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Rai al disastro, se ne va il direttore finanziario. Domani il Cda potrebbe mollare Campo Dall’ Orto
Rai, Campo Dall’ Orto affronta il cda decisivo sul piano news e il ruolo di Gabanelli
Giornali contro il tic dei click
Ferrante, economia di un miracolo italiano
Rai al disastro, se ne va il direttore finanziario. Domani il Cda potrebbe mollare Campo Dall’ Orto
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Apoche settimane dalla presentazione dei palinsesti, la Rai è un’ azienda bloccata. Per captare un po’ di vitalità, conviene appostarsi all’ ingresso di Viale Mazzini e osservare chi entra e chi esce. Per adesso, soltanto chi esce. Oltre ai conduttori ingaggiati da Mediaset con i saldi per il pastrocchio sugli stipendi, anche Raffaele Agrusti, direttore finanziario e presidente di RaiWay, sta per lasciare l’ azienda. L’ ex amministratore delegato di Generali ha accettato l’ offerta di guidare il gruppo Itas (assicurazioni trentine) perché, per legge, la Rai gli ha dimezzato lo stipendio per rispettare il limite di 240mila euro. Forse la casella liberata da Agrusti non sarà l’ ennesimo rovello di Antonio Campo Dall’ Orto, ma di chi erediterà la disgrazia di Viale Mazzini. È da tempo fissato il giorno per l’ ultimo duello in Cda, lunedì i consiglieri possono sfiduciare il dg Rai. Campo Dall’ Orto smentisce le dimissioni e ripete come un mantra: “Resto finché ci sono le condizioni”. Ormai ha capito, però, che le condizioni non esistono più e, tirare a campare, stavolta è peggio. Raggiunto l’ accordo per “licenziare” Campo Dall’ Orto, i consiglieri di maggioranza fanno i provini per il prossimo direttore generale. Giancarlo Leone s’ è già defilato, e ha rifiutato la proposta pervenuta dal Cda. Ma il governo non ha gradito un attivismo così prematuro dei consiglieri. La decisione finale spetta al ministero del Tesoro, che non può ignorare le indicazioni di Palazzo Chigi. Il cortocircuito è provocato dal solito equivoco: il pezzo più grosso di Cda Rai è renziano, ma al governo c’ è Paolo Gentiloni. E Gentiloni non è sinonimo di Renzi.
Rai, Campo Dall’ Orto affronta il cda decisivo sul piano news e il ruolo di Gabanelli
Corriere della Sera
Paolo Conti
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Domani, lunedì 22 maggio, consiglio di amministrazione di chiarimenti definitivi. Il direttore generale Antonio Campo Dall’ Orto è deciso a portare in votazione il varo del nuovo portale digitale affidato a Milena Gabanelli. Si tratta di www.rai24.it destinato a sostituire l’ attuale www.rainews.it. Non sarà uno snodo semplice: Campo Dall’ Orto fa sapere che il progetto, a suo avviso, è di fatto già partito, che occorre far presto vista la velocità di queste piattaforme, e che ora manca solo il timbro del cda. Una parte dei consiglieri (per esempio Paolo Messa), d’ accordo sul progetto di fondo, vuole capire bene i contorni: quanti redattori ci saranno, chi sarà il ‘vero’ direttore, visto che Gabanelli ha un contratto da vicedirettore? Campo Dall’ Orto afferma che è pronto anche il piano delle news, secondo lui già nelle mani del Consiglio. Essenziale sarà capire l’ atteggiamento della presidente Monica Maggioni: molte indiscrezioni hanno individuato nei suoi dubbi un serio ostacolo all’ avvio del portale digitale e anche della revisione delle news. Il direttore generale non sembra intenzionato a dimettersi, come qualcuno immaginava giorni fa. Chi gli è vicino assicura che per lui non esiste un motivo aziendale per mettere in crisi i vertici Rai e che l’ unica eventuale ragione sarebbe solo politica. Arrivando al punto di confidare: se la politica ha cambiato idea, lo dica apertamente e manifesti la sua sfiducia al direttore generale e al Consiglio di amministrazione, troppo spesso il destino della Rai sembra non importare nulla al Palazzo. Un atteggiamento legato alle tante critiche rivolte alla sua gestione proprio dall’ area renziana del Pd: la stessa che lo aveva voluto ai vertici di viale Mazzini. Nello staff del direttore generale gira una battuta: Consiglio e presidenza dovrebbero essere orgogliosi del comune lavoro svolto perché la Rai è prima negli ascolti e nella raccolta pubblicitaria. Ma le ultime turbolenze nel Consiglio segnalano tempesta, e solo domani si capirà che aria aziendale e politica spira. La direzione generale rivendica il proprio metodo, che definisce indipendente dalla politica e dai partiti, pluralista, inclusiva, innovativa. In Consiglio, si sa, non tutti la pensano così, anche tra i membri di area Pd, e domani sarà l’ occasione per un confronto chiarificatore. E poi c’ è il nodo dei palinsesti. La direzione generale chiederà di approvare i piani di produzione altrimenti il varo dei palinsesti 2017-2018, di imminente presentazione agli inserzionisti pubblicitari, sarà in pericolo con il rallentamento di tutta la macchina organizzativa. Stando alle voci, il direttore generale chiederà un voto immediato su questo punto per avviare immediatamente i progetti produttivi e arrivare alla cerimonia dell’ incontro con gli inserzionisti pubblicitari già fissato per il 28 giugno a Milano. In più, sempre nella riunione di domani, altro punto all’ esame: la possibile fuga di alcune star (Fabio Fazio?) dopo le polemiche sui compensi. Campo Dall’ Orto ha definitivo «demagogica» con i suoi collaboratori tutta la discussione sul tetto per le star. Occorrerà varare un regolamento interno per distinguere i «divi» dai conduttori giornalistici. Operazione complessa, che aprirà molti possibili scenari. E comunque, se Campo Dall’ Orto non pensa di dimettersi nell’ immediato, non intende nemmeno vivacchiare e gestire il giorno per giorno senza tentare la strada dell’ innovazione. Insomma, un Consiglio denso e decisivo. Non sarà un lunedì qualsiasi.
Giornali contro il tic dei click
Il Sole 24 Ore
Luca Tremolada
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Meno male che in fondo a Vittorio Meloni i giornalisti stanno simpatici. Esperto di giornalismo (e di giornalisti) è stato alla guida della comunicazione di grandi multinazionali e grandi gruppi come Telecom Italia e Banca Intesa. Da marzo è in libreria con Laterza con il suo ultimo saggio da un titolo fin troppo gentile verso editori e professionisti della carta stampata. Il crepuscolo dei media non è un epitaffio, ma un suggerimento composto. Con sguardo lucido, a volte glaciale, senza compiacimento o giudizio, Meloni sfoglia le pagine e i numeri dei giornali degli ultimi anni per rileggere in chiave proattiva la crisi che ha messo di fronte la stampa e le televisioni con gli algoritmi e l’ informazione della Silicon Valley. Quello offerto dall’ autore non è il dualismo un po’ manicheo dei social versus la professione del giornalismo. Non c’ è neppure il lamento generazionale di un sistema che non ha saputo uscire dai propri canoni espressivi. L’ analisi di Meloni parte dai numeri e attraversa le scelte, a volte sbagliate o fuori tempo massimo, dei principali editori. A partire dalle edizioni online gratuite, che hanno in parte involontariamente cannibalizzato i ricavi dalle vendite su carta. Passando per la resa di alcuni giornali ai social network più che alle logiche alle regole dei social network. Come nel caso degli Instant Articles di Facebook, dapprima abbracciati con speranza e convinzione e poi abbandonati velocemente. Come nel caso del New York Times che ha continuato a lavorare con i social ma tenendo fede ai valore e al senso del suo ruolo di editore. Per evitare il rischio di estinzione i grandi gruppi non devono richiudersi in se stessi. Come scrive l’ autore quello che non deve venire a mancare è la comprensione delle dinamiche delle notizie sul web. Se è vero che il centralismo della carta è finito non lo è quello dei contenuti di qualità. Ecco perché la corsa al click facile, ai tic dell’ informazione gridata in rete, inseguire l’ ego dei social sui social sono soluzioni di maniera, di brevissimo respiro che snaturano chi, per mestiere, non si può permettere di vivere di fake news. Quello con i nuovi signori del digitale non può che essere un confronto duro e vero e non una resa incondizionata. Quello suggerito da Meloni è la ricerca di un equilibrio tra due attori che hanno bisogno l’ uno dell’ altro. In gioco non c’ è solo il destino dei giornalisti o del giornalismo inteso come modo di intendere e trattare le notizie. In gioco ci sono le regole di un gioco che si chiama democrazia. Chi formerà domani l’ opinione pubblica, chi darà conto dei fatti? Un algoritmo, una dinamica comunicativa o una pluralità di attori? La risposta nel saggio è il sottotesto più originale e sorprendente contenuto nella domanda. .@lucatremolada © RIPRODUZIONE RISERVATA Vittorio Meloni, Il crepuscolo dei media , Editori Laterza, Roma-Bari, pagg. 138, 13.
Ferrante, economia di un miracolo italiano
Il Mattino
Massimo Novelli
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Dalle duemila copie del 1992, quando la casa editrice e/o pubblicò il suo primo romanzo, L’ amore molesto, agli oltre cinque milioni di copie vendute fino a oggi dei suoi vari libri; un milione circa in Italia, un milione e mezzo negli Stati Uniti. Il caso di Elena Ferrante, al di là di chi si cela dietro il nom de plume, lo pseudonimo letterario, è tutto qui. Basta e avanza, in sostanza, l’ incredibile e irresistibile ascesa commerciale dell’ autrice (o autrice e autore, moglie e marito: ovvero, e forse, Anita Raja e Domenico Starnone) di Napoli. Un’ affermazione, del resto, che ha pochi precedenti nella storia dei best sellers internazionali delle nostre patrie lettere: Il nome della rosa di Umberto Eco, in vetta con 50 milioni di copie; e poi Pinocchio di Collodi, Va dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro, la Divina commedia di Dante. Anche al Salone del Libro di Torino, ovviamente, il caso-Ferrante spopola e riempie le sale convegni del Lingotto 2017, atto trentesimo della fiera. Venerdì ne hanno dibattuto critici e scrittori; ieri mattina, introdotti da Nicola Lagioia, direttore editoriale della kermesse torinese, si sono confrontati alcuni editori delle sue opere: da Sandro Ferri, fondatore di e/o, a Michael Reynolds (alla guida dell’ Europa Editions di New York), Anne Assous (per la francese Gallimard) e a Jonathan Landrege (per la tedesca Suhrkamp). Ammesso e non concesso che alle lettrici e ai lettori non interessi conoscere, come è stato detto ieri al Lingotto, l’ identità anagrafica di Elena Ferrante, rimane, del tutto innegabile, la straordinarietà della diffusione dei suoi romanzi, tradotti in decine di Paesi: dagli Stati Uniti alla Francia, dalla Germania alla Cina, all’ India. A rievocare la cronologia dell’ escalation della cosiddetta e presunta Elena Ferrante, culminata nel 2016 dall’ inserimento nell’ elenco delle cento personalità più influenti della terra secondo «Time», è stato Ferri. Un racconto lungo venticinque anni, un miracolo italiano e un successo, come ha detto il patron della casa editrice nata a Roma nel 1979, che lui e sua moglie, Sandra Ozzola, hanno creduto possibile fin dagli esordi. Ci hanno creduto, a sentire loro, a partire da quelle duemila copie d’ avvio di L’ amore molesto, che in dieci anni, complice il film di Mario Martone tratto dal romanzo, salirono a 10.000. La seconda prova narrativa, I giorni dell’ abbandono, nel 2002 vende in Italia oltre 30.000 copie, per toccare, tre anni dopo, quota 40.000. Ma sono ancora quisquilie, avrebbe detto Totò, rispetto a ciò che sarebbe arrivato nel corso del tempo: quisquilie al cospetto della «Napoli milionaria» degli anni a venire. Il boom arriva tra la fine del primo decennio del 2000 e l’ inizio del successivo con L’ amica geniale, il primo episodio della tetralogia che proseguirà con Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta e Storia della bambina perduta. Da quel momento le sorti divengono magnifiche e progressive, soprattutto fra Italia e Stati Uniti, al punto che Betty Halbreich, una delle più famose «personal shopper», affermerà che i libri della scrittrice napoletana sono «l’ ultimo accessorio di moda a Manhattan». La tetralogia dell’ Amica geniale conquista la Germania, sale ai primi posti in classifica pure in Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Svezia, Spagna, Francia e Olanda, raggiunge i mercati editoriali di India, Turchia e Cina. A giudizio della società di monitoraggio britannica BookScan, soltanto nel 2015 i libri della Ferrante hanno venduto per un valore complessivo di un milione e 600mila sterline, circa due milioni e 200mila euro. Significa pure che le vendite di Europa Editions, la casa editrice americana che pubblica la Ferrante, creata da Ferri e Ozzola, sono lievitate del 1254 per cento in confronto al 2014. Un caso memorabile, pertanto. Un caso «letterario, culturale ed editoriale», hanno rimarcato i protagonisti del dibattito al Salone, che da un lato premia ed esalta la «radicale italianità della Ferrante»; dall’ altro, però, se fanno fede le parole di Michael Reynolds, i libri dell’ autrice napoletana verrebbero letti negli Stati Uniti alla stregua del «grande romanzo sociale americano». Sembra perciò più che lecito, di fronte all’ eccezionalità della vicenda in questione, che i mass media desiderino sapere nome e cognome, biografia e affini, di colei (e di colui, magari) che ha scelto di chiamarsi Elena Ferrante. Eppure i malati della «Ferrante-fever», che annovera, tra gli altri, James Franco, Michelle Obama, Hillary Clinton e Nicole Kidman, negano che il pubblico voglia sapere la verità. Così ieri, all’ incontro del Lingotto, si è sostenuto che i lettori sono indignati da «chi scava nella monnezza» per dare una identità alla narratrice dei record. E che mantenere il segreto, ha aggiunto Ferri, sarebbe una sorta di «resistenza al potere omologante dei media». Francamente, eccezionale caso-Ferrante a parte, paiono dichiarazioni un tantino esagerate. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fissata per lunedì 22 maggio il termine per partecipare al bando di gara europeo del governo per le agenzie di stampa
Prima Comunicazione
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Daniela Scalise – E’ fissata per lunedì 22 maggio la data ultima per partecipare al bando di gara europeo indetto dal Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della presidenza del Consiglio e che ha come oggetto la fornitura di servizi giornalistici e informativi a favore degli organi centrali e periferici delle Amministrazioni centrali dello Stato. Come il ministro Luca Lotti aveva spiegato in un’ intervista esclusiva a Primaonline il 2 maggio , “a partire dal secondo semestre del 2017 i contratti per la fornitura dei servizi delle agenzie di stampa saranno stipulati a seguito di due gare a procedura aperta: una per i servizi per le amministrazioni dello Stato, il cui bando è stato appunto reso noto oggi, e una per i servizi per il ministero degli Esteri e della rete diplomatica, che sarà invece pubblicata nei prossimi giorni”. Luca Lotti (foto Olycom) Dai più appetitosi (i primi due, ciascuno di più di 4 milioni e mezzo per sei mesi) fino ai più modesti, i dieci lotti della prima gara sembrano tarati su misura per alcune di esse. L’ esito della gara sarà verosimilmente disponibile entro la fine di giugno, ma nel frattempo si percepisce molta – e non ingiustificata – agitazione tra le fonti di informazione primaria che temono qualche sorpresa, come l’ aggiudicarsi dei lotti più appetiti ad agenzie che al momento dovrebbero essere fuori gioco. L’ Ansa partecipa ai primi due lotti (il massimo previsto per ogni agenzia che, comunque, ha la possibilità di aggiudicarsene uno solo) e pare quasi scontato che riesca a conquistare quello che prevede tra i requisiti una copertura regionale. L’ Ansa è infatti l’ unica agenzia a poter vantare sedi in ogni regione del Paese. A Via della Dataria sede dell’ Ansa vi sono sentimenti contrastanti, tra chi è animato da sincero ottimismo e chi invece teme che il gioco al ribasso possa creare danni al bilancio che ha raggiunto, grazie alla solidarietà dei dipendenti, il pareggio dopo anni di rosso profondo. In pista dovrà fare i conti con l’ aggressività dell’ Agi, la determinazione dell’ Adnkronos, la crescita costante de LaPresse e la presenza qualificata di AscaNews che rappresentano variabili tali da non permettere previsioni certe. Tutti stanno lavorando per presentare le proprie offerte e credenziali. Come già pubblicato , con notizia dell’ Ansa, ‘Il Velino’ ha invece proposto ricorso al Tar del Lazio contro il bando europeo e attende che sia fissata l’ udienza di discussione dei motivi redatti dall’ avvocato Federico Tedeschini che riguardano i termini previsti per la presentazione delle offerte considerati esigui rispetto all’ importanza del bando; e l’ esistenza di “una violazione per quanto riguarda la possibilità di presentare offerte solo per due lotti, potendo però vincerne solo uno”. ‘Il Velino’ sarebbe pronto a presentare ugualmente la sua domanda di partecipazione alla gara.
Per sopravvivere nell’ editoria digitale serve diversificare la propria offerta e puntare anche sulla stampa tradizionale. Lo studio dell’ Università di pisa
Prima Comunicazione
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Gli editori digitali che sono attivi anche nella stampa tradizionale hanno una maggiore probabilità di rimanere nel mercato e di proseguire le loro attività. E’ quanto emerge da uno studio condotto da Andrea Mangani ed Elisa Tarrini del Dipartimento di Scienze Politiche dell’ Università di Pisa . La ricerca, pubblicata sulla rivista ‘Online Information Review’ ha analizzato l’ industria italiana dei media e della comunicazione dal 1995 al 2014 e le 2.838 imprese attive nel settore nel periodo. “In generale, la percentuale di editori ‘solo digitali’ è costantemente aumentata negli anni presi in considerazione”, ha evidenziato Mangani, definendo il trend “un fenomeno che non stupisce”, considerando anche che “le barriere all’ entrata nel mercato sono basse e il numero di imprenditori ‘nativi digitali’ è sempre più alto”. Circostanze che però non garantiscono il successo delle imprese e infatti circa il 17% delle aziende considerate oggi non esiste più. Chi invece è sopravvissuto, ci è riuscito perchè, ha spiegato l’ università, “ha diversificato la propria attività dedicandosi anche alla stampa tradizionale, quotidiana e periodica, oppure a settori contigui come, ad esempio, quello televisivo e radiofonico: un risultato che vale a parità di dimensioni delle imprese, di forma legale e per ogni area geografica considerata”. “L’ analisi statistico-econometrica dei dati ci pone di fronte a un paradosso”, ha concluso Mangani, “per cui nonostante le imprese tendano a specializzarsi nell’ editoria digitale, quelle che diversificano hanno maggiore probabilità di restare sul mercato”.
Ora una mobilitazione contro i decreti attuativi del Governo sull’ editoria. Lorusso (Fnsi): manca il tema della lotta al precatiato e al lavoro senza tutele
Prima Comunicazione
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In questo paese “si sta cercando di deprezzare sempre più il bene dell’ informazione. Per questo abbiamo deciso di indire una prima giornata di mobilitazione il 24 maggio a Roma, in conseguenza dei decreti attuativi del Governo sull’ editoria”. Lo ha annunciato il segretario generale della Federazione Nazionale Stampa Italiana , Raffaele Lorusso, al termine della conferenza stampa nella quale si è parlato della situazione dei giornalisti dell’ Unità e della vertenza per comportamento antisindacale contro l’ editore del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. “I decreti attuativi sono per noi un’ occasione perduta, perché manca il tema della lotta al precariato e al lavoro senza tutele – ha proseguito Lorusso -. Avevamo recepito l’ impegno del Governo per tavoli ad hoc su questo tema e su quello della libertà ad informare, messa a rischio ad esempio dalle querele temerarie. Non avendo avuto finora risposte, questa prima giornata di mobilitazione sarà un momento per ribadirne l’ importanza”.