Indice Articoli
L’ anagrafe si trasferisce in edicola
Intercettazioni: per i giornalisti spunta il carcere fino a 3 anni
Intercettazioni, i cronisti rischiano tre anni
Diritti tv, la mossa di Infront “Ecco la Netflix del pallone”
RaiUno nasconde la Sicilia per paura del flop democrat
Pubblicità, è l’ ora di investire
L’ anagrafe si trasferisce in edicola
Libero
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Da rivendita di giornali a moderno spazio multi servizio e punto d’ informazione per cittadini e turisti in visita a Milano: l’ edicola – in calo con l’ avvento di internet e la digitalizzazione – è costretta a reinventarsi, senza perdere il suo fascino romantico di storico luogo d’ aggregazione, fatto di chiacchiere mattutine e incontri casuali prima del lavoro in ufficio. Al fine di scongiurarne la scomparsa, il Comune di Milano sta approntando un piano di rilancio e sostegno dei chioschi cittadini. «Un provvedimento che rappresenta il primo passo di un progetto più ampio, che porterà le edicole a tramutarsi in una capillare rete di info-point in occasione dei grandi eventi e non solo», ha affermato ieri l’ assessore al Commercio Cristina Tajani. «Vogliamo che queste tornino ad essere un punto di riferimento in ogni quartiere. Spazi dove i cittadini e soprattutto gli anziani possano facilmente trovare tutte le informazioni per vivere la città o accedere ai servizi online offerti dall’ amministrazione». Difatti, tra le maggiori novità è previsto il ritiro in loco dei certificati anagrafici e di tutta una serie di altri atti per i quali non è necessario recarsi personalmente negli uffici comunali. «Le edicole», ha aggiunto Roberta Cocco, assessore comunale alla Trasformazione digitale, «saranno un prezioso strumento per diffondere sul territorio i servizi online del Comune a disposizione dei cittadini. Attualmente i certificati emessi digitalmente sono il 54 per cento del totale, grazie a questa collaborazione speriamo di veder crescere questa percentuale e di conseguenza diminuire le code allo sportello». Una serie di misure che potrebbero evitare la chiusura dei chioschi: sotto l’ ombra della Madonnina ad oggi vi sono 632 rivendite di quotidiani, di cui 503 esclusive e 129 non esclusive, dislocate in tutte le aree della metropoli, dal centro fino alle periferie presso negozi, supermercati, mezzanini delle metropolitane e stazioni, su aree sia private che pubbliche. Negli ultimi cinque anni il numero di edicole in città è sceso di oltre il 30%; dal 2012 hanno chiuso i battenti 368 rivendite, più della metà di quelle attualmente in attività. Il provvedimento della giunta mira a sostenere un comparto in difficoltà, diversificandone l’ offerta e creando nuove opportunità commerciali, sviluppando reti wi-fi nelle zone di pertinenza o organizzando eventi per i residenti del quartiere. Una ventata di modernità che potrebbe cambiare il destino delle nostre amate edicole, rilanciandole. AEC riproduzione riservata L’ edicola in piazza Duca d’ Aosta
Intercettazioni: per i giornalisti spunta il carcere fino a 3 anni
La Repubblica
LIANA MILELLA
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FINO a tre anni di carcere. È il primo frutto avvelenato del decreto sulle intercettazioni. Da sei mesi a tre anni per il giornalista che troverà e deciderà di pubblicare una registrazione considerata «irrilevante» dal pm per il suo processo, ma rilevantissima per la notizia che contiene. Un documento con la classificazione di segretezza – come esplicitamente è scritto nel decreto del ministro Orlando – che però è stato temporaneamente escluso dal fascicolo processuale. A PAGINA 4.
Intercettazioni, i cronisti rischiano tre anni
La Repubblica
LIANA MILELLA
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ROMA. Fino a tre anni di carcere. È questo il primo frutto avvelenato del decreto sulle intercettazioni. Da sei mesi a tre anni per il giornalista che, facendo il suo lavoro, troverà e deciderà di pubblicare una registrazione considerata «irrilevante» dal pubblico ministero per il suo processo, ma rilevantissima invece per la notizia che contiene. Un documento con la classificazione di segretezza – come esplicitamente è scritto nel decreto del Guardasigilli Andrea Orlando – che però è stato temporaneamente escluso dal fascicolo processuale. Troppo facile quindi, per chi vuole incriminare il giornalista, non contestargli l’ articolo 684 del codice penale, cioè “la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale”, arresto fino a 30 giorni o ammenda da 51 a 258 euro, quindi oblabile. Visto che il documento è segreto e in quel momento è “fuori”, anche se temporaneamente, dal procedimento penale, si può contestare al giornalista, in concorso con il pubblico ufficiale che gli ha dato la notizia, l’ articolo 326 del codice penale, “rivelazioni di segreti d’ ufficio”. Un reato pesante, punito appunto con la reclusione da sei mesi a tre anni. Proprio nelle stesse ore in cui la Federazione nazionale della stampa chiede al governo «di rivedere la proposta sulle intercettazioni» e sollecita al Parlamento «radicali modifiche», tra i magistrati e gli esperti di diritto dell’ informazione serpeggia l’ allarme sul rischio delle manette per i cronisti. Basta leggere il testo del decreto all’ articolo 3 e seguire i passaggi. «Gli atti e i verbali relativi a comunicazioni e conversazioni non acquisite sono immediatamente restituiti al pm per la conservazione nell’ archivio riservato e sono coperti da segreto». E ancora: «Non sono coperti da segreto i verbali e le registrazioni acquisite al fascicolo processuale». Quindi i nastri scartati dai magistrati e chiusi nella cassaforte ad alta sicurezza le cui chiavi e la cui responsabilità sono nelle mani del solo capo della procura, in questa fase non sono inseriti nel fascicolo processuale, nel quale invece figurano tutti gli altri atti e le registrazioni che hanno avuto il via libera del pm perché considerati utili e necessari per provare il reato. È ovvio che non si potranno più applicare le stesse regole se il cronista pubblica gli atti del procedimento penale, che contiene le carte sdoganate e ammesse dal pm, o se invece diffonde il materiale divenuto top secret ed escluso proprio per questa ragione dal fascicolo. Nel primo caso si continuerà a contestare l’ articolo 684, la “pubblicazione arbitraria degli atti di un procedimento penale”, nel secondo scatterà la rivelazione di un segreto d’ ufficio. Sia il premier Gentiloni che il Guardasigilli Orlando, presentando il decreto a palazzo Chigi, hanno insistito sul fatto che il diritto di cronaca «è salvo». È vero che il decreto non interviene sulle pene per chi pubblica gli atti. Ma questo non deve stupire perché proprio il 326, la rivelazione di segreti d’ ufficio in concorso con il pubblico ufficiale, è stata più volte utilizzata per colpire e intimidire i cronisti. E si trattava di atti sì segreti, ma che non erano stati espressamente esclusi dal fascicolo del processo e inseriti volontariamente in una sorta di limbo di segretezza. Proprio come avviene adesso con la nascita dell’ archivio riservato che, dopo 180 giorni dalla piena entrata in vigore del decreto, giusto il tempo per le procure di organizzarsi, diventerà obbligatorio per ogni ufficio. È evidente allora che il mestiere del cronista si complica e diventa ancora più a rischio. Non solo, come scrive la Fnsi, ci sarà l’ obbligo per le toghe di utilizzare «quando è necessario solo i brani essenziali delle intercettazioni» che spingerà nella zona grigia del segreto notizie che magari non hanno rilevanza penale, ma ne hanno dal punto di vista giornalistico. Ma per di più pubblicare quelle carte diventerà estremamente rischioso, con la prospettiva concreta di finire in cella per aver rivelato intercettazioni segrete che soprattutto la politica non vuole vedere sui giornali. ©RIPRODUZIONE RISERVATA I nastri ritenuti irrilevanti per il processo verranno secretati, ma potrebbero contenere notizie rilevanti per la stampa.
Diritti tv, la mossa di Infront “Ecco la Netflix del pallone”
La Repubblica
MARCO MENSURATI
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ROMA. «Killer application», come dice Urbano Cairo, o «scacciacani » come ghignano invece gli scettici? Il futuro del calcio italiano, o meglio, della cassa del calcio italiano, è tutto racchiuso in questo dilemma sulla vera natura del progetto di “Lega Channel”, il canale attraverso cui la Serie A potrebbe distribuire in autonomia le proprie partite nel triennio ’18-’21, nel caso in cui il bando per la vendita dei diritti dovesse andare una seconda volta contro un muro. Il progetto, 400 pagine redatte con la consulenza di Deloitte, è stato presentato venerdì in Lega da Luigi De Siervo, capo dell’ advisor Infront. A grandi linee funzionerà così: verrà creata una società ad hoc, la Distribution co. che verrà partecipata da Lega e “da soggetti terzi”(ancora da individuare) e di cui Infront sarà advisor. Distribution co. avrà due partner, uno “produttivo”, già individuato in Discovery Channel, che materialmente realizzerà la produzione dei match; e uno finanziario, ancora da individuare, che garantirà alla Lega un miliardo l’ anno per dieci anni. Lega-Discovery declinerà la Serie A in tre canali, uno per piattaforma. Il primo, quello “deluxe”, andrà sul satellite e trasmettera al “prezzo suggerito” di 24,90/mese, le partite di otto squadre. Il secondo, quello “silver”, andrà sul digitale terrestre e trasmetterà per 19,90/mese le gare di sei squadre. Il terzo, “light”, trasmetterà per 12/90 on line (Ott) i match di 4 squadre, secondo un modello a “fruibilità elastica” che ricalca quello di Netflix. Tutti e tre i canali non verrano venduti direttamente ai telespettatori ma alle piattaforme. Che poi sarebbero sempre le stesse (Sky,Mediaset e un operatore Ott da individuare, probabilmente Perform). Per gli spettatori, alla fine, non dovrebbe cambiare molto. Va capito se quello del canale della Lega sia un’ ipotesi realizzabile oppure solo uno strumento per costringere Sky (e Mediaset, anche se a Cologno di soldi ce ne sono pochi) a pagare quanto i presidenti di Lega si aspettano (980 milioni). I dubbi sulla reale fattibilità del progetto sono molti. Dal ruolo di Discovery, in possibile conflitto di interessi, all’ identità del partner finanziario – torna sempre il nome di Marco Bogarelli, ex Infront -, alla realizzabilità della cosa in tempi brevi. Ma i dubbi più robusti sono di natura legale. Una soluzione del genere potrebbe essere facilmente scambiata per un tentato dribbling – chiamiamolo così – alla legge Melandri, che prevede sì un’ ipotesi di canale di Lega ma la vincola alla vendita diretta al cliente finale. E si aprirebbe inevitabilmente un’ altra stagione di guerre in tribunale. Resta il fatto che la Lega consideri questa fase come determinante in un «processo che elevi da venditore di diritti a soggetto che dialoghi alla pari con advisor e broadcaster». E che dunque stia lavorando al progetto 24 ore al giorno. Se le cose dovessero andare male con il nuovo bando (il 27 verrà sottoposto all’ assemblea, il 15 dicembre l’ aggiudicazione) vuole avere un piano B. Le cose al momento non sembrano andare per il meglio. Il nuovo bando ricalca in sostanza il primo. Sky non sembra disposta a superare l’ offerta iniziale (500 milioni) e difficilmente Mediaset supererà i 250. Per raggiungere il target, Infront punta a coinvolgere Perform per la piattaforma on line. Ma da un lato non è detto che gli americani siano disposti a investire 150-250 milioni, dall’ altro l’ entrata sul mercato di una Netflix del pallone potrebbe avere conseguenze devastanti sul “prezzo” finale dl prodotto. Il calcio costerebbe meno agli utenti, ma alla lunga varrebbe anche meno. Un nodo gordiano che si intreccia anche a un’ altra partita. Quella della scelta del nuovo ad di Lega. I presidenti di Serie A sembrano intenzionati a tenere le due cose separate, ma inevitabilmente le due strade s’ incroceranno. Anche perché nessun manager accetterebbe una responsabilità del genere senza aver potuto prendere parte alla decisione più importante. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Le partite come le serie tv: è ormai scontato l’ ingresso sul mercato di un distributore “on line” Dries Mertens, 30 anni, contro Alessandro Deiola, 22, in Napoli-Cagliari.
RaiUno nasconde la Sicilia per paura del flop democrat
Il Giornale
Laura Rio
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Laura Rio Milano Dunque, stasera, mentre tutto intorno, nel resto del mondo televisivo, si dibatterà sui risultati delle elezioni siciliane, a Che tempo che fa si continuerà a parlare del più e del meno attorno al tavolo sorretto dall’ acquario con i pesci rossi. È così: nonostante l’ importanza anche a livello nazionale del confronto elettorale sull’ isola, i vertici Rai non hanno ritenuto di cambiare la programmazione dello show di Fazio, che resta in onda fino alle 23,45. Mentre già dalle 22, orario di chiusura delle urne, le altre reti si scateneranno a dare gli esiti degli exit poll. Figuratevi, Mentana si sta già allenando da una settimana per la sua solita maratona: lui sarà in pole position alle 21,30 su La7 sguinzagliando i suoi inviati in Sicilia e a Ostia per una no-stop che durerà fino a lunedì sera, quando arriveranno i risultati definitivi. E anche tutte le reti all news stanno preparando grafici, schermi, studi, ospiti. E sul primo canale che fanno? Discettano amabilmente, tra una battuta e l’ altra, di cinema, arte, letteratura, sport. Certo, non che la tv di Stato si sia dimenticata dell’ importante evento politico: se ne occuperà prima Rainews24, a partire dalle 21,50, e poi, dalle 22,35, uno Speciale del Tg2 e le edizioni del Tg3 e della Tgr. Mentre Raiuno interverrà soltanto con la normale edizione del Tg di mezzanotte. Tutto a posto, si dovrebbe concludere. Però, volendo pensar male, si potrebbe anche rilevare che Raiuno resta, nonostante tutto, la rete con il maggiore ascolto. E che magari si preferisce far dormire sonni tranquilli al suo vasto pubblico con le bellissime immagini delle gare di Carl Lewis o la voce suadente di Patty Pravo, ospiti stasera a Che tempo che fa, piuttosto che con la – possibile – figuraccia del partito di Renzi. Sia chiaro: in questo gioco Fazio non c’ entra proprio nulla. Dopo tutte le accuse che gli sono piovute addosso in questi mesi, non gli si può imputare anche di non stravolgere il senso e la linea editoriale del suo show, così come lo ha costruito per Raiuno (anche se su Raitre di politici ne ha ospitati molti). E neppure di non accorciare il programma per dare spazio agli esiti elettorali. La strategia parte dall’ alto: dalla scelta dei vertici Rai, prima di Campo dall’ Orto e poi di Mario Orfeo, di puntare su figure come Fazio o le sorelle Parodi per eliminare i programmi più spigolosi, spinosi, che invitano alla riflessione o che vanno a soffiare sul malcontento popolare, come erano L’ Arena di Giletti o Virus di Nicola Porro. A nessuno è neppure venuto in mente di chiedere a Bruno Vespa di realizzare uno speciale Porta a Porta come si sarebbe fatto anni fa… E non è neppure una questione di ascolti, dato che Vespa non avrebbe probabilmente ottenuto un risultato inferiore rispetto al tavolo di Che tempo che fa. In più la Rai si è pure persa l’ attesissimo match tv di martedì fra Matteo Renzi e Luigi Di Maio: in questo caso a viale Mazzini non si sono tirati indietro, anzi hanno fatto pressione per averlo, ma il candidato premier dei 5 Stelle ha preferito DiMartedì di Floris su La7, talk considerato più ospitale. Insomma, da qualunque parte la si guardi, sempre meglio tenersi lontani dal pubblico, vasto, anziano, tradizionalista e votante del primo canale…
Pubblicità, è l’ ora di investire
L’Unione Sarda
Michele Ruffi
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Fare pubblicità sui giornali conviene sempre di più: le aziende potranno beneficiare di un credito d’ imposta che arriverà fino al 90 per cento delle spese sostenute. È la grande novità del Decreto fiscale varato dal governo, che ha stabilito una serie di incentivi per chi acquista spazi pubblicitari su stampa quotidiana e periodica, anche on line. GLI SCONTI Le imprese avranno diritto a importanti agevolazioni fiscali sugli investimenti «incrementali» realizzati nella seconda metà del 2017. In pratica: saranno prese in considerazione le maggiori spese dal 24 giugno fino alla fine dell’ anno, rispetto a quelle dello stesso periodo del 2016. Esempio: se un’ impresa ha investito nel secondo semestre dell’ anno scorso 100mila euro in pubblicità sui giornali, e negli stessi mesi del 2017 ne ha speso 150mila, avrà diritto a un credito d’ imposta calcolato sulla differenza di 50mila euro. I CALCOLI Quale sarà l’ agevolazione? Per le grandi aziende il credito sarà del 75 per cento (della spesa incrementale), dunque torneranno in cassa 37.500 euro. In pratica, l’ investimento pubblicitario “aggiuntivo” di 50mila euro costerà solo 12.500 euro. Ma gli incentivi sono ancora più convenienti per la vasta platea di microimprese, piccole e medie aziende (ovvero quelle con meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro) e start up innovative. Queste categorie avranno diritto al 90 per cento di credito d’ imposta. Dunque, prendendo in considerazione sempre i 50mila euro di investimento “incrementale”, 45mila euro torneranno in cassa sotto forma di sgravio fiscale, e l’ investimento effettivo sarà di appena 5mila euro. Riassumendo: basterà investire solo l’ 1 per cento in più rispetto al passato per accedere alle misure del governo e vedersi riconosciuto un incentivo sull’ investimento pubblicitario. Potranno richiedere il credito d’ imposta sia le imprese che i lavoratori autonomi. LE OPPORTUNITÀ «È una grande occasione per le aziende sarde e per tutti gli inserzionisti, che potranno investire sulla comunicazione in un Gruppo che ha oltre un milione di contatti giornalieri», dice Lia Serreli, direttore generale de L’ Unione Sarda e amministratore delegato della Pbm, la concessionaria della pubblicità per il Gruppo Unione. «Il team della Pbm», aggiunge Lia Serreli, «è a disposizione delle imprese per chiarire tutti i dettagli del provvedimento fiscale». Gli sconti per il 2017 saranno dedicati a chi investe su giornali cartacei e sulla stampa on line: L’ Unione Sarda, oltre a essere il più antico quotidiano dell’ Isola, vanta una media di 333mila lettori al giorno e una tiratura di 50mila copie; il sito Unionesarda.it è letto da una media di 213mila utenti unici al giorno e può contare su quasi 24milioni di pagine lette ogni mese. I FONDI A DISPOSIZIONE Al credito d’ imposta per il 2017 sono destinati 20 milioni di euro, parte dei 50 milioni provenienti dalla quota del Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione, di competenza della Presidenza del Consiglio dei ministri. I fondi a disposizione potranno essere richiesti dagli inserzionisti sulla base dei dati consuntivi, quindi già dall’ inizio del 2018. GLI EDITORI Il presidente della Fieg (Federazione italiana editori giornali), Maurizio Costa, ha espresso «grande soddisfazione per una misura anticiclica, positiva per l’ economia in ripresa e a lungo attesa da imprese, investitori e operatori dell’ informazione. Una misura», conclude Costa, «che riconosce il valore della stampa e che porta a conclusione gli interventi di riforma del settore avviati dal ministro Lotti con il Tavolo per l’ Editoria».