Indice Articoli
Trasferimento imposto, Sky condannata: sede di Roma torna in discussione
Chessidice in viale dell’ Editoria
Radio, è querelle sugli ascolti
Fastweb, 3 nuove offerte per il fisso
Il giornalismo tedesco? Soffre la sindrome «del benvenuto»
La strage dei reporter «sotto scorta»
Colossi web, nuove regole in arrivo
La mossa di Parigi e Berlino “L’ Ue tassi i giganti del web”
Lady Facebook contro i classici: sono fascisti
Il social network punta ai cinesi Sulla censura ragiona come loro
Scarsa trasparenza, WhatsApp nel mirino dell’ Antitrust
Il Fisco manda in rosso Google
Trasferimento imposto, Sky condannata: sede di Roma torna in discussione
Il Manifesto
MASSIMO FRANCHI
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MASSIMO FRANCHI II Lo chiamavano «mutamento volontario della sede di lavoro». In realtà era «un trasferimento» imposto. Grazie ad una sentenza da qualche giorno chiudere sedi di lavoro di punto in bianco senza motivare il perché – moda sempre più in voga grazie al Jobs act – è più difficile per aziende. La multinazionale dal volto buono e l’ inglese d’ ordinanza è stata battuta da un piccolo sindacato. Il trasferimento della sede romana di Sky a Milano è stato fatto senza le «comprovate esi genze tecniche, organizzative e produttive». La condanna per comportamento antisindacale emessa dal giudice Laura Baiardi del tribunale del Lavoro di Roma il 22 agosto rimette in discussione la procedura con la quale circa 400 lavoratori saranno costretti a spostarsi a Milano e la procedura di licenziamento collettivo per 124 fra tecnici, impiegati e quadri assieme ai 14 esuberi frai giornalisti (5 dei quali hanno rifiutato il trasferimento). Nonostante le pressioni dei lavoratori alla fine il ricorso per comportamento antisindacale è stato presentato solo dall’ Ugl, che ha pochissimi iscritti. A cantar vittoria però è soprattutto il «Comitato lavoratori Sky in lotta» a cui aderiscono sia tecnici che giornalisti alcuni dei quali iscritti all’ Usb, formatosi il 17 gennaio, il giorno dell’ annuncio della chiusura della sede di Roma. La reazione dei lavoratori fu molto dura: Sky Italia è una azienda in utile che ha deciso di accorpare tutto nella sede di Milano. E lo ha fatto mettendo in atto «un vero far west in cui ogni lavoratore che veniva convocato si sentiva leggere una propo sta già stabilita uguale per tutti e molto vicina all’ indennizzo massimo in caso di impugna mento del licenziamento (24 mesi) anche se venivi definito K -people, personale indispensabile – spiega sotto vincolo dell’ anonimanto un lavoratore che non ha accettato il trasferimento – con poi un ulteriore vergognoso tariffario che accanto a quella che chiamano social mitigation prevedeva incentivi per chi ha più di 55 anni o ha familiari disabili». Se i sindacati delle comunicazioni Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom e Ugl hanno criticato il compor tamento aziendale, la Fnsi dei giornalisti il 6 aprile ha firmato un accordo che aumenta da 27 a 31 il numero di posti rimanenti «nella nuova sede di Roma Centrale Montecitorio» e aumenta gli incentivi al trasferimento. Peri tecnici il verbale di mancato accordo del 2 agosto ha aperto le porte alla procedura di licenziamento collettivo per 124 lavoratori. «Il mancato rispetto dell’ articolo 57 del contratto nazionale era eclatante – spiega l’ avvocato Pierluigi Panici che assiste molti lavoratori e giornalisti di Skye io da gennaio avevo invitato tutti i sindacati a presentare il ricorso. Sky non ha mai spiegato le ragioni del trasferimento e non ha aperto le procedure di contrattazione che permettono al sindacato di avanzare controproposte. Ora con questa sentenza la gigantesca operazione di trasferimento viene azzerata così come i licenziamenti che ne derivano. La inottemperanza da parte di Sky farebbe scattare reati penali. In più è un segnale di stop molto importante per altre aziende del settore – Mediaset ma anche Rai – che stavano valutando comportamenti analoghi», conclude Panici.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Cbs si espande in Australia. Il colosso dei media americano Cbs è in procinto di acquisire la società australiana Ten Network Holdings, finita in amministrazione controllata a seguito della contrazione dei ricavi pubblicitari. Il network di Sidney era stato oggetto d’ interesse da parte di due magnati dell’ isola, Bruce Gordon e Lachlan Murdoch (quest’ ultimo figlio di Rupert nonché vice presidente di News Corp), che avevano formato una joint venture con l’ obiettivo di rilevare ognuno il 50% della società. La media company non ha rilasciato le cifre dell’ accordo con l’ emittente di New York, dichiarando che la scelta è stata frutto di un «processo competitivo». Mondadori, acquistate 27 mila azioni ordinarie. Nell’ ambito del programma di buy-back, Mondadori ha acquistato tra il 21 e il 25 agosto scorsi 27 mila azioni ordinarie (pari allo 0,010% del capitale sociale) al prezzo unitario medio di 1,8473 euro per un controvalore complessivo di 49.876,40 euro. Gli acquisti sono stati effettuati tramite l’ intermediario abilitato Equita Sim. A seguito delle operazioni finora effettuate, Mondadori detiene 508 mila azioni proprie pari allo 0,194% del capitale sociale. Mediaset España, terminato riacquisto azioni proprie. Mediaset España ha ultimato il programma di riacquisto di azioni proprie che era stato deliberato dal cda il 23 febbraio scorso e approvato dalla successiva assemblea dei soci che si è tenuta il 13 aprile. Complessivamente la controllata iberica di Mediaset ha acquistato in più tranche sul mercato 9.282.275 azioni proprie, che corrispondono al 2,756% del capitale sociale. L’ investimento complessivo è stato di 100 milioni di euro. Citynews allarga il network. Il Gruppo Editoriale Citynews ha annunciato ieri l’ acquisizione di due quotidiani digitali presenti da anni nelle province di Frosinone e Como: LaNotiziaH24.com e QuiComo.it. Nel caso di LaNotiziaH24.com, Citynews ha deciso di operare un rebranding, uniformando il nome della testata a quelli della gran parte delle proprie edizioni che diventa così FrosinoneToday.it. La testata comasca conserverà, invece, il nome originario, QuiComo.it. Con queste due edizioni, il Gruppo Editoriale Citynews raggiunge il numero di 44 giornali locali digitali, che si aggiungono alla testata nazionale Today.it. «Queste due operazioni», ha spiegato Fernando Diana, a.d. di Citynews, «fanno parte del piano di acquisizioni annunciato nella primavera scorsa, che prevede 10 nuove testate entro il 2018 e vanno a rafforzare la presenza del nostro gruppo editoriale in due regioni importanti e strategiche come il Lazio e la Lombardia. FrosinoneToday.it è infatti la terza edizione Citynews nella regione Lazio, dopo RomaToday e LatinaToday, mentre QuiComo.it, diventa le sesta edizione lombarda del gruppo, aggiungendosi a MilanoToday, BresciaToday, MonzaToday, LeccoToday e SondrioToday». Su Fox Sports i mondiali di judo. Fino a domenica 3 settembre Fox Sports (Sky, 204) trasmetterà, in esclusiva, i mondiali di Judo di Budapest. Il canale sarà in onda, in diretta, tutti i giorni dalle 16.00 per raccontare giorno dopo giorno la competizione iridata. Fox Sports HD accompagnerà lo svolgimento del torneo con le voci di Ivano Pasqualino e della campionessa europea e 2 volte medaglia di bronzo olimpica Ylenia Scapin. Sportitalia, diretta no-stop per il calciomercato. Giovedì 31 agosto Sportitalia, l’ emittente diretta da Michele Criscitiello, visibile sul canale 60 del digitale terrestre e 225 di Sky, in occasione dell’ ultimo giorno di calciomercato sarà in diretta dalle 7 del mattino a mezzanotte e mezza parlando sempre e solo di calciomercato. Si alterneranno 15 conduttori, più di 30 tecnici impegnati per la maratona e diretta no stop dall’ Hotel Melià (sede ufficiale quest’ anno delle trattative italiane) dalle 13 alle 23, ora della chiusura della porta degli affari pallonari. Lo scorso anno Sportitalia vinse la maratona degli ascolti dell’ ultimo giorno di mercato con 2 milioni e mezzo di italiani incollati allo schermo con un totale giorno di quasi il 2% target commerciale. Festival Internazionale del Documentario, accordo con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli. È stato siglato l’ accordo di collaborazione tra il Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà, l’ appuntamento con il cinema del reale organizzato da UniCredit Pavilion e dalla società di produzione FrankieShowbiz, e la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, il centro di documentazione e di ricerca nell’ ambito delle discipline storiche e delle scienze politiche, economiche e sociali. In particolare l’ accordo di partnership vedrà la nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, in Viale Pasubio 5, come uno dei luoghi principali del 3° Festival Internazionale del Documentario Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà, in programma a Milano dal 5 all’ 8 ottobre.
Radio, è querelle sugli ascolti
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La querelle sulle rilevazioni degli ascolti del comparto radiofonico va avanti. I principali gruppi del settore, tra cui le radio del gruppo Gedi-Espresso (Deejay, Capital, m2o), quelle di Rtl 102,5 (la stessa Rtl 102,5, e poi Radiofreccia e Radio Zeta), e di Rds (Radio Dimensione Suono e Disco Radio) non solo hanno presentato esposti all’ Antitrust e all’ Authority per le comunicazioni contro le politiche commerciali di Radio Mediaset, che danneggerebbero il settore, ma in questi giorni stanno predisponendo un addendum per mostrare ai due enti garanti tutta la documentazione che attesta il tentativo del Biscione di fare saltare la ricerca messa a punto da Ter-Tavolo editori radio sui primi sei mesi del 2017, e che dovrebbe essere pubblicata entro la fine del mese di settembre. Nelle ultime riunioni del consiglio di amministrazione di Ter-Tavolo editori radio si è creato un fronte netto, con Radio Mediaset ed Rmc da una parte, e tutte le altre radio dall’ altra. E il fronte del Biscione (che controlla il 16% di Ter srl) ha votato no alla pubblicazione dei dati raccolti finora, contestando una serie di vizi. Gli altri editori, invece, sono favorevoli alla pubblicazione dei dati, e, in sostanza, preferiscono concedere qualcosa, anche a loro danno, piuttosto che restare ancora senza una ricerca sugli ascolti, dopo il fallimento di Audiradio nel 2011. Va detto che gli istituti Ipsos e Gfk hanno già elaborato i dati del primo trimestre 2017, trasmettendoli, però, agli editori radiofonici con un po’ ritardo (verso la fine della primavera) rispetto al previsto a causa di problemi sollevati sul lavoro di Ipsos. Poi, verso la fine di luglio, ciascun editore ha anche avuto una sorta di anteprima sui dati di ascolto nel semestre delle proprie emittenti. A questo punto qualcuno ritiene che il can can successivo possa essere messo in relazione a dati della ricerca Ter più o meno favorevoli rispetto alle previsioni di audience fatte internamente da questo o quell’ editore. Altri, invece, pensano che ci siano effettivamente delle migliorie da apportare nella ricerca, e che così come è non sia realmente rappresentativa del comparto radiofonico. La gran parte degli operatori radiofonici, che ovviamente sta vivendo male il massiccio ingresso di Mediaset nel settore (con 105, Virgin radio, R101 e Radio Subasio) e tenta di fare fronte comune per difendersi, pensa che comunque la ricerca vada bene. E, anzi, contrasta l’ operato del Biscione al punto da presentare esposti all’ Agcm e all’ Agcom. Si vuole infatti evitare di bloccare la ricerca, farla slittare a data da destinarsi per, nel frattempo, modificare i metodi. Peraltro, fanno sapere alcuni dei grandi gruppi radiofonici coinvolti, «in questi casi ciascuno deve concedere qualcosa per il bene comune del comparto. Non è possibile che arrivi un soggetto e voglia rovesciare il tavolo, minacciando anche azioni legali in caso di pubblicazione dei dati di ascolto così come sono. Sia le politiche commerciali di Radio Mediaset, sia il blocco della ricerca creano un danno complessivo al sistema radio italiano». Radio Mediaset non si sbilancia ufficialmente sulla questione. Parla solo il direttore artistico di Virgin Radio, Ringo, che, a proposito di ipotesi di ascolti insoddisfacenti, scrive in un post su Facebook: «Leggo varie notizie riguardanti i presunti dati degli ascolti delle nostre radio Radiomediaset. Vi dico solo una cosa: prima di parlare, informatevi. Ci rivediamo all’ uscita dei dati ufficiali tra 40 giorni. Ps: Sono molto, ma molto felice dei nostri dati». Fonti vicine a Ter fanno inoltre trapelare alcune delle questioni di metodo sollevate dal blocco Radio Mediaset e Rmc: ad esempio, i dati del primo trimestre 2017 non dovrebbero essere inseriti nel semestre, visti i problemi rilevati sul lavoro Ipsos. C’ è pure polemica sulla novità di sommare, nel dato di ascolto cumulato, anche le audience dei canali televisivi associati a una radio (come ad esempio Rtl 102,5 tv). Una eccezione tutta italiana e che, soprattutto nel caso di radio con canali televisivi dal palinsesto diverso rispetto a quello in fm, avrebbe secondo alcuni poco senso. Si spingerebbe, infine, verso la pubblicazione dei dati ogni trimestre (e non ogni sei mesi), perché, per come sono strutturate oggi le ricerche sugli ascolti, un network ingaggia Fiorello a gennaio e solo a ottobre sa come è andato. Giusto per completezza di informazione, dopo anni di Radiomonitor a cura dell’ istituto di ricerca Gfk, l’ universo radiofonico ha dato vita, il 1° aprile 2016, alla Tavolo editori radio srl, con il compito di produrre una nuova indagine sugli ascolti. Gli azionisti di Ter sono: Radio Mediaset +Rti al 16%, Rai al 15,8%, Aeranti-Corallo 15% così come Frt, e poi Elemedia (le radio Gedi-Espresso) al 12,5%, Rtl 102,5 al 7,3%, Rds al 5,7%, Radio Italia al 5,5%, Il Sole-24 Ore al 3,6%, così come Kiss Kiss. La società è presieduta da Nicola Sinisi. © Riproduzione riservata.
Fastweb, 3 nuove offerte per il fisso
Italia Oggi
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Fastweb rivoluziona l’ offerta per il mercato del fisso destinato alle famiglie con tre nuove soluzioni. Dopo aver eliminato nel mercato del mobile costi nascosti e vincoli contrattuali di durata, con le offerte «Internet», «Internet + Telefono» e «Internet + Telefono + Mobile», l’ operatore di tlc lancia tre pacchetti dai prezzi chiari e trasparenti, sempre uguali e senza costi aggiuntivi per i servizi telefonici supplementari, come la segreteria o il trasferimento di chiamata, che da oggi sono inclusi. «Con il lancio delle nuove soluzioni vogliamo offrire un portafoglio d’ offerta semplice, completo e allo stesso tempo conveniente per differenziarci dal mercato e per rinforzare ulteriormente il rapporto di fiducia che abbiamo con i nostri clienti», spiega Federico Ciccone, chief marketing & customer experience officer di Fastweb. «Tutta la fibra e la tecnologia di Fastweb saranno a loro disposizione ovunque essi siano, senza pensieri e senza sorprese in bolletta grazie a prezzi che rimangono sempre uguali». «Internet» è infatti l’ offerta base che a 24,95 euro ogni 4 settimane offre per la casa la connettività senza limiti mentre, con 29,95 euro ogni 4 settimane, «Internet + Telefono» include anche le chiamate nazionali illimitate da rete fissa verso tutti i numeri fissi e al costo di 5 centesimi al minuto e senza scatto alla risposta anche tutte le chiamate verso i numeri mobili nazionali e i numeri fissi di 50 destinazioni internazionali. «Internet + Telefono + Mobile» è invece l’ offerta che a 39,90 euro ogni 4 settimane integra «Internet + Telefono» con Freedom, l’ offerta mobile Fastweb che prevede 6 giga di traffico in 4G e minuti e sms illimitati. Inclusa nel prezzo anche l’ opzione fisso-mobile che consente di effettuare chiamate illimitate da rete fissa verso tutti i numeri mobili nazionali. Con le nuove offerte i clienti potranno inoltre usufruire di connessioni ultraveloci in fibra ottica fino a 1 giga già oggi disponibili a Milano, Roma, Torino e Bologna e da settembre anche a Bari, Genova e Napoli. Fastweb mette poi a disposizione dei propri clienti il modem FastGate, incluso per 12 mesi in tutte le nuove offerte. Con il lancio dei pacchetti si rinnova inoltre la partnership con Sky: per i nuovi clienti l’ offerta Sky e Fastweb è disponibile a 20,90 euro ogni 4 settimane fino a gennaio 2019 mentre per chi è già cliente Sky, l’ offerta Internet + telefono di Fastweb è disponibile a 11 euro fino a gennaio 2019. Al termine del periodo l’ offerta passerà a 29,95 euro ogni 4 settimane oltre all’ abbonamento Sky.
Il giornalismo tedesco? Soffre la sindrome «del benvenuto»
Libero
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VITO PUNZI BERLINO I media tedeschi veleggiano tra censura, manipolazione e invenzione della “cultura del benvenuto”. L’ ultimo esempio di come sia cambiato il modo di fare giornalismo in Germania da un paio d’ anni a questa parte è quello accaduto a Chemnitz nella notte tra sabato e domenica, quando la festa cittadina è stata interrotta d’ autorità perché alcune centinaia di arabi e rifugiati iracheni ubriachi hanno iniziato a prodursi in atti vandalici e in azioni aggressive nei confronti di ragazze. A parte poche online della sede regionale di Bild, silenzio assoluto sulle testate nazionali. E anche Facebook ha censurato i post di giovani testimoni delle violenze. È ormai dall’ estate del 2015, da quando in poche settimane affluirono su territorio tedesco centinaia di migliaia di migranti, in Germania è cambiato il modo di fare giornalismo, cioè di raccontare e di commentare i fatti. È questo in estrema sintesi il risultato di una ricerca promossa dalla Otto-Brenner-Stiftung, una fondazione che promuove la ricerca scientifica di proprietà e finanziata da IG Metal, il grande sindacato dei metallurgici tedeschi impiegati nell’ industria. Con sede a Francoforte sul Meno, la fondazione venne costituita nel 1972 alla morte del presidente della IG Metal di allora, Otto Brenner, e a lui venne intestata. La ‘crisi dei rifugiati’ nei media. Il giornalismo attuale tra opinione e informazione. In sostanza, qual è stato il ruolo dei media tedeschi durante la crisi migratoria? Questo il quesito cui ha cercato di rispondere la ricerca, coordinata dallo studioso dei media Michael Haller in collaborazione con Hamburg Media School e università di Lipsia, producendo un elaborato di circa 200 pagine. Ciò che emerge è che la Germania ha vissuto una sorta di trance collettiva da “benvenuto”. Più precisamente, riducendosi al ruolo di megafoni dell’ élite politica e ignorando le preoccupazioni della popolazione, i media (la stragrande maggioranza di essi), secondo Haller hanno letteralmente inventato la “cultura del benvenuto”. Il mondo dei cosiddetti “profughi” ( per lo più migranti), è stato dipinto acriticamente con tinte rosa: si aveva l’ impressione che stessero entrando in Germania solo ben formati medici e ingegneri, famiglie ben disposte verso l’ Occidente, dunque una benedizione per l’ industria tedesca, un arricchimento culturale. Già nel dicembre 2015 una ricerca dell’ Istituto per la Demoscopia di Allensbach aveva rilevato come la maggioranza dei tedeschi si sentiva “informata” in maniera unilaterale. La ricerca della Otto-Brunner-Stiftung non fa che confermare la “sensazione”, dimostrando come non solo le grandi testate nazionali, ma anche l’ informazione locale ( in Germania ha diffusione capillare) «ha diffuso la narrativa della cultura del benvenuto nel senso delle posizioni assunte dal discorso politico e in questo modo di quello ha fatto propria la dizione eufemistico-persuasiva». Ebrezza cosmopolita e linguaggio esaltante la “necessità economica” della “cultura del benvenuto”, quindi. È in quel clima, sottolinea lo studio, che sono state oscurate le notizie negative e non ascoltate le voci critiche, vale a dire che i media «nei loro contributi d’ opinione sono rimasti per la maggior parte fossilizzati sulle élites politiche»…. riproduzione riservata.
La strage dei reporter «sotto scorta»
Avvenire
NICOLA NICOLETTI
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CITTÀ DELMESSICO Chi sarà il prossimo? Sembra giocare alla roulette russa chi vuol fare il giornalista in Messico. Dopo l’ omicidio di Cándido Ríos Vásquez, redattore del Diario de Acayucán, avvenuta a sud di Veracruz, esattamente una settimana fa, l’ aria si fa pesante. Si riaprono ferite mai rimarginate, in particolare tra giornalisti e la politica. Ci si interroga ossessivamente se l’ osannato programma di protezione, attualmente attivo su quasi 500 persone, giornalisti e difensori di diritti umani, sia davvero efficace. Secondo il governo la sicurezza di chi lavora nel mondo dell’ informazione è sotto l’ attenzione dei politici. Eppure i reportar continuano a morire. Per la cronaca, tre degli ultimi attentati sono stati indirizzati a giornalisti integrati al programma di protezione. Da gennaio, sono già dieci i reporter assassinati: in media, uno al mese. Solo nei primi sei mesi dell’ anno, si sono registrati quasi 300 aggressioni contro operatori dell’ informazione. La lista nera di chi fa informazione rimane disastrosa. Un record sbandierato ieri mattina dal mondo della comunicazione ai governanti. Con una serie di manifestazio, la stampa ha denunciato soluzioni inefficaci, capaci di far perdere la vita a chi sceglie come missione quella di informare. La settimana scorsa, centinaia di foto di giornalisti ammazzati sono state esposte alle porte della Segreteria di governo per esprimere la delusione di un programma fallimentare. «Questo protezione in Messico non ha dato risultati. I giornalisti continuano a patire la persecuzione e la morte – racconta Rafael López, direttore del settimanale Buena Nueva e corrispondente di Redes Poder -. Due giorni fa hanno ammazzato un altro collega. Le indagini sugli omicidi non hanno portato alla cattura di nessuno. Il Messico continua ad essere uno dei Paesi più pericolosi per questa professione. Le autorità si sono fermate ai discorsi ufficiali senza arrivare a nessun risultato: urgono strategie più efficaci e risorse economiche ». Nell’ abitazione di Ríos, il diciassettesimo giornalista ammazzato nello stato di Veracruz dal 2011, erano installate delle telecamere, del filo spinato era all’ esterno. La polizia locale vigilava la sua casa dal 2012. Ríos aveva scelto il programma nazionale e non quello dello stato di Veracruz, terra del carcerato governatore Duarte. Per alcuni colleghi la misura di un cellulare satellitare con un pulsante di protezione collegato con la polizia, è stata inefficace. Carenze tecniche e lungaggini burocratiche mettono a rischio la vita quotidiana di molti. Attualmente a Veracruz settanta giornalisti sono sotto protezione, alcuni con il sistema scelto da Ríos, altri si sono trasferiti temporaneamente. RIPRODUZIONE RISERVATA Il «memoriale» per la morte di Ríos Vásquez (Epa)
Colossi web, nuove regole in arrivo
Italia Oggi
GIORGIA PACIONE DI BELLO
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Multinazionale del web, stretta franco-tedesca allo studio. «Sveleremo un nuovo piano di tassazione per i giganti tecnologici: Google, Apple, Facebook e Amazon alla prossima riunione dei ministri delle finanze, che si terrà a Tallin a metà settembre, insieme ai nostri partner tedeschi». Questa la dichiarazione, rilasciata ieri da Bruno Le Mair, ministro delle finanze francesi, durante la Live chat di Facebook. L’ obiettivo della proposta è dunque quello di riuscire a far pagare la giusta quantità di tasse, in ogni paese dove le big americane guadagnano (si veda ItaliaOggi del 24/08/2017). Le Mair, secondo il quotidiano The Local France, ha anche specificato come a Tallin durante l’ Ecofin «proporremo come punto di riferimento i ricavi di queste società, per poi stabile la giusta quantità che questi grandi gruppi dovranno pagare ad ogni singolo stato». Il ministro delle finanze francesi ha anche precisato come non è la prima volta che si tenta di fare una simile operazione sulle big tecnologiche americane, sia a livello Ue che Ocse.
La mossa di Parigi e Berlino “L’ Ue tassi i giganti del web”
La Stampa
MARCO BRESOLIN
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L’ Europa prepara la crociata contro i colossi americani del web. «È ora che paghino le imposte nei Paesi in cui fanno affari». I cosiddetti Gafa – acronimo usato per indicare Google, Apple, Facebook e Amazon – sono avvisati. Non solo loro, perché la proposta che Francia e Germania porteranno al prossimo Ecofin di Tallinn a metà mese riguarderà anche altre aziende. Tra queste c’ è sicuramente Airbnb, il servizio di intermediazione immobiliare che l’ Italia ha già messo nel mirino e che dal prossimo mese dovrà iniziare a operare come sostituto d’ imposta. A guidare la campagna d’ autunno è la Francia e in particolare il suo ministro dell’ Economia, Bruno Le Maire. Sin dal giorno del suo insediamento, e al rientro dal G20 di Amburgo, aveva promesso un intervento in questo senso, che potrebbe contribuire a surriscaldare i rapporti con gli Usa di Donald Trump. Due giorni fa ha annunciato (per ironia della sorte durante una diretta su Facebook Live) che la proposta franco-tedesca arriverà sul tavolo dei ministri economico-finanziari europei durante il vertice nella capitale estone il 15-16 settembre. E c’ è la massima determinazione a portare a casa il risultato: «In passato abbiamo già visto proposte di questo tipo – ha detto il ministro francese -, ma non hanno mai avuto un seguito perché i negoziati si sono impantanati». Ora Parigi, con il sostegno attivo di Berlino e della Commissione europea (il commissario Pierre Moscovici da tempo batte su questo tasto), è decisa a voltare pagina. Il Fisco transalpino è reduce da una battaglia persa con Google all’ inizio di luglio. Un tribunale amministrativo di Parigi ha infatti dato ragione alla compagnia di Mountain View, che si era opposta alla richiesta dell’ amministrazione fiscale francese di versare 1,115 miliardi di euro. Per il governo la partita non si è ancora conclusa, ma proprio perché il quadro giuridico-fiscale resta ambiguo, Le Maire è convinto che l’ unico modo per favorire «una contribuzione equa» sia cambiare le regole del gioco. Non solo a livello nazionale, ma su scala europea. Il nodo però sta proprio qui. Perché il vero problema è la disparità nei tassi di imposizione fiscale tra i 28. In questo contesto, le aziende sono incentivate a impiantare la loro casa madre europea laddove le imposte sono più basse, fatturando lì i servizi «immateriali» che vengono venduti in altri Stati Ue. È il caso dell’ Irlanda – dove il tasso di imposizione fiscale per le imprese è del 12,5% -, che ospita le sedi di colossi come Google, Apple e Airbnb. O del Lussemburgo. Ma Bruxelles si tiene alla larga dall’ ipotesi di armonizzare il livello di imposizione fiscale tra i Ventotto, che rimane di competenza esclusivamente nazionale. E punta a definire con maggiore certezza i contorni geografici delle attività di queste aziende per evitare che scelgano da chi farsi tassare. L’ Italia non è certo immune alla questione. Nel maggio scorso, dopo trattative e indagini penali, è riuscita a siglare un accordo con Google per ottenere il pagamento di 306 milioni di euro di imposte arretrate. Soltanto una settimana prima la Procura di Milano aveva contestato ad Amazon una presunta evasione su un giro d’ affari di 2,5 miliardi di euro, accusando l’ azienda di e-commerce di aver evaso 130 milioni di euro. E poi c’ è il capitolo Airbnb, che dal 16 ottobre dovrà trattenere una cedolare secca del 21% ai proprietari che affittano attraverso la sua piattaforma. Ancora non è chiaro se, quanto e come pagherà in Italia per i suoi guadagni. Quel che è certo è che a oggi il suo contributo al fisco resta modesto: in Francia, nel 2016, ha versato meno di 100 mila euro, nonostante un impatto di 7 miliardi sull’ economia nazionale. In Italia, nel 2015, non è andata oltre i 45 mila euro. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Lady Facebook contro i classici: sono fascisti
La Verità
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alessandro ricoI contenuti di Eidolon, blog aperto nel 2015 ma rilanciato pochi giorni fa, sarebbero soltanto ridicoli, se la sua editrice, Donna Zuckerberg, non fosse la sorella minore del fondatore di Facebook, Mark. Uno che possiede un impero economico e che sembra deciso a servirsi della propria influenza per promuovere il gender, l’ immigrazionismo e per fare opposizione a al presidente degli Usa, Donald Trump. Donna, che si definisce studiosa di classici, in realtà gli scrittori latini e greci li odia. E si fatica quasi a credere ai propri occhi leggendo il suo post di presentazione di Eidolon: a suo avviso lo studio dei classici «ha profonde radici nel fascismo, nella politica reazionaria e nel suprematismo bianco; e quelle ideologie esercitano una potente spinta gravitazionale su chi pratica tale disciplina». Insomma, Socrate, Aristofane, Cicerone e Seneca sono gli anticipatori del Duce e del Ku klux klan e chi li ammira non fa altro che tirare acqua al mulino della destra radicale.La sorella di Zuckerberg si prefigge dunque lo scopo di demistificare la retorica della destra sulle radici culturali dell’ Occidente, facendo della critica ai classici uno strumento della liberazione femminile e della lotta al razzismo. Nel 2016, ad esempio, Donna dispensava due consigli a quanti volessero affrancarsi dalla prigionia dei classici: sfidare «rispettosamente ma con fermezza» il punto di vista di chi parla degli scrittori antichi come dei fondatori della cultura occidentale e concentrarsi, nella ricerca accademica, «sulle parti dell’ antichità che non siano gli uomini bianchi dell’ élite. Leggere e citare il lavoro di studiosi che scrivono di genere, razza e classe nel mondo antico. Modellare uno studio dei classici che non sia così congeniale ai neonazisti dell’ estrema destra». In pratica, collaborare alacremente alla diffusione di fake news storiche, alimentando magari la furia iconoclasta di chi demolisce le statue della Confederazione sudista e di Cristoforo Colombo. Per la verità, identificare nella cultura classica la radice dei mali politici, il puntello del patriarcato e della segregazione razziale, non è un’ operazione nuova né originale. Era il 1978 quando la femminista italiana Carla Lonzi diede alle stampe il suo Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, opera nella quale l’ illustre filosofo tedesco, letto e commentato da Karl Marx e da tutta la sinistra comunista, veniva identificato quale emblema della maschilistica priorità accordata alla lotta di classe sulla liberazione sessuale. Scriveva la Lonzi nella premessa a quel testo così sobriamente intitolato: «Quando né rivoluzione, né arte, né religione godevano più della nostra incondizionata fiducia, abbiamo affrontato il punto centrale della nostra inferiorizzazione, quello sessuale». La Zuckerberg, quindi, non ha inventato proprio niente. Ma la sua operazione, tanto grottesca sul piano delle tesi che pretende di difendere (in un articolo, ad esempio, i miti greci vengono ridotti a «una ricca tappezzeria di storie in cui gli uomini usano il loro potere e il loro status per abusare sessualmente delle donne»), nasconde delle grosse insidie se si considera la risonanza di cui possono godere quei deliri. Solo qualche mese fa il fratello Mark (che ovviamente, malizia del patriarcato, è di gran lunga più ricco e famoso di Donna) lanciava il suo progetto di interconnessione globale attraverso i social network. Possiamo ipotizzare che nel mondo di lobotomizzati progressisti a trazione facebookiana, sognato dai milionari della Silicon Valley, la demolizione della tradizione che costituisce il deposito della grandezza spirituale di generazioni che ci hanno tramandato letteratura, scienza, diritto e istituzioni politiche, sarebbe condotta con meticolosa sistematicità. Altro che Ars amatoria di Ovidio: molto meglio abbeverarsi alla fonte di Youporn, la cui proprietà è detenuta da un’ azienda con sede in California, la patria degli uteri in affitto e del commercio di parti anatomiche di feti abortiti.Probabilmente l’ aspetto più triste della vicenda di Eidolon, con la sua idea vecchia ma pericolosa di imbastire una bigottissima crociata contro i classici, è però rappresentato dal fallimento educativo delle università americane. Donna Zuckerberg ha frequentato un dottorato a Princeton, ateneo che fu del fisico Albert Einstein, del matematico John Nash, dei presidenti James Madison e Woodrow Wilson, ma che oggi forma (anzi, deforma) odiatori della stessa civiltà che dovrebbe rappresentare, come la sorella di Zuckerberg o la ex first lady Michelle Obama. Per costruire quella civiltà ci sono voluti secoli; per demolirla stanno bastando pochi decenni. Forse, però, i classici supereranno pure questa disavventura e daranno prova ulteriore della loro indistruttibile vitalità. Infatti, come scriveva Italo Calvino in Perché leggere i classici: «Un classico è un’ opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso».
Il social network punta ai cinesi Sulla censura ragiona come loro
La Verità
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Michelangelo SocciI social, che potrebbero sembrare a prima vista degli scanzonati ritrovi del libero pensiero, stanno finendo per diventare l’ ennesima polizia del pensiero. Facebook, per esempio, insieme alle pagine dove passano contenuti scorretti, sta iniziando a oscurare anche quelle dove semplicemente circolano idee anticonformiste con cui i signori dei social – che hanno idee politically correct – sono in disaccordo. controlli privatizzatiCosì non è più la legge e non sono più gli Stati democratici a sanzionare i contenuti che violano il codice, ma sono delle reti private a decidere ciò che è permesso pensare ed esprimere.L’ iniziativa del ministro della Giustizia Andrea Orlando sui «guardiani del Web» sembra andare in questa direzione di privatizzazione del controllo sulla libera espressione. Con tanti saluti all’ articolo 21 della Costituzione che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure».A cosa può portare la logica del pensiero unico vidimato e imposto da privati? In fondo Facebook è semplicemente una rete che vende un servizio.Immaginiamo che tutti i gestori di servizi privati si arroghino il diritto di escludere i clienti che esprimono opinioni diverse dalle loro. Ne verrebbe fuori un mondo alla maniera di George Orwell o Aldous Huxley. Una distopia (speriamo non arrivi mai) che potrebbe sfociare nel grottesco, nel ridicolo. distopia grottescaCosa accadrebbe se la Telecom privasse della linea telefonica quegli utenti che al cellulare dicono cose con cui la Telecom stessa non è d’ accordo? In questo «mondo nuovo» di domani, l’ Enel potrebbe togliere la corrente elettrica a coloro che ascoltano musica non gradita dal gestore. La società autostradale non consentirebbe agli automobilisti di raggiungere destinazioni giudicate brutte. Il cliente che si reca a comprare un quotidiano, non gradito all’ edicolante, tornerebbe a casa a mani vuote. E se avesse voglia di un buon cappuccino dovrebbe accuratamente cercare un bar dove il barista sia anch’ esso amante della medesima bevanda. Ai ristoranti si potrebbero ordinare solo i piatti consigliati dallo chef e nei supermercati i cassieri deciderebbero (in base ai loro gusti) cosa battere e cosa no. Un’ ipotetica azienda islamica di forniture di gas non garantirebbe il servizio in caso si voglia cucinare un piatto a base di carne di maiale. I postini consegnerebbero solo pacchi contenenti oggetti che si confanno alle loro preferenze. I meccanici aggiusterebbero esclusivamente le macchine che piacciono a loro, mentre dai pediatri sarebbero curati solo i bambini ritenuti belli o perlomeno simpatici. Insomma, una situazione comica e paradossale, che tuttavia sta effettivamente somigliando a quanto accade sui social.In realtà questo non deve sorprendere. Il giornalista Josh Horwitz ha spiegato, in un articolo rilanciato dall’ Internazionale, che Facebook è disposto ad accettare la censura pur di essere ammesso in Cina, dove vige la dittatura comunista e ogni social media è vietato.La creatura di Mark Zuckerberg «è così determinata a entrare nel mercato cinese», spiega Horwitz, «che l’ azienda ha sviluppato uno strumento per nascondere determinati contenuti, nella speranza di rassicurare le autorità cinesi».Dimmi con chi vai.
Scarsa trasparenza, WhatsApp nel mirino dell’ Antitrust
Il Fatto Quotidiano
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Dal bollettino dell’ Antitrust si è appreso ieri che è stato avviato un procedimento contro WhatsApp per non aver informato i consumatori, tramite pubblicazione sul suo sito Internet, delle numerose clausole vessatorie contenute nei suoi contratti. Nello specifico, l’ Antitrust, dopo aver accertato, lo scorso 11 maggio, la vessatorietà delle clausole, aveva disposto, “in relazione all’ esigenza di informare compiutamente i consumatori” che fosse pubblicato sul sito un estratto del provvedimento che, appunto, identifica quali sono le clausole vessatorie. Ma non è stato fatto. Il procedimento si concluderà entro 120 giorni con un’ eventuale sanzione pecuniaria. La società ha quaranta giorni per far pervenire all’ Autorità scritti difensivi e documenti, nonché richiedere di essere sentiti”. WhatsApp, applicazione di messaggistica istantanea creata nel 2009 e acquistata nel 2014 da Facebook, ha raggiunto lo scorso mese 1,3 miliardi di utenti. “Stiamo esaminando la decisione e stiamo valutando la possibilità di effettuare un ricorso”, ha affermato ieri un portavoce in relazione al procedimento.
Il Fisco manda in rosso Google
MF
ANDREA MONTANARI
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Col Fisco italiano c’ è poco da scherzare. Se ne sono accorti anche in Google Italia. Perché il maxi contenzioso con l’ Agenzia delle Entrate, culminato con l’ accordo transattivo da 304 milioni siglato lo scorso 4 maggio ha avuto un impatto immediato e diretto anche sui conti 2016 della branch locale del colosso fondato da Larry Page e Sergey Brin. Perché nel bilancio dello scorso anno sono già stati spesati oneri per 94,18 milioni (i debiti tributari complessivamente sono stati iscritti a 306,44 milioni) sostenuti per definire questo contenzioso fiscale. Una cifra pesante per Google Italia, ma che rappresentano briciole per il motore di ricerca di Mountain View, che ha portato in rosso i numeri italiani dello scorso anno: -61 milioni. Una perdita che si è fatta sentire e che ha pesato sulla società al punto che il socio Google International Llc, lo scorso 19 maggio, è dovuto intervenire immettendo liquidità per 57,36 milioni per riportare equilibrio nei conti visto che il patrimonio netto che nel frattempo era diventato negativo per 46,83 milioni. Ovviamente a questo punto anche il 2017, per la sede locale del big del web, sarà un anno negativo visto che c’ è da saldare definitivamente la partita aperta con il Fisco. Va detto però che se pure il revisore di conti, Ernst&Young, segnala la problematica contabile, la continuità aziendale, indicata in bilancio dai dirigenti della branch nazionale di Google non è messa a rischio visto che l’ azionista unico interverrà nel caso vi fosse la necessità di ulteriori capitali per raddrizzare il patrimonio e il bilancio. Tra l’ altro va sottolineato che, analizzando il documento contabile relativo allo scorso esercizio, emerge un altro particolare interessante nella gestione della società italiana che attualmente impiega 195 dipendenti nella rinnovata sede milanese nel quartiere Isola. Perché anche il giro d’ affari, tipicamente rappresentato da servizi e altre attività commerciali che Google Italia, effettua per conto delle con-sorelle europee è letteralmente esploso: +131,73%. Come mai? Come si legge nella relazione di bilancio, «l’ incremento è principalmente dovuto ai ricavi ricevuti dalla società del gruppo relativamente alla chiusura del contenzioso tributario aperto con le autorità italiane». Un elemento di novità e in qualche modo straordinario che viene sottolineato anche dal revisore unico dei conti, Claudio Valz, nella sua nota: «La società, per il periodo d’ imposta 2016 ha adottato una nuova metodologia di transfer pricing basata sul return on sales model, la quale ha contribuito all’ incremento dei ricavi dell’ esercizio rispetto al periodo d’ imposta precedente». Quindi, di fatto, il miglioramento, atteso anche per il 2017, non c’ è stato in termini meramente operativi e industriali. Del resto, Google Italia non fattura gli introiti pubblicitari incassati sul mercato nazionale, quest’ anno dovrebbero attestarsi alla soglia degli 1,6 miliardi di euro, ma questi finiscono nel conteggio generale della capogruppo o della divisione irlandese della conglomerata. Una prassi che poi ha portato alle verifiche fiscali degli anni scorsi, anche le tasse non sono pagate in base ai reali ricavi prodotti, e alla sanzione da record comminata dal Fisco e accettata dall’ azienda che oggi è di fatto il vero competitor, in termini pubblicitari, del big del mercato, Mediaset, e che con Facebook sta rubando rilevanti investimenti e quote di mercato agli altri mezzi d’ informazione, in particolare la carta stampata. (riproduzione riservata)