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Rassegna Stampa del 22/12/2017

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Un anchorman e un esperto ci spiegano come si può riformare la Rai francese

Sky e Fininvest testa a testa nel mercato delle comunicazioni Cairo, con La7 e Rcs, vale il 3,9%

Addio Russia anche per la Rai, i diritti tv passano a Mediaset

Mondiali a Mediaset, una scommessa che vale 45 milioni

Carlo De Benedetti e Repubblica

Tutto il Mondiale su Mediaset La Rai punta sulla Champions

Rai, l’ Agcom verifica i tetti alla pubblicità

Comunicazioni, nel 2016 il valore del Sic a quota 17,6 mld di euro (+3%)

Tv8, 2018 tra Formula 1 e MotoGp

Chessidice in viale dell’ Editoria

Coppa Italia, è lite per i diritti tv

Il sistema delle comunicazioni italiano vale 17,6 miliardi di euro. Agcom presenta il Sic 2016: quote più rilevanti detenute da 21ts Century Fox, Fininvest e Rai. Poi Cairo-Rcs, Google, Gedi, FB, Italiaonline e Gruppo 24 Ore

Google e Fieg “La difesa dai pirati sta funzionando”

Fieg-Google, già 72 edizioni sulla piattaforma condivisa L’ intesa vale fino a 50 milioni

Un anchorman e un esperto ci spiegano come si può riformare la Rai francese

Il Foglio

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Parigi. Nei corridoi di France Télévisions, la Rai francese, non è ancora stato digerito il commento presidenziale: in una riunione con i deputati della commissione cultura dell’ Assemblea nazionale, Emmanuel Macron avrebbe detto che la tv pubblica è “la vergogna della République”. L’ Eliseo ha formalmente smentito la frase assassina spifferata dal settimanale Express, il giornalista che ha raccolto le indiscrezioni conferma tutto, ma al di là delle versioni contrastanti, resta il fatto che quella sera Macron ha criticato severamente la governance del settore audiovisivo pubblico, sottolineando anzitutto la “mediocrità” dei programmi e gli “sprechi”. “Ha distrutto France Télé. Le accuse erano violente. Ogni frase era dura. Il malessere deve essere profondo per lasciarsi andare in questo modo”, ha sussurrato al Parisien uno dei presenti. La riunione, durata più di un’ ora, ruotava attorno all’ adattamento della televisione pubblica al digitale, al rafforzamento delle sinergie tra i vari canali, alla produzione di contenuti più appetibili per le fasce più giovani, alla lotta contro le fake news. “A questo proposito, non è stato fatto il lavoro etico necessario”, ha detto l’ in quilino dell’ Eliseo. Tutto ciò prefigura la grande riforma del settore audiovisivo pubblico francese, sulla quale l’ esecutivo, tuttavia, sembra non avere ancora le idee chiare. “A che gioco sta giocando Emmanuel Macron? Che cosa ha in mente per la televisione e la radio pubblica francese?”, sono le due domande che ossessio nano i dipendenti del settore, scrive il Monde. Fino a due giorni fa, di concreto, c’ era soltanto un documento di lavoro del ministero della Cultura intitolato “Bbc à la française”. La volontà, emersa dal documento, è quella di ispirarsi al servizio pubblico britannico, raggruppando le varie entità di stato, France Télévisions, Radio France e France Médias Monde, per facilitare l’ interazione, ma anche per ridurre i costi. Ieri, durante una riunione al ministero della Cultura, alla quale hanno partecipato Delphine Ernotte (France Télévisions), Mathieu Gallet (Radio France), Laurent Vallet (Institut national de l’ au diovisuel), Marie-Christine Saragosse (France Médias Monde) e Anne Durupty, rappresentante della direzione di Arte, la ministra della Cultura, Françoise Nyssen, ha annunciato “cinque cantieri prioritari” sui quali i dirigenti dovranno lavorare fino a fine gennaio 2018: la riconquista del pubblico giovanile, le cooperazioni internazionali, il miglioramento dell’ offerta, una piattaforma comune online e nuove sinergie sulle risorse economiche. Su quest’ ultimo punto, in particolare, c’ è un gran malcontento all’ interno della televisione pubblica. Il governo ha chiesto una cura dimagrante di 50 milioni di euro alla patron di France Télévisions, che ha fatto urlare i sindacati, e che da molti osservatori è vista come una mossa per rendere più fragile la posizione della Ernotte. Si rincorrono in questi giorni le speculazioni attorno a un addio anticipato (il mandato scadrebbe nell’ agosto del 2020) dell’ alta dirigente che ha fatto carriera a France Télécom/Orange, prima di essere nominata al vertice della Rai francese. E si dice soprattutto che la Ernotte non stia affatto simpatica al presidente Macron, nonostante la volontà comune di creare un “Netflix europeo”, e nemmeno al suo fedelissimo segretario generale dell’ Eliseo, Alexis Kohler, che è stato, tra le altre cose, membro del consiglio d’ am ministrazione di France Télévisions tra il 2010 e il 2012. “Il nuovo esecutivo ha una visione assai tecnocratica, e considera France Télévisions come un mammut”, ha detto al Monde un membro dell’ ex maggioranza socialista. Kohler non vede l’ ora di ridurre il più possibile il numero di dipendenti a tempo pieno (sono 18 mila) che lavorano per l’ intero settore audiovisivo. Ma non vede l’ ora di operare tagli anche ai vertici. “La frase sul settore audiovisivo ‘vergogna della République’ è probabilmente la condanna a morte della patron di France Télévisions”, dice al Foglio Frédéric Taddeï, uno dei volti catodici più noti Francia, animatore di trasmissioni cult come “Ce soir (ou jamais!), e oggi anche direttore del magazine maschile Lui, oltre che speaker radiofonico su Europe 1. Al Monde, qualche giorno fa, non si è tirato indietro quando si è trattato di dire quello che pensava sulla presidente della tv pubblica di Parigi: “France Télévisions è uno spreco. La sua presidente, Delphine Ernotte, non sa nulla di televisione e sta rovinando France Télévisions. Xavier Couture, che lavora al suo fianco, è costernato e cerca di farle capire alcune cose, ma a quanto pare è complicato. C’ è una direzione che prende le persone per degli imbecilli e fa una televisione in funzione di questo criterio! Invece di immaginare un nuovo canale culturale sul web, i responsabili dovrebbero programmare delle trasmissioni culturali su France 2 e France 3 a un’ ora decente”. Per Taddeï, inoltre, uno dei principali problemi che dovrebbero affrontare il presidente della Repubblica e la dirigenza di France Télévisions è l’ assenza di pluralismo. “Oltro al crollo verticale della qualità dei programmi, c’ è un incredibile conformismo nella televisione pubblica francese”, dice il giornalista di Europe 1, e aggiunge: “Dibattere, in Francia, è diventato difficile. Per capire come va il mondo, sono necessari i veri dibattiti, dove si possono ascoltare opinioni divergenti e capire perché le persone non sono d’ accordo”. Per Ivan Rioufol, editorialista del Figaro e habitué dei dibattiti televisivi, France Télévisions “ha troppi canali e produce troppo pochi talenti”. “La televisione pubblica – spiega Rioufol – deve essere riformata al più presto, raggruppando le varie entità e trovando altri modi di espressione, che attraggano maggiormente i giovani. Attualmente, il servizio pubblico costa molto, la qualità è piuttosto mediocre, e il pluralismo non è garantito. Tutto ciò, provoca una grande frustrazione negli spettatori”. Mauro Zanon.

Sky e Fininvest testa a testa nel mercato delle comunicazioni Cairo, con La7 e Rcs, vale il 3,9%

Il Giornale

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Nel 2016 il Sistema Integrato delle Comunicazioni (Sic) valeva 17,6 miliardi (l’ 1,05% del Pil), registrando un aumento di oltre il 3% rispetto al 2015. È quanto emerge dalla chiusura del procedimento per la valutazione delle dimensioni economiche del Sic effettuata da Agcom. L’ area radiotelevisiva conferma il proprio primato sul totale (51%), mentre si riduce di due punti percentuali (dal 25% al 23%) il peso complessivamente esercitato da quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed editoria annuaristica. Cresce l’ incidenza dell’ editoria elettronica e la pubblicità online (12%) mentre rimane pressoché stabile il peso degli altri comparti come il cinema (5%). Sulla base delle informazioni raccolte, Agcom ha determinato la distribuzione delle quote dei principali soggetti presenti, da cui emerge come nessuno di essi abbia realizzato nel 2016 ricavi superiori al limite del 20%. I primi nove gruppi, nel Sistema Integrato delle Comunicazioni, rappresentano congiuntamente, con quasi 11 miliardi di euro, il 61% delle risorse totali. In particolare, le quote più rilevanti sono detenute da 21st Century Fox (Sky) (15,2%), Fininvest (15,2%) e Rai (15,0%). Seguono Cairo/La7/Rcs MediaGroup (3,9%), Google (3,7%), Gedi, ex Gruppo Editoriale L’ Espresso, (3,0%), Facebook (1,9%), Italiaonline (1,4%) e Gruppo 24 Ore (1,2%).

Addio Russia anche per la Rai, i diritti tv passano a Mediaset

Il Manifesto
NICOLA SELLITTI
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NICOLA SELLITTI II Paghi il canone ma non vedi i Mondiali di calcio sulla Rai. La rete pubblica si separa per la prima volta dalla Coppa del Mondo, in programma il prossimo giugno. Il pacchetto composto da 64 partite è andato a Mediaset, che manderà in onda le partite sui canali gratuiti, Canale 5, Italia 1 e Rete 4. L’ ufficialità è arrivata ieri ma le indiscrezioni filtravano da diversi giorni. Un’ operazione finanziaria intorno ai 40 milioni di euro, offerta al ribasso ovviamente dettata dall’ assenza della nazionale azzurra dalla competizione che è anche uno dei motivi del sostanziale disimpegno da parte di viale Mazzini. Di certo, come si legge su alcuni siti d’ informazione, i dirigenti Rai erano convinti di poter ottenere uno sconto da parte della Fifa. «Vogliamo i diritti peri Mondiali, ma senza partecipare ad aste folli», diceva settimane fa il direttore generale della Rai, Mario Orfeo. NULLA DA FARE, la dirigenza Mediaset non si è lasciata sfuggire l’ occasione, ovvero l’ esordio assoluto dei Mondiali sui suoi canali. È un addio che produrrà strascichi, anche se la Rai aveva già ridimensionato lo sforzo economico per le ultime tre edizioni dei Mondiali, trasmessi da Sky. E non basta, non è infatti sufficiente lo sbarco di una delle partite delle italiane in Champions League sulla tv pubblica, visto che il pacchetto complessivo per il triennio fino al 2021 tornerà a Sky, dopo tre anni sulle reti Media set, tra canali free e a pagamento. Anche perché l’ offerta sportiva da parte della tv di Stato ha perso pezzi pregiati nel corso degli anni, e si limita al momento a nove Gp di Formula Uno: il pacchetto completo è di Sky che con buone probabilità rinnoverà l’ accordo per il 2018-2019. Ma la corazzata di Murdoch gode anche del monopolio sull’ Europa League, una competizione dove ora gareggiano quattro squadre italiane. E ha tutta l’ aria di sembare un brodino l’ aver riportato «a casa» dopo otto anni la visione in chiaro delle Olimpiadi invernali al via il 9 febbraio in Nord Corea. Un’ operazione frutto di un accordo con Discovery, che nel giugno 2015 aveva acquisito i diritti dei Giochi per quattro edizioni, investendo 1,3 miliardi di euro. A Vancouver 2010 la rete pubblica aveva trasmesso 100 ore sulle 450 complessive, senza copertura invece quattro anni dopo a Sochi con una parte della competizione in chiaro su Cielo e integralmente su Sky.

Mondiali a Mediaset, una scommessa che vale 45 milioni

Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Ufficiale: i prossimi mondiali di calcio in Russia si vedranno solo su Mediaset. Non ci sarà la nazionale italiana, ma il gruppo di Cologno fa ugualmente la sua scommessa sul torneo che si svolgerà in Russia dal 14 giugno al 15 luglio. Una sfida che, questa volta, non ha come perno la pay tv quanto piuttosto lo storico core business della tv in chiaro. Tutte le 64 partite saranno infatti visibili «gratuitamente e in esclusiva», come è stato confermato in un comunicato stringato che rimanda a oggi l’ illustrazione puntuale dei dettagli degli accordi con la Fifa. Tutto sulle reti free, quindi, per quella che rappresenta una prima volta per il gruppo (il cui titolo a Piazza Affari ieri ha segnato un +0,98%) come per i telespettatori italiani. Finora infatti, anche grazie al ticket Sky-Rai i Mondiali di calcio non avevano mai disertato gli schermi della tv di Stato che nel frattempo è già finita al centro di polemiche per non essersi aggiudicata i diritti di trasmissione di Fifa 2018. Sconcerto per la mancata assegnazione alla tv di Stato hanno espresso Usigrai e il Cdr di Raisport (i giornalisti Rai sono in stato di agitazione) parlando di «fatto gravissimo e inaccettabile». Sul versante politico il segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi (Pd) ha sollevato critiche sull’ utilizzo del canone da parte della tv di Stato. Certo, l’ assenza della nazionale italiana può aver reso meno amara la pillola per un servizio pubblico che oltre alle Olimpiadi invernali si avvicina ai diritti per la partita in chiaro del mercoledì in Champions League (si veda Il Sole 24 Ore di ieri). È altrettanto chiaro a tutti però che per il mese dei Mondiali in Russia a farla da padrona in tv sarà Mediaset. E per questo a Cologno si respira un clima di festa, di chi è convinto di aver fatto un colpo grosso, con un calcolo fra costi e introiti che farebbe pendere l’ ago della bilancia in positivo. Peraltro anche la controllata Mediaset España si è aggiudicata gli stessi diritti per la Spagna. Sul primo punto, quello dei costi, il balletto delle cifre si è consumato finora in un range compreso fra i 40 e i 78 milioni. Nessuna cifra è stata ufficialmente comunicata ed è da escludere che lo sarà. C’ è da dire che nella classifica dei 50 eventi maggiormente visti in Italia 49 sono legati a partite di calcio (con l’ unica eccezione del Festival di Sanremo). La Nazionale in media attira un’ audience di 8-12 milioni, fino ai 20 milioni delle partite più seguite di Europei e Mondiali. Per la mancata qualificazione dell’ Italia la Fifa (che in linea generale ha stimato incassi dalle tv per Russia 2018 di circa tre miliardi), temeva di perdere circa 100 milioni rispetto a Brasile 2014, quando fra Rai e Sky aveva incassato circa 180 milioni. Detto questo, a quanto risulta al Sole 24 Ore i calcoli fatti internamente indicherebbero un costo “netto” di circa 45 milioni: cifra cui si arriva considerando il costo dei diritti, ma anche, in senso contrario e quindi di cifre non spese, il quantum necessario per riempire i palinsesti estivi. Questo gap di 45 milioni – che in fondo è il target di introiti per arrivare quantomeno a un’ operazione in pareggio – in Mediaset sarebbe ritenuto ampiamente colmabile dalla raccolta pubblicitaria che per gli ultimi Mondiali in Brasile si è attestata sui 70 milioni di euro per la Rai e sui 40 milioni per Sky. Allora c’ era la nazionale italiana, ma è anche vero che la squadra allenata da Cesare Prandelli uscì al primo turno, dopo sole tre partite. Altra questione è quella degli orari, più favorevoli in Russia dove si giocherà alle 14, alle 17 e alle 20 ora italiana. Sul versante pubblicitario c’ è infine il tema dei vincoli – 12% orario e 4% settimanale – che la tv pubblica ha più stringenti rispetto alle tv commerciali (“tetto” orario del 18% di spot e del 15% giornaliero). In questo quadro, la scelta di dare tutte le partite in chiaro è la testimonianza di un ritorno, forte, di Mediaset al core business storico della tv free. Qualcosa è però previsto anche per la pay, con la piattaforma Premium che trasmetterà le migliori partite in 4K. In ultima analisi va considerato il fatto che Mediaset ha un polo radio (R101, Virgin, 105, Subasio), con tutte le sinergie che ne conseguono (oltre ai diritti che anche per la radio dovrebbero essere stati acquisiti da Mediaset). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Carlo De Benedetti e Repubblica

Italia Oggi
SERGIO LUCIANO
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Fine maggio ’99, interno notte, ristorante Santini di via San Marco a Milano: una lunga tavolata, almeno venti persone, è riunita per un festeggiamento. È appena giunta in porto positivamente l’ opa dell’ Olivetti di Roberto Colaninno su Telecom Italia. Al centro della tavola, il cosiddetto «ragioniere» di Mantova, appunto Colaninno, artefice dell’ impresa. Alla sua destra, Marco De Benedetti, all’ epoca amministratore delegato della Tim, uomo forte del gruppo Telecom; alla sua sinistra Franco Debenedetti, economista liberista ed ex manager. Punto di contatto fra i due: Carlo De Benedetti. Marco, ne è il figlio secondogenito; Franco, ne è fratello. Punto di dissidio tra i tre: Carlo De Benedetti aveva cercato in tutti i modi di osteggiare la riuscita dell’ opa Olivetti su Telecom. Convinto – diceva agli amici – che fosse un modo losco di rovinare Telecom, e i fatti gli hanno anche dato ragione; sicuri invece i suoi stessi amici che la vera causa di quella sua ostilità fosse il rancore e il dispetto verso Colaninno, suo ex dipendente alla Sogefi. Sta di fatto che il fratello e il figlio, strafottendosene delle preferenze dell’ autorevole parente, erano lì nella squadra festosa e vincente dello scalatore. Ritratto di famiglia in un interno. La storia si ripete. Solo chi non conosce la storia si meraviglia della lettera che Marco De Benedetti, oggi presidente di Gedi (che non ha nulla a che vedere con Guerre Stellari, ma è solo il brutto nome dato alla società frutto della fusione tra La Stampa e l’ Editoriale L’ Espresso) ha affidato al Cdr di Repubblica per prendere le distanze dalle dichiarazioni fatte dal padre Carlo al Corriere della Sera contro Eugenio Scalfari e contro Repubblica. In questa lettera, Marco ha affermato, testualmente, che «l’ intervista rilasciata da mio padre qualche giorno fa ha generato disorientamento, con riferimento alla posizione della Società nei confronti di Repubblica. Desidero ribadire quanto ho avuto modo di illustrare nella riunione di mercoledì scorso, e cioè (…). Le opinioni espresse nell’ intervista non rappresentano né il pensiero degli azionisti, né quello del vertice della Società, che sono tutti determinati a proseguire sulla strada tracciata. Nell’ augurarvi buon lavoro, vi invio i miei migliori saluti». Padre e figlio si sono insomma mandati a quel paese in pubblico. Per interposti giornali. Che stile. Scriveva Lev Tolstoj che «tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». Ma felicità e disgrazia sono stati d’ animo soggettivi: guai ad attribuirli a chi, probabilmente, vive metriche interiori e valoriali completamente diverse. Anche per questo, la storia del rapporto tra l’ Ingegnere, i suoi figli e la Repubblica è tutta da rileggere: e non solo per il vizio della memoria, ma anche per capire dove sta andando e potrà andare il secondo quotidiano del paese, nonché l’ unico a essere nato e cresciuto fino alla leadership negli ultimi decenni, per poi restituirla al vecchio sovrano, il Corriere. De Benedetti fu il taxi che Eugenio Scalfari e Carlo Caracciolo (veri e soli artefici, nell’ ordine, del concept e del progetto di Repubblica) scelsero di prendere per farsi portare un passo più avanti. Quando decisero di vendere all’ Ingegnere, nel 1990, con grande cordoglio della redazione e degli amici, ne spiegarono a tutti, le due ragioni essenziali, entrambe (naturalmente oltre a quella primaria di intascare 400 miliardi di vecchie lire). La prima ragione era che consideravano impossibile, per due persone fisiche come loro, reggere, da soli, alla pressione della concorrenza internazionale: vendere era dunque stata una scelta necessaria per consentire a Repubblica di competere ad armi pari nel mercato globale: e nel dirlo, lo pensavano, tanto che acquistarono una quota nell’ Indipendent, con mossa costosa e inutile, visto che nessun gruppo editoriale tradizionale nel settore news quotidiane ha mai fatto grandi affari all’ estero, e nemmeno ci riuscì la Repubblica. L’ altra ragione era che, vendendo all’ Ingegnere, la Repubblica non avrebbe perso nessuna delle sue particolarità. Almeno per sei anni, il periodo durante il quale non avrebbe potuto cambiare nulla, perché i patti parasociali che l’ Ingegnere, pur di conquistare il controllo azionario del gruppo, aveva loro concesso, assegnavano ai soci venditori l’ ultima parola su tutte le decisioni strategiche, compresa la permanenza di Scalfari alla direzione o la nomina di un suo successore, fino al maggio del ’96. Scalfari spiegò, pressappoco, e chi c’ era (come chi scrive) lo ricorda assai bene: «De Benedetti è un cane sciolto, un compagno di strada compatibile con la natura indipendente di Repubblica, perché anche lui, come noi, è refrattario alle cordate, agli incasellamenti, alle cupole ed è abituato a decidere in proprio». Lo diceva e lo pensava sul serio, Scalfari. E riteneva, a buona ragione, che avrebbe potuto agevolmente tenere a bada gli spiriti padronali che bollivano in De Benedetti. In che modo? Semplice: come fece ad esempio nel ’92, quando Repubblica (unica!) scrisse che l’ aumento di capitale tentato in extremis dall’ Ingegnere all’ Olivetti era fallito, perfino forzando un po’ i termini della realtà. Il punto era che il grande giornalista, Scalfari, appunto, abituato ad autodirigersi e a non essere eterodiretto, non perdeva occasione di far capire all’ Ingegnere che comandava ancora lui. Non era soltanto questione di ego, di cui pure Scalfari non era affatto carente. Il fondatore diceva, con ragione, che un giornale capace di darsi la linea da solo, all’ interno di una cerchia ristretta di persone rappresentate, oltre che da lui, dai suoi amici di sempre e dai capi del giornale stesso, a prescindere dagli interessi degli azionisti, avrebbe sempre avuto un plus rispetto ai concorrenti, di cui, al contrario, la classe dirigente nazionale poteva sempre prevedere (e condizionare!) opinioni e posizioni, conoscendo quelle dei loro padroni. Di Repubblica, no: nessuno poteva dirlo. E i calci negli stinchi che periodicamente Scalfari mollava ai suoi stessi amici erano lì a testimoniarlo. Ma allora De Benedetti cosa ci aveva guadagnato a investire tanti soldi, e per così tanto tempo, in un’ azienda, senza contare nulla? Lui che era sempre stato campione del mordi-e-fuggi, compra, risana (a volte) e rivendi? Ci aveva guadagnato due cose: tutela e spazio di sfogo. Le due cose di cui più aveva bisogno. Spieghiamoci, perché tutto si tiene, a cominciare dalla tutela. C’ è un efficace spot televisivo, nella seconda metà degli anni 80, con cui Scalfari lanciò Affari & Finanza. Rappresentava, nella prima parte, un giovanotto in eskimo che passava in bicicletta all’ edicola e comprava Repubblica. Nella seconda parte dello spot, lo stesso giovanotto, sbarbato e incravattato, parcheggiava l’ auto davanti all’ edicola e, dieci anni dopo, ritirava Repubblica con Affari & Finanza. La metafora era chiara e vera. Repubblica aveva compiuto il miracolo di prendere per mano, nel 1976, la borghesia italiana di sinistra, quella che votava Pci e apprezzava Berlinguer e disprezzava la Dc e il Psi di Craxi, di accompagnarla al governo col compromesso storico e di riavvicinarla a una piena accettazione del capitalismo e del mercato, precorrendo di qualche anno la Perestrojka e la caduta del Muro. Scalfari, la Repubblica e il suo mondo avevano sdoganato il più grande partito comunista occidentale proiettandolo verso il potere costituzionale. E in quel Pci di governo si riconosceva una buona metà della magistratura italiana, quella più attiva. Chi era di sinistra, chi votava comunista, leggeva Repubblica; e chi leggeva Repubblica e aveva dalla sua in compenso il Pci, i sindacati e molti procuratori della Repubblica. È qui che s’ innesta il concetto della particolare tutela che De Benedetti s’ era procurato, diventato finanziatore (non padrone!) di Repubblica. Quel mondo lì (il potere di sinistra) rispettava il cane per il padrone. Il padrone vero era Scafari, con Repubblica; il cane era De Benedetti. La storia non si fa certamente con i se e con i ma, però, chi può escludere che le sorti giudiziarie dell’ Ingegnere (sia per le tangenti alle Poste, che lo videro arrestato all’ alba e scarcerato alla sera, che per l’ assoluzione in extremis per l’ Ambrosiano) non sarebbero state più amare? E poi: non era fisiologico, per lui (bestia nera degli Agnelli, dopo averne ammirato e invidiato in una posizione da condomino di seconda fila, il potere torinese) indossare le vesti del miliardario rosso? Un posizionamento, questo, che gli era valso una corsia preferenziale (in termini di accesso privilegiato a relazioni e dialoghi) nei rapporti col sindacato e essere cane sciolto, nel suo con la sinistra di governo, da Romano Prodi a Massimo D’ Alema. Impossibile e antigienico azzardare stime e pesare questi vantaggi in termini assoluti. Ma è certo che nel suo aver vissuto dentro il «salotto buono» salvo sparlarne ogni minuto, insidiandone fallimentarmente gli assetti, dalla Fiat alla Pirelli, De Benedetti si è molto giovato della sua posizione di coeditore di Repubblica. È stato per lui come avere un alano in giardino: solo pochi cinofili sanno che il bestione non morde, neanche al comando del padrone di casa, se non lo decide lui; e comunque gli estranei, prudenzialmente, girano al largo. La componente sfogo è valsa poi per De Benedetti quasi altrettanto: un uomo che ha sempre vissuto nel rancore, che ha sempre sparlato di chiunque, miracolato dall’ opinione pubblica col non averne ricordato sistematicamente la sequela di sconfitte e di figuracce inanellate in tutta la sua carriera imprenditoriale (ma si dovrebbe dire di raider finanziario) non poteva che godere del fatto di essere lord protettore di un giornale che non faceva sconti ai gruppi industriali padroni del Corriere della Sera, del Messaggero, del Sole 24 Ore, del Gazzettino, del Carlino e poi al comune nemico Berlusconi: il quale, se Repubblica non avesse avuto alle spalle De Benedetti e De Benedetti non avesse avuto al fianco Repubblica, avrebbe sgominato entrambi. Questo è però passato remoto. Tutto cambia, nettamente anche se gradualmente, negli anni Duemila. La nomina del successore di Scalfari nella persona di Ezio Mauro avviene ancora in vigenza dei vecchi patti parasociali, siamo nel maggio del ’96 e i voti del fondatore e di Caracciolo, spiazzano l’ Ingegnere che avrebbe preferito l’ ottimo Giulio Anselmi, risarcito poi con la direzione dell’ Espresso e quindi dell’ Ansa (Anselmi sarebbe stato un altro errore di De Benedetti, perché si sarebbe rivelato indipendente quanto Mauro). Ma gradatamente e fatalmente, e nonostante la schiena dritta di Mauro (che però commette l’ errore di diventarne umanamente amico, lasciandosi forse sedurre da un certo innegabile fascino intellettuale che l’ Ingegnere poteva irradiare su alcuni) De Benedetti negli anni Duemila prende sempre più spazio a Repubblica. Inizia a influenzarne la linea, si mette a far politica, a fare il king-maker anti-berlusconiano, brucia candidati su candidati, da Rutelli a Veltroni, pasticcia con dinamiche che non capisce, sposiziona Repubblica perché protunde sul quotidiano che controlla anziché starsene defilato e lo mutila della sua tradizionale «auto-direzione». La classe dirigente inizia a osservare le mosse dell’ Ingegnere (ad ascoltarne gli sproloqui serali nelle cene romane di via Giulia) per strologare sulla linea futura di Repubblica. E spesso ci prende. La scomparsa di Caracciolo, nel 2008, con uno Scalfari ormai 83enne, apre ulteriori spazi di ingerenza, sempre ipocritamente rispettosa delle apparenze, per l’ ex presidente dell’ Olivetti. Ma il 2008 è anche l’ anno in cui scoppia la crisi: finanziaria, economica, editoriale. Inizia la china, per tutti i media. La pubblicità crolla, le vendite si decimano, l’ Internet gratuito (nel quale peraltro Repubblica svetta, per lucida visione non dell’ Ingegnere ma del suo amministratore dell’ epoca, Marco Benedetto) cannibalizza i prodotti cartacei. Anche Repubblica inizia a perdere lettori, conosce l’ onta (transitoria, perché arriva un altro bravo manager, l’ attuale a.d. Monica Mondardini) del rosso di bilancio. De Benedetti rimane arroccato alla presidenza. Ma per poco. Arriviamo all’ ultimo capitolo, quello del modo in cui, tolstoianamente, la famiglia De Benedetti ha sempre vissuto al suo interno distanze e dissensi profondi. In quella fase, solo l’ Ingegnere parlava bene di Repubblica e usava il futuro a proposito dell’ editoria: i suoi figli epigoni, Rodolfo e Marco (Edoardo, buon per lui, fa il medico in Svizzera), tutt’ altro. Non perdevano occasione, nei salotti milanesi, per far capire che, fosse stato per loro, quell’ asset l’ avrebbero venduto subito. Altri anni da allora sono trascorsi, l’ Ingegnere ha fatto il passo indietro del vecchio leone, incapace di gestire il tramonto con lo stile e il distacco dei saggi appagati e consapevoli. L’ accordo con gli Agnelli, la manageralizzazione crescente del gruppo, e poi l’ estrema decisione: dire addio anche al vertice del gruppo editoriale e dare spazio ai figli, certo non per generosità, e forse con il retropensiero che tanto, prima o poi, sarà la famiglia Agnelli, oggi minoritaria, a giocare l’ asso pigliatutto. La recente intervista al Corriere è un monumento al rancore. E stigmatizzando in pubblico, dalla sua posizione e con una cattiveria esagerata, la perplessità che certamente la provocazione di Scalfari («piuttosto che Di Maio voto Berlusconi!») aveva suscitato in tanti, De Benedetti ha lanciato la stampella intellettuale contro il luogo cui tanto deve e contro l’ uomo che lo ha tenuto nel giro dei potenti anche quando di altri poteri non ne aveva più alcuno. Giusto (e simmetricamente cattivo, ma con la grande attenuante dell’ aver agito per una forte necessità aziendale) il commento del figlio editore: mio padre parla per sé, non ci rappresenta più. Il necessario oggi è che Repubblica torni a rappresentare qualcuno, come seppe fare, alla grandissima, 41 anni fa, nascendo. Per esempio quell’ Italia moderata e di sinistra che non può votare né voterà mai Berlusconi, che non sopporta l’ idea di dover votare Grillo, che non si fida a votare Grasso, ma proprio non riesce a votare Renzi. il Sussidiario.net La classe dirigente inizia a osservare le mosse dell’ Ingegnere (ad ascoltarne gli sproloqui serali nelle cene romane di via Giulia) per strologare sulla linea futura di Repubblica. E spesso ci prende. La scomparsa di Caracciolo, nel 2008, con uno Scalfari ormai 83enne, apre ulteriori spazi di ingerenza, sempre ipocritamente rispettosa delle apparenze, per l’ ex presidente dell’ Olivetti. Ma il 2008 è anche l’ anno in cui scoppia la crisi: finanziaria, economica, editoriale. Inizia la china, per tutti i media. La pubblicità crolla, le vendite si decimano, l’ Internet gratuito (nel quale peraltro Repubblica svetta, per lucida visione non dell’ Ingegnere ma del suo amministratore dell’ epoca, Marco Benedetto) cannibalizza i prodotti cartacei. Anche Repubblica inizia a perdere lettori, conosce l’ onta (transitoria, perché arriva un altro bravo manager, l’ attuale a.d. Monica Mondardini) del rosso di bilancio. De Benedetti rimane arroccato alla presidenza. Ma per poco. Arriviamo all’ ultimo capitolo, quello del modo in cui, tolstoianamente, la famiglia De Benedetti ha sempre vissuto al suo interno distanze e dissensi profondi. In quella fase, solo l’ Ingegnere parlava bene di Repubblica e usava il futuro a proposto dell’ editoria: i suoi figli epigoni, Rodolfo e Marco (Edoardo, buon per lui, fa il medico in Svizzera), tutt’ altro. Non perdevano occasione, nei salotti milanesi, per far capire che, fosse stato per loro, quell’ asset l’ avrebbero venduto subito. Altri anni da allora sono trascorsi, l’ Ingegnere ha fatto il passo indietro del vecchio leone, incapace di gestire il tramonto con lo stile e il distacco dei saggi appagati e consapevoli. L’ accordo con gli Agnelli, la manageralizzazione crescente del gruppo, e poi l’ estrema decisione: dire addio anche al vertice del gruppo editoriale e dare spazio ai figli, certo non per generosità, e forse con il retropensiero che tanto, prima o poi, sarà la famiglia Agnelli, oggi minoritaria, a giocare l’ asso pigliatutto. La recente intervista al Corriere è un monumento al rancore. E stigmatizzando in pubblico, dalla sua posizione e con una cattiveria esagerata, la perplessità che certamente la provocazione di Scalfari («piuttosto che Di Maio voto Berlusconi!») aveva suscitato in tanti, De Benedetti ha lanciato la stampella intellettuale contro il luogo cui tanto deve e contro l’ uomo che lo ha tenuto nel giro dei potenti anche quando di altri poteri non ne aveva più alcuno. Giusto (e simmetricamente cattivo, ma con la grande attenuante dell’ aver agito per una forte necessità aziendale) il commento del figlio editore: mio padre parla per sé, non ci rappresenta più. Il necessario oggi è che Repubblica torni a rappresentare qualcuno, come seppe fare, alla grandissima, 41 anni fa, nascendo. Per esempio quell’ Italia moderata e di sinistra che non può votare né voterà mai Berlusconi, che non sopporta l’ idea di dover votare Grillo, che non si fida a votare Grasso, ma proprio non riesce a votare Renzi. il Sussidiario.net.

Tutto il Mondiale su Mediaset La Rai punta sulla Champions

Corriere della Sera
Renato Franco
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«Senza l’ Italia, spiace dirlo, le cifre sono più abbordabili. E con i diritti in esclusiva per tutte le piattaforme siamo sicuri che l’ operazione sarebbe profittevole. Per Mediaset avere i Mondiali sarebbe un evento storico, oltretutto per la prima volta totalmente gratuito per il pubblico». Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mediaset, pochi giorni fa era fiducioso. E in effetti ne aveva motivo. La notizia è di ieri: Mediaset si è aggiudicata in esclusiva i diritti dei prossimi Mondiali di calcio in Russia. La Rai accusa il colpo, perché per la prima volta il Mondiale non andrà sulle reti della tv pubblica (le ultime edizioni erano state appannaggio della coppia Sky-Rai), ma la consolazione potrebbe arrivare in forma di Champions: viale Mazzini confida di assicurarsi i diritti free per il triennio 2018-2021. Mediaset invece festeggia perché ha acquisito i diritti per l’ offerta in chiaro, pay e online delle 64 partite di Russia 2018. Che andranno in onda free su Canale 5 e Italia 1, le due reti scelte come vetrina della manifestazione; saranno visibili pay su Premium per gli abbonati; e si potranno guardare online sui device mobili e computer. In una sinergia di gruppo, verranno coinvolte anche le radio (nell’ autunno 2015 è nato il polo con R101, Radio 105, Virgin e Subasio) che offriranno la radiocronaca di alcune partite. C’ è chi ha parlato di un affare da 78 milioni di euro, ma c’ è chi dice che la cifra vada ridotta intorno ai 50 perché pesa – molto – l’ assenza dell’ Italia. È stato anche questo il motivo per cui Mediaset ha deciso di partecipare per la prima volta a un’ asta che aveva sempre evitato per i costi proibitivi che rendono la trasmissione dei Mondiali sempre in perdita. Ma ora, a prezzi ridotti, Mediaset conta di riuscire addirittura a guadagnarci.

Rai, l’ Agcom verifica i tetti alla pubblicità

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Sarà il servizio giuridico dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni a chiarire se l’ interpretazione finora data alla norma sui tetti pubblicitari della Rai sia giusta o sbagliata, e quindi se finora viale Mazzini abbia o meno sforato i limiti di affollamento degli spot. Lo ha deciso mercoledì scorso il consiglio dell’ Agcom presieduto da Angelo Marcello Cardani che ha preso in esame gli esposti di Mediaset «per condotte illecite della concessionaria pubblica in materia di vendita di spazi pubblicitari e di affollamenti pubblicitari». La Rai, secondo il Testo unico della radiotelevisione, attualmente ha per la pubblicità un tetto orario del 12% e un tetto settimanale del 4%. Ed è in particolare quest’ ultimo quello su cui nel tempo c’ è stata un’ interpretazione permissiva: il limite è stato inteso per le tre reti generaliste nel loro insieme e non per la singola rete. In questo modo soprattutto Rai 1, la più richiesta dagli investitori e quella più redditizia, poteva superare tranquillamente il tetto del 4% alla settimana a patto che le altre viaggiassero sotto nel totale, Rai 3 soprattutto. Ora dopo l’ esposto di Mediaset i commissari vogliono vederci chiaro prima di decidere e per questo hanno chiesto un parere al servizio giuridico. Il secondo ricorso riguardava invece la pratica della concessionaria della Rai di fare sconti consistenti sulla pubblicità venduta (anche l’ 80-90% sui prezzi di listino secondo voci di mercato). Una sorta di dumping, possibile grazie al fatto che la Rai gode dell’ introito del canone. In questo caso sembra che l’ Agcom, che ancora non ha comunicato quanto deciso, avrebbe aperto un’ istruttoria per verificare la presenza di sussidio incrociato: la Rai, obbligata a una contabilità separata, starebbe utilizzando i ricavi pubblicitari anche per finanziare attività del servizio pubblico per le quali a rigore sarebbe necessario solo il canone, ma proprio in virtù della presenza di quest’ ultimo può fare sconti molto elevati.

Comunicazioni, nel 2016 il valore del Sic a quota 17,6 mld di euro (+3%)

Italia Oggi

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Nel 2016, il Sistema integrato delle comunicazioni (Sic) vale 17,6 miliardi di euro (l’ 1,05% del pil), registrando un aumento di oltre il 3% rispetto all’ anno precedente. L’ area radiotelevisiva conferma il proprio primato per incidenza dei propri ricavi sul totale (51%), mentre si riduce di due punti percentuali (dal 25% al 23%) il peso complessivamente esercitato da quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed editoria annuaristica. Cresce l’ incidenza sul Sic dell’ area che include l’ editoria elettronica e la pubblicità online (12%) mentre rimane pressoché stabile il peso degli altri comparti, quali cinema (5%), pubblicità esterna (2%) e «below the line» (7%). È quanto emerge dalla chiusura del procedimento per la valutazione delle dimensioni economiche del Sic per l’ anno 2016, deliberata dal consiglio dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Sulla base delle informazioni raccolte, Agcom ha determinato la distribuzione delle quote dei principali soggetti presenti nel Sic, da cui emerge come nessuno di essi abbia realizzato nel 2016 ricavi superiori al limite del 20% previsto dall’ art. 43, comma 9, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Tusmar). A tale riguardo, si evidenzia che i primi nove gruppi nel Sic rappresentano congiuntamente, con quasi 11 miliardi di euro, il 61% delle risorse totali. In particolare, le quote più rilevanti sono detenute da 21st Century Fox (15,2%), Fininvest (15,2%) e Rai (15,0%). Seguono Cairo Communication/Rcs MediaGroup (3,9%), Google (3,7%), Gedi (ex Gruppo Editoriale L’ Espresso, 3,0%), Facebook (1,9%), Italiaonline (1,4%) e Gruppo 24 Ore (1,2%).

Tv8, 2018 tra Formula 1 e MotoGp

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dal 18 marzo al 25 novembre del 2018 il canale televisivo Tv8 di Sky potrà contare su 19 fine settimana con la MotoGp e, come ormai sembra certo, novità, su 21 weekend con la Formula Uno, di cui dovrebbe trasmettere sia le gare live in chiaro sia quelle in differita che fino al 2017 andavano invece sulla Rai. Una potenza di fuoco notevole che farà decollare ulteriormente gli ascolti del canale, già oltre il 2,6% di share in prima serata e sopra il 2,2% nelle 24 ore. Tv8, infatti, nella stagione 2018, disporrà non solo dei pregiati contenuti motoristici, ma pure delle partite di Europa League di calcio, del tennis agli Internazionali di Roma, della informazione a cura di Sky Tg24, e poi di brand importanti dell’ intrattenimento come Dance Dance Dance (dal 2018 in chiaro), Guess my age, Italia’ s got talent, Quattro matrimoni in Italia, e, in passaggio in chiaro dopo la finestra pay su Sky, delle edizioni di MasterChef, X-Factor, o della serie I delitti del barlume. Nel 2018, comunque, Sky assicurerà ai suoi abbonati pay tutta la Formula Uno, tutto il MotoGp, tutta l’ Europa league di calcio e, dal luglio 2018, anche tutta la Champions league (ma c’ è una intesa in divenire con la Rai per una gara in chiaro) con quattro squadre italiane di diritto ai gironi. Non è invece ancora certo cosa accadrà ai diritti della Serie A di calcio 2018-2021, poiché l’ asta si terrà nelle prime settimane del 2018. La Rai, come detto, dal punto di vista dei diritti sportivi perde la Formula Uno, ma conquista le Olimpiadi invernali di Pyeonchang (Corea del Sud) dal 9 al 25 febbraio, grazie a un accordo con Eurosport di Discovery, che comunque conserverà i diritti esclusivi per la messa in onda in pay tv. Il servizio pubblico, da settembre, dovrebbe avere anche una partita di Champions league, grazie all’ intesa con Sky, ma potrebbe perdere sia la Coppa Italia, che finora si è rilevata una occasione unica nel rapporto costi-ricavi, sia gli highlights sulla Serie A. Per la prima volta nella storia della tv, inoltre, la Rai non trasmetterà i Mondiali di calcio, in programma in Russia dal 14 giugno al 15 luglio 2018. I diritti per tutte le partite in chiaro e in pay se li è aggiudicati, infatti, Mediaset per una cifra tra i 40 e 50 milioni di euro (vedere box lato). Il Biscione, che da luglio perde la Champions league di calcio, è anche favorito nell’ asta per la Coppa Italia nel triennio 2018-2021 e per gli highlights in chiaro del campionato di Serie A. Resta da capire, invece, come si presenterà all’ asta della Serie A di calcio 2018-2021: ovvero, se da sola, o, come ormai sembra probabile, in ticket con Tim. Il gruppo Discovery Italia, perciò, alla fin fine sembra privilegiare il business pay quando si tratta di diritti tv. E in chiaro, nel 2018, dovrebbe trasmettere solo il torneo del 6 Nazioni di rugby e le finali di Supercoppa e di Coppa del re del calcio spagnolo. Sui canali di Eurosport, disponibili sulle piattaforme pay di Sky e Mediaset Premium, rimarranno invece il grande tennis, il grande ciclismo, il grande basket, gli sport invernali, comprese le Olimpiadi, lo snooker, l’ atletica leggera, i motori ecc. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Internet, pubblicità su dell’ 1,5% a novembre. Secondo i dati di fatturato rilevati dall’ Osservatorio Fcp-Assointernet (Fcp-Federazione concessionarie pubblicità) per il periodo gennaio-novembre 2017, raffrontati allo stesso periodo del 2016, la raccolta cresce dell’ 1% mentre nel solo mese di novembre il dato è a +1,5%, con il web a -4,7%, mobile a +55%, tablet a +74,4%, smart tv-console a -87,2%. «Per il quarto mese consecutivo, il risultato del web monitorato dall’ Osservatorio Fcp-Assointernet segna un risultato positivo: +1,5% a novembre», ha dichiarato il presidente Fcp-Assointernet Giorgio Galantis. «Crescita che porta il progressivo gennaio-novembre a +1,0% sul 2016. Sarà importante verificare come si chiuderà l’ anno, tenendo conto che nel 2016 il mese di dicembre aveva registrato il dato di fatturato più alto con oltre 50 milioni di euro». Poligrafici Printing cede il 100% di Gep a Rotopress. La società controllata da Poligrafici Editoriale ha ceduto il 100% di Grafica editoriale printing (Gep) alla collegata Rotopress International. Il controvalore dell’ operazione, hanno fatto sapere ieri con una nota dal gruppo, è di 1,5 milioni di euro. La cessione, a fronte di un valore di carico della partecipazione di 5,6 milioni, determinerà una svalutazione nel bilancio consolidato dell’ emittente di 4,1 milioni e una minore esposizione finanziaria verso gli istituti bancari per 6,1 milioni. Askanews, votati 5 giorni di sciopero. I giornalisti dell’ agenzia stampa Askanews hanno votato un pacchetto di 5 giorni di sciopero e hanno dato mandato al comitato di redazione di intraprendere tutte le iniziative necessarie per protestare contro il mancato pagamento della tredicesima e soprattutto contro l’ assenza di comunicazioni aziendali a riguardo. Dallo scorso 25 settembre la redazione è in Cigs. Visibilia Editore, Bracknor sottoscrive seconda tranche poc. Bracknor Investment ha sottoscritto la seconda tranche del prestito obbligazionario convertibile (poc) relativo al contratto concluso con Visibilia Editore, società editoriale quotata all’ Aim Italia. La seconda tranche è composta da 50 obbligazioni per un controvalore complessivo di 500 mila euro. Bracknor Capital Ltd è la piattaforma di gestione degli investimenti di Bracknor Investment, veicolo di investimento con sede a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Pubblicità, Facebook è un social network solo per giovani. Facebook permette alle aziende che fanno pubblicità sul social network di escludere le persone anziane dalle loro offerte di lavoro. Lo ha reso noto un’ inchiesta del New York Times e di ProPublica, sottolineando come questa pratica rischi di essere illegale. Negli Stati Uniti esiste la legge del 1967 Age Discrimination Act, che protegge le persone che hanno più di 40 anni di età e in generale le persone anziane che cercano un lavoro. Fieg-Google, un anno di cooperazione. Compie un anno di attività l’ accordo triennale tra Fieg e Google per sviluppare un modello sostenibile di editoria digitale. Tra corsi di formazione, strategie mobile, tutela del copyright contro la pirateria digitale e valorizzazione dei dati degli editori, è stato per esempio oltre il 70% degli associati Fieg ad aver attivato gli strumenti avanzati che Google ha messo a disposizione per la rimozione di contenuti che violano il diritto d’ autore. Poi, oltre mille giornalisti hanno seguito i 22 corsi di formazione organizzati dal Digital Lab@FIEG. Secondo Boston Consulting Group, su mandato di Fieg e Google, l’ impatto dell’ accordo triennale tra riduzione dei costi e possibili fonti aggiuntive di fatturato per gli editori è di 40-50 milioni di euro in tre anni.

Coppa Italia, è lite per i diritti tv

Libero

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La tanto snobbata Coppa Italia (negli ottavi le squadre hanno schierato solo il 28% dei giocatori considerabili titolari) continua a rivelarsi una macchina di ascolti tv. Con le big in campo i risultati sono stati ottimi: Juve-Genoa è stata vista da 5 milioni di persone (20% di share). E il picco più atteso deve ancora venire, visto che da quest’ anno ci sarà la novità Boxing day. Martedì 26 alle 21 si gioca Lazio-Fiorentina su Rai2, gli altri quarti tutti alle 20.45 e tutti su Rai1: Milan-Inter mercoledì 27, Napoli-Atalanta il 2 gennaio, Juve-Torino il 3. E adesso è lite sui diritti del triennio 2018-21: La7, Discovery, Sky e Mediaset sono pronte a far concorrenza alla Rai e sborsare oltre 30 milioni l’ anno.

Il sistema delle comunicazioni italiano vale 17,6 miliardi di euro. Agcom presenta il Sic 2016: quote più rilevanti detenute da 21ts Century Fox, Fininvest e Rai. Poi Cairo-Rcs, Google, Gedi, FB, Italiaonline e Gruppo 24 Ore

Prima Comunicazione

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Nel 2016, il Sistema Integrato delle Comunicazioni (SIC) vale 17,6 miliardi di euro (l’ 1,05% del Pil), registrando un aumento di oltre il 3% rispetto al 2015. L’ area radiotelevisiva conferma il proprio primato per incidenza sul totale (51%), mentre si riduce di due punti percentuali (dal 25% al 23%) il peso complessivamente esercitato da quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed editoria annuaristica. Cresce l’ incidenza sul Sic dell’ area che include l’ editoria elettronica e la pubblicità online (12%) mentre rimane pressoché stabile il peso degli altri comparti, quali cinema (5%), pubblicità esterna (2%) e “below the line” (7%). È quanto emerge dalla chiusura del procedimento per la valutazione delle dimensioni economiche del Sic per l’ anno 2016, deliberata dal Consiglio dell’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. – Leggi o scarica Focus Bilanci aziendali Esercizi 2012-2016 . Principali evidenze reddituali, patrimoniali e occupazionali nel settore dei media (pdf) Ricavi Tv Sulla base delle informazioni raccolte, Agcom ha determinato la distribuzione delle quote dei principali soggetti presenti nel Sic, da cui emerge come nessuno di essi abbia realizzato nel 2016 ricavi superiori al limite del 20% previsto dall’ art. 43, comma 9, del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici (TUSMAR). A tale riguardo, si evidenzia che i primi nove gruppi nel Sistema Integrato delle Comunicazioni rappresentano congiuntamente – con quasi 11 miliardi di euro – il 61% delle risorse totali. In particolare, le quote più rilevanti sono detenute da 21st Century Fox (15,2%), Fininvest (15,2%) e RAI Radiotelevisione Italiana (15,0%). Seguono Cairo Communication/RCS MediaGroup (3,9%), Google (3,7%), GEDI (ex Gruppo Editoriale L’ Espresso, 3,0%), Facebook (1,9%), Italiaonline (1,4%) e Gruppo 24 Ore (1,2%). Ricavi editoria – Leggi o scarica Focus Bilanci aziendali Esercizi 2012-2016 . Principali evidenze reddituali, patrimoniali e occupazionali nel settore dei media (pdf)

Google e Fieg “La difesa dai pirati sta funzionando”

La Repubblica

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ROMA A un anno dalla firma dell’ accordo triennale, Google e gli editori dei giornali della Fieg stilano un bilancio – positivo sulla loro alleanza. Molteplici le iniziative che puntano a favorire un modello sostenibile per l’ editoria nell’ era del digitale. Ecco alcuni numeri. Diciassette editori utilizzano Google Play Edicola per la loro strategia mobile, con 72 edizioni coinvolte. Oltre il 70% degli associati Fieg ha attivato gli strumenti Google per la rimozione di contenuti che violano il diritto d’ autore. Ottantuno le sessioni di formazione sull’ uso di Google Analytics, con 355 partecipanti di 14 aziende editoriali. Oltre mille giornalisti hanno seguito i 22 corsi di formazione del Digital Lab@FIEG sull’ uso degli strumenti Google per il giornalismo digitale. 21.

Fieg-Google, già 72 edizioni sulla piattaforma condivisa L’ intesa vale fino a 50 milioni

Corriere della Sera

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Aun anno dalla firma dell’ accordo triennale stipulato da Fieg e Google per favorire lo sviluppo di un modello sostenibile per l’ editoria nel digitale, ieri sono stati presentati i primi risultati. Gli editori che oggi utilizzano Google Play Edicola come piattaforma mobile sono 17, per un totale di 72 edizioni coinvolte; oltre il 70% degli associati Fieg ha attivato gli strumenti avanzati che il motore di ricerca mette a disposizione per la rimozione di contenuti che violano il diritto d’ autore. Secondo le rilevazioni, inoltre, nell’ ultimo anno sono state organizzate 81 sessioni di formazione sull’ uso di Google Analytics, a cui hanno partecipato 355 professionisti provenienti da 14 aziende editoriali; oltre 1000 giornalisti hanno fruito dei 22 corsi di formazione del Digital Lab@FIEG sull’ uso degli strumenti Google per il giornalismo digitale e oltre 140 hanno partecipato alla Digital Transformation Academy. Fieg e Google hanno anche affidato a Boston Consulting Group il compito valutare il possibile impatto dell’ accordo triennale, il cui valore è stato stimato tra i 40 e i 50 milioni.


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