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Rassegna Stampa del 11/12/2017

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Diritti calcio, Eurosport il piano B della Lega

Pubblicità online il mercato riparte ma vuole allentare la morsa Google-Fb

Rivoluzione Dab, così la radio entra in gioco nella corsa alle smart car

«Tetto pubblicitario per la Rai In Europa è rimasta un unicum»

Dopo il blitz neofascista, la solidarietà oggi sit in a Repubblica e L’ Espresso

Diritti calcio, Eurosport il piano B della Lega

Affari & Finanza

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Stefano Carli La gara per i diritti tv della Serie A di calcio del prossimo triennio sembra ancora in alto mare. Il 2018 è alle porte e più in là di marzo non si può andare perché il nuovo campionato parte ad agosto . Sforare sarebbe per la disastrata Lega Calcio anche peggio dell’ eliminazione dell’ Italia dal mondiale. Ma l’ accordo Mediaset -Vivendi , che tutti aspettano perché altrimenti Sky non avrebbe avversari e l’ asta diverrebbe una svendita all’ unico offerente, va a rilento. A dispetto dalle continue voci di una firma a breve. E allora la Lega si prepara un piano B. Fare tutto da sola. Una tentazione che s presenta ad ogni asta ma che è sempre sembrata finora una posizione tattica e senza reale intenzione di farlo davvero. Anche perché è difficile. Non tanto le telecamere per le riprese ma tutto il sistema di pay tv e abbonamenti da gestire. Deve essere per questo che – si narra – dalla Lega stiano partendo telefonate sempre più pressanti in direzione Eurosport. Che in Italia vuol dire Discovery. © RIPRODUZIONE RISERVATA Alessandro Araimo Discovery Italia.

Pubblicità online il mercato riparte ma vuole allentare la morsa Google-Fb

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“C’ È UN’ ESIGENZA DI MAGGIORE TRASPARENZA CHENON PUÒ ANDARE DISATTESA” DICE CARLO NOSEDA PRESIDENTE DI IAB ITALIA APRENDO IL FORUM DI MILANO E PRESENTANDO I DATI CHE PARLANO DI UN 2017 AL 12% CON TUTTE LE COMPONENTI IN CRESCITA, PERFINO LE “VECCHIE” E-MAIL Stefano Carli Milano Roma L a pubblicità digitale torna a correre. Dopo un anno di pausa, il 2016, in cui gli investimenti in tutte le nuove forme di media digitali avevano visto la corsa fermarsi ad appena il 9%, quest’ anno le stime dicono che si chiuderà con un più 12%, a quota 2,65 miliardi di euro. Corre nel mondo, dove, come negli Usa, approfitta del calo degli investimenti pubblicitari sulle tv e conquista la vetta della classifica dell’ Ads spending, Ma corre anche in Italia, dove il mercato sembra essersi stabilizzato e gli investimenti pubblicitari sulle televisioni hanno perfino dato il segno di una lieve risalita. A crescere di più, anche da noi, come dicono i dati presentati pochi giorni fa a Milano da Iab Forum, l’ associazione della pubblicità digitale italiana, e dall’ Osservatorio Internet del Politecnico di Milano, sono ancora le componenti più nuove e dinamiche: il video, la programmatica (ossia la pubblicità che “si cerca” i suoi target selezionando i contenuti), i motori di ricerca, la nativa (forme di sponsorizzazione evoluta e interattiva). La pubblicità digitale è insomma entrata ormai nell’ età adulta, i volumi di risorse che attira e impegna, specie da parte dei grandi marchi, non sono più episodici. E questo vuol dire che il settore non può più permettersi di sottovalutare alcune scorie negative che la corsa rapidissima degli ultimi anni aveva messo da parte. Due soprattutto. L’ incontrollabilità degli algoritmi e la concentrazione del mercato. Nelle scorse settimane si è verificata una nuova fiammata di polemiche per la presenza di alcuni grandi brand mondiali (e grandi investitori) su siti dai contenuti assolutamente inappropriati. Quando l’ inappropriatezza raggiunge la pornografia, peggio ancora con la presenza di minori, scatta una immediata censura, comunque ex post e quindi tardiva. Ma il tema resta anche quando i contenuti non sono così chiaramente condannabili e c’ è solo un problema di inadeguatezza rispetto alle strategie di immagine dei grandi marchi. In primavera un primo caso aveva riguardato siti o video con commenti antisemiti o favorevoli al terrorismo. In entrambi i casi le vicende hanno provocato una levata di scudi da parte di marchi come Adidas, Deutsche Bank, Mars, LIdl, come riportato dal quotidiano inglese The Guardian, ma anche da parte di grandi agenzie di pubblicità, come la francese Havas, tra le top 5 mondiali del settore, e di recente fusasi dentro la Vivendi di Vincent Bolloré. Anche adesso, come la scorsa primavera, si sono susseguite la rassicurazioni da parte dei vertici di YouTube, della sua controllante Google e da parte di Facebook, di voler moltiplicare i controlli. Ma la diffidenza non viene meno. E questo porta dritto al secondo problema. Quello di un mercato ormai troppo concentrato: un vero e proprio duopolio ormai. L’ 84% della pubblicità digitale mondiale è controllata da Google e Facebook, secondo una stima elaborata dal numero uno mondiale della pubblicità, il gruppo Wpp. Il messaggio è chiaro. Se nei primi anni del boom della pubblicità digitale la crescita era andata a scapito dei media tradizionali, la stampa prima di tutto, ma poi anche quello che sembrava il grande e imbattibile moloch delle tv, adesso invece è tutto cambiato. A fare le spese della crescita dei ricavi pubblicitari di Google e Facebook sono soprattutto gli altri media digitali: portali e app, agenzie e aggregatori di contenuti. Non è un caso che l’ intero settore abbia sentito il bisogno di trovare un ambito di confronto. Si chiama “Coalition for better Ads”, l’ alleanza per la buona pubblicità, in sostanza. Ci sono dentro tutti, perfino Google e Facebook. Ma la novità è che sono a un tavolo “virtuale” assieme ai grandi editori, come Springer e Murdoch, ai big del software, come Microsoft, alle grandi agenzie pubblicitarie, appunto, come Wpp, Publicis o Havas. E assieme a tutti i maggiori Iab: quello Usa e quello europeo. «Cresce l’ esigenza che la pubblicità digitale sia in grado di instaurare un rapporto positivo con gli utenti dei suoi contenuti -spiega Carlo Noseda, presidente di Iab Italia E questo vuol dire mettere a punto assieme, tra tutti i protagonisti del settore, regole di rispetto e comportamenti improntati alla ricerca della massima trasparenza. D’ alta parte- continua Noseda – Proprio le dimensioni che abbiamo raggiunto ci affidano nuove responsabilità, soprattutto verso la generazione dei new millennials, giovani che si formano in un ambito completamente digitalizzato e che saranno gli utenti dei grandi marchi e di tutti gli investitori pubblicitari di domani. Sta a noi far sì che il rapporto tra questi giovani e i media sia un rapporto di massima fiducia. E per questo serve la massima trasparenza». E’ per questa esigenza di comprendere che quest’ anno Iab Italia ha realizzato assieme ad Ey una ricerca con il compito di definire meglio i confini del digitale italiano. E ne è venuto fuori un quadro, presentato durante la due gironi milanese di Iab Forum, impressionante per dimensioni: «L’ economia digitale italiana vale 58 miliardi se mettiamo assieme tutto, dalla pubblicità online fino all’ e-commerce, alle tecnologie e ai servizi professionali – spiega Noseda – E genera anche posti di lavoro: solo nel 2017 solo oltre 30 mila posti in più, che portano il totale a 253 mila unità. E il trend è positivo: i posti sono cresciuti del 15%, quindi ad una velocità superiore a quella della crescita dei ricavi». Ed è infatti questa la tendenza più recente emersa sul mercato: la necessità di soggetti in grado di offrire strategie di comunicazione sull’ intero ventaglio dei media digitali calibrate in base alle effettive esigenze degli investitori, che sappiano calibrare tutti i vari fattori in gioco, compresa la scelta dei contesti (visto il rischio di affidarsi ai soli algoritmi) e anche la tipologia di inserimento dei messaggi pubblicitari. Necessità quest’ ultima dettata anche da un dato di fatto: la diffusione dei sistemi di Ad Block, che bloccano cioè i messaggi pubblicitari sugli schermi degli utenti. E’ un fenomeno che riguarda solo gli utenti dei media collegati alla rete fissa, tipicamente pc e tv connesse, e soprattutto gli utenti di Chrome, il browser di Google, che sul mercato Usa ha una quota del 60%. E’ un fenomeno che al momento non sembra toccare le app dei dispositivi mobili, smartphone e tablet. Ma questo è un ulteriore problema perché il piccolo schermo dei telefoni non è dei più adatti per uno sviluppo completo dell’ offerta pubblicitaria. I cui ricavi crescono, ma a velocità più bassa rispetto alla crescita del traffico dati degli utenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA Carlo Noseda presidente di Iab Italia.

Rivoluzione Dab, così la radio entra in gioco nella corsa alle smart car

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IN ITALIA ORMAI UNA NUOVA AUTO SU TRE HA IL RICEVITORE DIGITALE DI SERIE E TRE SU QUATTRO LO OFFRONO COME OPTIONAL. E QUESTO HA DATO IL VIA ALLA MESSA A PUNTO DI UNA NUOVA GENERAZIONE DI SERVIZI. A PARTIRE DALL’ EWS, PER GLI ALLARMI DELLA PROTEZIONE CIVILE C’ è un allarme alluvione improvviso. La vostra radio interrompe qualsiasi costa stiate ascoltando. E se è spenta si accende e trasmette un comunicato della Protezione Civile. Lo sentono solo i cittadini della zona interessata, non viene trasmesso dalle singole emittenti ma direttamente dalle autorità e darà istruzioni su cosa fare e dove andare. Si chiama Ews, Emergency Warning System. Oppure immaginate una casa automobilistica che voglia aggiornare il firmware di un modello in circolazione. Oggi dovrebbe richiamare le auto una ad una e inserire i nuovi dati. Lo si potrebbe fare in un unico momento per tutte le vetture se i dati viaggiassero su una rete broadcast, come quella della radio e se il ricevitore autoradio fosse integrato con tutta la scatola nera della vettura. Futuro? No, presente. L’ Ews funziona già in Norvegia, in Svizzera e presto in Alto Adige, dove opera la Ras, l’ emittente radiofonica pubblica di lingua tedesca. L’ aggiornamento software delle auto ancora non c’ è ma è già tutto pronto. Ma tutto questo funziona ad una sola condizione, che le radio in questione siano ricevitori digitali Dab. La radio è l’ ultimo media a digitalizzarsi ma adesso inizia ad avere i numeri per recuperare il tempo perduto. E i risultati si vedono perché tutta l’ industria dei nuovi servizi abilitati dalla nuova tecnologia si è messa prepotentemente in moto e vuol bruciare le tappe. E per completare l’ opera non resta che attendere che anche le legislazioni si adeguino. Già undici paesi europei hanno chiesto ai rispettivi governi e all’ Ue di rendere obbligatori i nuovi chip di decodifica del segnale Dab in tutti i nuovi apparecchi radio venduti. In Italia la richiesta è stata recepita dal governo che ha inserito all’ interno della legge di stabilità una norma che stabilisce come dal giugno 2019 non si possano più importare ricevitori che non abbiano, assieme al tradizionale sistema Fm anche il Dab. E che dal primo gennaio 2020 non si possano più vendere radio non Dab. E’ soprattutto una norma a protezione dei consumatori, perché non rischino di comprare ricevitori non in linea con un mercato che si sta comunque adeguando di suo, tanto che il costo industriale dei ricevitori Dab ha di fatto annullato ogni differenza di prezzo rispetto al semplice Fm. E questo proprio in virtù della diffusione crescente. «Un’ auto nuova su tre ha il ricevitore Dab di serie, e tre su quattro lo offrono come optional ad un costo aggiuntivo di un centinaio di euro», spiega Sergio Natucci, direttore di Dab Italia, uno dei tre operatori di rete radio digitale italiano (gli altri due sono Rai e EuroDab), che associa 8 emittenti: le tre di Gedi, l’ ex gruppo Espresso, Radio 24, Rds, Radio Maria, Radio 101 e Radio Radicale. «Si stima che in Italia siano oggi in circolazione 2,5 milioni di auto dotate di ricevitore radio Dab – continua Natucci – e che sull’ intero mercato europeo se ne siano ormai venduti 60 milioni. Ma il fenomeno è ancora in accelerazione perché adesso il mondo automotive ha lasciato da parte le vecchie incertezze». A smuovere i big dell’ auto sono state le innovazioni che si stanno concentrando attorno alle smart car e alla smart mobility. E l’ evoluzione della piattaforma Dab, che già oggi non è più solo un sistema di diffusione di contenuti audio. Si è infatti ormai capito che la banda larga in mobilità non può non essere un sistema complesso in grado di utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili facendole dialogare tra di loro. Ricevere contenuti via web e banda larga mobile può essere molto costoso (e oggi spesso ancora difficoltoso) e impegna quote enormi di banda. Ricevere gli stessi contenuti, via etere, su una rete broadcast, è molto più economico. Le nuove piattaforme Dab possono gestire le richieste degli utenti in diverse modalità: si riceve per esempio un programma radio via etere dove c’ è il segnale, ma in assenza di questo si può passare sul web e tornare poi di nuovo alle onde radio. Impegna meno banda e costa meno. C’ è anche già sul mercato uno smartphone che opera così, lo Stylus della Lg. L’ interazione del ricevitore Dab a bordo dell’ auto con il sistema Gps permetterà di riceve informazioni più rapidamente, come le info-traffico o come i messaggi di allarme. Ma anche la pubblicità guarda al Dab. Si possono inviare spot legati al territorio che si sta attraversando secondo i dettami della pubblicità georeferenziata. E l’ intero sistema dell’ advertising è interessato fortemente a questo, a conferma del fatto che la radio è di tutti i media tradizionali quello che meglio ha resistito alla grande crisi di questi anni e che da diversi trimestri ormai continua a confermare il ritorno alla crescita degli investimenti. Un circolo virtuoso in cui attenzione crea attenzione. Adesso anche Autostrade per l’ Italia si sta impegnando è ha iniziato dei test in alcune gallerie delle tratte appenniniche per mettere a punto un sistema di ripetitori del segnale nei tunnel. Senza contare che anche in questo campo la digitalizzazione porta risparmi sui costi di manutenzione e di esercizio. Un’ antenna Dab consuma un decimo dell’ energia necessaria ad alimentare un’ antenna Fm che copra un uguale territorio. Ma non solo, un’ antenna Fm porta il segnale di una sola emittente, mentre un’ antenna Dab ne gestisce fino a 20 per cui i risparmi si moltiplicano da 100 fino a 200 volte. E c’ è chi ha stimato che se la Rai passasse in Dab, non avrebbe più bisogno dei suoi attuali 3.300 ripetitori ma ne basterebbero 400. Un risparmio stimabile in circa 50 milioni di euro l’ anno. E infatti Rai ha appena annunciato di voler accelerare sulla copertura del territorio e dovrebbe arrivare a coprire tutto il nord e il centro Italia fino a Salerno entro il prossimo anno. Intanto c’ è chi brucia le tappe. Gli altoatesini di Ras hanno annunciato che si apprestano a spegnere 44 dei loro attuali 220 ripetitori. Come ha già fatto la Norvegia. Come sta per fare anche la Svizzera. (s.car.) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Tetto pubblicitario per la Rai In Europa è rimasta un unicum»

Corriere della Sera

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«In Italia ci sono più canali gratuiti che in tutti gli altri Paesi d’ Europa, la concorrenza televisiva è letteralmente esplosa, mentre il mercato pubblicitario dall’ inizio della crisi è crollato ed è passato da 10 miliardi di euro a poco più di 6. Ci sono tante, forse troppe reti ma la vera tv generalista rimane insostituibile e la sua capacità attrattiva verso il pubblico e gli investitori pubblicitari non morirà mai». Pier Silvio Berlusconi, vicepresidente e amministratore delegato di Mediaset, è nel suo quartier generale di Cologno Monzese. È un fine anno tra l’ intenso e il cruciale per Mediaset. Sul fronte societario si appresta a cambiare statuto, deve riuscire a farsi risarcire i danni dei francesi di Vivendi che prima hanno rotto il contratto per un’ alleanza industriale e l’ acquisto di Premium e poi tentato un’ impossibile scalata a Mediaset, bloccando progetti e piani di sviluppo. Eppure appare tranquillo. Forse perché i francesi paiono aver capito che o si fa un accordo o l’ esborso potrà essere miliardario? Sicuramente è molto più rilassato per quello che Mediaset sta facendo sul fronte della tv. Ma non è che esagera? Tra Netflix e nuovi entranti, il panorama televisivo cambia in un attimo, non le viene il dubbio di avere troppa fiducia nella tv generalista? «Lo confermano i dati: anche questo autunno i nuovi canali e la pay tv fanno fatica. Noi invece, nonostante tutta la nuova concorrenza, siamo cresciuti sia negli ascolti sia nelle quote di mercato pubblicitario. Persino sul totale individui, considerando anche il pubblico più anziano, noi in autunno abbiamo guadagnato 1,2 punti di share e la Rai ha perso 1 punto. E Canale 5 nelle 24 ore con il 17% è in assoluto la prima rete italiana. Un vantaggio che arriva fino a 5 punti di share sul target commerciale». Ma se la torta della pubblicità si è ridotta come lei stesso ammette «Il mondo dei media televisivi si va polarizzando sempre più tra due estremi: i player globali che offrono contenuti in streaming, principalmente cinema e serie, anche di qualità ma preconfezionati – il modello “grande congelatore” – e chi offre prodotti caldi, locali, in diretta, fatti da editori che conoscono la pancia del Paese. Ed è questo il nostro know how che, lasciatemelo dire, è un vero e proprio mestiere, un’ arte che non puoi comprare. I giganti digitali – Google, YouTube, Netflix, Amazon – non hanno questa capacità, è una ricchezza che non possiedono». Ma non siete soli, è una ricchezza che ha anche la Rai «Vero. La Rai quest’ arte ce l’ ha. Ma via via si sta affievolendo a causa dell’ instabilità legata alla politica. Ormai i grandi successi della Rai sono soprattutto fiction, che però vengono prodotte all’ esterno. In casa Rai si fa fatica e il parco artisti non si è rinnovato». La sua è la visione del concorrente della Rai Non dimentichi che tra canone e pubblicità la tv pubblica ha buone armi nel suo arsenale, e che forse lei invidia. «Chiariamo subito: io penso che un’ offerta televisiva di servizio pubblico sia indispensabile e debba essere lo standard di riferimento su ogni prodotto, dall’ informazione all’ intrattenimento. Ma la Rai è rimasta un ibrido che vive di canone e di pubblicità. E per la pubblicità insegue la tv commerciale. È l’ unico caso rimasto in Europa. Oltretutto falsa il mercato e sottrae risorse a un settore già in difficoltà come l’ editoria». Vuole togliere la pubblicità alla Rai? «Ripeto, la Rai è rimasta un unicum in Europa. Se percepisci un canone devi avere perlomeno un tetto molto stringente alla pubblicità. A beneficiarne sarebbe tutto il mercato, anche la carta stampata e gli editori più piccoli. E non è questione di limitare la concorrenza: noi abbiamo già dimostrato di reggere la concorrenza sia di chi ha canone e pubblicità sia di colossi internazionali come Murdoch». Già, la pay tv dove si colloca? Premium era anche nata per stoppare la crescita di Murdoch. Sky non è più un vostro competitor? «La missione difensiva di Premium è riuscita in pieno: gli abbonamenti alla pay satellitare sono inchiodati da anni. Detto questo, la pay tv classica con decine di canali è un sistema destinato a essere in difficoltà. L’ offerta on demand degli over the top, il modello “vedi tutto a prezzi scontati” alla Netflix e Amazon, a lungo andare la schiaccerà. Certo, la pay tv potrebbe vivere di eventi sportivi in diretta, ma la concorrenza delle compagnie telefoniche rende il costo degli eventi sportivi esorbitante e quindi in perdita per chi li trasmette. Mentre la tv generalista è ben viva in ogni Paese». S ta dicendo che Mediaset non si fer merà a Italia e Spagna? «La tv generalista, come ho già detto, non è il mestiere dei colossi digitali. E noi, con l’ Italia e la Spagna, siamo già il più grande editore europeo di tv commerciale. Il sogno sarebbe creare un grande polo europeo della tv free. E sarebbe bello – e anche importante per il nostro Paese – se per una volta fosse un’ azienda italiana a guidare un’ espansione internazionale. Ma, come dicevo, è solo un sogno per ora». Mediaset ha partecipato all’ asta per l’ assegnazione dei diritti tv dei Mondiali di calcio in Russia 2018. Ci credete davvero? «Senza l’ Italia, spiace dirlo, le cifre sono più abbordabili. E con i diritti in esclusiva per tutte le piattaforme siamo sicuri che l’ operazione sarebbe profittevole. Abbiamo fatto un’ offerta razionale. Per Mediaset avere i Mondiali sarebbe un evento storico, oltretutto per la prima volta totalmente gratuito per il pubblico. Incrociamo le dita». Premium è un nervo scoperto. La battaglia con Vivendi, che ha stracciato l’ accordo firmato sulla vostra pay tv, a che punto è? «Tim ha bisogno dei nostri contenuti, è molto interessata a un accordo. Ma c’ è sospesa la questione con il loro azionista di controllo Vivendi. Vediamo se questi interessi comuni sui contenuti ci aiuteranno a superare le difficoltà». Se Premium vi rimane sul groppone, è possibile che riduciate l’ offerta solo a film e serie? «Penso che in Italia ci siano le condizioni per continuare a offrire ai nostri abbonati la Serie A. Un monopolio pay satellitare sarebbe dannoso per tutti, squadre e telespettatori. Parteciperemo all’ asta con razionalità. Ma non ridurremo certo gli investimenti sui contenuti soprattutto italiani, dal cinema alle serie fino al grande intrattenimento». Il successo del Grande Fratello Vip è andato oltre le aspettative… «Cito due dati: il Grande Fratello Vip ha generato 112 milioni di video visti e raccolto 65 milioni di voti. Numeri incredibili. L’ idea di mettere in chiaro le immagini della Casa 24 ore su 24 è stata vincente. Tanto che stiamo pensando a una programmazione con un “reality permanente” su Canale 5: prima l’ Isola dei famosi, poi il ritorno del Grande Fratello classico, quindi Temptation Island e una nuova edizione del Grande Fratello Vip. L’ idea è aumentare con decisione il prodotto italiano esclusivo: abbiamo dato prova che la nostra offerta di intrattenimento, informazione e fiction oggi più che mai parla a tutta l’ Italia». Ha dato il via libera a Michelle Hunziker per Sanremo? «Per la verità non mi hanno ancora chiesto niente. Ma nel caso non ci sarebbero problemi: il fatto che la Rai per i suoi più grandi eventi cerchi ormai da tempo artisti Mediaset è un altro segno della nostra centralità».

Dopo il blitz neofascista, la solidarietà oggi sit in a Repubblica e L’ Espresso

La Repubblica

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roma « Tutti insieme per dire no a qualsiasi forma di fascismo e di razzismo » . Questo lo slogan del presidio di solidarietà, organizzato per oggi alle 15.30 davanti alla sede di Repubblica e de L’ Espresso dove, mercoledì scorso, è stato organizzato un blitz di alcuni attivisti di Forza Nuova. «Nel nostro Paese c’ è ormai un clima di intimidazione contro i giornalisti, che si manifesta con aggressioni squadriste spiegano gli organizzatori – I giornalisti liberi danno fastidio e per questo qualcuno vorrebbe tornare ai tempi dei manganelli, come è successo a Ostia » . Di qui l’ appello, rivolto «alle associazioni e organizzazioni di categoria dei giornalisti e a tutte le associazioni e forze democratiche e cittadini che ogni giorno lottano contro intolleranza ed egoismo, contro ogni forma di neorazzismo e neofascismo » . Tante le adesioni, dalla Federazione Nazionale della Stampa ad Articolo 21, dall’ Ordine nazionale dei giornalisti all’ Usigrai, dalla rete Nobavaglio all’ associazione Stampa Romana, il sindacato cronisti, l’ ordine dei giornalisti del Lazio. Poi ancora, Libera, Emergency e tanti altri. L’ irruzione fascista a Repubblica.


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