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Rassegna Stampa del 22/08/2017

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Indice Articoli

Censura in Cina, passo falso di Cambridge

Fotoreporter, il web è un’ arma

Chessidice in viale dell’ Editoria

Canal+ cerca il rilancio d’ autunno

Google, test per far pagare gli articoli dei giornali

«LE REGOLE SUL WEB NON SONO UN ATTENTATO ALLA LIBERTÀ DI STAMPA »

Censura in Cina, passo falso di Cambridge

Il Fatto Quotidiano
Andrea Valdambrini
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Censurarsi o sparire, questo è il dilemma nella Cina di oggi. Cambridge University Press, la più antica e prestigiosa casa editrice universitaria del mondo, ha prima rimosso per alcuni giorni, su richiesta del governo di Pechino, centinaia di articoli dalla sua pagina web visibile in Cina. In un secondo momento, è tornata sui suoi passi, ristabilendo la possibilità di accesso agli articoli della sua rivista scientifica messa nel mirino. Il ripensamento è dovuto alla pressione di molti intellettuali. Ieri, dopo giorni di proteste e lettere aperte dal mondo accademico internazionale, diversi studiosi hanno firmato una petizione chiedendo a Cambridge di respingere un atto da loro definito di “insopportabile censura”. Nel testo della petizione, lanciata sulla piattaforma change.org, si arrivava a minacciare il boicottaggio delle pubblicazioni in caso l’ editore avesse continuare a piegarsi ai diktat di Pechino. Tutto ha avuto inizio venerdì scorso, quando Cambridge University Press comunicò la decisione di attenersi alla richiesta cinese di rimuovere oltre 300 articoli della rivista China Quarterly, pubblicazione scientifica dedicata alla storia contemporanea del gigante asiatico. Nella lista degli articoli oscurati, resa pubblica dallo stesso editore britannico, figurano argomenti sensibili per il governo di Pechino: dal massacro di Piazza Tienanmen del 1989 agli orrori della Rivoluzione Culturale, dalle tensioni in provincie come il Tibet e il musulmano Xinjiang fino alla lotta per la democrazia a Hong Kong. Tra gli autori, alcuni tra i massimi esperti mondiali di Cina, quali il politologo Andrew Nathan, dell’ Università Columbia, o ggli storici Roderick MacFarquhar e Ezra Vogel, dell’ Università di Harvard. “Abbiamo rimosso singoli articoli proprio per assicurare che altro materiale accademico e culturale rimanesse disponibile ai ricercatori in quel mercato”, si era difesa Cambridge. Molti accademici hanno però accusato l’ università di “vendere l’ anima” alla censura. Christopher Balding – promotore della petizione e professore di Economia all’ Università di Pechino – ha sottolineato il rischio di trasformare le università, luoghi indipendenti di cultura, in “roccaforti del Partito comunista”, come aveva esortato lo stesso presidente Xi Jinping nel dicembre 2016. La risposta alla sollevazione degli intellettuali è arrivata dal Global Times, quotidiano del regime, che ha ribattuto come le norme rientrino nella piena sovranità cinese e siano necessarie alla sicurezza nazionale. “Le istituzioni occidentali hanno tutto il diritto di scegliere”, si legge in un editoriale. “Se non va bene, possono andarsene. Ma se pensano che il mercato di internet in Cina sia importante, devono rispettare le nostre leggi”. Il passo falso di Cambridge si lega alla stretta sempre più forte su internet, che a lungo aveva riguardato soltanto i contenuti in lingua cinese, mentre ora si estende a quelli in inglese, finora presi meno di mira dalle autorità in quanto appannaggio perlopiù dell’ élite. Giganti del web e media anglofoni devono sottostare a rigide regole codificate all’ inizio di quest’ anno. Le risposte sono state diverse: c’ è chi come Google ha preferito andarsene, sostituito dal motore di ricerca filogovernativo Baidu, e chi come Apple – che come è noto produce iPhone e McBook proprio in Cina – si è adeguato. In tale contesto, portali giornalistici come quello del New York Times o del Financial Times, risultano ormai un miraggio per i cybernauti cinesi.

Fotoreporter, il web è un’ arma

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Ha sempre meno senso la figura del fotoreporter che insegue l’ attimo fuggente alla Robert Capa. A Barcellona, per esempio, i fotogiornalisti «non avrebbero aggiunto nulla al racconto dell’ ultima strage, dopo gli scatti fatti coi cellulari dai passanti. Meglio guardarsi attorno, cavalcare sì la diffusione delle immagini ampliata dalle nuove tecnologie ma inventandosi anche nuovi temi, approfondendo soggetti (dal clima alla pesca sostenibile) e, perché no, creando nuovi modi di raccontare, magari attraverso un diario di lavoro in stile backstage su Instagram», spiega a ItaliaOggi Francesco Zizola, pluripremiato fotografo tricolore che porta in Italia le mostre dell’ organizzazione non profit World Press Photo (tra l’ altro al prossimo Festival di Internazionale a Ferrara, 29 settembre-1° ottobre). Nel futuro del fotoreporter comunque, non scomparirà la cronaca, quella che si vede sui giornali tanto per capirci, interviene Jean-François Leroy, direttore di Visa pour l’ image, una delle principali kermesse internazionali di fotogiornalismo (a Perpignan in Francia, ai confini con la Spagna, 2-17 settembre): «l’ attualità va però trattata con più attenzione, garantendo qualità al pubblico perché esiste un pubblico che cerca qualità». E allora perché non parlare a Visa del fotogenico neopresidente Emmanuel Macron (le foto delle sue vacanze han già riempito i quotidiani)? «Non ne dobbiamo parlare perché è il nuovo presidente, bensì lo includeremo nella nostra esposizione quando sarà stato capace di riformare la Francia». Quindi, nell’ epoca dell’ immagine la fotografia riesce a mantenere un ruolo, nonostante la concorrenza dei video, ma oggi più che mai si ripensa per sopravvivere, tra puristi e tradizionalisti dello scatto, entusiasti e non dei social, alle prese con gli stessi problemi del giornalismo scritto, tra cui la tutela del copyright e i bassi compensi (una foto può essere venduta anche a 2,5 euro, secondo Leroy: i soldi veri ci sono solo per immortalare vip e principesse). «Lo sai che David Guttenfelder è diventando una grande firma grazie al milione di follower che seguono su Instagram il suo diario di lavoro? Solo dopo è stato contattato dal New York Times magazine», prosegue Zizola, che a Cagliari organizza fino al 17 settembre la mostra Sale Sudore Sangue. «O ancora, se tutti parlano di cambiamenti climatici, nulla vieta a un fotoreporter di approfondire il tema assieme a scienziati ed esperti, potendo raccontare con le immagini le possibili soluzioni ai danni dell’ inquinamento. Solamente in questo modo si emerge. Ed è una ricetta che vale per tutti». Soprattutto per chi saprà inventare progetti sia per giornali sia per Terzo settore, università e istituzioni. Ed è ancora più vero per chi lavora in Italia dove, a giudizio di Zizola, le scuole per fotoreporter sono «poche e riservate a privilegiati». «Il turnover generazionale è un problema», sottolinea Leroy. «Ma, almeno, al giorno d’ oggi ci si può sbizzarrire coi temi, perché anche gli avvenimenti locali interessano l’ opinione pubblica internazionale». Così il direttore di Visa pour l’ image porta in Francia il Venezuela (e la lotta per la democrazia) oppure le Filippine (con la spietata guerra alla delinquenza del presidente Rodrigo Duterte). Infine, qualche consiglio di Zizola: prestare attenzione ai nuovi fotoreporter africani, decisi a non lasciare il ritratto del Continente nero in mano ai fotogiornalisti occidentali; studiare l’ esempio di Jon Lowenstein che mischia l’ uso di cellulare, polaroid e macchina tradizionale o ancora il caso del 30enne Tommaso Protti, che scandaglia le ragioni del malcontento sociale in Brasile.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Mondadori continua l’ acquisto di azioni proprie. Arnoldo Mondadori Editore ha acquistato sul Mercato telematico azionario, nel periodo tra il 14 agosto e il 18 agosto scorso, 23 mila azioni ordinarie (pari allo 0,009% del capitale sociale) al prezzo unitario medio di 1,8476 euro per un controvalore complessivo di 42.493,8 euro. Tgcom24.it, secondo sito di informazione italiano. Secondo le rilevazioni Audiweb sul mese di giugno (a perimetro complessivo), la testata del sistema d’ informazione multimediale Mediaset diretta da Paolo Liguori, con 1.114.711 lettori giornalieri medi su pc e su mobile, ha superato Corriere.it che ha totalizzato 1.088.550 lettori. Tgcom24.it ha registrato un +8% rispetto a maggio 2017 e un +31% rispetto a giugno 2016. È stata l’ unica testata tra le prime tre a registrare nel confronto un doppio segno positivo sia rispetto a Repubblica.it, che guida ancora la classifica, sia a Corriere.it. Per quanto riguarda l’ audience legata al traffico sui dispositivi mobile, Tgcom24.it a giugno è tornato in prima posizione con una media di poco superiore ai 734 mila lettori al giorno. Le rilevazioni Audiweb si riferiscono sia alla versione responsive sia all’ app sui device portatili (smartphone e tablet). Dietro Tgcom24.it c’ è Repubblica.it (visitata in media da circa 671 mila lettori al giorno), quindi Corriere.it (con 459 mila utenti quotidiani). La crescita di lettori del sito Mediaset su mobile è stata del 9% rispetto a maggio 2017 e del 60% rispetto a giugno del 2016. Domenica Sportiva, esordio di stagione in crescita. Poco meno di 1,3 milioni di spettatori (1,278 mln per l’ esattezza) e share al 13,53% per l’ esordio su Rai2 della Domenica Sportiva. Lo scorso anno la prima puntata ha registrato 1,254 milioni di spettatori e l’ 11,44% di share. Nel corso della trasmissione è stato registrato il picco di ascolto alle 23,12 con 2,8 milioni di spettatori, grazie ai goal di Inter-Fiorentina, e il picco di share alle 23,56 (share 17.19%) con il resoconto di Atalanta-Roma. Cinema, 400 milioni incasso per Dunkirk di Nolan. Costato 100 milioni di dollari, Dunkirk di Christopher Nolan con Kenneth Branagh, Tom Hardy, Cillian Murphy ne ha già incassati 392 nel mondo, 165 solo negli Usa. Il film uscirà in Italia il 31 agosto. Il suo precedente film Interstellar costato 165 milioni di dollari ne aveva totalizzati 675 nel 2014. L’ Antoniano racconta Amatrice. Ligabue accompagna. Un documentario per raccontare Amatrice: è Il Convento di Plastica, produzione interamente realizzata dal Centro dell’ Antoniano di Bologna, che racconta il tempo vissuto da un gruppo di frati francescani ad Amatrice dopo l’ evento sismico. La colonna sonora è La Terra trema, amore mio», firmata da Luciano Ligabue. La produzione andrà in onda in più giorni su Rai Storia, canale 54 del digitale terrestre e 805 di Sky: oggi alle ore 23,00, domani 23 alle ore 16,50 e giovedì 24 alle ore 11,10. Sky ricorda Jerry Lewis. Su Sky Cinema Classics HD va in onda una speciale maratona, già dal primo pomeriggio, su Jerry Lewis, leggenda della commedia americana. Si parte alle 14,10 con Pazzi, pupe e pillole di Frank Tashlin, si prosegue alle 15,40 con Boeing, boeing di John Rich. A seguire due tra i film più amati diretti e interpretati da Lewis: alle 17,25 Le folli notti del Dottor Jerryll e alle 19,15 I sette magnifici Jerry. Tutti e 4 i film saranno disponibili anche su Sky On Demand. L’ omaggio prosegue alle 20,00 su Sky Arte HD con il documentario Jerry Lewis – L’ uomo dietro il clown. Freestyle tutta un’ altra stanza, speciale Norcia. Giovedì, in chiaro su Super! e su Sky su DeAKids, andrà in onda, in occasione del primo anniversario del sisma che ha colpito il Centro Italia nel 2016, una puntata speciale di Freestyle tutta un’ altra stanza condotta da Giovanni Muciaccia e girata a Norcia. Obiettivo: decorare gli spazi della nuova scuola «De Gasperi – Battaglia» seguendo i desideri dei 200 studenti umbri.

Canal+ cerca il rilancio d’ autunno

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Canal+ scopre le carte che giocherà nella nuova stagione televisiva per recuperare ascolti, abbonati e pubblicità. Oltre infatti al taglio dei costi, che sta riguardando differenti aree, il gruppo possieduto dalla Vivendi di Vincent Bolloré ha bisogno di fare le giuste mosse perché la crisi ha anche a che vedere con i contenuti che ha proposto nelle ultime stagioni. Ecco che una delle iniziative sarà l’ arrivo, sul canale che dà il nome al gruppo, di un giornalista molto seguito in Francia, Yves Calvi, una presenza fissa in televisione e radio, dal 2001 al 2016 a France 5 e dallo scorso anno a Lci. Le Figaro spiega che il volto di Calvi capeggia nelle maxi affissioni con cui Canal+ sta pubblicizzando la nuova stagione e che il giornalista è presentato come «il più grande manifesto di questo autunno». A Calvi sarà affidato il compito di rivitalizzare la fascia 18,20-20,35, che ormai è un deserto di pubblico. Le Grand Journal, il programma trasmesso dal 2014 al 2016 nello stesso orario, è riuscito a ottenere un primato davvero poco invidiabile: passare da 1 milione di spettatori a 100 mila, un decimo di quelli iniziali. Ma la perdita di spettatori è per Canal+ groupe, che ha un’ offerta gratuita ma anche una pay, solo parte del problema. Nel tempo il gruppo è diventato meno competitivo sui contenuti premium, con meno diritti sportivi e su serie tv, soprattutto dopo la guerra con Altice. Secondo i dati rilasciati a maggio ha perso 401 mila abbonati arrivando a 5,145 milioni. Ci sono stati poi problemi di gestione e scivoloni vari che hanno fatto la loro parte. È il caso di Touche pas à mon poste (Non toccare il mio post) la trasmissione satirica di C8 che ironizza sugli altri programmi e sui video postati in rete (in l’ Italia è stato trasmesso un adattamento di questo format con il titolo Sbandati su Rai 2). Ebbene, il Conseil supérieur de l’ audiovisuel ha bloccato la pubblicità nello show per tre settimane e inflitto una multa da 3 milioni di euro dopo una puntata accusata di omofobia. C’ è inoltre la questione ITélé, ora Cnews, la cui redazione è in agitazione dalla fine del 2016 per la riorganizzazione in corso, con scioperi che hanno portato a 4 milioni in meno di raccolta. Per questo canale si parla di perdite triplicate a 31,9 milioni, per quello precedente il rosso è a +67% a 50 milioni. Ma per l’ intero gruppo nell’ ultimo trimestre i ricavi sono calati del 3,8% mentre il margine operativo lordo è sceso di quasi il 67%. A fine mese si avranno i risultati dei sei mesi, anche se Bolloré ha dato appuntamento in autunno per fare un bilancio delle iniziative intraprese, tra le quali il piano di risparmi da 350 milioni entro il 2018. Oltre a Calvi, il direttore generale di Canal+ groupe, Gérald-Brice Viret, vuole offrire più partite della Ligue 1, la Serie A francese, e per questo saluta con entusiasmo l’ arrivo di Neymar al Paris Saint-Germain, una presenza che sicuramente rinforzerà l’ interesse degli appassionati. Si punta anche sulle serie, fra cui Homeland per la quale è stato siglato un accordo con Showtime, e poi ancora sul portafoglio di film Premium. Dal punto di vista commerciale, poi, sembra aver pagato la strategia di allearsi con Free e Orange per attrarre nuovi abbonati offrendo alcuni canali con pacchetti scontati ai clienti delle due telco. © Riproduzione riservata.

Google, test per far pagare gli articoli dei giornali

Italia Oggi

link

Anche Google farà la sua parte nel rendere disponibili agli editori strumenti per incentivare e facilitare il pagamento dei loro contenuti online. Secondo Bloomberg, infatti, la società madre del motore di ricerca, Alphabet, sta sviluppando funzioni in tal senso e per questo sta già collaborando con il New York Times e il Financial Times. Si tratta del secondo annuncio in poche settimane, dopo che già Facebook aveva ammesso di voler includere simili strumenti nel proprio Instant Articles. Il lavoro di Google da una parte ridà slancio alla sua funzione «first click free» che invita i giornali a pagamento a offrire gratuitamente articoli a cui si arriva attraverso la ricerca. Dall’ altra, invece, studia strumenti con cui gli editori possano farsi pagare i contenuti ma prima ancora con cui possano individuare gli utenti che potrebbero essere disposti a pagare e capire anche quanto. Secondo Richard Gingras, il vice president per le news di Google, infatti, si tratta di dare un aiuto sulla strategia di offerta da seguire, che non potrà essere uguale per tutti. «È chiaro dagli editori che non possono vivere sulla pubblicità da sola», ha detto Gingras. «Ma è anche chiaro che noi stiamo vedendo un cambiamento nel mercato». La competizione di Google con Facebook, insomma, sembra possa portare buoni frutti agli editori. Per il social network è essenziale mantenere buoni rapporti con chi pubblica i giornali e assicurarsi comunque contenuti di qualità. Per il motore idem, anche perché Google deve riportare la centralità sul suo servizio in un momento in cui Facebook è la porta d’ accesso a Internet degli utenti, soprattutto sul cellulare.

«LE REGOLE SUL WEB NON SONO UN ATTENTATO ALLA LIBERTÀ DI STAMPA »

Il Dubbio
ROCCO VAZZANA
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«L’ unico errore di Laura Boldrini? Aver deciso troppo tardi di denunciare i suoi aggressori, avrebbe dovuto farlo prima». Giovanni Maria Bellu è il presidente di Carta di Roma, l’ associazione dell’ Ordine dei giornalisti nata per vigilare sull’ applicazione del codice deontologico dell’ informazione in materia di immigrazione e per contrastare l’ hate speech, il discorso d’ odio, che spesso infesta il web e viene veicolato attraverso i canali tradizionali di comunicazione. Giornalista di lungo corso ( inviato di Repubblica, condirettore dell’ Unità, autore del libro- inchiesta I fantasmi di Porto Palo), Bellu è convinto che anche per la Rete dovrebbero valere regole simili a quelle della stampa. «Non invoco nessuna censura, sia chiaro, semplicemente non si capisce perché alcuni reati vengano perseguiti sulla carta stampata e non sul web». Quando si parla di odio si pensa subito ai social network, ma che responsabilità ha il sistema dell’ informazione? L’ odio, quello deliberato, corre soprattutto attraverso i social network e colpisce le categorie più deboli: omosessuali, immigrati, disabili. L’ hate speech attecchisce lì dove si ritiene che alcuni concetti appartengano al senso comune di una popolazione: mi sento libero di attaccare gay o migranti se do per scontato che nella mia comunità siano diffusi sentimenti di ripulsa o condanna nei confronti di queste categorie. Il discorso d’ odio si fonda dunque su un luogo comune negativo. Il ruolo dell’ informazione è proprio quello di smontare questi luoghi comuni, se non lo fa favorisce la diffusione dell’ hate speech. Nella vostra relazione annuale specificate che noi giornalisti «nella generalità dei casi, evitiamo di diventare veicolo» dell’ hate speach, anzi, «facciamo, con una certa efficacia, da filtro» al discorso d’ odio. Poi su un quotidiano spunta un titolo a tutta pagina: Bastardi islamici. Cosa non ha funzionato? Questo è un caso molto particolare su cui l’ associazione Carta di Roma ha presentato un esposto al- l’ Ordine dei giornalisti, c’ è un’ azione disciplinare in corso. Ma stiamo parlando di un episodio clamoroso, è difficile che sui giornali si arrivi a questi livelli. È più comune il rischio della veicolazione del discorso d’ odio, non la produzione. Può accadere, ad esempio, che alcuni cronisti continuino a utilizzare termini giuridicamente impropri, come “clandestino” al posto di “rifugiato”, in aperta violazione del codice deontologico. Ma è un altro ambito, dove i casi dolo sono piuttosto limitati, normalmente il termine improprio viene utilizzato per colpa, per impreparazione. Chiaro, c’ è anche chi scrive “clandestino” consapevolmente, per sfidare le prescrizioni della Carta di Roma, come quando i bambini dicono le parolacce. Bastano i limiti stabiliti dalla Carta di Roma o servono nuovi interventi legislativi? Da un punto di vista legislativo c’ è un problema di carattere internazionale: manca una normativa eu- ropea che definisca le responsabilità dei gestori dei social network sulla diffusione di certe notizie. È paradossale che per i social, gli strumenti di informazione più capillari al mondo, esistano delle regole evanescenti, mentre per i media tradizionali, che oggi raggiungono molte meno persone, valga una normativa molto corposa. I lettori di un quotidiano sono garantiti dalla presenza di un direttore che risponde di tutto ciò che viene pubblicato sul giornale. E mai nessuno ha parlato di attentato alla libertà di informazione perché esiste ad esempio il reato di diffamazione. Ma quando si discute sull’ opportunità di concepire regole precise anche per i social si urla allo scandalo, alla censura. Lo trovo surreale. Dovrei essere considerato responsabile anche se condivido e diffondo una bufala su Facebook? No, io mi riferisco ai discorsi d’ odio conclamati: “Riapriamo i forni”, “ammazziamoli tutti”, “puliamo le strade da questa feccia”. Sono questi i messaggi che spesso circolano sui social. Bisogna colpire gli autori dell’ hate speech esattamente come viene colpito un giornalista che diffama o diffonde una notizia falsa e tendenziosa idonea a turbare l’ ordine pubblico. Laura Boldrini ha fatto bene a rendere noti i nomi dei suoi aggressori virtuali? Credo che queste persone vadano sistematicamente denunciate, non è pensabile che esistano dei luoghi franchi. D’ altra parte, Laura Boldrini ha affrontato direttamente alcuni dei suoi aggressori invitandoli alla Camera. E ha scoperto che tra i commentatori più accaniti c’ era una tranquilla signora che in un contesto reale mai si sarebbe sognata di usare quei toni, una certa idea della Rete trasforma le persone in mostri. Contro la presidente della Camera spesso si scagliano non solo anonimi cittadini e avversari politici ma anche volti noti del giornalismo. Un giornalista può considerarsi un semplice commentatore quando scrive sui social o dovrebbe rispettare il codice deontologico anche su Facebook? Come Carta di Roma abbiamo alcune regole semplici che devono essere seguite da tutti i giornalisti. La violazione di queste norme però deve essere specifica, non pensiamo di poter modificare la cultura giornalistica in Italia. O almeno così intendo io la mia presidenza della Carta. Certo, se qualcuno va sopra le righe possiamo scrivere un articolo di commento sul nostro sito che segnali un atteggiamento poco elegante, ma finisce lì. Ci accontentiamo di sapere che quando si parla di immigrazione non si scrivano stupidaggini. Che idea si è fatto dell’ attacco mediatico alle Ong? Fino a poco tempo fa nessuno sapeva che le Ong salvavano vite in mare. Poi il tema è entrato nell’ agenda politica e il giornalismo italiano, dati alla mano, è strettamente legato a quell’ agenda. Il risultato è stata un’ informazione che ha tenuto conto del dibattito soprattutto governativo – e non ha svolto il suo ruolo, come accade spesso in questi casi. Basta fare un’ analisi quantitativa storica sul picco di notizie legate all’ immigrazione, si scoprirà che il maggior numero di servizi si registra o davanti a una tragedia del mare o in coincidenza perfetta con gli appuntamenti elettorali. Questo significa che il confronto avviene necessariamente in termini conflittuali, con una semplificazione che nutre l’ ignoranza del fenomeno. Per quanto mi riguarda, non dovrebbe essere tema di discussione e neanche di normazione il fatto di poter salvare una vita umana in più, anche senza rispettare alla lettera i protocolli. «BISOGNA COLPIRE GLI AUTORI DELL’ HATE SPEECH ESATTAMENTE COME VIENE COLPITO UN GIORNALISTA CHE DIFFAMA O DIFFONDE UNA NOTIZIA FALSA»


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