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Sorpresa: il web sotto attacco è colpa nostra
“Anche un uomo solo può mandare in tilt un intero Paese”
«Le notizie sui defunti attirano, continuiamo a crescere»
Tv 4.0: la corsa di Bbc, Sky & Co a copiare il modello Netflix
Il cda Rai diviso sul direttore generale in bilico la sfiducia a Campo Dall’ Orto
Rai, il giorno del cda: battaglia sulla sfiducia per Campo Dall’ Orto `
Ferrari: “Tempo di libri? Ridiscutiamo tutto luogo, data e formula”
Torino-Milano , la mossa di BookCity Il Salone festeggia: «Edizione record»
Costi, feste, editori: le pagelle dei Saloni
«Ingiurie al cronista Ora scuse pubbliche»
Ma mi faccia il piacere
Il Fatto Quotidiano
Marco Travaglio
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Il malato immaginario. “Umanamente mi dispiace per mio padre. È entrato in una storia più grande di lui e solo per il cognome che porta. Ieri, per la seconda volta, in tre mesi mio padre era all’ ospedale di Careggi per un altro piccolo intervento al cuore. E alla fine mi viene da pensare che sia tutto per colpa mia, solo per il mio impegno in politica. Delle volte mi domando se tutto questo dolore abbia un senso” (Matteo Renzi, Facebook, 16.5). “Raggiunto in strada a Rignano sull’ Arno, Tiziano Renzi sbotta non appena vede avvicinarsi il giornalista: ‘Mi si levi dalle palle. Ma vada a fare in culo lei e tutti i suoi colleghi'” (repubblica.it, 16.5). Il paziente si è prontamente ripreso. Testa di mozzo. “In carcere ricomincio da mozzo” (Francesco Schettino dopo la condanna in Cassazione a 16 anni per il naufragio della Costa Concordia, 13.5). Occhio a non far cadere la saponetta. Noblesse oblige. “Come vede la situazione politica, da grande esperto? ‘Dica pure da padre nobile'” (Pierferdinando Casini, deputato Udc, intervistato da Libero, 9.5). Lo zio nobile è Totò Cuffaro. Nonna Bomba. “Lui va d’ accordo con il padre. Non hanno mai litigato. Nemmeno quando il ragazzo era piccolo. Certo il carattere è quello lì. Il Matteo vuole fa’ sempre quello che vuole lui. Matteo ne ha fatte di tutte. E prima lo scout. E poi il calcio. E voleva fare l’ arbitro. E poi il sindaco. E poi il governo Non l’ ha mai dette le bugie. Nemmeno da bambino. Anzi. Lui vorrebbe che si facesse subito il processo così può far vedere che non ha fatto niente” (Anna Maria Renzi, nonna paterna di Matteo, intervistata dal Corriere della Sera, 17.5). Siccome non ha mai detto bugie, le ha raccontato che sotto inchiesta c’ è lui, non babbo Tiziano. Tipico caso di megalomane che ai matrimoni vuol essere lo sposo, ai funerali il morto e ai processi l’ imputato. Colpa di Virginia/1. “Dopo Sky che scappa dal disordine di una città senza trasporti né servizi adeguati, ma anche dall’ olezzo insopportabile dell’ attiguo impianto di trattamento dei rifiuti dell’ Ama, ora tocca evidentemente al Tg5 che se ne va ovviamente a Milano” (Sergio Rizzo, Corriere della sera-Roma, 17.5). E non fuggono mica per tagliare i costi e i dipendenti, ma perchè a Milano le discariche olezzano di Chanel n.5. Ovviamente. Colpa di Virginia/2. “Un anno di giunta Raggi: molte sedute pochi atti. In 10 mesi la giunta Raggi ha licenziato 241 delibere in 57 sedute” (Il Messaggero, 20.5). E soprattutto è riuscita ad accorciare l’ anno solare da 12 a 10 mesi. Colpa di Chiara. “Il Pd si appella a Roma: ‘Il caso Appendino non è problema locale'” (la Repubblica-Torino, 14.5). Infatti pérdono dappertutto. Lady Xerox. “Pd, via alla corsa per la segreteria. In pole spunta la Madia” (la Repubblica-Roma, 18.5). Sta già cercando un discorso d’ insediamento da copiare. Slurpeataly. “Continuo a ritenere Matteo Renzi uno dei pochi che vuole davvero riformare questo Paese. Me lo tengo stretto L’ intercettazione con suo padre? Secondo me ha un valore giudiziario e giornalistico pari a zero. È stata una vigliaccata. Un attacco personale, e illegale Non si può fare cronaca infischiandosene delle leggi Non c’ è niente, solo chiacchiere Matteo è tra quelli, politici e non, che si stanno sbattendo per un’ Italia migliore Ormai siamo ormai tutti così incattiviti che ho messo in conto anche le consuete accuse di renzismo spinto” (Oscar Farinetti intervistato Corriere della sera, 20.5). Suvvia, chi potrebbe mai scambiarlo per un renziano spinto? Solo qualcuno molto malvagio. Fossilino. “Il coraggio di cambiare” (Piero Fassino sulla vittoria di Emmanuel Macron in Francia, l’ Unità, 9.5). Tipo me che sono ancora qui. Il titolo della settimana/1. “Marra, la strategia Raggi: ‘Se mi chiamano, parlo’. Il sindaco e il processo all’ ex fedelissimo: non si avvarrà della facoltà di non rispondere” (Il Messaggero, 20.5). Forse perchè la facoltà di non rispondere è riservata agli indagati, e la Raggi nel processo a Marra per corruzione è testimone con l’ obbligo di rispondere. Capìta la sottile strategia Raggi? Il titolo della settimana/2. “Autogol: il Fatto intercetta Renzi e lo scagiona”, “E Renzi festeggia: ‘Questa gogna è un vero regalo'” (Il Dubbio, 17.5). Dev’ essere per questo che è così incazzato. Il titolo della settimana/3. “‘La nostra vita difficile’. Intervista immaginaria ai piedi di Chiara Ferragni” (corriere.it,165). E poi dicono che non c’ è più il giornalismo investigativo.
Sorpresa: il web sotto attacco è colpa nostra
Il Fatto Quotidiano
Virginia Dalla Sala
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Città connesse, auto connesse, frigoriferi connessi, lavastoviglie, condizionatori, semafori, dighe, sistemi elettrici, tv, computer, antifurti, vestiti, orologi, strumenti salvavita: il futuro, come lo vede il mondo e come lo vede l’ Europa, si chiama Internet of Things, internet delle cose. Tradotto: tutto collegato con tutto e tutto connesso a Internet. Con un enorme rischio: le conseguenze degli attacchi informatici potrebbero essere molto più vaste di quanto la crisi informatica della scorsa settimana ha mostrato. I Paesi, le istituzioni, gli stessi cittadini non sono ancora pronti ad affrontarne una nuova. E soprattutto, ad evitarla Roma-Bruxelles. Marzo 2017: Commissione Europea, Consiglio e Parlamento firmano una dichiarazione d’ intenti congiunta per accelerare il raggiungimento degli obiettivi per il Mercato unico digitale. Tra i progetti, la connessione di tutto il sistema dell’ automotive europeo. È il motivo per cui premono sul potenziamento della connessione di rete (fibra ottica e 5g): sono convinti che creare una condizione di costante connessione contribuirà a garantire sicurezza e servizi, a monitorare lo stato delle infrastrutture, contenere le spese, prevenire gli incidenti e finanche contrastare il terrorismo. In questo sogno europeo, c’ è però un problema non secondario: la cybersecurity. “È una questione urgente – spiega Roberto Viola, l’ italiano a capo della Direzione Generale per Comunicazione Digitale e Tecnologie della Commissione Europea – la settimana scorsa, a Terna, ho partecipato a un workshop sulla sicurezza delle reti energetiche: gli operatori sono consapevoli che la loro sicurezza dipende da quella informatica. Lo stesso vale per i trasporti e per le transazioni finanziarie”. Sicurezza. Viola spiega che oggi le minacce arrivano da più parti: dai cybercriminali, come per il virus Wannacry che con un ricatto informatico provano a estorcere soldi, e dai paesi ostili, che usano gli attacchi informatici come arma di offesa. “Sono entrambe questioni enormi, sulle quali l’ Europa non può farsi trovare impreparata”. Eppure, tra i vari Paesi non c’ è coordinamento, tanto che la direttiva sulla cybersicurezza che sarà discussa nei prossimi mesi imporrà agli stati dell’ Unione di cooperare e ai vari sistemi di difesa di condividere le informazioni. Anche perché la strategia in vigore ora risale al 2013: “Non viene neanche citata l’ Iot – dice Viola -. Per questo dobbiamo assolutamente aggiornarla a settembre, prevedendo ad esempio che tutti gli oggetti connessi abbiano anche una certificazione unificata sulla sicurezza. Questi criminali organizzati non si battono facilmente. Certo, c’ è la sicurezza di cui si fa carico l’ intelligence nazionale, ma da sola non basta”. E ora, anche in Europa, stanno cercando di recuperare il tempo perduto. Rapine. A fornire un quadro della gravità della situazione è Evgenij Kaspersky, miliardario, guru della virologia informatica e fondatore di una delle più grandi aziende produttrici di antivirus al mondo, nella prefazione del romanzo Il nodo di seta (Sandro Teti Editore). “Nel 2014 – scrive – abbiamo aiutato diverse banche dell’ Europa dell’ Est ad affrontare attacchi informatici. Abbiamo scoperto una banda di hacker (soprannominata da noi “Carbanak”) che aveva messo in atto nel tempo, con tutta probabilità la più grande rapina bancaria della storia: crediamo che sia stato rubato quasi un miliardo di dollari da un gran numero di istituti bancari nel mondo”. Durante le indagini si accorgono che il primo malware, il software malevolo usato per il furto, era stato elaborato un anno prima. “Ho ripetuto più volte – dice Kaspersky – che i criminali si sarebbero concentrati maggiormente sulle banche. Quello che non avevo previsto era che si sarebbero concentrati anche sulle Banche Centrali”. Obiettivi sensibili.Si riferisce all’ attacco alla Banca centrale del Bangladesh, nel 2016. I pirati informatici riuscirono a prendere il controllo del sistema di trasferimento fondi ed emisero 35 richieste di transazioni finanziarie per un valore totale di 951 milioni di dollari. “Trenta transazioni furono bloccate dalla Federal Bank di New York e, a quanto pare la ragione dello stop fu un errore nella descrizione del destinatario (avevano scritto Fandation invece di Foundation). Nonostante ciò furono rubati più di 80 milioni”. Nel piccolo.Dalla larga alla piccola scala, la cyber security è un sistema a catena. I virus si trasmettono, i malware si installano e si nascondono, i worm strisciano e si moltiplicano. L’ origine è sempre umana: la mano di chi apre un allegato di una mail infetta o l’ errore di chi commette errori nelle stringhe di codice che costituiscono l’ architettura dei sistemi informatici. E ogni vulnerabilità è la porta di accesso per i criminali informatici. Che restano quasi sempre impuniti. “I crimini informatici – spiega Kaspersky – non sono semplici da scoprire e molto spesso ancor più difficili da perseguire. Molti sono contrastati efficacemente, ma raramente gli hackers finiscono in prigione. Molto spesso continuano a ingegnarsi per colpire con nuove modalità”. Colpa nostra.Le vulnerabilità, quindi, ci sono e ci saranno sempre. Nella struttura di siti e programmi ma soprattutto nel comportamento degli utenti. C’ è quello che apre l’ allegato infetto ma ci sono anche tutti coloro che non tengono conto dell’ importanza di avere in azienda o nella Pubblica Amministrazione una efficiente struttura incaricata della manutenzione dell’ apparato informatico. L’ attacco Wanna Cry che ha bloccato ospedali e anche un’ azienda di telefonia ha interessato soprattutto le postazioni dotate di sistemi operativi ormai obsoleti come WindowsXP o Windows Server 2003: nessuno li aveva aggiornati con l’ ultima versione che, di fatto, conteneva le barriere necessarie a contrastare l’ attacco. Il futuro. “Si è trattato di un test su scala globale – spiega Michele Colajanni, fondatore della Cyber Academy di Modena – ha coinvolto Asia, Europa. Non ha colpito l’ America solo per il fuso orario. Ma c’ è della colpa anche in chi è stato attaccato: sistemi operativi non aggiornati, persone che hanno cliccato. Questo ci insegna che a livello globale tutti gli uomini continuano a essere curiosi, incompetenti, e l’ attaccante ha vita facilissima”. É una reazione a catena: l’ utente che libera il malware crea danno perché l’ azienda non ha aggiornato i sistemi operativi e non ha nessun obbligo di legge a farlo. Per accorgersi di un attacco, poi, in media ci vogliono 200 giorni. “É stato uno studio sociale interessantissimo e mondiale su come stiamo messi dopo tantissimi anni di evoluzione e non all’ alba della sicurezza informatica – dice Colajanni -. Siamo messi male: ed è preoccupante. Anche perché presto passeremo a una fase dove non collegheremo più solo i computer, ma le cose. I semafori, le industrie, i robot. Non ci si potrà permettere superficialità quando avremo in casa oggetti facilmente violabili. Questa crisi, paradossalmente, è valsa più di cento conferenze sulla cybersecurity”.
“Anche un uomo solo può mandare in tilt un intero Paese”
Il Fatto Quotidiano
Ferruccio Sansa
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State attenti alle app! Nessuno è al sicuro: si va dai sistemi informatici dei governi al computer e ai telefonini di casa. Passando per multinazionali, banche, borse, giornali e ospedali. Umberto Rapetto, lei ha fondato il Gat (Gruppo anticrimine tecnologico) della Guardia di Finanza. Ha condotto la famosa indagine sull’ evasione delle slot. Era soprannominato lo “sceriffo del web”. Cos’ è la cybersecurity e come difenderci? Distinguiamo: si parla di sicurezza cibernetica quando ci riferiamo a sistemi per prendere decisioni strategiche. Deriva dal greco kyber, timone, che ritroviamo nel latino guber governo. Cybersecurity, sembra una parola remota. Come può toccare la nostra vita? Non sono solo governi e istituzioni a subire attacchi informatici, ma anche chi eroga servizi essenziali come energia, trasporti, sanità, telecomunicazioni e finanza. Partiamo dai governi. È una guerra incessante. Come ai tempi della guerra fredda? Adesso siamo in un mondo tripolare: Stati Uniti, Russia e Cina. Sembrerebbe scongiurare il tanto temuto scontro definitivo perché nessuno può combattere contro due nemici nello stesso tempo. Ma gli attacchi arrivano soltanto dagli stati nemici? Nelle guerre convenzionali combattevano solo i grandi eserciti. Oggi anche una sola persona può mettere in ginocchio un’ intera Nazione: i pirati digitali non sono più le figure mitiche e romantiche di un tempo, ma hanno una connotazione venale e sono pronti a lavorare per criminalità e servizi segreti. E poi ci sono multinazionali e imprese Le multinazionali affrontano i concorrenti rubando le informazioni e ostacolando il lavoro. Intrufolarsi nella posta elettronica di una azienda, alterare il contenuto della contabilità o degli archivi, paralizzare i processi produttivi sono mosse ricorrenti. È fantascienza o vita reale? Il blocco delle attività degli ospedali appena avvenuto in Inghilterra dimostra la concretezza del pericolo. In Italia Wannacry non ha fatto quei danni per l’ arretratezza dell’ informatizzazione ospedaliera, ma altri “virus” avevano già creato enormi disagi in Asl e strutture cliniche. L’ Italia è già stata bersaglio. Come si attacca una banca? La finanza è facile preda: un rallentamento dei sistemi che gestiscono le operazioni di borsa può essere disastroso. Lo spostamento della virgola può far contabilizzare per 25.000 euro un prelievo bancomat da 250. Che cosa dovrebbero fare le imprese per difendersi? Dare priorità agli investimenti nella formazione, ancor prima di spendere in apparecchiature e in software che invecchiano in un battito di ciglia. Le verifiche dell’ eventuale vulnerabilità deve essere effettuata seriamente, i penetration test non devono essere “combinati” pur di ottenere certificazioni o coperture assicurative. Le soluzioni cloud dovrebbero essere collaudate e poi, a guardare gli utenti, si potrebbe evitare l’ uso promiscuo di dispositivi aziendali (smartphone e tablet) che vengono utilizzati per i giochi o dati ai figli. Lo Stato sta affrontando i nemici cibernetici? Ce n’ eravamo occupati prima degli altri. Nel 1995 al Sisde insegnavo nei corsi di technointelligence. Poi abbiamo perso tanto tempo, sprecando le migliori risorse umane d’ Europa, accantonando o mettendo in fuga gli specialisti La guerra informatica può arrivare anche alla nostra politica? Si può danneggiare un candidato o un partito cancellando o sostituendo contenuti nei siti, creando fake news o fotomontaggi, rubando identità e muovendosi sui social con comportamenti estranei ai politici da colpire. I rischi per la gente comune quali sono? Le app del cellulare sono il nostro tallone d’ Achille. Le riteniamo gratuite ma rubano la nostra privacy, accedendo alla rubrica, ai messaggi, alla posta elettronica, alle foto: entrano nella nostra vita, costruiscono collegamenti e relazioni, ci catalogano conoscendo gusti e opinioni, preparando un nostro futuro dossier Come difenderci? Installiamo solo le app effettivamente necessarie, riducendone l’ invasività. Teniamo aggiornato il sistema operativo dei nostri dispositivi elettronici e i programmi antivirus. Salviamo periodicamente i file eseguendo il back-up di dischi e supporti di memorizzazione. Cambiamo sovente le password ed evitiamo di effettuare navigazioni online “pericolose” e di scaricare software non garantiti. Non facciamone un incubo, ma non sentiamoci mai al sicuro.
«Le notizie sui defunti attirano, continuiamo a crescere»
Libero
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«Oramai ci sono abituato e non ci faccio neanche più caso». Carmelo Pezzino, direttore del giornale online TGfuneral24.it, passa le sue giornate tra casi di cronaca nera, associazioni di categorie e curiosità funerarie. Sì, avete letto bene. «Fino a 15 anni fa facevo tutt’ altro. Poi per caso mi sono avvicinato a questo mondo e ho scoperto che ci sono tantissime cose da fare». Per esempio? «Mi sono inventato tante attività». Come le è venuto il pallino? «Avevo un’ esperienza precedente nel settore, ma sono stato corteggiato da un gruppo di ragazzi di Alessandria che avevano creato la piattaforma di Tgfuneral24». Scelta premiata? «Direi di sì, i risultati sono soddisfacenti. In proiezione quest’ anno avremmo circa 200mila visite, al momento ne abbiamo fatte 70mila e l’ anno scorso abbiamo toccato i 120mila in nove mesi». Caspita. Chi sono i vostri lettori? «Un po’ tutti. Dagli addetti ai lavori al pubblico generalista». Qual è la vostra offerta informativa? «Il minimo comune denominatore è l’ argomento morte, ma poi c’ è dentro di tutto». Dove prendete le notizie? «Dai quotidiani, ma anche autonomamente». E quanti lavorano al suo quotidiano? «Oltre a me cinque persone, tutte giovanissime. La testata è regolarmente registrata al tribunale». Dove sono indirizzati i clic dei vostri lettori? «Le pagine più visitate sono quelle della cronaca, ma in assoluto posso garantire che ogni articolo ha una buona copertura. La gente è interessata». CLAUDIA OSMETTI riproduzione riservata.
Tv 4.0: la corsa di Bbc, Sky & Co a copiare il modello Netflix
Affari & Finanza
Stefano Carli
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Roma L a tv ha iniziato la sua corsa verso il suo futuro 4.0 ma deve ancora imparare a fare i conti con i suoi nuovi concorrenti. Già, perché la competizione globale sta affiancando in un modo fin qui inimmaginabile i grandi network tv (Sky, Comcast in Usa, Bbc, ancora Sky, Itv e Vivendi in Europa) con i giganti del web, da Netflix ad Amazon. Ma non solo, le internet company come Google, Microsoft e Apple, le major che producono contenuti e le grandi telco. Tutti assieme e ciascuno per la sua strada a caccia della chiave di accesso ad un business che si sta trasformando, concentrando e ridisegnando i propri contorni. Finito il tempo dell’ outsocurcing e della “concentrazione sul core business”, ora si torna indietro. Le telco comprano le major, vedi At&t-Time Warner, o entrano nel mercato dei diritti tv, come Bbc che ha appena riconquistato i diritti Champions per il prossimo triennio. I broadcaster investono sempre di più in produzioni dirette, rincorrendo Netflix e Amazon. La Sky di Murdoch, già integrata con la major Fox, si rafforza centralizzando il controllo sulla distribuzione (ora vuole il 100% di BSkyB in Gran Bretagna). Che cosa c’ è dietro tutto questo? «C’ è che il mercato cresce ancora, al livello globale, ma è il mix che cambia, il vecchio modello industriale mostra la corda è bisogna rivedere tutto», spiega Paolo Baile, managing director responsabile Communications, Media & Technology di Accenture Strategy. Accenture ha appena pubblicato i risultati di tre studi sul sistema dei contenuti digitali: Bringing Tv to Life VII, The Future of Broadcasting VI e Internet of Things. Già solo i titoli parlano di come la convergenza del digitale abbua fatto un altro passo in avanti. «Ne 2016 il mercato dei contenuti video è cresciuto di un altro 5% – continua Baile, ma non è una crescita omogenea, dietro i grandi numeri stanno cambiando infatti perecchie cose. E velocemente. Basta guardare un indicatore come il Roi, il ritorno sugli investimenti. L’ anno scorso è cresciuto e a doppia cifra, solo per i nuovi media, tipo Amazon e Netflix, mentre per la pay tv è sceso del 9,3% e per la tv in chiaro di quasi il 10. Solo tre anni fa tutti e tre i settori avevano valori positivi». Quello che è successo lo spiegano i numeri delle ricerche Accenture: di base, si sta chiudendo la forchetta tra ricavi e costi di acquisizione dei contenuti: nei prossimi tre anni i ricavi cresceranno del 18%, i costi esattamente del doppio, il 36%. Effetto, indubbiamente, di una nuova domanda aggiuntiva che ha innescato una corsa all’ acquisto, di cui i valori in costante crescita dei diritti del calcio sono solo la parte più visibile. «Si stanno puntando risorse ingenti sull’ acquisizione di contenuti, e di contenuti di qualità chiosa Baile – Netflix investe 6 miliardi di dollari l’ anno. Amazon, che nel 2016 ha investito per 2,7 miliardi, ha annunciato per il 2017 un budget di 4,5 miliardi di dollari. I nuovi media hanno dato il via alla corsa, ora si stanno iniziando a muovere anche quelli tradizionali. Hbo ha finanziato l’ anno scorso produzioni per 2 miliardi, in Sud America lo stesso sta facendo l’ operatore maggiore, Rede Globo. Ovunque la tendenza è non solo a produrre più contenuti in proprio, ma di puntare su contenuti di qualità: produzioni non certo a basso costo, con budget importanti, perché è questo che chiede il mercato». Ma l’ acquisizione di contenuti non basta. La nuova frontiera del business televisivo è fatta anche di tanta tecnologia. In primo luogo tecnologia per rendere i contenuti in grado di passare in modo impercettibile da parte degli utenti su ogni piattaforma: dai pochi pollici dello schermo di uno smartphone alle grandi tv 4K. Poi, e questo è il passaggio più complesso, sviluppare piattaforme in grado di estrarre dal contatto con gli utenti il maggior numero di informazioni possibili. Qui la parola d’ ordine è: segmentare. In altri termini: l’ era delle audience oceaniche è agli sgoccioli, gli share sempre più raramente (tolti cioè pochi grandi eventi) si misureranno in percentuali a doppia cifra. E’ caccia aperta alle nicchie, ai segmenti di mercato. Gli utenti vanno cercati quasi uno per uno e nelle loro diverse declinazioni. Tutto terreno di caccia riservato alle tv connesse alle reti a banda ultralarga in fibra? Soprattutto, certo, ma per la “vecchia” tv in chiaro non tutto è perduto. Spiega ancora Baile: «Negli Usa un consorzio costituito da Viacom (che significa Mtv, Cbs e la major Paramount), Fox (vale a dire Murdoch) e Turner (ossia Time Warner e quindi At&t) che assieme fanno il 75% della free-to-air negli Usa, stanno mettendo a punto assieme proprio ad Accenture ad una piattaforma in grado di operare una segmentazione dell’ audience raggiunta sulle tradizionali emissioni broadcast. Per le tv tradizionali dunque la guerra non è persa: se i loro margini sono in declino i ricavi ancora tengono. Tutte, da Vivendi a Itv, comprese Mediaset e Rai, hanno un problema di finanziamento degli investimenti, ma ancora un grande asset in portafoglio: il valore dei loro marchi. Ancora oggi di gran lun- ga superiore a quello, pure in crescita, dei nuovi media. Vuol dire che c’ è tempo per reagire. Ma il tempo non va perduto e molte cose le tv devono rivedere nel loro modello industriale. Devono insomma compiere anche loro l’ ultimo passo della digitalizzazione, quello che fa entrare a pieno titolo nel mondo 4.0: ridefinire la loro organizzazione. «Netflix usa il 6% del suo organico nell’ analisi dei comportamenti degli utenti e nel continuo aggiustamento delle offerte e dei “consigli” del motore di ricerca interno – afferma Baile – Sky Usa si ferma all’ 1,8% e Comcast all’ 1,6%. E poi Netflix investe il 2% del suo arpu ( il ricavo mensile medio per utente, ndr ) in software e tecnologia. gli altri operatori Usa, tra pay-tv e in chiaro, spendono venti volte di meno: lo 0,09%». Non serve commento. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il cda Rai diviso sul direttore generale in bilico la sfiducia a Campo Dall’ Orto
Il Messaggero
Mario Ajello
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La spallata a Antonio Campo Dall’ Orto è pronta. E oggi, dopo il Cda decisivo, il direttore generale della Rai potrebbe essere ex. Le modalità per la fuoriuscita di Campo Dall’ Orto – i più ottimisti lo danno al 50 che resta e al 50 che va, ma prevalgono altre stime: via al 70 per cento – sono due. C’ è chi, tra i membri del Cda, ritiene che il consiglio debba esprimersi negativamente sul piano editoriale, sul piano produttivo e sulle nomine a RaiCom, in votazione oggi. A pag. 8.
Rai, il giorno del cda: battaglia sulla sfiducia per Campo Dall’ Orto `
Il Messaggero
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LO SCENARIO ROMA La spallata a Antonio Campo Dall’ Orto è pronta. E oggi, dopo il Cda decisivo, il direttore generale della Rai potrebbe essere ex. Le modalità per la fuoriuscita di Campo Dall’ Orto – i più ottimisti lo danno al 50 che resta e al 50 che va, ma prevalgono altre stime: via al 70 per cento – sono due. C’ è chi, tra i membri del Cda, ritiene che il consiglio debba esprimersi negativamente sul piano editoriale, sul piano produttivo e sulle nomine a RaiCom, in votazione oggi. E chi invece ritiene che ci si debba esprimere con una bocciatura esplicita della gestione tout court. Il giudizio negativo sull’ operato del dg è unanime. Ma le posizioni dei consiglieri sono così variegate. Due ali estreme: da una parte Guelfo Guelfi il renzianissimo che sia pure obtorto collo vorrebbe tenere ancora per un po’ in piedi Campo Dall’ Orto (perché ritiene che al Pd convenga un dg debole senza aprire un caso che rivelerebbe l’ errore compiuto a suo tempo da Renzi nello scegliere CDO) e dall’ altra la presidente Monica Maggioni che ritiene che la misura sia assolutamente colma e che serva una svolta. Gli altri consiglieri sono nel mezzo. L’ esito sembra scontato, e si tratta di vedere soltanto se è oggi il giorno del game over o se, ancora per poco, il dg resisterà. E intanto ripete, sempre meno convinto, il suo mantra: «Resto finché ci sono le condizioni». Ma se gli bocciano il piano editoriale, ogni condizione di permanenza verrà meno e Campo Dall’ Orto andrà via. E già oggi egli perde un pezzo fondamentale della sua squadra, forse il più titolato e che proviene dalle Generali: Raffaele Agrusti, direttore finanziario e presidente di RaiWay, ha deciso di andare via. Guiderà il potente gruppo assicurativo Itas. Agli amici ha spiegato che è una scelta sofferta ma non legata al tetto degli stipendi, bensì al fiato corto dell’ attuale gestione Rai. ELEZIONI «La condizione basilare è quella che manca», dice Arturo Diaconale, consigliere d’ opposizione: «E cioè il rispetto del pluralismo. Campo Dall’ Orto non lo ha realizzato. Dunque è inadeguato a gestire il servizio pubblico nei prossimi mesi delicatissimi di campagna elettorale in vista delle politiche». E ancora: «Anche io, che non sono un pasdaran, in consiglio voterò contro i provvedimenti presentati dal dg, se verranno messi al voto e non ritirati per evitare la bocciatura come è successo nei Cda scorsi». Sul versane opposto, quello del governo, c’ è il sottosegretario Giacomelli che continua a sparare su Viale Mazzini. Ed ecco il consigliere centrista Paolo Messa: «Non condivido l’ idea di trasformare il consiglio in un reality show con le nomination su chi deve uscire e chi deve restare. I problemi emersi in questi mesi fanno tremare i polsi, basti pensare alla vicenda Anac, e la cosa peggiore sarebbe buttarla in politica». Ma la politica conta. Chi gestirà la Rai in campagna elettorale? L’ unico punto di forza di Campo Dall’ Orto sta nel fatto che la maggioranza di governo – e questo vale sia per Gentiloni sia per Renzi – ancora non è pronta ad affrontare il dopo. Un piano non c’ è. Un nome vero e forte anche se impazzano le solite voci e velleità) neppure per ora. E Guelfi, Siddi e la Borioni, che pure considerano conclusa la vicenda, non sanno fino a che punto forzare la mano, perché si aprirebbe una crisi al buio e un problema per il governo. Intanto Michele Anzaldi, il mastino dem della Vigilanza Rai guarda già al dopo. E osserva: «La cosa è stata gestita talmente male, ed è anche arrivata la magistratura, che il tutto s’ è trasformato nel gioco della torre: o saltano Cda e Cdo (inteso come Campo Dall’ Orto) oppure uno dei due». Cioè il dg. Ma manca il sostituto. IL DOPO «Questo del sostituto – incalza Anzaldi – non è affatto un problema. Chiunque, dopo 20 giorni, sarebbe in grado di varare un piano per l’ informazione. Oppure ritirerebbe fuori quello di Gubitosi, l’ ex dg, approvato all’ unanimità e che garantiva risparmi stratosferici». Più che un reality show, insomma, il Cda di oggi potrebbe rivelarsi un film d’ azione. Preparare i pop corn? «Macché – obietta il consigliere Carlo Freccero – io credo che il dg si salverà al 100 per cento. Renzi non può creare un altro macello. Se manderà via Campo Dell’ Orto, lo farà nel pieno dell’ estate. In ossequio alla tradizione dei vecchi democristiani come lui». Mario Ajello © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Cambi di poltrona
L’Economia del Corriere della Sera (ed. Mezzogiorno)
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Il giornalista della Rai-Tgr Gianfranco Coppola è entrato a far parte del nuovo consiglio direttivo della sezione Europa dell’ Aips, l’ associazione internazionale dei giornalisti sportivi.
Ferrari: “Tempo di libri? Ridiscutiamo tutto luogo, data e formula”
La Repubblica
SIMONETTA FIORI
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TORINO «Mondadori tornerà al Salone? Non ne abbiano ancora parlato. Io personalmente non l’ ho mai lasciato». Gian Arturo Ferrari, gran signore dell’ editoria e boss di Mondadori, passeggia tra la folla di lettori, con i publisher che festeggiano e le casse che registrano il tutto esaurito. Il suo aspetto sorridente confligge con la circostanza che il gruppo editoriale di cui è vicepresidente, il più grande in Italia con il 30% del mercato, se ne sia rimasto a casa. Ferrari invece è venuto, anche perché invitato dal Salone per una lezione sull’ editoria. «Sa cosa diceva Solone? Invecchio imparando ogni giorno molte cose». Rimpiange che la Mondadori non sia qui? «Sono in una fase della vita in cui limito i rimpianti alla mia vita personale». Questa è considerata da tutti come una delle migliori edizioni del Salone. «Io non vedo grandi cambiamenti rispetto al passato. Il Salone resta una grande manifestazione, con una lunga tradizione alle spalle. E dunque funziona». Non la pensavate così quando avete divorziato. «Non cominciamo con le metafore belliche. Siamo in un paese libero, dove ciascuno può fare quello che vuole. Abbiamo sperimentato una nuova fiera a Milano, un’ iniziava di un gruppo di imprenditori senza sovvenzioni pubbliche. Di cosa dovremmo rimproverarci? Poi faremo i bilanci e ne trarremo le conseguenze». Ci sono già gli elementi su cui tracciare un bilancio. Tra Tempo di Libri e il Salone ha vinto il Salone, sul piano delle vendite dei libri, dell’ affluenza e dell’ identità. «Piantiamola con il derby, Milano contro Torino o Torino contro Milano. Sono contrario a una drammatizzazione che rischia di distrarre dai problemi veri dell’ editoria». Però il derby non se lo sono inventato i giornali. È cominciato quando l’ associazione degli editori, in cui contano soprattutto Mondadori e Gems, ha deciso di abbandonare Torino per farsi la sua fiera a Rho. «E chi si riferiva ai giornali? L’ enfatizzazione riguarda soprattutto gli editoriali. Io non l’ ho mai vista come una crociata contro Torino. C’ è però una questione che non possiamo sottovalutare. Milano non è solo capitale dell’ editoria ma anche la capitale dei lettori, con 5 milioni di frequentatori di libri. Dobbiamo ignorarli?». Mi perdoni, ma di lettori a Rho ne abbiamo visti pochi. «Ma che significa? La vita non è una cosa così lineare, non è una traiettoria disegnata dalla freccia spinta da un arco. Abbiamo tentato una sperimentazione, bisogna ora valutarne i risultati e trarne le conseguenze. Ancora non c’ è stato il tempo di parlarne». Ma lei un’ idea se la sarà fatta. Non pensa che sia stato un errore fare una fiera del libro a sole quattro settimane e a 140 chilometri dal Salone torinese? «È stato un tentativo su cui ora bisogna ragionare. Ritengo che debbano cambiare molte cose. La formula della mostra-mercato è superata: un’ idea degli anni Settanta. E poi si dovrà discutere su dove farla: Rho non è stata una scelta felice, io preferirei un luogo più centrale. E occorrerà vedere quando convenga farla. Inoltre va rivisto il rapporto con la città, su cui bisogna lavorare molto». Diversamente dalla fiera milanese, il rapporto del Salone con Torino s’ è dimostrato molto profondo. «Il Salone ha trent’ anni di storia, un’ identità forte e riconoscibile. A Milano è ancora da costruire». Non è paradossale che il primo grande gruppo italiano abbia disertato il salone nazionale alla sua trentesima edizione? Gli editori si sono sentiti un po’ traditi. «Ma noi non abbiamo tradito nessuno. È proprio questo linguaggio che non capisco. Mondadori è un’ azienda editoriale, un’ impresa che cerca di vendere libri. Peraltro non è la prima volta che Segrate non partecipa a un Salone. Accadde sotto la mia giurisdizione». Un conto è non partecipare per un anno; un altro fare una fiera concorrente a ridosso. «Ma Torino non è un monumento nazionale attorno al quale non può fiorire niente altro. Chi l’ ha detto? Siamo il paese dei mille festival. Il problema è che germoglino davvero i fiori. Ma io di fiori non ne ho visti». Il festival è una cosa diversa dalla fiera del libro. Lei parlava prima dei problemi strutturali dell’ editoria. Due fiere del libro nel giro di poche settimane non hanno certo aiutato gli editori, né i piccoli né i grandi. Molti hanno lamentato un bagno di sangue. «Ma nessuno è stato costretto a venire a Rho. Vivendo in un paese libero, ciascuno ha potuto scegliere se partecipare o meno alla sperimentazione. E l’ ha fatto a proprie spese». Resta il fatto che il Salone è nel cuore di tutti. Mondadori tornerà a Torino? «Questo non è stato ancora deciso. Personalmente, non me ne sono mai andato». ©RIPRODUZIONE RISERVATA L’ INCONTRO A fianco, Roberto Saviano al Salone insieme alla sindaca Chiara Appendino. Ieri lo scrittore ha ricordato Giovanni Falcone in un incontro nella Sala Gialla affollato di lettori. Mentre sabato a sorpresa era allo stand Feltrinelli per firmare La paranza dei bambini LA FOTO Sopra, Gian Arturo Ferrari vicepresidente della Mondadori Libri.
Torino-Milano , la mossa di BookCity Il Salone festeggia: «Edizione record»
Corriere della Sera
CRISTINA TAGLIETTI
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TORINO Il Salone del Libro si avvia alla chiusura, forte di un successo di cui oggi si avranno i dati ma che già ieri sera, secondo fonti ufficiose, avrebbe superato i 127 mila biglietti del 2016 e potrebbe arrivare a 150 mila. Bastava d’ altronde l’ osservazione della ressa negli stand e delle code davanti a molte sale per rendersene conto, mentre ieri tutti gli editori, non solo i maggiori come Feltrinelli e Giunti, annunciavano incrementi rilevanti di vendite in quello che Antonio Sellerio ha definito «il miglior Salone in assoluto». Elementi che, rispetto alla sovrapposizione con la fiera milanese Tempo di Libri, tema che ha animato questi 5 giorni al Lingotto, fanno dire al presidente della Fondazione, Massimo Bray: «Non mi piace il termine “trattativa”, posso solo augurarmi che, come ha detto Inge Feltrinelli (al “Corriere della Sera”, ndr ), i grandi editori tornino tutti a Torino, senza però scegliere soluzioni confuse che non fanno il bene dell’ editoria. Non vogliamo decisioni calate dall’ alto ma scelte condivise. Il Salone del libro è qui, a Torino, perché qui si è creata una storia territoriale ma anche affettiva». Un rebus difficile, quello della convivenza tra le due manifestazioni, soprattutto se Tempo di Libri insistesse nel voler fare la sua fiera a maggio o, al massimo, ad aprile. Per questo appare un salvagente la proposta che arriva dai promotori della milanese BookCity – Piergaetano Marchetti, Luca Formenton, Carlo Feltrinelli e Achille Mauri – con il beneplacito del Comune: una grande manifestazione che colleghi Milano con Rho Fiera, da tenere in ottobre-novembre. Un’ ipotesi che molti hanno caldeggiato, come Inge Feltrinelli. Coinvolgere «la città in tutte le sue articolazioni, in tutti i suoi luoghi di cultura, di ritrovo, di aggregazione in una manifestazione che si concluda in Fiera, con gli espositori, è un’ ipotesi da coltivare. Siamo pronti – dice Marchetti, presidente dell’ Associazione BookCity – ad approfondirla nelle forme e nei modi che non penalizzano l’ eccezionale esperienza di BookCity». Che, anzi, «in primavera potrebbe integrare le molte manifestazioni che la città ospita, dal Salone del mobile a Piano City, con iniziative complementari e sinergiche, aprendo anche la via alla Milanesiana». Secondo i promotori della rassegna, Milano in questo modo sarebbe «al centro di una filiera, di un circuito articolato che conduce alla lettura» e farebbe respirare una «stimolante aria di libri che non potrebbe non favorire alcune manifestazioni altrove, a cominciare da Torino, e dal suo Salone, in una ritrovata armonia sinergica». La proposta romperebbe così la contrapposizione frontale sulle date della primavera che «sta avvelenando il mondo editoriale», dice Marchetti. E potrebbe ottenere il consenso dell’ Aie, impegnata nel rinnovo dei vertici che può portare alla presidenza Ricardo Franco Levi al posto di Federico Motta, inaugurando una dialettica più morbida con Torino. «Se sono ragionevoli penso che anche i grandi gruppi dovrebbero essere favorevoli», chiosa Marchetti. Proprio Mondadori e il gruppo Gems, rappresentati in BookCity dalle loro fondazioni (insieme a Fondazione Corriere della Sera e Fondazione Feltrinelli), sono stati i convitati di pietra del Lingotto. Per il resto, al di là delle percentuali dichiarate, alcune molto alte, la soddisfazione degli editori è generale. Riccardo Cavallero, fondatore di Sem ed ex numero uno di Segrate, è stato a tutte e due le rassegne: «Qui è andata benissimo. Noi siamo piccoli ma l’ anno prossimo non faremo due fiere nell’ arco di un mese. Il problema è che i presupposti di Tempo di Libri erano sbagliati». Anche Tunuè è stata a entrambe le fiere. «Qui abbiamo venduto molto di più – dice il fondatore Emanuele Di Giorgi – ma in generale a questi eventi bisognerebbe andare non solo per vendere libri ma per lavorare sulla filiera. Su questo dovrebbe puntare Milano». Elisabetta Sgarbi (La nave di Teseo) pensa che un buon punto di partenza per Milano sia fare autocritica: «È necessario che si ammetta che a Tempo di Libri le cose non sono andate bene, qui invece benissimo. Ma tutto ciò che nasce intorno al libro è importante, ogni iniziativa ha una sua ragion d’ essere». Lo spostamento delle date di Tempo di libri in autunno è stato auspicato da molti editori, come Sandro Ferri di e/o, che dall’ Aie è uscito ed è stato tra i fondatori dell’ Associazione Amici del Salone: «Abbiamo dimostrato che qui gli editori c’ erano lo stesso», dice. Per quanto riguarda il futuro Ferri precisa di essere contrario «a qualunque forma di governance del Salone in cui sia l’ Aie a rappresentare gli editori». Secondo Raffaello Avanzini, amministratore delegato di Newton Compton, «in Italia c’ è spazio anche per due fiere ma distanziate nel tempo. L’ assenza dei grandi gruppi ci ha avvantaggiato, perché i lettori venivano da noi a cercare una certa produzione come gialli, romance, young adult. È stato un bel Salone, affollatissimo di giovani, più degli altri anni, forse anche per l’ operazione della Regione che ha distribuito 200 mila euro in buoni libro agli studenti. Tempo di Libri è andato male e ha dimostrato che bisogna cercare una nuova formula ma è una start up, può migliorare. Io insisterò con Aie per il cambio delle date, a ottobre, magari con BookCity». Anche Ugo Berti del Mulino parla di «record di scontrino» per quanto riguarda le vendite. «Per il resto spero che ora si abbassino le armi». Raffaello Cortina, milanese, non ha portato a Tempo di Libri la sua casa editrice ma a Torino, come sempre, ed è stato premiato dalla vendite: «Là si vedevano solo stand grandissimi o piccolissimi, qui ci sono di tutte le dimensioni». E c’ è una lezione, secondo Giuseppe Laterza, che si è imparata questi giorni al Lingotto: «Gli editori sono importanti ma non sono il centro come ha creduto, sbagliando, l’ Aie. Torino ha vinto perché qui hanno lavorato insieme tutti i soggetti della filiera: i librai, i bibliotecari, le scuole. Da qui bisogna ripartire».
Costi, feste, editori: le pagelle dei Saloni
Il Giornale
Luigi Mascheroni
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Luigi Mascheroni nostro inviato a Torino Torino, trentesimo anno. Milano, prima edizione. Conclusi, a un mese di distanza, i due grandi appuntamenti del libro, possiamo tentare un inevitabile – confronto. Con una riflessione (finale), qualche giudizio, dei voti. Questi. SERVIZI La fiera Milano-Rho è un’ astronave a propulsione nucleare dal design avveniristico e tecnologia del XXI secolo. Il Lingotto è una Fiat Duna, versione famigliare, color malva. È una metafora, ma per capirci. Milano ha una struttura nuovissima, spazi ampi, luminosi, insonorizzati, bagni perfetti in ogni ordine di corridoi, bar eleganti, moquette pulitissima, panchine per riposarsi in giro per i padiglioni… Torino… beh… Torino è… diciamo «fané». Voto: Milano 10, Torino 1 LOCATION Il Salone del libro di Torino è a Torino. Tempo di Libri, cioè il salone del libro di Milano, è a Rho. Per vedere il nuovo modello di un divano da 15mila euro, puoi andare a farti un giro nell’ hinterland al Salone del Mobile, per dire. Per comprare un libro, vai in centro. Fine. Voto: Rho 2; Torino 8 PROGRAMMA Sono uguali, dài. Nicola Lagioia ha svecchiato un po’ la direzione Ferrero, ma Ferrero è più colto (e furbo) di Lagioia. Sì, a Torino c’ è stato qualche big internazionale in più rispetto a Milano: Richard Ford ad esempio. Ma per il resto gli incontri e gli «eventi» sono identici. E troppi, in entrambi i casi. Anche i manifesti erano identici, con il tema del muro e dei confini. E poi a una fiera di libri, si parla di libri. E i libri, a un mese di distanza, sono gli stessi. Voto: Milano 5; Torino 6 EDITORI Naturalmente sono gli stessi, qua e là. Con (più o meno) i medesimi stand e le medesime proposte. Qualche grosso gruppo in più a Milano (Mondadori e Gems), qualche piccolo editore in più a Torino (ad esempio Corraini che fa cose bellissime, oppure e/o, per dirne due). La differenza? Milano (cioè l’ Ente fiera) ha coinvolto gli editori nell’ organizzazione e nel programma; mentre Torino fino a ieri (quest’ anno la concorrenza gli ha fatto abbassare la cresta) ha trattato gli editori come degli edicolanti, più o meno: imponendo costi degli stand, calendario, programma… Voto: Milano 7-; Torino 7+ COSTI Il biglietto d’ entrata per i visitatori è uguale, 10 euro. Ma a Torino, i torinesi arrivano al Lingotto facilmente; a Milano i milanesi pagano 5 euro di metropolitana, a/r. E per chi arriva in auto, il parcheggio a Rho-Fiera costa 10 euro, come l’ ingresso. Non ci siamo. Voto: Milano 4; Torino 8 FESTE Milano puntava su Fuori Tempo di libri, sul modello del Salone del Mobile. È stato un fallimento. Tra Rho e il centro di Milano, si fa prima ad andare al Covo di Santa Margherita Ligure, che è anche più bello. Disastro. Torino quest’ anno ha umiliato la concorrenza con (sono solo esempi): giovedì party all’ ultimo piano super cool del grattacielo Intesa Sanpaolo; venerdì solita caoticissima e folle festa alla Società canottieri, sul Po; sabato festone in stile Twin Peaks fino all’ alba nel cortile, aule, corridoi e terrazza della Scuola Holden. Voto: Milano1; Torino 10 CIBO Dentro le fiere si mangia per alimentarsi, non per piacere; e comunque sempre malino. Però fuori da Rho-Fiera ci sono cani che abbaiano in parcheggi deserti, e non trovi neppure l’ uscita con la macchina. Fuori dal Lingotto, a un minuto a piedi, c’ è Eataly. Voto: Milano 1; Torino 8 SALA STAMPA Quella di Torino è ricavata da un vecchio commissariato della Securitate della Romania di Ceauescu, solo un po’ più triste (per fortuna c’ è la scicchissima Lounge del Circolo dei Lettori). Quella di Milano invece è la più bella del mondo: comodissima, spaziosa, silenziosa, high tech e con buffet ininterrotto. Voto: Milano 10; Torino 0 VISITATORI Tempo di Libri, a Milano, un mese fa ha avuto 60.796 visitatori, più 12mila nel «Fuori Fiera» (che non significa niente) con incontri semideserti. Il Salone di Torino nel 2016 ha chiuso con 126mila biglietti venduti. I dati ufficiali di questa edizione con tutti gli incontri strapieni – si sapranno solo oggi, ma l’ impressione è che ci sia stata molta (ma molta) più gente dell’ anno scorso. Diciamo 150mila visitatori? Di più? Comunque, non c’ è stata partita. Voto: Milano 3-; Torino: 9 IDEA DI SALONE Gli errori di Milano sono tanti: location e date sbagliate, l’ idea devastante di rifare Torino 30 anni dopo, mettere a dirigere il programma un’ amica di Lagioia: risultato una fiera per addetti ai lavori, più piccola, organizzata benissimo ma con l’ unico difetto di aver dimenticato di invitare i lettori; il fatto è che, quando se ne ricorderà, Milano si metterà in tasca Torino nel giro di due-tre edizioni. L’ errore di Torino, invece, è di rispondere a Milano solo facendo leva sull’ orgoglio sabaudo (tassisti e camerieri ai milanesi, in questi giorni, dicevano: «Volevate fregarci, eh…») e per il resto lasciare tutto esattamente com’ era, chiamando a raccolta città, scolaresche, sponsor e fondi pubblici. Tutto bene: ma il modello, alla lunga, durerà? CONCLUSIONE Torino è una fantastica festa nazional-popolare del libro e del lettore, con un pubblico affezionatissimo, amatissima dagli editori, gli scrittori, la grande stampa. Milano può essere un’ eccellente fiera internazionale dell’ editoria e del mercato del libro, interessantissima per gli addetti ai lavori. E quindi? Quindi se Milano e Torino invece di fare un Salone uno contro l’ altro, ne facessero due diversi (ma davvero diversi: come idea di fondo, linea politico-editoriale, programma, date…), allora li promuoveremmo entrambi. Per il resto, ci vediamo l’ anno prossimo.
«Ingiurie al cronista Ora scuse pubbliche»
Il Tempo
PIETRO DE LEO
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Arriva la solidarietà per il giornalista del Tempo Antonio Sbraga, travolto qualche giorno fa da una discreta valanga oratoria del Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti («ve rode er culo che le cose stanno anda’ bene, avete rotto er c…») reo di aver posto una domanda sull’ argomento sanità. Ieri al fianco della firma del nostro quotidiano si sono pronunciati molti esponenti del centrodestra e della destra regionale. A partire da Francesco Storace, consigliere regionale e Presidente del Movimento Nazionale per la Sovranità: «Depositerò un’ interrogazione che per ragioni regolamentari potrà essere discussa alla Pisana entro dieci giorni- ha annunciato- ameno che il.