Indice Articoli
Vigilanza Rai: il Pd (isolato) vuol fare melina su Gabanelli
“Milena deve fare la sua battaglia. Per i cittadini”
MFFashion celebra i 150 anni della Galleria di Milano con un magazine speciale
Con il Super Panel Auditel Telelombardia cresce del 42%
Tv, bagarre dietro Rai e Mediaset
Chessidice in viale dell’ Editoria
Gli editori vendono anche rossetti
Mondadori aveva capito per prima il giornale buono. Ma ebbe paura
Ora l’ informazione si accorge che la verità fa male
Colpire la stampa per fermare il dissenso
In India è caccia ai giornalisti La violenza dell’ estremismo indù
De Benedetti e i social media “Chi usa le news paghi i costi”
Vigilanza Rai: il Pd (isolato) vuol fare melina su Gabanelli
Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Convocare di nuovo Mario Orfeo e Monica Maggioni in commissione di Vigilanza. Così da schivare l’ audizione di Milena Gabanelli. Questo è l’ escamotage pensato dal Pd per evitare di ascoltare la giornalista in Parlamento, un’ audizione che potrebbe mettere in imbarazzo il dg della Rai e il Cda di Viale Mazzini. E infatti sarebbero proprio i vertici della tv di Stato ad aver fatto arrivare in Parlamento il suggerimento a soprassedere: meglio evitare di portare in una sede istituzionale un caso che sta imbarazzando non poco mamma Rai ed è diventato il primo vero problema per il nuovo direttore generale. La proposta di ascoltare Gabanelli è stata lanciata mercoledì scorso dalla deputata grillina Dalila Nesci, ma è stata respinta al mittente dai dem Vinicio Peluffo e Michele Anzaldi. Il problema, però, è che su questo tema il Pd è isolato: tutte le altre forze politiche presenti in Vigilanza, infatti, chi più e chi meno, sono favorevoli all’ audizione. Quindi, se si dovesse arrivare a un voto, il partito di Matteo Renzi potrebbe trovarsi in minoranza. Anche se poi, sulle convocazioni in commissione, al voto non si arriva quasi mai e si trova un accordo prima. A lanciare la proposta, dicevamo, è stato l’ M5S . “Dopo tutte le polemiche e la decisione di Gabanelli di autosospendersi dalla Rai, oltretutto con un duro atto d’ accusa verso i vertici, pensiamo sia doveroso affrontare la questione in Vigilanza, ascoltando la parte in causa”, fanno sapere dal movimento grillino. Alla richiesta, però, il Pd oppone un secco rifiuto. “In commissione non si affrontano casi singoli, altrimenti in passato avremmo dovuto ascoltare i vari Giannini, Giletti, Perego Si creerebbe un pericoloso precedente. Inoltre l’ audizione rischierebbe di metterebbe in imbarazzo la stessa Gabanelli perché la esporrebbe a ogni genere di attacco o critica”, osserva Anzaldi. Secondo cui “l’ unico modo che la Vigilanza ha per affrontare il caso alla luce delle ultime novità (l’ auto sospensione della giornalista, ndr) è quello di riconvocare i vertici: il dg Orfeo e la presidente Maggioni”. Il problema è che però, così, si ascolterebbe solo la metà della storia. “In Vigilanza in questi anni si è convocato di tutto e di più. Inoltre Gabanelli non è giornalista o conduttrice semplice, ma è vice direttore di testata (Rainews, ndr). Quindi i motivi di opposizione del Pd non stanno in piedi”, osserva Maurizio Lupi di Ap. Su questa linea ci sono un po’ tutti. “Io non stravedo per la giornalista, ma sono favorevole alla convocazione: è sempre meglio ascoltare le questioni direttamente dagli interessati”, afferma il leghista Jonny Crosio. “Gabanelli è l’ ultima vittima del controllo renziano sulla Rai. Penso che sia dovere della Vigilanza ascoltare perché una professionista seria e capace come lei abbia deciso di mettersi in aspettativa”, sostiene Fabio Rampelli di Fdi. Anche Pino Pisicchio, in rappresentanza del gruppo misto (terzo “partito” per numeri a Montecitorio), è d’ accordo. “Il caso ha suscitato un tale clamore che mi sembra utile sentire tutte le parti in causa”, dice il deputato pugliese. E Forza Italia? Renato Brunetta è un po’ recalcitrante, ma favorevole. “A patto però che, oltre a lei, vengano convocati tutti gli altri giornalisti e conduttori messi da parte, a partire da Nicola Porro”, osserva il capogruppo forzista alla Camera. Che aggiunge: “Io nutro forti dubbi sulla serietà deontologica della signora Gabanelli. Ma non c’ è dubbio che sul caso del progetto web abbia subìto una scorrettezza. La si convochi, ma senza farne una Giovanna d’ Arco”, aggiunge Brunetta. La questione verrà riproposta in Vigilanza mercoledì prossimo. Sara interessante vedere se il Pd continuerà a fare muro oppure se cederà alle pressioni della altre forze politiche. Con buona pace di Viale Mazzini.
“Milena deve fare la sua battaglia. Per i cittadini”
Il Fatto Quotidiano
Gia. Ros.
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Milena Gabanelli si è auto sospesa dalla Rai perché il suo progetto di nuovo sito web è stato depotenziato. Prima di lei altri personaggi hanno dovuto combattere contro l’ ostracismo di Viale Mazzini. Una di loro è Sabina Guzzanti che, nel 2003, si è vista chiudere un programma, Raiot, perché ritenuto scomodo. Sabina Guzzanti, vede differenze tra le censure di allora e i comportamenti di oggi? Quando nel 2001 sono cominciate le censure in Rai, l’ opinione pubblica reagiva con forza. Il Paese pullulava di iniziative in difesa della libertà d’ espressione. Allo stesso tempo tra gli addetti ai lavori, sui giornali e in televisione, l’ atteggiamento era quello di minimizzare. Finché, com’ era prevedibile, dopo aver fatto sparire gli elementi vistosamente scomodi, hanno fatto fuori anche quelli mediamente scomodi, poi quelli che magari avrebbero potuto diventare scomodi. Cosa pensa del caso Gabanelli? Gabanelli è una giornalista che stimo e a cui sono grata per l’ ottimo lavoro. Se posso avanzare una critica, mi sembra che anche lei si possa annoverare tra quelli convinti di aver potuto lavorare in tv grazie a doti di equilibrio. Report ha sempre trattato con competenza e coraggio temi legati alle inefficienze, limitando al minimo argomenti più direttamente politici. Io credo invece nella necessità di una critica più radicale, anche su mafia e politica. Ora la Rai giustifica la marginalizzazione della Gabanelli sul piano del risparmio, per la questione della nuova testata informativa online. Il problema non sono i conti, ma il ruolo della cultura e dell’ informazione in tv. Esiste un modo per allontanare la politica dalla Rai? Nel 2005 giravo in piazza San Giovanni per raccogliere le firme per una legge popolare per liberare la Rai dal controllo politico dopo la brutale chiusura del mio programma. Pensavo che al concertone del Primo maggio avrebbero firmato tutti e invece no, avevano paura. Molti giornalisti famosi rispondevano: ‘Ho già dato’. Veltroni si dimostrò sensibilissimo e poi scomparve. Questa stessa frustrazione devono averla sentita tanti, prima e dopo di me, e continuerà così finché non accadrà qualcosa che provochi una rivoluzione culturale in questo Paese. Vede delle differenze tra la Rai berlusconiana e la Rai renziana? La Rai renziana è più triste di quella berlusconiana, così come quella berlusconiana era più triste di quella democristiana. Dobbiamo rimpiangere Berlusconi? È come dire “si stava meglio quando c’ era Bin Laden” perché l’ Isis è più spaventoso di al Qaeda. Vuole dare un consiglio a Milena? Le direi di dare battaglia, ma che sia una battaglia politica, che difenda non solo i diritti dei giornalisti, ma il diritto dei cittadini a partecipare, a ricevere stimoli, a essere trattati da esseri umani non da polli in batteria. Che stagione sta vivendo la tv pubblica? Come giudica la sua offerta televisiva? Mi piacciono Iacona, Blob, Report. Ma l’ offerta per l’ intrattenimento è tarata su persone obbligate a stare a casa, come gli anziani. Contano su un pubblico prigioniero. Per cambiare ci vuole un’ idea condivisa su cosa vorremmo fosse la società e la cultura. I discorsi sugli sprechi, sui bilanci, ma arrivo a dire anche sulla legalità, non sono utili a trovare una via d’ uscita.
MFFashion celebra i 150 anni della Galleria di Milano con un magazine speciale
Italia Oggi
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Un magazine speciale per un’ occasione ancora più speciale. MFFashion, il primo e unico quotidiano dedicato alla moda e al lusso, dedica un’ edizione speciale ai 150 anni della Galleria di Milano, alla sua storia e alle tante espressioni di cultura, tra arte e moda, che qui hanno avuto modo di nascere, svilupparsi e trovare la loro piena realizzazione. MFFashion speciale 150° Galleria è un’ edizione da collezione realizzata in italiano, inglese e cinese, arricchita dai contributi esclusivi in prima persona del sindaco di Milano Giuseppe Sala; di Cristina Tajani, assessore a politiche del lavoro e attività produttive; di Miuccia Prada, il cui nonno aprì proprio in Galleria nel 1913 la sua boutique; di Carlo Cracco, lo chef che ha curato il menù della cena del 13 settembre e che entro la fine dell’ anno aprirà in Galleria il suo nuovo atteso ristorante; di Italo Rota, l’ architetto che ha firmato l’ allestimento del Museo del Novecento. MFFashion speciale 150° Galleria è l’ omaggio di Class Editori alla storia della Galleria, alla sua unicità ammirata nel mondo e ai 900 ospiti della stupenda cena di gala del 13 settembre. Si avvale inoltre di una distribuzione su misura: fino a domenica 17 consegnato gratuitamente a tutti coloro che passeggeranno in Galleria e il 19 settembre in allegato al quotidiano MF in tutte le edicole di Roma. Sarà inoltre disponibile presso hotel e book shop e in occasione delle più importanti sfilate della imminente Fashion Week milanese. Class Editori ha saputo cogliere l’ occasione di celebrare un luogo storico per la città di Milano, realizzando una pubblicazione in grado di trasformare l’ avvenimento in una prestigiosa vetrina per le aziende e un’ opportunità unica di comunicazione. Circa 40 brand hanno aderito a MFFashion speciale 150° Galleria, con oltre 45 pagine pubblicitarie rappresentative di tutti i maggiori settori: dalla moda al design, dalla cura persona ai gioielli, passando per la finanza e i top brand dell’ orologeria. Un’ iniziativa speciale che ha ricevuto un grande apprezzamento anche grazie alla distribuzione su misura e al formato spettacolare del magazine, che si distingue sia per le grandi dimensioni che per la preziosa carta patinata.
Con il Super Panel Auditel Telelombardia cresce del 42%
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Dal 30 luglio i dati Auditel vengono rilevati su un campione triplicato rispetto al passato, e composto da 16 mila famiglie, che corrispondono a 41 mila individui. Un panel del genere consente di intercettare meglio i fenomeni più piccoli: ha per esempio ridotto di molto i canali di Sky con ascolti pari a zero (era un errore statistico), e ha rivalutato le audience delle tv locali. Da quando è partito il Super Panel Auditel, infatti, gli ascolti di Telelombardia sono cresciuti del 42% rispetto allo stesso periodo del 2016, quelli di Antennatre del 21%. E, restando al gruppo televisivo Mediapason, il canale nazionale Top calcio 24 negli ultimi 12 mesi è la seconda tv sportiva in Italia, dietro Rai Sport, con un incremento di audience del 31%. Le tv del gruppo Mediapason, in prima serata, raccolgono ascolti complessivi pari allo 0,75% di share nazionale.
Tv, bagarre dietro Rai e Mediaset
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Rai, coi suoi problemi, e Mediaset, che mostra qualche ruga, rimangono comunque gruppi televisivi irraggiungibili per audience e quota di mercato pubblicitario. Dietro di loro, però, la bagarre non è mai stata così affollata. Perché a contendersi il restante 20-25% di fetta di investimenti pubblicitari che vanno in tv (ovvero, una quota di circa 900 milioni di euro secondo le stime Nielsen che comunque sovrastimano i reali fatturati) adesso ci sono tanti soggetti con forze più o meno equivalenti. E questa è una vera novità, che apre scenari inesplorati: c’ è ovviamente Sky, che pur non avendo come principale mission quella della raccolta pubblicitaria (è una pay tv), si è comunque buttata a capofitto pure nella tv in chiaro. La quota di mercato advertising televisivo del broadcaster guidato da Andrea Zappia è pari al 12,3%, di cui circa un quarto arriva già da Tv8 e Cielo (oltre 100 milioni di euro). Al tavolo dei grandi si siede ormai da un paio di anni anche Discovery (Nove, Real Time, Dmax ecc.) con una fetta di mercato pubblicitario televisivo del 6,3%, davanti a La7, che vede insidiato il suo 4,1% dal pressing del gruppo Viacom Italia (Paramount channel, Vh1 e, in arrivo, Spike), il quale sta tornando prepotentemente a investire nella tv in chiaro (alleanze pure con Sony, De Agostini e Scripps) e che, attraverso la sua concessionaria Vimn advertising, vale già oltre 5% di share di ascolti tv sulle 24 ore. Giudicando le audience sul target individui, La7 appare molto solida, ed è ripartita in settembre restando stabilmente al 4% di share in prima serata, con una costanza di risultati che gli altri canali si sognano. Peraltro, alla fine delle presentazioni di tutti i palinsesti dei big della tv, va pure rilevato che La7 è anche quella che propone le principali novità (ne aveva effettivamente bisogno) rispetto alla passata stagione, con l’ ingaggio del nuovo direttore, Andrea Salerno, e poi di Massimo Giletti, Corrado Guzzanti, Diego Bianchi e la banda di Gazebo, Gene Gnocchi, Makkox, Andrea Purgatori e, addirittura, Nanni Moretti. Il problema è però che il mercato pubblicitario e i centri media non cercano tanto il target individui (ovvero, dai 4 anni in su) ma il segmento di pubblico 25-54 anni, che non è esattamente quello nel quale La7 brilla. Lo dimostrano pure gli ascolti del nuovo preserale a cura di Makkox, disegnatore bravissimo che usa un linguaggio giovane, molto social, e che, come al solito, il pubblico di La7 sta già respingendo: 1% di share lunedì e martedì scorso, per poi scendere allo 0,8 e 0,7% mercoledì e giovedì. È quel segmento dei cosiddetti «giovani adulti» che bisogna riuscire a ingaggiare. E con Moretti e co., su quel fronte specifico, non si va molto lontani. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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De Benedetti: motori di ricerca partecipino ai costi dell’ editoria. «Non è giusto che Google e Facebook prelevino il nostro lavoro gratuitamente e se ne approprino per avere guadagni pubblicitari», lo ha detto Carlo De Benedetti, editore del gruppo Gedi, ad Assisi in un incontro sul futuro del giornalismo. Per De Benedetti «occorre che i soggetti che partecipano al mondo dell’ informazione a cui diamo enorme contributo come giornali, partecipino all’ aumento dei costi che l’ aumento della qualità dei giornali comporterà». Visibilia +50% in Borsa in due giorni, nuovi versamenti dalla holding. La società è stata alla ribalta della Borsa grazie ai versamenti da parte della holding in attesa dell’ aumento di capitale: 30 mila euro e in precedenza 400 mila. Progresso del 22,16% ieri, a 0,2321 euro, e del +26% giovedì. Andrea Scarpa alla cultura del Messaggero. Dal 10 ottobre il giornalista e autore tv Andrea Scarpa sarà a capo della sezione Metro Cultura e Spettacoli in sostituzione di Malcom Pagani approdato a Vanity Fair.
Gli editori vendono anche rossetti
Italia Oggi
MARCO LIVI
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La vendita di prodotti o servizi accanto all’ attività editoriale. Alcune gruppi lo stanno già facendo: Axel Springer in Europa ha una fiorente attività di annunci online a pagamento che ormai garantisce una parte considerevole degli introiti. Ma è soprattutto negli Usa che gli esperimenti continuano. Capofila è un sito fuori dagli schemi come BuzzFeed, che a breve dovrebbe annunciare il lancio di un prodotto in una grande catena retail. Anche il New York Times, seppure in una modalità diversa rispetto a BuzzFeed, ha i suoi ricavi dall’ e-commerce, non vendendo direttamente ma attraverso il meccanismo dell’ affiliazione. Il nuovo prodotto di BuzzFeed non è stato ancora rivelato. Quello che si sa è che Ben Kaufman, capo di BuzzFeed Product Labs, ha lavorato con il suo team creativo e con i responsabili del retailer partner che potrebbe essere Target oppure Walmart. Lo studio del prodotto è durato una settimana: Kaufman ha voluto sapere quali sono le referenze che funzionano di più nel supermercato e quali invece quelle sulle quali non si vede un’ innovazione da tempo. Da quel punto i due team sono partiti per ideare il nuovo prodotto che sarà negli scaffali entro la fine dell’ anno con la marca privata del retailer e probabilmente anche con un logo di BuzzFeed che per il resto penserà a promuoverlo online. Ma qual è esattamente il ruolo di Kaufman e dei suoi? La divisione di e-commerce non produce direttamente, ma utilizza una ventina di fornitori e ha esternalizzato magazzino e consegne. Tutto molto snello, insomma, tranne il customer care che viene ancora gestito all’ interno. La particolarità però è come vengono ideati i prodotti. Il BuzzFeed Product Labs usa infatti i dati provenienti dai social network, soprattutto Facebook, per capire cosa potrebbe avere successo nelle vendite e poi fa produrre da terzi le idee raccolte. Generalmente mette i prodotti in vendita sui suoi siti di e-commerce, finora sette, ma ha iniziato anche utilizzare altri retailer. Per esempio il sito Sephora, dove viene venduto un rossetto per giovanissime inserito in un fidget spinner, la trottola che si fa ruotare fra le dita. Diverso il discorso per il New York Times che non vende direttamente prodotti ma che guadagna attraverso le affiliazioni, ovvero ottiene una percentuale su quanto gli utenti acquistano passando per i link che pubblica nei propri siti di recensioni e consigli, The Wirecutter e The Sweethome. Secondo la casa editrice si tratta di un differente modo di servire il lettore, perché per mantenere la credibilità le recensioni devono essere affidabili altrimenti non si genererebbe fiducia e non si moltiplicherebbero gli acquisti. Il meccanismo non è nuovo. Sono molti i siti di test che guadagnano attraverso le affiliazioni (per esempio con Amazon, ma non solo), ed è normale che col tempo gli utenti riconoscano quelli in grado di fare prove dei prodotti che realmente possano essere chiamate tali. © Riproduzione riservata.
Mondadori aveva capito per prima il giornale buono. Ma ebbe paura
Italia Oggi
GIUSEPPE CORSENTINO
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A volte ritornano. Non solo i mostri e cattivissimi del primo libro (1978) di Stephen King o i criminali del film di Tom McLoughin del 1991. A volte ritornano anche le buone idee e magari, ad anni di distanza, funzionano. Non lo sa (quasi) nessuno nel piccolo mondo dell’ editoria italiana, ma il nuovo settimanale del Corriere della Sera (esce martedì prossimo, 19 settembre, diretto da Elisabetta Soglio), dedicato alla «buona economia», all’ economia sociale, al terzo settore, alle aziende che destinano parte degli utili a progetti e iniziative solidali, insomma il giornale del cosiddetto Philanthrocapitalism (dal titolo del fortunatissimo libro di Matt Bishop, giornalista, corrispondente dell’ Economist dagli Usa, uscito nel lontano 2009), e per questo chiamato, appunto, Buone Notizie con il sottotitolo «L’ impresa del bene»; ecco questo giornale, che l’ editore Urbano Cairo, un vero rabdomante capace di intercettare qualsiasi novità si muova nella società, ha voluto a tutti i costi, è un «replay». Un «a volte ritornano». Più esattamente, il ritorno di una buona idea che, nell’ inverno del 2010, era spuntata, coltivata e avviata timidamente alla Mondadori di Segrate, dentro la redazione del settimanale Economy (allora diretto da Sergio Luciano) e, infine, abbandonata per «assoluta mancanza di risorse pubblicitarie» che fu, all’ epoca, la sentenza definitiva di Edoardo Giliberti, il gran capo di Mondadori Pubblicità, scomparso tragicamente qualche anno dopo. A questo punto, contravvenendo alle regole auree del giornalismo insegnate da un maestro come Lamberto Sechi a Panorama («Un giornalista usa il pronome io solo quando sbarca sulla Luna»), per essere trasparente con i lettori di ItaliaOggi, sono costretto a parlare in prima persona. Perché quel giornale, un mensile che si doveva chiamare Good Economy con il sottotitolo «Il primo magazine dell’ economia sociale di mercato»; che doveva essere allegato a Economy per poi provare a stare da solo sul mercato (magari con il sostegno di un panel di aziende «buone», come Vodafone, tanto per fare un nome); che aveva un comitato scientifico guidato da Stefano Zamagni, l’ unico economista italiano che ha studiato e sa che cosa sia il terzo settore (un universo economico in cui operano 235 mila realtà senza scopo di lucro e più di 7 mila aziende che fanno una decina di miliardi di fatturato), lo stesso Zamagni che ha «benedetto» le «Buone Notizie» del Corriere; ecco, quel giornale l’ ho pensato, immaginato e progettato io, allora advertising editor di Economy, fino ad arrivare alla realizzazione di un primo numero zero (qui accanto vedete alcune copertine). Era il 2010, un anno particolare. Bruxelles l’ aveva proclamato «Anno europeo per la lotta alla povertà e all’ esclusione sociale». Per questo lo strillo di copertina era «Basta povertà» e per questo il primo editoriale di Zamagni (sempre lui!) lanciava l’ idea di una «Borsa sociale» in cui quotare le imprese «buone» del terzo settore. Per mesi il progetto Good Economy aveva appassionato, oltre al direttore Luciano, anche il direttore generale periodici Gianni Vallardi (ora socio di Nini Briglia, anche lui ex d.g. della Mondadori, nella DB Information, un’ azienda editoriale che fa stampa tecnica, il Giornale dell’ idraulico e altre testate così). Per un periodo in redazione i colleghi mi hanno chiamato, scherzando, «Good Pippo». Poi lo stop. E sapete perché? Perché Mondadori Pubblicità, a un certo punto, fece sapere che su una testata del genere, completamente diversa dal portafoglio della casa editrice, non era in grado di garantire la raccolta minima necessaria. Un atto di resa, onesto, che fece saltare tutto. Forse, se alla Mondadori ci fosse stato un tipo come Cairo sarebbe andato diversamente e Good Economy sarebbe arrivato in edicola. Chissà.
Ora l’ informazione si accorge che la verità fa male
Libero
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VITTORIO FELTRI Credo di potermi definire amico di Francesco Merlo, editorialista della Repubblica, col quale per alcuni anni lavorai al Corriere della Sera. Il quale ieri ha scritto un articolo sofferto per deplorare il giornalismo-verità aduso a raccontare i fatti di cronaca con la crudezza con cui sono stati compiuti, non trascurando dettagli scabrosi. Egli condanna i colleghi accusandoli di compiacersi nel descrivere gli scempi commessi da stupratori e assassini. A Merlo, scrittore raffinato, non mancano gli argomenti per trafiggere la categoria cui, come lui, appartengo. Però mi stupisco della sua tardiva consapevolezza del problema che tratta con ardore e disgusto. Narrare le schifezze che contraddistinguono i comportamenti orrendi dell’ umanità offende spesso i buoni sentimenti dei lettori, ma bisogna decidere se essi hanno il diritto di sapere oppure se noi pennaioli abbiamo il potere di occultare, addolcire, omettere. Il quotidiano al quale Francesco collabora si è distinto in un recente passato per la tigna con cui ha riferito delle porcherie avvenute nelle istituzioni del Paese e dintorni. Ricordiamo le prodezze della signora D’ Addario, della signora Minetti, delle varie olgettine, che la Repubblica ha ricostruito sulle proprie pagine con scrupolo notarile. Tutte costoro sono state cordialmente sputtanate allo scopo di incrementare le vendite. O per sport? La reputazione italiana andò a farsi benedire con quella di Berlusconi. Fu una bella operazione? Non mi pare. Opportunamente Merlo ricorda i grandi inviati del Corriere della Sera, che si dedicarono a fatti di nera, per esempio quello di Rina Fort che massacrò una famiglia a Milano nell’ immediato dopoguerra. Mi sono riletto in proposito i pezzi del grande Dino Buzzati, che avrebbe meritato il Nobel se non fosse stato contrastato dalla sinistra perché non apparteneva alla consorteria, e ho scoperto che non trascurò di narrare i particolari della strage, insistendo sul bimbo soppresso mentre era seduto sul seggiolone e mangiava la pappa. Questo dimostra che il giornalismo di un tempo, oggi osannato e rimpianto, non era molto diverso, se si esclude la qualità della prosa, rispetto a quello odierno. Caro Merlo, non diciamo cose inesatte. Buzzati nell’ arte di spaccare il capello (specialmente se sporco) era un maestro. I suoi resoconti sui peggiori crimini e sciagure sono passati alla storia e non alla barzelletta. Non voglio dilungarmi, ma hai seguito sulla Repubblica ed altre pubblicazioni chic (si fa per dire) la vicenda dolorosa di Bossetti, all’ ergastolo per l’ uccisione di Yara? Costui ha appreso di avere una mamma leggerotta, e quindi di essere figlio non di suo padre anagrafico, direttamente dai quotidiani. Nessuno tranne me ha protestato. Sempre dai giornali Bossetti ha saputo che sua moglie gli ha messo le corna quando lui era già in carcere. Bello? Cosicché i bambini del galeotto, ancora via stampa, sono stati informati di essere eredi di un omicida e di una fedifraga, nonché nipoti di un cornuto e di una nonna infedele. Potrei vergare la storia di mille altre persone maltrattate (caso Tortora) dal tuo e da altri giornali organi di informazione, tuttavia, non si sono mai sognati di scusarsi. Adesso arrivi tu a deplorare coloro che hanno stilato articoli sugli ultimi stupri e delitti vari. Non ti sembra di essere lento e troppo critico nei confronti di colleghi che fanno il loro dovere nel porgere ai lettori quanto scoperto nello spulciare le carte processuali? E che dire delle intercettazioni abusive, se non rubate, relative a episodi riguardanti gente più o meno importante, divulgate urbi et orbi dal tuo foglio autorevole, ma non immune dagli stessi difetti che rilevi in altre pubblicazioni che non ti piacciono? Non è un peccato spiattellare la verità, lo è ometterla. riproduzione riservata CRISTIANA LODI a pagina 9.
Classifica e trend dei siti di news più seguiti nel mese di luglio per audience complessiva, aggregazioni (TAL) e traffico mobile in-app su Facebook – TABELLA
Prima Comunicazione
CLAUDIO CAZZOLA
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Posizioni invariate rispetto al mese precedente in cima alla classifica dell’ informazione online stilata da Prima sulla base delle rilevazioni di Audiweb Database di luglio. Ai primi cinque posti si confermano Repubblica, TgCom24, Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport e Citynews, esattamente come in giugno. Il Messaggero guadagna due posizioni e sale al sesto posto, superando La Stampa (settima). Anche TuttoMercatoWeb fa un salto doppio e arriva in ottava posizione. Nono si conferma Tiscali. Donna Moderna scende dal settimo al decimo posto, mentre Ansa, Il Sole 24 Ore e Il Fatto Quotidiano mantengono le tre posizioni successive. Più avanti in classifica, balzi notevoli rispetto al mese precedente hanno fatto il Corriere dello Sport, che guadagna ben nove posizioni (dalla 32esima alla 23esima), il quotidiano Libero che ne guadagna sei (dal 27esimo al 21esimo posto) e l’ HuffPost che sale di tre posti alla 24esima posizione. Scendono invece diversi gradini Leggo, Rainews, Blogo e altri. Ancora più accentuate, com’ è ovvio, le differenze rispetto a un anno fa (vedi la quarta colonna della tabella). Ci sono siti che guadagnano decine di punti percentuali nell’ audience complessiva, ad esempio TgCom24 (+32%), Donna Moderna (+23%), Libero (+37%), Il Gazzettino (+26%), e siti che ne perdono altrettanti, se non di più, come l’ Ansa (-32%), Nanopress (-38%), i quotidiani del Gruppo Espresso (-40%, ma nel corso dell’ anno sono state cedute cinque testate), Pianeta Donna (-70%), che ha passato parte della sua audience a Donna Moderna. Sono diversi i fattori che spiegano variazioni così forti da un mese all’ altro e da un anno all’ altro. Importante è ovviamente la capacità dei siti di proporre contenuti ricchi e aggiornati e di attirare l’ interesse dei lettori sia alimentando il dibattito sui social media sia indicizzando bene le pagine sui motori di ricerca. Ma ci sono anche elementi esterni che influiscono sui risultati. Nel caso dei giornali online contano molto i fatti avvenuti nel mese oggetto della rilevazione e nei mesi con cui si fa il confronto. In giugno, ad esempio, ci sono state le elezioni amministrative in un migliaio di comuni italiani; l’ attentato a Londra il 3 giugno e l’ incendio della Grenfell Tower a metà mese; un altro attentato sugli Champes Elisee a Parigi; la finale della Champions League e gli incidenti in piazza San Carlo a Torino durante la proiezione della partita Juventus Real Madrid. In luglio, invece, non ci sono stati eventi così clamorosi e questo spiega il calo abbastanza generalizzato dei siti di informazione rilevato da Audiweb. Analogo discorso si può fare a proposito del confronto con l’ anno precedente. Nel luglio 2016 c’ erano stati l’ attentato di Nizza e il tentativo di colpo di stato in Turchia; la Brexit teneva sempre banco sui giornali e, per quanto riguarda lo sport, il 10 luglio di un anno fa si concludevano gli Europei di calcio. Ci sono però altri due fattori da tenere in considerazione: le TAL (traffic assigment letter), vale a dire i contratti commerciali stipulati da alcuni editori per cui l’ audience di un sito viene attribuita a un altro sito, e il traffico in-app su Facebook, vale a dire la lettura degli articoli direttamente sul social network attraverso device mobili; questo traffico è in forte crescita ma non è rilevato da Audiweb Database (lo sarà dal prossimo anno). Audiweb propone una survey specifica sul tema , effettuata però con una diversa metodologia e quindi non confrontabile con la rilevazione campionaria. L’ ultima colonna della tabella dà conto appunto dei risultati di questa survey, mentre le due colonne precedenti mettono in evidenza il fenomeno delle aggregazioni (TAL). Per diversi giornali online il traffico in-app su Facebook è rilevantissimo e dimostra la capacità di queste testate di generare interesse e condivisioni sul social network. Il record spetta a Fanpage, con i suoi 7 milioni e mezzo di utenti unici in luglio, seguito da Repubblica (6,6 milioni) e dall’ HuffPost (3,6 milioni ); quarto il Messaggero (3,5 milioni), quinto il Fatto Quotidiano (3,5 milioni), sesto il Corriere della Sera (3,4 milioni), settima La Stampa (2,7 milioni), ottavi i quotidiani locali del Gruppo Espresso (2,6 milioni), nono Il Mattino (2,5 milioni), decimo TgCom24 (2 milioni). C’ è da notare a questo proposito che durante i mesi estivi il traffico mobile e i consumi di Facebook aumentano notevolmente a scapito del traffico da pc. Ma l’ elemento che influisce di più nelle variazioni di audience è il cambiamento del perimetro dei brand, cioè degli elementi che lo compongono: canali, aggregazioni, siti, eccetera. Le TAL sono un fenomeno rilevante anche se il loro peso tende a calare (ne parliamo più approfonditamente sul numero di settembre di Prima, in edicola dalla prossima settimana). Dopo Repubblica, che in giugno ha cessato la sua ultima TAL con Tom’ s Hardware, anche il gruppo Triboo (Leonardo, DireDonna, Motori.it, Html.it, eccetera) ha deciso di rinunciare gradualmente a questa formula, finora utilizzata molto intensamente. Per i grandi gruppi editoriali oltre agli accordi con siti terzi sono importanti anche gli spostamenti di traffico all’ interno del gruppo, come dimostra il caso di TgCom24. In luglio l’ audience complessiva del giornale online di Mediaset è cresciuta del 32% rispetto a un anno fa, passando da 871mila a 1 milione 149mila utenti unici nel giorno medio. Il dato del mese comprende però anche i 543mila utenti unici di Sportmediaset, che prima era considerato un brand a sé nelle rilevazioni di Audiweb, e i 24mila della TAL Nonsprecare, il sito per uno stile di vita senza sprechi di Antonio Galdo, che prima era una TAL di PianetaDonna (Mondadori). D’ altro canto nel luglio 2016 il traffico di TgCom24 comprendeva anche quello di Panorama.it, ora considerato un brand autonomo (21mila utenti unici). Infine, un grosso peso nell’ audience complessiva di Tgcom24 ha Meteo.it, passato da 230mila a 270mila utenti unici nell’ ultimo anno (+15%). Claudio Cazzola cazzola@primaonline.it.
Colpire la stampa per fermare il dissenso
La Stampa
NANDINI SUNDAR* SIDDHARTH VARADARAJAN**
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S parando alla nota giornalista e attivista per i diritti umani Gauri Lankesh, i suoi assassini hanno raggiunto due obiettivi: in primo luogo, intimidire il sempre più ristretto gruppo di giornalisti che osa attaccare i ricchi e i potenti, e in secondo luogo spaventare il cerchio altrettanto ristretto di noti dissidenti e critici dell’ integralismo induista. Secondo i dati raccolti dal Cpj (Committee to Protect Journalists) dal 1992, in India sono stati uccisi a causa del loro lavoro 41 giornalisti, che, per la maggior parte, si occupavano di politica o di casi di corruzione. Nel caso di altri 30 giornalisti uccisi in questo periodo, il motivo è ancora ignoto. Essere un giornalista coscienzioso in India talvolta è rischioso, non solo per i reporter, ma anche per i proprietari. Storicamente i media indiani dipendono fortemente dal potere centrale per la stampa e la pubblicità, e a questo si deve aggiungere la paura di azioni punitive da parte di un governo intollerante a qualunque critica e noto per monitorare attentamente i media. Recentemente, l’ intervento del Central Bureau of Investigation contro i finanziatori di uno dei più antichi e indipendenti canali televisivi, la NdTv, dichiaratamente per indagare su degli illeciti finanziari, ha unito i giornalisti nella protesta. Ma la maggioranza dei grandi editori – che tendono a essere avversi al rischio – ha recepito il messaggio: non smuovere le acque se non vuoi avere guai. Questo più ampio contesto di politica economica è quello contro cui si è battuta una piccola pubblicazione indipendente come Gauri Lankesh Patrike – il tabloid pubblicato da Gauri Lankesh, che aveva ripreso la testata del giornale che suo padre, P. Lankesh, aveva diretto per 20 anni prima della morte, nel 2000. Niente pubblicità, solo abbonamenti. Il giornale parlava di corruzione, metteva in luce i problemi dei poveri ed era una voce di razionalità e resistenza in una terra di tensioni etniche, mazzette, e violenze di vario genere. L’ omicidio di Gauri è stato paragonato, tra gli altri, a quello della giornalista russa Anna Politkovskaja e a quello dell’ attivista pakistana per i diritti umani Sabeen Mahmud, donne conosciute per la vitalità del loro lavoro e la qualità della loro sfida. Ma in termini politici, il commando che l’ ha aspettata di notte davanti alla porta di casa – un uomo indossava un casco per evitare di essere identificato dalle telecamere a circuito chiuso – sembra appartenere allo stesso gruppo che in una serie di omicidi mirati negli ultimi tre anni ha ucciso lo studioso M.M. Kalburgi, il razionalista Narendra Dabholkar e il comunista Govind Pansare. Oltre alle analogie per l’ arma utilizzata e le modalità dell’ omicidio, ciò che univa le quattro vittime era il loro attacco frontale alla pretesa dell’ hindutva, l’ estremismo induista, di rappresentare la totalità dei fedeli. La polizia ha arrestato e incriminato due persone appartenenti a un’ organizzazione militante indù di Goa, Sanatan Sanstha. Sia Gauri che Kalburgi aderivano al Lingayat, un movimento anti-caste che si è allontanato dall’ induismo e il cui tentativo di dichiararsi religione separata non è andato a genio alla destra induista, intenzionata a imporre una sola identità legittima. La Rrs, Rashtriya Swayamsevak Sangh (Associazione nazionale dei volontari) – matrice ideologica del BJp, il partito al governo – ha generato un mondo nebuloso e in rapida espansione di organizzazioni scioviniste indù, e molti dei loro sostenitori hanno considerato la morte di Lankesh come una vittoria personale. Descrivendola sui social media come una «rossa», «una cagna», una «maoista» che «meritava la morte», gli attivisti di destra hanno gioito del suo omicidio, prendendosela anche con un ministro del Bjp che protestava debolmente contro la loro inopportuna allegria. In un momento in cui tutti gli altri erano sconvolti, celebrare così una morte è un segreto di Pulcinella. Il sistema è lo stesso per tutti gli squadroni di morte – l’ obiettivo è quello di dare alla morte una terribile firma pubblica, conservando una condanna di facciata. Il linciaggio di uomini sospettati di macellare le mucche o di mangiare carne di manzo, le restrizioni alla libertà accademica, i film censurati, le false accuse di sedizione contro gli studenti si sommano al rallentamento dell’ economia causato da evidenti errori di gestione. L’ assassinio di Gauri Lankesh è un ulteriore indizio del cupo futuro che attende l’ India. *Professore di Sociologia all’ Università di Delhi **Direttore e fondatore di The Wire (www.thewire.in) BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
In India è caccia ai giornalisti La violenza dell’ estremismo indù
La Stampa
CARLO PIZZATI
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D onna. Indipendente. Giornalista. Progressista. Razionalista. Undici giorni fa, Gauri Lankesh torna a casa dal lavoro, la redazione della rivista ereditata dal padre. Apre il cancello della villetta in periferia di Bangalore, e vede un uomo in motorino, camicia bianca, casco nero. Ha una calibro 7.65 mm. Spara quattro colpi. Tre le fanno scoppiare il cuore e i polmoni. Il quarto colpisce il muro rosso della casa, dove c’ è ancora il segno, cerchiato con un gessetto. Sono quelle cinque caratteristiche di questa intellettuale, che anche nell’ aspetto ricorda una versione indiana della giornalista russa Anna Politkovskaja, uccisa 11 anni fa a Mosca, a decretarne la morte, secondo quanto emerge da un’ inchiesta pasticciona, come spesso accade qui, nonostante la collaborazione di due detective arrivati apposta da Scotland Yard. Una giornalista di sinistra di 55 anni, libera, capace di dire la propria opinione e di criticare apertamente gli estremisti indù del partito di governo, il Bjp, e anche i burattinai religiosi più potenti del Paese, gli estremisti delle Rss responsabili di un clima di odio. Ciò che inquieta ancor di più non è solo il fatto che la pistola usata per ucciderla sia lo stesso modello utilizzato negli omicidi di altri tre professori e accademici laici che osavano criticare l’ estremismo indù, ma anche la paura che s’ è creata in India tra chi lavora nell’ informazione e la cultura. A farne subito le spese è infatti un direttore di talento di un importante quotidiano, Bobby Ghosh, che è stato «accompagnato allo scivolo», come si dice, cioè rispedito a New York. Naturalmente la motivazione non è ufficiale, ma coincidenze e fonti raccontano un clima di intimidazione che arriva fino a una telefonata del premier Modi. Di quale colpa è responsabile il direttore dell’«Hindustan Times»? D’ aver pubblicato un editoriale in cui lo storico Ramachandra Guha ha indicato «l’ insorgenza dell’ Hindutva politica» come responsabile dell’ omicidio di Gauri Lankesh. L’ Hindutva è il progetto del Bjp di «induizzare» una repubblica che secondo la Costituzione è socialista, laica e dedita alla libertà, fraternità, eguaglianza e giustizia. Uno Stato dove vige il rispetto di tutte le religioni, non solo del fondamentalismo indù. E cos’ ha scritto di così grave lo storico Guha? Quello che è evidente leggendo i giornali e i social network di questi ultimi quattro giorni, ovvero che «la morte della Lankesh è stata vissuta con dolore dagli indiani normali e per bene, ma è stata grottescamente celebrata dalla destra politica». Tra questi, anche un auto-proclamato fondamentalista indù seguito su Twitter da Modi in persona. Guha ha aggiunto che la giornalista è stata assassinata solo sei mesi dopo aver scritto che la sua città, Bangalore, sta cadendo nella rete dell’ odio e che le donne non possono più circolare liberamente «nei luoghi pubblici, senza temere che bulli, fanatici fondamentalisti e decerebrati uomini di potere si mettano a dire che è l’ abbigliamento femminile la causa primaria delle molestie sessuali, e non piuttosto le sozzerie di cui son piene le teste di uomini malati». Così il Bjp ha fatto causa allo storico Guha per aver collegato il partito all’ omicidio prima che si sia fatta chiarezza sulle responsabilità. E, a quanto rivelato da una fonte interna dello stesso «Hindustan Times», il premier Modi in persona ha telefonato all’ editore del giornale facendo una sfuriata tale che il risultato è stata una lettera firmata dalla presidente del gruppo editoriale, Shobhana Bhartia, in cui ringraziava Bobby Ghosh per l’ ottimo lavoro fatto negli ultimi 14 mesi, ma spiegava che «per ragioni personali» sarebbe rientrato subito a New York. E tutti sanno cosa significano le «ragioni personali» in questi casi, considerata anche la coincidenza che la causa a Guha è stata annunciata lo stesso giorno della dipartita del direttore. A poco sono servite le mobilitazioni di manifestazioni organizzate nelle grandi metropoli per protestare contro l’ omicidio. Sono i conti che prima o poi si dovevano fare, in un crescendo di minacce alla libertà di parola e in un clima di omicidi che accadono in parallelo a promesse di una nuova India che va ad alta velocità, almeno nei progetti ferroviari consegnati ieri di persona dal premier giapponese Shinzo Abe, fotografato sorridente e vestito all’ indiana accanto a Modi. Un futuro di velocità e nuove tecnologie, accanto a un passato immaginario basato su un’ intolleranza omicida, anti-musulmana, anti-femminista e anti-laica che non dovrebbe appartenere alla storia della repubblica indiana. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
De Benedetti e i social media “Chi usa le news paghi i costi”
La Repubblica
CARLO DE BENEDETTI
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ROMA. «Ai giornali non servono sussidi ma chi partecipa al mondo dell’ informazione, cui i giornali danno un enorme contributo, deve contribuire all’ aumento inevitabile dei costi». Lo ha affermato Carlo De Benedetti durante un incontro sul futuro del giornalismo organizzato dal “Cortile di Francesco” ad Assisi. Diminuire le copie e aumentare la qualità di un giornale, ha spiegato il presidente onorario del gruppo Gedi, si traduce in minore pubblicità e in maggiori costi. Per De Benedetti è arrivato il momento di un confronto «tra chi produce informazione e chi ne beneficia». Riferendosi a social network e motori di ricerca ha detto: «A noi costa produrre informazione, chi se ne appropria non può farci i soldi e basta», ma deve «partecipare ai costi per mantenere vivi i giornali, pilastri della democrazia». ©RIPRODUZIONE RISERVATA EDITORE Carlo De Benedetti presidente onorario di Gedi.