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MediaPro, tra ricchi scemi e superpippe
Dalla Rai a Cassa Depositi L’ eredità di Gentiloni è un’ infornata di nomine
Nasce l’ emoji che si trasforma in sondaggio social
«Il Salone fa bene all’ Italia»
MediaPro, tra ricchi scemi e superpippe
Il Fatto Quotidiano
Paolo Ziliani
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Due bandi che vanno a vuoto; un terzo con la madonna Mediapro che appare e promette la salvezza eterna (1.050 milioni); la Lega che grida al miracolo e assegna i diritti; Sky che fa ricorso; la fideiussione di Mediapro che non arriva più; il Tribunale che dà ragione a Sky; Mediapro che fa ricorso; la Lega senza una lira che va in paranoia; i tempi che slittano; e il terrore che il baraccone del pallone imploda su se stesso. Diciamolo: si stanno superando i presidenti di serie A che 60 anni fa (guarda caso dopo la non qualificazione al mondiale del 1958) Giulio Onesti definì “ricchi scemi”. La domanda è: riusciranno i nostri eroi a battere il record di minchioneria stabilito una quindicina di anni fa ai tempi di “Gioco Calcio” e di “Conto Tv”? Come si dice in questi casi, riavvolgiamo il nastro. Il 26 agosto 2003 viene presentato in pompa magna il consorzio televisivo “Gioco Calcio Tv” presieduto da Antonio Matarrese, grande boss del pallone e all’ epoca vicepresidente della Lega, che si propone di tutelare gli interessi di alcuni club di seconda fascia (sei di serie A: Ancona, Brescia, Chievo, Empoli, Modena e Perugia; e sei di serie B) rimasti senza contratto televisivo. A garantire la bontà dell’ operazione ci sono personaggi illustri come Franco Tatò, Lucia Morselli ed Enrico Bendoni legati a Pmt (Plus media trading), la controllante di “Gioco Calcio” che ha come presidente Gino Corioni, proprietario del Brescia, e come sponsor Franco Sensi, presidente della Roma. Che cos’ è “Gioco Calcio”? Praticamente il canale tv ante litteram della Lega Calcio, nato per contrastare lo strapotere della neonata Sky. Squilli di tromba, ma tempo pochi mesi e già volano gli stracci. E le denunce. I club che hanno aderito infatti non vedono una lira: e i milioni che ballano sono tanti, almeno 50. Il Modena è il primo a saltare dalla bagnarola facendosi rimorchiare in mare aperto dal transatlantico Sky; ma è il Perugia, assistito dall’ avvocato Grassani, a rompere gli indugi e a portare tutti in tribunale chiedendo il pagamento dei 9 milioni pattuiti. “Siamo un pugno di uomini coraggiosi che sfidano l’ impossibile”, avevano detto Matarrese & C. il giorno della presentazione. Peccato occorressero i soldi: innanzitutto per ricapitalizzare la società. Ma i centomila euro di capitale iniziale, che dovevano diventare 30 milioni entro la fine del 2003, centomila euro sono rimasti. Un po’ pochi, diciamolo. Che dire poi dell’ estemporaneo flirt, poco più di un coitus interruptus, portato avanti con “Conto Tv”? Già il fatto di nascere dalle ceneri del defunto canale televisivo “Superpippa Channel” (come dice la parola stessa, specializzato in programmi a luci rosse) avrebbe dovuto mettere in guardia: e invece no. Chiusa per intervento dell’ Authority, Superpippa rinasce nel luglio 2004 come pay tv e col nome di “Conto Tv”. I programmi hot a dire il vero proseguono (fra i più apprezzati, le lezioni di inglese tenute da pornostar), ma nel 2007 “Conto Tv” sbarca di colpo nel calcio acquistando i diritti della Fiorentina, partite di serie B e serie C1 e addirittura i preliminari di Champions e Europa League. Sembra l’ inizio di un grande amore col Palazzo del Pallone, un’ attrazione fatale: e invece il destino è cinico e baro e il Tribunale di Milano intima la chiusura anche di “Conto Tv”, che nell’ agosto 2013 prematuramente ci lascia. Non fiori, ma superpippe.
Dalla Rai a Cassa Depositi L’ eredità di Gentiloni è un’ infornata di nomine
Il Tempo
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C’ è anche un consistente pacchetto di nomine nell’ eredità che il governo uscente lascia ai nuovi inquilini di palazzo Chigi. Un «tesoretto» calcolato in qualcosa come 350 poltrone circa, tra Cda e collegi sindacali. Una lunga stagione di rinnovi che avrà il suo top nel biennio 2019-2020 ma che, in realtà, parte proprio in queste settimane con la scadenza dei vertici Rai e Cdp. A viale Mazzini la corsa per il cambio della guardia al settimo piano è già partita: con l’ approvazione del bilancio fissata al 30 giugno, a norma di legge, il vertice guidato dal duo Monica Maggioni-Mario Orfeo arriva al capolinea. La procedura per il rinnovo è già partita e con la nuova legge la scelta del Cda è rimessa al Parlamento. Ma l’ indicazione del Dg e del presidente resta nel «carnet» dell’ azionista, cioè il governo. In Rai, tra le altre cose, il ricambio alla guida darà di fatto il via al rinnovo del board di alcune società «satelliti» dal ruolo chiave, come per il caso di RaiWay. Altro rinnovo che «scotta» è certamente quella di Cdp, per il ruolo chiave e la rilevanza che nel tempo è andata acquisendo la Cassa depositi e prestiti per gli interessi pubblici. Il destino del «board» dovrà essere deciso a giugno, con l’ ok ai conti, quando bisognerà trovare gli «eredi» del presidente Claudio Costamagna e dell’ Ad Fabio Gallia. Cassa depositi e prestiti proprio in queste settimane è accostata a Alitalia, per la quale il Cdm ha di recente prorogato fino a ottobre i termini per la vendita passando di fatto la palla al nuovo esecutivo, che troverà anche questo dossier sul suo tavolo. Di prossima competenza del governo sono poi una serie di scelte per ruoli di primo piano, anche se meno visibili rispetto ai vertici di società pubbliche o partecipate. È il caso del Dg del ministero del Tesoro, con l’ attuale titolare Vincenzo La Via di fatto scaduto e non prorogato come è accaduto di recente (per un anno) al ragioniere generale dello Stato Daniele Franco. Nel settore Difesa, poi, dopo l’ estate sul tavolo dell’ esecutivo ci sarà la scadenza del capo di stato maggiore, generale Claudio Graziano, e del segretario generale Carlo Ma grassi. Da rinnovare anche i vertici Gse e Sogei. Ma al risiko delle nomine si comincerà a giocare seriamente nel biennio 2019-2020, quando una dozzina di società quotate e controllate dal Tesoro avranno i vertici a fine mandato. Si tratta di una «infornata» di Cda di primissimo livello, da Enel a Eni passando per Snam, Terna, Poste, Leonardo, Italgas, Mps, Enav, Fincantieri e altre ancora. Si tratta di scelte che, di fatto, ridisegneranno la mappa del potere per i prossimi anni. Un’ altra serie di scadenze, non certo meno importanti, sono quelle cui si troverà prossimamente di fronte il nuovo Parlamento. Tra queste, c’ è sempre la scelta dei componenti della Consulta, quella relativa al Csm e all’ Antitrust, dove il il presidente Giovanni Petruzzella ha annunciato che lascerà il suo incarico a ottobre, in anticipo sulla scadenza di novembre.
Nasce l’ emoji che si trasforma in sondaggio social
Il Giornale
Anna Muzio
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Anna Muzio Forse è perché scrivere in fondo stanca, e quelle 26 lettere dell’ alfabeto sono così astratte e antiche, ma è un fatto certo che gli emoji, le faccine gialle inventate a fine degli anni Novanta dal giapponese Shigetaka Kurita, sono sempre più protagoniste delle nostre comunicazioni. L’ ultima notizia arriva da Instagram, che ha deciso di renderli modulabili, utilizzandoli per votare su questioni semplici. Alla domanda: «Quanto piccante ti piace il cibo?», prendi un simbolo tra le centinaia disponibili (peperoncino, faccina che ride eccetera), lo trascini avanti o indietro per «votare» e appaiono i risultati. Secondo il social dalle poche parole e tante immagini, gli adesivi con emoji a scorrimento sono utili per avere un consiglio immediato e per «essere più vicini ai tuoi amici e follower». Sarà. Resta il fatto che gli emoji, resi fenomeno globale da quando sono disponibili nei messaggi via smartphone, hanno se non sostituto senz’ altro integrato la scrittura alfabetica. Magari pure danneggiandola. Una ricerca di Youtube nel Regno Unito ha puntato il dito proprio contro questo «nuovo linguaggio» che minerebbe le capacità ortografiche del pubblico adulto, con la metà dei britannici insicuro del proprio spelling e il 94 per cento che pensa che la lingua inglese sia in declino rispetto al passato. Noi intanto continuiamo a usarli, quanto meno nei messaggi spiccioli, quotidiani. Tanto che per facilitarci la vita ogni anno se ne aggiungono di nuovi, e così diventano una cartina al tornasole della nostra società, della quale seguono le evoluzioni negli usi e nei costumi. Ad esempio anche gli emoji, che oltre alle faccine gialle coprono una vasta gamma di categorie, dal cibo ai mestieri, dagli animali ai trasporti ai mille oggetti della vita quotidiana, diventano politically correct. Dal 2015 se ne può scegliere la sfumatura della pelle. Scompaiono quelli scomodi, o pericolosi. Nel 2016, dopo che in Francia un uomo era stato condannato a sei mesi di carcere per avere mandato alla ex fidanzata il simbolo di una pistola (vera), terrorizzandola, Apple la rimpiazzò prontamente con una verde e innocua pistola ad acqua. E oggi è stato seguito da tutte le altre piattaforme, da Samsung a Google. L’ Unicode Consortium che li cataloga al momento ne elenca 1644. Ma per il 2019 ne ha già proposti altri 104, dal fenicottero rosa alla zanzara alla faccina che sbadiglia, che, incredibile a dirsi, ancora non c’ è. Tra le nuove proposte, varie sono dedicate alle disabilità, come l’ orecchio con protesi acustica, le persone con il bastone bianco e in sedia a rotelle, la protesi di braccio o gamba e il cane guida. Ma arrivano anche il sari e le scarpe da balletto, la puzzola e l’ orango, e, per i buongustai, ostrica, falafel e waffle. Ci chiediamo poi come abbiamo fatto finora senza l’ emoji del cubetto di ghiaccio, del banjo e del cerotto.
«Il Salone fa bene all’ Italia»
Corriere della Sera
da una dei nostri inviatiCristina Taglietti
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TORINO «Non solo il dolce è venuto bene, ma sta piacendo a tutti». Questo è il Salone del Libro di Torino secondo il suo presidente Massimo Bray a metà di una domenica molto affollata dopo l’ overbooking di sabato. «Due ragazze mi hanno detto che per l’ incontro di Piero Angela, a mezzogiorno di domenica, si sono messe in coda alle 9 – dice Bray – Per me il Salone è questo». Il dolce piace a piccoli e grandi (editori), ma quale sia la ricetta non si sa. Il Salone si farà anche l’ anno prossimo, oggi verranno annunciate le date, che saranno intorno a quelle di quest’ anno. Il successo del 2017 poteva essere stato un miracolo, ma questa, dice il direttore Nicola Lagioia «è una prova di maturità». Per cinque giorni ha percorso avanti e indietro i padiglioni: «Ci eravamo detti: andrà bene, ma calcoliamo anche un 15% in meno rispetto al 2017. Non c’ era più la rivalità con Milano che l’ anno scorso aveva mobilitato tutti. E invece il Salone ha tenuto, è andato benissimo. Gli editori sono contenti e, da quello che sento, credo si possa dire che complessivamente si sono venduti più libri». L’ anno scorso i biglietti staccati sono stati 140 mila, e le cifre dell’ edizione numero 31 potrebbero anche essere superiori. «Aspettiamo i numeri definitivi, però direi questo: più di così non si può fare, si può fare meglio. Il Lingotto ha questa capienza e oltre non si può andare, può esserci qualche punto percentuale in più o in meno ma non è quello che conta. A noi serviva ribadire che il Salone è nazionale: è quello dove ci sono più editori, c’ è più pubblico, si vendono più libri. Ora si tratta di uscire dall’ emergenza, di lavorare per il futuro con uno sguardo più lungo, prospettico. Sappiamo che per le istituzioni il Salone è fondamentale, anche per la ricaduta sul territorio. È nel loro interesse metterlo in sicurezza». Una ricerca dell’ Università di Torino, presentata proprio ieri, quantifica questa ricaduta economica in circa 14,2 milioni di euro, che arrivano fino a 29 se si considerano i suoi effetti indiretti. Prova di maturità, ma anche di convivenza, dice Nicola Lagioia a proposito del ritorno dei grandi marchi a Torino: «Io sono sicuro che ci sono tre, quattro cose su cui sono tutti d’ accordo – continua -. Mi piacerebbe che in futuro il Salone diventasse un piccolo luogo di elaborazione anche politica. Che, per esempio, l’ anno prossimo gli editori, Aie, Adei, si incontrassero qui, anche a porte chiuse, tutti insieme, con i ministri della Cultura, dell’ Istruzione, per portare avanti una battaglia comune». Certo, il ritorno delle corazzate editoriali ha ridistribuito un po’ le carte per quanto riguarda le vendite, ma senza creare grandi scontenti. Filippo Guglielmone, direttore commerciale del gruppo Mondadori, dice che il ritorno al Lingotto è stato molto positivo: «Affluenza strepitosa, vendite molto buone, anche se è difficile fare un paragone con due anni fa, quando non avevamo ancora Rizzoli e lo stand era più grande, l’ orario più lungo». Gli autori italiani l’ hanno fatta da padroni: Giordano, de Giovanni, D’ Avenia, Marías sono stati i «bestseller del gruppo». Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems è soddisfatto «soprattutto dei tanti giovani che hanno affollato gli stand». Per quanto riguarda il futuro spera che «chi lo guida risolva definitivamente i problemi strutturali in modo da poter preparare ancora più serenamente e per tempo la partecipazione dei nostri autori agli incontri culturali, che è la parte che più ci interessa». La vicinanza al moloch di Segrate non ha nuociuto più di tanto al diretto confinante Neri Pozza. «Abbiamo venduto più o meno come lo scorso anno – dice il direttore editoriale Giuseppe Russo – e i nostri incontri sono andati bene. Ma continuo a trovare delirante che ci siano due saloni». Tra gli editori che l’ anno scorso avevano venduto di più c’ era Feltrinelli che qualcosa ha dovuto cedere, ma, dicono, sul 2016, anno di riferimento che ha visto presente tutta l’ editoria, l’ incremento è stato del 20%. Da Sellerio, si parla di cifre di poco inferiori a quelle dello scorso anno, che avevano quasi raddoppiato quelle del 2016. Anche Giuseppe Laterza è soddisfatto di incontri e vendite: «Non ci sembra che i grandi ci abbiano portato via copie. L’ affluenza, il successo del Salone, devono servire come messaggio politico per sensibilizzare le istituzioni sul sostegno alla cultura. Per quanto riguarda il dualismo Milano-Torino dovrebbe suggerire a tutti di fare un passo indietro. Si dovrebbe avviare un processo che possa portare, nel giro di due o tre anni, a un Salone con la leadership dell’ Aie e la garanzia delle istituzioni, facendo di Milano una fiera dell’ innovazione tecnologica». Sandro Ferri, che con la sua e/o è stato tra i più accesi sostenitori del Salone, ha visto, nei cinque giorni, una ripresa crescente: «Siamo partiti il giovedì con un -20% e ci siamo un po’ impauriti, poi invece è andata molto meglio. Sul piano economico fare lo stesso risultato dello scorso anno era impensabile, ma va bene così». Per quanto riguarda il futuro Ferri vede con favore anche un ingresso dell’ Aie (l’ Associazione italiana editori) nella gestione del Salone, insieme con Adei (la neonata Associazione degli editori indipendenti), però si aspetta che le istituzioni prendano in mano la situazione: «Fare questa fiera è stato molto faticoso, non possiamo trascinarla un altro anno in questo modo». Tra gli editori c’ è anche chi ha fatto addirittura meglio dello scorso anno. «Il giovedì è stato sorprendente, abbiamo fatto più del doppio del 2017; gli altri giorni più o meno in linea», dice Gianmario Pilo, direttore commerciale di Add. E Alberto Ibba di NN parla di un incremento del 20%. «Abbiamo esaurito le 90 copie di Jasmine Ward, siamo andati a chiederle ai librai». È stato positivo anche l’ esordio di Solferino, il marchio di Rcs. Nello stand dove ieri è arrivato anche il presidente Urbano Cairo (ha annunciato di voler continuare a investire sull’ informazione locale), il direttore editoriale Luisa Sacchi, è soddisfatta: «Abbiamo pochi titoli e non possiamo fare paragoni con gli anni precedenti. Ma c’ è stato grande interesse, il pubblico è stato caloroso. Soprattutto sono arrivati molti insegnanti che ci hanno ringraziato per Ultimo banco, il libro di Giovanni Floris sulla scuola».
L'articolo Rassegna Stampa del 14/05/2018 proviene da Editoria.tv.