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Rassegna Stampa del 26/08/2017

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Indice Articoli

Sky, una giudice ostacola la chiusura di Roma

Asta per le frequenze 5G, operatori tlc già al lavoro

Uno solo fa come una redazione

Ascolti radio, prima dell’ uscita si discute già sui dati Ter

Gazzetta.it compie 20 anni Via a 20 giorni di speciali

La7 è più pubblica della Rai

chessidice in viale editoria

Giornali web in difficoltà

La nuova radio del Diavolo fa il pieno di ascoltatori

Non solo i big della Rete raccolgono informazione sugli utenti. In Svizzera gli editori cambiano le regole per avere dati per marketing e analisi di mercato

Fenomeno youtubers, la loro vita diventa un film

L’ opa di caltagirone stenta a decollare

Facebook ha bisogno degli editori (e viceversa)

Sky, una giudice ostacola la chiusura di Roma

Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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A cosa servono leggi come il Jobs Act o le altre che hanno destrutturato il diritto del lavoro in Italia? Domanda imponente, la cui risposta è plasticamente scritta in una sentenza dal Tribunale di Roma di martedì: evitare che alle aziende capiti quel che è successo a Sky Italia, cioè che un giudice gli ricordi che esistono leggi a cui attenersi. Tecnicamente parlando, la tv satellitare è stata condannata per “condotta anti-sindacale” su ricorso dell’ Ugl, l’ unico sindacato firmatario del contratto in Sky che lo abbia presentato (il che significa, peraltro, che Cgil, Cisl e Uil hanno fatto male il loro lavoro). In pratica è molto più di questo: potrebbe essere un ostacolo sulla via della rapida e silenziosa riuscita del piano di ristrutturazione annunciato dall’ azienda a gennaio. Andiamo con ordine. Sky vuole “liberarsi” di circa 200 lavoratori e trasferirne 300 a Milano, quasi tutti dalla sede di Roma (268). Questo, sia detto en passant, nonostante conti ottimi: la tv di Murdoch in Italia ha chiuso l’ esercizio 2016-2017 con ricavi saliti del 4% (2,86 miliardi di euro) e profitti operativi a 162 milioni (addirittura +139%). Crescono gli utili e pure i clienti, ma Sky deve licenziare e disfarsi della sede di Roma: servono investimenti per resistere ai nuovi concorrenti tipo Netflix, a partire da un’ offerta che riporti alla tv britannica i diritti della Champions League in Italia. Tutto bene, per Sky, almeno fino al 22 agosto, quando si è presentato “l’ ostacolo” giuridico. La tv satellitare ha deciso, infatti, di non aprire alcuna procedura negoziata su licenziamenti e trasferimenti, ma di procedere a colloqui individuali “volontari” coi lavoratori da cacciare o da spostare: come se questo, annota la giudice Laura Baiardi, garantisse “parità di potere contrattuale”. Problema: i trasferimenti collettivi sono regolati dalla legge se si tratta di decisioni “unilaterali” dell’ azienda. E qui lo sono: la sentenza dà la cosa per scontata e con parole persino dure, mentre la difesa la nega e attribuisce l’ ondata di dimissioni incentivate e spostamenti a Milano ad un’ improvvisa ansia di cambiamento delle maestranze. In sostanza, dice il giudice, Sky non ha né spiegato come doveva (codice civile) le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” dietro la chiusura di Roma; né ha attivato le procedure previste dal Contratto nazionale di categoria (art. 57), prima tra tutte il coinvolgimento del sindacato, preferendo scegliere a suo uzzolo – cioè senza tener conto di norme e leggi – chi sommergere e chi salvare. Ora la faccenda si fa interessante. Anche i sindacati che non hanno fatto ricorso, potranno e dovranno chiedere (e con una sentenza dalla loro parte) che Sky applichi le procedure contrattuali per i trasferimenti e questo potrebbe riaprire i giochi anche per quanti – e sono parecchie decine – hanno già accettato formalmente il trasferimento. E torniamo al Jobs Act: ovviamente la possibilità di rivolgersi a un giudice ce l’ hai solo se non puoi essere licenziato in tronco con una pacca sulle spalle e qualche soldo in mano. Ricordate l’ articolo 18?

Asta per le frequenze 5G, operatori tlc già al lavoro

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Creare le condizioni per un’ asta appetibile per gli operatori interessati. Che proprio di recente hanno messo le mani al portafogli per il rinnovo decennale dei diritti d’ uso delle frequenze 900 e 1.800 MHz, ma che dall’ altra parte gareggerebbero per asset certi e importantissimi per il futuro in chiave industriale. È alla ricerca di questo equilibrio che il Governo sta lavorando per trovare la quadra attorno a una possibile asta sulle frequenze per il 5G nel 2018. La misura – come riportato ieri dal Sole 24 Ore – dovrebbe entrare nella prossima manovra di bilancio. Ministero dello Sviluppo, Mef e Palazzo Chigi stanno cercando di far quadrare il cerchio. Gli operatori, dal loro canto, danno la cosa per assodata e già dalla prossima settimana le telco contano di avere una maggiore interlocuzione, in particolare con il sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli che per il Mise sta seguendo il dossier. Nella partita un ruolo lo avranno anche Fondazione Bordoni e Agcom, per il khow how sul tema frequenze e, per quanto riguarda l’ Autorità, anche perché sarebbe chiamata a delineare uno schema di bando. Proprio Agcom a settembre potrebbe pubblicare i risultati di un’ indagine conoscitiva sulle prospettive di sviluppo dei sistemi wireless e mobili di quinta generazione (5G) nonché l’ utilizzo di nuove porzioni di spettro al di sopra dei 6 Ghz. Capire quanta parte di frequenze potrà e dovrà essere messa a disposizione è in cima alle priorità in questo momento, prima di sciogliere definitivamente le riserve sull’ asta entro metà settembre. Francia e Germania hanno già proceduto ai bandi. Uk si avvia a farlo. Del resto le prime commercializzazioni sono attese al massimo al 2020 per questa tecnologia che dovrebbe consentire una velocità di 20 Gigabit al secondo in download su rete mobile e tempi di latenza nell’ ordine dei millisecondi. Dalla chirurgia a distanza all’ Internet delle cose (IoT) con i suoi oggetti connessi, all’ energia (contatori e lampioni intelligenti), all’ automotive (in futuro le auto senza guidatore e in un primo momento sensori per il traffico), fino a Industry 4.0 (automazione industriale high tech al massimo livello), gli ambiti di utilizzo sono molteplici. In Italia è stata avviata una sperimentazione pre-commerciale in cinque aree con il Mise che, a seguito di un bando, ha messo a disposizione degli operatori alcune frequenze. Le telco comunque iniziano a darsi da fare anche autonomamente, come dimostra il caso di Tim che ha avviato una sperimentazione a Torino e sta lavorando anche a San Marino su questa tecnologia che promette di porsi come una rivoluzione nel campo della comunicazione mobile. Dal punto di vista tecnico, le frequenze pioniere del 5G sono state individuate dall’ Rspg (Radio spectrum policy group) nella banda 700 Mhz, nei 3.4-3.8 Ghz e nelle onde millimetriche 24.25-27.5 Ghz. Sebbene abbiano tempi e modalità di “liberazione” differenti, potenzialmente tutte e tre le bande avrebbero le carte in regola per entrare a far parte della gara. Per quanto riguarda la banda 700 è ora occupata dai broadcaster che dovrebbero liberarla al 2022. Ma già dal 2020 l’ Italia, per accordi internazionali, dovrà spegnere alcuni canali sul versante tirrenico perché la gara fatta nel 2015 in Francia ha previsto l’ utilizzo in Corsica e Costa Azzurra già da fine 2019. Dunque l’ Italia è chiamata a quella data a spegnere 4 dei 12 canali della banda 700, per 32 MHz. Per quanto concerne la banda 3.6-3.8 ci sono 100 MHz già liberi e altri 100 MHz sono appannaggio di ponti radio Rai; qui per l’ utilizzo si dovrebbe arrivare a un processo di progressiva liberazione. Più complessa la situazione nella banda 3.4-3.6 MHZ dove a 74 MHz in uso dal ministero della Difesa si aggiungono altri 126 MHz assegnati a vari operatori su base locale e liberabili al 2023. La visibilità sulla reale disponibilità di queste frequenze sarà centrale, come la scelta, ovviamente, delle frequenze messe a gara. Non si fanno cifre anche se, interpretando quanto dichiarato in un’ intervista nei giorni scorsi dal sottosegretario Giacomelli – che ha tratteggiato la possibilità di varare in tempi rapidi l’ asta, ponendola possibilmente anche come alternativa alla vendita di quote di Poste e Ferrovie – si era parlato di possibili 2 miliardi. Tanto, ma la cifra fra gli addetti ai lavori appare plausibile, anche in virtù del fatto che i player interessati non mancherebbero. Almeno 5, considerando i tre operatori mobili principali (Tim, Vodafone e Wind Tre), la nuova entrante Iliad e Fastweb che nei mesi scorsi si è detta particolarmente interessata. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Uno solo fa come una redazione

Italia Oggi
GOFFREDO PISTELLI
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Luca Donadel, classe 1993, studente di Scienze della comunicazione all’ università di Torino. Da marzo, a dettare l’ agenda della politica su un tema delicatissimo come gli sbarchi, è questo laureando torinese, che posta video, accuratissimi e documentati, avendo come sfondo la propria cameretta. L’ ultimo scoop è di pochi giorni fa, pubblicato da ItaliaOggi: una nave militare irlandese raccoglie profughi nel Canale di Sicilia o anche più verso le coste libiche e li trasporta fino ai porti italiani. «I giornali irlandesi parlano dell’ operazione Pontus, presentata come ”accordo bilaterale Irlanda-Italia”, ma se lei va sul sito della Farnesina non ne trova traccia», risponde al telefono, «e, da quello che ho potuto appurare, non c’ entrano nemmeno Frontex o Sophia, le ultime operazione europee». Prima ancora, un suo video sull’ attività sottocosta libica delle ong, aveva scatenato il grande dibattito e un’ inchiesta: mostrava con grande perizia il tracciamento delle imbarcazioni delle ong che facevano la spola. Domanda. Donadel chiariamo una cosa, chi la paga? Glielo avranno detto in molti, no? Risposta. In una certa fase, quasi un assillo. Anzi, quando nel video sulle ong mostrai il libro di Mario Giordano, Profugopoli, pensarono che fosse un’ operazione di marketing editoriale. D. E invece? R. Invece io vivo con i miei genitori, faccio i miei video in casa, con mezzi miei, avendo studiato informatica prima di spostarmi a Scienze della comunicazione. D. Figlio di papà? R. No, veramente in miei fanno l’ insegnante, mia madre, e il geometra, mio padre. Una famiglia normalissima. D. Allora lei è un militante grillino, lo ammetta. R. Mai fatto politica. Mai. D. E dunque, esaurite tutte le domande inquisitorie che molti vorrebbero farle, veniamo a noi. Come è cominciata questa sua attività? R. Avevo cominciato a fare video sulle cose che studiavo e mi occupavo, comunicazione digitale soprattutto. Poi, nei giorni di Brexit, mi è venuta voglia di fare un video diverso su quelli che mi parevano i vizi del mainstream informativo. D. Ossia? R. Tutti questi servizi o articoli a senso unico: per cui aveva votato «leave», ossia via dall’ Europa, erano solo una massa di zotici, ignoranti e vecchi, magari basandosi sul numero e tipo di interrogazione su «leave» e «Brexit» di un motore di ricerca come Google. D. Che può dire della quantità e non della qualità delle interrogazioni. R. Precisamente, il resto è gossip giornalistico. Ecco, mi pareva che, su un tema come Brexit, si facesse davvero solo chiacchiericcio e non informazione. Infatti il titolo che gli detti, tradiva un certo disappunto da parte mia: Le cinque cazzate che ti sei bevuto dopo il Brexit. D. E di lì ha preso il via. R. Sì, poi mi sono occupato di Islam D. Ah e i suoi genitori? R. Mi hanno manifestato un po’ di preoccupazione, ma mi han lasciato fare. Quindi mi sono occupato della elezioni di Donald Trump. D. Ah beh lì il mainstream si è effettivamente materializzato R. Al culmine. Con i servizi di Giovanna Botteri inviata Rai negli States, che si interrogava sulla possibile mobilitazione antitrumpiana: «Che cosa possiamo fare noi?»». D. Finché siamo arrivati alle ong nel Canale di Sicilia. R. Beh, più che Canale di Sicilia, come ho dimostrato, si era molto, molto più sud. Interessandomi alla vicenda ho trovato il sito marinetraffic.com che monitora, anche cronologicamente, tutti i movimenti navali, basandosi sui segnali del transponder di bordo. Ho potuto così tracciare le rotte delle imbarcazioni delle varie ong. D. E poi lei ha continuato. R. E poi sono arrivati, commenti a valanga, interazioni positive o negative, spesso argomentate. A volte anche gli insulti. D. Questo è un punto su cui torno. Però mi dica cosa la pensa lei, come cittadino, su un tema così delicato come l’ immigrazione e gli sbarchi. R. Io diffido degli slogan. D. In che senso? R. Nel senso che non credo all’ idea dei «no borders» dell’ abbattere i confini, dell’ accogliere tutti, insostenibile economicamente. Credo anche che le ong abbiano finito, purtroppo, per far crescere i morti i mare. Lo dicono i dati. D. Me lo spieghi meglio. R. Se le ong funzionano come traghetti, fino sottocosta, finisce che gli scafisti sono portati a usare imbarcazioni sempre più leggere ed economiche, al fine di massimizzare i profitti. Fanno arrivare i gommoni leggeri dalla Cina a Malta e lì prendono il via della Libia, ne ha parlato anche Toni Capuozzo in Terra su Canale5. Se potessero, le persone le imbarcherebbero sulle barchette di carta. Detto questo D. Detto questo? R. Detto questo non sono neanche d’ accordo con gli slogan di una certa destra, anche di Matteo Renzi recentemente, dell’ aiutarli a casa loro. Sussidiare senza un progetto è controproducente, può distruggere intere economie intere. Lo hanno documentato saggi come La carità che uccide. Come gli aiuti dell’ Occidente stanno devastando il Terzo Mondo, di Dambisa Moyo, economista zambiana. D. E dunque? R. Dunque bisogna procedere con cautela, con progetti che possano attivare le economie locali, creando sviluppo, magari usando la leva del microcredito. D. Che effetto le ha fatto questo notorietà, l’ aver in qualche modo contribuito a far avviare una inchiesta, come quella del procuratore catanese Carmelo Zuccaro. R. Sì il mio nome è uscito anche durante la sua audizione parlamentare. Mi ha fatto piacere, ma quello che mi interessa è un’ informazione corretta su fatti così importanti. D. E dell’ informazione, dei giornali, che idea s’ è fatto? R. Mi sono fatto l’ idea di un settore in crisi che, almeno nell’ online, predilige gli articoli acchiappa-click, come quelli sui piedi della Chiara Ferragni o della smorfia della moglie di Trump in quel certo incontro. Servono a monetizzare. A sprezzo della reputazione, però che va in fumo. D. Beh, però i giornali non sono solo quelli sul web. R. Ha ragione, l’ obiezione che mi fanno molti suoi colleghi è questa: «Ma quella è la redazione online», come se fossero mondi separati. Certo, chi ti ha letto per i piedi della Ferragni non verrà a comprarti in edicola. Ma c’ è un’ altra cosa. D. Dica. R. Internet ha impigrito un po’ i giornalisti: la verifica delle fonti, spesso, è affidata a quattro ricerche su Google. D. Lei invece? R. Io controllo e ricontrollo le miei fonti e, se ci fa caso, pubblico i link sugli articoli del mio sito, in modo che la gente possa andare a farsi i riscontri. D. Nessuno le ha mai fatto una proposta di lavoro? R. Ho scritto una cosa per Panorama e ho fatto alcuni video che Nicola Porro ha presentato a Matrix. D. Nessun giornalone le ha proposto un contratto? R. No. Qualcuno mi voleva a fare l’ opinionista nei talk show ma ho declinato, non è il mio mestiere e non mi piace quando, spesso, finisce in caciara. D. E allora, Donadel, che vuol fare da grande? R. Io spero di poter vivere di questo, come accade all’ Estero, dove ci sono influencer indipendenti, che non campano di pubblicità, ma di quello che può arrivare dai follower attraverso meccanismi di raccolta fondi online, su singoli progetti come il crowfunding. D. La strada è lunga. Ma quanti follower ha? R. La mia pagina Facebook ha 130 mila «mi piace», ma sono le condivisioni e le visualizzazione che contano davvero. D. Che vuole dire? R. Che non sono utenti «comprati», ma gente che segue e spessissimo interagisce. Mi sono arrivate anche mille richieste e messaggi diretti al giorno. D. Infatti io, che l’ avevo contattata via Telegram e Facebook, la inseguo da settimane e settimane. R. Mi spiace, ma in certi giorni non ce la faccio proprio: faccio da solo cose che hanno l’ audience di una redazione intera. Anzi, ora mi da una mano a scrivere gli approfondimenti, lo metta, Francesca Totolo, che ho conosciuto proprio rispondendo a dei commenti. D. Senta, mi diceva all’ inizio di aver ricevuto anche insulti. R. Poca roba, ma arrivano. Inevitabile quando diversi in qualche modo un personaggio pubblico. Capisco Laura Boldrini, ma la realtà è questa. D. Si pensava a una legge per arginare bufale e haters, gli odiatori. Serve, secondo lei? R. C’ è il disegno di legge che porta il nome della parlamentare Adele Gambaro (Ala). Io sono molto contrario. D. Spieghiamo perché. R. Perché penso che il rimedio sia peggiore del male. Secondo me, la Rete è una sorta di mercato libero e la sua mano invisibile finisce per premiare chi fa informazione corretta e penalizzare i bufalari. D. Lei dice? A giudicare delle condivisioni, le fake news che girano hanno molti più condivisioni del lavoro dei debunker, come David Puente o Paolo Attivissimo. R. Attenzione, Pistelli. I numeri di certe bufale sono accresciuti anche dai tanti che le condividono ma per farci sopra dell’ ironia, tanto sono improbabili. E comunque D. E comunque? R. E comunque una legge come quella di cui si parla porterebbe inevitabilmente a una sorta di «ministero della Verità», che mi fa più paura delle bugie confezionate ad arte. E mi preoccupa anche la Carta di Roma. D. Quella contro gli «hate speech», i discorsi di odio. R. A proporla sono realtà in rapporto con la Open Society di George Soros. D. Sì, ma con Soros, non le sembra che si alimenti un certo complottismo quando si ricorre sempre al milionario di origini ungheresi? R. Può essere, ma lui è sempre in prima linea quando si discute, come sta facendo anche Facebook, di meccanismi automatici per bloccare la libera espressione in Rete. E quando uno speculatore si interessa ad algoritmi per intervenire su Internet, mi fa una certa impressione. Non so a lei. D. Lei però si sente libero, oggi, su Facebook e su YouTube? Non le è capito che qualcuno, in disaccordo con quello che lei pubblica, l’ abbia segnalata, come si dice, per farle bloccare l’ account? R. Non ancora. Peraltro Facebook rimuove solo le minacce o le violazioni del regolamento. Comunque, so che queste regole possono cambiare, in qualsiasi momento e per questo ho costruito personalmente il mio sito: lucadonadel.it. Qualsiasi cosa succeda, io lì sono a casa mia. D. Lei politicamente come si definirebbe? R. Non saprei. So che non mi piacciono le etichette: se dici una cosa pro-immigrati sei subito un buonista, se osi mettere in dubbio certe ricostruzioni, sei un fascista. Insopportabile questa tendenza a mettere il cappello alle persone. Di questo passo D. Di questo passo? R. Diremo «buoni» e «cattivi», e non sarà un gran bel mondo. D. Nella vita privata, questo studente torinese col pallino dell’ informazione che fa? R. Le cose che fan tutti i miei coetanei, credo. D. Non è un nerd dell’ informazione digitale allora? R. Ma si figuri. Esco con la mia ragazza, con gli amici, vado in palestra D. Letture? R. Saggi, di qualsiasi genere, più che romanzi. Trovo che la realtà superi sempre di più la fantasia.

Ascolti radio, prima dell’ uscita si discute già sui dati Ter

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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A metà settembre arriveranno i primi dati della nuova ricerca sugli ascolti radiofonici, prodotta da Ter-Tavolo editori radio srl di cui sono soci i principali soggetti del mondo della radio. Mondo che, tuttavia, sembra aver imparato poco dalla vicenda Audiradio (società poi chiusa nel giugno 2011 proprio per l’ estrema litigiosità dei soci stessi) e che continua a mettere in discussione modi, tempi e qualità dei dati di audience prodotti ancor prima che questi siano pubblicati. Dopo anni di Radiomonitor a cura dell’ istituto di ricerca Gfk, l’ universo radiofonico ha dato vita, il 1° aprile 2016, alla Tavolo editori radio srl, con il compito di produrre una nuova indagine sugli ascolti. Gli azionisti di Ter sono: Radio Mediaset +Rti al 16%, Rai al 15,8%, Aeranti-Corallo 15% così come Frt, e poi Elemedia (le radio Gedi-Espresso) al 12,5%, Rtl 102,5 al 7,3%, Rds al 5,7%, Radio Italia al 5,5%, Il Sole-24 Ore al 3,6%, così come Kiss Kiss. La società è presieduta da Nicola Sinisi (appena riconfermato nella assemblea dello scorso 29 maggio) e ha un solo dipendente. Ha chiuso il suo primo bilancio di esercizio 2016 senza ricavi (perché i primi risultati di ricerca, da vendere a chi interessato, ci saranno solo nel 2017) e con 33 mila euro di costi di produzione che sono poi diventati automaticamente 33 mila euro di perdite (a erodere i 110 mila euro di capitale iniziale). Ipsos e Gfk si sono messe al lavoro per affinare la nuova indagine, e, nella primavera del 2017, hanno prodotto i dati del primo trimestre dell’ anno. Dati criptati, che non sarebbero mai stati resi pubblici, poiché si era ancora in una fase sperimentale, ma che sono stati inviati agli editori con molto ritardo proprio perché, sin da subito, sono stati sollevati problemi metodologici, con scontri, confronti accesi, e decisioni votate con maggioranze risicate. Per esempio una delle questioni era relativa al fatto che, a partire da questa indagine e a differenza di Radiomonitor, gli ascolti dei canali televisivi delle radio (pensiamo ad esempio a Rtl 102,5 tv, a Radio Italia tv o a R101 tv) vengono sommati agli ascolti della radio, con un effetto rilevante su alcuni brand. Tuttavia è anche abbastanza naturale che, con l’ avvento del colosso Mediaset nel mondo radio, ci siano le emittenti tradizionali che provano a difendersi e a fare valere il loro peso nel cda di Ter. Comunque alla ricerca di Ter hanno aderito 16 emittenti nazionali e 300 locali, e nella assemblea dei soci dello scorso 29 maggio si è deciso che la ricerca telefonica Cati di Ipsos e Gfk sia affiancata da una indagine parallela di Doxa che si focalizzerà sugli ascolti a 14-21-28 giorni. Come hanno specificato in coro gli editori radiofonici, ai tempi della nascita di Ter, quelli che usciranno a metà settembre 2017 «saranno i dati di una prima ricerca, in nessun modo comparabili a quelli delle precedenti rilevazioni. Dovremo essere bravi a non fare scattare subito il riflesso comparativo, su chi va meglio e su chi va peggio». E invece, parlando in queste settimane con gli operatori del settore, quel riflesso è già scattato, ancor prima di poter leggere i dati ufficiali.

Gazzetta.it compie 20 anni Via a 20 giorni di speciali

Italia Oggi

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Gazzetta.it festeggia oggi 20 anni di pubblicazioni su internet con 20 giorni di celebrazioni, organizzate su tutte le piattaforme del quotidiano sportivo del gruppo Rcs. Ogni giorno verrà riservato a un campione sportivo simbolo e autore della maggiore impresa in quell’ anno, impresa rivissuta attraverso immagini e racconti. I campioni, italiani e non, scelti per rappresentare le differenti discipline, spaziano da Gianluigi Buffon a Michael Schumacher, da Valentino Rossi a Marco Pantani fino a Roger Federer, Gregorio Paltrinieri, Federica Pellegrini e Bebe Vio. Online è stata dedicata una sezione ad hoc con un video inedito al giorno, tutti realizzati con la collaborazione di Edoardo Mecca, volto conosciuto dai frequentatori dei social, mondo affine a quello de La Gazzetta dello Sport. Sempre sul web è stato ideato un quiz a premi che metterà tutti alla prova sulla conoscenza di questi ultimi vent’ anni di storia sportiva. Sull’ edizione cartacea del quotidiano edito da Urbano Cairo, poi, arriva oggi in edicola una sovra-copertina speciale di quattro pagine, con le foto dei campioni di ieri e di oggi, la storia del sito, gli editoriali del direttore di allora Candido Cannavò e di quello attuale Andrea Monti. Ogni giorno c’ è in programma anche una pagina su un campione sportivo. Infine, il prossimo 15 settembre sarà in edicola un dorso speciale a tiratura aumentata de La Gazzetta dello Sport, con un focus sui prossimi 20 anni di sport e le rivoluzioni a venire.

La7 è più pubblica della Rai

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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C’ è stato un momento, attorno alla metà degli anni 80, in cui la cosa più moderna che chiunque potesse fare era quella di lasciare la tv sempre accesa su una pagina del Televideo Rai. Entravi nell’ ufficio di un manager, e questi aveva in bella vista la pagina Televideo delle quotazioni live in borsa; ti affacciavi nella stanza di un direttore di giornale, e aveva la tv lampeggiante sulla pagina Televideo dell’ Ultima ora. Qualche volta anche il monitor televisivo della cucina di casa proponeva l’ andamento dei titoli in diretta da piazza Affari, con le casalinghe che, tra il sugo e una polpetta, investivano su Generali o Comit per rivendicare la loro indipendenza economica. Ora credo che il Televideo lo usino in pochi, direi soprattutto quelli che non hanno un abbonamento a internet, che non hanno la pay tv, che magari non sanno usare tablet o smartphone. E pure i produttori di tv, ormai, non inseriscono quasi più il servizio Televideo tra gli optional. Tutto questo pippotto iniziale solo per dire che l’ altro giorno stavo guardando Televideo: nonostante mille tablet, smartphone, pc, tv satellitare, eccetera, ho ancora la vecchia abitudine di fare la carrellata delle notizie del Televideo sulla televisione della cucina, a casa. In apertura della pagina di politica si parlava della intervista che l’ ormai ex assessore al bilancio del comune di Roma, Andrea Mazzillo, aveva rilasciato a La7. Spesso leggo notizie in cui si cita La7. La tv edita da Urbano Cairo (ma questo lo faceva anche prima di Cairo) svolge, secondo molti, una vera e propria funzione di servizio pubblico. Soprattutto in estate, quando gli altri broadcaster, per molti motivi, tirano un po’ i remi in barca. La7, invece, per tutto giugno, luglio e agosto, è rimasta accesa: Omnibus in diretta dalle ore 7 fino alle 9,40, poi la linea a Coffee break, e quindi L’ aria che tira Estate dalle 11 alle 13.30, con il Tg di La7 a chiudere questo lungo pezzo di palinsesto, tutto live fino alle 14. Una pausa pomeridiana, quindi ancora Tg alle 20 e poi, dalle 20.35, il live di In Onda con Luca Telese e David Parenzo. Questo tutti i giorni, dal lunedì al venerdì. La7 è stata anche molto pronta, a differenza di altri network, quando si è trattato di lanciare edizioni straordinarie per importanti eventi accaduti proprio in estate, dalle elezioni in Francia fino agli attentati di Barcellona o il terremoto di Ischia. Ha svolto un servizio che faccio fatica a definire in altro modo: un servizio pubblico. Un servizio destinato, in parte, a tutta quella fascia di persone che per esempio si informa ancora col Televideo, e alla quale si deve pensare per prima quando si fanno ragionamenti di servizio pubblico. E infatti, come spiega Marco Ghigliani, amministratore delegato di La7, «non esiste l’ assioma che il servizio pubblico debba essere svolto da un’ azienda pubblica come la Rai. Noi lo svolgiamo tutti i giorni, con il 30% in più della proposta informativa totale delle reti generaliste, e quasi il 20% in più rispetto alla Rai. Il canone andrebbe ripartito su più soggetti che dimostrino di avere i requisiti per accedervi. Oppure, in subordine, si dovrebbe agire almeno sulla raccolta pubblicitaria concorrenziale della Rai che ora fa dumping e fare come, per esempio, in Francia dove sulle reti pubbliche vige il divieto di spot in prima serata». Alla fine di aprile 2017, tuttavia, il consiglio dei ministri ha dato il via libera al rinnovo della concessione per il servizio pubblico in esclusiva alla Rai fino al 1° maggio 2027. Questa decisione potrebbe aver chiuso la strada a ogni ulteriore dibattito sulla ripartizione del canone. Tuttavia la novità della riscossione del canone in bolletta elettrica dal 2016, con un deciso aumento delle entrate complessive e una intenzione governativa di ridurre, già a partire del 2018, la fetta di canone destinata alla Rai, potrebbe riaprire la questione. E le ragioni di La7, peraltro piuttosto equilibrata politicamente già di suo grazie al direttore Enrico Mentana e senza bisogno di commissioni di vigilanze varie, sarebbero da tenere in seria considerazione.

chessidice in viale editoria

Italia Oggi

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MasterChef Italia in chiaro su Tv8. Arriva su Tv8 (al tasto 8 del telecomando) per la prima volta in chiaro la sesta stagione di MasterChef Italia, in onda domani alle 21,15. Tornano i giudici Bruno Barbieri, Joe Bastianich, Antonino Cannavacciuolo e Carlo Cracco. La sesta stagione, prodotta da Endemol Shine Italy, si apre col casting di 150 aspiranti chef di fronte alla Stazione Centrale di Milano. Camogli, al Festival della comunicazione si parla di Connessioni. Il tema saranno le Connessioni cercando di capire e riflettere su come le informazioni, dopo essere passate da un dispositivo all’ altro utilizzando codici diversi, finiscano per avere un impatto sulle relazioni interpersonali, sulle abitudini e le possibilità espressive. Il luogo sarà nuovamente Camogli, dal 7 al 10 settembre, per la IV edizione del Festival della comunicazione. Oltre 130 gli ospiti e più di 80 gli incontri visibili in diretta streaming su www.festivalcomunicazione.it. Cattivissimo me 3 supera le aspettative d’ incasso nel giorno di uscita. Debuttato giovedì, Cattivissimo me 3 di Kyle Balda e Pierre Coffin ha aperto con 1.550.993 euro registrando 236 mila presenze, seguito a distanza da Overdrive con 68.727 euro (10 mila presenze) e terzo Amityville: Il Risveglio con 62.776 euro (9 mila presenze). Fnsi, garantire la «scorta mediatica» ai giornalisti minacciati. Non vanno lasciati soli e occorre impegnarsi «a rilanciare e ad approfondire le loro inchieste, quelle che hanno suscitato la reazione dei malavitosi»: è questo l’ impegno ribadito dai vertici della Fnsi (il presidente Beppe Giulietti e il segretario Raffaele Lorusso) nel ringraziare «ancora una volta» il presidente del senato Pietro Grasso che, intervenendo alla trasmissione Uno Mattina di Rai 1, «ha voluto ribadire come mafiosi e corrotti non possano sopportare la libertà di informazione perché rappresenta un ostacolo ai loro loschi affari». La Fnsi si augura poi che governo e parlamento «vogliano intervenire in modo urgente e risolutivo sulle cosiddette querele temerarie, un’ altra delle armi improprie per colpire i cronisti ”sgraditi”». Tgcom24, chi sono i Pesci Combattenti. Il filosofo greco Talete diceva che l’ acqua era il principio di tutte le cose: da tale principio nasce i Pesci Combattenti, film documentario di Riccardo Barlaam che racconta la storia di sette atleti, tra i più forti nuotatori paralimpici a livello mondiale, e della loro preparazione per i Giochi Paralimpici di Rio 2016. Domani in prima visione tv su Tgcom24 (canale 51 dtt, canale 509 Sky e canale 5020 SkyHd). Gruppo Focchi investe nel cinema. Il gruppo Focchi di Rimini, specializzato nel design e nella costruzione di involucri per grandi progetti di architettura, investe nuovamente nel cinema italiano in regime di tax credit esterno con Ammore e malavita dei Manetti Bros., in concorso a Venezia74, e Nato a Casal di principe di Bruno Oliviero nella sezione cinema nel giardino. La7, via alle prefinali di Miss Italia. Sono 11 le ragazze che rappresenteranno il Piemonte e la Valle d’ Aosta alle pre-finali nazionali di Miss Italia, al via domani a Jesolo (provincia di Venezia). Faranno parte delle 210 miss che si sfideranno per accedere alle finali nazionali del concorso, che culmineranno con la diretta televisiva del 9 settembre su La7. Via alla 4ª edizione di San Marino Comics Festival. Il 25, 26 e 27 agosto ritorna San Marino Comics, festival del fumetto, della musica, del cosplay e dello steampunk (narrativa fantascientifica). Ingressi gratuiti.

Giornali web in difficoltà

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI MARCO LIVI
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Difficile la vita per i quotidiani nati e cresciuti solamente online, in Italia come all’ estero, visto che nella Penisola solo poche testate sono in sostanziale equilibrio (e non sempre costante) mentre in Francia nemmeno l’ impronta decisamente investigativa del giornalismo transalpino ne ha salvato molte. Per esempio il sito Rue89, tra i primi a credere nel citizen journalism (con notizie fornite dagli utenti-lettori), è finito come canale secondario all’ interno del sito de Le Nouvel Observateur, a sua volta passato sotto la proprietà de Le Monde. Più di recente Slate.fr, versione francese dell’ originale americano Slate.com, ha richiesto l’ ennesimo intervento del suo azionista di riferimento: Benjamin de Rothschild, che ha iniettato altri 2,15 milioni di euro ed è diventato così socio di controllo. Non è la prima volta che la famiglia di banchieri, seppur suddivisa in differenti rami, accorre al capezzale dell’ editoria: Edouard de Rothschild, per esempio, è stato a lungo editore del quotidiano Libération (nel cui azionariato compariva anche il principe Carlo Caracciolo, fondatore del gruppo L’ Espresso-Repubblica, oggi Gedi). Ultime vestigia di un’ epoca in cui essere editori aggiungeva status. Intanto a Slate è stato diluito uno dei suoi soci fondatori, Jean-Marie Colombani, notabile del giornalismo internazionale essendo stato il direttore storico de Le Monde. Complessivamente, dal 2008 al 2016, Slate ha assorbito oltre 10 milioni di euro. Se quest’ ultimo giornale online ha finora battuto la strada dell’ informazione generalista (pur con propri contenuti originali aggiuntivi) e quella dell’ accesso gratuito agli articoli, invece c’ è Mediapart.fr che ha impostato fin dall’ inizio la consultazione al sito secondo un modello a pagamento e si è promosso come portale unicamente d’ inchieste. Oggi la testata co-fondata da Edwy Plenel dichiara di essere in equilibrio dal 2010, vanta 130 mila abbonati, a fine 2016 ha registrato ricavi totali per 11 milioni di euro. Si tratta però di un caso più unico che raro, anche in confronto all’ Italia dove il modello a pagamento parte perlopiù solo dopo la lettura di un numero prestabilito di articoli (e non sempre superato dalla maggior parte del lettorato). Come possono uscire dall’ impasse le testate online? Da Slate, per esempio, il nuovo vertice capeggiato da Marc Sillam, neo-direttore generale, sta riflettendo se introdurre il paywall (o sbarramento alla lettura prima di far pagare l’ utente). Ipotesi che comporta, però, il rischio che il numero dei lettori cali. Di contro c’ è un segnale positivo da cavalcare, sempre secondo il management di Slate, ossia la crescita dei lettori che si collegano via cellulare. A maggio scorso, secondo le rilevazioni più recenti e disponibili, il dato ha raggiunto quota 2,6 milioni di utenti unici. Adesso si tratterà di capire come coinvolgere il pubblico mobile e fidelizzarlo. Magari facendogli pagare anche qualche euro in più, rispetto a prima.

La nuova radio del Diavolo fa il pieno di ascoltatori

Libero

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FRANCESCO PERUGINI La stagione del Milan è cominciata al meglio e il mercato è ancora bollente. Radio rossonera, invece, sta completando il suo precampionato trionfale: dopo la sosta per le nazionali debutterà il palinsesto completo con otto ore di trasmissione al giorno, nuovi programmi e nuove voci radio fatta dai tifosi per i tifosi del Diavolo. Incredibili i primi tre mesi di questa avventura: si galoppa verso i 500mila ascolti a fronte di appena 100 ore di programmazione. I supporter milanisti hanno risposto alla grande, in tutto il mondo: c’ è persino chi è arrivato dall’ Argentina con una maglia numero 10 della Seleccion. «Seguiamo il pre e il post delle partite, presentiamo interviste fuori dai canoni e presto parleremo anche delle giovanili», dice il direttore Pietro Balzano Prota. Tra le novità anche spazi per le realtà social più note dell’ universo rossonero, per la storia del club (Casciavìt) e lezioni di tattica. In attesa di avviare iniziative e incontri in collaborazione con la società di via Aldo Rossi, che ha supportato da subito l’ avventura della web radio. «La partecipazione dei tifosi è diventata una necessità. I nostri ascoltatori interagiscono di continuo, ci arrivano 250 messaggi per ogni ora di trasmissione: uno ogni 10-12 secondi», sottolinea Giuseppe La Scala, volto noto dei piccoli azionisti del Milan e anima dell’ emittente. «Le persone fanno domande, criticano, correggono gli errori e discutono gli articoli dei quotidiani. Questo è un nuovo modo di fare giornalismo, che interpreta le esigenze di quelli che erano stanchi dell’ informazione “orientata” dalla vecchia dirigenza. Era un metodo che aveva diviso il mondo rossonero». «Il nuovo management, invece, si è conquistato molta fiducia, mantenendo le promesse e lavorando con trasparenza», prosegue il volto storico dei piccoli azionisti rossoneri, «Fassone e Mirabelli ascoltano i tifosi e parlano attraverso i social. La risposta? Oltre 100mila spettatori per due partite di preliminari di Europa League e iniziative come quella lanciata dai “Milanisti non evoluti”, #ComproOriginale: un modo per ripagare la società acquistando solo merchandising autorizzato». L’ obiettivo del Milan è quello di tornare subito in Champions League e cancellare lo scetticismo attorno alla nuova proprietà. «D’ altra parte, la società Milan è in una situazione migliore di altre società come Inter e Roma: banalizzare quindi è sbagliato. Ma non si possono nascondere delle situazioni delicate: lo dimostrano gli alti tassi di interesse cui ha dovuto sottostare Yonghong Li per ottenerei prestiti necessari per il closing», assicura senza nascondersi l’ avvocato La Scala. «Non sappiamo quello che succederà in Cina: se si sbloccheranno i capitali e torneranno gli investitori originari, avremo certe dinamiche. E anche Suning magari tornerà a spendere per l’ Inter. Il peggiore degli scenari vede il passaggio del club rossonero a Elliott. Che, a mio parere, avrà tutto l’ interesse a mantenere alto il valore della società, piuttosto che svenderla in fretta». E i sogni di Radio Rossonera? «Mentre vogliamo rimanere un media indipendente che “dialoga” con la società, puntiamo a includere sempre più figure di spicco della società civile nel nostro azionariato. Sono quelle stesse personalità che, presto o tardi, potrebbero andare a chiedere conto a Beppe Sala delle sue recenti parole da sindaco interista». riproduzione riservata ESPERIMENTO Giuseppe La Scala, avvocato e volto noto dei piccoli azionisti del Milan, è l’ anima di «Radio Rossonera»; la nuova emittente del tifo milanista IL BOOM In soli tre mesi di vita ha raggiunto 500mila ascoltatori, ed è pronta ad aumentare le ore di programmazione con talk, dibattiti e postpartite Talk e voce ai tifosi nel palinsesto della radio.

Non solo i big della Rete raccolgono informazione sugli utenti. In Svizzera gli editori cambiano le regole per avere dati per marketing e analisi di mercato

Prima Comunicazione

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I giganti internazionali come Facebook e Google non sono gli unici a raccogliere i dati dei loro utilizzatori a fini pubblicitari. Anche imprese svizzere, come Tamedia o Swisscom, hanno cambiato le loro regole sulla confidenzialità e si lanciano in questo settore. Qualche settimana fa – riporta Tio.ch – gli utenti del sito di vendite online Ricardo sono stati avvisati per e-mail del cambiamento delle regole. Le informazioni potranno essere trasmesse a Tamedia, proprietaria della piattaforma internet, per «permettere lo scambio di dati». In un documento di dieci pagine il sito spiega che Tamedia può raccogliere le informazioni da tutte le sue pagine internet e utilizzarle per marketing o analisi di mercato. Il gruppo editoriale zurighese ha iniziato a unificare la politica sulla confidenzialità un anno e mezzo fa, spiega all’ ats il portavoce Christoph Zimmer. I cambiamenti riguardano il giornale gratuito “20 Minutes”, i quotidiani a pagamento, i domenicali, tutte le riviste e i siti Homegate, Olmero, Ricardo, Starticket e Tutti. Christoph Zimmer (foto Twitter) Tamedia registra nome, indirizzo, sesso e indirizzo e-mail dell’ utente, ma anche il suo comportamento online. Il gruppo sa quali rubriche dei giornali l’ utente consulta più spesso ed esaminando i 29 siti riesce a capire quale musica o quale sport preferisce, se ha figli o è alla ricerca di un appartamento. Si tratta di dati interessanti per i pubblicitari perché chi cerca un appartamento, ad esempio, probabilmente avrà bisogno di nuovi mobili, oppure chi ha figli vorrà prenotare vacanze in famiglia. Google e Facebook utilizzano già da anni i dati per pubblicità mirata. Secondo uno studio della Fondazione statistica svizzera in pubblicità, con questo sistema Google ha realizzato 450 milioni di entrate pubblicitarie in Svizzera, pari al 41% del totale dei ricavi pubblicitari online. I rapporti di forza in questo settore dovrebbero cambiare, spiega Manuel Puppis, specialista dei media all’ università di Friburgo. «I media classici, ma anche le imprese di telecomunicazione come Swisscom, cercano di accaparrarsi una fetta di torta». E la condivisione dei dati è un buon metodo per arrivare ai loro fini. I gruppi mediatici devono trovare nuovi mezzi per generare entrate visto che quelle degli annunci pubblicitari sono calate di quasi la metà in dieci anni. Tamedia e Ringier hanno iniziato a diversificare i loro affari anni fa acquisendo siti internet che sperano di rendere redditizi grazie alla raccolta di informazioni. L’ anno scorso Ringier, assieme a SSR e Swisscom, ha lanciato la società Admeira, destinata a fare concorrenza alle finestre pubblicitarie estere. Admeira ottiene dati sulle dimensioni dell’ economia domestica, la classe di reddito, il potere di acquisto e le abitudini degli abbonati principalmente da Swisscom e Swisscom TV. Ringier per il momento non ha ancora condiviso le informazioni provenienti dai suoi siti. L’ incaricato federale per la protezione dei dati, Adrian Lobsiger, ritiene problematica la raccolta di dati degli utenti internet (webtracking) a fini pubblicitari. L’ utente deve espressamente confermare di essere stato informato della raccolta e approvare il webtracking. Per evitarlo, Mister Dati consiglia di cancellare la cronologia dopo ogni sessione o di utilizzare la funzione “do not track” presente su alcuni browser. L’ utente però non ha nessun mezzo per verificare se la sua volontà è rispettata. Manuel Puppis consiglia di informarsi sulle disposizioni di confidenzialità, ma ammette che per chi non è giurista le spiegazioni sono difficilmente comprensibili.

Fenomeno youtubers, la loro vita diventa un film

Il Giornale
RS
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Sono stati gli stessi protagonisti ad annunciare l’ inizio delle riprese di Social Dream, film sulla vita degli youtuber Favij, i Mates e LaSabriGamer, prodotto da Sky, Indiana Production e Web Stars Channel. Non ci saranno attori perché non ci sarà un copione, il film sarà un racconto in presa diretta della vita dei giovani youtuber tra i più seguiti d’ Italia. Favij (Lorenzo Ostuni): è la star italiana del web con più iscritti al suo canale. FavijTV è nata quasi 5 anni fa e ora sfiora i 4 milioni di fan. A soli 16 anni è riuscito a trasformare la sua passione per il gaming in un canale di successo e nel 2014 è stato il primo italiano ad aggiudicarsi il Google Golden Button, premio attribuito a chi riesce a superare il milione di iscritti sul proprio canale YouTube. Invece i Mates – gruppo formato da Anima (Sascha Burci), St3pny (Stefano Lepri), SurrealPower (Salvatore Cinquegrana) e Vegas (Giuseppe Greco) – è la formazione di youtuber più seguita del web, anche loro appassionati di videogames. Hanno già pubblicato un libro da oltre 100.000 copie e ideato una loro linea di abbigliamento. Infine LaSabriGamer (Sabrina Cereseto), un passato da modella, diventa una delle youtuber più seguite in Italia, capace di unire la passione per i videogiochi (e per gli animali) con l’ approfondimento di argomenti più delicati e cari ai giovani. Tre fenomeni mediatici che raccontano per la prima volta la loro vita quotidiana: tra aspetti privati e viaggi in giro per il mondo e il rapporto costante con i loro fan che conta complessivamente circa 30 milioni di persone. E uno spazio all’ interno del film sarà dedicato al loro pubblico in Italia, dove parteciperanno ai più famosi eventi dedicati ai videogiocatori. La regia del film è affidata a Tak Kuroha, nato a Tokyo, cresciuto a Milano, sceneggiatore e regista di videoclip, spot, fashion film. Il film uscirà nel 2018 e poi andrà in esclusiva su Sky. Per Sky Italia e per Indiana Production (che solo alla prossima mostra di Venezia 2017 porterà due dei film italiani in concorso per il Leone d’ Oro, Ella & John – The Leisure Seeker di Paolo Virzi e Una Famiglia di Sebastiano Riso), il terzo produttore di Social Dream, merita qualche parola perché non tutti lo conoscono ma è una realtà molto importante nel nuovo scenario multimediale. Web Stars Channel è la prima Influencer Media Company che crea campagne di branded content, grazie alla factory proprietaria che gestisce in esclusiva i «content creator» più seguiti d’ Italia e un team di professionisti dedicato alla produzione e allo sviluppo delle idee creative. RS.

L’ opa di caltagirone stenta a decollare

La Verità

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Il prezzo, evidentemente, non è molto giusto. A un mese dal lancio dell’ Opa volontaria per il delisting di Caltagirone Editore, quotato a Piazza Affari, le adesioni sono arrivate a quota 52.689, pari allo 0,156% circa dei titoli oggetto dell’ offerta. E il titolo è sopra del 20% – come riporta Alliance News, agenzia di stampa inglese – rispetto al prezzo offerto dall’ azionista di maggioranza, la famiglia di Francesco Gaetano Caltagirone (foto). Insomma, per l’ Opa la strada è più in salita che mai.

Facebook ha bisogno degli editori (e viceversa)

Il Foglio

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L’ esito della guerra è probabilmente già segnato da tempo. Basta guardare i numeri: i giornali tradizionali vendono sempre di meno, e – tranne alcune eccezioni – i ricavi dell’ online non bastano a coprire le perdite della carta; sempre più persone si informano passando dai social network, soprattutto Facebook, diventato nel tempo un editore di fatto, anche se il fondatore Mark Zuckerberg continua a negarlo, per evitarne le conseguenze. Ci sono però battaglie dall’ esito incerto, dalle quali sembra di capire che nonostante tutto Facebook ha bisogno dei giornali (e viceversa, naturalmente). Dopo avere provato a portare i contenuti dei quotidiani direttamente sulle pagine del social network con gli instant articles, Facebook ha visto fuggire diversi big, dal New York Times al Wall Street Journal, che non ricevevano più clic ma neppure entrate pubblicitarie sufficienti. Da qui la nuova mossa di Zuckerberg, annunciata da lui stesso giovedì: presto gli editori potranno vendere notizie e abbonamenti ai quotidiani direttamente su Facebook. L’ idea, da sperimentare, sarebbe quella di permettere la lettura gratuita di alcuni articoli sul social e poi chiedere agli utenti di pagare, così come succede per il paywall di diversi giornali. Il problema mai risolto delle news su Facebook è quello della loro credibilità: link graficamente tutti uguali confondono i lettori, che tendono a mettere sullo stesso piano una notizia del Financial Times e una bufala. Zuckerberg sta rubando lettori ai giornali, ma continua ad avere bisogno del lavoro di chi le notizie sa trovarle e verificarle. Forse non ucciderà i giornali, ma darà loro una seconda possibilità.


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