Indice Articoli
DAPHNE, MALTA E IL PATTO CON IL DIAVOLO
Mediapro rassicura i club di Serie A
Sul Tempo è “onore a Mori”. Vittorio Feltri non la mette in prima
Camus – Casarès, cronaca di una passione
I 100 libri buttati dalla torre vivranno una nuova vita
Camilleri: ora recito io
Corriere della Sera
Emilia Costantini
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«Chiamatemi Tiresia, sono qui per raccontarvi una storia». Inizia così il monologo di cui è autore e protagonista Andrea Camilleri, in scena l’ 11 giugno al Teatro Greco di Siracusa. «Conversazione su Tiresia» si intitola lo spettacolo, con la regia di Roberto Andò, nell’ ambito del 54° Festival dell’ Inda. Perché proprio Tiresia l’ indovino? «È una vecchia storia che mi intriga da tempo. Ben 63 autori, dai greci a oggi, si sono occupati di questo personaggio affascinante, manipolato nei secoli. Quattro tragedie contengono la sua vicenda e poi Eliot, Apollinaire, Primo Levi… persino Woody Allen lo fa apparire in un suo film, La dea dell’ amore. La mia ricerca su di lui è un fiume inarrestabile: attraverso le epoche, è descritto nei modi più disparati, da dissoluto ermafrodita, che riusciva addirittura a godere di se stesso, ad allegoria di San Paolo. Nella mia conversazione solitaria in una tranquilla notte d’ estate, nei panni di Tiresia dico al pubblico: volete sapere come sono stato stracangiato nei secoli?». Il fascino dell’ ambiguità? «Direi della doppiezza: lui è stato compiutamente sia donna, sia uomo. Io racconto il destino di un protagonista letterario, che è stato esaltato e bistrattato: faccio il punto della situazione». Una confessione anche personale? «Certo! Lui è cieco come me. È l’ elogio della cecità». In che senso? «Appena ho iniziato a perdere la vista, ho acuito gli altri sensi. Ho sempre fumato 80 sigarette al giorno e, quando ancora ci vedevo, avevo perso il gusto degli odori, dei sapori. Quando gli occhi si sono spenti, sono ritornati tutti insieme! Anche il tatto mi fa impressione per quanto è sensibile. Tiresia vede il futuro da cieco: poteva non piacermi recitare un ruolo del genere?». Grazie a lui torna su un palcoscenico da attore. «A circa 70 anni dalla mia prima apparizione. Ho fatto poco l’ attore. A vent’ anni recitai in uno spettacolo di Orazio Costa: facevo un piccolo ruolo, però la mia battuta era molto più lunga di quella che doveva dire Enrico Maria Salerno, e me ne vantavo». Innumerevoli le regie teatrali, e tanto Pirandello. «Ne ho messo in scena circa 40 opere: sono nato a 7 chilometri da Agrigento, proprio dov’ è nato lui. Parafrasando Benedetto Croce, che diceva perché non possiamo non dirci cristiani, direi: perché non possiamo non dirci pirandelliani?» Non solo regista, anche docente all’ Accademia D’ Amico e al Centro Sperimentale. «Ricordo gli anni bollenti del ’68, gli allievi cacciavano gli insegnanti dalle cattedre: mi si presenta una delegazione di studenti capeggiata da Gian Maria Volonté, all’ inizio volevano far fuori pure me, poi fui l’ unico dei docenti a essere tollerato». Il successo di Montalbano se lo aspettava? «Non cercavo il successo e mentre scrivevo il primo romanzo mi dissero: con la lingua che usi, chi vuoi che ti legga? Ora è tradotto in quasi quaranta paesi e la cosa è un po’ pesante. Non mi sono mai sentito un Simenon, un maratoneta che sforna romanzi a ripetizione con lo stesso personaggio. Sono al massimo un centometrista. E invece una ciliegia tira l’ altra, da vent’ anni. Sa una cosa? Non amo Montalbano. Non sono un ingrato, mi ha dato fama e denaro, ma se fosse meno ricattatore sarei più contento. Non è facile mantenere la vena creativa senza ripetersi». Ricattatore? «Il mio editore mi ripete che, pubblicando un nuovo romanzo su questo personaggio, riparte la vendita degli altri miei libri». E poi le traduzioni: come si fa a esprimere in una lingua diversa quella di Vigata? «Un incubo. Ogni tanto qualche traduttore mi chiama per concordare il senso di una frase e devo poi andarmi a rileggere il romanzo in cui l’ ho scritta. I giapponesi traducono addirittura dal tedesco, figuriamoci cosa ne posa venir fuori: meglio non indagare». Qualche rammarico? «Nessuno: ho la fortuna di fare il lavoro che amo. Sono un privilegiato. Certo gli acciacchi avanzano, sono cieco e vabbè, qualche prezzo si deve pagare. Il cervello funziona, l’ Alzheimer non mi preoccupa, lo temevo intorno ai 70 anni, ormai a 92 il pericolo è passato. Ma rabbrividisco all’ idea di arrivare ai 100. Gesù! A un traguardo del genere si può arrivare solo come un lombrico superstite. Per fortuna c’ è la famiglia: sono 61 anni che sto con la stessa donna, Rosetta, che se non la vedo per mezza giornata, mi manca e poi i figli, i nipoti…». Deve essere una moglie speciale: sopportare un Camilleri per 61 anni… «E pure un giudice spietato: è la prima a leggere i miei libri, temo più il suo giudizio che quello dei critici». Un sogno irrealizzato? «Non è forse un sogno folle quello di tornare in palcoscenico dopo 70 anni? Mi accompagnerà per mano un bambino, per evitare che inciampi raggiungendo il proscenio. Meno male che sono cieco!». Perché? «Tanti anni fa, ero l’ aiuto regista di Costa per uno spettacolo, proprio al Teatro di Siracusa, con Massimo Girotti che, poco prima dell’ inizio, sparisce. Lo vado a cercare preoccupato e lo trovo che stava vomitando in camerino. Mi disse: ho fatto la fesseria di spiare da dietro le quinte la platea, ho visto migliaia di occhi, mi sono spaventato. Io per fortuna non vedrò nessuno. E poi l’ importante è non prendersi sul serio. Una massima di Montaigne dice: ricordati che più in alto sali, sempre più culo mostri».
DAPHNE, MALTA E IL PATTO CON IL DIAVOLO
La Repubblica
CARLO BONINI
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Ubbidendo a un copione che impone di dissimulare normalità lì dove quanto accaduto nell’ ultima settimana non ne lascia intravedere neppure l’ ombra, e di ridurre il “caso Malta” a chiassosa e partigiana faccenda insulare, il premier laburista maltese Joseph Muscat e gli uomini del suo governo investiti dalle rivelazioni dell’ inchiesta del Daphne Project (il capo di Gabinetto Keith Schembri, il ministro dell’ Economia Chris Cardona, quello del Turismo Konrad Mizzi) scommettono sull’ antico adagio di farsi incudine ora che il martello picchia, perché “la notte passerà”. Cardona posa dunque a uomo smanioso di collaborare con la polizia, che, dopo aver evitato come la peste per sei mesi la pista politica dell’ omicidio, è ora costretta a verificare l’ asserito incontro del ministro con due degli assassini di Daphne Caruana Galizia. Schembri e Mizzi si affidano a comunicati stampa lunari in cui sostengono di non vedere dove sia il problema nelle loro società offshore, nel milione e 600 mila dollari triangolati tra l’ Azerbaijan, Dubai e le Bahamas, nelle menzogne al Parlamento europeo. Muscat, a Londra per la riunione della presidenza dei Paesi del Commonwealth, si presenta venerdì sera in abito scuro alla Drapers’ Hall, dove Henley&Partners, l’ agenzia inglese che colloca in esclusiva i passaporti maltesi sul mercato delle cleptocrazie e dei nuovi oligarchi, ha organizzato l’ ennesimo gala per milionari cui vendere un passaporto maltese a un milione a esemplare. E sembra infischiarsene delle urla («Vergognati!») degli attivisti in strada che lo accompagnano all’ asta. Insomma, non diversamente da un baro sorpreso a truccare la partita della crescita economica del proprio Paese con il doping della vendita dei passaporti, la tolleranza verso le centrali del riciclaggio sull’ isola (la Pilatus Bank), il conflitto di interesse permanente della nuova classe dirigente, la piccola e grande corruzione dei funzionari pubblici, Muscat mostra il sorriso beffardo di chi sfida Bruxelles e le cancellerie europee a sostenere di non aver saputo da sempre che la partita era truccata. E nel farlo, implicitamente, rassicura ed eccita la propria base elettorale con forme di sciovinismo e revanscismo insulare che cancellano le questioni poste dall’ omicidio di Daphne, sostituendole con la difesa del proprio onore. E di un new deal “socialista” che, finalmente, ha fatto conoscere il paradiso a un Paese di pescatori, operai, bottegai a lungo sotto il tallone dei Popolari e di una borghesia dalle nostalgie inglesi tanto colta quanto minoritaria e classista. È una scommessa esiziale. Perché il patto sistemico con il Diavolo stretto da Muscat, con i nuovi e impresentabili ricchi del pianeta, con le sue criminalità organizzate, somiglia tanto alla parabola dell’ apprendista stregone. Una volta venduta la propria sovranità, a un Paese non resta nulla. Chi ne rappresenta le istituzioni non potrà che essere il ventriloquo di chi, con il suo denaro, lo tiene in vita e dovrà ad esempio accettare che diventi normale che si elimini una giornalista con un’ autobomba. Come in un’ anticipazione di un futuro distopico, una piccola isola nel cuore dell’ Europa mostra al Continente cosa accade se viene superata la soglia invalicabile che rende una democrazia degna di essere chiamata con questo nome. È quello che Daphne Caruana Galizia aveva cominciato a raccontare. Che il Daphne Project e con lui Repubblica che ne fa parte (stasera alle 21.15 sui canali Sky Atlantic e Sky Tg24 sarà trasmesso il documentario Daphne) stanno continuando a fare. E che Muscat, sciaguratamente, e la cattiva coscienza dell’ Europa non vogliono, non sanno o, peggio, non possono vedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Mediapro rassicura i club di Serie A
Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Saranno giorni clou i prossimi per capire il destino del bando formulato da Mediapro per l’ assegnazione dei diritti tv della Serie A per il triennio 2018/21. Ancora una volta – come per il precedente bando finito sotto la scure dell’ Antitrust che ha multato Mediaset, Sky, Lega Serie A e il suo advisor Infront (ma la sanzione è stata annullata dal Tar) – la vicenda è finita nelle aule giudiziarie. Il prossimo 4 maggio il tribunale di Milano dovrà pronunciarsi nel merito del ricorso di Sky che intanto ha chiesto e ottenuto la sospensione della procedura, ritenendo illegittima la formulazione dei pacchetti effettuata da Mediapro. L’ azienda catalana, che si è aggiudicata i diritti tv della Serie A nella veste di intermediario indipendente (per un miliardo e 50 milioni a stagione), il prossimo 26 aprile dovrà peraltro presentare una fideiussione da circa 1,2 miliardi. I presidenti dei club temevano di subire un rinvio dell’ adempimento, ma il socio fondatore di Mediapro Jaime Roures ha rassicurato la Lega sul fatto che i soldi saranno versati tempestivamente. Se le perplessità espresse da Sky dovessero essere accolte dal tribunale il cammino per Mediapro in Italia diventerebbe più complicato. In questa eventualità alla società catalana non rimarrebbe che trovare una soluzione alternativa: o rimettendo mano al bando oppure puntando a un eventuale canale della Lega, ma con tutte le difficoltà del caso per un’ operazione che non avrebbe precedenti in Italia. Un’ iniziativa, questa, non contemplata dall’ attuale bando, che porterebbe la stessa Lega ad assumere il rischio d’ impresa e che comunque dovrebbe ricevere l’ unanime consenso dei club. La pay tv della galassia Murdoch, che sarebbe pronta a fare un’ offerta importante per i diritti della A, contesta a Mediapro di aver confezionato nel suo bando dei prodotti audiovisivi di 270 minuti per ogni match tramutandosi in un vero editore, titolare anche della raccolta pubblicitaria. Se Sky volesse il solo segnale clean delle gare e inserire gli spot dei suoi inserzionisti dovrebbe acquistare pacchetti opzionali, con rischio di esborsi non da poco non essendo peraltro stati indicati preventivamente i perzzi minimi. Per quanto riguarda l’ altra pay tv italiana, Mediaset Premium, a detta dello stesso Roures parteciperà al bando per la Serie A, nononstante la pax commerciale siglata a Pasqua con Sky. A Cologno Monzese tuttavia si guarda con sempre più interesse al calcio da trasmettere in chiaro e free. Dopo i Mondiali russi che trasmetterà in esclusiva, Mediaset è molto interessata a strappare alla Rai i diritti per la Coppa Italia e la Supercoppa. Proprio ieri la Lega ha ufficializzato il bando che prevede una base d’ asta di 30 milioni a stagione per il triennio. Le offerte dovranno arrivare entro il 7 maggio. Mediapro fa molto affidamento, d’ altro canto, sulla risposta dei nuovi player: quegli Over The Top (telco o soggetti del web) che dei contenuti hanno necessità per rafforzarsi. Proprio per tutelare questi operatori Mediapro ha previsto una particolarità nel bando che però ha finito per destare qualche preoccupazione fra i soggetti potenzialmente nuovi entranti. A differenza di quanto accadeva nei bandi precedenti acquisendo il pacchetto Platinum, Mediapro non ha infatti più previsto i cosiddetti diritti di ritrasmissione che consentono ai vincitori dei diritti di far ritrasmettere i match su altre piattaforme. Così chi vince avrà quei diritti. Per gli altri è preclusa qualsiasi altra possibilità. Un dentro o fuori che fra i soggetti del versante Iptv sta suscitando più di qualche preoccupazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Sul Tempo è “onore a Mori”. Vittorio Feltri non la mette in prima
Il Fatto Quotidiano
Tommaso Rodano
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La sentenza che scrive una pagina di storia d’ Italia per alcuni quotidiani non vale nemmeno una pagina di cronaca. Sulla prima di Libero, per esempio, la trattativa Stato-mafia non c’ è, ancora non esiste: il giornale diretto da Vittoria Feltri si occupa di “Scemocrazia” – singolare definizione dello stallo politico -, di Vallanzasca che resta in carcere, del 25 aprile e la Liberazione che “non tira più”, della “Vita agra e morte atroce dei maiali”. Qualsiasi cosa pur di non citare il processo di Palermo, di cui si parla a pagina 6. Solo per ridicolizzarlo: “Che tempismo. Sulla trattativa di governo irrompe quella Stato-mafia”. La rimozione e l’ ironia sull’ argomento sono la cifra costante – non da ieri – di tutti i giornali berlusconiani e di destra. Giuliano Ferrara ne ha fatto una bandiera del suo Foglio: l’ inchiesa di Di Matteo per l’ elefantino era “una spaventosa messinscena” (articolo del 22 gennaio 2014). La linea è sempre quella. Il titolo sulla prima pagina di ieri ne è un’ ennesima declinazione, fantasiosa: “Sentenza grillina sulla Trattativa”, scrive il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, “La Corte d’ assise di Palermo condanna Mori, Subranni e Dell’ Utri e apre una nuova stagione d’ assedio contro il Cav. Le sentenze ignorate, il mistero del pataccaro Ciancimino, il trionfo del circo mediatico, il populismo dei giudici popolari”. Il Tempo in prima la tocca piano: “Onore a Mori”, a caratteri cubitali e a tutta pagina. Più sobrio paradossalmente – e si fa per dire – è lo stesso Giornale della famiglia Berlusconi, che titola: “Il teorema della trattativa, condannati Dell’ Utri e Mori”. E nell’ occhiello: “Sentenza assurda a Palermo”. A La Verità di Maurizio Belpietro va riconosciuta una soluzione del tutto originale: in prima pagina c’ è giusto un vago accenno al processo nell’ occhiello del titolo di apertura (“Sulle trattative piomba anche la sentenza Stato-mafia”). Nel corpo del giornale invece non c’ è nemmeno un articolo di cronaca che racconti cosa è successo a Palermo, o un pezzo storico che spieghi almeno di cosa si stia parlando, ma solo un commento, piazzato per caso in pagina 7 (“Lo Stato ha condannato sé stesso a passare da zerbino della mafia”). Inizia così: “Clamorosa e durissima sentenza di primo grado sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia”. Proprio così: la “cosiddetta trattativa”. Il riflesso di negare ogni fondamento storico ai fatti accertati a Palermo resiste senza un graffio alla sentenza di primo grado. Non solo nei giornali berlusconiani o filo berlusconiani. Ovunque si assiste a esebizioni di garantismo a oltranza. Su La Stampa, a fianco dell’ intervista a Nino Di Matteo c’ è quella a Nicola Mancino, l’ ex ministro assolto dall’ accusa di falsa testimonianza, che nel titolo afferma: “Sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato”. Insomma: in una pagina del giornale torinese si scrive “La trattativa ci fu”, in quella accanto – per bocca dell’ ex ministro – si torna a parlare di “teorema”. Le parole di Mancino peraltro sono state ben valorizzate dalla maggior parte dei giornali e da tutti i telegiornali Rai (il Tg1 nel comparto Stato-mafia ha mandato in onda una sua intervista di un minuto. E poco più tardi ha riportato la “dura polemica” di Forza Italia e lo sdegno di Berlusconi: “Assurdo e ridicolo accostare il mio nome alla trattativa Stato-mafia”). Infine, è proprio il più autorevole e il più letto dei quotidiani italiani quello che sceglie la posizione più prudente, per usare un eufemismo. Il Corriere della Sera piazza l’ articolo in pagina 10. Il titolo in prima, su due righe, si mantiene equidistante: una è per la sentenza (“Per i giudici ci fu la trattativa Stato-Mafia”), la seconda è per l’ ex Cavaliere (“Berlusconi: realtà falsata, denuncio il pm”). Nell’ attacco del pezzo di cronaca, la solita vecchia formula: “Dopo cinque anni di processo sulle cosiddette trattative fra Stato e mafia”
Camus – Casarès, cronaca di una passione
Il Mattino
Felice Piemontese
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S’ incontrarono per la prima volta in casa del poeta Michel Leiris, in una di quelle serate parigine che solo a leggere i nomi dei presenti ti danno il capogiro (c’ erano tra gli altri Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Jacques Lacan, Raymond Queneau, Pierre Reverdy, Georges Bataille, Jean-Louis Barrault, Madeleine Renaud). Era il 19 marzo del 1944, Parigi era occupata dai nazisti e si aspettava con impazienza lo sbarco degli americani. Lui, l’ organizzatore della serata, nella quale i presenti leggevano ognuno a suo modo un brano di un testo teatrale di Picasso («Il desiderio preso per la coda»), era lo scrittore Albert Camus, appena trentenne ma già autore di un romanzo di successo come Lo straniero, destinato a diventare un classico del Novecento. Lei, ventidue anni, si chiamava Maria Casarès, faceva l’ attrice e già aveva ottenuto dei ruoli importanti sia in teatro che al cinema. Camus, una vaga somiglianza con Humphrey Bogart, è già famoso, oltre che come scrittore, come irresistibile tombeur de femmes (in certi periodi della sua breve vita avrà anche cinque amanti contemporaneamente, oltre alla rassegnata moglie Francine) nota subito la bellezza mediterranea della giovanissima attrice, che è figlia dell’ ex presidente del consiglio spagnolo Santiago Casarès Quiroga, costretto all’ esilio in Francia dopo la vittoria dei franchisti. Quando arriva il momento dei saluti le offre un ruolo nel suo dramma «Le malentendu», che sta per andare in scena, anche se il momento è tra i più incerti e tribolati, soprattutto perché molti dei presenti hanno rapporti con la Resistenza e la Gestapo potrebbe bussare alla loro porta in qualsiasi momento (lo stesso Camus collabora al giornale clandestino «Combat», di cui sarà poi redattore capo). Si rivedono dopo qualche settimana per le prove dell’ opera teatrale di Camus. E diventano amanti nella notte tra il 5 e il 6 giugno, proprio durante lo sbarco degli alleati sul litorale normanno. Una passione travolgente, ma non al punto di convincere lo scrittore a lasciare la moglie, alla quale lo lega un forte sentimento di tenerezza. Lei, la moglie, è in Algeria, di cui è originaria (come il marito, del resto) per evitare i rischi del conflitto. Così, quando decide di tornare a Parigi, a settembre, la Casarès mette fine alla relazione con Camus, con grande sofferenza di entrambi. Rimarranno lontani per quattro anni, durante i quali la giovane attrice gira un film destinato a diventare cult, come «Les enfants du Paradis» di Marcel Carné, e «La certosa di Parma», con Gérard Philipe, mito sexy del cinema francese. Un giorno, guarda caso il 6 giugno, s’ incontrano per caso in boulevard Saint-Germain. Riesplode la passione, e questa volta non ci sarà spazio per pentimenti e scrupoli di coscienza. Durerà fino alla morte dello scrittore, avvenuta a gennaio del 1960, dopo la pubblicazione de La peste, il premio Nobel nel 1957 e la fama mondiale. Spesso lontani per motivi di lavoro o di salute (Camus era malato di tubercolosi e spesso obbligato a soggiornare in località climaticamente propizie) i due amanti si scrivono lettere appassionate, come si usava prima della posta elettronica e di WathsApp: 865 per la precisione, che l’ editore Gallimard ha trasformato in un libro di 1400 pagine che sta andando a ruba in Francia, dove Camus continua a essere molto amato (e dello Straniero si continuano a vendere decine di migliaia di copie ogni anno). Come in tutti i rapporti amorosi ci sono alti e bassi. Ma, soprattutto all’ inizio, è forte la consapevolezza che il loro debba essere un amore «indistruttibile». E se c’ è qualche ombra, essa non può essere che leggera perché «ho deciso una volta per tutte che saremmo stati uniti per sempre». (Camus). «Si dice talvolta che si sceglie tale o talaltro. Te, non ti ho scelta. Tu sei entrata, per caso, in una vita di cui non ero fiero, e da quel giorno qualcosa ha cominciato a cambiare, lentamente, mio malgrado e malgrado anche te che eri allora lontana e poi rivolta verso un’ altra vita. Quel che ho detto, scritto o fatto dopo la primavera del ’44 è sempre stato diverso, in profondità, da ciò che è accaduto per me e in me in precedenza». Lei va in Argentina in tournée ed è acclamata dalle 3600 persone che affollavano il teatro: «le poche parole di ringraziamento che ho dovuto dire le ho pronunciate pensando a te»; a lui annunciano il premio Nobel: «non mi sei mai mancata tanto». E ancora: «Ho desiderato per tutta la vita la complicità (nel senso buono di questa parola) totale con un altro essere. L’ ho trovata con te e ho trovato nello stesso tempo un nuovo senso alla mia vita. Allora forse possiamo tentare di porci al di sopra di ogni altra cosa. In ogni caso, sarà questo sogno o la distruzione. Ma è vero anche che preferisco correre verso la distruzione con te piuttosto che conoscere una confortevole solitudine» (Camus). Naturalmente, sono frequentissimi, in tutta la corrispondenza, i riferimenti al mondo del teatro e della letteratura, ai personaggi importanti dell’ uno o dell’ altra, agli eventi pubblici di un periodo in cui la Guerra fredda obbliga a scelte drastiche e talvolta dolorose, come ad esempio la rottura di Camus con Sartre, che comporterà un quasi completo isolamento dell’ autore de Lo straniero. L’ ultima lettera è del 30 dicembre 1959, un mercoledì, con gli auguri per il nuovo anno e un appuntamento per il martedì successivo. Quattro giorni dopo il lussuoso e potente coupé Facel Vega guidato da Michel Gallimard che riporta Camus a Parigi si schianterà contro un albero, nei pressi di Fontainebleau, forse per la velocità eccessiva o per un colpo di sonno del guidatore. Gallimard rimarrà ucciso sul colpo, Camus morirà poco dopo (e ci sarà chi farà ipotesi romanzesche sull’ incidente, vedendoci addirittura la mano del KGB). Sui sedili della vettura, i soccorritori trovano sparse le cartelle dattiloscritte dell’ ultimo libro di Camus, incompleto naturalmente. Si tratta del romanzo intitolato Le premier homme, il cui personaggio principale è l’ amatissima mamma dello scrittore, donna di servizio e analfabeta (Gianni Amelio ne ricaverà un film nel 2011). © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I 100 libri buttati dalla torre vivranno una nuova vita
La Gazzetta del Mezzogiorno
ENRICA SIMONETTI
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Franco Battiato non aveva dubbi: giù dalla torre avrebbe buttato gli artisti. In una sua vecchissima canzone, La Torre, diceva appunto che andavano lanciati giù teatranti, registi e presentatori «perché le trombe del giudizio suoneranno/ per tutti quelli che credono in quello che fanno». E a credere in quello che stanno per fare è un bel gruppo di professionisti, scrittori, lettori e giornalisti pugliesi che hanno appena aderito alla brillante idea dell’ avvo cato barese Enzo Augusto, il quale ha fondato l’ Associazione «Utòpia 2100», di cui è presidente. Un’ associazione che parte dalla necessità di diffondere la cultura e che decide di farlo partendo da un antico gioco, quello della torre – appunto – ossia il quesito che nei tempi ha vagato in migliaia di domande, capaci di aprire solchi e di descrivere orizzonti: «Chi buttereste giù dalla torre?». Alessandro Piperno nel suo gustoso libro Il manifesto del libero lettore. Otto scrittori di cui non so fare a meno ha cominciato a giocare, parlando di Austen, Dickens, Stendhal, Flaubert, Tolstoj, Proust, Svevo e Nabokov. Ma ciascuno ha il suo mito, ciascuno farebbe la propria scelta. Classici? Romanzi, saggi? Biografie? Rarità o o novità? Ebbene, se pensiamo ai tanti, tantissimi libri che riposano in molte case e che spesso cercano «rifugio» o «fuga» per dare spazio a nuovi testi o per offrire cultura e lettura a nuovi occhi, eccoci al bivio: dove li mettiamo? A chi li doniamo? E quali teniamo per noi? Domande che la neonata associazione «Utòpia 2100» trasformerà in eventi nei quali sarà riproposto il «gioco della torre» e i diversi intervenuti si divertiranno a gettare o tenere per sè pagine, autori, ricordi, emozioni. Un «gioco» infinito, un divertissement pieno di suggestioni intelligenti – al quale hanno già aderito – spiega l’ avv. Augusto – autorevoli nomi come Gianrico Carofiglio, Michele Mirabella, Lino Patruno, Oscar Iarussi, Gennaro Nunziante. Le fasi organizzative dell’ iniziativa saranno due: in una prima fase, con eventi e conferenze ad hoc, si solleciteranno i partecipanti ad elencare i libri da buttare dalla torre o da conservare; mentre in una seconda fase, gli stessi volumi saranno raccolti, catalogati e distribuiti gratuitamente. Nasceranno iniziative virtuose, donazioni in luoghi di aggregazione o ad associazioni, biblioteche, penitenziari. Un modo di far circolare, senza inutili dispersioni, un bene prezioso come lo è il libro. Il primo evento dell’ Associazione « Utòpia 2100» si terrà martedì 24 aprile alle 17,30 nell’ ambito del «Bif&st» nel Palazzo dell’ ex Provincia di Bari e non a caso si parlerà di volumi legati al cinema. L’ incontro, dal titolo «Dal libro al film: relazioni virtuose e pericolose», esplorerà le strette connessioni fra letteratura e cinema che continuano ad affascinare il pubblico e la critica. Attraverso l’ esame di casi celebri che hanno attraversato la storia del cinema dalle origini al neorealismo, dalla Nouvelle Vague al nuovo cinema americano, l’ incontro si focalizzerà sulla forma del romanzo e sulla sua trasposizione filmica, per arrivare infine alle nuove declinazioni del Web e della serialità televisiva. A tracciare le fila della liaison fra libro, sceneggiatura e audiovisivo ci saranno il critico Oscar Iarussi, giornalista della «Gazzetta del Mezzogiorno», il prof. Raffaele Cavalluzzi e il giornalista, sempre della «Gazzetta», Livio Costarella. Assieme a loro interverrà l’ avv. Enzo Augusto, come presidente di «Utòpia 2100», che presenterà gli obiettivi dall’ associazione e le attività di sensibilizzazione dei lettori deboli, mentre a moderare l’ incontro ci sarà il giornalista Michele Casella, direttore della stessa Associazione; a fare da consulente editoriale Carlotta Susca (per informazioni e adesioni, scrivere a: ass.utopia2100@gmail.com). La promozione della lettura passa anche dal confronto con la «crossmedialità» e «Utòpia 2100» – spiega Michele Casella – si prefigge di favorire la diffusione del libro in luoghi e comunità distanti dai circuiti ordinari dell’ editoria. Per farlo, coinvolge lettori forti proponendo loro di decidere quali volumi della propria libreria si ritiene indispensabile tenere e quali, una volta letti, possono essere donati». E c’ è un risultato finale, che è atteso e che potrebbe rappresentare un «faro» verso cui navigare. Non solo la consegna dei libri in modo gratuito, non solo la circolazione verso luoghi in cui questi libri vivranno una nuova vita: «La sfida – conclude l’ avv. Augusto – è quella di selezionare i 100 libri indispensabili, mettendo i rimanenti a disposizione dei lettori deboli, così da restituire al libro la sua funzione: essere letto e vissuto».
Una città di libri
Corriere della Sera (ed. Bergamo)
Daniela Morandi
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Quando si legge, capita di avere la testa tra le nuvole. Le stesse che la Fiera dei librai riproduce come leitmotiv della cinquantanovesima edizione, in programma fino al 6 maggio nel centro piacentiniano. Varcare la soglia del tendone allestito lungo il Sentierone è una piacevole riconferma, rinnovata di anno in anno, tra scaffali di libri, odore di carta e via vai di persone. Carlo, quattro anni, rivolgendosi al padre dice: «C’ è la fiera dei librai papà. Andiamo, è bella». E prendendo per mano il genitore si dirige nella zona bimbi. Cinque le aree tematiche: narrativa, editoria locale, bambini e ragazzi, saggistica e manualistica. «È la più antica fiera dei librai italiana. Grazie a essa siamo stati insigniti del titolo di Città del libro», ricorda il sindaco Gori, soffermandosi sul tema dell’ anno: l’ immaginazione che sovverte la realtà. È il mondo immaginario della «parola scritta, che è la scintilla della cultura, da mantenere viva», aggiunge Elena Fontana, presidente di Confesercenti Bergamo, tra gli organizzatori della fiera insieme al Sindacato Italiano Librai e alle librerie indipendenti aderen-ti all’ Associa-zione Librai Bergamaschi. I libri in questa edizione sono «sopra e sotto» la città, grazie alla riapertura dell’ ex Diurno. Aperto in concomitanza di alcuni incontri, ospita la mostra «Stiamo scomparendo. Viaggio nell’ Italia in minoranza». Realizzata da Ctrl e dalla fotografa Emanuela Colombo, è il risultato di un reportage fatto «dal Salento al Monte Rosa, nei luoghi d’ Italia in cui la lingua madre non è l’ italiano – si legge nella prefazione del libro omonimo alla mostra, che sarà presentato il 6 maggio alle 18.30, quale prima pubblicazione della casa editrice Ctrl -. Abbiamo incontrato gli ultimi parlanti della lingua walser, nelle alte valli del Piemonte. Gli occitani, nel torinese e nel cuneese: la loro lingua è quella degli antichi trovatori. Siamo sbarcati sull’ isola di San Pietro, nel sud della Sardegna, dove si parla il tabarchino. Siamo stati in Basilicata, nei territori degli arbëreshë, i discendenti delle popolazioni che nel XV secolo emigrarono in Italia dall’ Albania. E nei piccoli paesi della Puglia, dove sopravvive ancora oggi il grico». Risalendo in superficie c’ è lo spazio incontri al Quadriportico, la sala lettura nell’ area narrativa, l’ auditorium di piazza della Libertà, lo spazio bimbi e l’ Ubi City. Luoghi che ospiteranno gli oltre cento incontri in programma (www.fieradeilibrai.it). La giornata di oggi si apre alle 10.30 con un laboratorio sui cinque sensi dedicato ai piccoli da 0 a 3 anni, per proseguire alle 11 con Francesco Fadigati, che presenterà «Un cavaliere e gli abissi dell’ anima», e alle 16 con la presentazione di «Le assaggiatrici» di Rosella Postorino, ispirata alla vera storia di Margot Wölk, assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf. Alle 18.30 si prosegue con «Lei» di Mariapia Veladiano, che dà voce a Maria di Nazaret. E ancora letture per bambini sulla Resistenza e incontri all’ ex diurno sulla Costituzione e il fare impresa. Tra gli appuntamenti di lunedì, alle 18, la presentazione del nuovo romanzo di Iacopo Barison «Le stelle cadranno tutte insieme». All’ incontro l’ autore e il regista Daniele Ciprì, che realizzerà un film da «Stalin+Bianca» di Barison, presentato al Premio Strega nel 2015. Se l’ assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti invita alla lettura, perché «attraverso i libri si legge la contemporaneità», per il presidente della Provincia Matteo Rossi «la fiera dei librai è un presidio di cultura, curiosità e resistenza», dice in difesa dei librai. Di contro Antonio Terzi di Li.Ber conferma: «Siamo qui, ostinatamente».
L'articolo Rassegna Stampa del 22/04/2018 proviene da Editoria.tv.