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Rassegna Stampa del 02/11/2017

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Indice Articoli

Telefonia: torna la bolletta mensile, resta l’ aumento

Confindustria & C. e il boomerang degli anti-bufale

New York Times, superiore alle attese il balzo dell’ utile

Editoria cattolica, Brescia batte Alba

Berlusconi, il polo tv Mediaset-Vivendi ha ancora una sua logica

Chessidice in viale dell’ Editoria

Mise: transizione di 2 anni per il nuovo digitale terrestre

Per vedere la tv dovremo pagare due miliardi

Telefonia: torna la bolletta mensile, resta l’ aumento

Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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Si tornerà presto a pagare i consumi telefonici calcolandoli a cadenza mensile anche per la rete mobile e non più ogni 28 giorni, come avevano stabilito unilateralmente le maggiori compagnie telefoniche ai danni degli utenti. Un emendamento presentato dal Pd al decreto fiscale all’ esame del Parlamento e le pressioni del ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, stanno spingendo gli operatori a una rapida retromarcia. Il ministro vorrebbe però limitare l’ efficacia del divieto al futuro ed evitare così alle compagnie il pagamento di rimborsi che potrebbero superare il miliardo di euro, come rivendicano le associazioni dei consumatori. Il primo ad annunciare pubblicamente il ritorno alla fatturazione mensile è stato Aldo Bisio, amministratore delegato di Vodafone Italia, la prima compagnia a imporre la nuova cadenza dei pagamenti già ad aprile 2016. Sky si è adeguata a ruota e anche il nuovo amministratore delegato di Tim, Amos Genish, ha confermato la volontà di fare marcia indietro sulle fatture a scadenza ristretta nel corso di un incontro con lo stesso ministro Calenda. “Era un’ operazione legittima in un sistema di mercato liberalizzato, dove i prezzi sono tra i più competitivi d’ Europa, ma alla luce dell’ attenzione posta dal governo e dalle Autorità, ci siamo resi conto che abbiamo sottovalutato un elemento importante che ci lega ai clienti, la trasparenza” ha dichiarato al Corriere della Sera Bisio, che non ha mancato però di sottolineare gli ingenti costi che l’ operazione reset del sistema comporterà per gli operatori. Asstel, l’ associazione di categoria che, nel sistema di Confindustria, rappresenta le imprese che offrono servizi di telecomunicazione fissa e mobile, dice che ci vorranno decine di milioni. Spese che si vanno ad aggiungere agli investimenti sostenuti in precedenza per l’ operazione contraria: l’ aggiornamento dei software di gestione della clientela con l’ invio delle fatture tarato per farle partire ogni 28 giorni. Ma sul piatto della trattativa con il governo c’ è anche altro. L’ obiettivo di marketing apertamente dichiarato dalle compagnie è mantenere comunque nei bilanci quell’ 8% di margine in più sulle tariffe finora assicurato dalle bollette emesse come fosse sempre febbraio, applicate finora. Uno studio dell’ Authority delle Comunicazioni avrebbe quantificato in 2 miliardi di euro gli incassi aggiuntivi realizzati da quando è stata applicata la fatturazione a 28 giorni. L’ Agcom si appresta a multare gli operatori per “mancata trasparenza” nei confronti della clientela. Ma l’ entità della sanzione è del tutto trascurabile rispetto ai guadagni realizzati con la violazione: al massimo 1,1 milioni di euro. Le associazioni dei consumatori tuttavia non mollano. Nei giorni scorsi il Codacons ha presentato in 104 procure d’ Italia esposti per presunta truffa e appropriazione indebita contro i gestori delle telecomunicazioni. “Se è illegale emettere bollette ogni 28 giorni, sono nulli tutti gli effetti che derivano da tale pratica, compresi i maggiori ricavi incassati dalle compagnie telefoniche a oggi che dovranno interamente essere restituiti ai consumatori”, attacca il presidente di Codacons Carlo Rienzi. Senza restituzione di quanto versato in più, i consumatori hanno pronta la class action.

Confindustria & C. e il boomerang degli anti-bufale

Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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È stato presentato due giorni fa il decalogo anti-fake news del ministero dell’ Istruzione, in collaborazione con Confindustria, Fieg, Rai, Facebook e Google. Alla vigilia dell’ evento, Laura Boldrini ne ha parlato “con passione” a Repubblica: “La sfida è che i ragazzi diventino ‘cacciatori di bufale’, detective del Web, in grado di capire, sempre, se una notizia è vera o è falsa, se un post su Facebook è semplicemente un post o invece una menzogna. Perché la Rete è una prateria dove spesso il più forte prevale”. Intanto questo è il decalogo: condividi solo notizie che hai verificato; usa gli strumenti di Internet per verificare le notizie; chiedi le fonti e le prove; chiedi aiuto agli esperti; ricorda che anche Internet e i social network sono manipolabili; riconosci i vari tipi e gli stili delle notizie false; hai un potere enorme, usalo bene; dai il buon esempio: non lamentarti del buio, ma accendi la luce; impara a riconoscere gli odiatori e i provocatori seriali; ricorda che il tuo click ha un valore. A parte le generiche raccomandazioni sul buon esempio, il potere enorme (“sta mano po esse fero e po esse piuma”) e riconoscere gli odiatori (saranno tutti come Napalm51 di Crozza?), sarebbe interessante sapere cosa pensano gli studenti-detective dell’ alternanza scuola lavoro, un progetto in cui lavare i piatti in un fast food (sottraendo tempo allo studio) è spacciato per esperienza formativa. A noi, in quanto operatori dell’ informazione, interessa molto la parte sulle fonti, anche perché non sfugge che tra i promotori del decalogo c’ è Confindustria. A giugno 2016 il Centro studi degli industriali diffuse, come di consueto, le previsioni sull’ andamento dell’ economia. Una sezione era dedicata allo “Scenario post-referendum: le conseguenze economiche del No”, prendendo spunto da “ipotesi altamente probabili”. La prima dava per scontato che Renzi, come poi è accaduto, si sarebbe dimesso ma pure che Mattarella non sarebbe riuscito “a formare un nuovo governo”. Quindi ci sarebbero state nuove elezioni e chissà che risultato avrebbero dato viste le due leggi elettorali difformi per Camera e Senato. Da qui sarebbero poi discesi effetti catastrofici con “un’ inevitabile nuova recessione” tra il 2017 e il 2019. Il “caos politico” – diceva il capo economista del Centro studi, Luca Paolazzi – “trascinerebbe il Pil all’ inferno, 4 punti percentuali in meno nel triennio sullo scenario di base. Salterebbero 600 mila posti di lavoro e 20 punti percentuali di investimenti”. Ma non è finita: il cambio dell’ euro avrebbe potuto svalutarsi, si sarebbero verificati effetti negativi sulla ricchezza delle famiglie e sui consumi, guai anche per le aste dei titoli del tesoro. Il Financial Times, poi, aveva previsto, in caso di vittoria del No, l’ uscita dell’ Italia dall’ euro e il default di otto banche ritenute a rischio. Ora, è passato quasi un anno e siamo ancora nell’ euro, l’ Ocse ha appena rivisto le stime di crescita dell’ Italia al rialzo, portandole a +1,4% per il 2017 e a +1,2% per il 2018, dall’ 1% e dallo 0,8% rispettivamente dello scorso giugno. Cosa dovrebbero dedurre gli studenti destinatari del decalogo di Confindustria, a proposito delle tragiche previsioni di Confindustria medesima, fonte indiscutibilmente autorevole? Anche con il bollino della certificazione (tipo banane), si trattava di bufale. L’ unica informazione buona è quella libera, dove quella che un tempo si chiamava controinformazione ha cittadinanza e facoltà di sbugiardare la propaganda. A margine, ma non troppo, basti ricordare che la scuola è già, almeno negli intenti, il luogo dove si educano gli studenti al pensiero critico, si stimolano le intelligenze e si formano i cittadini.

New York Times, superiore alle attese il balzo dell’ utile

Il Sole 24 Ore

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Nel terzo trimestre New York Times Co, l’ editore dell’ omonimo quotidiano newyorkese ha battuto le previsioni degli analisti sul fronte degli utili ma non dei ricavi. Nei tre mesi a settembre, Nyt ha messo a segno un utile netto di 32,32 milioni di dollari contro i 406mila dollari dello stesso periodo dell’ anno scorso. Il fatturato è salito del 6,1% a 385,6 milioni di dollari.

Editoria cattolica, Brescia batte Alba

Italia Oggi
ANDREA GIACOBINO
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Il confronto fra i due protagonisti dell’ editoria cattolica italiana vede Brescia battere Alba. Lo testimonia il confronto dei bilanci 2016 di La Scuola (Ls), casa editrice sita nel capoluogo lombardo e il cui vicepresidente è Giovanni Bazoli (che presiede l’ ente morale Opera per l’ educazione cristiana, azionista di controllo di Ls), e la piemontese Periodici San Paolo (Psp), editore fra l’ altro di Famiglia Cristiana, controllata dalla congregazione dei Paolini, nota come Società San Paolo. L’ esercizio dell’ azienda bresciana, infatti, si è chiuso riducendo la perdita a 2,2 milioni di euro dai 14,2 milioni del 2015 e difendendo il fatturato ad oltre 13 milioni. Ls, di cui Giorgio Riva è amministratore delegato, ha visto tornare un ebitda positivo mentre l’ ebit, seppur ancora negativo per 2,6 milioni, è migliorato dai meno 4 milioni circa dell’ anno prima. La società, che presidia il 2,5% del mercato dell’ editoria scolastica con una crescita di ricavi dell’ 1,7%, lo scorso anno ha ceduto il ramo di varia a Editrice Morcelliana, la testata Nuova Secondaria e gli annuali di Edizione Studium, oltre ad aver incentivato l’ esodo di 17 addetti. Il business plan prevede fra l’ altro la vendita di alcuni asset immobiliari mentre il prossimo anno Ls sarà partner di Hachette Livre nell’ editoria scolastica. Nel 2016 la perdita di Psp, di cui è amministratore unico Sante Sabatucci, è invece di soli 167 mila euro, in lieve progresso dal 2015, ma in compenso il calo anno su anno dei ricavi è marcato, passando da 40,2 a 3,5 milioni. In diminuzione del 13,3% anche l’ ebitda a 3,4 milioni e l’ ebit che cala da 1,2 milioni a 419 mila euro. Scorporando i dati del fatturato si vede che i volumi di vendita delle riviste hanno registrato un arretramento del 14,8% scendendo a 9,8 milioni, gli abbonamenti sono calati del 5,5% a 19 milioni circa mentre un lieve progresso (+0,84%) hanno segnato i ricavi pubblicitari a 2,9 milioni. Per ridurre i costi è stata messa in cantiere la cessione di Multimedia San Paolo attiva con le emittenti Telenova e Telesubalpina, che nel 2016 ha perso 1,2 milioni. © Riproduzione riservata.

Berlusconi, il polo tv Mediaset-Vivendi ha ancora una sua logica

Italia Oggi

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Il progetto di creare «un grande polo televisivo europeo» grazie all’ alleanza di Mediaset con la francese Vivendi «aveva e continua ad avere una sua logica industriale assolutamente valida». Ad affermarlo è Silvio Berlusconi nel libro di Bruno Vespa Soli al comando. Da Stalin a Renzi, da Mussolini a Berlusconi, da Hitler a Grillo. Storia, amori, errori in uscita domani da Mondadori Rai Eri, riferendosi al progetto, poi naufragato, che avrebbe creato un polo televisivo europeo in grado di competere con i grandi broadcaster. Alla domanda se si aspettasse un attacco così forte da parte di Vivendi, Berlusconi risponde: «Mi ha sconcertato. Ho sempre considerato il signor Bolloré un imprenditore serio, con il quale pensavo fosse possibile una collaborazione in un mercato, come quello della comunicazione televisiva, nel quale si ragiona in termini di grandi player capaci di operare internazionalmente. Sarebbe convenuto a entrambi i gruppi lavorare insieme: il progetto di un grande polo televisivo europeo aveva e continua ad avere una sua logica industriale assolutamente valida. Non si tratta solo di rispetto delle leggi e dei contratti, che già è un criterio fondamentale. Si tratta anche di rispetto della parola data». «Naturalmente», prosegue Berlusconi, «Fininvest ha dovuto difendersi dall’ aggressione e reclamare assieme a Mediaset il rispetto dei patti. I miei figli e i nostri manager lo stanno facendo nel modo migliore. La ragione sta dalla nostra parte, e non potrà non esserci riconosciuta. Ma, comunque vada a finire, sul principio secondo cui accordi e contratti non si possono non rispettare non possiamo e non vogliamo transigere». L’ ex premier assicura che Mediaset resterà «non solo italiana, ma sempre della mia famiglia». Sul fatto che Mediaset Premium non va bene, come molti canali privati a pagamento, mentre c’ è un rilancio della televisione generalista, Berlusconi dice: «È vero. I canali generalisti sono i soli a fare grandissimi numeri. La moltiplicazione dei canali televisivi con offerte di film e di ogni genere di spettacoli dappertutto non rende più appetibile la televisione a pagamento, che si regge ormai soltanto sugli eventi sportivi, ma per il resto è destinata a un pubblico limitato di utenti. Va così in tutto il mondo», osserva. Infine, su Telecom Italia Berlusconi è dell’ avviso che fa bene il governo a utilizzare i poteri speciali per assicurarsi il controllo almeno della rete «anche considerato come la Francia si sta comportando contro di noi» visto l’ esito dell’ affaire Fincantieri-Stx. Alla domanda se Telecom sia ormai un’ azienda francese, poiché controllata da Vivendi, il leader di Forza Italia risponde: «Spero proprio di no. Un’ azienda così importante deve tutelare gli interessi italiani».

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Gabanelli: in assenza novità dalla Rai non cambio decisione. In assenza di novità da parte della Rai «non cambio decisione. Il direttore generale ha il diritto di decidere come meglio crede, e io pure…». Lo ha ribadito ieri all’ Agi Milena Gabanelli all’ indomani della sua scelta di dire addio all’ azienda di viale Mazzini, non ritenendo accettabili le proposte che le erano state fatte: la condirezione di Rainews con la delega allo sviluppo del portale web (con una redazione di 45 giornalisti) e il ritorno in video a Report, affiancando l’ attuale conduttore e autore del programma, Sigfrido Ranucci. Nessuna marcia indietro quindi? «Io mi sono dimessa e nessuno mi ha detto “no”», ha risposto la giornalista. Allora niente margini per un recupero? «Non è a me che va chiesto». Leone Film accelera in borsa, editore Brioschi entra nel capitale. Ha chiuso in borsa con un rialzo del 3,5% a quota 4,85 euro il titolo dell’ azienda cinematografica Leone Film G. dopo la notizia che l’ editore Brioschi, attraverso la sua finanziaria Sofia Holding, secondo quanto riportato da MF, ha deciso di entrare nel capitale della società della famiglia Leone con una quota di poco inferiore al 5%. La casa editrice, che lo scorso aprile ha edito il romanzo di Fattaneh Haj Seyed Javadi La scelta di Sudabeh avrebbe intenzione di «studiare una trasposizione cinematografica del libro». Mondo Tv, a Tim i diritti di Sissi. Mondo Tv, gruppo che produce e distribuisce contenuti di animazione, ha siglato di un contratto di licenza con la Tim per la prima e la seconda stagione di Sissi, la giovane imperatrice e di altri due programmi della library Mondo Tv. La licenza prevede la concessione dei diritti svod (subscription video on demand) in via non esclusiva, per il territorio italiano da questo novembre fino alla fine di aprile 2019.

Mise: transizione di 2 anni per il nuovo digitale terrestre

Italia Oggi

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Arrivati al 2022 la gran parte dei televisori sarà pronta per il nuovo standard trasmissivo della televisione digitale terrestre, perché il percorso verso la liberazione della banda 700 da attribuire alle telco e quindi lo switch della tv andranno per gradi nel corso di due anni e già dall’ inizio del 2017 c’ è l’ obbligo di immettere nel mercato apparecchi adatti all’ assetto futuro. È il senso del comunicato diffuso ieri dal ministero per lo sviluppo economico, una precisazione dopo i primi interrogativi sorti in seguito all’ articolo della legge di Bilancio che parla dell’ argomento. Il ministero ha spiegato che già da quest’ anno è obbligatoria «la commercializzazione esclusiva di televisori con tecnologia T2-HEVC al fine di avviare con largo anticipo il naturale ricambio degli apparecchi. Solo a partire dal 2020 è previsto lo spegnimento delle frequenze in uso alle emittenti locali e la costruzione del Mux1 della Rai per aree geografiche. Questa fase di transizione, che durerà fino al 2022, non prevede in alcun modo l’ introduzione di tecnologia T2-HEVC ma l’ uso di tecnologia Mpeg-4 già diffusa da qualche anno nei televisori e che nel 2020 sarà disponibile per tutta la popolazione». In sostanza lo switch off avverrà per fasi dal 2020. Per avere spazio sufficiente nello spettro sarà sempre usata l’ attuale versione del digitale terrestre, Dvb-t, ma con una codifica di compressione (Mpeg-4) che già molti televisori e decoder nelle case hanno (quelli che possono ricevere l’ Hd). Perciò non dovrebbero esserci grandi problemi, da rottamare saranno soltanto i tv e i decoder più vecchi. La tecnologia definitiva, il digitale terrestre di nuova generazione Dvb-T2 con la codifica HEVC, sarà introdotta solo nel 2022 quando nello switch off saranno coinvolte tutte le emittenti nazionali. «Per quella data si prevede che il naturale ricambio dei televisori con le nuove tecnologie avviato con cinque anni e mezzo di anticipo sarà sufficiente a garantire la transizione senza particolari problemi per le famiglie», ha precisato ancora la nota. «In ogni caso, nella legge di Stabilità 2018 è stato previsto un costante monitoraggio della diffusione dei televisori di nuova generazione tra le famiglie e sono stati previsti incentivi per 25 milioni di euro all’ anno per quattro anni, dal 2019 al 2022».

Per vedere la tv dovremo pagare due miliardi

Libero

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ANTONIO SPAMPINATO È ormai chiaro che le emittenti tv italiane dovranno liberare la frequenza finora utilizzata per deliziarci con i loro programmi, quella chiamata 700Mhz, e trasferire le trasmissioni su un’ altra banda, la sub-700Mhz entro 5 anni perché l’ Europa ha deciso così. E Bruxelles ha preso questa decisione prevalentemente per assecondare le pressanti richieste delle lobby della telefonia mobile: la frequenza 700Mhz, una volta liberata, verrà da loro utilizzata per la cosiddetta banda larga senza fili, o 5G. Grazie alla nuova tecnologia la quantità di contenuti che gli operatori telefonici potranno consegnare all’ utente finale sarà enormemente maggiore di quanto sono in grado di fare oggi, moltiplicando i loro fatturati. È inoltre chiaro che il riposizionamento delle frequenze porterà tanti vantaggi economici un po’ a tutti gli operatori e una grossa fregatura, sempre economica, agli utenti finali. In particolare a 20 milioni di abbonati tv, ma non solo. Ad ammetterlo, per prima, è stata la Commissione Ue. Michele Anzaldi, esponente Pd e relatore presso la IX Commissione tlc della Camera, un anno fa ha detto: «La Commissione Ue prevede che il trasferimento su altra banda dei servizi attualmente prestati sulla banda 700 MHZ potrebbe comportare oneri stimabili da 1,2 a 4,4 miliardi di euro; tali oneri, comunque rilevanti, sarebbero a carico degli utenti finali». Chiaro il messaggio? Tutti fanno soldi tranne i soliti polli, che li devono tirare fuori: una cinquantina di euro per aggiungere un decoder all’ apparecchio televisivo (i produttori sono obbligati a vendere tv con il nuovo decoder già integrato, tecnologia T2-HEVC, solo dallo scorso gennaio). Pure lo Stato fa il pieno: una volta liberata la banda 700Mhz, la metterà in vendita e incasserà 1,25 miliardi nel 2018 all’ assegnazione di una parte delle frequenze, 2 miliardi nel 2022 al secondo round di assegnazioni. Totale 3,25 miliardi a cui andranno sottratti 750 milioni di indennizzi: verranno risarciti con 100 milioni i 2 milioni di utenti – 50 euro a testa – che già oggi non pagano il canone Rai perché incapienti e il resto verrà diviso per risarcire le emittenti tv per il trasferimento. Che in ogni caso godranno di un aumento della qualità visiva e sonora delle trasmissioni, oltre a più contenuti in altissima definizione. In totale dunque lo Stato porterà a casa 2,5 miliardi: se donasse il decoder ai restanti 20 milioni di utenti che posseggono 40 milioni di apparecchi tv (50 euro a decoder), guadagnerebbe comunque 500 milioni. Ma non lo farà: c’ è tempo per adeguarsi, dice. Un’ altro “regalino” alle compagnie telefoniche potrebbe arrivare dalla bolletta a 28 giorni. Sempre il Pd, giorni fa, aveva presentato un emendamento che doveva entrare nel decreto fiscale all’ esame del Senato, volto a vietare la fatturazione ogni 28 giorni invece del canonico mese che le compagnie tlc hanno imposto in coro ai loro disarmati utenti. Tanto di cappello. Il Sole 24 Ore ha però saputo, e scritto, che il ministero dello Sviluppo economico (del governo sostenuto dal Pd) ha messo a punto un emendamento alternativo che ridimensionerebbe la portata della proposta parlamentare. Il pratica si accetterebbe la fatturazione a 28 giorni per i clienti business e dei ricaricabili, mantenedo di fatto il divieto solo per la telefonia fissa. Si aprirebbe una voragine: i fornitori di luce e gas la prenderebbero come un mezzo via libera per fare altrettanto. riproduzione riservata Il ministero dello sviluppo economico, guidato da Carlo Calenda (nella foto) ha predisposto un emendamento che ridimensionerebbe la portata della proposta parlamentare sul divieto per le compagnie tlc di fatturare ogni 28 giorni invece di ogni mese


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