Quantcast
Channel: Editoria.tv
Viewing all articles
Browse latest Browse all 8076

Rassegna Stampa del 06/11/2017

$
0
0

Indice Articoli

Cambio di Poltrona

Venduta la Giuffrè Editore

“Non escludo modifiche ma il bavaglio non c’ è”

“Sì, con questo decreto i cronisti rischiano di più”

LA PUBBLICITÀ CRESCE È UN ANTICIPO DI RIPRESA

I cinque big valgono un’ italia e mezza

Cambio di Poltrona

L’Economia del Corriere della Sera (ed. Mezzogiorno)

link

Ordine Giornalisti: Carlo Verna è il presidente nazionale Rinnovate le cariche di vertice del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti. Presidente è stato eletto il giornalista della Rai Carlo Verna, napoletano, affiancato dalla vicepresidente Elisabetta Cosci, dal segretario Guido D’ Ubaldo e del tesoriere Nicola Marini, abruzzese. Gli altri componenti del Comitato esecutivo sono i professionisti Andrea Ferro, Nadia Monetti e il siciliano Franco Nicastro, e i pubblicisti Alessandro Sansoni, napoletano, e Gianni Maria Stornello.

Venduta la Giuffrè Editore

La Stampa

link

Giuffrè Holding, società che detiene il totale del pacchetto azionario di Giuffrè Editore, ha ceduto il 100 per cento della storica Casa Editrice italiana a Editions Lefebvre Sarrut (Els), gruppo leader in Europa nell’ editoria professionale legale e fiscale. Con un’ esperienza di oltre ottant’ anni, centoquaranta dipendenti e un fatturato a chiusura dell’ esercizio 2016 di circa cinquanta milioni di euro, Giuffrè Editore si posiziona tra i leader di mercato in Italia nell’ editoria professionale. Antonio Giuffrè (nella foto), nipote del fondatore, dal 2005 alla guida della casa editrice italiana, mantiene la carica di direttore generale, con l’ obiettivo di «consolidare la crescita e portare avanti la strategia di digitalizzazione dell’ offerta editoriale».

“Non escludo modifiche ma il bavaglio non c’ è”

La Repubblica

link

ROMA. Giornalisti in pericolo se pubblicano un’ intercettazione penalmente irrilevante? «Il rischio non lo vedo, il decreto Orlando è equilibrato». Modifiche in commissione? «Vediamo i suggerimenti ». Dice così Walter Verini, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera. Tre anni di carcere per un’ intercettazione pubblicata. Non la preoccupa? «L’ allarme è eccessivo perché cambia poco rispetto alla situazione attuale. Già oggi il giornalista può essere indagato in caso di violazione del segreto d’ ufficio». Due osservazioni. La prima: le intercettazioni espunte avranno una caratura di segretezza particolare tant’ è che finiscono nell’ armadio riservato. La seconda: nasce questo armadio con testi top secret. Le due cose messe insieme creano il rischio di pene più gravi. «C’ è chi esegue le intercettazioni. Poi il pm decide quali sono irrilevanti. Quindi le prime che hanno rilevanza penale vengono allegate al fascicolo, a discrezione del pm, comprese quelle di contesto. Queste perderanno la segretezza, quindi potranno essere pubblicate. Se poi voglio scoprire aspetti di un uomo pubblico, un politico ad esempio, faccio giornalismo d’ inchiesta e non aspetto le intercettazioni, e non guardo dal buco della serratura ». Crede davvero che il tipo di segretezza sulle intercettazioni irrilevanti sia giustificato? «Sì, perché non capisco perché debbano essere rese pubbliche. È il senso del resto delle circolari di Pignatone, Spataro, Colangelo. La delega in fondo attua quelle circolari. È giusto, altrimenti si rischia di cadere nel voyeurismo». Quindi lei non avverte il rischio che scatti il segreto su carte importanti da far conoscere all’ opinione pubblica, e che le incriminazioni dei giornalisti diventino più pesanti? «A me interessa che sia possibile pubblicare atti che abbiano un rilievo pubblico e penale, ma gli aspetti privati o intimi non devono uscire. Non c’ è il bavaglio, la delega è equilibrata, ma tiene insieme il diritto alla privacy su questioni che non hanno rilevanza penale e il diritto all’ informazione. Se Forza Italia parla di norma blanda e M5S grida “al lupo al lupo” vuol dire che un equilibrio è stato trovato». Lei è proprio convinto che il bavaglio non c’ è? «C’ è solo una difesa necessaria della privacy. Sarebbe stato utile se la Fnsi si fosse seduta al tavolo con il ministro Orlando, ma per incomprensioni reciproche così non è andata. Mi convince quando la Fnsi dice che entro la fine della legislatura vanno approvate al Senato due norme importanti, sulla tutela del giornalista contro le querele temerarie e sulla diffamazione». Le commissioni parlamentari potranno cambiare il testo? «Io non escludo niente. Ma vedo un testo equilibrato. Poi, come ha detto Gentiloni, in quella cornice che è accettabile, miglioramenti si possono fare, perché non è Vangelo. Se la Fnsi manderà osservazioni chirurgiche le esamineremo con disponibilità e attenzione». ( l. mi.) ©RIPRODUZIONE RISERVATA DEPUTATO PD Walter Verini è capogruppo dei democratici in commissione Giustizia a Montecitorio.

“Sì, con questo decreto i cronisti rischiano di più”

La Repubblica
LIANA MILELLA
link

ROMA. «Con il nuovo decreto i giornalisti correranno più rischi ». Dice così Nello Rossi, avvocato generale in Cassazione ed ex procuratore aggiunto a Roma, confermando l’ allarme di Repubblica sul rischio carcere per i cronisti che pubblicano intercettazioni “irrilevanti” finite nell’ archivio riservato. Leggendo il testo del decreto lei che ne pensa? «Le do una risposta strettamente tecnica che prescinde da giudizi sulla complessiva validità della nuova normativa. È un fatto che l’ area del segreto sulle intercettazioni si amplia e soprattutto diventa permanente». Che significa? «Le intercettazioni irrilevanti o inutilizzabili saranno sempre ‘coperte dal segreto’. In una prima fase varrà quello delle indagini preliminari. Poi scatterà il regime di segreto disposto dalla nuova normativa per le intercettazioni inviate nell’ archivio riservato. Queste ultime non entreranno mai a far parte del fascicolo del pm, a meno che non vengano recuperate per necessità nel corso del dibattimento». Dov’ è la differenza rispetto ad oggi? «Finora le intercettazioni erano coperte dal segreto solo fino a quando l’ imputato non ne veniva a conoscenza e ‘comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Con il decreto muta il significato e la finalità del regime di segretezza. Sino ad ora posto a tutela delle indagini e oggi prolungato oltre la loro chiusura ». Lei dice che le intercettazioni finite nell’ archivio saranno segrete per sempre. Che succede al cronista che le fa uscire? «Con l’ ampliamento dell’ area del segreto non rischierà più solo il cronista, che pubblicava intercettazioni a indagini ancora in corso, ma anche chi rivela e pubblica le conversazioni custodite in archivio. Il concorso del giornalista nel reato di rivelazione del segreto d’ ufficio con il pubblico ufficiale diviene dunque un’ ipotesi concreta, a patto naturalmente di dimostrare che ci sia stata complicità nell’ acquisire e rivelare una intercettazione dell’ archivio riservato». Ma perché il giornalista rischia 3 anni di carcere e non solo 30 giorni per la pubblicazione arbitraria? «È il risultato della diversa latitudine acquisita dal segreto, che col decreto si proietta oltre la chiusura delle indagini. Il giornalista potrebbe commettere due reati, dapprima violando il segreto e poi pubblicando l’ atto destinato a rimanere nel chiuso dell’ archivio ed eventualmente a essere distrutto a richiesta dell’ interessato». Ma Gentiloni e Orlando dicono che il diritto di cronaca è salvo. Ma 3 anni di carcere non sono una minaccia? «Non si tratta di una censura alla cronaca giudiziaria, perché stiamo parlando di informazioni ritenute estranee al processo. Certo il faticoso equilibrio raggiunto nel decreto mette in conto la perdita di dati politicamente significativi e la accetta. A loro volta anche i cronisti saranno chiamati a fare delle scelte». ©RIPRODUZIONE RISERVATA MAGISTRATO Nello Rossi, ex procuratore aggiunto a Roma, oggi è avvocato generale in Cassazione.

LA PUBBLICITÀ CRESCE È UN ANTICIPO DI RIPRESA

L’Economia del Corriere della Sera
STEFANO RIGHI
link

Troy Ruhanen è presidente e amministratore delegato di Tbwa worldwide, una delle maggiori agenzie di pubblicità al mondo. Il mondo dell’ informazione – ma anche quello della comunicazione – si trova sempre più spesso a fare i conti con le Fake news, le notizie false. Un fenomeno che sta minando le fondamenta di un intero sistema. «Esiste un problema di oggettività dell’ informazione. I social hanno rovesciato i parametri esistenti e hanno reso possibile per ognuno di condividere e amplificare le informazioni, indipendentemente dal fatto che siano vere o false. I report rigorosi e il giornalismo non sono mai stati così importanti. La gente vuole sapere cosa sta succedendo, ha bisogno di informazioni, che siano verificate, sicure». Nei vecchi testi di economia si parlava di distruzione creativa. Voi vi definite la «disruption company», tanto da avere anche registrato il marchio. Ma allora non c’ è nulla di nuovo sotto il sole «C’ è un vantaggio nell’ essere The Disruption company . Noi aiutiamo i marchi a costruire un punto di vista creativo capace di attrarre una parte dell’ attenzione, scarsa, del mondo. Con la crescita dell’ intelligenza artificiale e della tecnologia, ci sono molte convenzioni – che noi abitualmente definiamo come lo status quo per alcune categorie di prodotti – che non hanno più motivo di essere. Questo è il motivo per cui rompere le convenzioni in una categoria di prodotti è così importante per un brand ». Il mondo della pubblicità è a un bivio. Il business model va rivisto, ma non è ancora chiaro da dove verranno i ricavi di domani. «Il mercato della pubblicità digitale è destinato a crescere. La potenzialità di penetrazione dei media digitali è altissima. Quello che è mancato fino a questo punto è una parte importante di contenuti, ma quando alla potenza del media si affiancheranno i contenuti il panorama cambierà rapidamente». Quale futuro vede per l’ informazione su carta? «Io sono convinto di una cosa: questo settore ha un futuro. Perché la gente non ha mai letto tanto come in questo momento storico. Certo, legge in maniera diversa rispetto a prima, ma le quantità di informazioni che vengono lette oggi da un singolo individuo non trova confronto con il passato. Quindi non è problema di lettura, di consumatori che leggono o non leggono, bensì di media. Io sono convinto che i giornali cartacei saranno sempre meno diffusi, ma non c’ è nulla che mi faccia pensare che possa diminuire quel forte bisogno di informazione che registriamo ora». E i new media? «Il trend è davvero molto forte, estremamente positivo per i new media e destinato a crescere a lungo. Soprattutto se l’ esperienza di lettura è positiva, se il lettore è soddisfatto di quanto ha trovato, di come l’ informazione viene presentata, dei link collegati, sarà portato ad amplificare il suo bisogno e continuerà a cercare, a navigare». Il mercato pubblicitario in Italia evidenzia segnali positivi. Ma il Paese è ancora a otto punti percentuali di Pil dai livelli precedenti la crisi. Come vede l’ Italia? «Il trend del mercato pubblicitario italiano è positivo e soprattutto è molto positivo il contributo di innovazione che le aziende italiane sanno portare sul mercato, anche in quello dell’ advertising . Sono ottimista: il tasso di disoccupazione sta diminuendo e questo significa che la popolazione avrà più soldi da spendere e potrà vivere meglio. L’ 85 per cento delle società nostre clienti in Europa sta crescendo e questo mi sembra un dato estremamente significativo». Se lei per un giorno fosse il primo ministro italiano con un portafoglio illimitato, cosa farebbe per rilanciare l’ immagine del Paese? «Vorrei un governo più snello, c’ è troppa burocrazia oggi, così come in molti business e in molti governi in tutto il mondo. E la seconda cosa che farei sarebbe investire maggiormente nelle tecnologie innovative. Il ruolo dell’ innovazione tecnologica e di come questa sia in grado di cambiare il modo di lavorare e di accelerare lo sviluppo delle aziende deve essere prioritario in qualsiasi Paese e settore dell’ industria e dei servizi». L’ Europa che lei vede con ottimismo è percorsa da spinte secessionistiche. Dalla Brexit, alla Catalogna. Fino ai referendum di Lombardia e Veneto. «La Brexit fin qui ha generato solo una grande confusione. In Gran Bretagna è successo qualcosa di simile a quanto è accaduto negli Stati Uniti con le elezioni presidenziali. Se generalizziamo, le grandi città hanno votato per rimanere nell’ Unione europea e a favore di Hillary Clinton, mentre i piccoli centri, le periferie hanno dato il loro consenso a Brexit e Donald Trump. È una lettura da tenere presente, perché i voti fotografano proprio questo: le due realtà. Questa serie di referendum, penso alla Catalogna, alla Lombardia e al Veneto, credo sia determinata dal fatto che molto spesso la popolazione non avverte di avere voce in capitolo sulle questioni che ne determinano il futuro, che non è ascoltata, che non può esprimersi». Si tende a esaltare il valore della conoscenza. Ma l’ impressione è che il livello si stia abbassando. «La conoscenza è uno dei valori chiave per il futuro di un individuo o di una azienda. Alla Tbwa lo facciamo attraverso Backslash, l’ unità editoriale culturale di Tbwa, che produce un video quotidiano per i nostri 12 mila dipendenti per informarli sulle ultime tendenze culturali provenienti da ogni angolo del globo». L’ Italia vive difficili equilibri politici in attesa delle elezioni di primavera. Ma anche gli Stati Uniti sono oggi su territori inesplorati, con molte tensioni attorno all’ amministrazione Trump. «Sfortunatamente l’ America oggi si trova divisa al proprio interno. Questa presidenza ha polarizzato gli schieramenti, ma il presidente Trump è più popolare di quanto la gente possa pensare. Con lui il business va bene, le imprese guadagnano, la Borsa corre, ma c’ è una tensione culturale che non si avvertiva. L’ uso delle armi da fuoco è una vera pazzia, che sta ulteriormente polarizzando gli schieramenti. Ma credo che la nazione abbia gli anticorpi per uscire da queste tragedie» .

I cinque big valgono un’ italia e mezza

L’Economia del Corriere della Sera
di Maria Teresa Cometto
link

I cinque giganti dell’ high-tech diventano sempre più grandi. Apple, Alphabet (ex Google), Microsoft, Amazon e Facebook continuano a crescere battendo tutte le previsioni degli analisti. Dopo l’ annuncio dei risultati del terzo trimestre 2017 il loro valore totale in Borsa è arrivato a quasi 3.300 miliardi di dollari (2.800 miliardi in euro). Una quantità di soldi enorme. Per avere un’ idea, basti dire che equivale alla dimensione di tutta l’ economia tedesca oppure, per fare un paragone nostrano, a una volta e mezza il nostro Pil. Non solo i cinque Big tecnologici made in Usa sono le cinque più grandi società al mondo per capitalizzazione in Borsa. Sono anche fra le più profittevoli. Nei soli tre mesi da luglio a settembre hanno accumulato in tutto la bellezza di 29 miliardi di dollari di utili netti: con quella cifra potrebbero comprarsi (al prezzo di Borsa) parecchie delle aziende della Old economy di cui hanno rivoluzionato il modello di business, ma anche numerosissime dot.com, società Internet che non riescono a crescere perché schiacciate dal super potere dei cinque Big. Potrebbero per esempio comprarsi un’ intera casa automobilistica come l’ italo-americana Fiat-Chrysler, che peraltro sta già collaborando con Alphabet per sperimentare i nuovi veicoli senza pilota. Oppure potrebbero fare shopping fra i vecchi media, messi in crisi dalla concorrenza dei social media come Facebook e dalla disponibilità su Google di ogni tipo di notizia: potrebbero acquistare sia l’ editore del prestigioso New York Times sia Cbs, una delle reti tv americane più popolari. E che dire del tradizionale commercio al dettaglio? Tutte le grandi catene di distribuzione di prodotti devono fare i conti con la concorrenza del negozio online che vende tutto e di più, Amazon: i negozi di gioielli Tiffany e i grandi magazzini Macy’ s, Norstrom e JCPenny potrebbero tutti essere comprati con quei 29 miliardi di dollari. Di fatto Amazon si è già appena comprata la catena Usa di supermercati Whole Foods per 13,5 miliardi di dollari, aumentando così il fatturato e la presenza nelle case e nel portafoglio delle famiglie americane. I «mattoni e cemento» degli hotel Hilton valgono in Borsa quanto i profitti trimestrali dei cinque Big, che invece guadagnano soprattutto nei nuovi business della «nuvola», la fornitura alle aziende di software e altri servizi informatici via Internet. Mentre parecchie ex stelle del web sono cadute, perché gli introiti pubblicitari su cui contavano sono fagocitati dal duopolio Google-Facebook: Twitter, Yelp e Groupon valgono insieme meno di 29 miliardi. Chi potrà fermare l’ avanzata di questi giganti? Le autorità di controllo dei mercati e antitrust si stanno già muovendo, sia in Europa sia negli Usa, dove anche quelle politiche hanno minacciato di intervenire dopo lo scoppio dello scandalo delle «false notizie» fatte circolare a pagamento su Facebook e Google dai russi per influenzare le elezioni presidenziali. Ma a insidiare lo strapotere dei cinque Big c’ è, a pensarci bene, la concorrenza che loro stessi si fanno l’ un l’ altro. Partiti da attività molto diverse – i pc e gli smartphone di Apple, il motore di ricerca di Google, il software di Microsoft, l’ ecommerce di Amazon e il social network di Facebook – per crescere ora invadono il terreno altrui senza esclusione di colpi. Apple continua a macinare profitti soprattutto grazie all’ iPhone, ma vuole avere più utenti con nuovi servizi come la musica e la tv in streaming, in competizione con Google (YouTube) e Amazon (Prime). Google guadagna sempre di più con la pubblicità, ma sfida Amazon nel conquistare spazio nelle case con gli altoparlanti intelligenti e anche per portare a domicilio la spesa. Microsoft e Alphabet sono all’ attacco di Amazon nell’ offerta dei servizi «nella nuvola», diventati la fonte principale dei profitti della società di Jeff Bezos. Il quale, a proposito di record, grazie all’ exploit delle sue azioni in Borsa – che hanno superato quota mille dollari, come quelle di Alphabet – è diventato il più ricco al mondo con un patrimonio personale di 93 miliardi di dollari, battendo proprio il fondator e di Microsoft Bill Gates, fermo a 88. E tutti e cinque sono impegnati nella corsa a sviluppare nuove applicazioni dell’ intelligenza artificiale e della realtà virtuale, per migliorare ulteriormente i loro prodotti e rubarsi clienti. Che, fino a quando non scoppierà la Bolla dei giganti, si godono questa abbondanza.


Viewing all articles
Browse latest Browse all 8076

Trending Articles