Indice Articoli
chessidice in viale dell’ editoria
Radio, aperta la caccia grossa
Un tetto ai compensi per la Bbc
I giornali Usa dichiarano guerra al duopolio Google-Facebook
Le menzogne contro Il Giornale d’ Italia
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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Tar Lazio, il 7 febbraio l’ udienza per il ricorso Vivendi vs Agcom. È la data ufficiale dell’ udienza del Tar del Lazio per valutare il ricorso di Vivendi contro Agcom, che impone di fatto al gruppo francese di scegliere tra il controllo di Tim e la presenza a quasi il 30% in Mediaset. Vivendi si è uniformata al provvedimento annunciando di congelare i diritti di voto nel Biscione mentre in Tim, per adempiere alle richieste Ue, è pronta a cedere Persidera. Il 4 luglio il Tar ha registrato la richiesta dei francesi di rinunciare alla camera di consiglio fissata domani per andare direttamente nel merito. Usa, quotidiani contro Google e Facebook. La News media alliance ha chiesto al Congresso una deroga alla legge antitrust per proteggersi da Google e Facebook. Il gruppo sostiene che le leggi che impediscono ai media di lavorare insieme per contrattare accordi pubblicitari con le piattaforme internet favoriscano i due colossi. Virgin Radio compie 10 anni. L’ emittente festeggia affiancando gli artisti in tour in Italia e con la giornata speciale di domani quando gli speaker stravolgeranno il palinsesto, in diretta su Facebook oltre che in onda su Italia1. Blackpills debutta in Italia. E presenta le sue serie tv pensate per smartphone e il pubblico dei giovani adulti. Già presente in Francia e Usa, con blackpills lavorano nomi noti come Bryan Singer e James Franco. Sono 100 i libri iscritti alla 5ª edizione del concorso «Leggi in Salute – Angelo Zanibelli», riconoscimento letterario istituito da Sanofi e dedicato a testi che raccontano salute, sanità e malattia. Le opere edite sono 89, suddivise in esordienti under 35 e senior, e 11 nella nuova sezione degli inediti, la cui opera vincitrice sarà pubblicata da Cairo Editore. Quattroruote Academy lancia il «Master Restauratori auto d’ epoca». Realizzato in collaborazione con Asi (Autoclub storico italiano) e Fca Heritage, al master partecipa Ruoteclassiche, mensile dell’ Editoriale Domus, oggi diretto da David Giudici, che nel 2017 celebra i suoi primi 30 anni.
Radio, aperta la caccia grossa
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nel grande mercato editoriale italiano c’ è un forte movimento sul fronte radio. Tutto nasce dalla salute del mezzo, la cui raccolta pubblicitaria cresce costantemente dal 2015 (e ha appena chiuso un maggio strepitoso a +14,8% sullo stesso mese 2016 e a +16,1% sul maggio 2015) e dalla mossa di Mediaset, che, con l’ acquisto di 105, Virgin Radio, 101, Radio Subasio, e l’ accordo commerciale con Rmc, è diventata di fatto nel giro di un anno e mezzo l’ attore principale anche su quel mercato. La radio, ovviamente, consente importanti sinergie nei pacchetti pubblicitari offerti ai clienti inserzionisti. Ed è per questo che un po’ di dossier relativi a network radiofonici hanno iniziato a girare sulle scrivanie di grandi gruppi. Se la Rai presidia già il comparto radiofonico, ci sono invece altre media company come Sky, Discovery e La7 che potrebbero fare delle mosse nei prossimi mesi. Urbano Cairo, per esempio, già all’ inizio della sua avventura come imprenditore nel 1995 aveva sondato la possibilità di accordi azionari con l’ allora Finelco di Alberto Hazan. Poi non era accaduto nulla. Ma l’ ipotesi di rilevare la maggioranza di un network radiofonico potrebbe interessare ancora. Discovery Italia ha già stretto una alleanza con Radio Italia, trasmettendo sia il programma RadioItaliaLive, sia gli eventi RadioItaliaLive-Il concerto, e da settembre manderà in onda pure Rds Academy, trasmissione di Rds prima nel palinsesto di Sky Uno. La stessa Sky, non fosse altro per esigenze della concessionaria Sky media, sta facendo riflessioni su possibili incursioni nel mondo della radio. Che, d’ altro canto, non può lasciare completamente nelle mani del rivale Mediaset. Per la media company guidata da Andrea Zappia si era ventilato un interesse relativo a Radio 24, proprio nelle settimane in cui un dossier, con l’ ipotesi di cessione del 49% dell’ emittente, era girato su molte scrivanie che contano, compresa quella di Rds-Radio Dimensione Suono. Se qualche big dell’ editoria volesse quindi consolidarsi nel comparto radiofonico, a quali prede potrebbe puntare? Difficile dirlo. Sul mercato, comunque, si esclude un possibile disimpegno della famiglia Suraci dal gruppo Rtl 102,5, e pure possibili cessioni da parte del polo s (ex Espresso). Anche Radio Dimensione Suono, come prossima mossa rilevante di qui a qualche anno, punterebbe di più a una eventuale quotazione in borsa piuttosto che a fusioni con altri network. © Riproduzione riservata.
Un tetto ai compensi per la Bbc
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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La Bbc studia un tetto ai compensi dei suoi giornalisti e presentatori che si occupano d’ informazione: le retribuzioni delle «star» dell’ emittente britannica non potranno superare le 380 mila sterline, ossia 429,3 mila euro. Iniziativa che ricorda la querelle che ha scombussolato a lungo l’ italiana Rai per il limite dei 240 mila euro posto ai compensi. Limite che però alla fine è stato derogato per le prestazioni artistiche e d’ intrattenimento, riuscendo così a includere e salvare le collaborazioni coi volti più noti della tv pubblica tricolore. Nel caso della Bbc (spesso presa a modello per la Rai), comunque, la proposta fa parte di un più ampio e articolato piano per fare economie. Infatti, sugli studios londinesi che si occupano di attualità (la Bbc News) pende sempre la spada di Damocle degli 80 milioni di sterline (oltre 90 milioni di euro) da risparmiare entro il 2021-2022. Per esempio, il piano più articolato dell’ emittente comprende anche efficienze sui cosiddetti «impegni di lavoro imprevisti» che trattengono la redazione e i presentatori oltre l’ orario di lavoro. Una sorta di straordinario che, tra un fuoriprogramma e l’ altro, costa ogni anno un totale di 187 milioni di sterline (211,4 milioni di euro). Non poco, soprattutto se si aggiungono le spese dei taxi per tornare a casa, quando un redattore è rimasto al lavoro fino a tardi (o viceversa se deve arrivare in tv molto presto la mattina), e ancora se si sommano i conti al ristorante per chi si trova fuori sede. Per questi ultimi due ordini di problema, la Bbc suggerisce rispettivamente di affidarsi al trasporto pubblico e offre il rimborso-pasto solamente se ci si trova a non meno di un certo numero di chilometri dal proprio ufficio. Con una proposta distinta e parallela a queste, infine, lo stipendio di presentatori, responsabili in redazione e corrispondenti non toccati dai precedenti tagli saranno ridotti del 10%, progressivamente nei prossimi cinque anni. Insomma, nella perfida Albione il taglio delle spese è stato preso seriamente, anche perché da queste efficienze dipende il piano di rilancio dei contenuti, per esempio con nuovi programmi dedicati ai bambini e ai ragazzi o attraverso il debutto direttamente nel territorio dei vari Netflix di proprie clip, blog e videoblog, podcast e applicazioni (vedere ItaliaOggi del 5/7/2017). Certo a Londra nulla è stato ancora deciso e ad agosto ci sarà la votazione dei dipendenti per accettare o meno la proposta aziendale (i contrari sono dati vincenti) ma per tentare almeno di conquistare voti è prevista una serie di misure compensative, tra cui maggiori coperture economiche per i congedi di paternità, la malattia e le assenze per motivi familiari. Intanto, però, l’ emittente guidata dal d.g. Tony Hall e dal presidente David Clementi ha intenzione di calcare la mano e ha annunciato di voler pubblicare questo mese tutti i nominativi dei dipendenti che guadagnano più di 150 mila sterline (169,7 mila euro). Complessivamente a lavorare per l’ emittente di Sua Maestà sono in 19 mila a tempo pieno, di cui circa 7 mila sull’ informazione e l’ attualità. Unica consolazione è che Albione è perfida ma tutto il mondo è paese e dall’ anno prossimo non è detto che verrà ripubblicato o aggiornato l’ elenco dei presentatori e giornalisti con gli stipendi più alti. Infatti, molti di loro sono stati spostati sotto un’ altra divisione, di natura prettamente commerciale, che non ha l’ obbligo di rendere note le retribuzioni dei dipendenti. Anche di quelli, hanno insinuato indiscrezioni di stampa britanniche, che a fine mese portano a casa più di 1 milione di sterline (circa 1,1 milioni di euro). © Riproduzione riservata.
I giornali Usa dichiarano guerra al duopolio Google-Facebook
La Stampa
PAOLO MASTROLILLI
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La pazienza dei media am ericani verso Google e Facebook è finita. La loro associazione è insorta e ha chiesto al Congresso di cambiare le leggi antitrust, in modo da impedire che i due giganti digitali continuino a parassitare gratuitamente i contenuti giornalistici prodotti da altri, intascando tutti o quasi i profitti della pubblicità. Da questa sfida, appena lanciata ufficialmente dalla News Media Alliance con una petizione al Parlamento Usa, dipenderà non solo il futuro del giornalismo globale, ma anche della democrazia. Nel mondo non c’ è mai stata così tanta domanda di informazione come oggi. L’ instabilità e l’ incertezza che ci circondano hanno accresciuto il bisogno di conoscenza, e la quantità di notizie consumate è enorme, vere o false che siano. Eppure i giornali sono in crisi. Questo paradosso deriva soprattutto da due elementi: la crisi economica del 2008, che ha fatto precipitare la pubblicità sulla carta, e la rivoluzione digitale, che ha indirizzato altrove le risorse. Cioè verso i giganti online e i social, che non producono alcun contenuto giornalistico, ma sfruttano quello degli altri per guadagnare. I numeri, in proposito, sono chiari. Google e Facebook controllano il 70% del mercato americano della pubblicità digitale, che in totale ammonta a circa 73 miliardi di dollari, e il 50% di quello globale. L’ 80% dei ricavi generati dalle ricerche su Internet va a Google, e il 40% di tutti gli spot digitali va a Facebook. L’ 83% di ogni nuovo dollaro investito nell’ advertisement online entra nelle tasche di questo duopolio. In totale, l’ intero introito pubblicitario dell’ industria della stampa americana, cartacea e digitale, è 18 miliardi all’ anno, cioè un terzo di quanto incassava un decennio fa. Invece l’ anno scorso Alphabet, cioè Google, ha intascato da questo business 19 miliardi di profitti netti, e Facebook 10 miliardi. Tutto ciò avviene per un motivo molto chiaro: la pubblicità sulla carta diminuisce, e quella digitale aumenta, ma non va nelle tasche di chi investe per produrre l’ informazione. La maggioranza del pubblico non legge gli articoli comprando i giornali o abbonandosi ai siti, ma ci arriva gratuitamente attraverso le porte aperte dai giganti digitali come Google e Facebook. Siccome sono queste piattaforme che attirano il traffico degli utenti, 2 miliardi di persone nel caso del social media fondato da Mark Zuckerberg, gli inserzionisti vanno da loro. Così il duopolio si arricchisce grazie al consumo di notizie che non ha fatto nulla per produrre, mentre i media che generano i contenuti scippati rischiano di chiudere. Di questi temi, e quindi del futuro dei giornali, si è discusso a giugno nel convegno organizzato da La Stampa per il suo centocinquantesimo anniversario. In Europa qualcosa ha iniziato a muoversi, per correggere questa ingiustizia, ad esempio con la recente multa da quasi 3 miliardi di dollari che l’ Antitrust ha imposto a Google per la violazione delle regole sulla competizione. Negli Usa però non è successo nulla, e anzi i due giganti hanno avuto via libera per acquistare concorrenti, accrescendo la loro posizione dominante. Perciò la News Media Alliance (Nma), che riunisce oltre 2.000 testate in America e Canada, tra cui New York Times , Wall Street Journal e Washington Post , ha chiesto al Congresso di intervenire. Vuole cambiare le leggi antitrust, che paradossalmente penalizzano proprio i giornali, impedendo loro di unirsi in un cartello per negoziare con i colossi digitali. Se ciò avverrà, la Nma domanderà quattro cose: condividere con Google e Facebook i ricavi pubblicitari, ottenere che favoriscano le sottoscrizioni ai giornali, ricevere i dati sugli utenti che leggono i loro articoli attraverso le piattaforme digitali, promuovere i propri brand. Gli editori pensano di avere una finestra di circa 18 mesi per vincere questo braccio di ferro, e ritengono che il momento sia favorevole perché Google, Facebook e gli altri social sono stati danneggiati dalla bufera delle fake news. I giganti digitali sanno di avere bisogno dell’ informazione per attirare gli utenti, ma è necessario che sia attendibile. Solo i legacy media possono assicurare questa credibilità, qualunque cosa dica il presidente Trump via Twitter, e quindi sono nella condizione di ottenere che Google e Facebook paghino per averla. Non è una lotta fra il vecchio e il nuovo mondo delle comunicazioni, perché i giornali sono già impegnati nel campo digitale, ma un giusto riconoscimento della qualità prodotta su qualunque piattaforma. Le testate tradizionali possiedono questa affidabilità, e sono disposte a cedere i loro contenuti, a patto che siano onestamente compensate per il lavoro unico che svolgono, in modo da avere poi le risorse per continuarlo. È chiaro ormai che non si tratta solo di una questione di soldi, perché la libertà dell’ informazione dipende dalla sua capacità di sostenersi. Il presidente Jefferson diceva che a un governo senza giornali preferiva i giornali senza un governo. Il mondo però corre verso la prima ipotesi, antitesi della democrazia, se non si affretta a correggere gli abusi che stanno chiudendo la bocca all’ informazione di qualità. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Le menzogne contro Il Giornale d’ Italia
Il Giornale d’Italia
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Ci ha provato prima “Il Corriere della Sera”, adesso anche “La Repubblica”, due giornaloni nazionali sui quali la verità non la leggerete neppure per sbaglio. Diffondono la notizia che il giornale fondato (riaperto) da Francesco Storace nel 2012 sia finanziato da “Regione Lazio”, e di conseguenza non sarebbe vero che si tratterebbe di una testata che non riceve finanziamenti pubblici. Una menzogna, se ripetuta mille volte, diventa una verità. Ma pur sempre di menzogna si tratta. Il quotidiano diretto da Storace non riceve infatti neppure un centesimo di finanziamento pubblico all’ editoria; ciò a cui si riferiscono le accuse infondate di Repubblica e Corriere è esclusivamente pubblicità. Avete capito bene. Solo pubblicità. Ma dovete sapere che diffondere una menzogna può sempre destabilizzare moralmente le persone per bene. Soprattutto se non hanno nulla da temere. E Francesco Storace è una persona per bene. E il suo unico timore è quello che, di fronte alle menzogne, le aziende che si fanno pubblicità attraverso il Giornale d’ Italia possano tirarsi indietro per evitare sterili polemiche, provocando in tal modo seri problemi alle casse del giornale, il quale, lo ricordo, è completamente gratuito! Per quale motivo difendo “Il Giornale d’ Italia”? Dovete sapere una cosa. Ho conosciuto Storace via twitter nell’ estate 2014. Aveva frainteso un mio tweet tra lui e Gasparri. Ci chiarimmo. Il giorno dopo, leggendo un mio pezzo sull’ Erf, mi cito’ nel suo editoriale. Iniziai quindi a mandargli qualche mio articolo su euro, BCE, ri forma costituzionale, legge elettorale e su tantissimi altri temi scottanti. Ho addirittura scritto una novella a puntate sull’ euro, uscita in tre parti sul numero culturale della domenica. Mi ha sempre pubblicato. Senza mai una censura. Senza mai un taglio. Senza mai un’ obiezione. Si è sempre fidato di me. Caso più unico che raro trovare un quotidiano nazionale che dia spazio a scrittori e intellettuali indipendenti. Del resto, le letture del Giornale d’ Italia crescono sempre di più di anno in anno, e questo fa paura. Molta paura. In quel Paese in cui nessuno tutela la libertà di stampa di fronte alle menzogne, prima o poi vi sarà una dittatura. È sempre la solita storia: finché un qualcosa non ci tocca direttamente, facciamo finta di niente. Poi, quando arriva il nostro turno, ci rendiamo conto che a difenderci non ci è rimasto più nessuno. Giuseppe Palma.