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Rassegna Stampa del 13/01/2018

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Indice Articoli

Renzi-De Benedetti, così i media hanno oscurato lo scandalo

Il falò delle verità che brucia l’ informazione

Giornalisti targati, la pezza dell’ Agcom

Rai Tre riparte dopo i traslochi

Tv pubblica, altri modelli oltre alla Rai

Chessidice in viale dell’ Editoria

Facebook torna ad amici e parenti

INDIPENDENZA E LIBERTÀ AL SERVIZIO DEI LETTORI

IL PRIVATO DI FACEBOOK

“Porto i miei libri sul palcoscenico Ma non è narcisismo, è curiosità”

Ecco come cambia la disciplina degli stati di crisi nelle imprese editrici e stampatrici dal 1° gennaio 2018

Renzi-De Benedetti, così i media hanno oscurato lo scandalo

Il Fatto Quotidiano
Marco Franchi
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Lo scandalo è di quelli che dovrebbero tener banco per giorni: uno dei più noti imprenditori ed editori italiani, Carlo De Benedetti, dà indicazione a Gianluca Bolengo, suo broker di fiducia, di investire sulle azioni delle banche popolari alla vigilia della riforma del settore di cui – sostiene registrato al telefono – ha saputo in anticipo dal premier Matteo Renzi in persona. Eppure sembra che giornali e telegiornali facciano di tutto per fuggire dalla notizia una volta esplosa, dando vita a uno slalom gigante per annacquare – se non proprio evitare – la vicenda. Il caso più emblematico è quello di Repubblica, il giornale di cui De Benedetti è stato storico editore e di cui oggi è proprietario Gedi, il gruppo presieduto dal figlio Marco. Il 10 gennaio la notizia della telefonata esce su diversi quotidiani, ma non su Repubblica. In mattinata compare un articolo sul sito web con un titolo all’ acqua di rose: “De Benedetti parlò con Renzi della riforma delle Popolari. Procura chiede archiviazione del caso”. Ci sarebbe tempo per rimediare il giorno seguente, ma la vicenda finisce a pagina 8 del quotidiano, senza richiamo in prima pagina e arricchito dal pastone tipico della baruffa elettorale: “Banche, diventa un caso politico la telefonata Renzi-De Benedetti”. Il giorno dopo la notizia è già sparita dal giornale, se si esclude un accenno nell’ intervista a Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Banche, che si duole, bontà sua, solo della fuga di notizie. Un tetris che non rende giustizia a come l’ allora direttore Eugenio Scalfari trattò la condanna in primo grado di De Benedetti al processo per il crac del Banco Ambrosiano nel 1992, quando aprì il giornale con la notizia della sentenza, pur criticandola con toni decisi nell’ editoriale. Ma Repubblica è in buona compagnia. La prima pagina del Corriere della Sera di mercoledì è all’ insegna del mimetismo. Titolo: “Sterzata dei 5 Stelle sull’ euro”. Occhiello: “Di Maio: non è ora di uscire. Banche, la telefonata di De Benedetti su Renzi”. Nei giorni seguenti va peggio, perché il caso sparisce dalle posizioni nobili del giornale, fino a perdersi nei trafiletti di pagina 11. Anche il Sole 24 Ore fa contorsionismo: mercoledì la notizia c’ è, ma in versione soft (“Manovra sulle popolari, dagli atti della Consob retroscena su acquisti”, pag. 11). Giovedì, poi, il quotidiano di Confindustria si supera: il sito pubblica i verbali dell’ audizione di De Bendetti alla Consob in cui si difende dall’ accusa di aver fatto un insider trading e racconta i suoi rapporti strettissimi con Renzi e le sue riforme (“il jobs act gliel’ ho suggerito io”; “sono molto amico della Boschi”; “quello lì non è un governo, sono quattro persone”). Sul giornale del giorno dopo, però, il verbale si riduce a un bignami a fondo pagina, perso a metà giornale. Al gioco del silenzio partecipano anche le televisioni, con menzione speciale per le reti pubbliche. L’ edizione del Tg1 delle 13:30 di mercoledì, poche ore dopo che i giornali hanno lanciato lo scoop, la spiega così, in chiusura di un servizio sul jobs act e sui vaccini: “Matteo Renzi replica anche ai 5 stelle che lo attaccano sul caso della telefonata tra De Benedetti e il suo broker, caso per il quale è stata già chiesta l’ archiviazione. La notizia del decreto per le banche – dice Renzi – era già uscita sulle agenzie”. Sono quindici secondi di smentita (di Renzi) a una notizia che lo stesso Telegiornale neanche aveva riportato. Al Tg1 delle 20 si replica: un accenno di diciotto secondi affidato al commento di Berlusconi, a chiusura di un servizio sulla campagna elettorale del centrodestra. Nei giorni seguenti il Tg1 si “dimentica” anche del verbale dell’ audizione di De Benedetti, riportando soltanto la notizia dell’ apertura di indagine da parte della procura di Roma sulla fuga di notizie in Commissione Banche. La versione del Tg2, mercoledì sera, capovolge i ruoli. Renzi diventa commentatore esterno del solito battibecco tra due antichi nemici: “Quanto alle polemiche sulle banche popolari, Renzi rivendica che ‘la riforma è stata giusta, nelle vicende tra Berlusconi e De Benedetti non metto bocca’”. Per il resto silenzio assoluto: il Tg3, per dire, mercoledì all’ ora di pranzo sosteneva che in primo piano ci fosse “l’ emergenza mal tempo”. Piccoli sprazzi di insider trading soltanto nell’ edizione delle 19, quando i titoli recitano criptici: “Renzi, sui vaccini intesa oscurante tra Lega e 5 stelle. Lorenzin, a rischio salute dei nostri figli. Fico, basta fake news su di noi. Polemica sulle banche”. Mettendo insieme le edizioni dell’ ora di pranzo e di cena, da mercoledì i tre telegiornali Rai hanno dedicato al caso Renzi – De Benedetti la bellezza di 140 secondi, sparsi qua e là nei servizi sulla campagna elettorale. Due minuti e venti secondi di puro servizio pubblico.

Il falò delle verità che brucia l’ informazione

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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” L a verità è prismatica, noi dobbiamo contentarci della faccia che ci viene concessa di vedere” (da “Un mese con Montalbano” di Andrea Camilleri, Sellerio, 2017, pag. 380) Ormai è vero tutto e il contrario di tutto. Nella bulimia della comunicazione moderna, non riusciamo più a distinguere il vero dal falso, l’ informazione dalla disinformazione, le notizie autentiche dalle fake news o “bufale” che dir si voglia. Dai vaccini obbligatori ai sacchetti biodegradabili, dalla raccolta dei rifiuti ai termovalorizzatori, dalle molestie sessuali alle “avance”, dal Jobs Act al lavoro precario, tutto finisce nel frullatore mediatico in azione ventiquattr’ ore su ventiquattro. Il “falò della verità” brucia l’ informazione provocando così incertezza, confusione, smarrimento. Ma non è soltanto la nostra cattiva politica, nella sarabanda della campagna elettorale, ad alimentare il flusso di scorie e di veleni. Una volta si usava dire “l’ ha scritto il giornale”. Oppure, “l’ ha detto la radio”, “l’ ha detto la televisione”. E si riconosceva così ai mass media tradizionali una credibilità e un’ autorevolezza che oggi questi vanno sempre più perdendo. Oggi, piuttosto, accade il contrario e l’ opinione pubblica tende a fidarsi più dell’ informazione alternativa, spontanea, diffusa dai social network. È innanzitutto una crisi di sfiducia, dunque, quella che colpisce il sistema mediatico, prima ancora che economica, commerciale o pubblicitaria. Una crisi che chiama in causa le responsabilità imprenditoriali degli editori. Ma interpella anche la coscienza professionale dei giornalisti, la loro identità e la loro deontologia. Se un editore fa attaccare o difendere un sindaco o un premier in funzione dei propri interessi, estranei o addirittura contrari all’ attività dei suoi giornali o delle sue televisioni, prima o poi i lettori-telespettatori percepiscono la strumentalizzazione, la rifiutano e sanzionano le testate che la praticano. Se un altro editore, in ragione del suo ruolo e del suo potere mediatico, riceve od ottiene informazioni riservate da qualche incauta fonte privilegiata e poi le usa per fare affari, investimenti o speculazioni finanziarie, è chiaro che – anche indipendentemente da eventuali aspetti giudiziari – questo non può che nuocere all’ immagine e all’ affidabilità delle sue testate. È ciò che è avvenuto nel caso Renzi-De Benedetti in merito alle anticipazioni sulla trasformazione delle banche popolari in Spa, di cui il Fatto Quotidiano ha riferito negli ultimi giorni. A parte rare eccezioni, tra cui in prima fila la società che pubblica questo giornale, in Italia la figura del cosiddetto “editore puro” non esiste più o comunque si tratta di una specie in via di estinzione, da proteggere come il panda del Wwf. La maxi-fusione denominata “Stampubblica”, sotto l’ egida della Fiat, lo dimostra con la forza di un paradigma. E se un “presidente onorario” rivendica di essere lui “il padre del Jobs Act”, ammette un’ interferenza indebita che rischia di danneggiare la sua stessa azienda. Anche noi giornalisti, naturalmente, abbiamo i nostri difetti e le nostre colpe. E dobbiamo farne ammenda, per il rispetto dovuto ai lettori o telespettatori e ai colleghi più giovani che hanno tutto il diritto di difendere il proprio futuro. Protagonismo, opportunismo, narcisismo più o meno senile, mancanza di autonomia e indipendenza di giudizio: così diventiamo complici degli editori “impuri” piegando spesso l’ informazione alle loro richieste ed esigenze, perfino a quelle implicite o inespresse.

Giornalisti targati, la pezza dell’ Agcom

Il Manifesto

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II L’ Authority per le comunicazioni prova a correre ai ripari, dopo la pioggia di polemiche sull’ articolo del regolamento per la par condicio elettorale relativo alle tv private, che prevede di imbrigliare anche giornalisti e opinionisti ospiti dei programmi. Una norma in realtà ricalcata dal regolamento sfornato dalla commissione di vigilanza Rai solo per la tv pubblica, in quel caso relativa solo alle trasmissioni che in campagna elettorale non sono ricondotte alla responsabilità delle testate giornalistiche, a differenza – come prevede la legge – di quelle che ospitano esponenti politici. L’ Agcom spiega ora che l’ obbligo di contraddittorio tra opinionisti – esteso nel caso delle tv private anche all’ informazione oltre che all’ intrattenimento – si applica solo ai format tematici. L’ articolo 7 del regolamento Agcom al comma 4 dice che «è indispensabi le garantire, laddove il format della trasmissione preveda l’ intervento di un giornalista o di un opinionista a sostegno di una tesi, uno spazio adeguato anche alla rappresentazione di altre sensibilità culturali in ossequio al principio non solo del pluralismo, ma anche del contraddittorio, della completezza e dell’ oggettività dell’ in formazione stessa, garantendo in ogni caso la verifica di dati e informazioni emersi dal confronto». L’ Authority per le comuniazioni prova a metterci una pezza: la norma non riguarda i talk ma «fa riferimento al caso specifico di programmi extra tg il cui format venga focalizzato sull’ approfondimento, esclusivo o prevalente, di un tema specifico» e dove «gli esperti siano invitati in ragione del loro sostegno a una tesi». Provando a fare un esempio, se si parla di calcio dopo una partita dal risultato contestato bisogna invitare sia chi sostiene che il rigore non c’ era sia chi è convinto del contrario (per «la verifica di dati e informazioni emersi dal confronto» c’ è pur sempre il Var…). Il che evidentemente ha molto a che vedere con la campagna elettorale. Dopo il pasticcio e la sua goffa soluzione, l’ Ordine dei giornalisti e la Fnsi ringraziano «l’ Autorità per la tempestiva precisazione che dirada alcuni dubbi», anche se «il regolamento non avrebbe dovuto specificamente individuare il giornalista come un soggetto che sceglie a priori di sostenere una te si». (mi. b.)

Rai Tre riparte dopo i traslochi

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Fabio Fazio e i suoi programmi hanno traslocato su Rai Uno. Alberto Angela con le sue Meraviglie è ormai un campione di ascolti, ma per Rai Uno. Report senza Milena Gabanelli ha perso smalto. Pure Gerardo Greco, anima di Agorà, e quelli di Gazebo se ne sono andati (alla direzione del Gr Rai e di Radio 1 il primo, a La7 gli altri). E le grandi audience del talk politico del martedì sera, quando c’ era Ballarò con Giovanni Floris, sono ormai un lontano ricordo. Ogni tentativo di innovare, da Massimo Giannini al posto di Floris, passando per il fallimentare Politics con Gianluca Semprini, fino al Cartabianca di Bianca Berlinguer (che fa il 3-4% di share, ma che dopo Semprini sembra quasi un successo), è stato vano. Così come, per esempio, è accaduto a Kilimangiaro (mai raggiunte le audience di Licia Colò), a Volo in diretta di Fabio Volo (chiuso per mancanza di ascolti) o ad Amore criminale, che aveva ottimi risultati con Barbara De Rossi ed è invece crollato con la assurda conduzione affidata ad Asia Argento (ora la più rassicurante e brava Veronica Pivetti farà sicuramente meglio). Non fosse per Chi l’ ha visto, programma nato nel 1989, e per la sua padrona di casa Federica Sciarelli (il volto della rete), si farebbe veramente fatica a ricordarsi dell’ esistenza di Rai Tre, oggi, nel 2018. Il canale ha perso praticamente tutti i suoi campioni, e ha una identità davvero sfuggente. L’ arduo compito di provare a trovare di nuovo un senso a Rai Tre è passato da poco sulle spalle di Stefano Coletta, direttore di rete dall’ agosto 2017, ma che di fatto vede nascere il suo palinsesto solo ora, nel gennaio 2018: «E sono soddisfatto delle prime tre novità: la striscia in access prime time Non ho l’ età, dedicata all’ amore over 70, e poi Ieri e oggi, in seconda serata con Carlo Conti, e il bel debutto di Michele Santoro con M al giovedì. Sabato (oggi, ndr) parte poi la serie La linea verticale con Valerio Mastandrea, e domenica torna Amore criminale in prima serata, con la nuova conduzione di Veronica Pivetti». Ma il nuovo senso di Rai Tre quale è? «Diciamo che Rai Tre deve sapere coniugare i contenuti informativi e di alta qualità con la capacità di tenere compagnia, di intrattenere. Mi sono accorto», risponde Coletta, «che non c’ era più intrattenimento sul canale. Ci dobbiamo provare, magari non guardando tanto agli ascolti, quanto ai linguaggi. E comunque, anche sul fronte ascolti, ci stiamo difendendo bene. Siamo pur sempre la terza rete per audience nelle 24 ore». Lo scheletro del palinsesto, tuttavia, si regge ancora su titoli come Mi manda Rai Tre, Geo&Geo, Un posto al sole, Blob, La Grande storia, In ½ ora, Un giorno in pretura, che con Report e Chi l’ ha visto tengono in vita la rete nonostante siano tutte trasmissioni molto tagliandate. I nuovi brand inseriti negli ultimi anni, da Cartabianca a Presadiretta, passando per Pane quotidiano, Fuori Roma o Le parole della settimana, vivacchiano ma non lasciano il segno. E, d’ altronde, il destino di Rai Tre è anche segnato da una gestione piuttosto schizofrenica delle nomine alla direzione di rete (caratteristica, questa, comune a tutti i canali Rai). Basti pensare che nel novembre del 2009 il direttore di Rai Tre era Paolo Ruffini, sostituito poi, in quei giorni, da Antonio Di Bella, che poi, nel 2010, restituisce la poltrona a Ruffini, il quale contraccambia nel 2011, lasciando nuovamente il posto a Di Bella. Il quale, nel 2012, consegna il testimone ad Andrea Vianello. Una direzione, la sua, un po’ più lunga delle altre ma contrassegnata da numerosi fallimenti, fino al 2016, quando inizia l’ era di Daria Bignardi. Epoca brevissima, tuttavia, che termina nell’ agosto 2017 quando, come detto, si insedia l’ attuale direttore Coletta. Ora Rai Tre è una rete che si colloca tra il 5-6% di share nelle 24 ore e fa fatica a superare il 6% in prima serata. Tanto per ricordare un po’ i bei tempi andati, nel 2006, per esempio, la share media di Rai Tre era invece del 10,3% in prime time e del 9,3% nelle 24 ore. Un altro mondo. In prima serata Ballarò e Che tempo che fa avevano punte del 20% di share, Report del 16%, Enigma e Ulisse del 15,4% e Chi l’ ha visto attorno al 15%; in seconda serata c’ era Parla con me di Serena Dandini che arrivava pure al 16,3%, o Un giorno in pretura al 16,7%. E il concerto del 1° maggio valeva ancora il 18,6% di share (nel 2017 ha fatto un misero 5%). Di tanto in tanto occhieggiava Sfide, trasmissione cult di cui ora si sono perse le tracce. «Tuttavia», sottolinea il direttore Coletta, «nonostante i pezzi importanti che abbiamo perso, Rai Tre, ribadisco, è sempre la terza rete nazionale per ascolti sulle 24 ore. Ora il mio obiettivo è riportare ascolti in prima serata, e rafforzare le 24 ore dove comunque, pure giovedì 11 gennaio, abbiamo fatto il 7% di share medio». © Riproduzione riservata.

Tv pubblica, altri modelli oltre alla Rai

Italia Oggi
* DELEGATO ITALIANO ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE
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Alcuni lettori, visti i dibattiti e le polemiche degli ultimi giorni, mi chiedono di riproporre le valutazioni de «Il Punto» sui meccanismi di finanziamento della Tv pubblica. Al riguardo, sono dell’ avviso che la tematica così mediatica «canone si, canone no» vada preceduta da quella, meno mediatica ma più essenziale, «servizio pubblico radiotelevisivo sì o no». Bisogna cioè chiedersi «a monte» se l’ attuale contesto caratterizzato dall’ esplosione della multicanalità e delle multipiattaforme, giustifichi ancora la necessità di un «servizio pubblico». In altre parole, la domanda per programmi che possano essere definiti di servizio pubblico può comunque essere soddisfatta dall’ offerta autonoma di mercato attraverso centinaia di canali televisivi e attraverso l’ interattività permessa da Internet senza bisogno di una (o più) emittenti ad hoc? Ad esempio l’ esistenza di canali tematici facilmente accessibili per il teatro, lo sport, la scuola, la cucina, il meteo ecc. può rendere superflua la necessità di un palinsesto specifico di un broadcaster «pubblico»? La risposta non è facile anche perché presuppone una definizione compiuta della nozione di servizio pubblico radiotelevisivo che invece è, dal punto di vista giuridico, tra le più complesse e tormentate essendo variabile di epoca in epoca, da Paese a Paese. Se un filo rosso si può trovare tra i diversi concetti e le diverse esperienze internazionali è che l’ intervento dello Stato nel settore televisivo (come attore e non come mero regolatore) si giustifica con l’ importanza attribuita al mezzo, alla sua influenza sui comportamenti politici e sociali nonché con l’ opportunità di tutelare «le radici e le identità nazionali». In questo senso mi sembra che le ragioni del servizio pubblico radiotelevisivo nel nostro Paese continuino pienamente a sussistere anche se è lecito interrogarsi, guardando al futuro, se lo strumento usato sinora (un solo broadcaster specializzato, finanziato in parte dal canone in parte dal mercato) sia quello più efficiente e/o più utile. A livello internazionale le soluzioni adottate sono essenzialmente tre: Paesi in cui esiste una sola tv pubblica o con funzioni pubbliche (oltre l’ Italia, l’ Austria, la Svezia, la Finlandia, la Svizzera, il Portogallo, la Francia, il Regno Unito – seppur quest’ ultimo con qualche distinguo); Paesi dove esistono più emittenti pubbliche (Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Australia, Usa); un servizio pubblico focalizzato sui programmi e non sull’ emittente. È questo il caso della Nuova Zelanda dove pur esiste una tv di Stato ma che si finanzia in toto sul mercato con la pubblicità mentre il canone viene raccolto da strutture pubbliche che poi lo distribuiscono a chiunque faccia programmi di «servizio pubblico». Un tema ulteriore è poi quello della natura del canone che attualmente, almeno nel nostro Paese, si atteggia di fatto come una tassa specifica a importo fisso quindi oggettivamente regressiva e anche per questo, nonostante il suo importo modesto, è tra le più invise dai cittadini. * * * Il dottor Alessio De Sio, Direttore delle Relazioni Istituzionali di Zte Italia mi segnala che nella scorsa Rubrica ho omesso di segnalare che anche la sua società partecipa alla sperimentazione 5G in Italia. Lo fa, operando con Wind e Open Fiber, a Prato e L’ Aquila. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Rai, Anzaldi (Pd): l’ azienda chiarisca lo stop dei pagamenti a Fazio. «Se fosse vero che i pagamenti a Fabio Fazio e alla sua società sono bloccati per le indagini che la Corte dei Conti starebbe portando avanti sul mega contratto milionario che la Rai ha garantito al conduttore, sarebbe opportuno che l’ azienda con trasparenza lo dicesse e spiegasse come stanno le cose, con una smentita o una conferma ufficiale». Lo ha scritto su Facebook il deputato del Partito democratico Michele Anzaldi, segretario della commissione di Vigilanza Rai, facendo riferimento a un articolo di un sito secondo cui il conduttore, a cinque mesi dall’ inizio delle sue trasmissioni su Raiuno, non avrebbe ancora ricevuto alcun pagamento, a causa delle indagini della magistratura contabile. Nuove frequenze per Radio 105. Prosegue il piano di sviluppo delle frequenze messo in atto da RadioMediaset a partire dai primi mesi del 2017. Obiettivo: rendere sempre più capillare l’ ascolto della propria emittente leader Radio 105 su tutto il territorio nazionale. Tra Bologna e provincia, Cesena, Riccione, Pesaro e provincia, quella di Agrigento, da Rovigo a Empoli, le nuove frequenze verranno comunicate e sostenute attraverso una campagna prodotta internamente e pianificata a partire da domenica 14 gennaio su tv, digital e social. FCP-Associnema: il calo del grande schermo dovuto soprattutto alla mancanza di Zalone. Secondo il presidente di Fcp-Associnema (la sezione cinema della Federazione delle concessionarie di pubblicità), Fabio Poli, l’ andamento del settore in Italia non è negativo come mostrerebbe la semplice lettura dei dati. La precisazione arriva a seguito dei numeri comunicati dalle associazioni degli esercenti durante la conferenza stampa di mercoledì scorso. «Per leggere correttamente i dati», ha detto Poli, «ritengo sia importante osservare che l’ andamento delle presenze al cinema negli ultimi cinque anni è sostanzialmente stabile se non si considera il risultato dei film di Checco Zalone. Il semplice fatto che nel 2017 non sia uscito sul grande schermo un film del comico spiega il calo registrato (-12,2% sul 2016 – dati Audimovie). Il risultato sarebbe altrimenti stato in linea con gli anni precedenti. Secondo i dati Audimovie, al netto dei film di Zalone usciti nel 2013 e 2016 la media spettatori cinema degli ultimi cinque anni è 92.974.878, in linea pertanto coi 91.390.356 spettatori del 2017». Vivendi taglia le previsioni 2017 sulle performance di Canal+. Vivendi ha tagliato l’ outlook per l’ esercizio fiscale 2017. Gli analisti di Kepler Cheuvreux hanno, però, messo in luce che i dati sono da attribuire principalmente alla performance di Canal+, la sua pay-tv. I risultati sul mercato potrebbero impattare negativamente sul titolo di Vivendi. Inoltre, l’ agenzia di intermediazione finanziaria prevede per il prossimo anno un rallentamento della crescita della sussidiaria Universal Music Group, celebre etichetta discografica, proprio a causa di un nutrito gruppo di artisti che hanno lanciato i loro album nel 2017. Universal Music può, tuttavia, guardare in futuro ad anni di ripresa, grazie a una sempre maggiore penetrazione dello streaming nel settore musicale e ai ricavi derivanti dalle inserzioni pubblicitarie su questi tipi di piattaforme. Commissione Ue, 4 italiani nel gruppo di Alto Livello sulle fake news. Oreste Pollicino dell’ Università Bocconi, Gina Nieri di Mediaset, e i giornalisti Gianni Riotta e Federico Fubini sono gli italiani nominati dalle Commissione europea nel Gruppo di Alto Livello sulle fake news e la disinformazione online. Il Gruppo di Alto Livello è composto da 39 rappresentanti della società civile, dei social media, degli organi di informazione tradizionali, giornalisti e accademici e sarà incaricato di consigliare lo stesso esecutivo comunitario. Wpp acquisisce Mash Strategy, società di consulenza londinese. Il gruppo pubblicitario britannico ha acquisito, tramite la controllata Kantar, Mash Strategy che fornisce servizi di consulenza per vari brand tra cui Johnson & Johnson, Samsung Electronics, Unilever e PepsiCo. Masterchef Italia, spettatori in crescita del +9%. Continua la crescita degli ascolti della nuova edizione di MasterChef Italia: gli episodi 7 e 8 del cooking show prodotto da Endemol Shine Italy sono stati visti giovedì su Sky Uno/+1 HD e Sky On Demand da 1 milione 236 mila spettatori medi, in crescita del 9% rispetto al giovedì precedente e con una share media su Sky Uno del 4,2%. Tv2000, in diretta il viaggio del Papa in Cile e Perù. Otto giorni di dirette e approfondimenti per raccontare il viaggio di Papa Francesco in Cile e Perù in programma dal 15 al 22 gennaio. Tv2000, in collaborazione con il Vatican Media, trasmette tutti gli eventi a partire da lunedì alle 00.10 con l’ arrivo del Pontefice e la cerimonia di benvenuto all’ aeroporto internazionale di Santiago. Mondo Tv: nuovo contratto di vendita con Jeunesse per 4 serie tv. Mondo Tv ha sottoscritto una nuova licenza con Jeunesse Tv, primario gruppo media francese, per la trasmissione di quattro serie animate, tra cui la prima stagione di Yahoo and Friends. La licenza, spiega una nota, prevede la concessione dei diritti di trasmissione free-to-air via satellite, cavo e Ip senza esclusiva in Medio Oriente e Nord-Africa sul canale per ragazzi Gulli Arabi.

Facebook torna ad amici e parenti

Italia Oggi

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Editori di tutto il mondo in apprensione dopo le recenti mosse di Facebook sul flusso di post e notizie che ogni utente vede nella sua bacheca. Il timore è duplice, da una parte si teme di perdere visibilità e, dall’ altra parte, di dover addirittura pagare per avere in futuro una significativa presenza nel cosiddetto news feed. E anche la ragione alla base delle paure degli editori è duplice perché il social network di Mark Zuckerberg ha deciso di cambiare l’ algoritmo che dispone i contenuti nelle bacheche in modo da favorire i contenuti scritti da familiari e amici, dando invece minor spazio a quelli confezionati da giornali, tv, opinionisti e marchi commerciali. Non solo, secondo indiscrezioni di stampa, Facebook vuole inserire nuovi parametri per premiare (sempre in termini di visibilità) solo i media giudicati positivamente dagli utenti-lettori o quelli che il pubblico è disposto a pagare per leggerne i contenuti premium. Strategia ideata per arginare la diffusione di fake news, dopo lo scandalo delle inserzioni russe comprate sul social network durante la campagna elettorale americana. Quest’ ultima decisione non è stata ancora confermata né pare sia stata formalmente presa dal big Usa della rete ma, come la prima mossa, rientra lo stesso nella cornice dei rapporti non sempre idilliaci tra il gigante del web e gli editori di giornali. Al momento non si sa ancora in che direzione evolverà complessivamente il news feed di Facebook ma già ieri, a Wall Street, Zuckerberg ha visto scendere il titolo della sua piattaforma dopo l’ annuncio di queste novità. Gli investitori non sembrano averle prese bene. Andando comunque più nel dettaglio, la maggior attenzione verso i posti di amici e familiari è la novità maggiore lanciata da Facebook negli ultimi anni visto che, secondo le parole scritte in un post dallo stesso Zuckerberg, «vogliamo assicurarci che i nostri prodotti non siano solo divertenti, ma che siano utili alle persone. Abbiamo bisogno di riorientare il sistema». Del resto, «abbiamo creato Facebook per aiutare le persone a rimanere in contatto tra di loro. Ma recentemente abbiamo ricevuto dalla nostra community delle lamentele sul fatto che i contenuti dei media e dei marchi stavano rimpiazzando i momenti personali, quelli che ci portano a rimanere in contatto con gli altri», ha concluso il fondatore del social network americano che dichiara oltre 2 miliardi di utenti attivi al mese sparsi in tutto il globo. Dall’ impostazione familiare a quella più incentrata sull’ informazione, a giudizio di Zuckerberg, si è passati quando «video e altri contenuti pubblici sono esplosi su Facebook negli ultimi due anni» e ora, «dal momento che ci sono più contenuti pubblici che post di amici e familiari, è tempo di spostare il feed delle notizie verso la cosa più importante che Facebook può fare: aiutarci a connetterci l’ uno con l’ altro». Spostandosi infine sulla possibile nuova gerarchia di regole per i media che vogliono apparire nelle bacheche, allo studio ci sono anche le modalità di gestione dei video, dando priorità a quelli attivi, ossia quelli con cui l’ utente decide di interagire, e di conseguenza facendo retrocedere quelli che ottengono visualizzazioni attraverso una riproduzione automatica. © Riproduzione riservata.

INDIPENDENZA E LIBERTÀ AL SERVIZIO DEI LETTORI

La Repubblica

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Di fronte alle notizie e alle polemiche che coinvolgono Carlo De Benedetti, a lungo editore di questo giornale, la direzione di Repubblica sente la necessità di rivolgersi a tutti voi lettori per salvaguardare un patrimonio di fiducia maturato nel tempo. In merito alle vicende giudiziarie e di regolazione dei mercati, che faranno il loro libero corso e che riguardano investimenti personali e rapporti privati dell’ Ingegnere con esponenti politici e istituzionali, ci teniamo a sottolineare che nessun interesse improprio ha mai guidato le scelte giornalistiche di Repubblica e nessun conflitto di interessi ne ha mai influenzato le valutazioni. Le posizioni che il giornale ha preso in questi anni sono il frutto della libera scelta della direzione e dei giornalisti, nella linea tracciata da Eugenio Scalfari e poi proseguita da Ezio Mauro. Un Dna a cui il giornale ha sempre fatto riferimento e che ha custodito nel passaggio delle generazioni come un bene prezioso. I lettori conoscono questo impegno giornalistico e civile, un giornalismo di indipendenza e libertà a cui siamo sempre stati fedeli e che continuerà ad essere la cifra di Repubblica. I rapporti, i giudizi e le iniziative di Carlo De Benedetti sono fatti personali dell’ Ingegnere. Questo giornale ha sempre avuto a cuore la propria indipendenza e goduto di una totale libertà di scelta. Prese di posizione, campagne di stampa, scelte editoriali ed errori li abbiamo fatti da soli, nella fatica del lavoro quotidiano, convinti di dover rispondere soltanto ai lettori e alle regole del libero giornalismo, a nessun altro interesse, debole o forte che sia, lontano o vicino.

IL PRIVATO DI FACEBOOK

La Repubblica
Massimo Russo
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“Porto i miei libri sul palcoscenico Ma non è narcisismo, è curiosità”

La Stampa
EGLE SANTOLINI
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Scrittore da premio Strega e sceneggiatore di gran successo, da mercoledì 17 gennaio Francesco Piccolo si dà pure al teatro. La sua prima tournée, originata dai reading che da anni tiene in giro per l’ Italia, comincia al Teatro Coccia di Novara per proseguire a Verbania, Bologna, Tolentino, Roma, Genova, Nichelino e Milano (Teatro Parenti, 11 marzo): e anche se, assicura, «parlare in pubblico non mi ha mai spaventato», di certo gli toccherà mettersi un po’ più in gioco. Si ricorda, Piccolo, che cosa ha scritto sull’ andare a teatro in «Momenti di trascurabile felicità»? Glielo leggo. «A teatro, dopo la prima frase, hai già capito. Sei in trappola, non puoi uscire, non puoi fare niente; sei piantato nella poltroncina e questo spettacolo che sta lì davanti a te durerà ore, giorni, settimane. Anni. Non finirà mai più». La terrorizza che il suo pubblico possa sentirsi così? «Diciamo che tutto lo spettacolo è pensato perché questo non avvenga. Mi conforta quello che è già successo ai reading. Capita che la mia voce e la voce narrante dei miei libri si assomiglino, e questo aiuta. E poi la gente si identifica: anzi, a volte ride qualche secondo prima che la frase finisca, perché ha capito dove sto andando a parare». C’ è del narcisismo nella scelta di salire su un palco? «Glissiamo, perché se dicessi “no” sarebbe una risposta scema, e però “sì” non lo dice nessuno. Insomma: non lo so, e comunque più del narcisismo conta la curiosità e la voglia di provare qualcosa di nuovo». Come ha riorganizzato il materiale dei due libri? «Lo spettacolo è a metà fra la lettura e il racconto, con un filo conduttore forse non visibilissimo ma molto solido. Sta nel titolo, Momenti di trascurabile (in)felicità , e in quell’ accumularsi di attimi della vita quotidiana di cui tutti hanno esperienza». Lei ha co-sceneggiato «Ella e John» , il film americano di Paolo Virzì con Helen Mirren e Donald Sutherland. Che effetto fa sentire i propri dialoghi tradotti in inglese e recitati da due mostri sacri? «Le prime volte al montaggio mi sono commosso. Mi spiace solo quei due di non averli conosciuti di persona, ma solo per mail, perché a Venezia non ci sono andato». E oltre a quelli di Virzì «Gli sdraiati» di Francesca Archibugi, e con lei «Il nome del figlio», e i film di Nanni Moretti, dal «Caimano» ad «Habemus Papam» a «Mia madre». Le piace di più scrivere un libro da solo o collaborare con altri a una sceneggiatura? «Li considero due modi complementari di fare lo stesso mestiere: il lavoro di sceneggiatura compensa l’ isolamento della scrittura in solitario, ma è anche vero che quando stiamo su un film ognuno di noi vorrebbe scriverselo per intero. Gli incagli e i momenti difficili ci sono, e anche quelli fanno parte del processo. Di sicuro con Virzì e Archibugi passiamo un sacco di tempo, anche al di là del lavoro, in grande intimità e con molto piacere». Il rapporto con Moretti parrebbe, visto da fuori, come un po’ più complicato. «E questa è la vulgata. Ma le garantisco che con lui ci si diverte molto. Si prendono pure parecchi cappuccini, perché gli piacciono le pause di compensazione al bar. Con Virzì e con Francesca, invece, si tende ad andare tutto di fila». È vero che nel suo nuovo script per Virzì, «Notti magiche», c’ entra la storia del cinema italiano? « È vero, attraverso quello che succede a tre giovani sceneggiatori». Avrà visto le notizie sulla débâcle dell’ industria nazionale. Commenti? «Il cinema italiano è vivissimo, il problema è la concorrenza di fruizione. Dunque il rimedio è uno solo ed è lì davanti a noi, che ci piaccia o no: sbrigarsi ad andare sulle piattaforme. Senza aver paura che questo significhi la morte delle sale: nella storia è sempre andata così, la concorrenza genera nuovo interesse, altro desiderio». Anche lei è uno di quelli che vive su Netflix? «E su Sky, e su Amazon. Ma anche che continua a leggere libri, per fortuna, e ad andare al cinema». Le sue serie preferite in questo momento? « The Handmaid’ s Tale e Big Little Lies . Magnifiche. Quelle che hanno raccolto molti premi agli Emmy e ai Golden Globes. Guarda caso». E due storie al femminile. «Guarda caso». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Ecco come cambia la disciplina degli stati di crisi nelle imprese editrici e stampatrici dal 1° gennaio 2018

Prima Comunicazione

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Dal 1° gennaio 2018 cambia la la disciplina degli stati di crisi aziendale per l’ editoria. Con l’ emanazione del Decreto interministeriale del 23 novembre 2017, ricorda l’ Inpgi, entrano infatti a regime le nuove disposizioni che disciplinano gli stati di crisi aziendale nel settore dell’ editoria e i relativi interventi di integrazione salariale straordinaria (Cigs), previste dal D.Lgs. n. 69 del 15 maggio 2017 . (Foto: Olycom) Il ricorso alla Cigs, in particolare, è possibile per le seguenti causali: riorganizzazione aziendale per crisi; crisi aziendale, compresi i casi di cessazione dell’ attività produttiva dell’ azienda o di un ramo di essa anche in costanza di fallimento; contratto di solidarietà difensivo. Al trattamento, spiega l’ Inpgi in un post sul sito , possono fare ricorso le imprese editrici o stampatrici di giornali quotidiani, di periodici e le agenzie di stampa a diffusione nazionale a prescindere dal requisito occupazionale dei 15 dipendenti e l’ intervento di integrazione salariale non può superare la durata complessiva di 24 mesi, anche continuativi, in un quinquennio mobile. I giornalisti professionisti iscritti all’ Inpgi, che siano stati sospesi o abbiano fruito della Cassa per la causale di riorganizzazione in presenza di crisi per almeno tre mesi, anche non continuativi, nell’ arco dell’ intero periodo autorizzato, potranno optare per l’ accesso al prepensionamento ex legge 416/81 se in possesso dei relativi requisiti. L’ opzione, naturalmente, resta esercitabile limitatamente al numero di unita’ ammesse dai competenti ministeri a seguito del recepimento in sede governativa degli accordi ministeriali e in relazione alle risorse finanziarie disponibili. Il Decreto interministeriale, inoltre, fissa i criteri per l’ approvazione dei programmi di riorganizzazione aziendale in presenza di crisi e dei programmi di crisi aziendale, che dovranno essere riscontrati nell’ ambito di un biennio per quanto riguarda l’ andamento involutivo degli indicatori economici e finanziari del bilancio. Rileveranno poi ulteriori elementi, quali la comprovata contrazione delle vendite e degli investimenti pubblicitari, la contrazione dell’ organico aziendale e l’ assenza di nuove assunzioni.


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