno tracciare il quadro di riferimento del sistema di valori, di matrice europeista, ai quali l’ Opge conformerà i propri progetti. Inoltre, dovranno vigilare sulla loro realizzazione e dovranno definire le eventuali linee guida del processo di internazionalizzazione che rappresenta sempre più la cifra del futuro dell’ Osservatorio, fondato da Andrea Ceccherini nel 2000. Del resto, era stata anche la presenza di personalità di spicco dell’ economia mondiale come Knot, Linde, Villeroy de Galhau, Visco e Weidmann che aveva avviato questo percorso dialogando a Firenze, da pari a pari, con i ragazzi che partecipano a «Young Factor»: il progetto di alfabetizzazione economico-finanziario che coinvolge mezzo milione di studenti della scuola secondaria superiore. Con il loro ingresso nel board si completa di fatto l’ assetto della struttura che aveva già nominato l’ International advisory council a cui partecipano i direttori esecutivi di New York Times, The Wall Street Journal e Los Angeles . La loro missione, invece, è quella di vigilare sul processo di internazionalizzazione dei progetti di media literacy e in particolare contro le fake news . Il prossimo appuntamento dell’ Osservatorio permanente giovani-editori è fissato per il prossimo 13 ottobre a Firenze quando il ceo di Apple, Tim Cook, aprirà i festeggiamenti per il diciottesimo anniversario con Andrea Ceccherini. Il numero uno dell’ azienda di Cupertino sarà l’ ospite d’ eccezione che inaugurerà i lavori del nuovo anno dedicato a favorire un moderno percorso di cittadinanza dei giovani .

Osservatorio Giovani-Editori entrano cinque governatori

Il Messaggero

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ADVISORY BOARD ROMA Saranno i Governatori di cinque tra le maggiori banche centrali delle principali economie dell’ Eurozona i primi componenti effettivi dell’ International Advisory Board dell’ Osservatorio Permanente Giovani-Editori. L’ organo è stato appena costituito per sovrintendere una delle due sfide strategiche dell’ organizzazione: l’ alfabetizzazione economico-finanziaria dei giovani. Klaas Knot (presidente della Nederlandsche Bank), Luis M. Linde (governatore del Banco de Espana), Francois Villeroy de Galhau (governatore della Banque de France), Ignazio Visco (governatore della Banca d’ Italia) e Jens Weidmann (presidente della Deutsche Bundesbank) hanno accettato l’ invito del presidente dell’ Osservatorio Permanente Giovani-Editori Andrea Ceccherini. Tra i compiti del board quello di tracciare il quadro di riferimento del sistema di valori di matrice europeista ai quali l’ Osservatorio conformerà i propri progetti, di eseguire l’ alta sorveglianza dell’ attuazione dei progetti in coerenza con il sistema di valori dato, nonché di definire le eventuali linee guida del processo di internazionalizzazione dei progetti dell’ organizzazione.

chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Il Tirreno, edizione speciale per i Rolling Stones a Lucca. Il quotidiano toscano uscirà domani con un’ edizione arricchita da una sopracopertina e un inserto speciale di 16 pagine dedicate alla band. La sopracopertina è stata disegnata per l’ occasione da giovani artisti lucchesi e conterrà i contributi degli scrittori Flavia Piccinni e Giampaolo Simi. Nell’ inserto verranno invece raccontati gli Stones secondo diversi punti di vista. Google tratta con gli editori per migliorare gli abbonamenti. Google è in trattativa con tre gruppi editoriali con l’ intento di aiutarli a migliorare i ricavi da loro generati dalle attività giornalistiche. New York Times, Financial Times e News Corp starebbero lavorando a strumenti che, sfruttando i dati degli utenti Google e l’ intelligenza artificiale, permettano di affinare la vendita di abbonamenti rendendoli «su misura». La tecnologia che Google sta sviluppando userà i dati raccolti dalla piattaforma tramite le ricerche individuali degli utenti per riproporre annunci in linea con i loro interessi.

Lux Vide, i ricavi crescono a 65 mln

Italia Oggi

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La fiction L’ Isola di Pietro, al via domenica 24 settembre su Canale 5, è prodotta dalla Lux Vide di Matilde e Luca Bernabei. Una società che sta provando a diversificare il suo business nonostante «il 60-65% dei ricavi arrivi ancora dalle produzioni per Rai (da Don Matteo a I Medici, passando da Che Dio ci aiuti, o Un passo dal cielo, fino a Sotto copertura, ndr)», spiega l’ amministratore Luca Bernabei, «ed è ancora un po’ troppo». La Lux Vide chiuderà il 2017 con ricavi per 65 milioni di euro, in forte crescita rispetto ai 58 milioni del 2016 e ai 44,8 milioni del 2015. E pure nell’ esercizio 2017 staccherà dividendi per gli azionisti, dopo i 600 mila euro distribuiti per il 2016. «Restiamo una casa di produzione nazional-popolare», sottolinea Bernabei, «ma con i nostri 20 autori interni stiamo lavorando allo sviluppo di serialità pure per Netflix e Amazon. Abbiamo individuato tre filoni, il medical, il legal, l’ investigativo, e bisogna trovare temi forti che giustifichino il fatto di girare qui in Italia, seppur recitando in lingua inglese».

Mediaset al rilancio sulla fiction

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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Daniele Cesarano, il prossimo novembre, compirà il suo primo anno di direzione della fiction di Mediaset. Un business che negli ultimi tempi è stato un po’ un tasto dolente del Biscione, con ascolti mediamente bassi se paragonati a quelli della fiction Rai. Va anche sottolineato che la fiction Mediaset è rimasta stretta da una morsa difficile da contrastare: da un lato la Rai destina budget notevoli alla serialità, con 223 milioni di euro nel 2016 e 195 milioni nel 2017, mentre Mediaset negli ultimi esercizi vivacchia sotto i 100 milioni di euro all’ anno; dall’ altro è stata proprio la fiction Mediaset la più colpita dalla concorrenza delle serie di Sky, di Netflix, e dallo streaming in generale. Cesarano ha scritto serie cult come Romanzo Criminale, Suburra per Netflix, e film come Acab, «anche se a tutti ho sempre detto che il lavoro di cui andavo più fiero era Distretto di polizia per Mediaset». Su Canale 5 domenica 24 settembre partono le sei puntate de L’ isola di Pietro, con un big come Gianni Morandi che torna alla fiction dopo vent’ anni. Ma tutta l’ infilata di serialità del Biscione di qui ai prossimi mesi (da Le tre rose di Eva a Rosy Abate, da Liberi sognatori a Ultimo e Immaturi la serie) non è ancora frutto del lavoro di Cesarano, tenuto conto dei lunghi tempi che intercorrono da quando una fiction viene pensata a quando viene finalmente trasmessa in tv. «Innanzitutto, dobbiamo ricordare che tutti gli autori che ora fanno le serie più cool vengono da Mediaset», spiega Cesarano, «che è sempre stata un’ avanguardia di innovazione linguistica sul fronte della fiction in Italia. Ora c’ è stato un breve ciclo meno positivo degli altri, ma credo sia nelle cose. Avendo un pubblico più giovane, Mediaset ha sofferto molto più di Rai la concorrenza di Sky, di Netflix, di Amazon, dello streaming. Ma noi dobbiamo comunque produrre grande serialità per una televisione generalista in chiaro. Le nicchie se le possono permettere altri. Per noi i benchmark sono comunque le grandi serie che vanno in onda nel mondo sulle tv in chiaro». Qual è la ricetta di Cesarano per risollevare la fiction Mediaset? «Stiamo lavorando molto alla ricerca e sviluppo, dove abbiamo un buon budget, per allargare l’ offerta su nuovi generi (andando oltre Gabriel Garko e il poliziesco, tanto per intenderci, ndr) dei quali però non posso ancora parlare. Di sicuro il primo cambio che ho imposto è il taglio di ogni puntata sui 50 minuti: questo è il format di lunghezza ideale». © Riproduzione riservata.

Il Gazzettino si fa più grande

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Un formato più grande, il full color per una foliazione media di 52-60 pagine e una grafica più vicina a quella del Messaggero (dal quale arriveranno pagine già pronte di attualità nazionale): tutto questo servirà al Gazzettino, altro quotidiano del gruppo Caltagirone Editore, per raccontare il Nord Est italiano nei prossimi 130 anni. Oggi, infatti, il giornale diretto da Roberto Papetti festeggia i suoi primi 130 anni di pubblicazioni passati a spiegare il territorio e a declinare la cronaca nazionale secondo gli interessi locali. «Anche nel caso degli articoli che arriveranno da Roma dal Messaggero, già impaginati e pronti per la stampa, spaziando tra politica, cronaca ed economia», dichiara a ItaliaOggi il direttore al timone della testata dal 2006, «sceglieremo cosa pubblicare prestando attenzione alle diverse sensibilità dei nostri lettori». Del resto, in una regione come il Veneto in cui la prima forza politica rimane la Lega, non sempre le decisioni prese nei palazzi romani vengono ben interpretate dai lettori: «In realtà, al di là della predominanza del partito di Matteo Salvini e del governatore Luca Zaia, c’ è un ampio spettro di comuni guidati sia dal centrosinistra sia dal centrodestra», precisa Papetti, basti pensare a città più a sinistra come Padova e Treviso oppure ad altre come Rovigo, più a destra, o ancora al caso particolare di Venezia col sindaco Luigi Brugnaro. Una geografia variegata in cui il Gazzettino ha proprio a Venezia, Padova, Treviso e Pordenone (in Friuli Venezia Giulia) le sue edizioni principali (oltre a quelle di Belluno, Rovigo e Udine). Ma non ci sono mai stati attriti coi sindaci? «Più che attriti direi normale dialettica, come quella volta che Flavio Zanonato, ex sindaco di Padova», ricorda Papetti, «ha eretto nel 2006 una barriera per arginare uno dei quartieri problematici della città. Noi lo chiamammo Muro e così viene definito da allora. Zanonato non ha gradito ed è sceso il gelo. Ma, tempo dopo, gli ha giovato essere riconosciuto come sceriffo di sinistra, anche se all’ epoca i sindaci sceriffi di sinistra non erano in voga». Da domani nel giornale pubblicato dall’ editore Francesco Gaetano Caltagirone (che controlla anche il Mattino di Napoli) e da sua figlia Azzurra Caltagirone, presidente del Gazzettino spa, 24-28 pagine saranno dedicate ai temi nazionali e le restanti 28-32 a quelli locali. Nella cornice di un formato tipo berliner (20% di spazio in più) e cavalcando il full color (che ha un maggior appeal anche per gli inserzionisti) debutterà la sezione Macro dedicata a cultura e spettacoli, come già successo per Messaggero e Mattino. Nello sfoglio, la precederanno i temi del giorno mentre la seguiranno sport, lettere e commenti. Anzi, «alle lettere riserveremo due pagine perché ne riceviamo tante», sottolinea il direttore che coordina una redazione di circa 80 giornalisti. «A confermare poi l’ importanza del territorio resta nella prima parte del giornale la sezione Nord Est, seppur d’ ora in poi con un focus più incentrato su storie di aziende, personaggi e anche di paesi. La nostra intenzione è coinvolgere maggiormente i lettori e continuare a condizionare l’ agenda politica». A proposito di politica, oggi, il Gazzettino ospita a Palazzo Ducale a Venezia il presidente della repubblica Sergio Mattarella, Zaia, Brugnaro, Azzurra Caltagirone ed esponenti del mondo economico e culturale dal territorio. Durante l’ evento 130 anni – Il Gazzettino, il quotidiano che diffonde stabilmente su carta e digitale quasi 61 mila copie (secondo le ultime rilevazioni Ads) racconterà per una volta se stesso con la proiezione del documentario Storia de Il Gazzettino, prodotto da Rai Storia con immagini inedite prese dalle teche Rai.

In Francia i cellulari non prendono (o prendono male) in quasi metà del territorio nazionale. Sbugiardati gli operatori

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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M i telefona, qui a Parigi, Sabina Rodi, l’ infaticabile vicedirettrice di ItaliaOggi, per concordare un pezzo, ma la sua voce arriva lontana, a scatti, poi cade la linea. E si capisce, sono nel mio studiolo in fondo all’ appartamento, palazzo haussmaniano del 17esimo arrondissement, non proprio in periferia, i muri sono spessi e il segnale è flebile. Segno che il «reseau», la rete di Orange, il numero uno delle tlc francesi, ha «une couverture plus limitée» come si può leggere nel nuovissimo portale appena aperto (il 19 settembre scorso) dall’ Arcep, Autorité de régulation des communications électroniques et de postes, l’ agenzia pubblica che dal 2005 controlla e vigila sul turbolento mercato delle tlc, telefonini, bande più o meno larghe, fibra ottica, ripetitori in ogni angolo del paese e una concorrenza spietata, spesso ai limiti delle regole, tra i quattro giganti, Orange appunto, Sfr del miliardario franco-israeliano Patrick Drahi, Bouygues Telecom di Martin Bouygues, il re dei cantieri e dell’ immobiliare e, da ultimo, Free di Xavier Niel, che ha debuttato nel settore una ventina d’ anni fa con le chat erotiche e ora siede nel salotto buono dell’ economia, editore di Le Monde e genero di Bernard Arnault, il re del lusso Lvmh. L’ Arcep, guidata da un ingegnere dell’ École des Mines, Sébastien Soriano, grand commis di area socialista (capo di gabinetto dell’ ex ministra della cultura, Fleur Pellerin, è stato Hollande a volerlo alla presidenza dell’ authority), ha fatto un lavoro che la nostra Agcom di Marcello Cardani (anche lui con un passato di capo di gabinetto, di Mario Monti) dovrebbe prendere a esempio. Ha verificato sul campo, mai espressione fu più azzeccata, e con la collaborazione di una società esterna specializzata nella misurazione delle performance delle reti tlc (la Qosi), l’ effettiva copertura dei quattro operatori e ha messo i risultati su un portale creato appositamente e consultabile da tutti, non solo dai tecnici e dai regolatori (in modalità open data, come si dice in gergo). Così basta cliccare su www.monreseaumobile.fr e fare qualche scoperta non proprio piacevole per le compagnie telefoniche che vantano coperture che sfiorano il 100% del territorio e della popolazione. Mentendo. Per esempio Orange, il leader, ha una «très bonne couverture» (il massimo della performance, poi si scende a «bonne couverture», per finire a «couverture plus limitée» (come nel mio appartamento parigino, non in uno sperduto paesino dell’ Alvernia) su appena il 60% del territorio nazionale. Seguita da Free con il 57%, Srf con il 54% e, ultima, Bouygues Telecom con il 48%. Insomma, quasi metà della Francia non è coperta dai telefonini o è coperta male. Le cose non vanno meglio quando si passa dalla copertura territoriale a quella della popolazione che, a leggere le pubblicità delle compagnie, non sarebbe mai inferiore al 99%. Non è così. Il portale dell’ Arcep ci fa sapere che solo Orange e Free coprono il 90% della popolazione, mentre Sfr e Bouygues stanno tra l’ 87 e l’ 85%. Come a dire che una decina di milioni di francesi ha qualche problema a comunicare con il telefonino. Con una serie di dati di questo genere, una novità assoluta in Francia e in tutta Europa, l’ Arcep poteva correre il rischio di essere citata in giudizio davanti al Tar (in Italia sarebbe avvenuto quasi certamente). Non è successo perché il portale fornisce dati oggettivi, per segmenti di popolazione e territorio e non pubblica classifiche. «Abbiamo voluto fornire ai consumatori uno strumento per valutare oggettivamente le performance delle compagnie e scegliere consapevolmente: ci possono essere compagnie che funzionano meglio in certe zone del paese e meno bene in altre, tutto qui», minimizza Soriano. Il quale, però, non si nasconde che il suo portale e tutto il lavoro che ci sta dietro serviranno anche a «stimuler la concurrence et l’ investissement par la couverture» a poca distanza dalla scadenza delle concessioni (2021 per Orange e Sfr, 2024 per Bouygues Telecom, 2030 per Free) per cui gli operatori hanno versato complessivamente allo stato 3,6 miliardi di euro nel 2011e altri 2,8 miliardi nel 2015, senza contare una «redevance», un canone annuale di 200 milioni di euro. Con i dati raccolti dall’ Arcep è evidente che la prossima assegnazione delle frequenze si giocherà non solo sul prezzo (anche se non è il momento di chiedere sconti al Tesoro) ma anche sulla qualità dei servizi e, quindi, sugli investimenti per garantire quel 99-100% di copertura territorio-popolazione che tutti millantano. Anche per rispondere all’ appello del presidente Macron che, in più occasioni, ha ribadito il suo obiettivo: «avoir du bon débit fixe et mobile partout en France en 2020», avere una buona copertura (telefoni e internet) in tutto il paese entro il 2020. Nessun operatore telefonico vorrà deludere il presidente, si capisce. © Riproduzione riservata.

Un murale peri 25 anni di Cartoon Network

Il Tempo
FRANCESCO PUGLISI
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Cartoon Network, il canale edito da Turner e disponibile in Italia su Sky (607) e Media set Premium (350), celebra il suo 25esimo anniversario (Stati Uniti, 1º ottobre 1992) con un imponente murale realizzato sulla facciata della sedero mana dagli street artist omino71 e Mr.Klevra (Palazzo Turner, Via dei Magazzini Generali 18-20, Roma). L’ Opera, realizzata con la collaborazione dell’ Assessorato alla Crescita Culturale del comune di Roma, si propone di valorizzare e promuovere il Quartiere Ostiense, già ricco di opere di urban art che sono divenute oggetto di visite guidate ed espressione del fermento creativo, artistico e culturale che caratterizza la zona. I due artisti hanno interpretato il tema scelto per l’ opera: «Amicizia, incontro e diversità» sviluppando un progetto che presenta un forte richiamo alle opere murali celebrative del passato, dai grandi affreschi rinascimentali ai murales messicani, cercando, allo stesso tempo, di trasporre sul muro la modernità, la freschezza e l’ allegria tipiche delle produzioni targate Cartoon Network. Fonte di inspirazione è stato «The Making of a Fresco Showing the Building of a City» di Diego Rivera, il massimo esponente del muralismo messicano realizzato nel 1931 per l’ Istituto d’ Arte di San Francisco. Qui, Rivera rappresenta gli autori del murale nel momento stesso in cui viene realizzato. Infatti, sulla falsariga di questa opera, omino71 e Mr.Klevra, hanno realizzato un “meta murale” dove i creatori rappresentati nell’ opera sono i personaggi più celebri nati nei Cartoon Network Studios, da Dexter a Ben 10, da The Powerpuff Girls a Samurai Jack, Steven Universe, Finn e Jake di Adventure Time, Johnny Bravo, We Bare Bears, Leone cane Fifone, Uncle Grandpa, Clarence, Gumball e molti altri. Una meta opera realizzata a più mani, dove vengono celebrate l’ amicizia e lo spirito di collaborazione che contraddistinguono le creazioni collettive. sentata qui in divenire, nella sua fase di creazione. Francesco Puglisi.

Nasce terzo big dell’ editoria francese

MF
ANDREA BOERIS
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Gli editori francesi La Martinière Groupe e Media Participations hanno annunciato i colloqui per una fusione. L’ operazione darebbe vita a un gruppo da 560 milioni di euro di fatturato (sarebbe il terzo in Francia, dietro Hachette e Editis). La Martinière, che detiene la famosa casa editrice letteraria parigina Le Seuil, nel 2016 ha registrato ricavi per 206 milioni di euro, mentre Media Participations ha fatturato 355 milioni. «Stiamo pensando a una fusione sotto forma di scambio di azioni; una mossa necessaria per il futuro della casa che ho fondato», ha detto Herve de La Martinière, capo dell’ omonimo gruppo. La fusione è pensata per permettere ai due gruppi di affrontare meglio la sfida dei ricavi pubblicitari più bassi e del digitale. (riproduzione riservata)

Giornali snelli e specializzati

Italia Oggi
GIOVANNI MADDALENA
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Riccardo Ruggeri è un piccolo fenomeno di comunicazione degli ultimi anni. Scrive tutti i giorni un pezzo, un Cameo, ora anche una rassegna stampa, legge il mondo attraverso una originale analisi organizzativa continua. Poi scrive libri, viaggia. Prova a capire ciò che accade a partire da una lunga esperienza che gli ha fatto vedere tanti mondi in tante epoche, da quello operaio a quello delle élite e dell’ establishment, di cui si sente membro, nonostante tutto. Quando parla ha il sapore del verbo del popolo e della competenza delle élite. O forse, come dice lui, dell’ ovvio, che molti percepiscono e nessuno dice. Inventore di New Holland, la prima, vera, multinazionale della Fiat, creatore di start-up, ora giornalista con i suoi followers (pochi ma veri, ci tiene a precisare) e «nemico» di Silicon Valley. Considera questo mondo una minaccia per l’ Occidente. Domanda. Nuova vita giornalistica, Ruggeri? Risposta. La mia attività è come una bottega artigianale: può vivere da sola, sulla Rete e/o in un giornale. Produco tutti i giorni un Cameo che ha una sua linea editoriale, chiara e indipendente da ogni partito-movimento: sono un liberale nature (non liberista, non liberal, non libertario) e un cattolico nature (quando Francesco parla di dottrina sono ovviamente con lui, quando parla Bergoglio lo ascolto con umano rispetto, a volte riesce pure a coinvolgermi). D. Cosa intendi fare in concreto? R. Diventare un fornitore (a prezzo zero) di prodotti finiti a forme di giornalismo orientate al cambiamento, che diano visibilità alle mie analisi sul Ceo capitalism. Essere nemico di questo capitalismo è ormai la mia vita. D. Che valore ha la carta stampata oggi? R. I colti signori del Ceo capitalism dicono che è morta, io, per quel che vale (nulla), combatto perché sopravviva. Ce la farà, ma in forme nuove, più magre, più agili. D. Come vedi il mondo dei tuoi colleghi giornalisti? R. I grandi vecchi sanno di averla sfangata e pontificano sul nulla, quelli di mezza età fingono ma sanno che con questo modello la loro attività sarà presto inutile e comunque sottopagata. I giovani conoscono già il loro destino: gig economy, cioè portare pacchi per Amazon o parole per il Washington Post. D. E i vecchi, grandi giornali? R. Il destino dei giornaloni è segnato. Oggi il giornale, con pezzi tutti allineati è uno spreco assurdo di parole, sta diventando un prodotto illeggibile, quindi invendibile. Con questo modello, il cartaceo non si salva, ma non si salva neppure la versione .it, costruita con le stesse logiche. Nel mondo del business, quando questo succede, si deve cambiare paradigma, occorrono nuove strategie, spesso uomini nuovi. D. Hai in mente un nuovo prodotto? R. Il giornalismo, come lo concepiamo oggi, non arriverà più al popolo. Le élite avranno dei giornali per loro, come avveniva al tempo di Cavour, quando gli analfabeti erano il 90%. Sto riflettendo su questo modello. D. Qualche caratteristica di questo giornalismo élitario nuovo? R. Siamo in una fase magmatica: un punto fermo è che si dovrà pagare. Nasceranno modelli di business diversi, tarati sulle esigenze di certi lettori. List di Mario Sechi, «no banner, no junk news, no click», e la rassegna video di Nicola Porro, dal pensiero colto ma dal linguaggio popolare, vanno in questa direzione. Ovviamente rimarranno i cartacei di nicchia o iper specializzati ma dovranno cambiare anche loro. Intendo inserirmi in questo filone facendo il fornitore di «prodotti finiti» (Cameo, Rassegna Stampa, Video) ceduti a questi nuovi attori, cartacei compresi. Ceduti gratuitamente, perché il mio obiettivo non è il guadagno ma la visibilità delle mie idee contro l’ attuale modello di Ceo capitalism. Mi auguro che altri, nelle mie condizioni, seppur con altri ideali, lo facciano. D. Il metodo rimarrà lo stesso? R. Sono un analista che usa strumenti che non sono quelli classici dell’ analisi politica. Mi avvalgo della mia esperienza di esperto nello studio di organizzazioni umane complesse e in crisi: quando si lavora sui costi, aziende e stato soggiacciono alle stesse logiche. Divergono solo nella distribuzione degli utili, purché, prima, gli utili ci siano. D. Però non guardi i numeri per fare la tua analisi. R. No, guardo i segnali deboli. Quando devi risanare un’ azienda tecnicamente fallita non puoi applicare le regole dell’ analisi classica, cioè analizzare prodotti, mercati, produzione, organizzazione, costi, prospettive. Manca il tempo. Così mi avvalgo della tecnica dei segnali deboli. Un esempio banale: quando scoprii che Fiat e Ford agricoltura erano fallite ma avevano 55 manager nella Pianificazione strategica non feci alcuna analisi costi/opportunità: li licenziai tutti. La struttura e il mercato capirono il messaggio sotteso. I segnali deboli velocizzano il processo decisionale privilegiando la sensibilità manageriale alla burocrazia. D. Una definizione di Ceo capitalism? R. È un capitalismo degradato dove il potere viene tolto alla politica e passa ai Ceo, i quali, a loro volta, lo tolgono alla proprietà. Sono i nuovi principi del Rinascimento ai quali tutto è concesso. In realtà sono dei deal maker. Parlano di mercato ma lo hanno anestetizzato, lo scontro è finto perché è solo fra monopoli. Hanno inventato la disruptive innovation, che banalmente significa «corrompere» la politica per far fare delle leggi a proprio favore, eludere le tasse, costruire monopoli. Ma se provi ad applicarla contro di loro, ti distruggono. D. Non è qualunquismo il tuo? R. No, è analisi dei fatti che si leggono tutti i giorni. Filosoficamente, la prima idea del Ceo capitalism consiste nel mettere al centro il consumatore e non più il lavoro, cioè si riducono il lavoratore e il capitale in funzione del consumatore. Si livella tutto verso il basso, impoverendo la classe media, rendendola simile a quella povera, che si farà sopravvivere con il reddito di cittadinanza: zombie o schiavi dell’ Atene di Pericle. Il cammino inverso di quello voluto da Henry Ford o da Vittorio Valletta. D. Altre idee di fondo? R. La seconda idea di fondo è il lavorare sullo stile di vita dei consumatori. Ti vendono uno stile di vita simile a quello dei rotocalchi, ma in realtà è un mix di fuffa e cipria. È vero che paghi 19 per andare a Londra ma, nel frattempo, hai dato loro gratis i tuoi dati, loro ricevono contributi pubblici che derivano dalle tue tasse sottratte al welfare, compri nei negozi che loro ti indicano, fai i percorsi dove essi ti guidano, sempre «a poco prezzo». Infine, loro non pagano le tasse che invece tu paghi. Allora meglio il capitalismo classico: pagavo prodotti e servizi a prezzi di mercato e loro pagavano le tasse. D. Lo stile di vita ha poi una grande uniformità di pensiero, sull’ etica per esempio. R. Passeremo dalla provetta all’ eutanasia invece che dalla culla alla tomba. D. Confermi il tuo slogan «impoverire la classe media, sedare quella povera»? R. Assolutamente sì, ormai, come diceva il Duce (Fiano mi perdoni) il «solco è tracciato». D: Qualcuno delle élite ti dà ragione? R: La fascia medio bassa delle élite, di cui orgogliosamente faccio parte, è da aiutare. Devono prendere consapevolezza che, con questo modello, e relative ricettine, vanno al suicidio. È incredibile il numero di email e telefonate che ricevo in proposito. D. Sei soddisfatto di Trump? R. Ho considerato un regalo all’ umanità la sconfitta di Hillary Clinton, degna erede di Bill Clinton, George Bush, Barack Obama che in un quarto di secolo hanno sparso diossina economico-culturale in tutto l’ Occidente. Donald Trump, un accidente della storia, fa quello che poco più della metà degli americani vuole che faccia: lo «street fighter». Il fatto che tutta la stampa di regime, le felpe californiane, i liberal da limousine, lo odino visceralmente è una garanzia di cambiamento. L’ importante non è stata la vittoria di Trump ma la sconfitta dei New Borboni, questi «suprematisti bianchi 2.0» che vogliono farci vivere in una dittatura immersa in una nuvola di cipria. D. Vorresti Grillo al potere? Anche lui è anti élite. R. Per ora il M5s è una nave portacontainer di materiali alla rinfusa. Ne riparleremo quando, frantumandosi, prenderà una forma definitiva: traghetto, mercantile, nave da guerra. D. Vedi qualche buon segnale in giro? R. Alcuni. Oltre all’ uscita di scena dei New Borbone, il caso Brexit, i paesi dell’ Est, l’ inquietudine che attraversa l’ Europa sono segnali deboli importanti. I grandi nodi stanno arrivando al pettine. E incomincia a circolare la convinzione profonda che il mondo non può essere governato da idioti integrali come sono i principini di Silicon Valley. I giovani un giorno impareranno ad alzare gli occhi dallo smartphone, guarderanno il cielo, e diranno: basta! Io, ottusamente, ci credo. © Riproduzione riservata.

Rassegna Stampa del 23/09/2017

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Indice Articoli

A Rcs le minoranzedi Edit.

Ediland 2017, la ricetta per uscire dalla crisi

“Web tax, tassiamo gli utili ma non il fatturato dei big”

Un trio italiano nei media europei

Chessidice in viale dell’ Editoria

Corsera, Rcs consolida i dorsi

Bloccata riforma Franceschini

orsi & tori

Il super panel non stravolge la tv

Time vende le attività Uk da Wallpaper a Tv Times

Nasce il terzo editore francese (libri e fumetti)

A Rcs le minoranzedi Edit.

Corriere della Sera

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A Rcs le minoranzedi Edit. Fiorentina Rcs MediaGroup ha rilevato le quote di minoranza dai soci dell’ Editoriale Fiorentina, che dal 2008 pubblica il quotidiano locale «Corriere Fiorentino», abbinato al «Corriere della Sera»

Ediland 2017, la ricetta per uscire dalla crisi

Corriere della Sera

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«In un mercato dove l’ informazione di valore rimane un punto di riferimento fondamentale e l’ innovazione continua senza sosta, bisogna prendere atto che gli indicatori economici si sono stabilizzati ad un livello più basso delle previsioni. Non si può più, quindi, parlare di crisi del settore, ma di una situazione di riferimento con la quale confrontarsi e adeguarsi». Lo ha detto Gianni Paolucci, presidente dell’ Associazione degli stampatori italiani, all’ Ediland Meeting 2017, la conferenza promossa da Fieg, Asig e Osservatorio Tecnico «Carlo Lombardi» per i quotidiani e le agenzie di informazione.

“Web tax, tassiamo gli utili ma non il fatturato dei big”

La Stampa
MARCO BRESOLIN
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Venerdì prossimo i 28 leader europei saranno a Tallinn per un summit dedicato alle sfide che attendono l’ Ue nel mondo del digitale. Dalla Web Tax alla cybersicurezza, l’ Europa cerca di consolidare il suo mercato unico digitale. La delega al settore è nelle mani di Andrus Ansip, ex premier estone e attuale vicepresidente della Commissione. Che all’ inizio della prossima settimana sarà a Torino per presentare al G7 Industria le ultime proposte di Bruxelles. I governi hanno deciso di accelerare con l’ introduzione di una Web Tax per impedire ai colossi della Rete di sfuggire al fisco. Ma alcuni governi frenano e altri chiedono di attendere l’ Ocse con una soluzione globale. «Questo è un problema che va avanti da tempo. Serve una soluzione a livello globale ma ora non c’ è. L’ Ocse dovrebbe presentare un report a ottobre, ma forse slitterà a dicembre o gennaio E intanto il tempo passa, si perdono entrate fiscali, ma soprattutto si perde competitività perché non c’ è equità di trattamento tra le aziende». Sul tavolo avete messo diverse proposte: Italia, Francia, Spagna e Germania spingono per introdurre una tassa sul fatturato, an z iché sugli utili. «Bisogna fare molta attenzione, perché ci sono aziende che hanno costi superiori ai ricavi. E noi non possiamo tassare le perdite. C’ è poi l’ opzione di far stabilire una residenza virtuale alle aziende che operano su un territorio, in modo da tassare gli utili nello Stato in cui sono stati generati. Non è facile, ma ci stiamo lavorando». A Bruxelles state preparando una riforma del copyright che costringerebbe i motori di ricerca a pagare agli editori i diritti per lo sfruttamento degli articoli che vengono condivisi. Ma ci sono molte resistenze. «Una premessa: questa non è una tassa sui link, né è nostra intenzione introdurre un divieto di condivisione. Il punto è che qualcuno lucra sul lavoro fatto da altri senza riconoscimenti. E non va bene. Noi vorremmo permettere agli editori di essere in una condizione negoziale più forte per rivendicare i propri diritti». Chi contesta questo provvedimento dice che i motori di ricerca portano traffico ai siti di news. «Sì, ma molti lettori si fermano alle tre righe che vengono riportate sotto il link. Lì trovano l’ essenziale della notizia, che è stata prodotta da un giornale, e non ci cliccano sopra. La visibilità non è tutto. Se un operaio lavora in un’ azienda, magari può essere contento di sapere che il prodotto da lui realizzato è finito in mano a molti consumatori. Però la gratificazione non basta. Per mangiare serve uno stipendio». A Torino presenterà le ultime proposte sul mercato unico digitale. Cosa cambierà con le nuove regole sulla libera circolazione dei dati? «La rimozione delle barriere aiuterà l’ industria, che oggi si trova di fronte diversi ostacoli. In Europa ci sono 56 diverse leggi sulla conservazione dei dati, una frammentazione che moltiplica i costi e riduce l’ efficienza per chi si trova costretto a operare in più Stati». Chi potrebbe beneficiare di più della nuova normativa? «Certo quelle grandi, penso ad esempio all’ industria automobilistica. La robotica, settore sviluppato in Italia, ha bisogno di una più fluida circolazione dei dati. Ma anche le piccole imprese che rischiano di rimanere schiacciate. La rimozione delle barriere ci farebbe risparmiare 8 miliardi l’ anno. Il mondo è già digitalizzato e lo sarà ogni giorno di più. C’ è un treno che sta correndo davanti ai nostri occhi. Dobbiamo salirci al più presto». La circolazione dei dati si porta dietro però anche dei rischi legati alla cybersicurezza. Voi avete lanciato un’ Agenzia europea ad hoc: qual è la dimensione del problema? «In continua crescita. Il numero degli attacchi è triplicato in un anno ed è difficile stabilirne l’ esatto costo. Anche perché molte aziende non li denunciano. Questo perché il 95% degli attacchi è st a to favorito da un errore umano. Software non aggiornati, uso improprio delle chiavette Usb, eccetera Comunque le stime parlano di 265 miliardi di euro l’ anno nei Paesi Ue. Una cifra enorme. L’ Europa deve salire sul treno del digitale, ma la cybersicurezza è una sfida fondamentale. Servono cooperazione, innovazione e responsabilità».

Un trio italiano nei media europei

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ Italia ha tre media company nella top 25 europea: il triplo della Spagna, lo stesso numero della Francia e un po’ meno di Regno Unito (4) e Germania (5). È anche vero, però, che Mediaset, primo gruppo tricolore, arriva al nono posto con i ricavi 2016 a 3,66 miliardi, mentre gli altri due, Mondadori (1,26 mld) e Rcs (970 mln) sono al 22esimo e 24esimo posto rispettivamente, quindi al limite della classifica. In testa (secondo i dati messi insieme da hackers.media) ci sono un tedesco, un inglese e un francese, come nelle barzellette: Bertelsmann (16,95 miliardi), Sky (13,1 mld nei 12 mesi a giugno 2016) e Vivendi (10,8 mld), ma comunque anche nel podio la partecipazione italiana è presente, visto che Sky Italia è una delle tre gambe del gruppo con sede in Uk. Le aziende italiane, in ogni caso, si difendono anche in fatto di dinamismo. In particolare Mondadori rientra fra le tre media company che si sono fatte notare per il turnaround, per aver capovolto i risultati: -4% di ricavi nel 2015, +12,4% nel 2016. Ora, sappiamo che il +12% deriva in buona parte dall’ acquisizione di Banzai Media e soprattutto dei libri Rcs, altrimenti la variazione sull’ anno precedente sarebbe stata del -2,9%, ciò non toglie che la mossa è di rilievo. Insieme con Mondadori a livello europeo si è distinto il gruppo norvegese di annunci online Schibsted (da -0,6% a +4,6%) e l’ editore tedesco di magazine Hubert Burda (da -10% a +1%). Nessuna menzione per Rcs e Mediaset: la prima sta avendo il suo turnaround soprattutto quest’ anno con il nuovo editore; la seconda, che aveva preparato il suo piano europeo, è rimasta in stand-by dopo il dietrofront di Vivendi. Oltre al gruppo del turnaround, c’ è chi fra le media company europee della top 25 già aveva performance positive e continua a migliorare. È il caso di ProSiebenSat.1 che lo scorso anno ha segnato un +17% nei ricavi, della belga Persgroep (+10%), di Sky (+7% a giugno 2016 e +10% a giugno 2017), e della svedese Modern Times Group (+6%), tutte per almeno due anni in forte crescita. Gli ingredienti di questi gruppi sono vari: la pay tv con sport i primo piano per Sky che contemporaneamente ha investito sulla tecnologia da portare agli abbonati (Sky Q, il nuovo decoder in uscita in Italia); l’ e-commerce per ProSieben che si affianca alla tradizionale attività televisiva; l’ online gaming e l’ e-sports (la trasmissione di partite di videogame) come nuova frontiera da affiancare alle attività tradizionali (tv, radio e carta stampata), per Mtg. Fra i 25 maggiori gruppi ci sono poi quelli che, senza picchi particolari, continuano ad avere un business solido. È il caso delle aziende che vendono dati ad altre aziende, come Relx (Reed Elsevier) che ormai ha il 72% dei ricavi dalle attività in digitale, e Wolters Kluwer, che dall’ online ricava l’ 85%. Ovvio che, però, fra le 25 big ci sono anche media company che non hanno ancora trovato il punto di svolta e il cui posizionamento nella classifica nella migliore delle ipotesi non è destinato a migliorare.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Nuovo appuntamento di CasaCorriere nel ventennale del Corriere del Mezzogiorno. Riprendono gli appuntamenti di CasaCorriere dedicati ai 20 anni del Corriere del Mezzogiorno, con l’ incontro «L’ immagine e l’ immaginario», in programma giovedì prossimo alle 18 al Chiostro di Santa Patrizia, a Napoli. Aprirà l’ incontro un’ introduzione di Enzo d’ Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno. Seguirà la conversazione sul tema «L’ immagine e l’ immaginario» con: Gabriella Buontempo (Clemart, produttrice de I bastardi di Pizzofalcone), Lorenzo Mieli (Fremantlemedia, produttore de L’ amica geniale), Carlo Macchitella (Madeleine, produttore di Passione di Turturro e di Ammore e malavita dei Manetti Bros), Luciano Stella (Mad Entertainment, produttore de La gatta Cenerentola), Giuseppe Paolisso (rettore dell’ Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) e con gli scrittori Maurizio de Giovanni e Diego De Silva. Airbnb e Hearst rafforzano la partnership. Vivere in prima persona l’ esperienza di una redazione digitale, affiancando per un giorno un digital fashion editor a Milano, città icona per la moda nel mondo. MarieClaire Fashion Journalist è la prima esperienza ospitata da MarieClaire.it, testata femminile di Hearst (del gruppo Hearst Digital). L’ annuncio è stato dato in occasione dell’ inaugurazione di CasaMC powered by Airbnb, il tradizionale evento legato alla fashion week giunto ormai alla quinta edizione. Si allarga così il perimetro di collaborazione fra Airbnb e Hearst, che già comprende la pubblicazione del nuovo magazine airbnbmag e la tradizionale esperienza di casaMC durante le settimane della moda. Domus è Green a settembre. Il numero di settembre di Domus si tinge di verde, come ogni anno, grazie all’ allegato Green, fascicolo di 64 pagine in omaggio e interamente dedicato alla sostenibilità. In particolare il periodico indaga le conseguenze del rapporto a tre uomo-natura-tecnica e racconta le città di Singapore, Portland e Stoccolma, giudicandole simboli di una consapevole gestione del territorio. Nel numero infine c’ è anche l’ uso dei big data nell’ architettura, utilizzato per esempio per pianificare nuovi complessi che tengano conto delle abitudini in evoluzione dei suoi cittadini.

Corsera, Rcs consolida i dorsi

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Rcs conclude sotto la gestione di Urbano Cairo il consolidamento delle società che pubblicano le edizioni locali del Corriere della Sera. Si tratta di un iter iniziato anni fa e giunto a compimento con l’ annuncio di ieri riguardo all’ acquisizione delle quote di minoranza dei soci di Editoriale Fiorentina, che pubblica dal 2008 il Corriere Fiorentino in abbinamento col quotidiano diretto da Luciano Fontana, hanno precisato con una nota da via Rizzoli a Milano. L’ operazione nell’ editrice toscana (dove Rcs aveva in mano poco più del 50%) segue quelle, tra le altre, in Trentino Alto Adige, a Bologna, nel Mezzogiorno e alla fine dello scorso maggio anche in Veneto dove gli azionisti locali erano meno propensi a vendere, secondo quanto risulta a ItaliaOggi. Di Editoriale Veneto hanno fatto parte tra gli altri industriali come i Riello e gli Zonin, di Editoriale Fiorentina le famiglie Pecci, Antinori tramite la Tosco-Fin e Giunti Editore. Oggi nasce formalmente un vero e proprio network sotto il cappello Corriere della Sera giusto in tempo per l’ avvio della nuova edizione locale a Torino che Cairo ha affidato alla direzione di Umberto La Rocca, ex direttore del quotidiano ligure Secolo XIX. In redazione, infatti, sono attesi una dozzina circa di giornalisti, di cui la metà provenienti da altre edizioni locali del Corsera. Senza poi pensare a ipotesi di ulteriori nuovi dorsi da lanciare prossimamente, per esempio in Liguria o in Friuli (vecchio progetto di casa Rcs). Quindi il nuovo network segna già un suo primo tratto distintivo non scontato rispetto al passato: quello di una maggiore mobilità interna dei cronisti. In aggiunta, rispetto a modelli precedenti, l’ obiettivo è oggi quello di unificare snellendo, senza dover creare per esempio una sorta di hub, ulteriore struttura interna al gruppo per coordinare i dorsi sul territorio. Snellimento vuol dire, poi, non solo mobilità delle firme ma anche e soprattutto accentramento definitivo (come già in parte avviene) di tutte le funzioni di spesa, amministrazione, stampa e distribuzione. Ossia, in pieno stile Cairo, tutte le decisioni saranno prese a Milano senza doversi confrontare, discutere con altri. Sinergie editoriali e controllo dei costi a parte, con la conclusione di questa operazione, Rcs-Corriere della Sera si allinea infine alle attuali tendenze del mercato editoriale italiano dove, dopo le concentrazioni tra alcuni gruppi, l’ attenzione si sposta sul presidio del territorio, a tu per tu con gli inserzionisti pubblicitari locali. A farlo, tra gli altri, ci sono già Quotidiano Nazionale-Qn (dorso nazionale di Giorno, Nazione e Resto del Carlino, edito da Poligrafici Editoriale) e il nuovo polo Gedi che può contare (oltre a Repubblica) sia su Stampa e Secolo XIX sia su i giornali locali Finegil dell’ ex gruppo L’ Espresso (vedere ItaliaOggi del 18/7/2017). Non a caso, sempre ieri, Cairo ha dichiarato che «per il futuro, continueremo a investire sul Corriere Fiorentino e su altre testate locali con l’ obiettivo di rafforzarle e unire all’ autorevolezza del Corriere della Sera la capillare informazione nei diversi territori».

Bloccata riforma Franceschini

Italia Oggi

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Congelata per il momento la riforma dell’ articolo 44 del Tusmar (Testo unico servizi media audiovisivi radiofonici), promossa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini. L’ esame del nuovo testo slitta ai prossimi consigli dei ministri, dopo che tutti i principali editori tv (Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Disney e De Agostini) hanno firmato un’ unica lettera contro l’ innalzamento degli investimenti in produzioni europee, italiane e indipendenti. Non solo, i broadcaster contestano i nuovi obblighi di programmazione. Il ministro Franceschini ha quindi annunciato l’ avvio di un confronto ma ha dichiarato che «non è possibile lamentarsi che il cinema italiano non sia vincente e contemporaneamente non venga aiutato dal sistema televisivo».

orsi & tori

Italia Oggi
PAOLO PANERAI
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C’ è una terza via al capitalismo italiano. La prima è quella degli imprenditori che decidono di mettere ogni risorsa nelle proprie aziende per attuarne lo sviluppo massimo. La seconda è quella degli imprenditori che gettano la spugna per varie ragioni, come nel caso dei Pesenti per il cemento e in parte, sempre per il cemento, dei Caltagirone, che hanno venduto i loro stabilimenti italiani a un’ impresa di nome italiano, appunto Italcementi, ma in realtà controllata oggi da un grande gruppo tedesco in seguito alla decisione dei Pesenti. La lista di chi per un motivo generazionale, per malattia (gli unici, sicuramente giustificati), per crisi o altro ha deciso o sta decidendo di vendere è lunghissima. E comunque la motivazione più frequente è che in Italia mancano i capitali. La terza via è stata aperta in questi giorni da Marco Tronchetti Provera con il ritorno in borsa di Pirelli, un nuovo statuto e una nuova governance: anche se il controllo passa ai cinesi di ChemChina (avranno circa il 45%), l’ integrità del gruppo, dalla sede alla detenzione del know-how e a ogni valore sensibile, rimarrà in Italia. Lo statuto prevede infatti che per trasferire occorre il 90% dei voti favorevoli. Basta quindi un 10% che sicuramente rimarrà in mano italiana per impedire di svuotare il gruppo Pirelli. Il fatto che ChemChina abbia accettato uno statuto come questo equivale al fatto che abbia riconosciuto l’ importanza di mantenere italiana la società pur avendo investito parecchi miliardi. In definitiva, quindi, la terza via al capitalismo è tenere alto il valore di imprese profondamente italiane, strategiche per l’ Italia, cercando certo capitali internazionali per sviluppare l’ azienda, ma a condizione che tutto rimanga italiano. Non è certo un’ operazione semplice, ci vogliono imprenditori-manager del valore ma anche della volontà di Tronchetti Provera, consapevole dei 145 anni di storia italiana dell’ azienda e della necessità di non sferrare un altro duro colpo al sistema industriale ed economico italiano. Quindi, Signori imprenditori, oggi Tronchetti, se non ce la fate da soli ad avere i capitali necessari per lo sviluppo, vi ha aperto una terza via. Non la dimenticate. Ma non si può dimenticare neppure il paradosso italiano. Quando si parla di mancanza di capitali italiani e si tenta di giustificare il basso sviluppo provocato dai bassi investimenti, si commettono più errori. Il primo è che i capitali, in termini di risparmio complessivo degli italiani, non mancano affatto. Come è stranoto, l’ Italia è seconda nel mondo per indice di risparmio subito dopo il Giappone, dove i capitali, proprio per l’ alto risparmio, non mancano. Come mai allora in Italia mancano? La risposta più lineare è: perché manca un mercato dei capitali, che manca non solo, anche se principalmente, per una borsa asfittica, dove da decenni le società quotate sono sempre poco più di 300. I numeri sono crudi e duri: la ricchezza finanziaria di imprese e famiglie italiane è pari a oltre due volte il debito pubblico che ha raggiunto i 2.281 miliardi. Di questa ricchezza, oltre 2 mila miliardi sono investiti in fondi, Sicav e gestioni censite da Assogestioni; i fondi e le Sicav estere assorbono circa 750 miliardi; altri 250 miliardi sono impiegati in fondi italiani; i restanti mille miliardi sono in gestioni o in conti amministrati. Se si tiene anche conto che la totale capitalizzazione della borsa italiana arriva a malapena a 645 miliardi, è facile concludere che non più del 30% del risparmio italiano dato (in senso generale) in gestione è investito in Italia, considerato anche che i maggiori investitori nei titoli di Piazza Affari sono fondi stranieri, a cominciare dal Fondo strategico norvegese, che non è certo nei portafogli degli italiani. Si riconferma quindi il paradosso per cui gli italiani risparmiano, ma i loro risparmi vanno a sostenere le economie di altri Paesi o il debito dello Stato, che come è noto non è assolutamente produttivo per lo sviluppo del Paese. Le cause? Appunto, la mancanza di un vero mercato dei capitali. Che non vuol dire solo borsa, che appunto è asfittica come nessun’ altra al mondo; ma anche mancanza di canali per far affluire il risparmio alle aziende, che in Italia sono soprattutto piccole e medie. Il tentativo di creare un mercato per le Pmi come è l’ Aim di Londra, dove sono passate oltre 3 mila aziende e oltre mille sono tuttora quotate, è ancora agli inizi e solo un’ opera incompiuta come i Pir (Piani individuali di risparmio) gli ha dato un flebile impulso. Nel resto del mondo, che pure ha strutture economiche basate su aziende medio-grandi e poche aziende piccole, ci sono poi, come negli Usa, piattaforme per far incontrare risparmio e aziende con la necessità di capitali per crescere. Il sub paradosso è che la borsa italiana, il cui obiettivo per definizione è di essere un mercato con titoli quotati, ha avviato una piattaforma per far incontrare risparmio e domanda di capitali, ma senza prevedere la immediata quotazione, quindi senza alimentare un mercato aperto. Non vi è dubbio che alla base di questa situazione c’ è storicamente la politica di Mediobanca di Enrico Cuccia (per anni l’ unica banca d’ affari italiana) indirizzata alla difesa di poche famiglie capitaliste, con artifici come quelli che per decenni hanno consentito le partecipazioni incrociate fra Pirelli e la Smi degli Orlando: Leopoldo Pirelli aveva circa il 7% della sua società ma il 20% di Smi e quest’ ultima, in cui gli Orlando avevano solo il 10%, possedeva il 20% della Pirelli. In questo modo per troppo tempo la borsa italiana è apparsa agli occhi di investitori e imprenditori più una bisca comandata dal biscazziere che un mercato aperto. Per anni non c’ è stata un’ Agenzia di controllo del mercato e quando è stata creata la Consob per molti anni è stata gestita da superburocrati come l’ ex ragioniere generale dello Stato, Vincenzo Milazzo, andreottiano di ferro, e addirittura da un gestore di sale teatrali come Bruno Pazzi, persona sicuramente intelligente, ma anche lui lì per la fede andreottiana. Insomma, un ritardo di decenni sulle regole e i controlli del mercato, dove pochi comandavano e guadagnavano e molti non contavano niente e perdevano. Un ritardo che non è stato affatto recuperato anche quando le regole del mercato si sono messe al passo con la migliore best practices. Negli anni di quella borsa-bisca, quando c’ erano le corbeille, bastava che il commissionario Aldo Ravelli si avvicinasse a quella dove veniva chiamato e negoziato un titolo e quel titolo scendeva, perché Ravelli era il re dei ribassisti; oppure bastava che si avvicinasse il commissionario Armando Signorio, che era il re dei rialzisti, e il titolo saliva. Ravello e Signorio erano due personaggi straordinari che hanno fatto grandi fortune e che capirono benissimo che quell’ andazzo non avrebbe potuto continuare, tanto che si sono ritirati tempestivamente. Purtroppo l’ immagine della borsa è stata così profondamente coincidente con una bisca per pochi che anche quando le regole sono migliorate, e la Consob è diventata una cosa seria, gli imprenditori e i risparmiatori hanno continuato a tenersene alla larga. In altre parole, in Italia non c’ è tuttora una cultura dell’ investimento azionario in borsa. A ciò ha naturalmente e profondamente contribuito anche il crescente, folle, indebitamento dello Stato che ha offerto tassi di interesse crescenti facendo credere agli italiani che si poteva raddoppiare il proprio capitale in pochi anni senza rischi. Una specie di cane che si morde la coda: più debiti dello Stato, più guadagni per i detentori, senza rischio vero, di Bot, Cct, Btp. Non vi è dubbio che la grande ricchezza degli italiani è stata generata dalla crescita del debito pubblico e che quindi ora lo Stato dovrebbe creare le condizioni per offrire ai risparmiatori (intendendo anche i miliardari) la possibilità di investire quei capitali in attività produttive, adeguatamente tassate. Adeguatamente vuol dire non in alto, ma in basso, considerati i livelli ai quali la pressione fiscale italiana è arrivata. In primo luogo lo Stato (lo sanno bene i lettori di queste colonne) dovrebbe smobilizzare larga parte del patrimonio immobiliare passato agli enti locali, con il triplice risultato di tagliare il debito, risparmiare sugli interessi, avere risorse dirette da investire nello sviluppo. In fin dei conti gli italiani amano più di ogni altro investimento gli immobili e quindi sarebbero ben lieti, se fiscalmente agevolati, di restituire in investimenti immobiliari quello che lo Stato gli ha versato in interessi su Btp e Cct. Ma ciò non basta. Sono necessari uomini coraggiosi che, conoscendo profondamente l’ animo dei risparmiatori e la struttura del sistema imprenditoriale italiano, vogliano sottrarre le Pmi alla schiavitù di dipendere sempre e comunque dal credito bancario, peraltro sempre più difficile da ottenere e che era arrivato al 90% del fabbisogno. Ci vogliono uomini coraggiosi che hanno la fiducia dei risparmiatori e dei piccoli e medi imprenditori perché non gli hanno mai traditi. Per fortuna, un uomo così c’ è, e poche settimane fa ha lanciato un messaggio che dovrebbe entusiasmare tutti. Ennio Doris, il ragioniere che viene dal Veneto del commercio del bestiame, che era diventato capo di Dival, la società dei promotori Ras, e che propose a Silvio Berlusconi di creare insieme quella che è Banca Mediolanum, ha detto a MF-Milano Finanza che vuole portare in borsa, all’ Aim e poi al mercato superiore, mille aziende, piccole e medie. Finora Mediolanum ha solo raccolto risparmio e non fatto prestiti, con una banca sempre all’ avanguardia della tecnologia. Ora ha deciso che l’ Italia non può più attendere per cercare lo sviluppo e, con lo slancio e l’ intelligenza che lo contraddistinguono ha deciso di aprire anche una divisione Banca d’ Affari per assistere e spronare appunto mille aziende piccole e medie ad attingere a parte del grande risparmio italiano. Questo è finalmente un programma serio per far compiere all’ Italia un salto in avanti, che ridimensioni il paradosso di essere il numero due nel risparmi ma anche il numero uno nel far andare larghissima parte di questo risparmio all’ estero. Questo non è né nazionalismo né negazione della globalizzazione. È consapevolezza che, per avere sviluppo, occorrono investimenti costanti e massicci, specialmente in un momento della Storia come questo in cui la tecnologia viaggia più veloce della luce. Per questo ItaliaOggi e tutti i media di Class Editori saranno sempre di sostegno a un progetto come quello di Doris, l’ uomo che dal nulla, con Capital sottobraccio, propose sulla piazza di Portofino a un Berlusconi allora solo imprenditore di lanciare un progetto, Programma Italia, a cui allora nessuno credeva e che ora, nella materializzazione di Banca Mediolanum, potrà segnare profondamente il futuro del sistema economico, produttivo italiano. P.S. Allegato a Milano Finanza da oggi in edicola, con un sovrapprezzo modico, i lettori trovano un libretto, molto agile, perfino modesto nella veste, che affronta un tema fondamentale per il futuro con la domanda in copertina Che mondo sarà con il potere in mano ai Creso del digitale? Finora il mondo è stato governato dai politici, in democrazia, nei regni, negli imperi e perfino nelle dittature, che ovviamente sono la versione più riprovevole della politica. Oggi, se l’ Europa non si sveglia, se la Cina non mette in campo i suoi campioni del digitale per competere con gli Over The Top, si rischia la dittatura della tecnologia, dei Creso pieni di migliaia di miliardi che con la tecnologia stanno condizionando il mondo.

Il super panel non stravolge la tv

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dando una occhiata ai dati di ascolto dei principali network televisivi in Italia nelle prime tre settimane di settembre, si può dire che il super panel di Auditel introdotto al 30 luglio con un campione di 16 mila famiglie e 41 mila individui (il triplo rispetto al passato) non ha per ora stravolto le gerarchie del passato. C’ era molta curiosità sul mercato per capire se la nuova metodologia Auditel avrebbe rivoluzionato sin da subito i consolidati equilibri. Ma analizzando i dati, e confrontandoli con quelli delle prime tre settimane del settembre 2016 (raccolti con la vecchia metodologia), sul target individui (ovvero dai 4 anni in su) Rai continua a dominare, con Rai Uno di gran lunga primo canale assoluto. Nell’ intero panorama televisivo italiano, i nove canali generalisti ai primi tasti del telecomando raccolgono, dal 1° al 21 settembre, il 56,63% di share sul totale giorno, rispetto al 57,27% di share nello stesso periodo del settembre 2016. Gli altri canali del digitale terrestre pesano invece per il 26,58% di share (erano al 25,64%), mentre i canali pay di Sky e Fox valgono il 5,65% (5,73% nel 2016). Non ci sono, quindi, enormi spostamenti. Scendendo nel dettaglio dei singoli canali, Rai Uno chiude le prime tre settimane di settembre con una media del 16,28% di share sul totale giorno (cresce di 0,9 punti) e una audience media a quota 1,57 milioni di persone (+9% sullo stesso periodo 2016). Rai Due cala al 6% di share e Rai Tre si consolida al 5,5%. Quanto ai generalisti di Mediaset, Canale 5 scende al 13,71% (perde un punto di share), Italia Uno al 4,84% (perde 0,4 punti) e Rete 4 al 3,9%. In calo pure La7, al 2,82% (era al 3,19% nelle prime tre settimane del settembre 2016), anche se va detto che quest’ anno, con l’ arrivo di molti nuovi programmi, il palinsesto della tv controllata da Urbano Cairo entrerà a regime tra ottobre e novembre. Molto bene Tv8 di Sky, sopra il 2% nelle 24 ore (era all’ 1,68%) e spesso attorno al 3% in prima serata. Nove di Discovery, in settembre, si posiziona all’ 1,48% di share (era all’ 1,07 nel 2016), ma non è la nona forza del panorama televisivo italiano, essendo superato, nelle 24 ore, sia da Rai YoYo (1,62%, in crescita rispetto all’ 1,47% di un anno fa) sia da Real Time (altro canale Discovery) con il suo 1,56%. Piuttosto vicina pure Rai 4, con l’ 1,37%. Raddoppiano gli ascolti di Mediaset Extra, che passa dallo 0,58 all’ 1,13% di share: ma qui conta l’ effetto Grande Fratello Vip. E ci sono buoni risultati a Sky Uno e Sky Atlantic, ovvero il pacchetto intrattenimento di Sky, che aumenta l’ audience media del 30% sul settembre 2016.

Time vende le attività Uk da Wallpaper a Tv Times

Italia Oggi

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Il gruppo americano Time mette sul mercato i suoi asset. Tra le varie attività in vendita c’ è l’ editrice britannica che pubblica la testata francese Marie Claire, Wallpaper, New musical express-Nme e Tv Times. A far propendere per la cessione sono stati gli ultimi dati relativi alla raccolta pubblicitaria sia su carta stampata sia su internet, in calo più del previsto. L’ editore Usa, che pubblica Oltreoceano l’ omonimo Time, Sports Illustrated e People, ha annunciato di voler vendere anche altre attività e che le singole procedure di vendita sono giunte a differenti stadi, gli uni dagli altri. Al momento, non sono stati firmati accordi definitivi.

Nasce il terzo editore francese (libri e fumetti)

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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I Puffi, Les Schtroumpfs in francese, i simpatici intramontabili gnometti blu creati dal disegnatore belga Peyo (siamo nel lontanissimo 1958), cambiano padrone. Anzi ne trovano un secondo che, unito al primo cioè all’ attuale editore, il gruppo Média-Partecipations, farà nascere il terzo gruppo editoriale francese, dopo Hachette (2,2 miliardi di ricavi) e Editis (che però appartiene agli spagnoli di Planeta e fa solo 800 milioni di fatturato), specializzato in romanzi, fumetti, libri d’ arte e di fotografia. Insomma un piccolo colosso da oltre 500 milioni di euro di fatturato che nasce dalla somma dei fatturati delle due aziende che si preparano alle nozze: i 300 milioni di Média-Partecipations (che oltre ai Puffi ha in portafoglio tanti altri carachter, da Batman a Lucky Luke, il cow boy gentile, Spirou, amatissimo dai bambini francesi, e Blake e Mortimer, protagonisti di spy story che risalgono agli anni della Guerra Fredda) e i 200 milioni della casa editrice La Martinière, fondata negli anni Novanta da un ex direttore commerciale di Hachette, Hervé La Martinière, che è stato così bravo da essere riuscito a coinvolgere nell’ azionariato della sua startup – ma allora non si chiamavano così- due mastini del mondo degli affari come i fratelli tedeschi Alain e Gérard Wertheimer, i riservatissimi proprietari dei profumi Chanel, tra i più ricchi al mondo secondo la classifica di Bloomberg. Oggi lo stesso Hervé, che è diventato famoso pubblicando lo straordinario libro fotografico La Terra vista dal cielo (del fotografo-regista e ora guru dell’ ambiente Yahn Arthus Bertrand, 4 milioni di copie in tutto il mondo), mette a segno un altro colpo da maestro: vende la sua quota a Média-Partecipations, che vende 30 milioni di copie l’ anno ed è leader nel segmento fumetti, con tutti i collaterali possibili, a cominciare dai dvd (più di 2 milioni di pezzi). Così, quasi senza saperlo, i padroni di Chanel si trovano sempre più impegnati in editoria, soci di un gruppo editoriale cresciuto in questi anni partendo da un piccolo giornale cattolico, Famille Chretienne, fondata negli anni 50, da Remy Montagne, il padre (scomparso) dell’ attuale proprietario, Vincent. Il quale, in questi anni, s’ è dimostrato per attivismo e intuizioni editoriali (i fumetti, in primis) degno del padre, un avvocato d’ affari di origine belga, eroe di guerra durante la seconda mondiale, rappresentante di quella Resistenza cattolica contro il nazismo che l’ ha portato in politica, deputato (ha battuto Mendés France nel suo collegio nel 1958), sottosegretario e perfino ministro della sanità durante il governo Barre nel 1988. Quindi il ritiro dalla scena e l’ ingresso in editoria, con alcune collane di libri, fino a diventare grande con il gruppo Média-Partecipations. Che ora si fonde con La Martinière e diventa il terzo editore francese, superando il gruppo Madrigall (ex Gallimard), quello che ha tolto le castagne dal fuoco agli italiani di Rcs rilevando, due anni fa, il gruppo Flammarion. In via Solferino avevano tanto bisogno di soldi.

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