Indice Articoli
Dopo vent’ anni, l’ Agcom deve fare un tagliando
Antitrust, gli editori Usa chiedono riforme per fronteggiare Google e Fb
L’ IMPATTO DI GOOGLE E FACEBOOK SULL’ EDITORIA
Per il garante la sfida di una crescente competizione
Tv, radio e online crescono, giornali ancora in calo
Per Mediaset, La7 e Rai raccolta giù a gennaio-maggio
Agcom, le tv ripartono Italia in coda sul web
Giornali Usa, guerra a Google&co
Siae, l’ Antitrust e un errore fatale da non ripetere
Chessidice in viale dell’ Editoria
Pubblicità, i cinque mesi a +0,5%
Tv a -0,2%. Discovery +7%, Sky +1,2% Mediaset -0,5%, Rai -1,5%, La7 -2,6%
Il doppio ruolo di Infront un cavillo della Lega per affidarle il canale tv
Ritorna la pubblicità in tv: +7% Ma i giornali continuano a soffrire
Facebook ai giornali: collaboreremo per far pagare gli articoli sui social network
Riparte l’ industria dei media Ma non la vecchia stampa
Dopo vent’ anni, l’ Agcom deve fare un tagliando
Il Manifesto
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Apagina quattro della relazione annuale 2017 -pronunciata ieri alla Camera dei deputati- il presidente dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani tocca un punto cruciale. «Nell’ approssimarsi del ventennale dell’ Agcom (il 31 luglio prossimo cadrà l’ anniversario della legge 249 del 1997, ndr), è giusto richiamare le principali linee di azione, anche al fine di delineare le possibili direzioni verso nuove e necessarie competenze», così recita il testo. Serve, per dirla con il lessico di Pier Luigi Bersani, una sorta di tagliando: a fronte di una macchina che scricchiola visibilmente. Pur in un quadro di ostile accentramento decisionale, la questione obiettivamente si pone. Altri compiti dovrebbero essere assegnati, in particolare sull’ enorme territorio degli algoritmi – laddove si pone davvero il problema della sovranità nazionale – e sull’ immensa geopolitica del moderno «Palazzo d’ inverno»: quello abitato dagli Over The Top e dai poteri finanziari. Tutta via, è arduo pensare di aggiungere ulteriori funzioni ad un’ istituzione che fatica a coprire quelle previste dall’ articolo 1 della norma, alla cui fantasia innovativa si deve la prima «autorità multimediale». Primato condiviso all’ epoca con la Finlandia, mentre negli altri paesi europei vigeva il doppio regime: telecomunicazioni da una parte, editoria e radiotelevisione dall’ altra. Ecco, proprio la parte che più attiene al sistema nervoso del villaggio globale, vale a dire la tutela del pluralismo delle culture e delle idee, risulta poco battuta e spesso elusa. Ad esempio, sul tema della par condicio «zero carbonella», come dicono i bambini. Non solo. Con ironia certamente involontaria, la relazione parla della fusione tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX nel gruppo Gedi-Itedi, ma non dà conto delle eventuali iniziative anticoncentrazione intraprese, visto che le quote di mercato sono note. Eccedenti i limiti antitrust. Il discorso vale altrettanto per lo shopping del biscione nella radiofonia. Mentre la legge («il primo caso», si recita) è risultata immediatamente applicativa nel caso Vivendi-Mediaset, ma si sa che entriamo in un girone a parte rispetto ai comuni mortali. Insomma, c’ è materia per rimettere le mani sulla legge 249, in una revisione che toc chi la (contro)riforma della Rai del 2015 e la legge Gasparri del 2004. Immaginari futuri, da istruire in un dibattito pubblico, non solo tra i «soliti noti». La presentazione ha del buono. Anzi. Contiene un’ affermazione felice e strategica. A pagina 20 si sottolinea che «Internet è un bene comune». Viene la malinconia a pensare a colui che per primo pronunciò simili splendide parole, Stefano Rodotà. Ma complimenti a Cardani, perché si tratta di un argomento conflittuale, visto che gli attuali aggregatori dei dati – da Google, ad Amazon, a Facebook – hanno una brutale visione proprietaria dei saperi. E pure qui la relazione è virtuosa, evocando il sacrosanto principio della «Net neutrality», contro discriminazioni e divisioni digitali. Un po’ scontata e debole la parte sulla Rai, che finalmente ha scoperto che va scritto il contratto di servizio. Interessante, invece, l’ aggiornamento sui consumi. Risulta che, mentre i ricavi del comparto dopo un quadriennio sono cresciuti (+1,5%), la spesa media annua nei servizi di comunicazioni rappresenta la seconda voce dopo la casa. La quota prevalente è destinata alla linea/scheda telefonica e ad Internet. L’ Italia, però, rimane nella zona bassa della classifica.
Antitrust, gli editori Usa chiedono riforme per fronteggiare Google e Fb
Il Sole 24 Ore
Marco Valsania
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new york Gli editori americani hanno chiesto al Congresso una deroga alle leggi antitrust per poter fare i conti con la sfida presentata da Google e Facebook al business del giornalismo. La richiesta è quella di poter agire collettivamente per strappare migliori accordi ai due re delle piattaforme digitali, che oggi dominano tanto la distribuzione online di contenuto che la raccolta pubblicitaria su Internet e minacciano di schiacciare nella loro morsa i media di qualità. Gli editori – oltre duemila organizzazioni grandi e piccole tra Stati Uniti e Canada riuniti nella News Media Alliance, da Dow Jones-Wall Street Journal al New York Times e al Washington Post – hanno definito le normative antitrust nel loro caso “antiquate” e controproducenti. Perché avrebbero «le conseguenze indesiderate di preservare e proteggere il dominio di Google e di Facebook». Lo strapotere di questo duopolio è tutto nelle cifre. Secondo la società specializzata eMarketer Google e Facebook rastrellano nell’ insieme almeno il 60% delle inserzioni digitali, mentre il Pew Research Center spinge le stime fino al 70% d’ un mercato digitale da 73 miliardi. Ed è una quota in continua crescita visto che l’ aumento pubblicitario nell’ ultimo anno – 12 miliardi – è stato per il 77% appannaggio dei due gruppi. Google ha messo le mani su 40 centesimi per ogni dollaro speso online, Facebook su 37 centesimi. Tutti gli altri si sono accontentati di 23 centesimi. Allo stesso tempo le inserzioni sui giornali nel 2016 sono state pari a 18 miliardi rispetto ai 50 miliardi di dieci anni or sono. Grandi marchi, quali il Journal e il Times, hanno reagito con campagne di successo negli abbonamenti online, ma non bastano. Le richieste degli editori sono chiare: occorre trattare per una maggior protezione della proprietà intellettuale, strappare nuovo sostegno per modelli di subscription digitale e una più equa condivisione sia di entrate che di dati su consumatori e lettori. Tra i temi caldi c’ è anche l’ inadeguata lotta alle notizie false su Internet. L’ alleanza dei media, attraverso il suo presidente David Chavern, ha sottolineato che «il giornalismo di qualità ha un ruolo cruciale nel sostenere la democrazia ed è centrale per la società civile. Per assicurare che un simile giornalismo abbia un futuro, le organizzazioni che lo finanziano devono poter negoziare collettivamente con le piattaforme digitali che nei fatti controllano distribuzione e accesso all’ audience nell’ era digitale». Google e Facebook hanno dato segnali di voler cercare maggior cooperazione con i news media. Ma il terreno resta molto accidentato. Un incontro promosso dalla Neiman Foundation di Harvard si è concluso con scambi di accuse: un executive di Facebook ha insistito che non spetta loro risolvere i problemi del “modello di business” del giornalismo. Un editore ha risposto rinfacciandogli di esser poco più d’ un parassita che si approfitta indebitamente del contenuto di valore di altri. Chavern stesso, nel presentare adesso la richiesta di deroga antitrust, ha incalzato che Google e Facebook «non assumono reporters, non scavano tra documenti per inchieste sulla corruzione, non spediscono giornalisti in zone di guerra, non assistono agli eventi sportivi per commentarli, si aspettano che facciamo noi per loro questo costoso lavoro». Più recenti discussioni tra le parti hanno avuto toni meno tesi. Sia il colosso dei motori di ricerca che quello dei social network hanno promesso sensibilità all’ esigenza di proteggere il giornalismo e alla ricerca di soluzioni “sostenibili”. Agli occhi degli editori, la sospensione delle regole antitrust per consentire ad aziende giornalistiche concorrenti un fronte comune aiuterebbe un riequilibrio. Non sarà facile: il Congresso ne concede in media solo una ogni otto o dieci anni. L’ editoria ottenne l’ ultima nel 1970, con il Newspaper Preservation Act, che consentì a pubblicazioni regionali di unire attività di stampa e di business. Ora ne ritiene essenziale un’ altra per affrontare la battaglia digitale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I NUMERI
Il Sole 24 Ore
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Chi cresce tra i media I 14,7 miliardi di euro del mercato dei media nel 2016 sono complessivamente risultati in aumento del 3,9%, grazie a un +6,5% del comparto radiotelevisivo, al +3,2% del comparto radio e al +14,8% della componente online in cui Google e Facebook detengono ben oltre il 50% dei ricavi netti da pubblicità online. Per i giornali ancora crisi Per quotidiani e periodici i ricavi complessivi nel 2016 sono scesi del 6% a 3,8 miliardi. La carta stampata è alle prese ormai da molti anni con il declino delle copie cartacee (-43% per i quotidiani nel 2011-2016) e con gli editori che, dice Agcom, non riescono ancora a valorizzare il prodotto nel mondo digitale.
L’ IMPATTO DI GOOGLE E FACEBOOK SULL’ EDITORIA
Il Sole 24 Ore
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60-70% La quota delle inserzioni digitali Secondo la società specializzata eMarketer Google e Facebook rastrellano nell’ insieme almeno il 60% delle inserzioni digitali, mentre il Pew Research Center spinge le stime fino al 70% d’ un mercato digitale da 73 miliardi. 77% La quota della crescita L’ aumento pubblicitario nell’ ultimo anno – 12 miliardi – è stato per il 77% appannaggio dei due gruppi. Google ha messo le mani su 40 centesimi per ogni dollaro speso online, Facebook su 37 centesimi. Tutti gli altri si sono accontentati di 23 centesimi. 18 miliardi Le inserzioni sui giornali Le inserzioni sui giornali nel 2016 sono state pari a 18 miliardi rispetto ai 50 miliardi di dieci anni or sono. Grandi marchi, quali il Journal e il Times, hanno reagito con campagne di successo negli abbonamenti online, ma non bastano. 1970 L’ ultima sospensione antitrust L’ editoria ottenne l’ ultima sospensione delle regole antitrust nel 1970, con il Newspaper Preservation Act, che consentì a pubblicazioni regionali di unire attività di stampa e di business.
Per il garante la sfida di una crescente competizione
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Il presidente Agcom, Angelo Marcello Cardani, passa in rassegna tutti i punti che rendono il 2016 un anno non comune. «È stato l’ anno di importanti operazioni di consolidamento», dice citando Wind Tre; Vivendi che sale in Mediaset; la creazione del polo RadioMediaset; la fusione per incorporazione Gruppo Espresso-Itedi. In più c’ è stato l’ ingresso sul mercato di nuovi operatori, già sulla scena (Open Fiber) o attesi (la francese Iliad che sarà il quarto operatore mobile e che dovrebbe arrivare sul mercato italiano alla fine dell’ anno). Insomma non un anno come gli altri per un mercato della comunicazione che, comunque, sembra tutt’ altro che fermo e pacificato. L’ eco delle polemiche di questi giorni – con lo scontro fra Telecom e Governo sugli investimenti nelle reti a banda ultralarga sulla scia delle gare Infratel andate (la primo ufficialmente e per la seconda manca l’ ufficialità) a Open Fiber e contestati dall’ ex monopolista – si è potuta cogliere chiaramente nella presentazione di Cardani. «La concorrenza aggressiva – ha detto in un passaggio – per la conquista dei clienti sulle nuove reti non deve avvenire a scapito degli investimenti addizionali in innovazione e maggiore copertura; così come non dovrebbe essere ostacolata la concorrenza dinamica e potenziale». Non che sia mai stata sotterrata, ma l’ ascia di guerra fra i player del mercato delle tlc rischia di essere imbracciata con ancora più convinzione in mesi in cui sia nel fisso sia nel mobile vanno creandosi condizioni di particolare competizione. La controllata di Enel e Cdp sta per partire nella creazione di una rete di nuova generazione alternativa (cui si appoggeranno Wind Tre e Vodafone fra gli altri). E questo è un dato importante, con una Fastweb “terzo incomodo”. Nel mobile l’ arrivo di Iliad ha dato il la a una ridda di offerte, soprattutto “below the line”, che rischiano di riportare giù i valori del mercato. Bene per i consumatori, meno bene per l’ industry. E nei periodi di magra la conflittualità finisce per esplodere. Anche per la radio (alle prese con spiccate dinamiche di consolidamento) i prossimi mesi saranno decisivi. Nella tv il contratto di servizio aiuterà a disegnare i contorni della Rai presente sul mercato. Dall’ altra parte Mediaset lancia segnali di depotenziamento per Premium. A meno che non arrivino i diritti della Serie A o un cavaliere bianco, a contendere a Sky la primazia nel mercato pay. A far paura, intanto, sono Google, Facebook, ma anche Netflix come Amazon. L’ arena competitiva va allargandosi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tv, radio e online crescono, giornali ancora in calo
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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L’ aspetto positivo nei dati forniti ieri da Agcom sul settore media in Italia è quel segno più che arriva dopo anni di crisi. Ma come in tutte le medie, la fotografia finale restituisce una parte più luminosa (tv, pubblicità online e anche la radio) accanto a una in cui a dominare sono le ombre: per quotidiani e periodici i ricavi complessivi nel 2016 sono scesi del 6% a 3,8 miliardi. I 14,7 miliardi di euro del mercato dei media nel 2016 sono complessivamente risultati in aumento del 3,9%, grazie a un +6,5% del comparto radiotelevisivo (di cui +3,2% del comparto radio) e al +14,8% della componente online in cui Google e Facebook, secondo l’ Authority «detengono ben oltre il 50% dei ricavi netti da pubblicità online». In questo quadro è da segnalare l’ inversione di tendenza del mezzo televisivo, tornato sopra gli 8 miliardi di risorse complessive, ma al termine di una caduta ininterrotta a partire dal 2011, anno in cui gli introiti delle tv superavano i 9 miliardi. Pericolo scampato dunque? A sentire il presidente Agcom, Angelo Marcello Cardani, ieri durante la sua presentazione non sembrerebbe proprio così, visto che ha parlato di «fase di incertezza che pesa sugli investimenti» per «il mercato della televisione lineare e multicanale». Ad alimentarla sono «il futuro percorso di razionalizzazione dello spettro» con i broadcaster che dovranno liberare le frequenze della banda 700 a favore delle telco entro il 2022, «unitamente alle difficoltà di previsione della domanda di servizi». Il ricambio generazionale e le modalità di fruizione di contenuti audiovisivi che vanno sempre di più verso l’ on demand peseranno. Intanto però il mercato televisivo, ancora per il 2016, vede Sky al primo posto nella ripartizione dei ricavi dell’ intero settore, con una quota del 32% sul totale (pur se in calo di 1,5 punti percentuali), seguita da Rai che con una crescita di 1,8 punti (molto legata al canone in bolletta, con incassi saliti del 17% sul 2015) ha raggiunto il 29,7% dei ricavi superando Mediaset (27,9%; -0,6%). Insomma un mercato concentrato, sia nella tv in chiaro fra Rai e Mediaset sia in quella a pagamento con Sky-Fox al 77% di quota. Per tutta l’ industry un peso non da poco avrà a ogni modo il nuovo Contratto di servizio Rai, con cui dare declinazione operativa quinquennale alla nuova Convenzione Stato-Rai. Sul punto sanno tanto di appello a una maggiore chiarezza le parole di Cardani: «Anche attraverso l’ iniziativa dell’ Autorità (che deve varare le linee guida, ndr.) sarà importante definire con chiarezza la base su cui Rai dovrà operare, sia nei servizi/prodotti verso i consumatori che pagano il canone, sia rispetto alle attività commerciali ed editoriali svolte nel mercato libero». Comunque «sarà decisivo, rispetto al passato, delineare perimetro e gradi di libertà in cui Rai potrà muoversi, con una logica imprenditoriale concorrenziale». Il sottosegretario alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, a margine ha ribadito che la proposta del Governo dovrebbe arrivare «o subito prima o immediatamente dopo la pausa estiva in modo da consentire alla Commissione di Vigilanza di fare il suo lavoro». Si punta a «concludere tutto il percorso entro l’ anno». Come detto però, se la tv ha di che sorridere – seppur con la necessità di doversi guardare alle spalle dagli Over the top – chi mostra sempre più difficoltà è la carta stampata, alle prese con il declino delle copie cartacee (-43% i quotidiani nel 2011-2016) con «gli editori – si legge nella Relazione Agcom – che incontrano difficoltà a valorizzare il prodotto tradizionale nel mondo digitale». Cardani non manca poi di evidenziare «le perdite generate dalla maggiore difficoltà di gestione dei diritti d’ autore delle news online». Punto spinoso quello del copyright e del riconoscimento dei diritti per quotidiani e periodici. Dall’ altra parte ci sono player che popolano «una rete di libertà». Una bella medaglia, ma che ha un suo rovescio fin troppo evidente in questi ultimi periodi nelle fake news. Per Cardani «serve un intervento normativo» e non c’ è da fidarsi dell’ autoregolamentazione dei colossi web, che promettono «di sviluppare algoritmi per rimuovere le informazioni false e virali», ma sono anche «i principali “utilizzatori” gratuiti dell’ informazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Per Mediaset, La7 e Rai raccolta giù a gennaio-maggio
Il Sole 24 Ore
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Sono solo quelli che vengono considerati i “nuovi” entranti (che poi però tanto nuovi ormai non sono più) del mercato televisivo a sorridere per l’ andamento della pubblicità nei primi cinque mesi dell’ anno. Secondo le elaborazioni del Sole 24 Ore sui dati Nielsen diffusi ieri, Sky con il suo +1,2% (a 209,6 milioni di euro) e Discovery con un +6,9% (100,6 milioni) mettono in cassaforte un gennaio-maggio con il segno più quanto a raccolta pubblicitaria. Dall’ altra parte, a una Mediaset che con 967,5 milioni va poco sotto la stabilità (-0,5%), mantenendo la sua quota del 56% sul totale degli 1,7 miliardi di investimenti, si accompagnano una Rai che nei 5 mesi ha perso l’ 1,5% di raccolta (attestandosi a 377 milioni) e una La7 in cui la flessione è stata del 2,6% (con raccolta nei cinque mesi stimata a 69 milioni di euro). Il tutto in un mercato, quello tv, che ha mantenuto (-0,2%) nel quadro di un mercato pubblicitario complessivo, di tutti i mezzi, a +0,5%, ma solo contando la parte search e social (quindi Google e Facebook) che Nielsen può solo stimare non avendo accesso ai dati. Altrimenti sarebbe -1,9%. Facile indovinare chi ha vinto. (A. Bio.)
Agcom, le tv ripartono Italia in coda sul web
Il Messaggero
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LA RELAZIONE ROMA Le risorse sono ancora in calo nel settore media (la stampa «soffre più» di tutti). Ma non per la tv che, in controtendenza con il resto, «mostra nel 2016 i più evidenti segni di ripresa», fino a riagganciare e superare gli 8 miliardi di valore (+7%). È una conferma, invece, dice Angelo Cardani nella relazione annuale dell’ Agcom al Parlamento, il livello di «concentrazione elevato» nella tv in chiaro, con «oltre l’ 80% dei ricavi» in capo a Rai e Mediaset, e «molto elevato» nella pay, con il gruppo 21st Century Fox/Sky Italia di gran lunga in testa (77%), mentre Fininvest/Mediaset è al 21%. Nel 2016 Sky si conferma in pole position nei ricavi tv, (32%). Segue il gruppo Rai, con una quota prossima al 29,7% che supera Fininvest-Mediaset (28%). Quanto alla stampa, dice l’ Agcom, paga le «sofferenze maggiori». I ricavi 2016 sono calati del 6,6%, con una riduzione più netta per quelli pubblicitari (-7,7%), rispetto al dato sulle vendite (-6%). Quanto alle copie digitali (circa il 12% di quelle vendute), rappresentano ancora solo il 6% dei ricavi. Il Garante si fa poi sentire contro le fake news. «Ci vuole una norma», dice, contro «l’ eccessivo potere delle piattaforme online». Come è possibile, sottolinea il Garante, «fidarsi della promessa dei colossi del web di sviluppare algoritmi finalizzati a rimuovere le informazioni false e virali se questi stessi colossi sono anche i principali utilizzatori dell’ informazione gratuita sui motori di ricerca»?. Sotto i riflettori di Cardani c’ è poi il mondo dell’ internet superveloce. La fibra ha fatto passi da gigante, ma gli italiani rimangono i penultimi per l’ uso di internet (solo il 60%). Non è una buona notizia per i gruppi che investono, seppure secondo l’ Agcom dopo dieci anni sia arrivato il primo segnale di crescita per le tlc. L’ aumento della spesa per il mobile e in particolare per le connessioni frutta infatti un +2,4% che compensa la perdita del fisso (-2%). Per il resto, la copertura con reti a banda ultra larga è passata al 72% delle case, dal 42% del 2015. Tuttavia, il gap nell’ utilizzo dei servizi è sempre «elevato». Gli abbonati passano dal 5% nel 2015 al 12% nel 2016, ma restiamo al 24esimo posto in Ue. In questo contesto, la garanzia dell’ accesso ad Internet di alta qualità per tutti «è ancora lontana». E la «sinergia pubblico-privata rappresenta un’ opportunità». Poi l’ accenno alle polemiche Tim-governo. «La concorrenza aggressiva per la conquista dei clienti sulle nuove reti» non sia «a scapito degli investimenti addizionali in innovazione e maggiore copertura»; così come non deve «essere ostacolata la concorrenza dinamica e potenziale». R. Amo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Giornali Usa, guerra a Google&co
Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Spira un certo venticello dell’ Est, una certa arietta europea nelle redazioni e negli uffici commerciali, marketing e pubblicità dei grandi giornali americani, il Wall Street Journal (Wsj, di proprietà dell’ australiano Rupert Murdoch), il Washington Post (Wp, che appartiene a Jeff Bezos di Amazon, e qui siamo all’ eterogenesi dei fini) e il New York Times (Nyt), l’ ultimo ancora in mano a una storica famiglia di editori. Che succede? Un fatto inevitabile: anche i giornali yankee si sono accorti, dopo Le Monde e Le Figaro in Francia (vedere ItaliaOggi dell’ 8/7/2017) e soprattutto dopo la multa di 2,4 miliardi di euro inflitta dalla Commissione europea a Google per abuso di posizione dominante, che i giganti del web, il famoso quartetto Gafa (Google, Apple, Facebook e Amazon), stanno divorando sistematicamente i loro fatturati pubblicitari, mettono a rischio la loro esistenza e quindi i giornali corrono ai ripari. Come? Provando ad allearsi, a creare piattaforme comuni (ma si studiano anche altre soluzioni) per gestire insieme la raccolta online che, solo negli Usa, vale 73 miliardi di dollari (63,9 miliardi di euro) e il 70%, cioè una cinquantina di miliardi, va dritto nelle casse dei Gafa, tra cui Amazon di mister Bezos che, dal 2015, è anche editore del Washington Post (e per questo abbiamo parlato prima di eterogenesi dei fini). Solo che mettersi insieme per contrastare la bulimia dei colossi del web, nella terra dei colossi, nel paese della Silicon Valley, è più facile a dirsi che a farsi. Perché, in barba al vero monopolio dei Google e degli altri, negli Stati Uniti creare una joint venture o una piattaforma comune per la raccolta pubblicitaria online (come hanno fatto qui in Francia i due quotidiani leader, Le Monde e Le Figaro) viola la legge sulla concorrenza. Viene considerato monopolio e quindi è vietato. Per questo i tre quotidiani nazionali insieme con alcune decine di testate locali si sono riuniti sotto un ombrello provvisorio, la News Media Alliance, un nome che è già un segnale politico: l’ alleanza dei media che fanno informazione (non fake news, si potrebbe aggiungere), hanno indirizzato una richiesta precisa al Congresso e hanno spedito il loro ceo David Chavern, perché spieghi alle varie commissioni parlamentari che quella alleanza è solo un tentativo per respingere (o contenere quanto meno) l’ arrembaggio commerciali dei veri monopolisti del web pubblicitario. Chavern illustrerà ai politici i dati del mercato: la raccolta pubblicitaria dei giornali tradizionali è scesa negli ultimi anni da 50 a 18 miliardi di dollari (da 43,8 a 15,8 miliardi di euro), la metà dei profitti di Google (19 miliardi di dollari, 16,6 miliardi di euro) e di Facebook (10 miliardi, 8,8 miliardi di euro) messi insieme. Ma accanto a lui, anzi dietro di lui, in tutta riservatezza si muoverà, stando ai rumor, Murdoch in persona, quello che un tempo era lo Squalo dei media e che, per fortuna degli editori americani, è un amico personale del presidente Donald Trump. Si dice che con l’ amico Donald userà un argomento convincente: la qualità informativa, unico argine al dilagare delle «fake news» che alla lunga finirebbero per danneggiare l’ immagine del Rodomonte installato alla Casa Bianca. Ma il Rodomonte ascolterà lo Squalo?
Comunicazioni, +1,5% nel 2016
Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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Il 2016 ha rappresentato un’ inversione di tendenza nel settore delle comunicazioni rispetto al quadriennio precedente: «I ricavi complessivi riprendono infatti a crescere con un +1,5% dopo anni in diminuzione», attestandosi a 53,6 miliardi di euro. Lo ha detto ieri il presidente dell’ Agcom, Angelo Marcello Cardani, presentando la Relazione annuale 2017 al Parlamento. La quota prevalente di ricavi, ha spiegato ancora Cardani, è quella del mercato dei servizi di telecomunicazioni (60% del totale, pari a 31,9 miliardi, di cui 31% mobile e 29% fisso), seguita dai media (inserzionisti, utenti per i servizi a pagamento, contributi pubblici) con una quota del 27% e dai ricavi dei servizi postali, con il 13% del totale. Nei settori delle telecomunicazioni e dei media è possibile ravvisare un’ inversione di tendenza caratterizzata da un aumento, rispettivamente dello 0,2 e del 3,9%, dei ricavi complessivi. Nel 2016 il mercato dei media registra ricavi per 14,9 miliardi di euro, di cui il 49% derivanti da investimenti pubblicitari, il 37% da vendita di servizi e il 49% da canone e contributi pubblici. La componente radiotelevisiva cresce del 6,5%, mentre continua a perdere risorse il comparto dell’ editoria (-6%), seppur a un tasso inferiore rispetto al recente passato. L’ online, al contrario, continua a espandersi (+14,8%). Per quanto riguarda la tv, nel 2016 i ricavi complessivi sono stati pari 8,360 miliardi (+6,7%). Sky, che opera sia nella televisione in chiaro sia nella pay tv, mantiene la quota maggiore (32%), seppur in riduzione di 1,5 punti percentuali. Segue la Rai che, a fronte dell’ incremento dei ricavi conseguiti (in particolare il canone a +17%), balza al secondo posto (con una quota prossima al 30%), mentre il gruppo Fininvest/Mediaset, presente in entrambi i comparti della tv in chiaro e a pagamento, presenta un’ incidenza sul totale del 28%. Tra gli altri operatori spiccano i gruppi Discovery (2,4%) e Cairo Communication-La7 (1,7%), che in ogni caso mostrano quote molto inferiori rispetto ai primi tre. Nella pay tv, «il gruppo 21st Century Fox/Sky Italia, che propone offerte a pagamento fruibili attraverso la piattaforma satellitare e online, si conferma di gran lunga il primo operatore (77%), mentre il gruppo Fininvest/Mediaset, che offre contenuti a pagamento sulla piattaforma digitale terrestre e sul web, occupa la seconda posizione (21%)». Nel mercato della televisione in chiaro, conclude la relazione, «si rileva il permanere di un livello di concentrazione elevato: oltre l`80% dei ricavi totali della televisione in chiaro è stabilmente detenuto dai gruppi Rai e Fininvest/Mediaset, con il primo che raggiunge una quota (in crescita) pari a circa la metà del totale, e il secondo che possiede una quota (in riduzione) stimata attorno a un terzo». Nell’ ultimo anno il mercato delle comunicazioni è stato caratterizzato da importanti operazioni di concentrazione o consolidamento. Tra le principali l’ Autorità ha citato la joint venture tra Hutchison (H3g) e VimpelCom (Wind), l’ acquisizione del controllo congiunto di Metroweb da parte di Enel Open Fiver e Cdp, l’ acquisizione da parte di Rti (gruppo Fininvest) del gruppo Finelco (Rcs) e la fusione gruppo Espresso-Itedi nel mercato dei quotidiani. L’ Agcom cita inoltre l’ operazione di concentrazione in ambito europeo tra BSkyB-Sky Deutschland-Sky Italia e la nascita di Sky Europe. Infine, «il 2016-2017 è stato il periodo dell’ acquisizione del 30% della partecipazione nel capitale sociale di Mediaset e dell’ acquisizione del controllo di fatto di Telecom Italia da parte del gruppo Vivendi». Nell’ ambito di quest’ ultima operazione, l’ Agcom sottolinea che «si tratta del primo caso nella storia in cui l’ Autorità si è trovata ad applicare la normativa specifica e cionondimeno abbia agito tempestivamente al fine di chiarire le regole a garanzia della concorrenza e del pluralismo nei mercati di riferimento».
Siae, l’ Antitrust e un errore fatale da non ripetere
Italia Oggi
GABRIELE CAPOLINO
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Il 24 luglio l’ Autorità antitrust ha convocato il presidente della Siae, Filippo Sugar, nell’ ambito dell’ indagine legata alle presunte violazioni della concorrenza nell’ intermediazione del diritto di autore nel mondo della musica, del teatro, della letteratura. Sarà importante sentire ciò che un giovane editore musicale, figlio di una storia importante del mondo della musica, avrà da dire, perché in gioco c’ è un pezzo di economia importante per la tutela economica della creatività italiana. In sommi capi, la questione è semplice: il Governo, nel recepire la Direttiva Barnier, ha mantenuto in capo alla Siae l’ esclusiva dell’ intermediazione del diritto d’ autore in Italia. La Siae è un ente pubblico economico a base associativa che non ha scopo di lucro e in quanto tale è assoggettato a ben quattro vigilanti: MiBACT, Presidenza del consiglio dei ministri, Mef, Agcom, e deve riferire annualmente al Parlamento sui risultati dell’ attività svolta. La Società non riceve alcun contributo né finanziamento da parte del Governo, conta oltre 85 mila associati, dà lavoro direttamente a oltre 1.200 persone e a oltre 200 mila di indotto su tutto il territorio nazionale. Gestisce collettivamente il diritto d’ autore nei settori della musica, lirica, cinema, teatro, letteratura, arti visive e radiotelevisione, in un’ ottica solidaristica: amministrando vari repertori (live, riproduzioni ecc.), ridistribuisce le risorse in modo che quelli più remunerativi, come la musica, supportino quelli che lo sono meno e che gli autori di maggior successo sostengano i meno noti e i più giovani. Fino al 2011 la Siae è stata una mangiatoia di politici di ogni estrazione: esprimendo tre consiglieri sui nove (gli altri erano rappresentanti di autori ed editori, appunto), hanno approfittato dei ricavi che la Società otteneva con gli aggi e le varie convenzioni per abitare nelle case in cui la Società investiva gli utili, indicare i mandatari che sul territorio operavano per il controllo e l’ esazione, eccetera. Dopo una lunga lotta e con l’ appoggio di Gianni Letta nell’ ultimo governo Berlusconi, la Siae è stata prima commissariata, poi ha cambiato lo Statuto: ora è sotto stretta vigilanza pubblica ma ha una governance espressa dagli associati e basta. Nel giro di quattro anni, i risultati sono evidenti: i ricavi sono cresciuti raggiungendo nel 2016 i 796 milioni di euro (+18% rispetto al 2013), gli incassi sul multimediale sono passati da 9,3 milioni di euro del 2013 a 17,6 milioni di euro nel 2016 (crescita media annua del 17%), l’ aggio, ovvero il costo dei servizi agli associati, è sceso di oltre un punto percentuale, attestandosi al 15,2% (Apple e Android chiedono dal 25 al 30% agli autori delle App vendute nei loro stores), percentuale più bassa tra le società di collecting in Europa. La società controlla 14 milioni di opere gestite direttamente e 50 milioni di opere, fa oltre 1,2 milioni di contratti di licenza all’ anno con circa 580 mila soggetti che utilizzano il repertorio sul territorio. Ha investito 23 milioni di euro nello sviluppo tecnologico: dei 2,5 milioni di borderò (i giovani direbbero playlist) comunicati ogni anno da chi è tenuto a pagare i diritti, il 20% è comunicato per via digitale, così come online è anche l’ iscrizione e il deposito delle opere. In quattro anni sono stati erogati 4 milioni di euro in contributi di solidarietà ad autori in gravi difficoltà economiche, l’ iscrizione è diventata gratuita per autori ed editori sotto i 31 anni e da gennaio 2017 è stata abolita la quota di istruttoria per le nuove iscrizioni. Il tutto, con il solito regime di spietata compliance che vige in Italia quando si è sotto vigilanza statale: bilanci pubblici, così come la Relazione di trasparenza e le regole di ripartizione, cosa che non avviene per esempio per i soggetti privati che intendono ora affacciarsi sul mercato, tra cui la Soundreef, società di diritto inglese partecipata dai fondi LVenture e Vam Investment e che ha promosso l’ azione antitrust. Su quale fondamento? La direttiva Barnier non ha chiesto all’ Italia l’ abolizione dell’ esclusiva: essa stabilisce come gli organismi di gestione collettiva (come appunto la Siae) debbano operare con trasparenza, non discriminazione, efficienza, e come debbano investire i propri ampi flussi di cassa senza correre rischi e a vantaggio della categoria. In tutti i Paesi d’ Europa dove non c’ è monopolio legale, c’ è un monopolio di fatto: il che non è necessariamente un male, quando si devono difendere diritti e interessi di una grandissima pluralità di autori. Uno sportello unico, una gestione più semplice, più economie di scala sono possibili solo in questo modo. Inoltre bisogna avere spalle grosse anche per poter negoziare con i colossi globali: Google, Apple, Spotify, Amazon, Netflix sono i primi a chiedere un unico interlocutore. L’ esempio americano, che viene a sproposito citato dai fautori della liberalizzazione (in Usa non c’ è un monopolio), è deleterio per il mondo degli autori, degli editori e delle stesse piattaforme globali: gli autori minori non sono per nulla tutelati e sono una giungla il controllo e l’ esazione. Del resto, per convincere i giuristi dell’ antitrust che l’ Italia deve difendere il suo campione nazionale, semmai spingendolo a competere oltreconfine, basta un solo esempio, molto doloroso per chi scrive: guardare come sono finiti gli editori di giornali in tutto il mondo, incapaci di tutelare con una sola voce i diritti dei propri contenuti e il loro sfruttamento economico compiuto da altri. Duemila editori americani di quotidiani hanno dovuto chiedere un’ esenzione all’ Antitrust Usa per poter parlare con una sola voce a Google, Facebook & c.(!!!) In ballo in quel caso c’ è la difesa della democrazia: ma anche nel caso della Siae, la libertà di espressione culturale passa per la tutela e l’ efficienza del suo sfruttamento economico e una forza negoziale per ottenere equa remunerazione. Con una liberalizzazione vi sarà una spaccatura tra gli autori che, a torto o a ragione, ritengono di essere più coll di altri, che andranno con i Soundreef di turno, e la grandissima platea degli altri. E chi andrà a difendere diritti teatrali, quelli della lirica, una volta operata questa frantumazione? Un altro esempio, che forse non tutti conoscono: il privato in Italia può liberamente copiare la canzone acquistata online sui vari telefonini, tablet ecc. di sua proprietà: può farlo perché a pagare è il produttore del telefonino. Ve lo immaginate Soundreef e gli altri aspiranti esattori a trattare da nani con Apple, Samsung & c.? Avrebbero ricevuto in regalo una bella pernacchia. Ci pensino bene, i giuristi dell’ Antitrust. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Sole 24 Ore, nessun socio nuovo in vista secondo Boccia. «Non ci sono contatti con nessuno per l’ ingresso nell’ azionariato del Sole 24 Ore», ha dichiarato ieri il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, a margine dell’ assemblea di Anima, l’ associazione delle industrie meccaniche. «La situazione è quella che conoscete: Confindustria sottoscriverà la sua parte dell’ aumento», ha aggiunto Boccia. «Se il mercato riterrà di sottoscrivere l’ altra parte, lo farà». Servizio pubblico, contratto con la Rai entro fine anno. Il contratto di servizio per la Rai arriverà entro fine anno, lo ha assicurato ieri il sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli, a margine della presentazione della relazione annuale Agcom. «Stiamo lavorando di intesa con Agcom», ha spiegato Giacomelli, «per presentare la proposta di contratto o subito prima o subito dopo la pausa estiva per il parere della commissione per chiudere entro l’ anno». In particolare, «nella nuova convenzione Stato-Rai è previsto un meccanismo molto rafforzato in tema di contabilità separata» tra proventi del canone e quelli dalla pubblicità, «che indica anche un ruolo più incisivo dell’ Agcom», ha concluso il sottosegretario allo sviluppo economico. Centro sperimentale di cinematografia, Crespi per l’ ufficio stampa. Il Csc comunica con Alberto Crespi nuovo responsabile ufficio stampa e comunicazione. Nel suo curriculum, la lunga esperienza di critico cinematografico all’ Unità, la conduzione di Hollywood Party su Rai Radio 3 e la direzione della rivista Bianco e Nero edita dal Csc. Radio Italia Live – Il Concerto contro le malattie cardiovascolari. Radio Italia Live – Il Concerto insieme con gli artisti, che hanno partecipato all’ evento di Radio Italia, mettono all’ asta chitarre autografate e oggetti personali, per sostenere la ricerca e la prevenzione delle malattie cardiovascolari della Fondazione gruppo ospedaliero San Donato. M2o, di nuovo radio ufficiale del Renault vertical summer. Ritorna per il sesto anno il Renault vertical summer tour, evento itinerante che tra luglio e agosto fa sosta nelle principali località marittime con dj set, giochi e balli. Radio ufficiale è per il secondo anno consecutivo m2o.
Pubblicità, i cinque mesi a +0,5%
Italia Oggi
MARCO LIVI
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Maggio è andato meglio delle attese nel mercato pubblicitario, con una crescita del 2,7% (+1,3% senza la stima Nielsen su search e social), così la media dei primi cinque mesi del 2017 si attesta su un +0,5% rispetto allo stesso periodo del 2016 (-1,9% se si escludono search e sul social). I prossimi due mesi saranno di «stallo fisiologico», ha spiegato Alberto Dal Sasso, Tam e Ais managing director di Nielsen, «dal momento che il mese di giugno 2016 aveva fatto registrare una crescita del 9,3% trainata dagli Europei di Calcio. Già con l’ inizio dell’ autunno, torneremo a rivedere numeri positivi: si consideri che nel 2016, il periodo settembre-dicembre aveva segnato una crescita dell’ 1,4%, a differenza di un quadrimestre precedente che cresceva in termini più robusti del 4,8%». Relativamente ai singoli mezzi, la tv chiude il periodo in sostanziale stabilità (si veda l’ altro articolo in pagina). L’ andamento di quotidiani e periodici nel solo mese di maggio è differente: continuano a calare i primi (-7,3%), mentre i magazine registrano una performance timidamente positiva (+0,8%). La raccolta nel periodo cumulato rimane comunque negativa per entrambi: quotidiani a -10,3% e periodici a -6,1%. Continua il buon andamento della radio che, grazie a un singolo mese di maggio a +14,8%, chiude i cinque mesi con una crescita del 4,1%. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in positivo del 7,4% (+0,6%, se si escludono il search e il social). Buoni segnali anche dal transit (0,7%) dalla GoTV (2,8%): «La GoTV continua a essere molto apprezzata dai clienti e soprattutto dai centri media che hanno ormai ‘sdoganato’ l’ inserimento del mezzo nelle pianificazioni tv», ha commentato Angelo Sajeva, presidente Fcp-Assogotv. Continua invece il trend negativo di cinema (-14,4%), outdoor (-17,6%) e direct mail (-4,7%).
Tv a -0,2%. Discovery +7%, Sky +1,2% Mediaset -0,5%, Rai -1,5%, La7 -2,6%
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nei primi cinque mesi del 2017 la raccolta pubblicitaria sta premiando soprattutto il gruppo Discovery (grazie all’ exploit di Nove), che cresce di quasi il 7% sullo stesso periodo 2016 e incassa oltre 100 milioni di euro in pianificazioni (+11,7% nel solo mese di maggio con 24,1 mln di euro). E poi i canali di Sky (anche qui pesano in particolare le performance in chiaro di Tv8), con un +1,2% a sfiorare i 210 milioni (+0,5% in maggio con 52,6 milioni). Insieme i due gruppi, da un punto di vista del mercato pubblicitario televisivo italiano, valgono già una fetta vicina al 20% (12,1% Sky, 5,8% Discovery). Il comparto dell’ advertising tv tricolore nel suo complesso, tuttavia, non vive una stagione proprio da incorniciare: si attesta a un -0,2% nei primi cinque mesi (+1,1% in maggio a quota 426,5 mln), confermando, quindi, in sostanza i risultati del 2016. Il ritmo, naturalmente, lo detta sempre Mediaset, che arretra dello 0,5% incassando 967,4 milioni di euro in spot nel periodo gennaio-maggio (+0,5% nel singolo mese di maggio che vale 236,6 milioni), pari a una fetta del 56,1% della torta tv. Rai pubblicità cala dell’ 1,5% a 377 milioni (+0,5% in maggio con 96,6 mln), per una quota di mercato del 21,8%. E in coda c’ è La7, con i suoi 69 milioni di euro, giù del 2,6% rispetto ai primi cinque mesi del 2016 (c’ è però un +2,5% in maggio con 16,5 mln), e con una quota del mercato pubblicitario tv del 4%. Un dato da ricordare quando si inserisce La7 nel campo di battaglia generalista: il suo fatturato advertising vale 14 volte meno quello di Mediaset; Rai, con i soli spot (senza contare i miliardi di euro da canone pubblico), si mette in tasca ricavi 5,4 volte più alti della rete di Urbano Cairo; Sky, con la sola raccolta pubblicitaria (e lasciando perdere i miliardi di euro di ricavi da abbonamenti) incassa tre volte più di La7; e pure la raccolta di Discovery è pari a 1,44 volte quella di La7. Insomma, visti i mezzi a disposizione, si può dire che La7 faccia quasi i miracoli per raggiungere il suo 3,5% di share medio in prima serata.
Il doppio ruolo di Infront un cavillo della Lega per affidarle il canale tv
La Repubblica
MARCO MENSURATI
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ROMA La Lega Calcio continua a smentire, il suo advisor Infront pure, e però più passa il tempo e più la prospettiva del Canale tematico di proprietà come alternativa al tandem Mediaset/Sky per commercializzare i diritti tv della Serie A sembra assumere una sua inattesa concretezza. La cosa è diventata chiara a tutti nelle ultime settimane, dopo che, leggendo (finalmente) bene il contratto tra Lega e Infront, molti club di serie A hanno sgranato gli occhi davanti all’ articolo 71 nel quale tale possibilità non solo è stata esplicitamente prevista ma è persino stata regolamentata. Quanto meno nel suo tratto principale: quello in cui si stabilisce chi se ne dovrà occupare, e cioè Infront stessa, che da consulente diventerebbe così anche un super fornitore. «Quanto al Canale Lega – è scritto nero su bianco – nel caso la Lega nazionale professionisti Serie A ne decida la realizzazione, la affiderà a Infront, previa delibera». Del canale della Lega si parla praticamente da sempre, spesso citando molti felici modelli internazionali. Ma poi, di fronte alla prospettiva di un canale gestito da venti editori rissosi e non proprio ragionevoli (avete presente i presidenti delle squadre di calcio?) si è sempre preferito soprassedere. Il giorno dopo il fallimento dell’ asta bandita dalla Lega (e preparata da Infront) per la vendita dei diritti, lo scorso 10 giugno, il presidente del Torino, l’ editore Urbano Cairo ha rilanciato l’ idea: «I vantaggi – ha detto – sarebbero notevoli perché il calcio è il motivo principale per cui ci si abbona a una pay tv. Già lo fa la Liga spagnola, con risultati eccellenti. Con questo sistema la Lega riuscirebbe a incassare più soldi, senza dimenticare che avrebbe un pricing molto competitivo, con costi di gestione più bassi di un broadcaster tradizionale». Cairo, come gli altri presidenti, non sapeva però che la Lega si era già impegnata, nel caso, a farlo con Infront, il canale; canale che del resto era sempre stato il pallino di Marco Bogarelli, già presidente di Infront e, per lunghi anni, uomo più potente del calcio italiano. E questo ha aperto un nuovo vasto “fronte della diffidenza”, chiamiamolo così, da parte di tutte quelle società – Roma e Juventus in testa – che non hanno mai visto di buon occhio l’ eccesso di ruolo esercitato dall’ advisor (almeno fino all’ avvento della nuova gestione) sulle dinamiche decisionali e sulla governance della Lega. Letta alla luce dell’ articolo 71 del contratto tra Lega e Infront, l’ intera storia recente dei diritti tv del calcio italiano può assumere infatti tutto un altro aspetto. Il bando del 10 giugno, quello fallito, recitava, all’ articolo 2.4, una specifica avvertenza: «La Lega si riserva di avvalersi appieno delle opportunità previste dalla legge () attuando la distribuzione dei diritti all’ interno di una propria piattaforma». Una sorta di premonizione che oggi alimenta in molti il sospetto che Infront, l’ estensore materiale di quel bando, abbia avuto tutto l’ interesse a far fallire l’ asta per poi imporre – in autunno – grazie allo stato di necessità, il proprio progetto di Lega Channel. Si finirebbe così per «appaltare all’ esterno» – per usare le parole affidate a Repubblica da Franco Carraro in una recente intervista – «ruolo e funzioni istituzionali della Lega Calcio». Il sospetto viene seccamente respinto al mittente da Luigi De Siervo, attuale n.1 di Infront: «Quel contratto è stato stipulato prima del mio arrivo. Se le società vogliono rinegoziarlo io non ho alcun problema. Si diano una rappresentanza (al momento la Lega è commissariata, ndr) e ci mettiamo d’ accordo in 24 ore. Infront ha un atteggiamento più che laico, sul punto. Anche perché il canale della Lega non è affatto una nostra priorità. Noi aspettiamo che il mercato internazionale si consolidi, poi usciremo con il nostro bando». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Le ombre sul bando fallito del 10 giugno e il monito di Carraro su “l’ appalto all’ esterno” De Siervo, n.1 di Infront: “Siamo pronti a riscrivere l’ accordo, il Canale Lega non è una nostra priorità” Tavecchio, commissario di Lega.
LA PARTITA DEI DIRITTI TV
La Repubblica
26 MAGGIO 1 GIUGNO 10 GIUGNO 14 GIUGNO
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La Lega pubblica il bando dei diritti tv per il triennio 2018-2021. Ci sono 5 pacchetti: 4 includono 8 squadre, in escluva per piattaforma (satellite, digitale terrestre e 2 per tlcweb), uno ha 12 squadre in esclusiva assoluta Mediaset presenta un esposto all’ Antitrust contro il bando: nel mirino il pacchetto D, che garantisce l’ esclusiva assoluta per 12 squadre, fra cui Roma, Lazio, Fiorentina, Genoa e Bologna. L’ asta però non viene bloccata In Lega due offerte. Da Sky 230 milioni (base 200) per 8 squadre e 210 (base 400) per le altre 12. Per il web Perform offre 50 milioni, la metà della base d’ asta. Nessuna offerta da Mediaset e Telecom. I diritti non vengono assegnati Mentre la Lega prepara un nuovo bando, l’ Uefa assegna a Sky i diritti per Champions ed Europa League in esclusiva dal 2018 per tre anni. Mediaset ora pensa di cedere alcune partite di Champions a Sky nel 2017-2018.
COS’ È INFRONT
La Repubblica
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Infront Sports & MEdia è una società che gestisce diritti mediatici e commerciali di eventi sportivi. Ha sede a Zugo (Svizzera), è nata nel 2002 dalla fusione di tre società e nel novembre 2015 è stata acquistata dai cinesi di Wanda Group. In Italia Infront è advisor per la Lega e la Figc: è la società che deve vendere i diritti televisivi e procurare contratti commerciali.
Ritorna la pubblicità in tv: +7% Ma i giornali continuano a soffrire
La Stampa
F. D. P.
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La televisione torna a crescere, con un aumento dei ricavi pubblicitari nel 2016 pari al 7%, dopo anni di cali continui e un 2015 sostanzialmente stabile. E’ la sorpresa contenuta nella relazione annuale dell’ Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) presentata ieri a Montecitorio, secondo la quale aumentano in particolare i ricavi pubblicitari dalla tv in chiaro mentre calano gli introiti dalla vendita di offerte televisive. Risultato: cresce la Rai mentre fa passi indietro Mediaset. Stando al rapporto, il 2016 per il mercato dei media in Italia è stato un anno ri ripresa, con ricavi complessivi per 14,7 miliardi di euro, in rialzo del 3,9% rispetto all’ anno precedente. Stabile il mercato delle telecomunicazioni, che segna un +0,2%, con la rete mobile che cresce del 2,4% a fronte di un arretramento di quella fissa del 2%. Nei media, la parte del leone la fa come sempre la pubblicità, che pesa per il 49%, mentre il 37% arriva dalla vendita di servizi e il 14% da canone e contributi pubblici. Corre internet, col +15%, tiene la radio, con un +0,8%. La nota dolente è quella di giornali. «La stampa – spiega il presidente dell’ Agcom Angelo Cardani – è il settore che evidenzia i segnali di maggiore sofferenza». I quotidiani continuano a mostrare il declino strutturale – si legge nella relazione -. I ricavi complessivi subiscono una contrazione pari al 6,6%, con una riduzione maggiore dei ricavi pubblicitari (-7,7%) rispetto a quelli derivanti da vendita di copie, inclusi i collaterali (-6%), ipotizzando invariati i contributi e le provvidenze. «Il settore – sottolinea Cardani – registra una perdita complessiva dei ricavi negli ultimi cinque anni, non solo pubblicitari ma anche derivanti e dalla vendita delle copie (-24%)», il che ha provocato «un netto scivolamento della professione verso la precarizzazione». Al contrario, torna a crescere il settore televisivo, i cui ricavi sono passati dai 7,83 miliardi del 2015 agli 8,36 miliardi del 2016, arrivando a toccare livelli analoghi al 2012 dopo cinque anni di calo. La raccolta pubblicitaria rappresenta oltre il 40% del totale (pari a circa 3,5 miliardi, legati per il 90% alla tv in chiaro), seguita dalla vendita di offerte televisive (36%), in calo di 2 punti percentuali a favore dei fondi pubblici (canone Rai, convenzioni e provvidenze pubbliche), pari al 23%. Ma se internet è l’ area che mostra la maggiore dinamicità, è anche quella su cui bisogna intervenire più in fretta, sottolinea Cardani, che spinge per una legge che limiti lo strapotere di Facebook e Google. Il caso delle fake news, dice, «depone a favore di un intervento normativo la preoccupazione per l’ eccessivo potere delle piattaforme online. Ci si chiede, infatti, come sia possibile fidarsi della promessa dei colossi del web di sviluppare algoritmi finalizzati a rimuovere le informazioni false e virali sequesti stessi colossi sono anche i principali “utilizzatori” gratuiti dell’ informazione». [F. D. P.] BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Facebook ai giornali: collaboreremo per far pagare gli articoli sui social network
La Stampa
BRUNO RUFFILLI
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F acebook consentirà ai giornali di far pagare le notizie ai lettori. Lo aveva anticipato il Wall Street Journal qualche settimana fa, sia pure solo come possibilità. A Torino, alla Conferenza internazionale sul futuro del giornalismo, vi aveva fatto cenno Robert Thomson (ad di Newscorp), che aveva parlato di colloqui con Mark Zuckerberg per introdurre sul social network il meccanismo dell’ abbonamento. Ora la conferma arriva direttamente da Facebook: «Abbiamo appena iniziato a discutere con diversi organi di informazione per trovare il modo di incoraggiare i modelli di ricavo basati sugli abbonamenti», dichiara Campbell Brown, responsabile degli accordi con gli editori. Un ecosistema La mossa non è una risposta alle 2000 testate americane che hanno chiesto al Congresso di rivedere le leggi sull’ antitrust e trattare tutti insieme con Facebook e Google le condizioni per l’ uso dei loro contenuti. «Siamo impegnati ad aiutare il giornalismo di qualità a prosperare su Facebook. Stiamo facendo progressi nel nostro lavoro con gli editori, e abbiamo ancora altro lavoro da fare» commenta Brown. Molto, certamente. Perché il social network da due miliardi di iscritti si trova nella curiosa condizione di non essere un produttore di notizie, se non in minima parte, ma un formidabile mezzo di diffusione e amplificazione, che dalla sua popolarità ricava enormi guadagni pubblicitari. «Anche se Facebook non è un editore, siamo una parte importante dell’ ecosistema delle news – ammettono a Menlo Park – quindi abbiamo la responsabilità di lavorare con questo ecosistema e renderlo migliore per tutti». Come funzionerà Nel dettaglio, Facebook non rivela i piani per gli abbonamenti, ma è molto probabile che il meccanismo si baserà sugli Instant Articles. Si tratta di un formato specifico che consente di ridurre il tempo di caricamento delle pagine su smartphone in modo da poterle leggere appena si tocca un link: è stato accolto favorevolmente dai membri del social network, un po’ meno da giornali e siti web, che dopo l’ entusiasmo iniziale hanno cominciato a defilarsi. Per i guadagni scarsi, ma anche per la difficoltà di accedere ai preziosi dati degli utenti. Facebook potrebbe consentire ai giornali di pubblicare gratuitamente un certo numero di notizie ogni mese nel formato Instant Articles, ma poi – superata una soglia che ciascuno può decidere liberamente – sarà necessario un abbonamento. I giornali potrebbero scorporare i contenuti vendendo ad esempio pacchetti relativi allo sport o alla moda o alle notizie locali, un po’ come fanno le tv via satellite. Si discuterà a lungo di modalità di pagamento e percentuali, ma anche stavolta quello che veramente conta sono i dati, non i soldi. E i dati della carta di credito dei lettori sono preziosissimi, specie per Facebook. La risposta di Google «Vogliamo aiutare gli editori ad avere successo nel loro passaggio al digitale. Negli ultimi anni abbiamo creato numerosi prodotti e tecnologie, sviluppate apposta per aiutare a distribuire, finanziare e sostenere i giornali. Questa è una priorità e rimaniamo profondamente impegnati ad aiutare gli editori nell’ affrontare le loro sfide, come nel cogliere le opportunità». La risposta di Google non affronta la questione dei ricavi pubblicitari, che è la più rilevante tra le richieste della News Media Alliance; attualmente la percentuale che Mountain View incassa sulle inserzioni è circa il 30 per cento. Tra i vari progetti a sostegno del giornalismo di qualità, Google segnala poi che si è appena chiuso «il terzo round di finanziamenti del Fondo per l’ innovazione della Google Digital News Initiative (la partnership con molti editori europei), con finanziamenti per 107 progetti in 27 Paesi che riceveranno in totale oltre 21 milioni di euro». Di questi, 2,8 milioni sono stati destinati all’ Italia, per progetti di innovazione tecnologica dell’ editoria (e c’ è anche il gruppo Gedi). BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Riparte l’ industria dei media Ma non la vecchia stampa
Avvenire
PIETRO SACC’
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MILANO La stampa è la grande esclusa della ripresa dell’ industria italiana delle comunicazioni. Per la prima volta da cinque anni il giro di affari del mondo delle comunicazioni nel 2016 è tornato a crescere, scrive l’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) nel rapporto annuale presentato ieri alla Camera. Il fatturato complessivo è salito dell’ 1,5%, a 53,6 miliardi di euro grazie a una risalita dello 0,2% dei ricavi delle aziende delle telecomunicazioni (a 31,8 miliardi), una crescita anche più sostenuta del’ lindustria dei media (+3,9%, a 14,7 miliardi) e un andamento positivo dei servizi postali (+2,6%, a 7 miliardi di euro). Ogni ambito industriale ha i suoi punti deboli. Per le telecomunicazioni, per esempio, a soffrire sono gli introiti per i collegamenti su rete fissa, diminuiti di un altro 2% lo scorso anno, così come per le poste è il servizio universale a segnare un calo che assomiglia a un tracollo: -12,6%. Per i media la pecora nera del mercato è l’ editoria. Perché mentre gli incassi della televisione sono in decisa ripresa (+9,8% a 4,98 miliardi per quella in chiaro, +2,6% a a 3,4 miliardi per quella a pagamento) e anche la radio segna un buon aumento (+3,2%, a 639 milioni di euro) la carta stampata prosegue il suo declino. Il calo del giro d’ affari è del 6%, da 4 a 3,82 miliardi di euro, ed è un po’ più accentuato per i quotidiani (-6,6% a 1,84 miliardi) che per i periodici (5,5%, a 1,98 miliardi). Nonostante la ripresa generale del mercato della pubblicità (+5%, a 7,2 miliardi di euro complessivi) quella pagata ai giornali e ai periodici è ulteriormente diminuita, scivolando rispettivamente dell’ 8% e del 4%. Il 2016 è anche un anno a suo modo storico perché per la prima volta i ricavi del mondo online, saliti del 14,8% a 1,9 miliardi euro, superano quelli dei vecchi giornali, con gli editori che faticano a vedersi riconosciuti online gli introiti pubblicitari degli articoli prodotti dalle loro redazioni. Come scrive la stessa AgCom nel rapporto, il settore editoriale «non manifesta in alcun modo una inversione di tendenza». La crisi economica della carta stampata, che negli ultimi cinque anni ha visto precipitare del 34% il suo giro d’ affari e del 43% il numero di copie vendute, è a un livello tale da creare un allarme per il funzionamento della nostra democrazia, ha avvertito il presidente dell’ AgCom, Marcello Cardani. «La pluralità ma anche la qualità dell’ informazione – ha ricordato a Montecitorio – rappresentano condizioni imprescindibili di un sistema democratico, la contrazione e il depauperamento di un bene essenziale richiede l’ attenzione di tutti gli attori in campo, specie in un momento storico nel quale la domanda e l’ offerta di informazione di qualità sul web sembra minacciata da fenomeni di camere di risonanza, polarizzazione e strategie di disinformazione». I sintomi questo problema sono già visibili. Il crollo degli investimenti nel-l’ attività giornalistica a cui si è assistito nell’ ultimo decennio, segnala l’ Ag-Com, «non può non avere effetti sulla qualità di informazione, minando l’ attività di approfondimento e verifica delle fonti e generando fenomeni patologici, quali quello delle fake news». Non solo. A livello locale la situazione è anche più difficile, perché le testate sono più in difficoltà e per i giornalisti, stretti tra «precariato diffuso e retribuzioni sempre più esigue», è diventato «arduo riuscire a opporsi alle diverse forme di censura imposte dall’ esterno». L’ AgCom non offre soluzioni. Segnala l’ approvazione della riforma dell’ editoria dello scorso autunno e si impegna a una «costante attività di monitoraggio » del settore combinata a una strategia per affrontarne «tutti i nodi strutturali che vanno dalla drastica riduzione delle fonti di finanziamento alle criticità emerse nella professione giornalistica». RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gli investimenti pubblicitari a maggio crescono del +2,7%. Performance timidamente positiva per i periodici (+0,8%) e continua la crescita della radio (+14,8%). Ancora male i quotidiani (-7,3%). I dati Nielsen (TABELLE)
Prima Comunicazione
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Nei primi cinque mesi 2017, il mercato degli investimenti pubblicitari chiude con una crescita dello +0,5% rispetto allo stesso periodo 2016 (-1,9% se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social). Positivo l’ andamento del mercato anche nel singolo mese di maggio: +2,7% (+1,3% senza search e social). Lo dicono i nuovi dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di maggio 2017 (.pdf) . “A maggio il mercato è andato meglio delle aspettative e registra un segno positivo nei primi cinque mesi dell’ anno nel suo perimetro totale. Nei prossimi due mesi verranno a mancare gli apporti degli eventi sportivi che hanno caratterizzato l’ estate del 2016, ma la tendenza rimane positiva” – spiega Alberto Dal Sasso, TAM e AIS Managing Director di Nielsen.”Avremo due mesi di stallo fisiologico, dal momento che il mese di giugno 2016 aveva fatto registrare una crescita del 9,3% trainata dagli Europei di Calcio. Già con l’ inizio dell’ autunno, torneremo a rivedere numeri positivi: si consideri che nel 2016, il periodo settembre – dicembre aveva segnato una crescita dell’ 1,4%, a differenza di un quadrimestre precedente che cresceva in termini più robusti del 4,8%”. Relativamente ai singoli mezzi, grazie a un singolo mese di maggio positivo (+1,2%), la tv chiude il periodo gennaio – maggio in sostanziale stabilità (-0,2%). L’ andamento di quotidiani e periodici a maggio è differente: continuano a calare i primi (-7,3%), mentre i magazine registrano una performance timidamente positiva (+0,8%). La raccolta nel periodo cumulato rimane comunque negativa per entrambi: quotidiani a -10,3% e periodici a -6,1%. Continua il buon andamento della radio che, grazie a un singolo mese di maggio a +14,8%, chiude i cinque mesi con una crescita del 4,1%. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising chiude in positivo del 7,4% (+0,6%, se si escludono il search e il social). Buoni segnali anche dalla GoTV (2,8%) e dal transit (0,7%), mentre continua il trend negativo di cinema (-14,4%), outdoor (-17,6%) e direct mail (-4,7%). Per quanto riguarda i settori merceologici, se ne segnalano 11 in crescita, con un apporto complessivo di circa 81 milioni di euro. Per i primi comparti del mercato si registrano andamenti differenti: alle performance positive di automobili (+4,9%), farmaceutici (+9,8%) e abitazione (+2,3%), si contrappongono i cali delle telecomunicazioni (-7,1%) e di media/editoria (-13,9%). Andamento molto positivo per tre settori – elettrodomestici, giochi/articoli scolastici e industria/edilizia/attività – che incrementano il loro fatturato rispettivamente del 50,4%, 44,7% e 47,9%, con un apporto complessivo di circa 32 milioni di euro. “L’ aggancio alla ripresa economica europea da parte dell’ Italia, ancora in lieve difficoltà, soprattutto dal punto di vista occupazionale, sarà fondamentale per il mercato della comunicazione. Ugualmente, lo saranno probabilmente del medio termine anche le iniziative tattiche come il Tax Credit” – conclude Dal Sasso. “I segnali di ottimismo in termini previsionali emersi dalla recente Assemblea dell’ UPA, insieme agli indicatori di cui riportiamo la consueta sintesi, ci consentono di confermare una chiusura d’ anno in crescita, seppur contenuta. Si tratta di un risultato importante, considerate le condizioni strutturali di un anno privo di eventi mediatici rilevanti”. In allegato, in un unico file: la nota, la tabella sugli investimenti per tipologia di media e la tabella sui settori di investimento. – Leggi o scarica i dati Nielsen sul mercato pubblicitario in Italia nel mese di maggio 2017 (.pdf) .