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Rassegna Stampa del 29/12/2017

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Indice Articoli

I telespettatori scendono sotto i 10 milioni al giorno

Sanremo e calcio ancora regine dell’ audience

Angelucci, Bechis guida i 5 Corrieri

Quotidiani, un adulto su due li legge. Giovani più allergici

Chessidice in viale dell’ Editoria

Hearst compra G+J in Olanda

Springer, Business Insider cambia sui social Il nome si accorcia e diventa Insider

Nove italiani su 10 guardano la tv e 1 su 2 ascolta la radio. I dati dell’ Annuario Istat: nel 2016 calato il numero dei lettori di giornali, con solo il 12% degli under17 che sfoglia almeno un quotidiano a settimana (INFOGRAFICHE)

Radio 2 fa festa in anticipo dall’ Ambra Jovinelli

La nuova Italia che sceglie la città (e vive da single)

La parola dell’ anno è «fake news», ma andrebbe cambiata

I telespettatori scendono sotto i 10 milioni al giorno

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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C’ è un dato fra quelli elaborati dallo Studio Frasi su base Auditel su cui occorre soffermarsi per analizzare il mercato tv in Italia nel 2017. L’ ascolto totale di televisione da televisore è sceso nell’ anno (i dati prendono a esame il periodo 1 gennaio-16 dicembre) del 2% nel giorno medio e del 3% in prime time. E così durante tutto il giorno la media dei telespettatori davanti al piccolo schermo è scesa a 9,84 milioni. Sotto i 10 milioni: soglia critica, oltre la quale non si scendeva dal 2011. Preconizzare la morte della tv sta diventando sport sempre più diffuso, con una divisione anche abbastanza netta della platea fra apocalittici e fiduciosi in un futuro in cui il piccolo schermo – e tutta l’ industria che sta dietro – dovrà comunque cambiare. Certo è che il segnale che traspare dai dati d’ ascolto di un anno di televisione, elaborati per Il Sole 24 Ore dallo Studio Frasi, è inequivocabile nel tratteggiare i contorni di un comparto bloccato, con spostamenti di share di uno zero virgola, per le generaliste e per i neocanali. In questo quadro, due sole generaliste hanno il segno più. Sono le due ammiraglie – Rai 1 e Canale 5 – attorno alle quali i due editori hanno costruito un fortino, anche a spese delle proprie reti cadette come dimostra per certi versi (indipendentemente dal giudizio sul risultato considerato da più parti al di sotto delle aspettative) lo spostamento di Che Tempo che Fa da Rai 3 a Rai 1. I numeri comunque segnalano per la prima rete Rai una share del 16,7% nel giorno medio (immobile rispetto all’ anno prima)e per Canale 5 una share al 15,8% cresciuta di 0,19 punti. Allo stesso modo in prima serata la share del 18,9% di Rai 1 è salita di 0,36 punti mentre quella di Canale 5 al 15,4% è andata su di 0,38 punti. Qui finiscono le belle notizie per la tv generalista. Anche perché, considerando la riduzione del parco spettatori, lo Studio Frasi indica un calo “reale” dell’ 1,75% nella audience di Rai 1 e dello 0,75% per Canale 5 nel giorno medio con -1,17% per Rai 1 e -0,64% per Canale 5 in prime time. A crescere – pur se con audience non paragonabili alle generaliste – sono invece i neocanali. Il 2017 è l’ anno in cui Tv8 (Sky) conquista il primato in questo segmento grazie a un incremento di mezzo punto di share, che vale una crescita media del 32,6% e del 28% in prime time. Rispetto allo scorso anno Tv8 supera Real Time nel giorno medio e Iris in prime time. Altri canali registrano salite di rilievo come Paramount Channel (Viacom) che raddoppia i propri ascolti in prima serata o Nove (Discovery) che sale dalla nona alla quarta posizione in prime time e dalla nona alla quinta nel giorno medio. Bene anche Rai Yoyo, per bambini e senza pubblicità, seconda fra i neocanali. Tutto questo però avviene nel contesto di un mercato fermo quanto ad ascolti e pubblicità(che per Nielsen è addirittura calata del 2,9% nei primi dieci mesi dell’ anno). Il che per certi versi potrebbe risultare anche paradossale visto il proliferare dell’ offerta e i nuovi canali nati nel 2017: Sony Pictures Network ha lanciato sul 45 il canale Pop, per bambini, e Cine Sony (al 55) sul mondo del cinema. La multinazionale Usa Scripps ha dal canto suo lanciato Food Network sul 33. E ancora: De Agostini è partita sul 59 con il canale maschile Alpha, Viacom con il maschile Spike sul 49 e Mediaset ha acquisito il canale 20 (quello di ReteCapri) da Tbs. Ascolti e pubblicità (con la tv che comunque nel 2016 valeva ancora la metà della torta degli investimenti pubblicitari comprensiva anche di Google e Facebook) non possono però che far suonare un campanello d’ allarme nell’ Italia del piccolo schermo in cui Festival di Sanremo e sport continuano a farla da padrone (si veda analisi a lato). Anche perché già ora, ma da qui in avanti sempre di più, analisti e osservatori sono concordi nel dire che la tv tradizionale dovrà fare i conti con la crescita della broadband tv e dei servizi in streaming. L’ avanzata di Netflix e il battage su Amazon Prime Video sono sotto gli occhi di tutti. Mediaset (con Infinity) e Sky (con Now Tv) si sono nel frattempo posizionati nel mercato dello Svod (in abbonamento) come anche Timvision. In Chili (si veda Il Sole 24 Ore di ieri), attiva nel Tvod (si paga solo per ciò che si vede), Torino 1895 Investimenti, holding della famiglia Lavazza, ha investito 25 milioni. Truppe schierate. E i risultati si iniziano a vedere. L’ ultimo rapporto It Media Consulting indica per il mercato tv un calo di ricavi dell’ 1,3%, da 8,22 a 8,12 miliardi. La pubblicità è prevista stabile a 3,175 miliardi, con il risultato che i ricavi da pay tv hanno superato quelli da spot. Tutto questo, spiega la società guidata da Augusto Preta, è però frutto prevalentemente della crescita della broadband tv e dei nuovi servizi in abbonamento in streaming, con oltre 2 milioni di utenti. Una Tv tanto diversa dalla cara, vecchia Tv. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sanremo e calcio ancora regine dell’ audience

Il Sole 24 Ore
Francesco Siliato
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Il consuntivo dell’ anno televisivo 2017 registra come programma più visto ancora una volta il Festival di Sanremo. Su Rai 1 la serata finale ha prodotto 13,6 milioni di spettatori con 54,3% di quota d’ ascolto. Ancora una volta il Festival è seguito da una partita di pallone, ma questa volta non è la nazionale di calcio a far registrare gli ascolti più alti. È Juventus-Real Madrid e questa volta non è quindi la prima rete Rai a offrire la partita più vista, ma Canale 5. La settima sconfitta della Juventus in una finale di Champions è seguita sull’ ammiraglia Mediaset da 13milioni di spettatori. L’ evento risulta però il programma più visto dell’ anno sommando ai telespettatori di Canale 5 i 786mila che l’ hanno seguito su PremiumSport. L’ eliminazione della nazionale dalla partecipazione ai mondiali di Russia è stata seguita su Rai 1 da 12,99 milioni di persone. Alla fine aver acquistato l’ esclusiva delle partite di Champions ha quindi prodotto un risultato straordinario per Mediaset almeno in termini di ascolto. I Mondiali, anche senza l’ Italia, completeranno l’ operazione: posizionare il gruppo in un ruolo da protagonista come editore principale del calcio gratuito. Volendo riassumere in una stringa il 2017 della tv, si può comunque parlare senza tema di smentita di offerta rutilante, ma mercato bloccato. I canali sono tanti, l’ offerta aumenta, ma l’ ascolto complessivo di televisione da televisore scende. Un trend che, fra le varie cose, rende evidente quel che è già noto: il campo di battaglia su cui si gioca la competizione tra editori è il tempo di donne, uomini e bambini. È un’ affermazione di Reed Hastings, mister Netflix, allarga i protagonisti della corsa alla conquista del tempo. Afferma Hastings che il suo concorrente principale non è Amazon Prime, altro operatore Over The Top, ma il sonno delle persone. Chiarito che tutti competono sul tempo di ciascuno, occorrerà stabilire con maggior certezza quali siano i mercati e fissare regole, e tasse, omogenee. Netflix è già televisione, ma non del tutto, lo diventerà presto appena acquisirà diritti per qualsiasi cosa vada in diretta. Tornando allora alla nostra televisione nazionale, ai valori e alle quota d’ ascolto degli editori che vi operano, riscontriamo vera l’ affermazione iniziale, il mercato italiano è bloccato. In questo quadro, rimane il fatto che due editori da soli valgono ancora il 68% nell’ intero giorno e il 70% nelle ore della giornata in cui gli spot si vendono al maggio prezzo. Tra Over the top, grandi imprese multi e cross mediali, media company vecchie, nuove e all’ orizzonte, ci sarebbe per governi e aziende da elaborare progetti, strategie e pianificare un sistema, magari con saggia mano pubblica. Sembra invece che il problema principale sia oggi l’ affollamento pubblicitario della Rai, ovvero come costringere il servizio pubblico a ridursi ancora un po’. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Angelucci, Bechis guida i 5 Corrieri

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Franco Bechis è il nuovo direttore del Corriere dell’ Umbria, di Siena, Arezzo, Viterbo e Rieti. L’ ex vicedirettore di Libero diventa anche editorialista del Tempo e, al contempo, mantiene i legami col suo quotidiano milanese continuando a firmarne commenti e analisi, sempre come editorialista. Comunque, sia Libero e il Tempo sia la cordata di quotidiani del Centro Italia (formalmente Gruppo Corriere) fanno dello stesso polo editoriale, quello della famiglia Angelucci. Dal prossimo 1° gennaio Bechis sarà ufficialmente e operativamente al timone dei cinque giornali e, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, ha intenzione di iniziare il 2018 e il proprio nuovo incarico professionale con due interviste, rispettivamente a Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, e con una serie d’ interventi sul futuro dell’ Italia a firma di giornalisti del calibro di Giovanni Floris (conduttore tv di diMartedì su La7), Enrico Mentana (direttore del Tg La7) e ancora con Clemente J. Mimun (direttore del Tg5). Dopo il numero del 1° gennaio seguiranno articoli di altri giornalisti noti al grande pubblico. Con una formazione in diversi giornali ma con un’ attenzione particolare per i temi economici, non è escluso che Bechis amplierà le pagine dedicate per parlare non solo di crisi e posti di lavoro ma anche e soprattutto dei marchi made in Italy che riescono a competere sul mercato (tra cui l’ umbro Cucinelli tanto per fare un esempio). Come ogni testata locale, poi, i cinque Corrieri (in tutto sulle 12 mila copie diffuse, secondo le ultime rilevazioni Ads, e circa 45 giornalisti all’ attivo) continueranno a puntare sulla cronaca locale ma ci saranno interventi anche sui contenuti nazionali tanto più che, oggigiorno, città come Siena e Arezzo richiamano alla memoria dei lettori la stringente attualità delle crisi bancarie mentre l’ Umbria la sciagura del terremoto e il caso della ricostruzione ritardata. Insomma, tra edizione su carta stampata e la versione online, Corriere dell’ Umbria (la testata di riferimento della cordata), quello di Siena, Arezzo, Viterbo e Rieti (in passato esisteva anche il Corriere della Maremma) hanno davanti a sé un possibile nuovo corso, magari caratterizzato da un restyling grafico per segnare il cambio di passo come spesso succede nel mondo editoriale (il precedente direttore era Anna Mossuto). Del resto, secondo lo stesso Bechis in una recente intervista a Radio Radicale, «i giornali locali rappresentano ancora la voce sana dell’ informazione visto che guardano la realtà così com’ è, grazie ai molti collaboratori sul territorio che coprono la cronaca anche dei centri più piccoli». © Riproduzione riservata.

Quotidiani, un adulto su due li legge. Giovani più allergici

Italia Oggi

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L’ abitudine di leggere i quotidiani riguarda meno della metà della popolazione italiana: il 43,9% delle persone di 6 anni e più, infatti, legge un giornale almeno una volta alla settimana. Come si legge sull’ Annuario statistico dell’ Istat 2017 pubblicato ieri la lettura dei giornali è però prerogativa degli adulti: solo il 12% circa dei ragazzi fino ai 17 anni ne legge almeno uno in una settimana, si sale al 35% circa tra i 18-24enni e poi i lettori di quotidiani diventano quasi la metà della popolazione dei 25-44enni mentre oltrepassano la metà solo a partire dai 45 anni e raggiungono la quota più alta tra le persone di 60-64 anni (57,2%). I giornali sono letti più dagli uomini (il 48,8% contro il 39,3% registrato tra le donne), soprattutto dai residenti al Nord (il 52,9% del Nordest e il 48,3% del Nordovest contro il 45,4% del Centro, il 33,6% del Sud e il 37,1% delle Isole). Tra le regioni meridionali, però, la Sardegna costituisce un’ eccezione: la quota di lettori di quotidiani raggiunge il 56,6%, superando quella di molte regioni settentrionali tra cui, ad esempio, l’ Emilia-Romagna (52,9%). Le persone che leggono i quotidiani cinque volte o più alla settimana sono il 35,4% dei lettori (il 31% delle lettrici e il 39,2% dei lettori). Gli anziani sono i più assidui: oltre il 40% a partire dai 60 anni. Il 2016 si contraddistingue per una ripresa del calo di quanti si dedicano alla lettura dei giornali: meno 3 punti percentuali rispetto al 2015 quando la quota di lettori era pari al 47,1%. Coloro che leggono frequentemente (5 volte e più alla settimana), però, rimangono per lo più stabili passando dal 36,3 al 35,4% della popolazione di 6 anni e più.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Gentiloni, su editoria da governo fatto molto ma serve di più. «La nostra affezione al sistema democratico, alla democrazia e alla libertà resta fondamentale. L’ informazione professionale, il mondo dei giornali, delle televisioni e del web è una parte irrinunciabile ed essenziale. Credo che il governo abbia fatto delle cose essenziali, ha riformato l’ ordine e messo parecchie risorse nell’ editoria. Bisogna fare di più». Lo ha detto ieri il presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, durante la conferenza stampa di fine anno con l’ Associazione Stampa Parlamentare. «Il di più ha a che fare con la libertà e la tutela della funzione dei giornalisti», ha aggiunto Gentiloni, «e la libertà si alimenta di autonomia e stabilità nel rapporto di lavoro, che consenta a chi fa questo mestiere a farlo con la giusta indipendenza». Vanity Fair si scusa per il video su Hillary Clinton. Dopo le polemiche esplose per un video ironico su Hillary Clinton, il magazine Usa Vanity Fair è stato costretto a scusarsi. «Era un tentativo di humor ma ci dispiace non sia riuscito». Donald Trump non ha perso occasione per attaccare la rivista ma anche la sua ex sfidante nella corsa alle presidenziali del 2016. Mentre si trovava nel suo resort a Palm Beach, Florida, il presidente americano ha scritto su Twitter: «Vanity Fair, che sta ormai per collassare, si sta piegando scusandosi per il piccolo colpo che ha sferzato alla corrotta H». Riferendosi poi ad Anna Wintour, direttore artistico di Condé Nast (il gruppo editoriale che pubblica Vanity Fair) e descritta da Trump come una grande fundraiser di Clinton, il presidente ha aggiunto: «È fuori di sé, è in lutto e sta pregando per il perdono». Il video immortalava sei nuovi propositi per il nuovo anno pensati per l’ ex segretario di stato sconfitto lo scorso anno alle elezioni presidenziali contro Trump. Ogni proposito è stato presentato da un giornalista di Hive, sito di Vanity Fair lanciato nel giugno 2016, mentre aveva in mano un bicchiere di spumante, per indicare l’ aria festiva e giocosa. Media italiani, allenatori più citati dei calciatori. Si pensa che nel calcio le vere «prime donne» siano i calciatori salvo scoprire che nell’ ultimo anno gli allenatori delle principali squadre di serie A sono stati i più citati dai media italiani, con in testa il campione d’ Italia uscente Massimiliano Allegri (38.729 citazioni), seguito da Luciano Spalletti (36.564) e Maurizio Sarri (27.220). Ad evidenziarlo è il monitoraggio di Mediamonitor su oltre mille fonti d’ informazione fra carta stampata (quotidiani e periodici), giornali locali, siti di quotidiani, principali radio e tv, blog, siti d’ informazione online. Al quarto posto della classifica dei personaggi del calcio italiano più menzionati sui media italiani c’ è un altro allenatore: Vincenzo Montella (26.528 citazioni), che ha vissuto un anno complicato sulla panchina del Milan conclusosi con l’ esonero. Francesco Totti (5° posto), nell’ anno del suo addio al calcio, è il primo dei calciatori più citati: ha collezionato 25.418 citazioni, poco più di quelle dell’ allenatore laziale Simone Inzaghi (23.766). Nell’ anno della disfatta della Nazionale, l’ ex ct Giampiero Ventura ha raccolto 10.398 menzioni, mentre sono state più contenute le citazioni di alcuni protagonisti della classifica marcatori come Mauro Icardi (12.223), Lorenzo Insigne (12.992), Ciro Immobile (10.911), Dries Mertens (8.639) e Edin Dzeko (6.932). A seguire ci sono Gianluigi Donnarumma (6.667) e Gianluigi Buffon (6.012). Famiglia Cristiana, Gessica Notaro italiana dell’ anno. Gessica Notaro, la giovane vittima di stalking sfregiata con l’ acido dal suo ex fidanzato nel gennaio 2017, è stata scelta da Famiglia Cristiana «Italiana dell’ anno», il riconoscimento che il settimanale assegna a fine dicembre per il contributo dato all’ immagine del Paese e all’ esempio dato per tutti i cittadini. «Gessica», spiega il direttore Antonio Rizzolo nell’ editoriale del numero 53, interamente dedicato, oltre che a Gessica, al riepilogo dei principali avvenimenti del 2018 e alle domande che ci poniamo su come sarà il 2018, è stata scelta «non per la violenza che ha subito, ma per il coraggio con cui l’ ha affrontata». Torino, liquidata la Fondazione per il Libro. Fondazione per il Libro di Torino liquidata e nominato l’ avvocato Riccardo Rossotto, come commissario per la liquidazione. Lo ha deciso ieri l’ assemblea straordinaria dei soci della Fondazione a cui fa capo il Salone del Libro di Torino. Per la sindaca del capoluogo piemontese, Chiara Appendino, si tratta di «un passo importante e necessario per dare un futuro al Salone e uscire dall’ emergenza che non dava prospettive alla manifestazione. In parallelo lavoriamo alla 31ma edizione (prevista a maggio 2018, ndr), che sarà ottima, e alla costituzione del nuovo ente che darà solidità al Salone». Nuovo sito per il Gse. Arriva un nuovo sito internet per il gestore dei servizi energetici (www.gse.it), risultato di un ampio progetto finalizzato a realizzare una comunicazione più efficace, trasparente e alla portata di tutti. Ora quello del Gse, presentato dal presidente e amministratore delegato Francesco Sperandini, è diventato un sito accessibile e adattabile da qualsiasi device, che metterà sempre più al centro l’ esperienza d’ uso con percorsi dedicati ai diversi target (cittadini, imprese, pubblica amministrazione) e che costituisce il principale punto di accesso per conoscere i servizi del gestore, ma anche tutti gli aggiornamenti sull’ evoluzione del sistema energetico e gli eventi di settore. Il tutto in una visione sempre più orientata allo sviluppo sostenibile, testimoniata dai programmi di innovazione ed education promossi da Gse e anche attraverso lo storytelling dei progetti di chi ha intrapreso il proprio percorso della sostenibilità.

Hearst compra G+J in Olanda

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Hearst finalizza l’ acquisizione in Olanda di Gruner+Jahr (G+J). Il gruppo americano, presente anche in Italia, ha concluso l’ operazione già annunciata attraverso la sua divisione olandese (che peraltro ricade sotto la responsabilità di Giacomo Moletto, a.d. di Hearst Italia e Western Europe). Obiettivo: portare nel proprio portafoglio di pubblicazioni testate come la versione olandese di Vogue, Jan, Glamour, Quest, National Geographic, Designer Vintage e infine una divisione specializzata nei contenuti ad hoc per clienti terzi. Di suo, invece, Hearst Olanda pubblica già periodici come Elle, Cosmopolitan, Harper’ s Bazaar, Esquire, Quote e Men’ s & Women’ s Health. «Con questa acquisizione», hanno fatto sapere ieri con una nota dal gruppo editoriale internazionale, «Hearst si rafforza sia nel segmento dei periodici e del digitale sia in quello del lusso». Questa acquisizione non segna però la prima convergenza di interessi tra Hearst e Gruner+Jahr, visto che già nel 2000 una controllata del conglomerato americano (NatMag) aveva acquisito i giornali G+J in Gran Bretagna, di cui sono solo un esempio Prima, Best, Your Home e Prima Bay. Allargando poi la visuale, emerge come l’ editrice tedesca Gruner+Jahr (che fa parte del polo Bertelsmann e che ha sotto di sé controllate come la francese Prisma Media) abbia da circa un anno almeno cambiato radicalmente linea editoriale, puntando ad abbandonare in gran parte le attività all’ estero. Per esempio, sono state poste in vendita sia le cooperazioni editoriali in Cina sia le attività spagnole. Invece, solo fino a una decina d’ anni fa, le partecipazioni estere rappresentavano una solida base: nel 2004, avevano raggiunto il 63% del bilancio totale, ma l’ anno seguente erano già scesi al 45%. E da lì in poi il calo non si è mai fermato. Nel 2013, la G+J ha venduto l’ edizione polacca del mensile Geschäft alla Burda. E nel 2014, ha ridotto anche la presenza negli Stati Uniti cedendo la Brown Printing alla Quad Graphics. La stratega di questo nuovo posizionamento è stata Julia Jäkel, dall’ aprile 2013 a capo della Gruner+Jahr. È lei che ha deciso di concentrare gli investimenti sul mercato interno. Le attività all’ estero non sono più molto redditizie e non è possibile prendere decisioni a medio e a lungo termine su questi mercati, spesso a causa della politica locale, a giudizio della stessa azienda. Intanto, sempre ieri, Hearst Olanda ha reso noto il nuovo vertice della nuova struttura (che continua a chiamarsi formalmente Hearst Olanda), con Luc van Os come a.d., Erik de Bruin come chief financial officer-cfo, Marscha Krouwel nella carica di responsabile delle testate femminili del gruppo e ancora Remy Kluizenaar nell’ analoga posizione per le pubblicazioni maschili e di divulgazione scientifica. A Rachel Gomez va la direzione commerciale, a Remmert Bolderman la responsabilità come chief technical officer-cto. © Riproduzione riservata.

Springer, Business Insider cambia sui social Il nome si accorcia e diventa Insider

Italia Oggi

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Business Insider perde un pezzo di nome, a partire dal 2018, e si chiamerà solo Insider. Almeno sui social dove nasceranno per esempio Insider Coffee, Insider Wine e Insider Toys. La testata dell’ editore tedesco Axel Springer elimina ogni connotazione più finanziario-economica fin dalla sua testata per ampliare i temi di cui si occupa, soprattutto dando più spazio a contenuti verticali sui social. Oltre a contenuti per un pubblico più vasto, poi, la mossa può aiutare ad aumentare la raccolta pubblicitaria. «In questo modo potremo fare molte più cose», ha dichiarato ieri Henry Blodget, a.d., co-fondatore e direttore editoriale di Businessinsider.com (in Italia presente all’ indirizzo it.businessinsider.com). «Le nostre ambizioni vanno oltre il business e riteniamo che la nostra forza sia il native digital storytelling», ha spiegato ancora, specificando che però il sito web non cambierà il suo nome. «Business Insider e Insider saranno su diverse piattaforme, ma non come realtà indipendenti». Secondo indiscrezioni di stampa, il 2017 di Business Insider si chiuderà con ricavi in crescita del 40%, grazie ai risultati di pubblicità, abbonamenti e licensing. Tra le iniziative previste per il 2018 c’ è anche il lancio di Ink Expeditionn e Destination Debunkers, due show che verranno trasmessi su Watch, la piattaforma video di Facebook.

Nove italiani su 10 guardano la tv e 1 su 2 ascolta la radio. I dati dell’ Annuario Istat: nel 2016 calato il numero dei lettori di giornali, con solo il 12% degli under17 che sfoglia almeno un quotidiano a settimana (INFOGRAFICHE)

Prima Comunicazione

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L’ abitudine alla lettura dei quotidiani riguarda meno della metà della popolazione, con il 43,9% delle persone di 6 anni e più, che legge un giornale almeno una volta alla settimana. Lo segnala l’ Annuario statistico dell’ Istat 2017 pubblicato oggi. La lettura dei giornali è prerogativa degli adulti: solo il 12% circa dei ragazzi fino ai 17 anni ne legge almeno uno in una settimana e si sale al 35% circa tra i 18-24enni. I lettori di quotidiani diventano quasi la metà della popolazione dei 25-44enni, mentre oltrepassano la metà solo a partire dai 45 anni, raggiungendo la quota più alta tra le persone di 60-64 anni (57,2%). I giornali sono letti più dagli uomini (il 48,8% contro il 39,3% registrato tra le donne), soprattutto dai residenti al Nord (il 52,9% del Nord-est e il 48,3% del Nord-ovest contro il 45,4% del Centro, il 33,6 del Sud e il 37,1% delle Isole). Tra le regioni meridionali, la Sardegna costituisce un’ eccezione: la quota di lettori di quotidiani raggiunge il 56,6%, superando quella di molte regioni settentrionali, come l’ Emilia-Romagna (52,9%). Le persone che leggono i quotidiani cinque volte o più alla settimana sono il 35,4% dei lettori (il 31% delle lettrici e il 39,2% dei lettori); gli anziani sono i più assidui: oltre il 40% a partire dai 60 anni. In ogni caso, evidenziano i dati, il 2016 si contraddistingue per una ripresa del calo di quanti si dedicano alla lettura dei giornali : meno 3 punti percentuali rispetto al 2015 quando la quota di lettori era pari al 47,1%. Coloro che leggono frequentemente (5 volte e più alla settimana), però, rimangono per lo piu’ stabili, passando dal 36,3 al 35,4% della popolazione dai 6 anni in su. Restando sempre nell’ ambito editoriale, l’ annuario segnala come in Italia si contino circa 2.000 tra case editrici e altri enti dediti alla pubblicazione di opere librarie , dei quali, tuttavia, nel 2015 solo 1.409 risultano attivi ossia risultano aver pubblicato almeno un’ opera nel corso dell’ anno. Nel 2015 sono stati pubblicati in Italia 55.554 libri, per un totale di quasi 157 milioni di copie. Rispetto all’ anno precedente, tanto il numero dei titoli, quanto la tiratura, sono diminuiti, rispettivamente, del 3,9 e del 6,5 per cento. La quota di edizioni scolastiche sul totale si è ridotta drasticamente, risultando quasi dell’ 8% appena a fronte dell’ 11,9% dell’ anno precedente. Le prime edizioni rappresentano, come negli anni precedenti, la maggior quota della produzione (61,6% nel 2015), a confermare un mercato che punta soprattutto sulle novità, piuttosto che sulla durata delle proposte editoriali. (elaborazione grafica Istat) Sotto il profilo delle materie trattate, prevalgono i testi letterari moderni, che superano i 58 milioni di copie, per quasi 13 mila titoli. Fra di essi, sono state stampati oltre 45 milioni di copie per circa 9 mila titoli di romanzi e racconti (esclusi i gialli). Religione e teologia hanno raggiunto un volume di 13 milioni di copie per circa 5 mila titoli. La struttura dell’ editoria italiana si conferma concentrata sulle realtà di grandi dimensioni e geograficamente polarizzata . La produzione di libri in Italia continua infatti a essere dominata dai grandi editori, che, pur rappresentando solamente il 13,9% del totale, coprono più di tre quarti dei titoli pubblicati (76,5%) e ben il 90,5% della tiratura. Nel 2015, mentre i piccoli editori, che sono il 56,6% del totale, hanno pubblicato ciascuno in media 4 titoli, in nemmeno 5 mila copie, i grandi editori ne hanno prodotti ognuno 217, con una tiratura di circa 700 mila copie. Guardare la tv è un’ abitudine consolidata fra la popolazione di 3 anni e più: il 92,2% delle persone la guarda e l’ 86,7% di queste lo fa con frequenza giornaliera. La televisione si vede abitualmente in tutte le fasce di età, ma i telespettatori sono più numerosi tra i giovanissimi e gli anziani e, in particolare, tra i 6-14enni e i 65-74enni (per entrambi pari a circa il 96%). Le donne che guardano la tv sono di poco più numerose degli uomini (92,9% contro il 91,4% degli uomini) in tutte le fasce di età eccezione fatta per le bambine di 3-5 anni, le 18-19enni e gli anziani di 75 anni e più. Gli spettacoli televisivi vengono visti più dai residenti del Mezzogiorno che da quelli del Centro-nord: il 93,4% della popolazione del Sud e delle Isole, contro il 91,2% del Nord e il 92,6% del Centro. Nel 2016 la quota di spettatori televisivi sulla popolazione di 3 anni e più rimane stabile; significativo solo l’ aumento di quanti dichiarano di guardarla per ‘qualche giorno’ (si passa dall’ 11,4% del 2015 al 13,3% del 2016). L’ ascolto della radio è, invece, meno diffuso: poco oltre la metà delle persone di 3 anni e più (53%) segue le trasmissioni radiofoniche e di queste quasi il 60% lo fa quotidianamente. In questo caso le differenze generazionali, di genere e territoriali sono più marcate. In modo opposto a quanto accade per la televisione, i programmi radiofonici sono maggiormente seguiti dalle persone di età centrale (i radioascoltatori tra i 20 e i 54 anni sono il 65% circa), dagli uomini (54,3% il 51,8% delle donne) – anche se le ascoltatrici sono più degli ascoltatori fino ai 44 anni – e dai residenti nel Nord (56,3% contro il 52,8% del Centro e il 48,8% del Mezzogiorno). Il pubblico della radio comunque diminuisce sensibilmente (nel 2015 era il 57,9% della popolazione di 3 anni e più) e in modo generalizzato (sia tra gli uomini sia tra le donne, in tutte le fasce di età e ambiti territoriali), anche se i fidelizzati mostrano un maggiore attaccamento: la quota di coloro che affermano di ascoltarla tutti i giorni aumenta da 55,4% a 59,7. Passando al web , i dati evidenziano che nel 2016, il 56,1% della popolazione di 3 anni e più ha usato il personal computer e il 63,2% di quella di 6 anni e piu’ afferma di fare uso di Internet. L’ uso del personal computer coinvolge soprattutto i giovani e raggiunge i livelli piu’ elevati nelle fasce di eta’ 15-17 anni e 20-24 anni (83,2%) e 18-19 anni (82,4%). Dai 25 anni in poi la quota degli utilizzatori, pur mantenendosi su valori elevati, inizia a diminuire gradualmente fino a raggiungere i valori più bassi nelle fasce d’ età più anziane (il 26,4% per i 65-74 anni e il 7,5% per i 75 anni e piu’). Un andamento del tutto analogo si riscontra per l’ uso di Internet . Le differenze di genere, nonostante il generale innalzamento dei tassi di utilizzo sia del personal computer sia di Internet degli ultimi anni, rimangono pur sempre evidenti. Il 60,9% degli uomini dichiara di utilizzare il personal computer a fronte del 51,5% delle donne. In modo del tutto analogo, il 67,6% degli uomini usa Internet contro il 59% delle donne. Il dislivello a sfavore delle donne si riscontra in tutte le fasce di eta’, fatta eccezione – nell’ utilizzo del personal computer – per le giovanissime dai 3 ai 5 anni e le 15-24enni e mai nell’ uso di Internet. Nelle fasce di eta’ successive, le differenze di genere si accentuano considerevolmente tanto da riscontrare una prevalenza maschile di oltre 13 punti percentuali tra i 60-74enni nell’ impiego sia del personal computer sia di Internet. Il Mezzogiorno continua a rimanere indietro nell’ utilizzo delle nuove tecnologie dell’ informazione e della comunicazione. Nel 2016 dichiara, infatti, di utilizzare il computer il 48,4% della popolazione residente nel Sud e il 46,2 per cento nelle Isole, mentre si rileva una quota che va oltre il 60 per cento nel Nord ed e’ pari a 58,9% nel Centro. (elaborazione grafica Istat) Di pari passo, l’ uso di Internet registra una minore diffusione nell’ Italia meridionale e insulare: viene utilizzato da poco piu’ del 55% dei residenti nel Mezzogiorno, contro il 67,6% degli abitanti del Nord-ovest, il 66,9% del Nord-est e il 66,4% dei residenti nel Centro. Le aree metropolitane, sia nel comune centro sia nella sua periferia, sono, inoltre, quelle in cui viene maggiormente usato il personal computer e dove si naviga di piu’ in Internet. Considerando la frequenza di utilizzo, si evidenzia la netta diffusione dell’ uso quotidiano sia del personal computer sia di Internet: rispettivamente pari al 33,4% delle persone di 3 anni e piu’ e al 44,6 per cento delle persone di 6 anni e piu’. Ed e’ proprio tra chi ne fa un utilizzo giornaliero che si concentrano maggiormente le differenze sia territoriali sia di genere. (elaborazione grafica Istat) Nel tempo sempre piu’ persone usano il personal computer, sebbene nel 2016 si registri un lieve calo degli utilizzatori giornalieri , probabilmente legato all’ uso strumenti alternativi. A partire dal 2001 (primo anno in cui ne e’ stato rilevato l’ utilizzo) ad oggi la quota di individui che ne fa uso e’ aumentata di quasi 20 punti percentuali (da 36,9% passa a 56,1%), pur essendo stata caratterizzata da fasi di stazionarietà dal 2014. Il tasso di utilizzo riprende a salire nel 2015 per poi rimanere sostanzialmente stabile nel 2016. Contrariamente a quanto accade per il ricorso al personal computer, l’ uso di Internet coinvolge sempre più persone di anno in anno (il maggiore incremento si e’ avuto negli anni tra il 2008 e il 2010) e continua nel 2016 con un balzo in avanti del 2,9 per cento rispetto al 2015. Continuano ad aumentare gli utilizzatori “forti” (sia tra le donne sia tra gli uomini): le persone che dichiarano di utilizzare la rete tutti i giorni passano da 40,3 a 44,6 per cento. In parallelo diminuiscono coloro che dichiarano di non aver mai utilizzato Internet: da 38,0 a 34,9.

Radio 2 fa festa in anticipo dall’ Ambra Jovinelli

Il Venerdì di Repubblica

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n Radio, il perimetro fisico degli studi per le trasmissioni tradizionalmente intesi sembra sempre più stretto. Lo dimostrano le scelte di tutte e tre le reti di Radio Rai: i luoghi canonici dove si realizzano i programmi, via Asiago o Saxa Rubra, vengono abbandonati sempre più spesso a favore di piazze, teatri, mega-locali. Radio 2 festeggerà il Capodanno, con 24 ore di anticipo, domani 30 dicembre, con un appuntamento speciale in diretta dal palcoscenico dello storico teatro romano Ambra Jovinelli, la casa dell’ avanspettacolo nel cuore del quartiere Esquilino. Alle 21 avrà così inizio A ruota libera, lo spettacolo con Giovanni Veronesi, scritto e interpretato, proprio per essere rappresentato all’ Ambra Jovinelli, da Alessandro Haber, Rocco Papaleo, Sergio Rubini e lo stesso Veronesi. I protagonisti dicono che sarà una “chiacchierata musicale” sulla vita, il cinema, lo spettacolo e i mille aneddoti vissuti dagli attori che animeranno la serata. Assieme a loro, ci saranno ospiti a sorpresa seduti tra il pubblico, mentre la musica sarà garantita dall’ Orchestra Musica da ripostiglio. La pièce verrà commentata per il pubblico di Radio2 da Max Cervelli, “complice” di Veronesi, con il quale tutti i giorni alle 12 condivide i microfoni di Non è un Paese per giovani. i.

La nuova Italia che sceglie la città (e vive da single)

La Repubblica
ELENA STANCANELLI
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Era New York il paradiso dei single. Delle monoporzioni al supermercato, gli appartamenti minuscoli, i ristoranti nei quali le famiglie venivano guardate con sospetto. E l’ Italia il paese delle famiglie felici, il cui paradiso somigliava a un mulino bianco, in campagne ariose dove bambini biondi scorrazzavano felici, importunando coniglietti. Secondo i dati diffusi dall’ Istat quest’ anno, le differenze si stanno assottigliando. E dopo aver venduto tutti i mulini e tutti i coniglietti ai ricchi americani, a noi non è rimasto che assumere le loro vecchie abitudini e adattarcele un po’. Stiamo diventando tutti newyorkesi? I nuclei familiari composti da una sola persona sono passati dal 20 al 30 percento (uno su tre), l’ impegno politico interessa sempre meno, i crimini diminuiscono (in particolare gli omicidi) e le grandi città sono il posto più ambito in cui vivere. Tra le tante cose che Internet non è riuscito, ancora, a fare, è permettere davvero agli italiani di lavorare ovunque. Per l’ ovvia ragione che non tutto può essere fatto attraverso la rete, e la meno ovvia e più fastidiosa che non siamo ancora riusciti a ottenere connessioni abbastanza certe e veloci, niente che possa servire davvero per lavorare con tranquillità. Sembra incredibile, ma le zone coperte da fibra ottica in questo paese sono ancora pochissime, persino nelle grandi città dove, sempre secondo l’ Istat, la spesa media per famiglia è di circa 500 euro in più rispetto a quella nei Comuni più piccoli. Per quale ragione allora ci affolliamo tutti qui, in poche decine di costosissimi chilometri quadrati? Perché il trasporto ferroviario è praticabile soltanto su alcune tratte, e il resto, intorno, è di un’ efficienza medievale. Attraversare l’ Italia per largo, da ovest a est, è complicatissimo, anche con la macchina. Perché vivere dei prodotti della terra è un incubo dal quale ci siamo affrancati un paio di generazioni fa e, giustamente, non abbiamo nessuna voglia di riprovarci. Le mele ci piace comprarle al mercato, e il latte nelle bottiglie, quando piove l’ unica cosa di cui dobbiamo preoccuparci è non dimenticare l’ ombrello e se la sera ci prende il magone, o ci sentiamo soli, possiamo andare al cinema o a teatro (consumi culturali che infatti quest’ anno sarebbero aumentati). Vivere in città è più semplice e meno faticoso. E anche vivere da soli. Non avere figli da accompagnare a scuola in condizioni proibitive, né coniugi depressi perché il denaro guadagnato non basta a tenere in piedi la famiglia. Non so se stiamo diventando tutti newyorkesi, ma di certo nessuna della nostre città è New York. Nessuna delle nostre città è una città che non dorme mai, dove si corre da una parte all’ altra inventandosi la vita, il lavoro, il futuro. O almeno provandoci. Al contrario, se noi alleggeriamo il nostro fardello non è affatto per andare più veloci, ma perché non riusciamo più a fare niente: lavorare, fare figli, progetti. Ci sembra di dover scalare una montagna soltanto per pagare un bolletta. Qualche giorno fa mi è capitato di dover entrare nel sito dell’ Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti. Non riuscivo a credere che qualcuno avesse potuto concepire qualcosa di così brutto, incomprensibile, vecchio: tecnicamente inutilizzabile. Mi chiedevo: ma chi l’ ha inventato, non ha visto cosa fanno gli altri, com’ è uno dei milioni di siti che funzionano nel mondo? Ed è per questo che leggendo i dati di quest’ anno ho sentito che non c’ era nessuna allegra vitalità americana, nessun buon segno in quelle percentuali. Ma piuttosto una resa all’ insensatezza, all’ impossibilità, alla fatica di quasi tutto. Prima di qualsiasi altra cosa, se vogliamo che questo Paese rinasca, dobbiamo tutti impegnarci a rendere la vita più semplice alle persone. © RIPRODUZIONE RISERVATA GETTY IMAGES/ ROOM RF.

La parola dell’ anno è «fake news», ma andrebbe cambiata

Avvenire
di Gigio Rancilio
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T emo non ci sia partita. La parola dell’ anno è «fake news», anche se non è una ma due parole. Il Collins Dictionary l’ ha già scelta con qualche settimana d’ anticipo. Per capirne la portata sul web, se si cerca «fake news» su Google, il motore di ricerca ci restituisce ben 36 milioni e 500 mila pagine che contengono a diverso titolo questo termine. DataMediaHub – che è una delle realtà più significative che analizza i media (www.datamediahub.it) – ha pubblicato ieri uno studio, in collaborazione con Waypress su quanto se n’ è parlato sui giornali italiani (su carta e online). Scrive Pier Luca Santoro su DataMediaHub: «Complessivamente le citazioni sono state oltre 10mila sulla carta stampata e ben 166mila nell’ omologa versione online delle testate monitorate». Diciamoci la verità: se n’ è parlato così tanto (non solo sui giornali) e spesso persino a sproposito, che quasi siamo stufi di sentire l’ espressione «fake news». Che si tratti di «false notizie» l’ abbiamo capito tutti. Così come (forse) abbiamo capito che esistono dal 1517, cioè da mezzo millennio. Il digitale, i social le hanno solo rese più facili da far circolare ma anche da smascherare. Così come i social hanno fatto emergere l’ odio (anche quello represso) che da tempo alberga nella nostra società. L’ hanno reso visibile, non creato. Perché la Rete, il web, i social sono un mezzo. Che può essere usato anche molto male, ma dietro il quale ci sono sempre delle persone, non delle realtà astratte. Perfino i famigerati «algoritmi », ai quali tendiamo a dare la colpa di ogni nefandezza digitale e dai quali vorremmo la soluzione per (quasi) tutto, sono compilati da persone, dietro precise istruzioni pensate e impartite da altre persone. Persino nello stigmatizzare le «fake news» quest’ anno si è fatta una gran confusione. C’ è chi nel calderone ha messo anche la satira e la parodia, i contenuti diffusi in maniera imprecisa per leggerezza o per fretta, i veri e propri impostori, che fabbricano contenuti appositamente falsi per screditare qualcuno e persino le correlazioni errate, non basate su prove sufficienti. Per questo Claire Wardle e Hossein Derakhshan in un rapporto pubblicato dal Consiglio d’ Europa hanno proposto di cambiare il termine da «fake news» in «information disorder», così da sottolineare che il problema vero è «l’ inquinamento dell’ informazione». Anche la Media Editor del Washington Post, Margaret Sullivan, ha chiesto di mettere in soffitta il termine «fake news», proprio perché di per sé fuorviante. «Le differenze tra una bufala creata ad arte e un errore giornalistico, per esempio, sono notevoli e vanno affrontate in modi differenti». C’ è un punto del lavoro di DataMediaHub che dovrebbe interessarci molto, come giornalisti e come lettori. Quando Santoro conclude: «La deriva delle ‘fake news’ viene spesso usata dalle testate giornalistiche per concludere che la responsabilità sarebbe dei lettori». Della serie: se ci credete, se le diffondete, se ‘abboccate’ la colpa è vostra e solo vostra. «I media – conclude Santoro – sono l’ unica realtà che si accanisce contro i propri ‘clienti’». Allargando l’ orizzonte, uno dei problemi che affligge il nostro tempo è pensare che la colpa (di qualunque cosa) sia sempre degli altri, di qualcun altro, di qualcosa d’ altro (algoritmi, intelligenza artificiale, ‘macchine infernali’). Noi non sbagliamo mai. Noi giornalisti, noi lettori, noi elettori, noi persone non sbagliamo mai. La colpa è sempre degli altri. Basterebbe un piccolo, grande sforzo da parte di tutti e la parola del 2018 potrebbe diventare «responsabilità». E al posto di« fake news» e «information disorder » potremmo «solo» parlare di buona e cattiva informazione; di giornalisti e di spacciatori di bufale. RIPRODUZIONE RISERVATA vite digitali.


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