Indice Articoli
Non basta un pezzo di canone a tutelare La7
Il giornalismo fondato sulla balla
Massimo Pessina è tornato in utile
Tv, la Mammì è proprio decrepita
X-Factor, share arriva all’ 11,23%
«Web tax, serve un’ intesa globaleIl nodo? Come dividere gli introiti»
Rai, la politica impone lo stop al dumping sui prezzi di vendita degli spot
Copie piratate la Nuova denuncia e chiede i danni
Berlusconi blinda Mediaset più vicina la pace con Vivendi
Disney-Sky, anche in Italia la sfida tv
Baldini + Castoldi pensa positivo. E riparte dal «più»
Non basta un pezzo di canone a tutelare La7
Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione” (da “Cattiva maestra televisione” di Karl R. Popper e John Condry – Donzelli, 1994 – pag. 25) Non può giovare a nessuno, tranne i diretti concorrenti, il calo degli ascolti che – secondo Business Insider Italia – ha colpito La7. Nonostante il fatto che quella di Urbano Cairo sia una “tv di qualità” e nonostante la massiccia campagna acquisti, la rete appare in difficoltà rispetto all’ anno precedente. Tra il 10 settembre e il 2 dicembre, lo share medio nel prime time è calato del 14,48% arrivando al 3,78% (elaborazione dello Studio Frasi su dati Auditel), con un’ audience di 952 mila spettatori. Nel giorno medio, sarebbe sceso sotto il 3%. La7 ha già replicato sostenendo che quest’ anno “il palinsesto autunnale si è acceso a pieno regime” e che l’ emittente “da oltre un mese è in piena, forte, evidente, crescita di ascolti”. Con il 4,4% di share medio nel prime time di novembre (fascia 20:30-22:30), sarebbe stabilmente la sesta rete nazionale. Il confronto con l’ anno scorso, insomma, risulterebbe falsato dalla circostanza che nel 2016 l’ effetto “referendum costituzionale” aveva fatto impennare l’ audience. Può anche darsi, come sostiene qualche esperto del settore, che tutto ciò dipenda dall’ orientamento movimentista adottato dalla tv di Cairo. O magari dal fatto che il palinsesto risulta monocorde, con una linea editoriale “antagonista” e dunque poco gradita a un target composto prevalentemente da spettatori anziani. E un mezzo di comunicazione di massa come la televisione commerciale, se è o appare troppo schierato, rischia di spaccare il suo pubblico e perdere audience. Eppure, rispetto al duopolio Rai-Mediaset nella tv in chiaro, La7 ha tutte le carte in regola per rappresentare un “terzo polo”, alternativo al servizio pubblico e al Biscione. E preservare questo ruolo, al di là dei legittimi interessi di Cairo che è anche l’ editore del Corriere della Sera, equivale a favorire un maggior pluralismo ed equilibrio del sistema. Non può essere, però, la devoluzione di una quota del canone Rai a tutelare La7, come ha chiesto recentemente lo stesso Cairo. Innanzitutto, perché significherebbe indebolire ulteriormente un servizio pubblico già vulnerato dalla doppia sudditanza alla politica e alla pubblicità. E in secondo luogo, perché un’ ipotesi del genere presupporrebbe un’ equa ripartizione fra tutte le reti televisive, nazionali e locali. Ora che il canone è inserito nella bolletta elettrica, bisogna eliminare gli spot dalla programmazione Rai, in modo che quelle risorse possano distribuirsi fra tutti gli altri media. Nei primi nove mesi di quest’ anno, da gennaio a settembre, l’ azienda ha rastrellato oltre 500 milioni di euro di pubblicità: molto più di quanto hanno raccolto tutti i quotidiani italiani, grandi e piccoli, messi insieme (dati Nielsen). È qui, dunque, il nodo del problema. Piuttosto che intervenire sul canone, a cui corrisponde un Contratto di servizio con lo Stato, sarebbe opportuno pretendere che la Rai – come quasi tutte le altre tv pubbliche europee, a cominciare dalla Bbc – fosse esclusa dalla spartizione della “torta” pubblicitaria. Al di là dei legittimi interessi di La7, gli investimenti potrebbero defluire così verso gli altri mezzi, in base alle rispettive potenzialità e alle scelte degli inserzionisti. Non si tratta, insomma, di aiutare questo o quello. Bensì di salvaguardare il pluralismo dell’ informazione e la libera concorrenza.
Il giornalismo fondato sulla balla
Il Dubbio
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Poi: «La Boschi è il Mario Chiesa della seconda Repubblica» ( cioè ha preso delle tangenti pagate in contanti, ndr). Ancora, «La Boschi ha confessato». Vogliamo andare avanti? Massì, citiamo pure qualche grido su Consip, tipo: «Renzi ha mentito», «Il papà di Renzi ha incontrato Bocchino», «Alcuni 007 hanno cercato di bloccare le indagini su Renzi». Beh, insomma, ce n’ è abbastanza per mandare a casa Boschi, per cacciare Renzi dal Pd, e poi per aprire indagini su indagini, da parte della magistratura, firmare avvisi di garanzia a raffica, arrestare qualcuno, e infine chiedere i conti al Pd per tante nequizie, e naturalmente per mandare a casa il governo. Giusto? Giusto, però tutte le affermazioni che abbiamo riportato tra virgolette sono false. Tutte. Completamente false. Sono affermazioni che ho ripreso da vari giornali, soprattutto dal Fatto ma non solo, oppure sono frasi pronunciate da diversi leader politici, a partire da Di Maio e dallo stesso Travaglio ( che ormai è considerato il vero capo del partito populista, cioè del partito trans- partito che sta ottenendo grandi successi, grazie anche ai due vice di Travaglio: Grillo e Salvini). Vediamole una ad una, visto che sono in questi giorni al centro della polemica politica. 1) Maria Elena Boschi non ha mentito al Parlamento. Ieri su questo giornale abbiamo pubblicato il testo dell’ intervento che pronunciò a Montecitorio nel dicembre di due anni fa e nessuna delle cose che disse in quell’ occasione è stata smentita. Né da Vegas né da nessun altro. Anzi, l’ altro ieri Giuseppe Vegas ( presidente di Consob e persona che ha avuto parecchie polemiche in passato col governo Renzi del quale la Boschi ha fatto parte) ha confermato di non aver mai ricevuto pressioni da lei su Banca Etruria. Pare invece che fu lui a fare qualche pressione sulla Boschi invitandola a casa sua, da sola, alle otto di mattina. La Boschi non ci andò: ma questa è un’ altra storia 2) Sostenere ( come ha fatto con aria anche piuttosto solenne, in Tv, Marco Travaglio) che la Boschi ha un conflitto di interessi simile a quello che aveva Berlusconi, è una affermazione che rasenta la trovata comica ( non intenzionale, però). Berlusconi, quando gli si rimproverò il conflitto di interessi, controllava personalmente tutte le televisioni private nazionali, cioè circa il 50 per cento delle televisioni italiane. E diversi giornali. Maria Elena Boschi invece possedeva 1500 euro di azioni di Banca Etruria. 1500 euro, capite? E per di più li ha persi quasi tutti. Ora, per paragonare il conflitto di interessi della Boschi e quello di Berlusconi, beh ci vuole o una dose massiccia di malafede, oppure una dose molto molto molto piccola di capacità intellettive. Propendo per la prima ipotesi. 3) La Boschi non ha aperto nessuna corsia preferenziale per suo padre. Tranne quella – diciamo così – che ha porta al licenziamento. Il governo del quale faceva parte la Boschi ha commissariato banca Etruria e mandato a casa il consiglio di amministrazione del quale il padre della Boschi faceva parte. Esempio raro, mi pare, di limpidezza. Possibile che questo nessuno lo dica? L’ altra sera, in Tv, la Boschi ha chiesto tre volte a Travaglio: «Mi dice di quali favoritismi avrebbe goduto mio padre?». Silenzio. Totale silenzio di Travaglio. 4) La Boschi come Mario Chiesa? L’ accusa l’ ha lanciata Di Maio, è una accusa gravissima. Mario Chiesa era un amministratore milanese che fu beccato mentre intascava una tangente, e da lì poi partì tutta l’ inchiesta su “Tangentopoli”. Maria Elena Boschi non è sospettata da nessuno, neppure lontanamente, di avere preso una tangente. È del tutto incensurata, non ha nessun avviso di garanzia ( a differenza di tanti amministratori del partito di Travaglio). Nemmeno nei momenti più cupi della lotta politica qualcuno aveva fatto ricorso a menzogne e accuse così platealmente false verso un avversario. L’ unica scusante, per Di Maio, è che probabilmente non ha capito bene neanche lui cosa stesse dicendo. Ma questo non toglie nulla alla gravità di questo passo ulteriore verso l’ imbarbarimento della politica. 5) «La Boschi ha confessato». È il titolo che occupa l’ intera prima pagina del Fatto di ieri. Ovvio che per confessare bisogna aver commesso un reato, se no come fai a confessarlo? Dunque il Fatto sostiene che la Boschi ha commesso un reato e poi lo ha confessato. Naturalmente entrambe le cose sono false. Valgono le stesse osservazioni fatte per Di Maio. E la stessa, eventuale, scusante: se Di Maio, come è noto, non conosce bene la geografia né la storia, è possibile che al Fatto zoppichino con l’ italiano 6) Infine il caso Consip, uno degli infortuni giornalistici più gravi degli ultimi trent’ anni, e che tuttavia ancora viene usato – in spregio assoluto della verità – per attaccare il Pd. Le affermazioni che abbiamo riportato, all’ inizio di questo articolo, su Renzi, come è noto, sono quelle contenute in una informativa dei carabinieri rivelatasi poi del tutto falsa, ma fatta filtrare, illegalmente, nelle redazioni di alcuni giornali ( in particolare il solito Fatto) e usata per una campagna di stampa contro Renzi e altri. Non solo quando si è scoperto che le notizie erano false non c’ è stato un passo indietro dei giornali e dei giornalisti colpevoli di avere costruito una campagna di stampa su notizie illegali e false. Non solo non è scattato un moto di indignazione per le probabili trame di pezzi dello Stato ( settori dei carabinieri e forse della magistratura) contro il partito di maggioranza. Ma la campagna contro il Pd è proseguita, come se nulla fosse, ignorando totalmente la falsità delle notizie. Ecco, quando si parla di fake news si parla esattamente di tutto questo. Della costruzione di vere e proprie “realtà parallele”, false, ma che riescono, grazie alla potenza dell’ apparato informativo del quale dispongono – stampa, Tv, rete – a tenere a bada la “realtà reale” e talvolta a cancellarla del tutto, a farla sparire. Naturalmente questo è possibile solo in un clima politico particolare. Cioè l’ attuale clima politico, dove non solo il populismo reazionario si espande e cresce, conquistando fette grandi dell’ opinione pubblica e dell’ intellettualità, ma riesce a condizionare e ad assoggettare settori ormai vastissimi dell’ informazione tradizionale. L’ inseguimento del populismo è diventato una specie di carta d’ identità del giornalismo italiano. Lontano le mille miglia dalle tradizioni del grande giornalismo liberale occidentale. E chi fa le spese di questo ciclone in primo luogo è il sistema democtratico, fiaccato dalla assenza di una corretta informazione, e poi sono alcune migliaia di giornalisti, che hanno una considerazione alta della propria professione, e che non possono più esercitarla. Non trovano spazio. Non vengono più nemmeno presi in considerazioni da chi comanda, da chi ha in mano il timone, dagli editori. Gli editori sembrano disinteressati ad avere giornalisti. Vogliono esecutori. Certo, se un giorno i giornalisti si ribellassero…
Massimo Pessina è tornato in utile
Italia Oggi
ANDREA GIACOBINO
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La vittoria nell’ arbitrato contro A2A consente a Massimo Pessina, già editore de l’ Unità, di tornare in utile con la cassaforte del suo gruppo di costruzioni. Il bilancio consolidato 2016 di Columbia prima, holding che detiene fra l’ altro Pessina Costruzioni, si è chiuso infatti con un profitto di oltre 9,1 mln di euro rispetto alla perdita di circa 700 mila euro dell’ esercizio precedente. Il tutto deriva da ricavi che anno su anno sono lievitati da 90 a oltre 113 mln e che comprendono alla voce «altri ricavi» i 44,2 mln ottenuti come risarcimento da Pessina Costruzioni nell’ ambito di un procedimento arbitrale contro la multiutility lombarda A2A. Ciò detto nel 2016 il gruppo di Pessina ha dato il via a nuovi lavori (Ospedale di La Spezia, centro direzionale della Fater a Pescara, un velodromo a Seriano), mentre restano aperte diverse commesse, come a Torino i nuovi uffici di Reale Mutua e il progetto Juventus Village, il Nuovo Poliambulatorio di Bologna, e a Milano i lavori sui Caselli Daziari. I ricavi della Pessina Costruzioni sono stati di 77,8 mln.
Tv, la Mammì è proprio decrepita
Italia Oggi
GIANNI CREDIT
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Qualunque sia l’ esito del voto, è prevedibile che il nuovo governo e il nuovo parlamento dovranno mettersi al lavoro su una riforma del sistema-media in Italia. La probabile chiusura di un grande accordo fra Vivendi, Tim e Mediaset – confermata da Piersilvio Berlusconi al Corriere della Sera – è destinata a cambiare radicalmente il mercato dei media e a mettere sotto pressione una regolamentazione che da tempo appare superata. Quest’ ultima è nata con la legge Mammì del 1990 ed è poi evoluta (leggi Gasparri, Gentiloni ecc.) senza mai metterne in discussione la matrice: la codificazione del duopolio di fatto fra Rai e Mediaset nella tv tradizionale e il muro fra tv e carta stampata. Una cornice sostanzialmente nazionale e non-digitale ha continuato a circoscrivere una industry nel frattempo rivoluzionata dalla globalizzazione tecnologica e finanziaria. E un approccio lontano dal libero mercato è stato finora caratterizzato da forme di regolazione della raccolta delle risorse pubblicitarie e dalla presenza dominante di un operatore statale (finanziato anche dal canone) e di un competitore unico, controllato da un leader politico per tre volte premier. Nel frattempo, ai gruppi editoriali nazionali della carta stampata è stato impedito di espandersi nella tv, frenandone così la crescita dimensionale e digitale. La stabilizzazione di una proprietà francese per Tim e la definizione di una partnership con Mediaset per la fornitura di contenuti video a piattaforme digitali, certificano ora il superamento netto di quel mondo, ponendo sia all’ industria sia ai regolatori sfide a cui rispondere senza più ritardi. I media sono dunque un business integrato e globalizzato, in cui la produzione di contenuti converge verso i canali digitali. È un business che richiede grandi investimenti: di qui la tendenza alla crescita dimensionali dei gruppi, senza più frontiere nazionali per la proprietà o linguistiche per il mercato. Certamente, l’ informazione resta un «prodotto» molto speciale all’ interno delle democrazie: la centralità del fake news nel dibattito pubblico internazionale lo conferma. Gli obiettivi di una riforma – di una «politica dei media» – da parte di una democrazia europea come quella italiana appaiono quindi complessi ma evidenti. Una situazione considerata auspicabile e comunque realizzata in numerosi altri settori (dalle banche all’ energia) vede alcuni operatori residenti competere sul mercato aperto e concorrenziale con operatori di altri paesi, con lo sviluppo frequente di alleanze e aggregazioni transnazionali. E fra gli operatori residenti, in tutti i paesi della Ue, l’ emittente tv di Stato mantiene un suo ruolo ma lontano dalla predominanza rispetto a gruppi privati, liberi invece di spaziare su tutti i segmenti del settore. Un governo (quello italiano si è recentemente dotato di un nuovo golden power proprio per il cambiamento del controllo di Tim) utilizza infine strumenti generali per fronteggiare in modo flessibile interessi esteri su gruppi nazionali di rilievo strategico. Fra i primi esiti in agenda del confronto di governo e Agcom con Tim vi è comunque un passaggio direttamente inserito nella specifica «politica dei media»: la neutralizzazione/liberalizzazione della rete Tim e il suo sviluppo nella banda larga Il caso Vivendi-Tim-Mediaset come delineato è in ogni caso già quasi esemplare: Mediaset e Tim stanno cercando crescita strategica nella convergenza digitale con il ruolo attivo di un investitore europeo e la loro alleanza è sorvegliata dal governo con un approccio bilanciato fra esigenze del mercato e tutela del sistema-Paese. La stessa opportunità va data a tutti gli altri operatori italiani: compresa la Rai, cui dovrebbe essere riconosciuta più la facoltà che l’ obbligo di ristrutturarsi. Una Rai concentrata sul vero servizio pubblico (con un finanziamento adeguato e regolato) potrebbe liberarsi di tutte le attività che sono ormai oggetto di competizione sul mercato e che un’ emittente pubblica nazionale non ha più dimensione per reggere in modo efficiente. D’ altro canto editori come Rcs, Gedi o Mondadori (pure controllata da Fininvest) devono avere l’ opportunità di espandersi a tutto tondo: cercando il migliore mix di prodotti e canali. Il riassetto dell’ oligopolio tv allargato (Rai -Mediaset oltre a La7 e a Sky nel satellitare) si presenta quindi l’ occasione per rafforzare il sistema-media italiano in vista di un’ ineludibile apertura del mercato. E se non ci fosse di mezzo il conflitto d’ interessi di Silvio Berlusconi, non sarebbe improprio immaginare un programma di incentivazione fiscale a scorpori e fusioni simile a quello che, nei primi anni 90, consentì al sistema bancario di riorganizzarsi e consolidarsi in vista dell’ euro. Oggi sembra preistoria ma fino al 2011 fu un caso di successo.
Il giornale diventa design
Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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La qualità e l’ esperienza del design italiano vive «nello spazio tra familiarità ed estraneità che segna il nostro rapporto con il passato dell’ arte classica». Parole di Barnaba Fornasetti, erede di Piero e direttore artistico dell’ atelier, che nell’ esposizione Citazioni pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps promossa dal Museo Nazionale Romano con Electa e ideata da Triennale Design Museum di Milano e Fornasetti, riflette sul ruolo della creatività: «Mio padre Piero Fornasetti riteneva che la progettazione di un oggetto non debba mai dimenticare la sua funzionalità: la praticità ne è un elemento costitutivo. Un mobile, ad esempio, può essere decorato fino al limite dell’ eccesso, saturato di significati e messaggi emotivi, ma non può perdere la sua utilità, e diceva che una sedia è fatta per sedersi e prima di tutto dev’ essere comoda». Come quella dominata dai ritagli dei quotidiani internazionali, amatissima dai giornalisti. Avendo sempre l’ obiettivo di «costruire un dialogo che si snoda lungo il filo di trasgressioni e di rispettosi pensieri». Barnaba cerca di trattenere le emozioni, quando parla del genio di Piero, scomparso nel 1988, ma è una fatica che non può nascondere: a Roma, nella collezione di sculture e gli spazi di Palazzo Altemps, nel cortile, nelle stanze affrescate e nel teatro, l’ antico si confronta con le ventisette incursioni artistiche realizzate da oltre ottocento pezzi di Fornasetti. Di sala in sala i temi del classico, delle rovine e delle antichità rimandano a uno scambio a tratti spiazzante e irriverente, colto e sapiente, tra la collezione permanente di arte antica del museo e le creazioni nate dall’ immaginazione sfrenata e dall’ invenzione surrealista di Fornasetti. Attirando sempre l’ attenzione, a partire dai gatti collocati nel percorso archeologico. I temi della rassegna vengono ripercorsi e approfonditi nella guida che l’ accompagna, arricchita da un saggio critico sull’ attualità del classico, progettata da Fornasetti ed edita da Electa. A Citazioni pratiche. Fornasetti a Palazzo Altemps si accompagna il 19 gennaio l’ incontro con Romeo Gigli e Barnaba Fornasetti e gli studenti dell’ Accademia di Costume e di Moda. Un incontro tra due personalità artistiche legate dalla comune ricerca creativa perseguita nel corso degli anni. Verranno affrontati e condivisi con gli studenti le dinamiche del loro incontro artistico e gli sviluppi successivi, che hanno portato all’ ultima collaborazione, ossia la realizzazione dell’ opera lirica Il Dissoluto punito ossia il Don Giovanni di Mozart. © Riproduzione riservata.
Settore tv, ricavi su
Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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I ricavi delle principali emittenti tv sono aumentati di circa 220 milioni di euro in 5 anni (2012-2016). Si sono invece ridotti di quasi un miliardo di euro i ricavi complessivi del settore editoria (quotidiana e periodica), nello stesso periodo. Sono questi due estremi del Focus sui bilanci aziendali nel settore dei media, reso noto ieri dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, presieduta da Angelo Marcello Cardani), che ha sottolineato subito come nel quinquennio analizzato abbia impattato l’ incremento degli introiti del canone tv (+180 milioni di euro) e dei servizi televisivi a pagamento (+70 milioni) mentre gli introiti pubblicitari, seppure in crescita nel 2015, si siano ridotti di 160 milioni di euro durante tutto l’ arco temporale considerato, rispetto al 2012. Nel dettaglio della televisione, la redditività lorda (ebitda) passa dal 24,9% dei ricavi nel 2013 al 18,3% nel 2016, mentre la redditività netta (ebit) passa +1,6% nel 2013 a -3,5% nel 2016. Sul valore degli indici a livello di intero settore, incide inoltre la presenza tra i player di mercato dell’ operatore designato a offrire il servizio pubblico. Infine, dal punto di vista occupazionale, con circa 22 mila addetti nel 2016 la forza lavoro rimane sostanzialmente stabile. Passando all’ editoria, la contrazione di ricavi è del 16,6% e la loro parte ottenuta in Italia, pari a circa 4 miliardi di euro nel 2016, è calata del 18,3% (-900 milioni di euro). Tuttavia nel 2016, sia i ricavi complessivi sia quelli domestici sono in crescita, rispettivamente del 7,1 e del 6%. In particolare, con riferimento al mercato interno, il segno positivo è legato a una crescita degli introiti pubblicitari (+5%) che compensano l’ ulteriore calo dei ricavi provenienti dalla vendita di copie (-0,6%). Il margine operativo lordo (ebitda), mediamente pari al 6,3% dei ricavi durante il periodo 2012-2016, raggiunge il 9,2% nel 2016, mentre il margine operativo netto (ebit), con un valore medio di periodo uguale al -4,3%, nel 2016 torna su valori positivi (+1,5%). Per quanto riguarda i livelli occupazionali, le imprese considerate hanno ridotto gli organici del 16,9% (-2.800 unità).
X-Factor, share arriva all’ 11,23%
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La finale di X-Factor, in onda giovedì scorso su Sky Uno, Tv8 e Cielo, ha raggiunto 2,8 milioni di telespettatori medi, con una share complessiva dell’ 11,23%, superiore a quella incassata nella sua prima edizione, in chiaro su RaiDue, e in crescita del 22% sull’ audience della finale 2016. Le puntate live, in onda fino alla semifinale solo sulla piattaforma pay, hanno avuto una media record di 1.323.000 telespettatori, che salgono a 2.100.000 (+7% sul 2016) nei 7 giorni, con un ascolto differito che pesa quindi quasi per il 40% sul totale. Molto alta anche la partecipazione da casa: 8,5 mln di voti arrivati per la finale, e 33 mln totali nel corso dei vari live. Fortissima pure l’ interazione sui social (9,5 mln di interazioni su Facebook, Twitter, Instagram) per una edizione dove i veri protagonisti sono stati i talenti in gara, dai Maneskin a Nigiotti fino al vincitore Licitra, e nella quale la giuria, soprattutto nelle puntate live, è rimasta molto sullo sfondo. Probabile che Levante non sia confermata e Fedez, per i mille impegni, lasci il programma.
«Web tax, serve un’ intesa globaleIl nodo? Come dividere gli introiti»
Corriere della Sera
di Francesca Basso
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MILANO Nel mondo globalizzato la competizione tra gli Stati si gioca anche sulle tasse. «Mentre il presidente Trump vara una riforma fiscale molto aggressiva, l’ Europa continua a muoversi in ordine sparso. Molti equivoci caratterizzano i tentativi di webtax, l’ Europa è a un bivio: continuare con la linea della burocrazia e della lentezza o giocare un ruolo al tavolo internazionale. Il rischio è la perdita degli investimenti stranieri». Stefano Simontacchi è direttore del Transfer Pricing Research Center dell’ Università di Leiden in Olanda, managing partner di BonelliErede e consigliere di Rcs MediaGroup. L’ elusione fiscale da parte dei colossi come Apple, Amazon, Google o Facebook sta suscitando reazioni a livello internazionale. L’ Ocse ha stimato che ogni anno vengono persi tra i 100 e i 240 miliardi di dollari di tasse per le differenze tra le regole fiscali internazionali che permettono alle multinazionali di spostare i profitti nei paradisi fiscali. L’ ultimo Ecofin ha deciso di procedere sulla tassazione dei servizi digitali offerti sul web, seguendo il criterio della stabile organizzazione virtuale. In Italia è ora alla Camera con la manovra una web tax (sono previste modifiche) che prevede un’ aliquota del 6% sul fatturato dei servizi immateriali prestati alle imprese attraverso internet o reti telematiche dalle imprese non residenti. «Bisogna comprendere il fenomeno della digitalizzazione dell’ attività di vendita e capire che non è qualcosa che riguarda solo qualche web company – prosegue Simontacchi -ma sempre di più riguarderà qualsiasi tipologia di bene». In futuro la quantità di prodotti venduti in altri Stati senza bisogno di una presenza fisica della società crescerà e «gli istituti attuali su cui si basa la fiscalità non sono coerenti con i modi attuali di fare business. La manovra in discussione prevede l’ estensione del concetto di stabile organizzazione. Ma deve essere chiaro che le revisioni domestiche del concetto di stabile organizzazione – sottolinea – sono destinate a rimanere inefficaci in quanto in contrasto con i trattati in vigore. Inoltre il meccanismo della ritenuta previsto dalla manovra, non escludendo le operazioni infragruppo, rischia di avere l’ effetto perverso di disincentivare le multinazionali a stabilire la distribuzione in Italia (sulla falsariga di quanto annunciato da Facebook)». È dunque necessario, per Simontacchi, «affrontare le vendite online complessivamente perché riguardano tutti i settori dell’ economia. Certo, le multinazionali del web devono pagare il giusto livello di tasse. Ora non lo fanno perché gli Usa, come la Gran Bretagna, hanno lasciato buchi normativi consentendo delle agevolazioni. Per la soluzione si stanno considerando varie ipotesi, dal calcolo basato sull’ uso della rete (ma un film ha un costo diverso rispetto a una borsa firmata anche se consuma più rete) a quello in proporzione al numero dei cittadini, però va ponderato per il potere di spesa. La soluzione più praticabile è a mio avviso un prelievo alla fonte però coordinato a livello mondiale». L’ inizio di qualsiasi riflessione è «la domanda che si devono porre i governi: come andranno divise le imposte in un mondo digitalizzato. Questo è il nodo e va affrontato a livello internazionale – conclude -. L’ Europa deve reagire e l’ Italia potrebbe svolgere un ruolo guida».
Rai, la politica impone lo stop al dumping sui prezzi di vendita degli spot
Milano Finanza
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Il mercato pubblicitario in Italia è in affanno. A fine ottobre il saldo era negativo, -3,1% rispetto allo scorso anno. E anche la televisione ne risente: causa assenza di eventi di grande richiamo (Europei di calcio e Olimpiadi) complessivamente gli spot non hanno raggiunto neppure la soglia dei 3 miliardi. E se Mediaset, che è leader indiscussa (34,23% dell’ intera torta advertising), rallenta (-1,9% anno su anno), è la Rai a soffrire più di tutti. La tv di Stato, a fine ottobre, ha incamerato 600 milioni (-9,1% rispetto allo stesso periodo del 2016). Ma nell’ azienda presieduta da Monica Maggioni e guidata dal dg Mario Orfeo i problemi non finiscono qua. Non c’ è solo il dilemma del calo d’ ascolto di Rai2 e Rai3, a favore di Rai1, con il cambio di manager di primo livello. Ma c’ è anche il nodo della concessionaria. Perché come già anticipato da MF-Milano Finanza l’ ad Fabrizio Piscopo, in carica dal 2013, ha lasciato viale Mazzini. Per la sua sostituzione si fanno i nomi di Raimondo Zanaboni (Rcs Pubblicità) e Mauro Gaia, ex Seat Pagine Gialle e oggi in Videa. La scelta di cambiare i vertici della concessionaria a pochi mesi dalle elezioni politiche previste per inizio marzo è legato a un tema che è finito al centro dell’ agenda politica e sul tavolo della Commissione di vigilanza Rai. Come rilevato da questo giornale mercoledì 13, il centrodestra è in pressing su Viale Mazzini per la questione della gestione delle politiche commerciali della concessionaria dell’ emittente pubblica, così come è emerso dallo schema di risoluzione presentato dai parlamentari Anna Maria Bernini e Maurizio Lupi lo scorso 8 novembre proprio alla Commissione presieduta da Roberto Fico. «A partire dal 2012 e fino a tutto il 2016, ma con un dato che risulta essere attuale anche per il 2017, gli sconti mediamente praticati dalla Rai, sulla base dei dati Nielsen, sono progressivamente aumentati fino a un valore medio superiore all’ 85% con punte superiori al 90%», si legge in uno dei passaggi salienti del documento. E così martedì 19, dopo alcuni rinvii, la Commissione di vigilanza prenderà in esame la questione, concentrandosi su un punto specifico del contratto di servizio 2018-2022 per la Rai. Un passaggio delicato ma significativo che riguarda l’ articolo 23 (Obblighi specifici) dello stesso contratto e che si concentra in particolare sulla pubblicità (comma R). Da quel che trapela, l’ organismo parlamentare presieduto da Fico recepirà questa proposta e inserirà nel contratto di servizio il divieto al dumping sui prezzi di vendita degli spazi pubblicitari prevedendo uno specifico punto «relativo ai prezzi di vendita degli spazi pubblicitari effettivamente praticati al netto degli sconti applicati rispetto ai listini di vendita», come risulta a MF-Milano Finanza. Toccherà a Lupi portare avanti questa istanza e a farla approvare dalla Commissione sui cui tavoli arriveranno molto probabilmente nuovi emendamenti presentati ad Maurzio Gasparri, l’ ex ministro delle Comunicazioni e titolare della legga di settore che porta il suo nome. Proposte che, pare, non abbiano il consenso degli esponenti del pd e dei Cinque Stelle. Che il tema sia delicato e sensibile, anche in chiave politica, lo dimostra il fatto che è stato affrontato anche durante l’ ultimo cda della Rai di giovedì 14. Ovviamente, a guardare con particolare interesse a questa risoluzione è Mediaset, l’ azienda fondata da Silvio Berlusconi leader del centrodestra. (riproduzione riservata)
Copie piratate la Nuova denuncia e chiede i danni
La Nuova Sardegna
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di Antonello SechiwSASSARISei un avvocato, il responsabile di un’ associazione imprenditoriale, un sindacalista, o magari un semplice smanettone del web che pensa di fare bella figura con gli amici. Ti piazzi al pc al mattino presto, vai su quel sito che sai tu… ;), scarichi il pdf della “Nuova Sardegna” o di qualche altro giornale e poi, magari con Whatsapp, lo invii in un colpo solo a decine di persone. Come ti senti? Uno figo? Uno che la sa più lunga degli altri? Uno generoso? Di sicuro ti puoi fregiare di un titolo non esattamente glorioso: ammazza-giornali, killer della libera informazione. Beh, è bene che sappia una cosa: “La Nuova” non ci sta più a farsi dissanguare in questo modo. Alcuni di questi “benefattori” in questi giorni stanno ricevendo una lettera con richiesta di risarcimento danni da parte del legale della DBInformation, l’ editore del nostro giornale. La moral suasion e le diffide hanno lasciato indifferenti alcuni di coloro che, con l’ ausilio di siti pirata, diffondono illegalmente le copie digitali del nostro quotidiano. Inevitabile il ricorso a iniziative più incisive. «Il fenomeno è diventato evidente nei primi mesi dell’ anno – spiega Antonello Esposito, direttore generale della Nuova Sardegna – i pdf pirata del giornale hanno cominciato a girare tra i gruppi whatsapp, come se fosse la cosa più normale. Li hanno inviati anche a noi e ai giornalisti». Una moda virale che ha riguardato tutti i giornali italiani. E non solo. Con danni enormi: è comodo ricevere gratis il quotidiano sul proprio smartphone anziché spendere un euro e 30 centesimi in edicola, ma ogni copia in meno è un colpo d’ accetta alla solidità economica e all’ autonomia degli organi di informazione, ovvero alla loro capacità di reggersi sulle proprie forze. La Nuova ha reagito in vari modi: denuncia alla polizia postale con i numeri di telefono dei membri delle chat sulle quali si scambiano le copie pirata, sms con l’ invito a smetterla agli “spacciatori” di pdf più attivi, pagine di diffida pubblicate sul giornale dopo averne informato la Procura.C’ è chi ha capito. Altri no. Qualcuno è arrivato a minacciare (“sappiamo chi sei”) un giornalista al quale, attraverso ricerche su internet, è stato associato erroneamente il numero attraverso il quale la Nuova ha inviato gli sms. La Nuova Sardegna ha portato il problema – che è di tutti i giornali – anche all’ interno della Fieg, la Federazione italiana editori di giornali. I siti che diffondono le copie pirata sono stati posti sotto osservazione e fatti chiudere. Ma è una rincorsa continua, perché a una chiusura segue l’ apertura di un nuovo sito. Certo, questo è il web, bellezza. La Nuova lo sa. Ma non si arrende. Per questo – spiega Esposito – adesso partono le richieste di risarcimento danni. È bene saperlo. Ma, caro lettore, è bene sapere anche che cosa potrebbe accadere nei prossimi anni. A differenza di quanto sostengono alcuni politici in mala fede o poco informati, i giornali sono imprese che si reggono sulle copie vendute e sulla pubblicità. Se queste vengono meno, spariscono i giornali e i giornalisti. Che avranno tanti difetti ma nel loro insieme garantiscono a tutti noi cittadini la possibilità di farci un’ idea precisa di ciò che succede intorno a noi e nel mondo. La democrazia senza informazione libera non esiste. Sicuri – anche voi che spacciate i nostri pdf – di volerne fare a meno?
Sport Network è la nuova concessionaria di Telenorba. Aldo Reali: importante tassello alla strategia di espansione del network televisivo
Prima Comunicazione
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Sport Network è la nuova concessionaria pubblicitaria di Telenorba, storica emittente televisiva areale generalista, fondata nel 1976 dall’ imprenditore Luca Montrone a Conversano e facente parte del Gruppo Norba. Con questa partnership, ad oggi intesa dal 2018 alla fine del 2020, la concessionaria del gruppo Amodei (che gestisce la raccolta pubblicitaria di un grande network di mezzi tra cui Corriere dello Sport-Stadio, Tuttosport e importanti quotidiani generalisti come Il tempo, Il Giornale e Il Fatto Quotidiano, i periodici della Conti Editore, i magazine di bordo Ulisse e Italo, oltre a un autorevole portafoglio di property digitali) guidata da Aldo Reali aggiunge un importante tassello alla strategia di espansione del network televisivo, consolidando la leadership nel segmento delle TV areali. Aldo Reali e Marco Montrone Telenorba – riporta la nota stampa – è la prima televisione areale italiana per ascolto medio giornaliero, raggiungendo una platea di circa quattro milioni e mezzo di telespettatori in buona parte del sud Italia. Diretta da Antonio Azzalini, in passato alla guida dell’ intrattenimento Rai, Telenorba è una realtà televisiva sorprendente, da sempre fucina di artisti e professionisti apprezzati nell’ intero panorama nazionale, ma soprattutto il principale organo di informazione ed approfondimenti del territorio. Telenorba è dunque INFORMAZIONE, i suoi TG, diretti da Enzo Magistà, sono un punto di riferimento nazionale per tutto ciò che succede nel SUD Italia. Telenorba è anche INTRATTENIMENTO. Nell’ ultimo anno Azzalini ha riposizionato l’ emittente dandole una “cifra” personale contemporanea. Il palinsesto prevede molte novità rispetto al passato. Michele Cucuzza fa grandi interviste dentro Buon pomeriggio (ad inizio estate aveva realizzato quella a Silvio Berlusconi) trasmissione che, con la conduzione di Stefania Orlando e Mary De Gennaro, è punto di riferimento del pomeriggio televisivo dell’ emittente, Anna Falchi presenta un programma di cucina e Rita Dalla Chiesa conduce un format dedicato ai matrimoni. Telenorba è SPORT. Oltre alla seguitissima trasmissione “Bordo Campo” condotta da Barbara Ovieni e Mauro Pulpito, Telenorba trasmette ogni settimana in diretta ed in esclusiva le partite delle squadre di Puglia e Basilicata, partecipanti al Girone C del campionato di Serie C, 2017-2018. Telenorba è MUSICA grazie alle coproduzioni con Radionorba, l’ emittente radiofonica più ascoltata del Sud Italia. Infine, ma non per importanza, “Telenorba – racconta Aldo Reali, Amministratore Delegato Sport Network – con la sua qualità, la sua veste editoriale generalista e la sua capillarità sul territorio di riferimento, si integra perfettamente con i prodotti Sport Network ed offre ai nostri clienti nuove ed importanti opportunità di comunicazione. Siamo felici e orgogliosi che un editore importante come la famiglia Montrone abbia scelto come concessionaria Sport Network che si sta mettendo in evidenza nel panorama televisivo con l’ acquisizione di tv areali e nazionali nel digitale terrestre. Abbiamo quindi rafforzato la nostra posizione diventando un importante punto di riferimento per inserzionisti nazionali che manifestano esigenze di comunicazione sia in determinate aree geografiche che su scala nazionale. Telenorba è certamente una tv storica molto importante che rappresenteremo al meglio sul mercato forti dell’ impatto della penetrazione e credibilità del brand e delle sue audience”. “Il forte interesse manifestato nei confronti delle nostre reti da parte di una concessionaria solida ed al contempo in grande crescita come Sport Network rappresenta per noi senza dubbio un motivo di orgoglio”, sottolinea l’ avv. Marco Montrone, direttore generale del Gruppo Norba. “Abbiamo sempre posto al centro del nostro lavoro la qualità dell’ offerta editoriale e siamo felici di poter essere rappresentati sul mercato della pubblicità nazionale da una concessionaria che detiene in concessione solo mezzi di grande qualità, dalla carta stampata alla TV, e da una concessionaria all’ interno della quale al contempo già batte forte il cuore editoriale. Crediamo davvero possano esserci i migliori presupposti per lavorare in partnership per fare un ulteriore salto di qualità e rappresentare una opportunità per il mercato “.
Via libera dall’ assemblea Mediaset alle modifiche di statuto, che ‘blindano’ il Cda a favore di Fininvest. Contrari i fondi: dal cambio danni per società e minoranze
Prima Comunicazione
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Via libera dall’ assemblea di Mediaset ha approvata il cambio di statuto che permetterà al socio di maggioranza di avere una rappresentanza più forte in cda. La proposta è passata con il sì di Fininvest, il voto contrario della maggioranza dei fondi e l’ assenza di Vivendi, che detiene quasi il 30% del Biscione. La modifica riguarda nello specifico l’ articolo 17 dello statuto sulle regole di nomina del Cda che finora permettevano un’ ampia rappresentanza delle minoranze, dando invece proporzionalmente più spazio all’ azionista di controllo. La proposta approvata prevede un minimo di sette e un massimo di 15 consiglieri (oggi sono 17), la possibilità per il Cda di presentare una propria lista di candidati e la nomina del board attraverso un sistema a liste bloccate invece del sistema a quozienti. Di fatto le minoranze avranno meno consiglieri, ma la terza lista avrà sicuramente un rappresentante. Secondo quanto si apprende da una fonte presente all’ incontro, l’ 89,59% del capitale presente all’ assise si è espresso a favore della variazione del numero minimo e massimo di consiglieri e della possibilità del Board uscente di presentare una lista di candidati per il nuovo Cda, oltre alla modifica del meccanismo di elezione degli amministratori (da proporzionale puro a maggioritario). Contrario il 10,4% del capitale. Le altre due votazioni, su temi più tecnici, hanno fatto registrare rispettivamente il 99,93% e il 91,27% degli assensi. Pier Silvio Berlusconi (foto Olycom) Nel corso della riunione, Amber Capital, che in Mediaset detiene una quota superiore al 2,5%, avrebbe espresso la sua contrarietà alle modifiche statutarie “perché a nostro avviso hanno un impatto negativo sulla società stessa e sui diritti degli azionisti di minoranza”. Secondo il fondo attivista, rappresentato in assemblea da Artuto Albano, la presenza e il comportamento di Vivendi, “inaccettabile e contrario a qualsiasi logica di correttezza”, non possono diventare “la scusa per introdurre una poison pill mascherata che danneggia irrimediabilmente le prerogative degli azionisti di minoranza, riducendo il numero di amministratori che gli stessi potranno eleggere”. Amber inoltre ha ricordato la sua contrarietà anche all’ introduzione della facoltà per il Cda uscente di presentare una lista di candidati. Attualmente, sottolinea, le società che hanno questa previsione sono poco più di una decina e sono public company, a differenza di Mediaset. L’ attuale sistema di nomina del Cda per Amber è caratterizzato da trasparenza per quanto riguarda la “paternità” dei candidati proposti, mentre nel momento in cui a presentare una lista di candidati sarà il Cda uscente, “questa trasparenza e questa possibilità di accertare legami tra azionisti e tra azionisti e amministratori saranno drasticamente ridotte”. Dal punto di vista sostanziale poi “è probabile che nulla cambi, e che quindi sia lo stesso azionista di riferimento a scegliere i candidati che verrebbero presentati nella lista del cda”. Dell’ intervento critico si è avuto conto attraverso una nota, avendo Mediaset deciso di precludere l’ accesso all’ assemblea ai giornalisti. Spiegando all’ assisele motivazioni di questa scelta, il vice presidente e ad di Cologno, Pier Silvio Berlusconi, ha detto: “oggi non c’ erano argomenti che richiedessero una conferenza stampa e quindi abbiamo ritenuto che non fosse necessario far partecipare i giornalisti”. “La società”, ha ribadito, “è assolutamente trasparente e ha contatti quotidiani con la stampa”. – Il comunicato stampa Mediaset (pdf)
I tg regionali sono la spina dorsale dell’ informazione Rai, dice il dg Orfeo, sulla TgR che compie 38 anni. Il direttore della testata, Morgante: noi prima linea giornalistica per il servizio pubblico
Prima Comunicazione
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Compie oggi 38 anni la Tgr, la testata Giornalistica Regionale della Rai, che diede il via alle trasmissioni nel 1979 e che oggi produce ogni anno 8.500 ore di informazione televisiva e 6.200 ore di informazione radiofonica. “Con le sue 24 redazioni diffuse su tutto il territorio italiano è la spina dorsale dell’ informazione prodotta dal servizio pubblico”, ha detto il dg di Viale Mazzini Mario Orfeo. “L’ articolazione regionale dell’ offerta informativa è una ricchezza e si coniuga compiutamente con l’ informazione nazionale realizzata dalle nostre testate”, ha aggiunto. Mario Orfeo (foto Ansa) “In quasi quattro decenni l’ informazione di prossimità ha cambiato volto con un’ offerta al pubblico che comincia al mattino, con ‘Buongiorno Italia’ e ‘Buongiorno Regione’, e finisce intorno a mezzanotte con l’ ultima edizione del tg regionale”, ha commentato il direttore della testata Vincenzo Morgante. “Siamo la prima linea giornalistica della Rai nel Paese perché i nostri inviati sono immediatamente operativi quando accadono fatti gravi ed emergenze, pronti ad andare in diretta negli spazi regionali del servizio pubblico radiotelevisivo ma anche in tutti i tg e gr nazionali della Rai con una informazione tempestiva e di primissima mano”. “Per questo il nostro motto è Tgr, vicini al territorio, vicini a voi; lo stesso motto con cui diamo vita, per una settimana al mese, a specifiche campagne sociali che coinvolgono tutte le trasmissioni regionali”, ha ribadito ancora Morgante, ricordando come la testata non produca solo “tg, gr e le trasmissioni televisive del mattino, ma anche appuntamenti tv quotidiani e settimanali”. Vincenzo Morgante (foto Olycom) Nella settimana da Natale a Capodanno, segnala infatti una nota Rai, tutta l’ informazione Tgr in Italia si focalizzerà sui volontari e sulle loro storie, mentre il mese scorso si è occupata delle opere compiute e incompiute e spesso le sue campagne sociali affrontano i temi della legalità, della cultura civica e del rapporto fra istituzioni e cittadini. Proprio in questi giorni ricorrono anche i 25 anni di ‘Leonardo- il tg della scienza e dell’ ambiente’, un vero e proprio telegiornale, trasmesso dal lunedì al venerdì su Rai3 poco prima delle 15, che insieme alle notizie da tutto il mondo, propone notizie scientifiche e ambientali da tutte le regioni italiane, raccogliendo ogni giorno oltre un milione di spettatori. Nel panorama produttivo della Tgr rientrano altri programmi informativi in onda su Rai3, come ‘Petrarca’, in onda il sabato alle 13.00, ‘Mezzogiorno Italia’ (sabato 13.30) con il racconto di un sud intraprendente e innovativo; e ‘Il settimanale’ (sabato – 12.30). “In questi mesi la TGR sta varando appositi spazi dedicati all’ informazione di prossimità anche sul web e sui social, per offrire nuove piattaforme informative locali ai cittadini”, ha concluso Morgante.
Berlusconi blinda Mediaset più vicina la pace con Vivendi
La Repubblica
sara bennewitz aldo fontanarosa
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La Vivendi di Bolloré neanche si presenta all’ assemblea di Mediaset. È un’ assenza carica di significati, che permette al gruppo Berlusconi di blindare in scioltezza il consiglio di amministrazione contro l’ ingerenza di possibili minoranze. La mossa lascia intendere che ora è più vicina la pace tra Vivendi e Mediaset stessa. Anche se la maggioranza degli azionisti di Mediaset diversi da Fininvest – tra cui Amber (2,5%) e Blackrock ( circa l’ 1%) – hanno votato contro le modifiche dello statuto, la mozione dei Berlusconi è passata lo stesso. Se Fininvest, invece che votare la sua stessa proposta, avesse lasciato decidere il mercato, lo statuto non sarebbe cambiato. E invece nella primavera del 2018, l’ attuale consiglio che è in scadenza verrà rinnovato, e si ridurranno sia il numero dei consiglieri ( oggi pari a 17) – che in futuro dovranno oscillare tra un minimo di 7 e un massimo di 15 – sia il numero di quelli riservati alle minoranze, oggi pari al 60% del totale. Nel 2018, invece, il mercato potrà indicare tra due amministratori ( nel caso di un cda a 11) e tre ( con un consiglio tra 12 e 15), un quorum così ridotto da non poter influenzare alcuna decisione. Insieme a Fininvest ( 39,5%) ieri ha votato solo un 5% del capitale, di cui il 2,87% è in mano a Ennio Doris, e il resto ad amici piccoli investitori e manager fidati come Fedele Confalonieri (lo 0,03%), Giuliano Adreani e Gina Nieri. L’ assemblea ha inoltre approvato a maggioranza l’ introduzione di una lista del management, una pratica che di solito è utilizzata solo nelle public company come Prysmian. Invece nel caso delle tv di Cologno la lista dovrebbe essere promossa dall’ ad Pier Silvio Berlusconi, la cui famiglia possiede il 39,5% dell’ azienda. Chiuso con successo il cantiere della governance, ora la famiglia Berlusconi si potrà concentrare su quello delle alleanze, firmando da un parte la pace con Vivendi e dall’ altra un accordo con Telecom Italia sui contenuti. In proposito Telecom Italia – controllata da Vivendi – sta negoziando un accordo pluriennale per trasmettere i contenuti di Mediaset, che partirà dall’ estate 2018, e uno sul calcio che invece dovrebbe iniziare con il girone di ritorno della serie A, e quindi dal prossimo gennaio. Nell’ ambito della trattativa, Mediaset potrebbe anche rilevare una quota della joint venture tra Timvision (60%) e Canal+ (40%) riservandosi un diritto di rivenderla ( put) a Telecom. Ma per definire tutti gli accordi, ci vorrà ancora un po’ di tempo. Per questo gli avvocati di Mediaset e Vivendi hanno chiesto un nuovo rinvio dell’ udienza per la causa di risarcimento che è fissata per martedì 19 al Tribunale di Milano. Sempre il 19 dicembre, il nostro Garante per le Comunicazioni (l’ AgCom) discuterà due esposti che rappresentano un attacco fortissimo di Mediaset al concorrente Rai. In un primo esposto, Mediaset accusa il servizio pubblico tv di vendere i suoi spot a prezzi di saldo, con tariffe stracciate. Questa politica di dumping, a giudizio del Biscione rappresenta un grave danno ai concorrenti della Rai che può svendere gli spazi pubblicitari solo perché forte delle entrate da canone. Nel secondo esposto, Mediaset sostiene che Viale Mazzini dovrebbe rispettare sempre un affollamento pubblicitario pari al 4% settimanale. Le compensazioni della Rai – che tocca il 5 su Rai1 e si ferma al 3 su Rai2 – per il gruppo Berlusconi sono illecite.
Disney-Sky, anche in Italia la sfida tv
La Repubblica
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roma Gennaio del 2018 sarà un anno chiave, forse storico per la tv italiana. Uno dei giganti della Rete ( Amazon il principale indiziato) potrà comprare un pacchetto di partite della Serie A: poche, ma di grande lustro. E sempre a gennaio i manager di Sky Italia ( la preda) e i manager di Disney ( i predatori, i compratori) avvieranno i tavoli tecnici per unire i destini delle loro aziende. Gennaio del 2018 segnerà dunque l’ inizio della guerra totale tra le sigle storiche dell’ intrattenimento (come Sky e Disney, ora unite) e le nuove come Amazon o Netflix. Guerra che si giocherà sui contenuti e le offerte commerciali. Il 4 gennaio, la Lega Calcio e il consulente Infront presenteranno il bando per i diritti di trasmissione della Serie A. Un presidente di club tra i più influenti racconta che il bando offrirà anche un pacchetto di partite – non tante, ma di notevole richiamo – ai colossi di Internet. Alcune sfide chiave del nostro calcio saranno visibili, quindi, via web nei prossimi tre anni. Sarà un momento di svolta perché gli editori della Rete, per la prima volta cacceranno nella riserva che è sempre stata di Mediaset Premium, della Rai, soprattutto di Sky. E Sky non porgerà l’ altra guancia, soprattutto adesso che la pay- tv cambia padrone e finisce nella pancia della Walt Disney, insieme a gran parte dell’ impero Fox della famiglia Murdoch. I manager di Sky e Disney inizieranno a studiare il rilancio di Hulu, che è il catalogo di serie tv, cartoni animati e sport proprietà della Disney. La rotta di marcia? Hulu diventerà sempre di più l’ antagonista di Netflix e Amazon Prime Video, grazie alle sinergie tra le reti di Fox e di Disney. Ma sarebbe ingenuo pensare che Hulu sarà inarrivabile e straordinaria. Disney e Sky la faranno crescere il giusto, senza esagerare. Hulu dovrà contrastare Netflix, certo; e manterrà prezzi vantaggiosi ( oggi negli Usa costa 5,99 dollari per il primo anno, con un mese gratuito). Ma non dovrà trasformarsi in un Frankenstein fuori controllo. La nuova Hulu non potrà essere, in altre parole, un concorrente della consorella Sky. Non dovrà spingere gli abbonati di Sky ( che pagano tanto per vedere le serie tv oltre al calcio) a ripiegare felici sull’ offerta low cost di Hulu. Gli equilibri sono tutti da trovare. E le news? SkyTg24 non sembra a rischio perché Disney – proprietaria dell’ americana Abc – ha una storica consuetudine con il giornalismo. – a.fon. Risparmi da record Walt Disney calcola che l’ unione con Fox permetterà risparmi e sinergie per due miliardi di dollari.
Baldini + Castoldi pensa positivo. E riparte dal «più»
Corriere della Sera
di Ida Bozzi
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Un nuovo logo e l’ annuncio di un sostanziale pareggio di bilancio: netto cambio di passo per il marchio che fu Baldini & Castoldi e ora, accantonata la «&» commerciale, diventerà Baldini + Castoldi (anche abbreviato: B + C) e avrà come simbolo il segno «più». Intanto, il nuovo logo, già da gennaio: ideato dal designer e architetto Pierluigi Cerri, propone il cambiamento del carattere tipografico, che diventa un Bodoni, e l’ introduzione del «più», segno dell’ addizione e simbolo della positività, spiega Elisabetta Sgarbi, editore de La nave di Teseo che ha acquisito nel giugno 2017 Baldini & Castoldi. «Siamo “entrati” nel secondo semestre – spiega Sgarbi – e quest’ anno abbiamo già pubblicato titoli con grafica rivisitata da Cerri. Ma con il marchio si è fatto un lavoro diverso. Premessa: il logo de La nave di Teseo è costituito da due onde in cui alcuni vedono una nave e molti vedono un sorriso. Ebbene, anche se Cerri ha lavorato in modo autonomo, direi che ha elaborato qualcosa di molto vicino al sorriso della Nave: il segno “più” rappresenta un atteggiamento di positività che, nonostante tutte le difficoltà della vita, vorremmo avere sempre». Il segno positivo è un buon auspicio per il marchio, sottolinea Sgarbi: «Baldini + Castoldi chiude questo semestre in sostanziale pareggio, dopo il periodo complesso attraversato negli ultimi anni. I titoli pubblicati grazie all’ intenso lavoro di questi mesi da parte di tutti noi hanno dato risultati importanti e hanno invertito la rotta: mi riferisco all’ inedito di Giorgio Faletti, a Rinascimento di Vittorio Sgarbi e Giulio Tremonti, all’ inchiesta di Giulia Innocenzi sul rapporto tra industria farmaceutica, consulenze e vaccini, al memoir di Al Bano Carrisi dedicato alla mamma, a Mattia Torre, a Monaldi&Sorti. Solo per citarne alcuni». Positiva anche l’ annata de La nave di Teseo, tiene a precisare Elisabetta Sgarbi: «Non solo chiude in pareggio già al secondo anno di vita, ma raggiunge più o meno i ricavi dello scorso anno con il solo cartaceo, oltre 13 milioni di euro lordi di fatturato. Ho letto su quotidiani finanziari che non saremmo decollati, risponderei che abbiamo superato la fase del decollo e siamo pienamente in volo, o in mare, con le nostre tre navi, La nave di Teseo, Baldini e Oblomov». Quali saranno i primissimi titoli di B + C nel 2018? «Il nuovo romanzo di Patrick Fogli A chi appartiene la notte che – conclude l’ editrice – secondo noi, il direttore editoriale Alberto Rollo e il vicedirettore generale Luca Ussia in testa, consacra questo scrittore. E poi Scomparsi di Heylen Beck ( nom de plume per il bestseller Stuart Neville), thriller venduto in tutto il mondo. E in primavera due importanti rilanci: “Linus” e la Tartaruga, marchio storico di narrativa femminile».