Indice Articoli
- Sky stringe sui servizi in fibra
- Hearst prepara Harper’ s Bazaar
- Agcom: i canali che non trasmettono film non dovranno investire nel cinema
- Guerra dei diritti d’ autore: Sky fa goal contro la Siae
- Chessidice in viale dell’ Editoria
Sky stringe sui servizi in fibra
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Jeremy Darroch, il ceo di Sky Plc da qualche mese entrata nella famiglia dell’ americana Comcast(colosso che opera su tlc, internet, tv e produzioni), lo ha segnalato durante la conference call dei conti della casa madre tre giorni fa: l’ Italia sarà capofila fra i Paesi Sky per l’ approdo in Europa di Xfinity xFi, dispositivo proprietario per il controllo dei device collegati in wi-fi utilizzato proprio negli Usa dal gigante guidato da Brian Roberts. Insomma, una dashboard digitale che gestisce le reti wi-fi domestiche e il cui battesimo si terrà in Italia, dove i prossimi mesi saranno quelli del lancio del servizio ultrabroadband di Sky. Si avvicina il tassello per completare la strategia multipiattaforma di Sky che in Italia, per questo, ha stretto a marzo dello scorso anno un accordo con Open Fiber. A quanto risulta al Sole 24 Ore sarà rispettata la tabella di marcia che prevede per luglio il lancio di questo servizio via fibra che, stando ai dati del momento, può contare su 71 città delle cosiddette aree A e B (quelle meglio messe quanto a copertura e posizionamento) coperte con servizio in fibra Ftth (fibra fino a casa) da Open Fiber. Sono una parte delle 271 città nelle aree A e B che la controllata di Enel e Cdp dovrà coprire, come da piano, per 4 miliardi di euro entro il 2023. A queste si uniranno poi gli oltre 1.200 comuni delle aree più disagiate, le “C” e “D”, per le quali Open Fiber ha vinto la gara Infratel per la costruzione della rete in fibra. Ma quella è un’ altra partita. Durante la conference call, quello di xFi è stato citato come uno dei tre esempi di immediata collaborazione fra Comcast e una Sky di cui la casa madre ha fornito solo i risultati consolidati, senza scorporarli per singoli Paesi. Il numero abbonati in Italia sarebbe comunque salito sopra i 5 milioni a fine 2018, fronte dei 23,8 milioni in totale nei Paesi in cui Sky opera: Uk, Irlanda, Italia, Germania e Austria. L’ incremento è legato anche alla partenza dell’ offerta pay in digitale terrestre, a seguito dell’ accordo di fine marzo con Mediaset. Ora le attese sono per il lancio del servizi in fibra per i quali, come attestato anche dall’ annuncio dello sbarco di xFi in Italia, è ormai iniziato il conto alla rovescia. Va detto che Sky nel Paese aveva iniziato a fornire il servizio su fibra con Tim già quattro anni fa, ma l’ operazione è poi naufragata nei contrasti fra le due società. Da luglio la fibra andrà però a porsi come alternativa concreta alla modalità via satellite per la quale la pay tv di Comcast ha da tempo un accordo “bundle” con Fastweb. L’ ambizione è quella di aggiungere clienti, soprattutto nei centri storici dove la fibra può rappresentare una soluzione ai vincoli urbanistici, senza abbandonare la parabola. Il tutto comunque – è una puntualizzazione cui dalle parti di Rogoredo tengono molto – senza la partenza di alcuna offerta su mobile. Forse differente potrà essere la partita sulla fornitura del servizio ultrabroadband anche al netto dell’ utilizzo della fibra per l’ offerta di pay tv. Però di questo se ne potrà parlare, eventualmente, non prima della fine dell’ anno. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Hearst prepara Harper’ s Bazaar
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Alla fine del 2019, massimo inizio 2020, arriverà l’ edizione italiana di Harper’ s Bazaar, con una formula simile a quella che Hearst ha usato per il lancio di Esquire: prima una versione digitale (Esquire partì nell’ ottobre 2017) e, dopo circa un anno, quella cartacea (il bimestrale Esquire ha debuttato nell’ ottobre 2018 ed è uscito con il suo secondo numero nel gennaio 2019). Giacomo Moletto, amministratore delegato di Hearst Italia (polo che vale circa 85 milioni di euro di ricavi nel 2018, stabile sul 2017, e con un discreto utile) e di Hearst Western Europe, è molto concentrato a valorizzare i brand verticali internazionali del gruppo editoriale, e a fare crescere tutte le attività digitali insieme con Massimo Russo, da poco nominato chief digital officer Hearst Western Europe. E sul tema influencer, Moletto è piuttosto tranchant: «Gli influencer certo esistono e sono essi stessi aziende sane e forti. Non sono nemici né concorrenti, ma non sono neppure asset su cui costruire la nostra presenza digitale». Domanda. Mi dicono di frenetiche selezioni di giovani da inserire nella casa editrice. Cosa faranno in Hearst? Risposta. Beh, non abbiamo mai smesso di assumere persone. Certo, ora privilegiamo le figure dell’ area digitale e un po’ meno quelle dell’ area contenuti. A guardare alcuni nostri uffici, sembrano più aule di una università, con tanti bravissimi giovani. Per loro abbiamo preparato piani che prevedono molta rotazione delle mansioni, soprattutto nell’ area grafica, per sviluppare competenze video, produzione, post produzione, 3D. E ci sono tante scuole e università che sfornano ragazzi talentuosi, che poi impieghiamo nelle iniziative speciali, nel digital, nelle redazioni, creando professionalità molto eclettiche. D. Leggevo che Russo, appena nominato vostro chief digital officer Western Europe, si occuperà di e-commerce. In che senso? R. Non è così, e non si occuperà di e-commerce tipo Yoox. Lui dovrà occuparsi, invece, di tutte quelle fonti di reddito diverse dall’ advertising classico. Si muoverà su tre linee guida. In primis, c’ è la produzione di contenuti digitali conto terzi. Poi c’ è il tema dei lead: ovvero io azienda che faccio pubblicità sui brand di Hearst pago la casa editrice sia per le impression che la mia campagna pubblicitaria ha, appunto, sui brand verticali di Hearst, sia per i lead, ovvero quei visitatori che poi si trasformano in potenziali clienti per aver preso informazioni, inviato mail, scaricato app, ecc. Capita ormai sempre più spesso che le aziende nostre clienti siano interessate a generare registrati o abbonati ai loro siti. Quindi se generi lead, contribuisci più o meno direttamente a far crescere il fatturato del cliente. Infine, i brand di Hearst raccolgono una serie di dati sui visitatori che poi possono essere utili e funzionali a generare traffico sui siti di e-commerce. D. Hearst, invece, a differenza di altre case editrici, non si concentra molto sugli influencer R. Allora, giusto per spiegare bene: Hearst ha deciso di avere un centro strategico digital a New York. E tutte le Hearst del mondo usano le tecnologie, le piattaforme di New York. Che sono tante, variegate e crescono ed evolvono in continuazione. Grazie anche a investimenti che localmente non ci potremmo certo permettere. E dal punto di vista del centro digital Hearst di New York, mercato che magari è già più avanti rispetto all’ Europa, gli influencer certo esistono e sono essi stessi aziende sane e forti. Non sono nemici, non sono concorrenti, ma non sono neppure asset su cui costruire la nostra presenza digitale. Insomma, per intenderci, Hearst ha deciso di non aprire scuole di influencer, né fornisce influencer ai suoi clienti, ma lavora piuttosto a formare dei data scientist che sappiano valutare i vari influencer e, di conseguenza, consigliare i clienti. D. Tutti i contenuti digitali di Hearst Italia sono prodotti a Chiasso, in Svizzera, giusto? R. Sì. Chiasso rimane il centro di Hearst per i contenuti digitali, mentre tutto il resto è a Milano. A Chiasso creiamo contenuti digitali principalmente per l’ Italia, ma anche per altri paesi europei. Anche perché sul digital e le iniziative speciali il tema del dove sei è ormai irrilevante. D. È vero che aprirete Harper’ s Bazaar anche in Italia nel 2019? R. Sì. Harper’ s Bazaar in Italia dovrebbe seguire lo stesso percorso di Esquire. Puntiamo a partire in Italia con una edizione online tra fine 2019 e inizio 2020. E sono molto contento di Esquire, che ha debuttato online nell’ ottobre 2017 e poi, da ottobre 2018, è anche bimestrale cartaceo. È la conferma che si possono lanciare i brand pure partendo dal digitale, a patto che i brand siano forti. D. Da novembre 2018 è nato Elle settimanale, con lo stop di Gioia. Mi dicevano che qualche cliente pubblicitario di alta gamma ha un po’ storto il naso R. Tra dicembre 2018 e gennaio 2019 la raccolta pubblicitaria di Elle settimanale (che a novembre 2018 ha raggiunto una diffusione di 212.500 copie secondo i dati Ads, ndr) è al +10% rispetto a quella di Gioia più Elle mensile nei due stessi mesi di riferimento. Quindi, direi, siamo soddisfatti e non vediamo problemi particolari con marchi di gamma alta. D. La chiusura di un marchio storico come Gioia è però stata molto dolorosa R. Certo, lo capisco. Ma c’ è un trend mondiale: soprattutto con il digitale c’ è una tendenza a centralizzare i budget di comunicazione, a fare un contenuto video centrale e poi distribuirlo a livello internazionale. I budget di comunicazione, quindi, sono sempre meno locali e più internazionali, da declinare su brand a loro volta internazionali. Elle è un brand che può intercettare questi budget. Gioia no. In generale, quindi, i brand verticali, quelli della ex stampa periodica, devono svilupparsi secondo questo asse. Poi ci sono brand come Gente che sono locali e devono vivere di diffusione. Così come i quotidiani, che, avendo news locali, devono vivere di diffusione e di budget pubblicitari locali. D. E Cosmopolitan, che doveva essere il primo brand di Hearst a diventare tutto digitale? R. Sta vivendo una seconda-terza-quarta-quinta giovinezza, poiché beneficia del fatto che ci sono poche alternative per parlare alle donne tra i 20 e i 30 anni. Cosmo è tra queste. Nel 2018 ci sono arrivati clienti, in particolare sui progetti di comunicazione, che non eravamo abituati ad avere, come Adidas. In passato, è vero, avevo detto che Cosmo sarebbe stato il primo a diventare tutto digital. Ma adesso non credo che accadrà, si va avanti con carta e digitale. © Riproduzione riservata.
Agcom: i canali che non trasmettono film non dovranno investire nel cinema
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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I canali televisivi che non trasmettono film non saranno obbligati a investire nel cinema italiano indipendente, anche se comunque sono sottoposti alla quota minima di investimento nelle opere europee. È una delle novità introdotte dal regolamento sulle quote europee per la televisione dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, pubblicato ieri sul sito dell’ Agcom dopo gli aggiornamenti dovuti alle modifiche della legge di Bilancio. Il regolamento fornisce alcuni dettagli applicativi sul decreto Franceschini del 2017 che oltre a introdurre gli obblighi per gli over the top fornitori di servizi media audiovisivi ha innalzato le quote per gli operatori lineari tradizionali. In pratica per i broadcaster nazionali privati da una parte salgono gli obblighi di investimento nelle opere europee di produttori indipendenti (dal 10 al 12,5% degli introiti netti annui a partire da luglio sino al 15% del 2020, tutte percentuali più alte per la Rai) ma le sottoquote riservate al cinema italiano (dal 3,2 al 4,5% degli introiti) non si applicano se il canale ha trasmesso nel corso dell’ anno meno di 52 film. Si tratta di un numero non scelto a caso dall’ autorità guidata da Angelo Marcello Cardani ma preso a esempio dalla legislazione francese in materia. La deroga serve a tutelare quei canali che per loro natura non hanno film in palinsesto o ne hanno molto pochi (per esempio le tv per bambini). Chi invece è tenuto a investire nei film indipendenti italiani potrà contare come investimento anche i costi per la promozione e distribuzione, non solo la produzione in senso stretto. Investimento a parte, ci sono poi gli obblighi di programmazione: come previsto dalla legge Franceschini, per i broadcaster tradizionali le nuove quote di opere europee da avere in palinsesto passeranno dall’ attuale 50 al 53%, per poi arrivare al 56% nel 2020 e al 60% nel 2021 da rispettare nell’ arco dell’ anno, tutte percentuali con sottoquote che riguardano le opere italiane. Ogni settimana, poi, una parte della programmazione dalle 18 alle 23 dovrà essere destinata a contenuti italiani. Come già si sapeva, inoltre, i servizi di video on demand, da Netflix ad Amazon Prime, dovranno riservare almeno il 30% del proprio catalogo a opere europee degli ultimi cinque anni, una percentuale che sarà calcolata sul monte ore dei contenuti messi a disposizione annualmente agli utenti. Gli stessi operatori, poi, dovranno investire almeno il 20% dei propri introiti netti annui conseguiti in Italia per la produzione o l’ acquisto di opere europee indipendenti, con la metà di questo budget da destinare in particolare a opere di «espressione originale italiana, ovunque prodotte». Gli over the top sono sottoposti a questi obblighi sia che abbiano una sede in Italia, sia che ce l’ abbiano in altri paesi europei. Dovranno inoltre mettere in evidenza i contenuti europei nella homepage e nelle pubblicità perché siano conosciuti dal pubblico. Le deroghe? Per chi non fa utili, ha una quota di mercato inferiore all’ 1% oppure un canale tematico per il quale non si possono trovare produzioni indipendenti. © Riproduzione riservata.
Guerra dei diritti d’ autore: Sky fa goal contro la Siae
Il Fatto Quotidiano
Andrea Ossino
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Più che un tentativo di evadere la legge sul diritto d’ autore, la decisione di Sky di ritardare il versamento di milioni di euro nelle casse della Siae va vista come una specie di manovra per rinegoziare il contratto. Una scelta che appare legittima, adottata anche alla luce della liberalizzazione del mercato e della pronuncia dell’ AgCom, che ha accertato l’ abuso della posizione dominante messo in atto dalla Società italiana degli autori ed editori ai danni degli altri competitor. Anche per questo motivo la scelta della Procura di Roma di chiedere l’ archiviazione dell’ indagine nei confronti di Andrea Zappia, allora amministratore delegato di Sky Italia, se confermata, è destinata ad avere un forte impatto nel mercato televisivo italiano in tema di diritti d’ autore. Andiamo con ordine. Era l’ aprile del 2018 quando la notizia dell’ iscrizione nel registro degli indagati dell’ attuale chief executive Continental Europe di Sky aveva riacceso il confronto, combattuto anche in sede civile, tra il ramo italiano della società fondata dal magnate Rupert Murdoch e la Siae. In realtà la faccenda era sul tavolo del sostituto procuratore Vincenzo Barba già da tempo, da quando le dichiarazioni del direttore Siae Gaetano Blandini, lamentatosi pubblicamente dei mancati pagamenti dei diritti da parte di Sky, erano state racchiuse in un’ informativa della Guardia di Finanza. Il fascicolo, che inizialmente non prevedeva reati e indagati, si era poi arricchito con il nome di Zappia e con un’ accusa: mancato versamento dei diritti d’ autore. Nel fascicolo è poi finita anche la denuncia della Siae. La società si era detta danneggiata perché Sky, nel luglio 2017, non avrebbe immediatamente rinnovato il contratto continuando però a utilizzare i contenuti tutelati da Siae. Una faccenda simile riguardava anche una seconda società, di cui Zappia è presidente, che aveva risolto il contratto addirittura nel gennaio 2016. Da qui l’ iscrizione nel registro degli indagati. Interrogato, l’ ex ad di Sky ha poi spiegato le sue ragioni. Le memorie depositate dalle parti hanno consentito agli inquirenti di giungere a una conclusione: nelle azioni di Zappia non c’ era un dolo intenzionale, al massimo un inadempimento contrattuale che deve interessare il tribunale civile. E quello di Milano ha poi riconosciuto il credito da 3 milioni vantato dall’ ex monopolista del diritto d’ autore. Sul piano penale, invece, il pm ha sottolineato le mutate circostanze normative che rendono la scelta di Zappia non pretestuosa. E sicuramente non illegale, almeno secondo i magistrati. Insomma, visto che Sky doveva pagare anche altre società che tutelano il diritto di autore, voleva rinegoziare al ribasso il contratto con Siae. Del resto il 25 settembre 2018 l’ AgCom, l’ Autorità garante della Concorrenza, ha accertato che la Siae ha posto in essere un “abuso di posizione dominante”. E dopo un mese “il Tribunale di Roma ha sospeso il procedimento promosso nel 2014 da Siae, rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea”, si leggeva in una nota divulgata dal competitor Soundreef. Sky infatti, nelle memorie depositate in procura, poneva il problema che l’ ingresso nel mercato di nuovi competitor di Siae rendeva iniquo il precedente contratto siglato in una situazione di sostanziale monopolio. Questo avrebbe fatto slittare i tempi della firma. Tempi che, comunque, anche in altre occasioni sarebbero slittati. Comunque Sky ha pagato, anche se in ritardo. Da qui la richiesta di archiviazione che potrebbe far riflettere anche altri operatori televisivi chiamati al rinnovo dei contratti con la Siae. Per il network però le battaglie legali non finiscono qui. La Rai infatti starebbe preparando una causa civile a Roma e un’ altra davanti al Garante per le Comunicazioni. La tv di Stato infatti lamenta un mancato pagamento a fronte di servizi Rai trasmessi da Sky attraverso il suo decoder.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Caso Simon Fiduciaria, accolta la posizione di Mediaset. Il tribunale di Milano ha rigettato il reclamo di Simon Fiduciaria contro l’ ordinanza emessa il 25 novembre 2018 dal giudice Amina Simonetti relativa a due delibere dell’ assemblea degli azionisti di Mediaset del 27 giugno. Simon Fiduciaria aveva chiesto la sospensione urgente delle delibere e a fronte dell’ esito negativo aveva presentato reclamo. Con l’ ordinanza di ieri, il tribunale, accogliendo la posizione di Mediaset, ha respinto il reclamo di Simon Fiduciaria confermando la valutazione giuridica contenuta nell’ ordinanza precedente. Simon detiene il 19,19% del capitale di Mediaset di proprietà di Vivendi, quota sopra il limite previsto dalle norme in materia e congelata in seguito a un provvedimento dell’ Agcom. Il Biscione ne ha impedito comunque a Simon la partecipazione in assemblea perché in ogni caso la quota resta sostanzialmente nelle mani di Vivendi. Di qui la richiesta da parte di Simon di annullare le deliberazioni dell’ assemblea. Il prossimo 9 aprile l’ udienza di merito sul tema. Andrea Prandi direttore per la comunicazione di Conad. Andrea Prandi è il nuovo direttore delle relazioni esterne e comunicazione corporate di Conad. Prandi ha iniziato la sua carriera come giornalista al Resto del Carlino per poi passare alla comunicazione con Edelman, partecipando al lancio di Omnitel (ora Vodafone) e lavorando con aziende come Texas Instruments, Ups, Ericsson. Successivamente ha diretto le relazioni esterne e la comunicazione di Indesit (ex Merloni Elettrodomestici). Dal 2004 al 2016 ha guidato la comunicazione di Edison ed è stato membro del cda della Fondazione. Dal 2017 è stato executive vice president di Edelman e ha sviluppato l’ agenzia di comunicazione e marketing digitale Smartitaly. È stato anche tra i fondatori di Vaielettrico.it. Ha fatto parte dell’ Unità di missione per l’ Agenda digitale istituita dalla presidenza del consiglio ed è stato presidente della Ferpi – Federazione relazioni pubbliche italiana. Tivùsat, arriva Nasa Tv 4K. A partire da oggi sarà inserito nel bouquet di tivùsat il quarto canale 4K liberamente accessibile sulla piattaforma satellitare: si tratta del canale Nasa Uhd che sarà posizionato al numero 211. Si tratta del canale 4K della Nasa, l’ agenzia spaziale americana, con immagini dalla stazione orbitante e da altre missioni interplanetarie. Il canale 4K Nasa si affianca a Rai 4K, Fashion Tv 4K e 4K1, il canale dimostrativo di HotBird. MasterChef Italia, scelti i 20 aspiranti chef. Sono stati scelti i 20 aspiranti chef che si contenderanno il titolo di 8° MasterChef italiano nella nuova edizione di MasterChef Italia, il cooking show di Sky, prodotto da Endemol Shine Italy. Giovedì sera i due nuovi episodi di MasterChef Italia, dalle 21.15 su Sky Uno/+1 e Sky On Demand, sono stati visti in media da 1 milione 4 mila spettatori, un dato in crescita del 3% rispetto alla media dei primi due episodi della scorsa settimana. Gli spettatori unici sono stati 1 milione 453 mila e la share su Sky Uno è stata del 3,46%. Su Timvision la grande arte. Grazie alla collaborazione tra Timvision Production e Nexo Digital dal 28 gennaio saranno disponibili in esclusiva sulla piattaforma on demand di Tim due titoli che hanno scalato le classifiche cinematografiche del Box Office, incantando critica e pubblico. Si tratta di Klimt & Schiele. Eros e Psiche e Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e di luce. Klimt & Schiele. Eros e Psiche, con la partecipazione di Lorenzo Richelmy, racconta gli artisti della Secessione viennese, la scuola che dalla fine dell’ ottocento aveva rivoluzionato i canoni artistici e dell’ accademia. Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e di luce è il film dedicato al padre dell’ Impressionismo e alla sua ossessione per le ninfee. Infinity, la stagione finale di The Big Bang Theory. Dopo dodici stagioni si conclude The Big Bang Theory, lo show più amato di sempre negli Stati Uniti, e non solo. Su Infinity arriva l’ attesissima stagione finale e dal 29 gennaio anche il cofanetto completo della serie. Formula E 2018/2019, l’ E-prix del Cile live su www.sportmediaset.it e in differita su Italia 1. Sarà Mediaset a trasmettere la stagione 2018/2019 della «Formula E». Il campionato del mondo delle velocissime monoposto elettriche, ideato dalla Fia, potrà essere visto per le prossime cinque stagioni in esclusiva in chiaro su Italia 1 e in streaming su www.sportmediaset.it. Oggi si torna in pista con l’ E-Prix del Cile. Sportmediaset.it si collegherà in diretta dal circuito di Santiago del Cile alle ore 19.40, con la partenza fissata alle ore 20. Italia 1 proporrà la gara in chiaro in differita dalle ore 23.10. Tv2000, docufilm sugli oratori di cinque parrocchie in Lombardia. Tv2000, in occasione della festa di San Giovanni Bosco fondatore delle congregazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, giovedì 31 gennaio alle 21.05 trasmette il docufilm Qui è ora. Un racconto corale, ambientato in cinque strutture parrocchiali della Lombardia, che delinea un tessuto sociale diverso dalle narrazioni che prevalgono sui media. Tra i protagonisti Don Mattia Bernasconi – Oratorio San Luigi Gonzaga (Milano); un gruppo adolescenti del Sicomoro – Oratorio San Siro (Lomazzo); Akon (un volontario del Senegal) – Oratorio San Faustino (Brescia); Suor Elisea – Oratorio San Giovanni (Brescia); Don Giuliano Borlini – Oratorio San Giovanni Bosco (Clusone).
L'articolo Rassegna Stampa del 26/01/2019 proviene da Editoria.tv.