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Rubato l’ hard disk a casa di Borrometi
La regina di Netflix la mamma imperfetta vale 2 miliardi
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Rubato l’ hard disk a casa di Borrometi
Il Tempo
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ROMA Furto misterioso nella casa romana del giornalista ragusano Paolo Borrometi. Ladri si sono introdotti nella sua abitazione portando via l’ hard disk di un computer e una serie di appunti utili per gli articoli pubblicati dal giornalista. Paolo Borrometi che, da alcuni anni vive scortato per le minacce arrivate dopo le sue inchieste, è il direttore del giornale online “La Spia” oltre ad essere editorialista del nostro quotidiano. Nella sua carriera ha svolto inchieste nella quali si è occupato dei traffici illeciti che ruotano attorno al mercato ortofrutticolo di Vittoria, dello scioglimento per mafia del Comune di Scicli e del racket delle agenzie funebri. «Certo che è un furto molto strano quello che è accaduto nell’ appartamento romano di Paolo Borrometi: dei ladri entrano in casa e le sole cose che portano via sono l’ hard disk di un computer e le carte relative alle numerose inchieste sulla mafia svolte da Paolo in questi anni». Lo dice in una nota il presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, secondo il quale «che la cosa poi avvenga a Roma è ancora più inquietante: Paolo è dovuto andare via dalla Sicilia per le sue inchieste giornalistiche sulla mafia e si ritrova a vivere gli stessi problemi, in passato è stato anche aggredito, con gli attacchi di una mafia che non si vuole rassegnare, che non accetta che sui giornali si possa scrivere la verità». «La mia aggiunge il presidente – non è solo solidarietà. Sono stato tra i primi in Sicilia a manifestargli la mia vicinanza quando tutti lo ignoravano e ignoravano i pericoli che correva questo giovane che ha fatto del giornalismo una scelta di impegno, quando ancora non aveva la scorta. Esprimo oggi la mia preoccupazione che gli possa accadere qualcosa di grave. Sono con Paolo e con quanti ogni giorno fanno il proprio dovere. Voglio dire a Paolo che siamo con lui e che la solidarietà dei siciliani onesti – conclude Crocetta – non gli mancherà mai». Anche Pietro Grasso è intervenuto per esprimere la sua solidarietà a Borrometi: «Sottrarre a un giornalista il suo archivio digitale e le carte delle sue inchieste non è solo un avvertimento da tenere in grande considerazione, ma anche il tentativo di impedire che quanto scoperto possa essere conosciuto – il presidente del Senato poi prosegue – A Paolo va tutta la nostra solidarietà: la sua sicurezza va garantita e valutata con la massima attenzione. Conoscendolo sono certo che non riusciranno a fermare la sua voglia di verità e il suo lavoro». In una nota il presidente della Fnsi, Beppe Giulietti e Raffaele Lo russo segretario della Fnsi affermano: «Le parole del presidente Grasso non sono solo di solidarietà verso Paolo Borrometi, ma anche un invito a tutelare con ancora maggiore determinazione lui e chi contrasta le mafie – continuano -. Non vi è dubbio che corrotti e mafiosi abbiano nel mirino quei cronisti che non hanno rinunciato ad ‘illuminarè malaffare e illegalità. Siamo con Paolo Borrometi. Le minacce contro Paolo sono minacce contro ognuno di noi. Chiediamo che le istituzioni proteggano al meglio lui e chi, minacciato, si impegna ogni giorno facendo solo il proprio dovere di denuncia».
La regina di Netflix la mamma imperfetta vale 2 miliardi
L’Economia del Corriere della Sera
Maria Teresa Cometto
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La guerra per accaparrarsi i migliori talenti a Hollywood si è surriscaldata la settimana scorsa con l’ annuncio del passaggio della regina della tv americana, Shonda Rhimes, dalla rete Abc (Disney) al colosso di Internet Netflix, dove creerà nuovi contenuti originali. Rhimes – 47 anni, donna e nera, ma si arrabbia se la si presenta con queste caratteristiche di genere e razza, perché per lei conta solo essere «al top» – è la più prolifica in tutto il mercato Usa e nel mondo fra gli autori e produttori di telefilm. Ha al suo attivo tre serie di grande successo – Grey’ s anatomy (in onda dal 2005), Scandal (dal 2012) e Le regole del delitto perfetto (dal 2014) -, prodotte dalla sua società ShondaLand, che in tutto si stima abbiano portato 2 miliardi di dollari di introiti a Disney, tra fatturato pubblicitario e cessione di diritti internazionali. Rhimes è così popolare che tre anni fa Abc ha deciso di trasmettere tutte e tre le sue creazioni la stessa sera, il giovedì – l’ appuntamento più importante per la tv negli Stati Uniti -, lanciando l’ iniziativa con l’ hashtag #TGIT, «Thanks God It’ s Thursday» (Grazie a Dio è giovedì). Il suo ingaggio milionario da parte di Netflix (non si conosce la cifra precisa, ma secondo le voci di mercato il contratto di Rhimes con Abc valeva oltre 10 milioni di dollari l’ anno, più la condivisione dei profitti) è solo l’ ultimo episodio della battaglia epica fra i protagonisti tradizionali della tv – come Abc, Cbs (famiglia Redstone), Fox (gruppo Murdoch) e Nbc (Comcast) – e i concorrenti su Internet come Netflix e anche Amazon. La posta in palio è l’ attenzione del pubblico, ovvero gli introiti pubblicitari per le tv tradizionali o gli abbonamenti per chi trasmette film e telefilm in streaming. Per i contenuti originali di Rhimes e degli altri suoi autori e produttori, Netflix quest’ anno spenderà 6 miliardi di dollari (erano 5 l’ anno scorso), il doppio della rete premium Hbo (Time Warner) e cinque volte il budget di Cbs e Fox. Rhimes ha spiegato di aver accettato l’ offerta perché «eccitata dall’ idea di un mondo senza la routine della tv tradizionale», che per i telefilm prevede stagioni da 18-24 episodi ciascuna. Invece la formula di Netflix, collaudata con House of cards , è molto più flessibile e concede maggior libertà creativa agli autori, che non devono fare i conti con gli inserzionisti pubblicitari. Chissà che cosa inventerà una Rhimes ancora più «libera», dopo aver già scandalizzato una parte del pubblico con le scene di baci fra ragazzi gay nella serie Le regole del delitto perfetto ! La sua vocazione a «raccontare storie» era apparsa evidente fin da quando aveva quattro anni e chiedeva alla mamma di registrarle. Da bambina guardava pochissima televisione, ma leggeva sempre, un hobby «naturale» per la figlia di due «secchioni» – come lei definisce i suoi genitori – «la cui idea di divertimento massimo era giocare a scacchi». Frequentando la prestigiosa università privata della Ivy league Dartmouth, Rhimes si era appassionata al teatro, facendo la regista e l’ attrice nelle produzioni studentesche della Black underground theatre association. Molto competitiva e ambiziosa, aveva scelto poi di frequentare la Scuola di cinema della University of Southern California a Los Angeles, perché le avevano detto che era più difficile essere ammessa lì che ad Harvard. Mentre ancora studiava alla Usc è stata scoperta dalla produttrice afro-americana Debra Martin Chase, che le ha fatto da mentore e trovato il primo lavoro come apprendista nella Mundy lane entertainment, casa di produzione di Denzel Washington. La stessa Chase l’ ha introdotta nel mondo Disney nel 2002, chiamandola a collaborare alla scrittura del copione del film Principe azzurro cercasi (uscito nel 2004, seguito di Pretty princess ). Il successo è arrivato nel 2005 con Grey’ s anatomy , la serie ambientata in un ospedale (immaginario) di Seattle, con protagonisti la dottoressa tirocinante Meredith Grey e i suoi colleghi. Il secondo colpo messo a segno è stato nel 2012 con Scandal , la cui eroina Olivia Pope è basata sul personaggio vero Judy Smith, consulente dell’ ex presidente George W. Bush. E il terzo, tre anni fa, è Le regole del delitto perfetto , dove la professoressa di legge Annalise Keating è coinvolta con i suoi studenti in una serie di omicidi. Fitti dialoghi, colpi di scena continui, triangoli amorosi con scene torride di sesso sono il segno distintivo delle storie firmate dalla Rhimes, che ha saputo finora conciliare benissimo la sua vena creativa con le esigenze del mercato. I suoi personaggi principali sono professioniste che fanno lavori duri, ambiziose e competitive (come lei), talvolta cattive e strze, insomma «donne vere», come lei stessa ha spiegato a Oprah Winfrey. Olivia e Annalise sono anche nere, come un’ altra figura importante di Grey’ s anatomy , Miranda. Ma Rhimes giura di scegliere personaggi e attori senza pensare al colore della pelle, ma puntando solo al «meglio». E sulla propria identità precisa: «Non ho bisogno di parlare di che cosa provo da donna nera, perché non mi sento senza potere a causa della mia razza». Di certo Rhimes ha una grande forza di volontà: negli ultimi anni ha perso oltre 50 chili con dieta ed esercizio fisico e da sola sta allevando tre figlie, Harper di 15 anni, Emerson Pearl di cinque, entrambe adottate e Beckett, avuta nel 2013 da una madre surrogata. È sempre stata single e la prima adozione l’ ha decisa appena dopo l’ attacco terrorista dell’ 11 settembre 2001. «Se il mondo stesse per finire, che cosa avrei voluto fare?», si è chiesta. La risposta: una figlia. «Come faccio a fare tutto? Tre show in tv e tre figlie?», ha spiegato ai neolaureati della sua Alma mater Darmouth, tre anni fa: «In realtà non ci riesco. Se sono a casa a cucire i costumi di Halloween per le mie figlie probabilmente sto rinviando la consegna di un lavoro. E se sto accettando un prestigioso premio, è perché ho perso la prima lezione di nuoto di una delle mie bimbe. Quando ho successo da una parte, fallisco dall’ altra. È un compromesso inevitabile».
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L’Economia del Corriere della Sera
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«When the music’ s over, turn out the light» cantava nel 1967 Jim Morrison con i Doors. È facile dimenticarsi quanto i pirati riconvertiti al business di Spotify – il più famoso Daniel Ek, che per il suo matrimonio ha portato sul lago di Como il gotha del tech mondiale a partire dall’ amico Mark Zuckerberg, e il più defilato Martin Lorentzon – abbiano cambiato la nostra vita. Lo sappiamo che la qualità dello streaming è quella che è (di fatto abbiamo abbassato lo standard) e che provoca sonni agitati a Neil Young e ai musicofili che vorrebbero sentire il trio per archi di Schubert senza compromessi. Ma quando mai, in epoca di vinili e anche di cd, l’ archivio musicale era pronto a venirci incontro nei momenti di relax o sconforto una volta fuori casa? Torniamo al ’67: «When the music’ s over, turn out the light». Morrison intendeva altro. Eppure, mezzo secolo esatto dopo, questo è il dilemma di Spotify e dei due fondatori : fino ad oggi la musica non è finita e le luci sono rimaste abbassate se non spente. Spente sui numeri approfonditi e il valore della società. Spente sulla reale efficacia del modello di business freemium . E spente anche sulla capacità di creare valore in un mondo in cui tutti i competitor, a parte qualche esclusiva temporanea, hanno gli stessi 20 milioni di canzoni e rotti. Ora si va in Borsa. Ora la musica finisce. Forse. Il primo grattacapo finanziario di Spotify, per paradosso, non sono le canzoni, ma i messaggini di Snapchat, i prestiti dei lending club, i tweet e i braccialetti tech di Fitbit. Cosa c’ entrano? Modelli di business diversi, settori diversi. Certo, va bene. Ma gli investitori, talvolta, non vanno troppo per il sottile, soprattutto quando si tratta di capire se la bolla del nuovo tech (streaming, Iot, sensori, sharing economy) sta tentando un soft landing , un cosiddetto atterraggio morbido, sotto gli occhi di tutti. Morbido, come sempre, non per chi rimane con il cerino in mano dell’ Ipo. Le statistiche sono impietose: se si guarda alle quotazioni che possono rientrare sotto questo grande cappello e che sono state fatte a Wall Street e al Nasdaq dal 2013 ad oggi c’ è da tremare. Ipo Twitter. È il 7 novembre del 2013 quando si consuma il classico primo giorno di entusiasmo. Valore di collocamento 26 dollari, valore del primo giorno di contrattazione: 41,65 dollari. Sembra facile credere che tutti passeremo il nostro tempo a twittare. D’ altra parte siamo a poco più di un anno (18 maggio del 2012) dalla quotazione galattica di Facebook. Chi ha puntato 100 dollari sui massimi di quel primo giorno oggi ne sta perdendo 61. A parte Alibaba (Ipo 2014, più 70% dal primo giorno), che però può contare sulla continua crescita del ceto medio cinese, e il piccolo giocattolo sui pagamenti con cui Jack Dorsay di Twitter scarica la tensione (Square. Ipo 2015, +91%), per le altre società sotto i riflettori la musica non cambia e le luci sono ben accese. Ipo Fitbit: 18 giugno 2015. Valore Ipo: 20 dollari, valore primo giorno di contrattazione: 29,68 dollari. Valore oggi: 5,48 (-81%). Ipo Lending Club: 11 dicembre 2014. Valore Ipo 15 dollari, valore primo giorno di contrattazione, 23,43 dollari. Valore oggi: 5,90 (-74%). ePrice (ex Banzai). Ipo: 16 febbraio 2015. Valore Ipo 6,75 euro, debutto in calo. Valore oggi: 3,59 euro (-46%). Brutti mal di pancia se siete azionisti della prima ora. Ma veniamo al vero «fantasma» di tutti, quello che ha instillato il dubbio non solo sul passato, ma anche sul futuro. Snap, la società madre del social network Snapchat, atteso come nuovo soggetto capace di rompere il duopolio nella pubblicità mondiale Google-Facebook. Ipo: 2 marzo 2017. Valore Ipo: 17 dollari. Valore primo giorno: 24,48 dollari. Valore oggi: 13,05 Perdita dal primo giorno: -47%. Ecco il dilemma di Spotify: riuscirà a non far finire la musica? Per ora ha annunciato che la quotazione, attesa tra il 2017 e l’ inizio del 2018, avverrà direttamente sul Nyse. La differenza è sostanziale: non verranno emesse nuove azioni acquistate dalle banche d’ affari e poi collocate. Ma verranno venduti direttamente sul mercato pacchetti già esistenti. Rivoluzione o prudenza? Le banche d’ affari fanno parte ugualmente del processo (con la svedese Spotify stanno lavorando Morgan Stanley, Goldman Sachs e Allen & Co), ma il costo è molto più basso. La valutazione attuale si aggira sui 13 miliardi. Per comprendere fino in fondo dobbiamo tornare al 2 marzo 2017. Una nota banca d’ affari Usa, che chiameremo A Bank, porta a Wall Street Snap. Champagne e soldi: il titolo sale in poche ore dai 17 dollari del prezzo di collocamento a 24,48 dollari. Passiamo al 27 marzo. Una nota banca d’ affari americana, diciamo B Bank, pubblica il primo rapporto su Snap: il target di prezzo per il mercato viene individuato in 28 dollari, il 23% in più della quotazione in Borsa nella settimana precedente. Il giorno dopo una nota banca d’ affari Usa, C Bank, rivede al ribasso gli obiettivi di bilancio di Snap. Pesantemente: la stima di Ebitda aggiustato per il 2025 passa da 6,57 miliardi a 4,92. Il free cash flow da 4,05 a 2,42 miliardi. Il target rimane fermo a 28 dollari. 11 luglio. Una nota banca d’ affari, D Bank, scrive: «Ci siamo sbagliati sulla capacità di Snap di innovare, migliorare i propri prodotti e monetizzare gli utenti». Il target price passa da 28 a 16 dollari. La nota banca d’ affari Usa A, B, C e D è sempre la stessa: Morgan Stanley. Difficile dire se la pessima figura di Morgan Stanley sia stata determinante nello spingere Spotify verso l’ Ipo diretta. Ma in molti vi scorgono il segnale che il tech cominci ad avere paura della bolla. In effetti anche le banche d’ affari dopo il caso Snap iniziano ad essere più prudenti. In gioco c’ è la credibilità l’ unica moneta che conta veramente per fare denaro. Mai accendere le luci quando la musica va ancora in sala. msideri@corriere.it.