Indice Articoli
Sky-Mediaset spiazza Bolloré: salta il polo con Berlusconi
La partita aperta sulla Serie A in tv
La querelle con Vivendi condannata ai Tribunali
Sky-Mediaset al test authority
L’ Ugl ringhia, Il sindacato avverte la Rai: «Stop ai nuovi palinsesti»
Calcio in tv, il patto spiazza Mediapro
L’ intreccio Sky-Mediaset-Time il «nemico» Bolloré all’ angolo
Il sogno infranto della pay tv «made in Italy»
“Alleanza contro i big della Rete Le due emittenti alla guerra dell’ industria dell’ immaginario”
Sky-Mediaset spiazza Bolloré: salta il polo con Berlusconi
Il Sole 24 Ore
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In attesa dell’ esame di Antitrust e Agcom, la maxi-intesa tra Mediaset e Sky già dispiega elementi di un cambiamento radicale nel panorama tv: Sky si propone anche sul digitale terrestre con un’ offerta a pagamento; Mediaset finisce per concentrarsi sul suo core business della tv in chiaro; e c’ è il primo vero ingresso sulla scena di tipologie di offerta multipiattaforma. Da non sottovalutare intanto l’ impatto sulla querelle tra Mediaset e Vivendi: cade la pretesa del rispetto del contratto su Premium. E sfumano i sogni della Netflix italo-francese evocata da Vincent Bolloré. E per Telecom è più difficile diventare un player nei contenuti. Biondi e Olivieri pagina 17.
La partita aperta sulla Serie A in tv
Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Nella partita a scacchi sui diritti tv della Serie A quella di Sky che ha stretto un’ alleanza (per ora solo) commerciale con Mediaset, è la classica mossa del cavallo che sulla scacchiera può disporsi lungo linee completamente diverse da tutti gli altri pezzi. È una mossa che spariglia in extremis i piani dell’ intermediario indipendente Mediapro ridando pieno potere contrattuale soprattutto all’ emittente satellitare. Certo, se la situazione dovesse precipitare con il fallimento del bando si aprirebbero scenari tutti da verificare. Intanto un primo effetto degli accordi fra Sky e Mediaset sembra essersi palesato con il rinvio da parte di Mediapro della pubblicazione dei pacchetti per i diritti tv della Serie A. A quanto appreso dal Sole 24 Ore fino a poche ore prima dell’ annuncio della partnership Sky-Mediaset, Mediapro, titolare dopo il via libera dell’ Antitrust di tutti i diritti del massimo campionato per il triennio 2018-21 per quali ha investito un miliardo e 50 milioni a stagione, era in procinto di pubblicare i propri pacchetti da mettere a gara tra gli operatori. Ora il rinvio. L’ asta si annunciava già complessa anche se da Mediapro ritenevano di avere buone possibilità di portare a casa un buon risultato. I pacchetti preparati contemplavano un mix di esclusive tra piattaforma e prodotto. Inoltre si prevedevano diverse opzioni connesse alla facoltà di broadcaster, telco e Ott di acquistare solo i match, personalizzandoli secondo la propria linea editoriale, oppure avvalendosi della stessa Mediapro per confezionare prodotti completi con commenti pre e post gara. Agli operatori veniva poi consentito di lasciare all’ intermediario lo spazio per l’ advertising oppure raccogliere direttamente la pubblicità. Ovviamente in questo secondo caso con un prezzo di acquisizione dei pacchetti più alto potendo guadagnare sugli spot. Mediapro era convinta di poter piazzare i pacchetti per le pay tv a Mediaset sul digitale terrestre e a Sky sul satellitare senza grossi problemi, nell’ idea che per entrambe l’ assenza di un’ offerta congrua della Serie A nei propri bouquet sarebbe esiziale. I catalani avrebbero anche intavolato colloqui con operatori del web interessati a pacchetti chiavi in mano, con più bassi costi d’ ingresso. Formalmente l’ accordo Sky-Mediaset non cambia nulla per l’ asta calcistica. E i due player principali in queste ore febbrili ribadiscono che siederanno al tavolo delle trattative separatamente e con strategie indipendenti dall’ intesa. Il timore di Mediapro è però che con il nuovo asse le cose possano cambiare. Per questo negli ambienti della Lega sta anche riprendendo corpo l’ idea di varare un proprio canale autonomo per produrre e distribuire le sfide della Serie A. Questo – che è il sogno di Mediapro e l’ obiettivo tutt’ altro che segreto del prossimo triennio – è ad oggi impraticabile alla luce dell’ attuale bando. Ma è qui che la mossa del cavallo di Sky svela il suo lato più rischioso. Mediapro potrebbe infatti avere un interesse a far decadere l’ asta fissando minimi più alti di quelli che avrebbe stabilito altrimenti. Se le offerte di Sky e Mediaset infatti dovessero rivelarsi troppo basse la Lega avrebbe due strade: ratificare l’ assegnazione e pretendere da Mediapro la differenza fino al miliardo e 50 milioni garantito (convivendo per tre anni con un partner scontento); o annullare tutto e accelerare su un piano B che potrebbe portare al canale autonomo da realizzare magari con Mediapro, che possiede il know how, e usando la sponda tecnologica di Mediaset Premium, sulla falsariga di quanto i catalani già fanno in patria con la joint venture beINsports. Uno scenario che dovrebbe scontrarsi con l’ opposizione di Sky che invece, una decina di giorni fa, ha inviato una lettera al commissario Giovanni Malagò caldeggiando l’ eventualità di una nuova asta, con la sua partecipazione, caratterizzata da maggiori esclusive per prodotto. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La querelle con Vivendi condannata ai Tribunali
Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Vista da una certa angolazione, l’ alleanza tra Sky e Mediaset è il ribaltone inatteso in cui gli ex nemici si coalizzano per far fronte comune. Entrambe le società avrebbero avuto più di un motivo per perdere la pazienza con la Telecom a egida francese, che li aveva approcciati tra dicembre e inizio anno per imbarcarle sull’ astronave del wi-fi della fibra, salvo poi dileguarsi. Entrambe avevano contenziosi aperti con la compagnia telefonica e il suo azionista – Sky con Telecom per il vecchio contratto di distribuzione, Mediaset con Vivendi per la mancata operazione su Premium – ed entrambe alla fine hanno trovato reciproca convenienza ad accordarsi tra loro. Anche se il nodo da sciogliere resta comunque quello di conciliare i vincoli antitrust con l’ evidenza che spazio per due pay-tv in Italia non ce n’ è, tanto più che il contesto di mercato negli ultimi anni è completamente mutato. Sky Italia, che in questi giorni ha stretto un accordo con Open Fiber per l’ utilizzo della rete ad alta velocità – perlomeno per quanto riguarda la piazza più ricca, Milano, già chiavi in mano – si pone nella condizione di poter spaziare su tutti i canali distributivi, digitale terrestre compreso, con un’ offerta rafforzata e la prospettiva concreta di poter uscire dalle secche di un bilancio che da un paio d’ anni ha smesso di crescere. Mediaset, da parte sua, ha trovato il modo di mettere uno stop loss definitivo all’ avventura della pay-tv, onerosa e poco nelle corde di un gruppo vocato alla pubblicità. Se il Biscione riuscirà a ottenere la serie A con pacchetti low-cost, resterà nel business della pay-tv nella formula della coabitazione in concorrenza con Sky. Altrimenti a fine anno eserciterà l’ opzione put nei confronti di Sky per cedere le “chiavi della macchina” – che vuol dire decoder, fatturazione, assistenza cliente e quant’ altro – e resterà a fare il mestiere che ha dimostrato di saper fare, quello di produttore di contenuti, che siano premium o free. Il tutto per il gruppo di Cologno Monzese si tradurrà in un beneficio economico di 3-400 milioni nell’ arco di 4-5 anni, un valore comprensivo dei 200 milioni di Ebitda aggiuntivi entro il 2020 promessi dal piano industriale presentato a Londra un anno fa da PierSilvio Berlusconi. Una sorpresa nell’ uovo di Pasqua anche per la querelle tra Mediaset e Vivendi. Non ha più ragione d’ essere, infatti, la pretesa del rispetto del contratto su Premium, visto che il sottostante non potrà più essere quello dell’ aprile 2016, quando sembravano essere state gettate le basi per la Netflix europea evocata da Vincent Bolloré. Resta la richiesta di risarcimento danni che, tra Mediaset e Fininvest, è arrivata a 3 miliardi. Mediaset ha preferito risolvere una situazione di stallo, dove rischiava di farsi ancora più male, accontentandosi di molto meno di quello che Telecom le aveva promesso, senza però arrivare mai al dunque. A dicembre la compagnia telefonica guidata da Amos Genish aveva definito l’ acquisto di contenuti per 460 milioni in sei anni, ma una volta sfumata la prospettiva di imbarcare il Biscione nella joint Tim-Canal Plus – di fatto accantonata – non si è riusciti a chiudere l’ operazione, perno di un accordo “riparatore” con Vivendi. Ora, per la media company transalpina la situzione si complica: entro il 19 aprile – per disposizione Agcom – dovrà “strutturalmente” sterilizzare la parte eccedente il 10% in Mediaset (vale a dire il 18,8% del capitale e il 19,9% dei diritti di voto), senza aver portato a casa nulla in cambio. Ma anche Telecom non si capisce come potrà inseguire i suoi sogni di diventare un player centrale nei contenuti, se i principali interlocutori si coalizzano tra loro per far da sé. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Sky-Mediaset al test authority
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Parlare di Big Bang per la tv italiana a questo punto può non apparire come un azzardo. Anche andando per sommi capi, l’ accordo annunciato venerdì sera dagli “eterni duellanti” Sky e Mediaset pone sul tavolo elementi in cui è facile vedere la miccia per un cambiamento radicale nel panorama televisivo di casa nostra. Innanzitutto c’ è una Sky che si propone anche sul digitale terrestre con una sua offerta a pagamento – differente rispetto al satellite – erigendosi a soggetto forte (e chissà se in futuro unico) nel panorama della pay tv italiana. Poi c’ è una Mediaset che finisce per concentrarsi sul suo core business della tv in chiaro lasciandosi la porta aperta anche per un’ uscita in toto dal business pay. Terzo importante elemento: il primo vero ingresso sulla scena di tipologie di offerta multipiattaforma, con una Sky in particolare che si posiziona così per contrastare gli effetti del cord-cutting con cui i vari Netflix o Amazon stanno turbando i sonni delle pay tv tradizionali. Un game changer, insomma, che inevitabilmente suscita interrogativi su impatti e portata. «Analizzeremo (e valuteremo) ciò che viene definito come “accordo”» ha scritto su Twitter il commissario Agcom, Antonio Nicita. Anche gli spagnoli di Mediapro – proprio in considerazione dell’ intesa fra i due principali “clienti” dei diritti della Serie A di cui sono da poco diventati titolari – hanno deciso di prendere tempo per la pubblicazione dei pacchetti da sottoporre agli operatori (si veda altro articolo in pagina). Secondo quanto riportato dall’ Ansa sarebbero intenzionati ad attendere una voce dell’ Antitrust sull’ accordo fra le due società, oltreché a incontrare di nuovo gli operatori. A taccuini chiusi sono in tanti che nei propri commenti rimandano all’ Antitrust in queste ore, per capire l’ orientamente rispetto a un matrimonio che, va detto, stando a quanto dichiarato è per ora solo commerciale. Dunque, seppur scontato che l’ Antitrust come anche Agcom possano chiedere dettagli su un’ operazione del genere, nell’ impianto dell’ accordo fra Sky e Mediaset una valutazione dell’ Autorità garante per la concorrenza e il mercato è da dare per inevitabile solo nel caso in cui si verificasse una particolare condizione fra quelle previste: la creazione di una newco con all’ interno la parte tecnica e commerciale di Premium. Se Mediaset infatti decidesse – in una finestra fra novembre e dicembre – di scorporare la piattaforma tecnologica mantenendo per sé schede e abbonati (conditio sine qua non per evitare il no dell’ Antitrust), l’ operazione, nella quale Sky sarebbe tenuta a comprare, verrebbe sottoposta ad Agcom e Antitrust per la necessaria approvazione. Richieste di chiarimenti sono intanto arrivate anche dal fronte sindacale. «Sarà quantomai indispensabile – dice il segretario nazionale della Uilcom Uil, che si occupa del settore emittenza radio tv, Pier Paolo Mischi – incontrare le aziende per avere una visione di dettaglio e di scenario futuro sia sui perimetri del gruppo Mediaset sia sul versante Sky Italia». Lato Mediaset, è evidente che Premium esce da quest’ accordo ridimensionata. Ma del resto nel Piano “Mediaset 2020” presentato a inizio 2017 a Londra l’ idea di una piattaforma pay aperta ai contenuti di altri operatori e che operasse in chiave opportunistica, anche sul calcio, era emersa con chiarezza. Ora per Mediaset l’ opportunità immediata, già da maggio, è di valorizzare propri canali “Premium” – 5 di cinema e 4 di serie Tv – che andranno ad aggiungersi all’ offerta per gli abbonati Sky. L’ accordo spiana la strada anche al rientro di Canale 5, Rete 4 e Italia 1 sulla piattaforma Sky, da cui erano usciti a settembre 2015 per una querelle su diritti di “ritrasmissione” chiesti da Mediaset, ma rifiutati dalla tv di Murdoch. Tutto a vantaggio di audience e, di conseguenza, delle entrate pubblicitarie per il Biscione. L’ abbonato a Premium avrà poi a disposizione due canali “vetrina” della pay di casa Murdoch. Sul versante Sky, dall’ 1 giugno la media company creerà un suo bouquet a pagamento sul Dtt con quattro canali (Sky Uno, Fox, Nat Geo e un altro da definire) più i 9 canali Premium che andranno anche sul satellite. A questo pacchetto base si potrà aggiungere un’ offerta sportiva ad hoc. Il tutto con alle spalle gli accordi con Open Fiber (per un’ offerta ad hoc sulla fibra) e con Netflix (per un pacchetto comune) validi dal 2019. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ Ugl ringhia, Il sindacato avverte la Rai: «Stop ai nuovi palinsesti»
Libero
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Il cda della Rai scade alla fine di giugno, non ci sono certezze sul futuro governo e in viale Mazzini la tensione è altissima. Come rivela Dagospia, Matteo Renzi avrebbe un «piano segreto» per confermare i suoi fedelissimi. Ed è scontro sul rinnovo dei contratti annuali e biennali, che impegnano milioni di euro. Il sindacato Ugl ha diffuso un comunicato durissimo, diffidando l’ azienda a impegnare «impropriamente risorse». Le elezioni del 4 marzo scorso, spiega il segretario nazionale Ugl Informazione, Fabrizio Tosini, «obbligano la Rai a confrontarsi responsabilmente con i nuovi scenari, riportando al centro delle proprie scelte la trasparenza e la progettualità, mancate in anni bui spesi ad azzerare il rapporto costruttivo con i lavoratori». «Il direttore de La7 scrive pubblicamente su twitter che il Pd deve sostenere il governo M5s. È normale? È accettabile un’ intromissione del genere? L’ editore Cairo condivide un atteggiamento del genere?». Lo scrive su Facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, commentando un tweet di Andrea Salerno.«Da settimane» prosegue Anzaldi «le trasmissioni di La7 si contraddistinguono proprio per lo spazio dato a chi sostiene l’ inciucio M5s-Pd, basta vedere quanto volte è stato invitato in prima serata Emiliano, unico nel Pd ad appoggiare pubblicamente un’ ipotesi del genere. Ora scopriamo che a pensarla così è proprio il direttore di rete. E questa sarebbe l’ imparzialità dell’ informazione?». «Continuo a ricevere numerosissime sollecitazioni da parte di iscritti e militanti del Pd e del centrosinistra allibiti e disorientati rispetto alle dichiarazioni del presidente Emiliano per una ipotetica riorganizzazione della giunta». Così in una nota la viceministra allo Sviluppo Economico Teresa Bellanova, del Pd, se la prende col collega governatore della Puglia. E ancora: «Sanità, rifiuti, Patto per la Puglia, trasporti: sono questi alcuni dei temi su cui i cittadini, le imprese, l’ opinione pubblica attendono ormai da tempo risposte che stentano ad arrivare. Nel frattempo giungono invece dichiarazioni che dispensano consigli a mani larghe su cosa il Pd dovrebbe fare o non fare a livello nazionale».
Calcio in tv, il patto spiazza Mediapro
Corriere della Sera
Monica ColomboDaniele Sparisci
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L’ unica certezza è che il prossimo campionato di serie A inizierà il 19 agosto. Dove lo vedremo in tv resta una domanda senza risposta. Per ora. Tutto è tornato in gioco, ogni volta che si avvicina al 90′ questa partita ricomincia da zero, o quasi. Mediapro ha congelato i pacchetti confezionati per rivendere le partite a tv, operatori web e telefonici. Venerdì erano pronti, solo un inconveniente tecnico ne aveva ritardato la pubblicazione. Ma è stata l’ alleanza fra Sky e Mediaset a spiazzare gli spagnoli, che hanno offerto 1 miliardo e 50 milioni a stagione per tre anni per comprare le licenze della serie A. Di fronte al nuovo scenario le strategie commerciali pensate per il duopolio sono diventate inutili. Fonti vicine ai catalani sostengono che gli avvocati siano già al lavoro, che vogliano vederci chiaro sull’ asse fra la pay tv di Murdoch e il Biscione. Attendono eventuali movimenti dell’ Antitrust, e anche nel quartier generale della Lega Calcio si studiano le contromosse per capire se l’ intesa violi le regole sulla concorrenza. Mediapro ha acquistato i diritti come intermediario, in base alla legge non può svolgere attività editoriali ma solo cedere a terzi i match. Ed è questo il nodo cruciale: per rientrare dell’ investimento gli spagnoli puntavano a ottenere il grosso della torta da Sky (650-700 milioni), una parte da Mediaset (200) e il resto da web (il candidato più forte è Perform) e piattaforme mobili (Tim e Vodafone avevano mostrato interesse). Ma è chiaro che dopo la pax i due ex nemici, per quanto indipendenti, cercheranno di spuntare il prezzo migliore forti del fatto di essere gli unici big in campo. E adesso anche molto vicini. Gli spagnoli, che hanno già versato la caparra di 64 milioni e che entro il 26 aprile devono presentare fideiussioni per 1,2 miliardi a stagione, sono certi che a queste condizioni sarebbe un’ asta al ribasso. Ma non possono nemmeno tirarsi indietro perché rischierebbero cause da parte dei club. Torna in ballo il progetto del canale della Lega – Mediapro già lo fa per la La Liga – con palinsesto da girare alle tv. Ma anche questa è una strada difficilissima: gli spagnoli non possono realizzarlo (lo dice l’ Antitrust), serve un nuovo bando per stabilire chi dovrebbe produrlo. Tempi lunghi per arrivare pronti all’ avvio del torneo 2018/19. E l’ ultima cosa che il calcio italiano e il commissario Giovanni Malagò si augurano è un’ interminabile battaglia a carte bollate. Alla fine la pace converrebbe a tutti.
L’ intreccio Sky-Mediaset-Time il «nemico» Bolloré all’ angolo
Corriere della Sera
FABRIZIO MASSARO
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Con l’ accordo raggiunto venerdì sera con Sky, Mediaset torna a fare l’ editore, accantonando la via dello sviluppo autonomo di piattaforme a pagamento – Premium – che negli anni si è rivelata una fonte enorme di perdite. E schierandosi con l’ ex nemico Rupert Murdoch, mette ancora più con le spalle al muro l’ attuale nemico, Vincent Bolloré, patron di Vivendi. Dal canto suo Sky si rafforza nei contenuti – per contenere la pressione competitiva proveniente dai newcomers internet come Netflix e dai colossi come Google e Amazon – e si allarga sul digitale terrestre con un’ offerta limitata e a un costo più basso per invogliare nuovi potenziali clienti. È un intreccio tra finanza, media e potere che si dipanerà forse solo tra parecchi mesi. Per il momento, per il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi si tratta di una svolta che produrrà risultati notevoli. La cifra non è stata resa nota ma si parla di decine di milioni di euro l’ anno di maggiori ricavi – qualcuno parla addirittura di 80-100 milioni l’ anno per i prossimi 3-5 anni – tra affitto della banda sul multiplex del digitale terrestre (Dtt) gestiti dalla controllata Mediaset, Ei Towers, e maggiori ricavi pubblicitari derivanti dalla più ampia audience che i canali generalisti Canale 5, Italia 1 e Rete4 avranno riaffacciandosi sul satellite dopo un’ assenza durata quasi tre anni. Telespettatori quanto mai preziosi, in particolare per le due reti minori, che hanno registrato cali negli ascolti. Si vedrà martedì come reagirà la Borsa e che lettura daranno nei prossimi giorni i vertici del Biscione, che il 24 aprile approvano i conti annuali. Anche perché poi ci sarà da considerare il valore della parte «operation pay», cioè della gestione tecnica della piattaforma, che tra novembre e dicembre Mediaset ha diritto di vendere a Sky. A Premium resterebbero gli abbonamenti, ma non si sa per quanto tempo, specialmente se la piattaforma non avrà più i diritti sul calcio. A Cologno hanno firmato l’ accordo con i vertici di Sky Italia, in testa l’ amministratore delegato Andrea Zappia, guardando al fronte aperto con gli ex alleati di Vivendi, con il quale è aperta una contesa che, secondo le richieste danni avanzate da Mediaset, vale tre miliardi di euro: la prossima udienza, dopo l’ avvio di febbraio, è fissata per il 23 ottobre e finora non sembra ci siano segnali di un ravvicinamento, nonostante nei mesi scorsi sia stata ipotizzata una transazione attraverso una joint venture per lo scambio di contenuti che passava attraverso Tim, anch’ essa sotto il controllo dei francesi. Quella tra Mediaset e Vivendi è una vicenda legata alla mancata esecuzione del contratto di acquisto di Premium da parte dei francesi, uno strappo clamoroso che a fine 2016 ha portato da un lato alla scalata ostile di Vivendi a Mediaset (di cui oggi ha il 28,8%) e, dall’ altro, all’ apertura di un’ inchiesta per aggiotaggio a carico del gruppo francese, ancora in corso. In più, proprio a causa dell’ acquisto incrociato di quote in una tv come Mediaset e in Telecom, l’ Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) ha imposto a Vivendi di scendere, entro il 18 aprile, sotto il 10% mettendo la parte eccedente in un blind trust. I francesi, che puntavano a costruire con Premium – e, a medio termine, con tutta Mediaset – una sorta di Netflix mediterranea utilizzando anche la sinergia con Tim sono stretti in un angolo anche nel gruppo telefonico. Il fondo hedge americano Elliott – lo stesso che ha finanziato Yonghong Li, l’ imprenditore cinese che ha rilevato il Milan da Fininvest – ha sfidato Vivendi chiedendo la decadenza degli amministratori di nomina francese, scatenando una guerra a colpi di dimissioni incrociate di consiglieri che potrebbe finire in tribunale prima di approdare alle due assemblee di Tim il 24 aprile e il 4 maggio. Nel frattempo – altro fronte – Sky si è alleata con Open Fiber, la società della rete a banda ultralarga alternativa a Tim – per offrire l’ accesso ai suoi contenuti. Un modo per rafforzarsi ancora di più in uno dei mercati più floridi d’ Europa (4,7 milioni di abbonati su 23,8 milioni complessivi sul Continente) anche in vista dell’ alleanza tra la holding 20th Century Fox e Disney, a sua volta contesa dal gigante Comcast.
Il sogno infranto della pay tv «made in Italy»
Corriere della Sera
NICOLA SALDUTTI
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Quando Sky entrò sul mercato italiano l’ Antitrust europeo, trattandosi di un gigante mondiale, stabilì una serie di vincoli. Che si sono rivelati molto meno efficaci di quanto appariva nel lontano 2003. Condizioni e paletti che oggi sembrerebbero più adatti a una start up che non a un colosso. Ma andò così, e per Mediaset la battaglia con il magnate australiano Rupert Murdoch è stata spesso in salita. Fatta di concorrenza e sfide. Fino all’ accordo di venerdì. La pace dei «nove canali» avrà l’ effetto di aumentare l’ offerta per i clienti di Mediaset premium e di Sky, ma soprattutto ridisegna il panorama della tv a pagamento in Italia. Un’ avventura iniziata nel 2005 per il gruppo di Cologno Monzese, con ambizioni molto più ampie. Poi le difficoltà. Fino a quel patto per la cessione con i francesi di Vivendi. Un’ operazione dalla quale Vincent Bolloré si è sfilato all’ ultimo momento nel 2016 e per la quale è in corso una maxicausa giudiziaria. La partita doveva essere un’ altra. La pay tv, nei piani, doveva consentire a Mediaset altri risultati rispetto a quelli che sono arrivati. A un certo punto, la valutazione era stata superiore al miliardo di euro, ora bisognerà vedere quali potrebbero essere le condizioni per la cessione, prevista come opzione entro dicembre, dagli accordi appena siglati. Una cosa sembra evidente, la concorrenza con Sky è stata tremendamente difficile e se da un lato questa soluzione mette in difficoltà Vivendi, dall’ altro per Mediaset non può considerarsi proprio una vittoria. Un buon negoziato sì, ma a guardarlo bene rappresenta un addio al sogno di creare un pay tv tutta made in Italy in grado di battere il gigante. Che a sua volta, a dicembre, ha dovuto cedere pezzi del suo impero a un altro gigante, più grande, la Disney. La guerra dei contenuti e della tecnologia, ormai, si combatte così.
“Alleanza contro i big della Rete Le due emittenti alla guerra dell’ industria dell’ immaginario”
La Stampa
MICHELA TAMBURRINO
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Una grande guerra mondiale sta per scoppiare, la guerra dell’ industria dell’ immaginario. Sky e Mediaset hanno appena siglato un accordo per non farsi trovare impreparate. C’ entrano, in questa guerra, i gruppi europei, americani e cinesi, (Alibaba già sta investendo, in Italia, nel cinema globale) Amazon, Facebook, Google, Netflix che ha un protocollo d’ intesa con Sky, c’ entra la telefonia dell’ accordo Sky-Enel attraverso la sua Open Fiber, c’ entra un pubblico che da qui a dieci anni sarà sempre più Millennials. E la Rai? Gioca un’ altra partita, non meno difficile. Uno scenario affascinante Carlo Freccero. Lei che è autore tv, membro del cda Rai, uomo di prodotto, come la vede? «Vedo l’ alleanza Sky e Mediaset pensata contro i grandi della rete, un accordo per predisporsi alla guerra delle piattaforme. E vedo Mediaset salire di un punto d’ ascolti visto che andrà anche nel bouquet Sky». E la Rai che partita gioca? «La Rai fa la generalista, è il suo core business e sempre più si sta focalizzando su Raiuno con le altre due ancelle al servizio, canali di flusso». Una condizione di ripiego? «No, anzi. Fa servizio pubblico e fa realtà italiana. Una figura sovranista rispetto alla guerra della tv globalizzata che si svilupperà sui contenuti mondiali. La tv commerciale e la sua evoluzione raffinata, la Pay, sono già vecchie mentre la generalista parte dalla condivisione della memoria nazionale, nostalgia, radici e intrattenimento, dalla fiction che rispecchia l’ italianità della sua storia». Molto locale? «Un locale che può essere globale. Ma aggiornando il linguaggio, contaminandolo. La Rai deve produrre sue Gomorra. La tv di Stato deve essere per l’ Italia quello che Cbs e Nbc sono: la voce dell’ America profonda. E il piano editoriale ha dato indicazioni in questo senso. La si deve vedere come nella moda, l’ elemento camicia bianca è universale». Un’ incognita in questa guerra chi la potrà giocare? «Il calcio. Fino ad oggi se la sono palleggiata Sky e Mediaset ma non è detto che non se ne potrebbe occupare Amazon o motivo del contendere anche per i colossi orientali, Cina, India». Quali sono i punti caldi? «C’ è Murdoch che fa il filo a Disney perché saranno cinema, serie per un pubblico giovane ed eventi al centro della lotta. Consideriamo anche l’ enorme comparto dello sport. L’ informazione resta trasversale. Sky ha fatto una divisione molto razionale, così si preparano fortificati allo scontro». Un consumo, quello dell’ immaginario, sempre crescente? «Oramai non si consuma che quello, con il lavoro che non c’ è ci saranno sempre più produzioni, narcisistiche con i telefoni e Facebook e mondiali con la rete». Ma la brutta caduta di Facebook non sarà mortale? «È solo politica, recupererà rapidamente. E qui parliamo di scenari veloci, da qui a dieci anni. Noi analogici saremo morti, i Millennials che resteranno non conoscono classificazione di schermi». C’ è un perdente? «La botta secca l’ ha presa Bolloré, che ha perso l’ occasione di fare una tv europea». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
L'articolo Rassegna Stampa del 01/04/2018 proviene da Editoria.tv.