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Rassegna Stampa del 29/06/2017

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Indice Articoli

Affondo Fnsi-Usigrai: restituire il telefono a Federica Sciarelli

L’ inchiesta “in sonno” sui ras dei giornaloni

La Siae chiude il 2016 con ricavi e utili record

Nuova causa contro Vivendi, ma Mediaset punta alla pace

I media americani si sono sfracellati e quelli italiani li copiano a garganella

In rete domineranno i video

Mediaset, nuova causa a Vivendi

Drahi compra la prima radio e la prima televisione di Lisbona

Per la raccolta di viale Mazzini semestre a -1% e anno a +2%

Rai, nuovo piano news a breve

Chessidice in viale dell’ Editoria

Franco Levi presidente dell’ Aie Rilancio per Tempo di libri

Ricardo Franco Levi presidente dell’ Aie: “La nostra è una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta. All’ insegna dell’ unità”

Levi: «Incentivi per l’ acquisto di libri»

Guida presidente dei Piccoli Editori

Affondo Fnsi-Usigrai: restituire il telefono a Federica Sciarelli

Il Fatto Quotidiano

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Solidarietà alla giornalista Federica Sciarelli, conduttrice del programma Rai Chi l’ ha Visto? dalla Federazione nazionale stampa italiana e dall’ Unione sindacale giornalisti Rai, dopo la decisione della Procura di Roma di sequestrare il telefonino della giornalista, indagata per violazione del segreto d’ ufficio in concorso con il pm Henry John Woodcock, in merito alle fughe di notizie sul caso Consip. “In questo come in tutti i casi analoghi il sequestro del telefonino di una giornalista resta un atto grave, peraltro già contestato in più sedi”. Per la Fnsi e il sindacato dei giornalisti Rai, il sequestro è una “palese ed esplicita violazione della segretezza delle sue fonti”. Sul caso Consip intervengono, riconoscendo l’ importanza dell’ inchiesta definendola “una vicenda della massima delicatezza istituzionale e democratica, dal momento che ha tutti i contorni di un duro scontro all’ interno degli apparati dello Stato”. Ribadendo la fiducia nella magistratura “che deve fare serenamente il proprio lavoro per accertare i fatti” ma ” è necessario che venga rivista con urgenza la decisione di sequestrare il telefonino di Federica Sciarelli, alla quale va la nostra piena solidarietà”.

L’ inchiesta “in sonno” sui ras dei giornaloni

Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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Aun anno di distanza dalle nuove denunce inviate al presidente dell’ Inps Tito Boeri, non sono state ancora presentate le conclusioni degli ispettori sulle presunte truffe per decine di milioni di euro ai danni dello Stato perpetrate dai big dell’ editoria. Secondo quanto appreso dal Fatto, le risultanze dell’ indagine sarebbero state “imboscate” perché avrebbero confermato la fondatezza dei primi rilievi della direzione generale dell’ Inps, presentati al ministero del Lavoro già nel settembre scorso. E anzi ne avrebbero ampliato i contorni e la portata. Era il maggio del 2016 quando sulla posta elettronica del presidente dell’ Inps, Tito Boeri, arriva una segnalazione, debitamente firmata, che denuncia gravi irregolarità nell’ accesso alla cassa integrazione guadagni e ai prepensionamenti del gruppo l’ Espresso. Dall’ istruttoria interna si confermerebbero numerose criticità. L’ azienda editoriale avrebbe avuto indebitamente accesso alle facilitazioni e ai sussidi di legge in almeno due operazioni di ristrutturazione, la prima conclusasi nel 2012 e la seconda nel 2015. Il danno all’ erario e agli istituti previdenziali (Inps e Inpgi) viene allora valutato dalla Vigilanza dell’ Inps in oltre 70 milioni. Convinto da questi riscontri e sollecitato dall’ inchiesta del Fatto, il direttore generale pro-tempore, Massimo Cioffi, investe il ministero del Lavoro e si avviano le ispezioni presso le aziende. Nel frattempo parte la riorganizzazione della dirigenza dell’ Inps. Alla direzione generale approda Gabriella Di Michele. La nuova direttrice è una funzionaria Inps di lungo corso. Il 27 aprile 2012 guidava la direzione del Lazio quando la direzione Audit trasmetteva alla direzione centrale Vigilanza una denuncia anonima contro alcuni dipendenti dell’ istituto per l’ inserimento di contributi fittizi a favore di dipendenti del gruppo editoriale l’ Espresso. Le direzioni centrali sollecitavano la Di Michele che dopo un anno risponde: “Il controllo effettuato sulle posizioni dei dipendenti del gruppo L’ Espresso è risultato regolare e non ci sono elementi tali da suffragare la segnalazione anonima”. Dopo altre sollecitazioni la direzione del Lazio l’ 11 aprile 2014 comunicava ancora che dopo accurati controlli “dall’ accertamento non sono emerse irregolarità che richiedano un accesso ispettivo”. Nel frattempo Di Michele veniva promossa a direttore centrale Entrate. Dal 12 agosto 2016, quando la direzione centrale prestazioni a sostegno del reddito porta a conoscenza di tutte le strutture competenti dell’ Inps le nuove segnalazioni arrivate al presidente Boeri, il lavoro di verifica interna degli ispettori procede spedito ed emergono anche altri importanti indizi di comportamenti illeciti di altre aziende editoriali, come il gruppo Il Sole 24 Ore. Fino a che, a novembre scorso, l’ indagine è stata trasferita al neonato Ispettorato nazionale del Lavoro (Inl). Interpellato dal Fatto il mese scorso l’ Inl si trincera dietro la complessità dei rilievi ma conferma che molti riscontri sono stati conclusi. Nell’ Ispettorato sono state accentrate le attività del ministero del Lavoro, dell’ Inps e dell’ Inail. A capo dellastruttura è stato messo Paolo Pennesi, ex direttore generale dell’ ispettorato del lavoro del dicastero e braccio destro del ministro, Giuliano Poletti. Ternano, laureato in giurisprudenza, Pennesi è autore dei decreti attuativi del Job Act. Il Pm Francesco Dall’ Olio ha recentemente indagato Pennesi per abuso d’ ufficio: avrebbe favorito un’ azienda umbra, la So.Ge.Si, in una presunta truffa ai danni dell’ Inps per “indebiti sgravi contributivi previsti dalla legge”. Al ministero un’ informativa di reato a carico dell’ azienda sarebbe stata bloccata proprio da Pennesi. L’ udienza davanti al Gup che dovrà decidere per il rinvio a giudizio, è stata fissata per il 5 luglio prossimo. Pennesi ha chiesto il rito abbreviato.

La Siae chiude il 2016 con ricavi e utili record

Il Sole 24 Ore
Francesco Prisco
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Siae chiude il bilancio 2016 con un fatturato a quota 796 milioni, «il più alto di sempre nella storia della società autori ed editori», secondo il presidente Filippo Sugar. I principali indicatori economici sono contrassegnati dal segno più: rispetto all’ anno precedente, i ricavi sono infatti cresciuti dell’ 1,8%, mentre l’ utile netto si è attestato a quota 1,3 milioni a fronte dei circa 300mila euro del 2015. Dal 2013, anno delle ultime elezioni della Siae, il fatturato è cresciuto di oltre 120 milioni (18%). Quanto al risultato di esercizio, siamo di fronte al sesto bilancio consecutivo che la società chiude in attivo. Il contributo maggiore al fatturato (740 milioni) arriva da diritto d’ autore e altri servizi di intermediazione (+2,2%). La società ha liquidato agli aventi diritto 656 milioni compresa la copia privata, con un incremento di 40 milioni sul 2015 (+6,3%). Gli incassi per il solo diritto d’ autore, al netto cioè della copia privata, si sono attestati a 591 milioni, con una crescita del 3% rispetto al 2015. In aumento gli incassi relativi alla multimedialità (+9,6% sul 2015), in parte ascrivibili al recupero di diritti pregressi nei confronti dei grandi utilizzatori digital service provider, e quelli relativi all’ emittenza (+3,9%), riconducibili alla finalizzazione degli accordi con Mediaset Rti e Sky per le sezioni musica e cinema. Curioso che queste performance siano arrivate nell’ anno del grande dibattito intorno al recepimento della Direttiva Barnier, con la Siae spesso sotto attacco mediatico da parte di competitor come la start up Soundreef che, proprio nel 2016, ha messo sotto contratto artisti celebri come Fedez e Gigi D’ Alessio. Per Sugar, tuttavia, «la Siae, società che è espressione di autori ed editori, sta semplicemente raccogliendo i frutti di un processo di riassetto avviato quattro anni fa con l’ elezione a presidente di Gino Paoli». Una stagione che volge al termine – entro l’ anno ci saranno infatti nuove elezioni in Siae – nella quale si è lavorato per rendere l’ ente economico a base associativa fondato nel 1882 più competitivo e trasparente rispetto a una tradizione storica di grandi diseconomie che avevano portato addirittura al commissariamento del 2011. Si è intervenuto sulla pianta organica, con l’ esodo di 180 addetti, l’ assunzione di 120 giovani e il varo di un contratto integrativo. Azioni che, dal 2013 a oggi, hanno ridotto il costo del personale di 8 milioni, fino a quota 82 milioni. «Si è intervenuto – prosegue Sugar – anche sulle aliquote di provvigione, portate al 15,3% nel 2015 e al 15,2% nel 2016, tra le più competitive d’ Europa». Nel 2016 è stato incrementato di 5,6 milioni il fondo di riorganizzazione aziendale a supporto del piano strategico (che ha raggiunto quota 19,5 milioni) e sono stati effettuati investimenti per 12,7 milioni. In particolare, si è investito in innovazione tecnologica, con interventi a valere sull’ Agenda digitale da 8,6 milioni. Risorse che salgono a 23,5 milioni se si considerano gli investimenti in tecnologia dell’ intero quadriennio. Tra le novità introdotte, il nuovo portale associati, la piattaforma di pagamento on line e il sistema di ripartizione analitica delle utilizzazioni on line. Sfida ambiziosa, in particolare, quella di mioBorderò, il borderò digitale che offre la possibilità a organizzatori e utilizzatori di compilare via web il programma musicale della serata puntando a garantire ripartizioni analitiche e tempi più rapidi di liquidazione per gli aventi diritto. In ultimo la funzione sociale di Siae che l’ anno scorso ha erogato 1 milione per contributi solidaristici e 0,9 milioni per attività culturali e sociali lanciando Sillumina, progetto in accordo con il ministero dei Beni culturali, attraverso il quale la società ha distribuito 6,3 milioni a sostegno di attività che favoriscono la creatività. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Nuova causa contro Vivendi, ma Mediaset punta alla pace

Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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«Si vis pacem, para bellum». Così il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, ha risposto a chi chiedeva se la diatriba con Vivendi avesse raggiunto il punto di non ritorno. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Ma la prolusione del presidente all’ avvio dell’ assemblea (che ha visto grande assente proprio l’ azionista francese), gli spiragli di pace non li aveva proprio fatti intravvedere. Confalonieri ha parlato di «take over ostile» della compagnia controllata e presieduta da Vincent Bollorè, che con «modalità e tempistica tipiche dei raid» ha rastrellato quasi il 30% dei diritti di voto. Ha parlato di un «approccio tipicamente finanziario» da parte di un gruppo che «tradisce gli impegni presi e tratta con arroganza gli organi di controllo». «A posteriori – ha sottolineato – abbiamo capito che l’ obiettivo di Vivendi era quello di entrare dalla porta di Premium per poi scalare la società». E dunque, immaginare la compagnia transalpina come grande editore in Italia è «inquietante». Confalonieri ha parlato di «voltafaccia, accordo stracciato e attacco al cuore di Mediaset», mentre quella che doveva essere un’ alleanza strategica, cementata da scambio di quote, è diventata invece «un elemento fortemente negativo, un intralcio, un condizionamento pesante allo sviluppo dell’ azienda che, con il peso di questa querelle societaria, non può esprimere appieno le sue potenzialità». «Per esempio – ha spiegato Confalonieri – ci è preclusa ogni iniziativa che possa direttamente o indirettamente incidere sui settori tv e telecomunicazioni, proprio a causa della presenza di Vivendi in posizione di controllo in Telecom e di collegamento in Mediaset». Così – è stato rivelato in assemblea – l’ 8 giugno scorso Mediaset, insieme all’ azionista Fininivest, ha nuovamente citato in giudizio Vivendi. Questa volta per «violazione contrattuale, concorrenza sleale e violazione della legge sul pluralismo televisivo». Accuse già emerse in questi mesi che vertono intorno al mancato rispetto delcontratto di aprile 2016, sulla violazione del Tusmar, sull’ essere entrati in possesso di informazioni riservate nella fase di trattativa per la pay-tv, utili, poi, secondo Cologno, a sviluppare con Telecom una piattaforma in concorrenza con Mediaset. Con quest’ ultima iniziativa legale si chiede però al Tribunale di “ordinare” a Vivendi la dismissione della quota in Mediaset, secondo modalità non elusive e comunque tali da non alterare il corso di Borsa del titolo, che già è finito in altalena in questo ultimo anno per effetto degli accordi annunciati, firmati, mancati, per il rastrellamento e l’ intervento delle autorità regolatorie. «Siamo ancora in attesa di conoscere le decisioni dell’ Agcom a riguardo del piano presentato da Vivendi», ha detto il presidente Mediaset in assemblea. Ma, a quanto risulta a «Il Sole-24Ore», non c’ è ancora allineamento di vedute tra l’ Authority e i francesi che avrebbero presentato un piano per sterilizzare i diritti di voto nel Biscione per la quota eccedente il 10% consentito, col trasferimento delle azioni a un’ ancora non ben definita “fiduciaria”. La nuova iniziativa legale delle società che fanno capo alla famiglia Berlusconi mira quindi a eliminare l’ insidia alla radice, mentre nel frattempo l’ ok al buy-back col il sì del 94% delle minoranze permetterà a Mediaset di acquistare fino al 10% di capitale proprio senza far scattare l’ obbligo di Opa a carico di Fininvest, che di suo potrà spendere la facoltà di incrementare la partecipazione fino al 5% annuo, arrivando così, volendo, a superare il 49% tra meno di un anno. A favore del buy-back ha votato anche il fondo Amber, titolare del 2,5%, che è intervenuto in assemblea denunciando «l’ inadeguatezza del management» a fronte di uno scenario competitivo completamene mutato rispetto solo a dieci anni fa, dopo un’ esperienza «decisamente negativa» nella pay-tv. Questo, dunque, l’ armamentario di guerra, aggiornato con le ultime iniziative. Ètoccato invece a Pier Silvio Berlusconi il compito di stemperare i toni. «La prima causa era legata alla rottura del contratto, questa seconda è conseguenza di ciò che è avvenuto dopo», ha spiegato l’ ad, che ha tenuto altresì a precisare: «Non stiamo virando sul risarcimento danni, ma vogliamo ancora l’ esecuzione del contratto». Sky non è considerata un’ alternativa. Alla domanda se Premium potrebbe essere ceduta alla pay-tv del gruppo Murdoch, Berlusconi jr. ha risposto che «a oggi non ci sono elementi per ipotizzare un accordo». Le prospettive di pace ruotano comunque sempre intorno al pallone. Pier Silvio Berlusconi ha colto l’ apertura dell’ ad di Telecom Flavio Cattaneo su una possibile collaborazione per i diritti della serie A. «Se c’ è la possibilità di un accordo con Tim che faccia l’ interesse di entrambe le società, perchè no? Condivido in pieno le parole di Cattaneo, ma al momento con ci sono colloqui concreti a riguardo». Bisognerà aspettare la nuova asta d’ autunno per capire se dalle parole si potrà passare ai fatti. Ma intanto i tempi del contenzioso si adeguano. Infatti, il giudice del Tribunale di Milano, Vincenzo Perozziello – presso il quale era già pendente la prima causa – ha deciso di cancellare l’ udienza del prossimo 24 ottobre fissando, per entrambe le cause, la nuova data del 19 dicembre. Dopo aver preparato la guerra, il Natale forse porterà la pace. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I media americani si sono sfracellati e quelli italiani li copiano a garganella

Italia Oggi
PIERLUIGI MAGNASCHI
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Donald Trump ha dei pregi e dei difetti, come tutti gli uomini politici. La sua politica nei confronti di Cuba, ad esempio, è semplicemente demenziale. Infatti chi (come lui) è contrario al regime castrista, dovrebbe accelerare al massimo le aperture economiche per far precipitare verso la democrazia o, quanto meno il libero mercato, l’ isola caraibica, costringendola a liberarsi dal suo corsetto pauperistico ideologico. Invece la politica mediorientale di Trump (che però, almeno, rispetto al recente passato, è una politica) deve ancora dimostrare di essere giusta. E così via. La stampa libera di un paese libero dovrebbe analizzare le politiche per come esse sono. Non comportarsi come se fosse formata solo da organi di partito, utili anch’ essi, intendiamoci bene, ma programmaticamente faziosi. Abbandonando il reportage oggettivo e mettendosi al servizio del sistema di potere (nemmeno di un partito) i media Usa hanno gettato alle ortiche un secolo di serietà, di impegno e di crescita. Oggi, negli Usa, le fake news, cioè le balle, per farci capire anche a Trastevere, non le diffondono solo i forsennati smanettatori del web (dai dilettanti ci si deve sempre aspettare di tutto) ma le balle le diffondono anche le grandi testate, non solo di carta ma soprattutto tv. Questa è una vera tragedia (altro che il solo Trump) che riguarda tutto il mondo e non solo gli Stati Uniti. Una tragedia immensa perché Trump, prima o poi, passerà, ma questa devastante Waterloo della serietà informativa è destinata a rimanere molto più a lungo perché essa ha avvelenato i pozzi della serietà professionale e si è nascosta nella retorica (Ah il Watergate! Che poi fu, anche se nessuno lo ricorda, il semplice risultato del dossieraggio di un vicedirettore della Cia che si voleva vendicare perché non era stato nominato da Nixon a capo dell’ Ente degli spioni. La cosa venne ammessa da lui stesso sul letto di morte. Il Watergate quindi non fu il risultato di una benemerita cocciutaggine investigativa ma solo il taglia e incolla di documenti forniti da potentati sotterraneamente in lotta fra di loro e di cui i media si sono prestati a fare da megafono. Questi media, contrariamente a quello che hanno fatto finora credere, non cercavano la verità, ma servivano solo uno dei poteri in lizza, per di più nascosto). La Waterloo del giornalismo a stelle e strisce riguarda tutto il mondo perché l’ ultimo secolo è stato il secolo mediatico degli Usa, un immenso paese con eccezionali risorse, che ha seguito la cronaca del mondo (avendo interessi in tutto il mondo) con mezzi inimmaginabili da parte di qualsiasi altro paese, con le sue possenti agenzie presenti dovunque, i suoi serbatoi di analisi (think tank), il suo background universitario, le sue multinazionali tentacolari. È stato inevitabile che i grandi media Usa diventassero il punto di riferimento di tutti gli altri media del resto del mondo. Essi infatti sono stati saccheggiati dai corrispondenti stranieri che li hanno sempre considerati serbatoi informativi grazie ai quali fare bella figura nel paese d’ origine, con poco sforzo. Si è stabilita quindi l’ abitudine planetaria di copiare acriticamente «le autorevoli testate». Prima citandole e poi, troppo spesso, non facendo nemmeno più questo sforzo. Ieri l’ altro è arrivata la notizia che tre giornalisti di punta della Cnn (il moloch della tv Usa) si sono dimessi per aver pubblicato un articolo (da loro completamente inventato) con il quale descrivevano i legami fa l’ amministrazione Trump e il Cremlino. Si sono infatti dimessi (in America chiamano così i licenziamenti in tronco provocati da queste motivazioni), Thomas Frank (che fu candidato al Premio Pulitzer, non era quindi una mammoletta qualsiasi, ma un mammasantissima del giornalismo), Eric Lichtblau (che il Pulitzer lo ha anche preso nel 2006) e Lex Haris (capo, immaginate, del «team investigativo della Cnn». Se lui era il capo, immaginiamoci gli altri). Ma ieri nessuno dei grandi media italiani che si erano aggrappati e questa inchiesta, dandola per vera, visto chi l’ aveva scritta e la fonte che l’ aveva veicolata (e questo errore potevano farlo, in buona fede, tutti, compreso chi scrive), nessuno dei grandi media italiani di ieri, dicevo, ha dedicato una riga a queste dimissioni. Questo sì che non è corretto nei riguardi dei lettori che, essendo stati disinformati (ma ripeto, questo errore era comprensibile), non vengono informati con la stessa ampiezza sull’ errore, da chi è stata fatto e sul perché è stato fatto. In particolare, la corrispondente della Rai da New York, Giovanna Botteri, che ogni giorno riferisce, sgomenta ed esagitata sui rapporti fra l’ amministrazione Trump e la Russia di Putin, non ha dedicato la sua serale conversazione dagli Stati Uniti a questo scivolone drammatico che mette in crisi la credibilità dell’ informazione americana e quella di noi vassalli. Ma le balle della Cnn, costruite, non da dei borsisti sgomitanti, ma da delle grandi firme riverite e temute (quindi, qui, il difetto sta nel manico) non sono le prime. Un paio di mesi fa anche l’ autore londinese del dossier, commissionatogli da ambienti democrat, che documentava meticolosamente i rapporti politicamente incestuosi fra gli uomini di Trump e quelli di Putin, riconobbe, agli investigatori inglesi, di aver costruito interamente il suo rapporto sulla base di assolute fandonie, anche grossolane, da lui inventate di sana pianta. Tale rapporto totalmente inventato (ma pagato dai democrat come se fosse stato vero), per renderlo ancor più esplosivo nei suoi effetti elettorali (che poi, però, non ci sono stati), fu reso noto al pubblico internazionale pochi giorni prima del voto americano, e fu oggetto di intere paginate durate almeno un paio di settimane, scritte da giornalisti affranti dal dover informare su simili porcherie e tradimenti della lealtà nazionale. Ma una volta che si è appreso che il documento era falso, la Botteri (prendo, ad esempio, la più seguita in Italia su questi temi; ma non è certo la sola) se ne è ben guardata dal riferire alla sua vastissima audience che, sia pure non per colpa sua, aveva raccontato un sacco di balle su quel fatto. Anche i giornali di carta più corretti se la sono cavata con una sommessa e ben mascherata ammissione di un paio di colonne nelle pagine interne. Qui non è più in gioco Trump ma la fiducia che i grandi media stanno scialando nei confronti del loro lettori. Questa sì che è una tragedia per tutti coloro, e sono tanti, che credono ancora nell’ indispensabilità di questo mestiere. Pierluigi Magnaschi © Riproduzione riservata.

In rete domineranno i video

Italia Oggi
PAGINA A CURA DI EDEN UBOLDI
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Entro il 2020 l’ 82% dei contenuti visibili in rete sarà in formato audiovisivo e la felicità dell’ utente dipenderà dalla sua qualità. Lo ha dichiarato durante il workshop «Fare business nell’ era iperconnessa», che si è tenuto ieri durante la seconda edizione di Class Digital Experience Week organizzata a Milano da Class Editori fino a domenica prossima, Marco Giusti, major account executive di Akamai, una delle società leader a livello mondiale di Content delivery network (Cdn), che può vantare una delle reti di server più ampie per la distribuzione in tutto il mondo di file dati di grandissime dimensioni (quasi il 20% del traffico mondiale è gestito dai server di Akamai). Secondo Giusti, che si occupa principalmente del settore media, i dati recenti mettono in luce l’ aumento esponenziale dei video, tanto che fra tre anni saranno persino l’ 82% di tutto il traffico. Assieme alla visione dei contenuti in streaming e dei video on demand, aumenteranno anche i filmati generati dai singoli utenti del web. «I fruitori hanno delle aspettative precise, basate sulla migliore fruizione di cui hanno potuto godere», ha osservato aggiungendo anche che «spesso queste aspettative vengono frustrate». I fattori che incidono negativamente sulla visione del prodotto audiovisivo sono: la lentezza nel caricamento, le attese che intermezzano i filmati e la qualità dell’ immagine. Uno studio effettuato da Akamai su 1.200 soggetti ha monitorato come queste problematicità possano impattare sull’ emotività dei consumatori: dopo un singolo evento critico il coinvolgimento diminuisce del 20%, l’ attenzione dell’ 8% e la felicità del 14%. Altro dato significativo: il 76% degli utenti abbandona immediatamente la pagina. Il tema dell’ aspettativa ricorre sempre in ogni momento della navigazione: «Il ritardo di risposta di un sito rispetto all’ esigenza dell’ utente è una battaglia di appena cinque secondi», ha detto Alessandro Rivara, major account executive della società, asserendo anche che uno su cinque non tornerà mai più su quel determinato dominio, poco reattivo ai suoi click. «Le vendite online crescono dieci volte più velocemente dei negozi fisici», ha continuato prefigurando un quadro roseo per tutte quelle realtà che già hanno una vetrina online. Per quanto riguarda il contesto italiano le sfide sono molteplici, senza escludere anche quelle legate alle infrastrutture necessarie per portare la banda larga in tutta la penisola. Rivara ne ha elencate alcune: le imprese devono migliorare la user experience del loro sito, apportare ottimizzazioni sul codice della pagina, essere pronti a gestire i picchi di traffico nei momenti topici per la vendita (come Natale e Pasqua) e potenziare l’ appeal grafico, disporre dei formati per le proprie vetrine online in versione multidevice (dal mobile al computer). La ricetta per un business competitivo in un mondo iperconnesso, secondo Rivara, potrebbe semplificarsi in una presenza digitale caratterizzata dalla «velocità, affidabilità, qualità e sicurezza» e questo vale anche quando l’ impresa non vende direttamente online. Sul tema della sicurezza, Marco Pacchiardo, senior enterprise security architect Emea della Akamai, ha rivelato che gli attacchi degli hacker sono in crescita, come anche il valore dei loro danni. «La geografia di questa criminalità è mutata, non vi sono più quei confini temporali fisici e temporali che in passato ne permettevano una maggiore rintracciabilità». Sia che si tratti di fenomeni criminosi messi in atto per sottrarre i dati degli utenti o per bloccare l’ accesso a un sito, la questione della cybersecurity è trasversale, riguarda tutti i settori. © Riproduzione riservata.

Mediaset, nuova causa a Vivendi

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Vivendi, nonostante il suo 28,80% di azioni, non si è presentata ieri all’ assemblea dei soci Mediaset. E il presidente del Biscione, Fedele Confalonieri, ha confermato la linea dura nei confronti dei francesi, annunciando una seconda azione legale contro Vivendi (la prima era per la rottura del contratto firmato l’ 8 aprile 2016, la seconda, depositata lo scorso 8 giugno, è relativa alle conseguenze di quella rottura, quindi al condizionamento pesante dello sviluppo di Mediaset, che non avrebbe potuto esprimere appieno le sue potenzialità), anche se, come spiega Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato del gruppo di Cologno Monzese, «noi vogliamo principalmente l’ esecuzione di quel contratto, non ci concentriamo solo sui danni». La raccolta pubblicitaria di Mediaset «si chiuderà con un primo semestre 2017 in crescita molto piccola rispetto allo stesso periodo del 2016. Ma il mercato nel suo complesso», aggiunge Berlusconi, «è difficilissimo, e va peggio delle attese. Mediaset, comunque, accresce la sua quota e va meglio del mercato», e riuscirà a chiudere in positivo il semestre «soprattutto grazie al buon mese di maggio, e al giugno ancora migliore», sottolinea Stefano Sala, amministratore delegato di Publitalia. Quanto al business della pay tv di Premium, che da solo ha prodotto gravi perdite trascinando il bilancio 2016 di Mediaset a un rosso di 294,5 milioni di euro, ora il Biscione è tornato in possesso del 100% della società e ha cambiato il management. Ma «non dobbiamo dimenticare che nell’ aprile 2016 noi avevamo venduto quella società. Ora bisogna rifocalizzarsi», dice Pier Silvio Berlusconi, «lavorando non tanto per aumentare il numero di abbonati o i ricavi a tutti i costi, ma per migliorare il margine. Si fanno efficienze, ma è chiaro che l’ interim management nell’ estate del 2016, ovvero nel periodo in cui si sottoscrivono gli abbonamenti, avrà impatti anche su quest’ anno. I conti di Premium sono comunque in miglioramento, è una piattaforma con due milioni di utenti, e abbiamo individuato diverse opportunità di sviluppo». La pay tv di Mediaset avrà ancora Champions league in esclusiva e Serie A di calcio fino al giugno 2018. E poi? «Abbiamo partecipato all’ asta per la Champions 2018-2021, facendo una offerta alta. Ma i diritti sono stati aggiudicati subito, al primo giro: significa che la concorrenza (Sky, ndr) ha offerto moltissimo. Per la Serie A vedremo», risponde Pier Silvio Berlusconi, «si parla di una nuova asta in autunno o in inverno. Potremmo anche fare accordi con Telecom, spartendoci i diritti sulle due piattaforme (digitale terrestre e web, ndr). Ma a oggi non ci sono dialoghi. Difficile che Premium resti senza i diritti della Serie A 2018-2021. Anche perché mi sembra piuttosto che sia la Serie A a non poter restare senza Premium. Comunque, come già spiegato, dovessimo perdere anche quei diritti, il nostro business della pay tv cambierebbe, andando di più verso modelli Infinity o Netflix». Si parla ormai da mesi anche dell’ ipotesi di trasferimento del Tg5 da Roma a Milano, argomento sul quale, a fine maggio, si è speso addirittura Papa Francesco, augurandosi che nessun lavoratore debba traslocare. «E poi se anche il Papa fa il sindacalista, allora la Camusso cos’ è?», borbotta ironicamente Confalonieri. Comunque, restando sul punto, «stiamo studiando ipotesi di efficienza, ristrutturazioni, guardiamo tutto. Ma, a oggi, non è stata presa nessuna decisione sul Tg5», commenta Pier Silvio Berlusconi. © Riproduzione riservata.

Drahi compra la prima radio e la prima televisione di Lisbona

Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Probabilmente era destino tornare in Portogallo. A riscoprire le proprie radici e, nel frattempo, non rinunciare a qualche buon affare. Come può essere l’ acquisto del gruppo Media Capital che controlla la prima tv privata, TVI-Televisão Independente, e Radio Comercial, la prima emittente radiofonica del Paese. Patrick Drahi, l’ indebitatissimo (50 miliardi di debiti allo stato) magnate dei media (Libération, L’ Express, Bfmtv, Rmc senza contare l’ americana Cablevision e molto altro) e delle telecomunicazioni (l’ operatore telefonico Sfr qui in Francia, ma anche Portugal Telecom e Israel Telecom), non finisce di stupire. Da quando ha scoperto di avere lontane ascendenze portoghesi, i suoi bisnonni, ebrei sefarditi, sono originari di Faro, vicino a Lisbona, e da quando ha incontrato il suo vero braccio destro, Armando Pereira, portoghese, con una storia incredibile alle spalle (originario di Vieira do Minho, un paesino del nord, padre emigrato in Brasile e mai più rivisto, madre analfabeta, è arrivato in Francia a 14 anni con 2 mila pesos in tasca e oggi è uno dei miliardari più potenti e riservati, Le mysterieux copilote d’ Altice, il misterioso copilota del gruppo Altice, lo ha definito il settimanale economico Challenge’ s piazzandolo ai primi posti tra le grandi ricchezze di Francia (3,2 miliardi di patrimonio personale); da allora, dicevamo, Drahi guarda al mercato portoghese con occhi diversi: non si dice con sentimentalismo ma con una sensibilità particolare sì. Ecco perché, dopo aver rilevato Portugal Telecom nel 2015 e averla riportata in area positiva dopo ben 32 trimestri in perdita (oggi il fatturato è di 2,3 miliardi, il 10% di tutto il gruppo Altice con un ebitda in crescita del 12%), ora Drahi punta a rilevare la prima tv e la prima radio del Portogallo seguendo, in ciò, la strategia della convergenza tra media e operatori telefonici. Approfitta, se no che tycoon sarebbe, delle difficoltà dell’ unico azionista di Media Capital, il gruppo spagnolo Prisa (l’ editore del quotidiano El Pais) che ha un miliardo di debiti e non sa come rimborsarli (visto che l’ ebitda è in calo costante) se non vendendo pezzi di quello che doveva essere l’ impero multimediale ispano-portoghese immaginato anni fa per il grande mercato sudamericano. Drahi offre meno di 500 milioni di euro per un gruppo che fa 174 milioni di fatturato, sommando radio e tv, e che nell’ ultimo periodo ha visto crescere del 4% la raccolta pubblicitaria, indicatore di fiducia di un paese che ha sfidato l’ ordo-liberismo di Berlino e che oggi ha tutti gli indicatori economici che volgono al «bello stabile». Mettere insieme radio tv e tlc (Media Capital + Portugal Telecom) farebbe di Drahi il primo editore multimediale portoghese, pronto magari a volare verso il Brasile. Debiti permettendo, si capisce.

Per la raccolta di viale Mazzini semestre a -1% e anno a +2%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il gruppo Rai, che controlla circa il 21,6% della torta degli investimenti pubblicitari televisivi, stima di chiudere il primo semestre 2017 con un calo dell’ 1% rispetto allo stesso periodo 2016, al netto degli Europei di calcio e di Rai Yo-Yo (che dal maggio 2016 non può più trasmettere spot). Pesa, soprattutto, la cancellazione del talent show The Voice, che nel primo semestre 2016 aveva assicurato 11-12 milioni di euro di raccolta pubblicitaria, venuta meno nel 2017. Per chiarezza va specificato che «al netto degli Europei e di Yo-Yo» significa confrontare il dato 2017 col dato 2016 depurato dagli introiti relativi agli Europei e a Rai Yo-Yo. Dopo un primo quadrimestre 2017 piuttosto debole sul mercato pubblicitario televisivo nel suo complesso, i mesi di maggio e giugno stanno perfomando un po’ meglio. E la concessionaria di Viale Mazzini, guidata da Fabrizio Piscopo, fissa come obiettivo per fine 2017 una raccolta complessiva attorno ai 680 milioni di euro, in crescita del 2% sul fatturato 2016, sempre al netto di Europei e Rai Yo-Yo.

Rai, nuovo piano news a breve

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Altro che Fabio Fazio o Alberto Angela, ovvero le star da trattenere assolutamente in Rai. Ieri alla presentazione dei palinsesti autunnali della tv pubblica a Milano c’ è stato un personaggio che ha ricevuto lunghi applausi scroscianti: Franca Leosini. La conduttrice di Storie maledette, che tornerà su Rai 3 al sabato, si conferma un’ icona non solo della rete ma dell’ intera Rai. Leosini a parte, però, a tener banco durante la presentazione con il neodirettore generale Mario Orfeo e i direttori delle reti (Andrea Fabiano, Ilaria Dallatana, Daria Bignardi e Angelo Teodoli di Rai 4) è stato proprio il nuovo contratto offerto a Fazio che ha scatenato non poche polemiche per la sua entità, il primo atto con cui è stato superato concretamente il tetto ai compensi da 240 mila euro che in un primo momento sembrava dovesse essere applicato anche agli artisti. «Il valore dei nostri talenti fa sì che la Rai resti la prima azienda culturale del nostro paese», ha esordito Orfeo, «fino a qualche settimana fa alcuni di questi talenti rischiavano di lasciarci. Non è successo perché abbiamo avuto la ferma convizione che perderli sarebbe stato un colpo al cuore del servizio pubblico». Orfeo non ha confermato le cifre che sono circolate nei giorni scorsi, ovvero di un contratto da 1,8 mln all’ anno per Fazio che passa su Rai 1 e che con altre voci salirebbe a 2,8 mln, a cui aggiungere 20 milioni di costi di produzione. «Fazio guadagna come l’ anno scorso aumentando le ore di programmi prodotti. Le uniche cifre sono queste: una serata media di Che tempo che fa costa 450 mila euro, ovvero il 50% in meno di una serata media di intrattenimento di Rai 1, su cui nessuno ha mai avuto da ridire, e il 60/70% in meno di una serata di fiction. I ricavi sono di gran lunga superiori. La Rai ci guadagna, fine delle trasmissioni». Orfeo ha confermato di essere stato lui stesso ad aver portato in cda la notizia che Fazio aveva ricevuto un’ offerta dalla concorrenza, ma non da La7 come si è scritto. Dal canto suo il conduttore ha parlato di un passaggio importante a Rai 1 ma segnato da «polemiche con inusuale violenza». «La Rai non è ingenua, se mi ha proposto questo contratto avrà fatto i suoi conti sugli introiti pubblicitari», ha detto Fazio. «Gli spot da 15 secondi di Che tempo che fà sono venduti in media a 40 mila euro e ci sono 16 minuti netti di pubblicità». Questo significa che ogni puntata fruttava a Rai 3 circa 2,5 milioni, cifra che dovrebbe salire su Rai 1 per il costo più alto degli spot. Fazio ha anche sfidato Maurizio Gasparri, che aveva detto di aver parlato con tutte le emittenti e non c’ era un contratto pronto altrove per il conduttore, a dimostrarlo. Il vicepresidente del senato ha però confermato in serata che nessuna tv era disposta a pagare come la Rai. Altro capitolo spinoso sollecitato dalle domande dei giornalisti è stata la chiusura dell’ Arena di Massimo Giletti alla domenica pomeriggio su Rai 1, a favore di un’ unica Domenica In condotta da Cristina Parodi. Orfeo ha spiegato la mossa con la volontà di dare al pomeriggio di Rai 1 un’ unica connotazione. «Con Giletti non se ne va da Rai 1 l’ ultimo talk», ha risposto Orfeo piccato a una domanda, «e poi a Domenica In abbiamo scelto una giornalista di lungo corso come Cristina Parodi, giornalista forse ancor prima di Giletti». In ogni caso l’ Arena non tornerà nemmeno in seconda serata: accanto alle 12 trasmissioni musicali al sabato a Giletti è stato offerto di fare speciali dai luoghi delle grandi crisi internazionali nel periodo estivo. Per quanto riguarda lo sport, sui Mondiali di calcio la Rai vuole esserci, anche se è meglio aspettare l’ appuntamento Spagna-Italia a settembre che deciderà la qualificazione della nazionale. «Vogliamo esserci anche sulle Olimpiadi invernali», ha aggiunto il d.g. Sulla Champions vediamo. I questi anni ci è stata preclusa (i diritti erano di Mediaset, ndr), vediamo se con Sky è possibile un accordo per la trasmissione free». Infine l’ informazione, sulla quale l’ impegno «è di allontanarci dalla spettacolarizzazione della cronaca e della politica con nuove forme e modi di raccontare la realtà» e con il Tg1 delle 20 «che cresce in controtendenza rispetto a tutti i tg concorrenti, anche quelli piccoli che pensano di essere grandi». In realtà il vero nodo per il nuovo d.g. è quel piano di riforma sul quale è caduto il predecessore Antonio Campo Dall’ Orto e ancora prima si è dimesso il direttore editoriale Carlo Verdelli. «Bisognerà che la pratica sia rivista e ridiscussa», ha detto Orfeo. «Siamo tutti d’ accordo della necessità che la Rai si doti di un nuovo piano di razionalizzazione, bisognerà discutere e valutare come farlo. I tempi dei precedenti sono stati lunghi. Io non ho tutto questo tempo, non posso aspettare due anni. E non mi sfugge la necessità dello sviluppo digitale sulla quale la Rai è in oggettivo ritardo». Nessun commento sul destino di Milena Gabanelli voluta alla guida della nuova testata digitale dal precedente direttore generale. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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News Corp e Axel Springer, bene la multa Ue a Google. News Corp e Axel Springer applaudono alla maxi multa da 2,42 miliardi di euro che l’ Esecutivo Ue ha inflitto a Google. «Applaudiamo all’ autorevolezza con cui la commissione europea si è rapportata ai comportamenti discriminatori di cui Google si è resa protagonista nei confronti dell’ industria dello shopping online», hanno fatto sapere ieri da News Corp. «Qualsiasi altro istituto o azienda si è lasciato intimidire dalla potenza travolgente di Google, mentre la commissione ha preso una posizione netta che ci auguriamo possa essere soltanto il primo passo nel contrastare lo spudorato abuso di posizione dominante nel campo delle search online» (ricerche online). In particolare, il ceo di News Corp Robert Thomson si è detto «angosciato dagli algoritmi» che, a suo giudizio, hanno un potere «immenso». Di contro il ceo di Axel Springer Mathias Döpfner ha dichiarato che «la decisione della commissione è un primo segnale che l’ abuso di posizione dominante non premia nel lungo periodo». Ora «dobbiamo costruire un equo e salutare ecosistema tra piattaforme tecnologiche e aziende che producono contenuti». Giulia Innocenzi dirige Giornalettismo. Giulia Innocenzi è il nuovo direttore editoriale di Giornalettismo.com, la testata giornalistica ex Banzai e dallo scorso settembre parte del network di Nexilia. Cresciuta professionalmente nella squadra tv di Michele Santoro, Innocenzi subentra a Marco Esposito. Adesso il portale, già rinnovato nella sua veste grafica sia desktop sia mobile, punterà su video e dirette Facebook affrontando temi di attualità, dai diritti civili e di genere fino a quelli degli animali e alla sostenibilità ambientale. Unicom, due nuovi vicepresidenti. Maria Grazia Persico e Federico Rossi entrano a far parte del comitato di presidenza Unicom, guidato dal presidente Alessandro Ubertis, coadiuvato a sua volta dai vicepresidenti Gianluca Bovoli e Erica Lo Buglio. Anche Persico e Rossi assumono la carica di vicepresidenti dell’ Unione nazionale imprese di comunicazione. Persico ha fondato la società di consulenza in comunicazione Mgp&Partners, Rossi è socio fondatore di Sintesi Comunicazione. La Bohème sbarca in diretta live nei cinema The Space. Sarà messa in scena al Teatro Antico di Taormina e trasmessa alle 20.30 in diretta live via satellite La Bohème di Giacomo Puccini, con la regia cinematografica e teatrale di Enrico Castiglione. Il film-opera, prodotto dalla Pan Dream e dalla Rising Alternative, finirà sui grandi schermi di oltre 500 sale cinematografiche in tutta Europa in più di 35 paesi. Sarà on air in differita subito dopo negli Stati Uniti e in Asia. La lista internazionale dei cinema è consultabile su www.risingalternative.com. In Italia l’ opera sarà trasmessa in tutte le sale del circuito The Space. Mondo Tv gioca con la console Nintendo. Mondo Tv ha stretto un accordo di licenza non esclusivo con il colosso giapponese Nintendo per due serie animate. I diritti, hanno fatto sapere da Mondo Tv, riguardano la visione on demand sulla piattaforma 3ds della società di videogame. «Con quest’ ottimo e promettente inizio di collaborazione con un partner leader di mercato quale Nintendo, prosegue la nostra espansione nel video on demand e nei new media che riteniamo essere il mercato del futuro», ha dichiarato Matteo Corradi, a.d. della società italiana. Mondo Tv è quotata al segmento Star di Borsa Italiana e controlla Mondo Tv France e Mondo Tv Suisse, entrambe quotate sull’ Aim Italia.

Franco Levi presidente dell’ Aie Rilancio per Tempo di libri

Italia Oggi

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Ricardo Franco Levi è il nuovo presidente dell’ Associazione italiana editori (Aie). Succede a Federico Motta per il prossimo biennio. Tra i principali nodi del suo mandato c’ è quello di dare un assetto definitivo e di rilancio a Tempo di libri, fiera milanese alternativa al Salone di Torino. Levi è stato, tra i vari incarichi ricoperti, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’ editoria e all’ informazione dal 2006 al 2008. Ha lavorato in quotidiani come Corriere della Sera, Sole 24 Ore, Stampa e Messaggero. «Dobbiamo mirare a imporre il tema dell’ istruzione, della conoscenza come una questione di primario e decisivo rilievo nazionale. È una sfida che non potremo né affrontare né, men che meno, vincere da soli», ha dichiarato ieri Levi. Sempre ieri l’ assemblea Aie ha nominato i presidenti dei gruppi interni (che ricoprono anche la carica di vicepresidenti dell’ associazione): Alessandro Monti (Feltrinelli) è il presidente del gruppo editoria di varia, Andrea Angiolini (Mulino) del gruppo accademico professionale, Giorgio Palumbo (Palumbo Editore) del gruppo educativo e Diego Guida (Guida Editori) che presiede i piccoli editori.

Ricardo Franco Levi presidente dell’ Aie: “La nostra è una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta. All’ insegna dell’ unità”

Prima Comunicazione

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È con un invito all’ unità dell’ associazione e alla più ampia collaborazione con le tante feste del libro italiane, Salone di Torino in testa, che Ricardo Franco Levi, eletto oggi presidente dell’ Aie, inaugura il suo biennio alla guida degli editori . Levi ha anche annunciato la nomina alla direzione artistica e organizzativa di Tempo di libri di Andrea Kerbaker, king maker di un’ edizione (8-11 marzo 2018) a forte impronta milanese che intende coinvolgere tutte le personalità e le istituzioni culturali della città spaziando dall’ arte, al teatro, alla musica. “Voglio impegnare la nostra Associazione in una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta”, ha detto Levi. “Dobbiamo mirare ad imporre il tema dell’ istruzione, della conoscenza come una questione di primario e decisivo rilievo nazionale. È una sfida che non potremo né affrontare né, men che meno, vincere da soli. Sotto questa bandiera, nella cornice di questo impegno potranno tanto crearsi le condizioni per un allargamento del mercato del libro che giovi all’ editoria nazionale tutta intera quanto trovare una più efficace tutela e più facili ragioni di composizione i particolari interessi delle diverse categorie e componenti della nostra associazione”. Ricardo Franco Levi Oltre a eleggere alla presidenza Levi, che succede a Federico Motta, l’ assemblea dell’ Aie ha eletto i presidenti dei gruppi (che ricoprono anche la carica di vice presidenti dell’ Aie) in cui è strutturata l’ Associazione: Alessandro Monti (Feltrinelli) presidente del gruppo Editoria di varia, Andrea Angiolini (Il Mulino) presidente del gruppo Accademico professionale, Giorgio Palumbo (Palumbo Editore) presidente del gruppo Educativo e Diego Guida (Guida Editori) presidente del gruppo Piccoli editori. Sessantotto anni, nato a Montevideo (Uruguay), giornalista professionista, Levi ha intrecciato alla carriera nei principali quotidiani italiani (‘Il Corriere della Sera’, di cui è tutt’ ora editorialista, ‘Il Sole 24 ore’, ‘Il Messaggero’, ‘La Stampa’, ‘L’ Indipendente’) un impegno nelle istituzioni in Italia e in Europa. Portavoce del Presidente del Consiglio dei ministri dal 1997 al 1998; portavoce, direttore dell’ Ufficio Stampa e del Gruppo dei consiglieri politici della Commissione Europea dal 2004 al 2009; sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’ editoria e all’ informazione dal 2006 al 2008. Dal 2006 al 2012 membro della Camera dei Deputati, componente della Commissione Cultura, primo firmatario e relatore della Legge sul Prezzo del Libro Legge Levi). – Leggi o scarica il discorso di saluto del presidente Aie, Ricardo Franco Levi (.pdf)

Levi: «Incentivi per l’ acquisto di libri»

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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È stato il giorno dell’ investitura ufficiale ieri per Ricardo Franco Levi. Sarà lui, giornalista nato a Montevideo 68 anni fa, a succedere a Federico Motta come presidente dell’ Associazione italiana degli editori (Aie) per il prossimo biennio. A lui il compito di guidare l’ Aie fino ai suoi 150 anni di storia, «un secolo e mezzo durante il quale gli editori italiani hanno contribuito a fare la storia, culturale e civile, del Paese». L’ orgoglio del passato, fa capire Levi, dovrà essere la cifra in grado di dare agli editori la spinta per tutelare gli interessi del presente e del futuro. «Ma vi pare possibile – dice incontrando i giornalisti – che in questo Paese sono consentite detrazioni fiscali per palestre e assistenti familiari, ma non per l’ acquisto di libri di testo?». Levi – esperienza nel mondo dei quotidiani italiani (Corriere della Sera; Il Sole 24 Ore; Il Messaggero; La Stampa; L’ Indipendente), ma anche un impegno politico che l’ ha portato a essere il primo firmatario e relatore della legge sul presso dei libri, la “Legge Levi” – dichiara di voler «impegnare Aie in una battaglia di civiltà per un’ Italia più istruita, più colta, più aperta». Sono la lettura e il mercato del libro a dover crescere, «altrimenti gli editori faranno un gioco a somma zero, contendendosi una torta sempre più piccola». Quella di Levi ha comunque tratti della presidenza del dialogo, dopo le ultime vicende che hanno creato anche forti tensioni fra gli editori, legate all’ avvio di “Tempo di Libri”, la rassegna milanese che ha dato luogo a un derby con Torino da cui Milano è uscita malconcia. «Ho già chiamato Nicola La Gioia e Massimo Bray – replica Levi – e ho chiesto loro di fare un Salone del libro ancora più bello». Nessun dubbio sul fatto che possano coesistere le due rassegne: «In Italia ce ne sono anche più di due». Quella milanese si terrà dall’ 8 al 12 marzo: due mesi prima del Salone di Torino, senza quindi contrapposizione temporale. La kermesse milanese sarà più vicina alla città, anche fisicamente, lasciando Rho e spostandosi a Fieramilanocity, con la direzione artistica e organizzativa affidata ad Andrea Kerbaker, scrittore e saggista milanese di 56 anni. «Sarà una manifestazione allegra, ironica, non paludata», dice il neodirettore, con l’ obiettivo di coinvolgere tutte «le istituzioni culturali di Milano: La Scala, il Museo della Scienza, i cinema, i teatri, i musei». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Guida presidente dei Piccoli Editori

Il Mattino
Ugo Cundari
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Dopo essere stato eletto con un plebiscito bulgaro (199 voti su 200) nuovo presidente nazionale del gruppo «piccoli editori» dell’ Aie (Associazione Italiana Editori), e vicepresidente della stessa Aie, Diego Guida ha pensato per prima cosa al Sud, annunciando che le sue più immediate iniziative saranno quelle di portare la sede dei piccoli editori a Roma, mentre oggi è a Milano, e di rafforzare il suo impegno per la prossima fiera dei libri a Napoli, prevista l’ anno venturo. D’ altra parte Guida ha sfatato un tabù che durava dal 1869, da quando è nata appunto la più antica associazione di categoria italiana, che prima di cambiare il nome in Aie nel 1946, si chiamava Ali. Infatti Guida risulta il primo editore meridionale a ricoprire questo incarico, succedendo fra l’ altro al piemontese Antonio Monaco, un incarico che dura un biennio e di solito si rinnova anche due volte, e così sarà sempre l’ editore napoletano, Ceo della Guida editori, a trovarsi ai vertici dell’ associazione per i festeggiamenti dei suoi 150 anni di vita. «Questo sarà un motivo in più per rilanciare il ruolo di quanti sapranno raccogliere le nuove sfide, nella consapevolezza che il libro resterà ancora per molto il più formidabile vettore di trasmissione di cultura e di contenuti» dice Guida. Un altro dato però è importante, e pure è stato messo in evidenza dal neo presidente: quelli che oggi vengono chiamati «piccoli editori» dell’ Aie, proprio piccoli non sono, sia dal punto di vista del valore economico, sia dal punto di vista dei contenuti e della creatività. Nel primo caso perché detengono una quota di mercato che in realtà vale 200 milioni di euro di fatturato e coinvolge oltre 6.000 addetti, visto poi che fanno parte dei «piccoli» anche sigle come la Salerno, il Saggiatore, Marcos y Marcos. Però i piccoli editori hanno un ruolo forse anche più importante rispetto alle super potenze di Mondadori, Giunti, Gems, perché rappresentano quella che viene chiamata la «bibliodiversità italiana». Sono spesso più creativi e più coraggiosi, e aprono piste nuove lanciando autori che altrimenti non avrebbero alcuna visibilità. Inoltre, la grande distribuzione non li premia, ma anche in questo ambito Guida si dice fiducioso, annunciando di voler investire su un accordo con l’ associazione dei librai italiani. «L’ obiettivo è di ottenere una maggiore presenza anche nelle librerie indipendenti, magari creando un sistema di acquisto collettivo». E la carta vincente che ha fatto in modo da raccogliere attorno a Guida i più ampi consensi è stata proprio la sua visione del futuro: «I piccoli editori dovranno essere il perno culturale e di azione non solo in Italia, ma anche a livello europeo e internazionale, fra il mondo economico e del lavoro, le istituzioni e la società civile. È necessario offrire attività di promozione della lettura che possano invertire il segno negativo dei recenti dati Istat: gli indici di lettura in Italia si riducono anno dopo anno e tocca a noi editori attivarci per creare azioni strategiche di politica culturale». © RIPRODUZIONE RISERVATA.


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