Indice Articoli
Ediland 2017, la ricetta per uscire dalla crisi
“Web tax, tassiamo gli utili ma non il fatturato dei big”
Un trio italiano nei media europei
Chessidice in viale dell’ Editoria
Corsera, Rcs consolida i dorsi
Il super panel non stravolge la tv
Time vende le attività Uk da Wallpaper a Tv Times
Nasce il terzo editore francese (libri e fumetti)
A Rcs le minoranzedi Edit.
Corriere della Sera
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A Rcs le minoranzedi Edit. Fiorentina Rcs MediaGroup ha rilevato le quote di minoranza dai soci dell’ Editoriale Fiorentina, che dal 2008 pubblica il quotidiano locale «Corriere Fiorentino», abbinato al «Corriere della Sera»
Ediland 2017, la ricetta per uscire dalla crisi
Corriere della Sera
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«In un mercato dove l’ informazione di valore rimane un punto di riferimento fondamentale e l’ innovazione continua senza sosta, bisogna prendere atto che gli indicatori economici si sono stabilizzati ad un livello più basso delle previsioni. Non si può più, quindi, parlare di crisi del settore, ma di una situazione di riferimento con la quale confrontarsi e adeguarsi». Lo ha detto Gianni Paolucci, presidente dell’ Associazione degli stampatori italiani, all’ Ediland Meeting 2017, la conferenza promossa da Fieg, Asig e Osservatorio Tecnico «Carlo Lombardi» per i quotidiani e le agenzie di informazione.
“Web tax, tassiamo gli utili ma non il fatturato dei big”
La Stampa
MARCO BRESOLIN
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Venerdì prossimo i 28 leader europei saranno a Tallinn per un summit dedicato alle sfide che attendono l’ Ue nel mondo del digitale. Dalla Web Tax alla cybersicurezza, l’ Europa cerca di consolidare il suo mercato unico digitale. La delega al settore è nelle mani di Andrus Ansip, ex premier estone e attuale vicepresidente della Commissione. Che all’ inizio della prossima settimana sarà a Torino per presentare al G7 Industria le ultime proposte di Bruxelles. I governi hanno deciso di accelerare con l’ introduzione di una Web Tax per impedire ai colossi della Rete di sfuggire al fisco. Ma alcuni governi frenano e altri chiedono di attendere l’ Ocse con una soluzione globale. «Questo è un problema che va avanti da tempo. Serve una soluzione a livello globale ma ora non c’ è. L’ Ocse dovrebbe presentare un report a ottobre, ma forse slitterà a dicembre o gennaio E intanto il tempo passa, si perdono entrate fiscali, ma soprattutto si perde competitività perché non c’ è equità di trattamento tra le aziende». Sul tavolo avete messo diverse proposte: Italia, Francia, Spagna e Germania spingono per introdurre una tassa sul fatturato, an z iché sugli utili. «Bisogna fare molta attenzione, perché ci sono aziende che hanno costi superiori ai ricavi. E noi non possiamo tassare le perdite. C’ è poi l’ opzione di far stabilire una residenza virtuale alle aziende che operano su un territorio, in modo da tassare gli utili nello Stato in cui sono stati generati. Non è facile, ma ci stiamo lavorando». A Bruxelles state preparando una riforma del copyright che costringerebbe i motori di ricerca a pagare agli editori i diritti per lo sfruttamento degli articoli che vengono condivisi. Ma ci sono molte resistenze. «Una premessa: questa non è una tassa sui link, né è nostra intenzione introdurre un divieto di condivisione. Il punto è che qualcuno lucra sul lavoro fatto da altri senza riconoscimenti. E non va bene. Noi vorremmo permettere agli editori di essere in una condizione negoziale più forte per rivendicare i propri diritti». Chi contesta questo provvedimento dice che i motori di ricerca portano traffico ai siti di news. «Sì, ma molti lettori si fermano alle tre righe che vengono riportate sotto il link. Lì trovano l’ essenziale della notizia, che è stata prodotta da un giornale, e non ci cliccano sopra. La visibilità non è tutto. Se un operaio lavora in un’ azienda, magari può essere contento di sapere che il prodotto da lui realizzato è finito in mano a molti consumatori. Però la gratificazione non basta. Per mangiare serve uno stipendio». A Torino presenterà le ultime proposte sul mercato unico digitale. Cosa cambierà con le nuove regole sulla libera circolazione dei dati? «La rimozione delle barriere aiuterà l’ industria, che oggi si trova di fronte diversi ostacoli. In Europa ci sono 56 diverse leggi sulla conservazione dei dati, una frammentazione che moltiplica i costi e riduce l’ efficienza per chi si trova costretto a operare in più Stati». Chi potrebbe beneficiare di più della nuova normativa? «Certo quelle grandi, penso ad esempio all’ industria automobilistica. La robotica, settore sviluppato in Italia, ha bisogno di una più fluida circolazione dei dati. Ma anche le piccole imprese che rischiano di rimanere schiacciate. La rimozione delle barriere ci farebbe risparmiare 8 miliardi l’ anno. Il mondo è già digitalizzato e lo sarà ogni giorno di più. C’ è un treno che sta correndo davanti ai nostri occhi. Dobbiamo salirci al più presto». La circolazione dei dati si porta dietro però anche dei rischi legati alla cybersicurezza. Voi avete lanciato un’ Agenzia europea ad hoc: qual è la dimensione del problema? «In continua crescita. Il numero degli attacchi è triplicato in un anno ed è difficile stabilirne l’ esatto costo. Anche perché molte aziende non li denunciano. Questo perché il 95% degli attacchi è st a to favorito da un errore umano. Software non aggiornati, uso improprio delle chiavette Usb, eccetera Comunque le stime parlano di 265 miliardi di euro l’ anno nei Paesi Ue. Una cifra enorme. L’ Europa deve salire sul treno del digitale, ma la cybersicurezza è una sfida fondamentale. Servono cooperazione, innovazione e responsabilità».
Un trio italiano nei media europei
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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L’ Italia ha tre media company nella top 25 europea: il triplo della Spagna, lo stesso numero della Francia e un po’ meno di Regno Unito (4) e Germania (5). È anche vero, però, che Mediaset, primo gruppo tricolore, arriva al nono posto con i ricavi 2016 a 3,66 miliardi, mentre gli altri due, Mondadori (1,26 mld) e Rcs (970 mln) sono al 22esimo e 24esimo posto rispettivamente, quindi al limite della classifica. In testa (secondo i dati messi insieme da hackers.media) ci sono un tedesco, un inglese e un francese, come nelle barzellette: Bertelsmann (16,95 miliardi), Sky (13,1 mld nei 12 mesi a giugno 2016) e Vivendi (10,8 mld), ma comunque anche nel podio la partecipazione italiana è presente, visto che Sky Italia è una delle tre gambe del gruppo con sede in Uk. Le aziende italiane, in ogni caso, si difendono anche in fatto di dinamismo. In particolare Mondadori rientra fra le tre media company che si sono fatte notare per il turnaround, per aver capovolto i risultati: -4% di ricavi nel 2015, +12,4% nel 2016. Ora, sappiamo che il +12% deriva in buona parte dall’ acquisizione di Banzai Media e soprattutto dei libri Rcs, altrimenti la variazione sull’ anno precedente sarebbe stata del -2,9%, ciò non toglie che la mossa è di rilievo. Insieme con Mondadori a livello europeo si è distinto il gruppo norvegese di annunci online Schibsted (da -0,6% a +4,6%) e l’ editore tedesco di magazine Hubert Burda (da -10% a +1%). Nessuna menzione per Rcs e Mediaset: la prima sta avendo il suo turnaround soprattutto quest’ anno con il nuovo editore; la seconda, che aveva preparato il suo piano europeo, è rimasta in stand-by dopo il dietrofront di Vivendi. Oltre al gruppo del turnaround, c’ è chi fra le media company europee della top 25 già aveva performance positive e continua a migliorare. È il caso di ProSiebenSat.1 che lo scorso anno ha segnato un +17% nei ricavi, della belga Persgroep (+10%), di Sky (+7% a giugno 2016 e +10% a giugno 2017), e della svedese Modern Times Group (+6%), tutte per almeno due anni in forte crescita. Gli ingredienti di questi gruppi sono vari: la pay tv con sport i primo piano per Sky che contemporaneamente ha investito sulla tecnologia da portare agli abbonati (Sky Q, il nuovo decoder in uscita in Italia); l’ e-commerce per ProSieben che si affianca alla tradizionale attività televisiva; l’ online gaming e l’ e-sports (la trasmissione di partite di videogame) come nuova frontiera da affiancare alle attività tradizionali (tv, radio e carta stampata), per Mtg. Fra i 25 maggiori gruppi ci sono poi quelli che, senza picchi particolari, continuano ad avere un business solido. È il caso delle aziende che vendono dati ad altre aziende, come Relx (Reed Elsevier) che ormai ha il 72% dei ricavi dalle attività in digitale, e Wolters Kluwer, che dall’ online ricava l’ 85%. Ovvio che, però, fra le 25 big ci sono anche media company che non hanno ancora trovato il punto di svolta e il cui posizionamento nella classifica nella migliore delle ipotesi non è destinato a migliorare.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Nuovo appuntamento di CasaCorriere nel ventennale del Corriere del Mezzogiorno. Riprendono gli appuntamenti di CasaCorriere dedicati ai 20 anni del Corriere del Mezzogiorno, con l’ incontro «L’ immagine e l’ immaginario», in programma giovedì prossimo alle 18 al Chiostro di Santa Patrizia, a Napoli. Aprirà l’ incontro un’ introduzione di Enzo d’ Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno. Seguirà la conversazione sul tema «L’ immagine e l’ immaginario» con: Gabriella Buontempo (Clemart, produttrice de I bastardi di Pizzofalcone), Lorenzo Mieli (Fremantlemedia, produttore de L’ amica geniale), Carlo Macchitella (Madeleine, produttore di Passione di Turturro e di Ammore e malavita dei Manetti Bros), Luciano Stella (Mad Entertainment, produttore de La gatta Cenerentola), Giuseppe Paolisso (rettore dell’ Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli) e con gli scrittori Maurizio de Giovanni e Diego De Silva. Airbnb e Hearst rafforzano la partnership. Vivere in prima persona l’ esperienza di una redazione digitale, affiancando per un giorno un digital fashion editor a Milano, città icona per la moda nel mondo. MarieClaire Fashion Journalist è la prima esperienza ospitata da MarieClaire.it, testata femminile di Hearst (del gruppo Hearst Digital). L’ annuncio è stato dato in occasione dell’ inaugurazione di CasaMC powered by Airbnb, il tradizionale evento legato alla fashion week giunto ormai alla quinta edizione. Si allarga così il perimetro di collaborazione fra Airbnb e Hearst, che già comprende la pubblicazione del nuovo magazine airbnbmag e la tradizionale esperienza di casaMC durante le settimane della moda. Domus è Green a settembre. Il numero di settembre di Domus si tinge di verde, come ogni anno, grazie all’ allegato Green, fascicolo di 64 pagine in omaggio e interamente dedicato alla sostenibilità. In particolare il periodico indaga le conseguenze del rapporto a tre uomo-natura-tecnica e racconta le città di Singapore, Portland e Stoccolma, giudicandole simboli di una consapevole gestione del territorio. Nel numero infine c’ è anche l’ uso dei big data nell’ architettura, utilizzato per esempio per pianificare nuovi complessi che tengano conto delle abitudini in evoluzione dei suoi cittadini.
Corsera, Rcs consolida i dorsi
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Rcs conclude sotto la gestione di Urbano Cairo il consolidamento delle società che pubblicano le edizioni locali del Corriere della Sera. Si tratta di un iter iniziato anni fa e giunto a compimento con l’ annuncio di ieri riguardo all’ acquisizione delle quote di minoranza dei soci di Editoriale Fiorentina, che pubblica dal 2008 il Corriere Fiorentino in abbinamento col quotidiano diretto da Luciano Fontana, hanno precisato con una nota da via Rizzoli a Milano. L’ operazione nell’ editrice toscana (dove Rcs aveva in mano poco più del 50%) segue quelle, tra le altre, in Trentino Alto Adige, a Bologna, nel Mezzogiorno e alla fine dello scorso maggio anche in Veneto dove gli azionisti locali erano meno propensi a vendere, secondo quanto risulta a ItaliaOggi. Di Editoriale Veneto hanno fatto parte tra gli altri industriali come i Riello e gli Zonin, di Editoriale Fiorentina le famiglie Pecci, Antinori tramite la Tosco-Fin e Giunti Editore. Oggi nasce formalmente un vero e proprio network sotto il cappello Corriere della Sera giusto in tempo per l’ avvio della nuova edizione locale a Torino che Cairo ha affidato alla direzione di Umberto La Rocca, ex direttore del quotidiano ligure Secolo XIX. In redazione, infatti, sono attesi una dozzina circa di giornalisti, di cui la metà provenienti da altre edizioni locali del Corsera. Senza poi pensare a ipotesi di ulteriori nuovi dorsi da lanciare prossimamente, per esempio in Liguria o in Friuli (vecchio progetto di casa Rcs). Quindi il nuovo network segna già un suo primo tratto distintivo non scontato rispetto al passato: quello di una maggiore mobilità interna dei cronisti. In aggiunta, rispetto a modelli precedenti, l’ obiettivo è oggi quello di unificare snellendo, senza dover creare per esempio una sorta di hub, ulteriore struttura interna al gruppo per coordinare i dorsi sul territorio. Snellimento vuol dire, poi, non solo mobilità delle firme ma anche e soprattutto accentramento definitivo (come già in parte avviene) di tutte le funzioni di spesa, amministrazione, stampa e distribuzione. Ossia, in pieno stile Cairo, tutte le decisioni saranno prese a Milano senza doversi confrontare, discutere con altri. Sinergie editoriali e controllo dei costi a parte, con la conclusione di questa operazione, Rcs-Corriere della Sera si allinea infine alle attuali tendenze del mercato editoriale italiano dove, dopo le concentrazioni tra alcuni gruppi, l’ attenzione si sposta sul presidio del territorio, a tu per tu con gli inserzionisti pubblicitari locali. A farlo, tra gli altri, ci sono già Quotidiano Nazionale-Qn (dorso nazionale di Giorno, Nazione e Resto del Carlino, edito da Poligrafici Editoriale) e il nuovo polo Gedi che può contare (oltre a Repubblica) sia su Stampa e Secolo XIX sia su i giornali locali Finegil dell’ ex gruppo L’ Espresso (vedere ItaliaOggi del 18/7/2017). Non a caso, sempre ieri, Cairo ha dichiarato che «per il futuro, continueremo a investire sul Corriere Fiorentino e su altre testate locali con l’ obiettivo di rafforzarle e unire all’ autorevolezza del Corriere della Sera la capillare informazione nei diversi territori».
Bloccata riforma Franceschini
Italia Oggi
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Congelata per il momento la riforma dell’ articolo 44 del Tusmar (Testo unico servizi media audiovisivi radiofonici), promossa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini. L’ esame del nuovo testo slitta ai prossimi consigli dei ministri, dopo che tutti i principali editori tv (Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Disney e De Agostini) hanno firmato un’ unica lettera contro l’ innalzamento degli investimenti in produzioni europee, italiane e indipendenti. Non solo, i broadcaster contestano i nuovi obblighi di programmazione. Il ministro Franceschini ha quindi annunciato l’ avvio di un confronto ma ha dichiarato che «non è possibile lamentarsi che il cinema italiano non sia vincente e contemporaneamente non venga aiutato dal sistema televisivo».
orsi & tori
Italia Oggi
PAOLO PANERAI
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C’ è una terza via al capitalismo italiano. La prima è quella degli imprenditori che decidono di mettere ogni risorsa nelle proprie aziende per attuarne lo sviluppo massimo. La seconda è quella degli imprenditori che gettano la spugna per varie ragioni, come nel caso dei Pesenti per il cemento e in parte, sempre per il cemento, dei Caltagirone, che hanno venduto i loro stabilimenti italiani a un’ impresa di nome italiano, appunto Italcementi, ma in realtà controllata oggi da un grande gruppo tedesco in seguito alla decisione dei Pesenti. La lista di chi per un motivo generazionale, per malattia (gli unici, sicuramente giustificati), per crisi o altro ha deciso o sta decidendo di vendere è lunghissima. E comunque la motivazione più frequente è che in Italia mancano i capitali. La terza via è stata aperta in questi giorni da Marco Tronchetti Provera con il ritorno in borsa di Pirelli, un nuovo statuto e una nuova governance: anche se il controllo passa ai cinesi di ChemChina (avranno circa il 45%), l’ integrità del gruppo, dalla sede alla detenzione del know-how e a ogni valore sensibile, rimarrà in Italia. Lo statuto prevede infatti che per trasferire occorre il 90% dei voti favorevoli. Basta quindi un 10% che sicuramente rimarrà in mano italiana per impedire di svuotare il gruppo Pirelli. Il fatto che ChemChina abbia accettato uno statuto come questo equivale al fatto che abbia riconosciuto l’ importanza di mantenere italiana la società pur avendo investito parecchi miliardi. In definitiva, quindi, la terza via al capitalismo è tenere alto il valore di imprese profondamente italiane, strategiche per l’ Italia, cercando certo capitali internazionali per sviluppare l’ azienda, ma a condizione che tutto rimanga italiano. Non è certo un’ operazione semplice, ci vogliono imprenditori-manager del valore ma anche della volontà di Tronchetti Provera, consapevole dei 145 anni di storia italiana dell’ azienda e della necessità di non sferrare un altro duro colpo al sistema industriale ed economico italiano. Quindi, Signori imprenditori, oggi Tronchetti, se non ce la fate da soli ad avere i capitali necessari per lo sviluppo, vi ha aperto una terza via. Non la dimenticate. Ma non si può dimenticare neppure il paradosso italiano. Quando si parla di mancanza di capitali italiani e si tenta di giustificare il basso sviluppo provocato dai bassi investimenti, si commettono più errori. Il primo è che i capitali, in termini di risparmio complessivo degli italiani, non mancano affatto. Come è stranoto, l’ Italia è seconda nel mondo per indice di risparmio subito dopo il Giappone, dove i capitali, proprio per l’ alto risparmio, non mancano. Come mai allora in Italia mancano? La risposta più lineare è: perché manca un mercato dei capitali, che manca non solo, anche se principalmente, per una borsa asfittica, dove da decenni le società quotate sono sempre poco più di 300. I numeri sono crudi e duri: la ricchezza finanziaria di imprese e famiglie italiane è pari a oltre due volte il debito pubblico che ha raggiunto i 2.281 miliardi. Di questa ricchezza, oltre 2 mila miliardi sono investiti in fondi, Sicav e gestioni censite da Assogestioni; i fondi e le Sicav estere assorbono circa 750 miliardi; altri 250 miliardi sono impiegati in fondi italiani; i restanti mille miliardi sono in gestioni o in conti amministrati. Se si tiene anche conto che la totale capitalizzazione della borsa italiana arriva a malapena a 645 miliardi, è facile concludere che non più del 30% del risparmio italiano dato (in senso generale) in gestione è investito in Italia, considerato anche che i maggiori investitori nei titoli di Piazza Affari sono fondi stranieri, a cominciare dal Fondo strategico norvegese, che non è certo nei portafogli degli italiani. Si riconferma quindi il paradosso per cui gli italiani risparmiano, ma i loro risparmi vanno a sostenere le economie di altri Paesi o il debito dello Stato, che come è noto non è assolutamente produttivo per lo sviluppo del Paese. Le cause? Appunto, la mancanza di un vero mercato dei capitali. Che non vuol dire solo borsa, che appunto è asfittica come nessun’ altra al mondo; ma anche mancanza di canali per far affluire il risparmio alle aziende, che in Italia sono soprattutto piccole e medie. Il tentativo di creare un mercato per le Pmi come è l’ Aim di Londra, dove sono passate oltre 3 mila aziende e oltre mille sono tuttora quotate, è ancora agli inizi e solo un’ opera incompiuta come i Pir (Piani individuali di risparmio) gli ha dato un flebile impulso. Nel resto del mondo, che pure ha strutture economiche basate su aziende medio-grandi e poche aziende piccole, ci sono poi, come negli Usa, piattaforme per far incontrare risparmio e aziende con la necessità di capitali per crescere. Il sub paradosso è che la borsa italiana, il cui obiettivo per definizione è di essere un mercato con titoli quotati, ha avviato una piattaforma per far incontrare risparmio e domanda di capitali, ma senza prevedere la immediata quotazione, quindi senza alimentare un mercato aperto. Non vi è dubbio che alla base di questa situazione c’ è storicamente la politica di Mediobanca di Enrico Cuccia (per anni l’ unica banca d’ affari italiana) indirizzata alla difesa di poche famiglie capitaliste, con artifici come quelli che per decenni hanno consentito le partecipazioni incrociate fra Pirelli e la Smi degli Orlando: Leopoldo Pirelli aveva circa il 7% della sua società ma il 20% di Smi e quest’ ultima, in cui gli Orlando avevano solo il 10%, possedeva il 20% della Pirelli. In questo modo per troppo tempo la borsa italiana è apparsa agli occhi di investitori e imprenditori più una bisca comandata dal biscazziere che un mercato aperto. Per anni non c’ è stata un’ Agenzia di controllo del mercato e quando è stata creata la Consob per molti anni è stata gestita da superburocrati come l’ ex ragioniere generale dello Stato, Vincenzo Milazzo, andreottiano di ferro, e addirittura da un gestore di sale teatrali come Bruno Pazzi, persona sicuramente intelligente, ma anche lui lì per la fede andreottiana. Insomma, un ritardo di decenni sulle regole e i controlli del mercato, dove pochi comandavano e guadagnavano e molti non contavano niente e perdevano. Un ritardo che non è stato affatto recuperato anche quando le regole del mercato si sono messe al passo con la migliore best practices. Negli anni di quella borsa-bisca, quando c’ erano le corbeille, bastava che il commissionario Aldo Ravelli si avvicinasse a quella dove veniva chiamato e negoziato un titolo e quel titolo scendeva, perché Ravelli era il re dei ribassisti; oppure bastava che si avvicinasse il commissionario Armando Signorio, che era il re dei rialzisti, e il titolo saliva. Ravello e Signorio erano due personaggi straordinari che hanno fatto grandi fortune e che capirono benissimo che quell’ andazzo non avrebbe potuto continuare, tanto che si sono ritirati tempestivamente. Purtroppo l’ immagine della borsa è stata così profondamente coincidente con una bisca per pochi che anche quando le regole sono migliorate, e la Consob è diventata una cosa seria, gli imprenditori e i risparmiatori hanno continuato a tenersene alla larga. In altre parole, in Italia non c’ è tuttora una cultura dell’ investimento azionario in borsa. A ciò ha naturalmente e profondamente contribuito anche il crescente, folle, indebitamento dello Stato che ha offerto tassi di interesse crescenti facendo credere agli italiani che si poteva raddoppiare il proprio capitale in pochi anni senza rischi. Una specie di cane che si morde la coda: più debiti dello Stato, più guadagni per i detentori, senza rischio vero, di Bot, Cct, Btp. Non vi è dubbio che la grande ricchezza degli italiani è stata generata dalla crescita del debito pubblico e che quindi ora lo Stato dovrebbe creare le condizioni per offrire ai risparmiatori (intendendo anche i miliardari) la possibilità di investire quei capitali in attività produttive, adeguatamente tassate. Adeguatamente vuol dire non in alto, ma in basso, considerati i livelli ai quali la pressione fiscale italiana è arrivata. In primo luogo lo Stato (lo sanno bene i lettori di queste colonne) dovrebbe smobilizzare larga parte del patrimonio immobiliare passato agli enti locali, con il triplice risultato di tagliare il debito, risparmiare sugli interessi, avere risorse dirette da investire nello sviluppo. In fin dei conti gli italiani amano più di ogni altro investimento gli immobili e quindi sarebbero ben lieti, se fiscalmente agevolati, di restituire in investimenti immobiliari quello che lo Stato gli ha versato in interessi su Btp e Cct. Ma ciò non basta. Sono necessari uomini coraggiosi che, conoscendo profondamente l’ animo dei risparmiatori e la struttura del sistema imprenditoriale italiano, vogliano sottrarre le Pmi alla schiavitù di dipendere sempre e comunque dal credito bancario, peraltro sempre più difficile da ottenere e che era arrivato al 90% del fabbisogno. Ci vogliono uomini coraggiosi che hanno la fiducia dei risparmiatori e dei piccoli e medi imprenditori perché non gli hanno mai traditi. Per fortuna, un uomo così c’ è, e poche settimane fa ha lanciato un messaggio che dovrebbe entusiasmare tutti. Ennio Doris, il ragioniere che viene dal Veneto del commercio del bestiame, che era diventato capo di Dival, la società dei promotori Ras, e che propose a Silvio Berlusconi di creare insieme quella che è Banca Mediolanum, ha detto a MF-Milano Finanza che vuole portare in borsa, all’ Aim e poi al mercato superiore, mille aziende, piccole e medie. Finora Mediolanum ha solo raccolto risparmio e non fatto prestiti, con una banca sempre all’ avanguardia della tecnologia. Ora ha deciso che l’ Italia non può più attendere per cercare lo sviluppo e, con lo slancio e l’ intelligenza che lo contraddistinguono ha deciso di aprire anche una divisione Banca d’ Affari per assistere e spronare appunto mille aziende piccole e medie ad attingere a parte del grande risparmio italiano. Questo è finalmente un programma serio per far compiere all’ Italia un salto in avanti, che ridimensioni il paradosso di essere il numero due nel risparmi ma anche il numero uno nel far andare larghissima parte di questo risparmio all’ estero. Questo non è né nazionalismo né negazione della globalizzazione. È consapevolezza che, per avere sviluppo, occorrono investimenti costanti e massicci, specialmente in un momento della Storia come questo in cui la tecnologia viaggia più veloce della luce. Per questo ItaliaOggi e tutti i media di Class Editori saranno sempre di sostegno a un progetto come quello di Doris, l’ uomo che dal nulla, con Capital sottobraccio, propose sulla piazza di Portofino a un Berlusconi allora solo imprenditore di lanciare un progetto, Programma Italia, a cui allora nessuno credeva e che ora, nella materializzazione di Banca Mediolanum, potrà segnare profondamente il futuro del sistema economico, produttivo italiano. P.S. Allegato a Milano Finanza da oggi in edicola, con un sovrapprezzo modico, i lettori trovano un libretto, molto agile, perfino modesto nella veste, che affronta un tema fondamentale per il futuro con la domanda in copertina Che mondo sarà con il potere in mano ai Creso del digitale? Finora il mondo è stato governato dai politici, in democrazia, nei regni, negli imperi e perfino nelle dittature, che ovviamente sono la versione più riprovevole della politica. Oggi, se l’ Europa non si sveglia, se la Cina non mette in campo i suoi campioni del digitale per competere con gli Over The Top, si rischia la dittatura della tecnologia, dei Creso pieni di migliaia di miliardi che con la tecnologia stanno condizionando il mondo.
Il super panel non stravolge la tv
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dando una occhiata ai dati di ascolto dei principali network televisivi in Italia nelle prime tre settimane di settembre, si può dire che il super panel di Auditel introdotto al 30 luglio con un campione di 16 mila famiglie e 41 mila individui (il triplo rispetto al passato) non ha per ora stravolto le gerarchie del passato. C’ era molta curiosità sul mercato per capire se la nuova metodologia Auditel avrebbe rivoluzionato sin da subito i consolidati equilibri. Ma analizzando i dati, e confrontandoli con quelli delle prime tre settimane del settembre 2016 (raccolti con la vecchia metodologia), sul target individui (ovvero dai 4 anni in su) Rai continua a dominare, con Rai Uno di gran lunga primo canale assoluto. Nell’ intero panorama televisivo italiano, i nove canali generalisti ai primi tasti del telecomando raccolgono, dal 1° al 21 settembre, il 56,63% di share sul totale giorno, rispetto al 57,27% di share nello stesso periodo del settembre 2016. Gli altri canali del digitale terrestre pesano invece per il 26,58% di share (erano al 25,64%), mentre i canali pay di Sky e Fox valgono il 5,65% (5,73% nel 2016). Non ci sono, quindi, enormi spostamenti. Scendendo nel dettaglio dei singoli canali, Rai Uno chiude le prime tre settimane di settembre con una media del 16,28% di share sul totale giorno (cresce di 0,9 punti) e una audience media a quota 1,57 milioni di persone (+9% sullo stesso periodo 2016). Rai Due cala al 6% di share e Rai Tre si consolida al 5,5%. Quanto ai generalisti di Mediaset, Canale 5 scende al 13,71% (perde un punto di share), Italia Uno al 4,84% (perde 0,4 punti) e Rete 4 al 3,9%. In calo pure La7, al 2,82% (era al 3,19% nelle prime tre settimane del settembre 2016), anche se va detto che quest’ anno, con l’ arrivo di molti nuovi programmi, il palinsesto della tv controllata da Urbano Cairo entrerà a regime tra ottobre e novembre. Molto bene Tv8 di Sky, sopra il 2% nelle 24 ore (era all’ 1,68%) e spesso attorno al 3% in prima serata. Nove di Discovery, in settembre, si posiziona all’ 1,48% di share (era all’ 1,07 nel 2016), ma non è la nona forza del panorama televisivo italiano, essendo superato, nelle 24 ore, sia da Rai YoYo (1,62%, in crescita rispetto all’ 1,47% di un anno fa) sia da Real Time (altro canale Discovery) con il suo 1,56%. Piuttosto vicina pure Rai 4, con l’ 1,37%. Raddoppiano gli ascolti di Mediaset Extra, che passa dallo 0,58 all’ 1,13% di share: ma qui conta l’ effetto Grande Fratello Vip. E ci sono buoni risultati a Sky Uno e Sky Atlantic, ovvero il pacchetto intrattenimento di Sky, che aumenta l’ audience media del 30% sul settembre 2016.
Time vende le attività Uk da Wallpaper a Tv Times
Italia Oggi
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Il gruppo americano Time mette sul mercato i suoi asset. Tra le varie attività in vendita c’ è l’ editrice britannica che pubblica la testata francese Marie Claire, Wallpaper, New musical express-Nme e Tv Times. A far propendere per la cessione sono stati gli ultimi dati relativi alla raccolta pubblicitaria sia su carta stampata sia su internet, in calo più del previsto. L’ editore Usa, che pubblica Oltreoceano l’ omonimo Time, Sports Illustrated e People, ha annunciato di voler vendere anche altre attività e che le singole procedure di vendita sono giunte a differenti stadi, gli uni dagli altri. Al momento, non sono stati firmati accordi definitivi.
Nasce il terzo editore francese (libri e fumetti)
Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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I Puffi, Les Schtroumpfs in francese, i simpatici intramontabili gnometti blu creati dal disegnatore belga Peyo (siamo nel lontanissimo 1958), cambiano padrone. Anzi ne trovano un secondo che, unito al primo cioè all’ attuale editore, il gruppo Média-Partecipations, farà nascere il terzo gruppo editoriale francese, dopo Hachette (2,2 miliardi di ricavi) e Editis (che però appartiene agli spagnoli di Planeta e fa solo 800 milioni di fatturato), specializzato in romanzi, fumetti, libri d’ arte e di fotografia. Insomma un piccolo colosso da oltre 500 milioni di euro di fatturato che nasce dalla somma dei fatturati delle due aziende che si preparano alle nozze: i 300 milioni di Média-Partecipations (che oltre ai Puffi ha in portafoglio tanti altri carachter, da Batman a Lucky Luke, il cow boy gentile, Spirou, amatissimo dai bambini francesi, e Blake e Mortimer, protagonisti di spy story che risalgono agli anni della Guerra Fredda) e i 200 milioni della casa editrice La Martinière, fondata negli anni Novanta da un ex direttore commerciale di Hachette, Hervé La Martinière, che è stato così bravo da essere riuscito a coinvolgere nell’ azionariato della sua startup – ma allora non si chiamavano così- due mastini del mondo degli affari come i fratelli tedeschi Alain e Gérard Wertheimer, i riservatissimi proprietari dei profumi Chanel, tra i più ricchi al mondo secondo la classifica di Bloomberg. Oggi lo stesso Hervé, che è diventato famoso pubblicando lo straordinario libro fotografico La Terra vista dal cielo (del fotografo-regista e ora guru dell’ ambiente Yahn Arthus Bertrand, 4 milioni di copie in tutto il mondo), mette a segno un altro colpo da maestro: vende la sua quota a Média-Partecipations, che vende 30 milioni di copie l’ anno ed è leader nel segmento fumetti, con tutti i collaterali possibili, a cominciare dai dvd (più di 2 milioni di pezzi). Così, quasi senza saperlo, i padroni di Chanel si trovano sempre più impegnati in editoria, soci di un gruppo editoriale cresciuto in questi anni partendo da un piccolo giornale cattolico, Famille Chretienne, fondata negli anni 50, da Remy Montagne, il padre (scomparso) dell’ attuale proprietario, Vincent. Il quale, in questi anni, s’ è dimostrato per attivismo e intuizioni editoriali (i fumetti, in primis) degno del padre, un avvocato d’ affari di origine belga, eroe di guerra durante la seconda mondiale, rappresentante di quella Resistenza cattolica contro il nazismo che l’ ha portato in politica, deputato (ha battuto Mendés France nel suo collegio nel 1958), sottosegretario e perfino ministro della sanità durante il governo Barre nel 1988. Quindi il ritiro dalla scena e l’ ingresso in editoria, con alcune collane di libri, fino a diventare grande con il gruppo Média-Partecipations. Che ora si fonde con La Martinière e diventa il terzo editore francese, superando il gruppo Madrigall (ex Gallimard), quello che ha tolto le castagne dal fuoco agli italiani di Rcs rilevando, due anni fa, il gruppo Flammarion. In via Solferino avevano tanto bisogno di soldi.